Notazioni (e/o rimeditazioni) su diritto romano e Carta de Logu de Arborea
FRANCESCO SINI
Università di Sassari
SOMMARIO: Premessa. – 1. Delimitazione dell’oggetto. – 2. Studi e ricerche dell’Ottocento e del Novecento. –
3. Riferimenti espliciti al diritto romano: il capitolo III (Qui ochirit homini). – 3.1. Legittima difesa nella Carta de
Logu e diritto romano. – 3.2. Omicidio preterintenzionale. – 3.3. Agentes et consentientes: tra diritto romano e diritto canonico. –
3.4. Conscii et ministri. A proposito di D. 48.9.6 e C.I. 1.3.53(54).5. – 4. I capitoli LXXVII (De chertos dubitosos) e LXXVIII (De
appellationibus). – 5. I capitoli XCVII (De deseredari) e XCVIII (De coyamentos). – 6. Suggestioni romanistiche in alcuni motivi
ispiratori della legislazione dei Giudici d’Arborea. – 7. La Carta de Logu de Arborea nella storia e nelle tradizioni giuridiche del
Popolo Sardo. – 8. Continuità e persistenza di forme comunitarie di appropriazione della terra.
Premessa
Molto resta ancora da scrivere riguardo al problema della continuità del diritto romano nell’esperienza
giuridica della Sardegna medievale, ed in particolare dell’influenza di quell’antico diritto sulla compilazione della
Carta de Logu de Arborea[1]: la più significativa opera legislativa in lingua sarda, promulgata dalla giudicessa
Eleonora Bas-Serra[2] nell’ultimo decennio del XIV secolo[3].
Presento in questo contributo alcune notazioni (e/o rimeditazioni) sulle mie precedenti ricerche; che in
parte risultano anche riproposte, nella convinzione di renderle più fruibili esplicitandone meglio – nella necessaria
sintesi espositiva – i risultati finora conseguiti. Fra i risultati, mi pare valga la pena di soffermarsi sul dato di
maggiore impatto: il forte (ed innegabile) ancoramento della Carta de Logu al diritto romano; pur avvertibile nella
gran parte dei 198 capitoli della Carta, appare del tutto evidente nei capitoli III, LXXVII, LXXVIII, XCVII e XCVIII;
poiché in quei capitoli i compilatori arborensi plasmarono le soluzioni giuridiche proposte sul diritto romano,
mediante espliciti riferimenti e rinvii ad un altro sistema normativo, identificato con sa lege o sa ragione[4]. Così
nel capitolo III, la pena capitale comminata all'omicida volontario si fonda sull’effettiva imperatività del diritto
romano: «secundu quessu ordini dessa rag(i)oni comandat»[5]. Nei capitoli LXXVII e LXXVIII, sono riferiti in
maniera esplicita al diritto romano i termini legali d’impugnazione, fissati entro il limite massimo di dieci giorni:
«si appellado non est infra tempus legittimu de dies deghi comenti comandat sa lege». Inoltre, rimanda al diritto
romano il capitolo XCVIII, laddove designa la porzione legittima dell'eredità con l’espressione «sa parti sua
secundu ragione».
Dai capitoli della Carta de Logu appena citati si ricavano elementi ulteriori, ed assai significativi, per
dimostrare la vigenza del diritto romano nella Sardegna medioevale; infatti, sia l’utilizzazione di verbi
dall’indiscutibile valenza precettiva (comandare / ordinare), sia l’impiego di questi verbi al presente indicativo
(comandat), attestano in maniera incontrovertibile il fatto che i compilatori della Carta de Logu ritenessero ancora
vigente quel sistema normativo (sa lege, sa ragione) fatto oggetto di rinvio nel «codice» del Giudicato di Arborea.
1. – Delimitazione dell’oggetto
Prima di affrontare la questione relativa agli influssi del diritto romano giustinianeo sulla Carta de Logu,
sarà bene precisare chiaramente l'oggetto e i limiti dell'esposizione. Non rientra, ad esempio, fra le finalità di
questo saggio ripercorrere sul filo della storia e della storiografia giuridica un tema come quello delle origini delle
istituzioni giuridiche e politiche della Sardegna medioevale.
Questo tema, peraltro, è stato indagato e discusso, fin dal XV secolo, da generazioni di giuristi e di storici
del diritto: a partire dall’anonimo giurista sardo, che proprio sul finire del XV secolo compose le cosiddette
Questioni giuridiche esplicative della Carta de Logu (Leges pro sas cales si regint in Sardigna)[6]; o da Girolamo
Olives, giureconsulto sassarese del XVI secolo[7], al quale si devono quei Commentaria et Glosa in Cartam de
Logu, pubblicati a Madrid nell’anno 1567, che rappresentano la prima riflessione scientifica e sistematica sulla
legislazione di Eleonora d’Arborea[8].
Non mi sono neppure avventurato – anche per mia evidente incompetenza in materia – neppure fra i
meandri di quella storiografia che, fondando nella continuità del diritto romano pubblico e privato gli “elementi
costitutivi”[9] delle istituzioni giuridiche sardo-giudicali, presumeva poi da tale continuità il carattere romano del
diritto sardo del medioevo. Infine, non ho proceduto ad una esposizione completa dei disparati elementi
romanistici, rilevabili nella Carta de Logu de Arborea. Mi sono limitato, invece, ad esaminare i capitoli della Carta
in cui la legislatrice arborense si è richiamata in maniera esplicita al diritto romano, con termini propri quali sa
lege o sa ragione, mettendoli poi a confronto con alcuni testi giuridici romani. Nella prospettiva strettamente
romanistica di queste ricerche, infatti, per dimostrare l’esistenza di influssi del diritto romano giustinianeo sulla
Carta de Logu d’Arborea è stato sufficiente accertare in maniera incontrovertibile, mediante lettura sinottica e
analisi esegetica dei relativi frammenti del Corpus Iuris Civilis, quale grado di aderenza i citati capitoli della Carta
de Logu abbiano conservato nei confronti di quei testi giuridici romani, che quasi per certo costituirono i modelli di