• Non ci sono risultati.

PARTE PRIMA Capitolo Primo Ottavio Banti nel suo lavoro Studi sulla genesi dei testi cronistici pisani del secolo XIV

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "PARTE PRIMA Capitolo Primo Ottavio Banti nel suo lavoro Studi sulla genesi dei testi cronistici pisani del secolo XIV"

Copied!
107
0
0

Testo completo

(1)

1

PARTE PRIMA

Capitolo Primo

Ottavio Banti nel suo lavoro Studi sulla genesi dei testi cronistici pisani del secolo XIV1 dimostrò come il manoscritto L54 (ora all’Archivio di Stato di Lucca) di un anonimo pisano sia l’archetipo dal quale tutte le successive cronache pisane del XIV secolo attinsero e compendiarono gli eventi. Per mostrare come sia giunto a questa conclusione è necessario ripercorrere alcune tappe del suo testo.

Lo studioso notò come molte notizie riportate nel manoscritto L54 siano «una fedele traduzione del testo del Maragone», riprendendo l’espressione utilizzata da Pietro Silva,2 almeno per quanto riguarda i ff. 33´-62´. Invece per altri anni il testo dell’anonimo pisano risulta più dettagliato rispetto al Maragone.3

Ottavio Banti prospettò due ipotesi in merito: o questa parte degli Annales è una sorta di compendio di un antico Chronicon Pisanum dal quale invece l’anonimo pisano fece una trascrizione integrale, oppure lo stesso cronista anonimo avrebbe aggiunto di sua mano «notizie ricavate da altre fonti».4 Banti ritenne più probabile la prima ipotesi.

Riporto una delle tante parti esaminate dallo studioso, nelle quali si può notare la maggiore completezza della cronaca dell’anonimo rispetto agli Annales. Ecco il passo di Bernardo Maragone sulle vittoriose spedizioni dei Pisani e Genovesi contro re Mugetto (Mujahid):

1 Ottavio Banti, Studio sulla genesi dei testi cronistici pisani del secolo XIV in Bullettino dell’istituto

storico italiano per il medioevo e Archivio Muratoriano, Roma 1963.

2

Pietro Silva, Questioni e ricerche di cronistca pisana, 1913, in Archivio Muratoriano e ib.

3 Faccio riferimento all’edizione degli Annales Pisani di Bernardo Maragone curata da Michele Lupo

Gentile, ed. Nicola Zanichelli, Bologna 1930 in Istituto Storico Italiano Rerum Italicarum Scriptores, Tomo VI-Parte II.

4

(2)

2

«MXVI. Fecerunt Pisani et Januenses bellum cum Mugietto in Sardineam et gratia Dei vicerunt illum».5

E qui il passo corrispondente dell’anonimo pisano:

«Nelli anni .MXXI. lo re Mugietto con grande armata, ritornò in Sardigna e grande parte dell’izula aquistata e li pisani, facto legha colli Gienovesi a richiesta della santa Chiesa, con grande armata passonno in Sardigna; e lo re Mugietto, vedendo di non poter stare a difesa, prese partito d’abandonare l’izula e, partitosi segretamente, [e] molti arnesi vi lassò per non avere tempo né modo a poterli portare. Ed ebbono pacti i Genovesi co’ Pisani che a’ Gienovesi toccasse li arnesi e tezoro e alli Pisani le terre […]».6

Viene quindi avvalorata l’ipotesi che il Maragone abbia compendiato un testo che invece l’anonimo pisano trascrisse integralmente. Questo chiaramente non scarta del tutto la seconda ipotesi, cioè che l’anonimo possa aver attinto da diverse fonti per poi riunirle nella sua cronaca.

Per gli anni successivi l’autore anonimo alterna la narrazione dei fatti con le vite dei pontefici e degli imperatori, che risultano essere la traduzione del Chronicon Pontificum

et Imperatorum di Martin Polono,7 di cui riporto questo passo:

«Gelasius II, nacione campanus de civitate Gaieta, sedit anno .I., diebus 5 et cessavit episcopatus diebus 24. Hic, propter Henricum imperatorem, cum cardinalibus Gaietam secessit et inde cum per mare pergeret in Franciam, veniens Cluniacum, ibi mortuus est et sepultus».8

Al quale corrisponde il nostro manoscritto L54:

«Gelasio papa sicondo, di nassione campano della cità di Ghaeta, sedè in papato ano .I. di .XV. e vachò la sedia dì .XII. A costui faciendo guerra Arrigho IV imperatore, si partì di Roma colli cardinali e andonne a Ghaeta e li pisani a sua richiesta, con due

5

Op. cit.

6 Op. cit.

7 Martinus Oppaviensis, Chronicon Pontificum et Imperatorum, in M.G.H., SS., XXII, ed. L. Weiland,

Hannoverae 1872, pp. 337-475.

8

(3)

3

galee, di Gaeta lo condussero a Pisa a dì XXVII di octovre, la vigilia di s. Simone e Giuda apostoli […] la catedrale chiamata s. Maria consecrò […]. E consecrata la chiesa, lo ditto papa colli cardinali […] lo populo pisano chon se’ ghalee, perfine a Marsiglia di Provensa li portono […]. La chiesa magior di Pisa consecrò a dì XXVII d’octobre MCXVIII».9

Riportando la consacrazione della cattedrale di Pisa, l’anonimo aggiunge così ai fatti relativi alle biografie dei pontefici e degli imperatori (desunte dalla cronaca del Polono), i fatti relativi alla sua città, in questo caso appunto la consacrazione della Cattedrale di Santa Maria e la scorta che i pisani fecero a papa Gelasio II nel condurlo a Marsiglia. Anche per le fonti del secolo XIII Ottavio Banti deduce che l’anonimo pisano trascrisse da fonti pisane ora perdute. Per la vicenda di Corradino di Svevia egli avanzò l’ipotesi di una derivazione dal Malispini e dal Villani.10

Si può quindi affermare (sostiene Banti) che l’anonimo pisano concepì la sua opera di raccontare le vicende della sua città integrandole con i grandi eventi della storia universale o comunque della storia “mondiale” delle due istituzioni universali, il papato e l’impero. E in questo senso va inteso l’intento dell’anonimo di inserire nella sua cronaca i fatti attinti da Martin Polono: «procurare un trattato di storia per i suoi cittadini».11 Questa conclusione sarà poi integrata con l’analisi del prologo dell’opera dell’anonimo, quando ne farò una comparazione con il prologo della Nuova Cronica di Giovanni Villani.

Per quanto riguarda il periodo di stesura del manoscritto, un brano sull’elezione di papa Benedetto XII ci svela la risposta:

«Benedetto XII di natione tolozano […] fue eletto a dì XX di dicembre MCCCXXXIIII, e poi fu coronato a dì III di giennaio anno ditto. E appresso alla coronassione sua levò tutte le commende a’ prelati, eccepto alli cardinali, e ‘l collegio di cardinali, ch’erano XXIII […]».12

9 Op. cit.

10 Ottavio Banti op. cit, pag. 291. 11 Ib. pag. 292.

12

(4)

4

Poiché tutte le altre vite dei pontefici riportate terminano con la loro data di morte e in questo caso no, si deduce che questo brano venne scritto prima della morte di papa Benedetto XII, avvenuta il 25 aprile 1342. Abbiamo così ricavato il termine ante quem del manoscritto. Allo stesso modo il brano ci dice che papa Benedetto XII portò il numero dei cardinali del Sacro Collegio al numero di 23 membri: questo accadde il 18 dicembre 1338 e quindi possiamo dedurre il termine post quem della stesura del manoscritto. Quindi il manoscritto L54 è stato composto tra il 1338 e il 1342.

Sulla personalità dell’anonimo pisano possiamo prendere come indizio proprio il fatto di come egli si adoperi a riportare le vite dei papi e i fatti della vita dei canonici pisani, come quando al f. 26´ narra la generosità della contessa Matilde verso i canonici della cattedrale e al vescovado «molte possessioni lassò e a molte case di gentili homini ricche possessioni donò».13 Tutto questo fa supporre che l’anonimo stesso fosse un canonico della cattedrale.

Detto questo, Ottavio Banti dimostrò come la cronaca L54 sia l’archetipo per tutte le successive cronache pisane del XIV secolo. Queste cronache infatti, nella maggior parte dei casi, hanno ripreso le fonti del ms. L54 compendiandole. A riprova di questo, sta il fatto che anche in queste cronache successive sono riportati dei fatti che negli Annales maragoniani mancano, ma che sono invece ben presenti nel ms. L54.

Eccone un esempio tratto dal ms. L54:

«Nelli anni .MXXXV. li pisani co’ loro armata andonno all’izula di Lipari e quella per forza di battaglie presono e allo imperatore Curado primo la consegnono […]».14

13 Ottavio Banti op. cit. pag. 295. 14 Ib. pag. 297.

(5)

5

Ed ecco il medesimo fatto nella cronaca di Ranieri Sardo contenuta nel codice Magliabechiano XXV-491:

«Nelli anni domini 1035 li pisani presono per forza Lipari et dierola allo inperadore […]».15

Questo riferimento manca negli Annales del Maragone.

Anche il brano su papa Gelasio II (qui a pag. 2), integrato dalla cronaca di Martin Polono da parte dell’anonimo pisano, lo ritroviamo nella cronaca di Ranieri Sardo:

«Nelli anni Domini 1117, Gelasio papa terzo nato di Gaeta, cholli suoi cherici fugendo dinanzi allo inperadore Arigho terzo, andava sene cho’ suoi cardinali per mare per venire a Pisa; et lui si chonsagrò il duomo […]».16

E anche questo brano manca negli Annales di Bernardo Maragone.

A questo punto riporto un brano della Nuova Cronica di Giovanni Villani, anticipando quello che poi sarà visto nel dettaglio riguardo le relazioni tra il ms. L54 e la cronaca villaniana:

«Della detta sentenza lo re Carlo ne fu molto ripreso e dal papa e da’ suoi cardinali e da chiunque fu savio, perocchè gli avea preso Curradino e’ suoi per caso di battaglia e non per tradimento, e meglio era a tenerlo pregione che farlo morire. E chi disse che ‘l papa l’assentì; ma non ci diamo fede, perch’era tenuto santo uomo. E parve che la innocenza di Curradino, ch’era di così giovane etade a giudicarlo a morte, Iddio ne mostrasse miracolo contra lo re Carlo che non molti anni appresso Iddio gli mandò di grandi avversitadi […]».17

Così il brano del ms. L54:

15

Ranieri Sardo, Cronaca di Pisa, a cura di Ottavio Banti in Istituto Storico Italiano per il Medio Evo,

Fonti per la Storia d’Italia, Roma 1963.

16 Ib.

17 Giovanni Villani, Nuova Cronica, a cura di Giuseppe Porta, Fondazione Pietro Bembo/Guanda, Parma

(6)

6

«Lo re Carlo, poi ch’ebbe fatto morire lo re Curradino molto ne fu ripreso dal santo padre […]. E uno divoto e sancto romito disse che Dio li avea rivelato che llo Dio del cielo avea giudicato che allo re Carlo e a quello de’ Frangiapani non cogliesse mai bene. Et parve a tuti e’ savi e dotti valenti uomini che Churadino di sì giovane etade et sì innocente lo faciesse morire et che Iddio ne mostrò mirachulo però che non v’andò molto tempo che lli avvenne grandi aversità».18

Secondo Banti sarebbe qui evidente la derivazione del brano di L54 dalla cronaca di Villani ma a sua volta l’anonimo pisano avrebbe aggiunto la rivelazione di questo sancto romito, assente nella Nuova Cronica. E questa aggiunta la ritroviamo puntuale nella già citata cronaca di Ranieri Sardo:

«Et dappoi lo re Charlo […] della quale cosa uno sancto romito che Iddio avea giudichato in cielo che al re Charlo e a cquello de’ Frangipani di Roma no’ cogliessi mai bene […]».19

E ancora nel ms. L54:

«Nell’anno MCCLXXXXIIII li pisani feciono gennerale pace colli fiorentini, Luchesi, Senesi et tucta loro legha, con grande danno et manchamento de’ pisani; et tutto fenno per lo infermo stato della loro terra, che due cose n’erano a cagione […]».20

Così Ranieri Sardo:

«Et partitosi il detto conte Guido da Pisa negli anni Domini 1294 li pisani ebbon pacie generale chon tucta Toschana, e tutto fenno per lo infermo stato suo perché […]».21

Ci sono poi dei casi in cui i cronisti successivi all’anonimo pisano (dal quale attinsero notizie per poi integrare il testo con le loro personali aggiunte) compendiarono

18 Ottavio Banti op. cit. pag. 299. 19 Ib.

20 Ib. pag. 300. 21

(7)

7

malamente il ms. L54, fino al punto da deformarne il senso. Riporto due testi cronistici utilizzati dal Banti con l’intento di confrontarli e mostrarne il progressivo “deterioramento di significato”.

Il primo è dell’anonimo pisano:

«Questo Currado imperadore e llo re Ludovico di Francia, da Sancto Bernardo segnati della croce, con molti principi accompagnati e con grande moltitudine di pellegrini crociati di Lotteringia, di Fiandra e di Anglia, con bene CC navie e ghalee di Provenzali, Genovesi e Pisani e del reame di Puglia e Ciciglia passonno in Terrasanta. Churado imperadore, con inumerabile moltitudine di pellegrini, pervenne alla detta cità Jconia, in Grecia, e quine per dolo de’ Greci li quali fecio’ pane mescolato con calcina lo dienno loro a mangiare con grande detrimento, molti ne morirono. Pure in terra di promessione si condusseno e molte battaglie faccendo gloriosamente […]».22

E così compendia malamente Ranieri Sardo:

«[…] predichò quivi la crocie per sancto Bernardo e i’ nella Magnia, et fece crociato lo re Luizo di Francia e lo re Churrado di Roma; et predichò in molti luoghi. E lli Pisani e Gienovesi, per mare e per terra, pervennono in Grecia; alliquali i greci dectono pane chon chalcina viva onde molti ne morirono et altri furono presi da’ Turchi; et feciono nella terrasanta molte battaglie e pocho v’aquistorono».23

Si nota subito come il secondo cronista nel voler compendiare il testo ne stravolga il senso: se infatti l’anonimo pisano riporta che i Genovesi e i Pisani hanno fornito le navi per il passaggio in Terrasanta al re Corrado III di Germania e al re di Francia Luigi VII (la vicenda è la Seconda Crociata), Ranieri Sardo altera il testo facendo risultare i Genovesi e i Pisani come gli unici autori della crociata.

22 Ottavio Banti op. cit. 23

(8)

8

A questo punto mi propongo di mostrare le fasi che hanno portato alla formazione dei testi cronistici pisani del XIV secolo proprio a partire dal manoscritto L54 e che da tale manoscritto hanno tutti compendiato i fatti.24

Tutti i testi cronistici pisani del XIV secolo sono costituiti nella loro prima parte dai racconti sulle origini dell’umanità (creazione, distruzione di Troia, fondazione di Pisa ad opera di Pelope figlio di Tantalo, fondazione di Roma, nascita di Cristo) e nella seconda parte, con un progressivo avvicinamento temporale al periodo del cronista, dai fatti della storia pisana (e mondiale) riportati con sempre maggiori dettagli. Per quanto riguarda questa prima parte, alcuni manoscritti cronologicamente più vicini all’archetipo (cioè al ms. L54) riportano una frase nella quale un cronista anonimo, che Banti definisce anonimo X,25 indicò la data di inizio della sua opera. Riporto alcuni di questi brani dei molti esposti dal Banti:

Magliab. Stroz. XXV-488 (XVI secolo):

«[…] e così nelli anni Domini 1343 sono passati che Pisa fu facta anni 2836».

Laurenziano LXI-17 (anno 1551):

«[…] e così, nelli anni Domini 1343, sono passati che Pisa fu fatta anni 2836».

Magliab. XXV-492 (XVI secolo).

«[…] e così nelli anni Domini 1343, sono passati che Pisa fu facta anni 2836».

Marciano VI-48 (Biblioteca nazionale di Venezia, XVI secolo):

«[…] infino al tempo del nostro Signore 1343, sono passati che Pisa fu fatta anni 2836».

24 Per questa parte di testo e per le deduzioni che seguono sulla derivazione delle cronache pisane dal ms.

L54, faccio sempre riferimento al testo di Ottavio Banti, op. cit.

25

(9)

9

Marucell. A-235, 2° (XVII secolo):

«[…] e così nelli anni Domini 1343 sono passati che Pisa fu fatta anni 2836».

Da questi brani si deducono due aspetti fondamentali. Il primo ci indica nuovamente il termine ante quem della stesura del ms. L54. Infatti tutti questi brani che riportano la data di inizio di stesura dell’opera (1343 stile pisano) dell’anonimo X, non cominciano la loro narrazione da questa data ma, come detto sopra, dalla creazione del mondo e dai fatti più antichi dell’umanità. E poiché tutti questi fatti, visti gli esempi precedenti, sono attinti dall’archetipo L54 e che tale manoscritto probabilmente proseguiva fino al 1342 (come detto sopra), possiamo dedurre che questo anonimo X cominci a scrivere la sua cronaca proprio quando terminava quella dell’anonimo pisano del ms. L54, appunto nel 1343 dello stile pisano (con la parte degli anni 1311-1342 andata perduta).

Inoltre il 1342 è l’anno della conquista di Lucca: si può quindi dedurre che questo anonimo X abbia compendiato le vicende antiche di Pisa attingendole dal ms. L54, per poi integrarle con la sua cronaca che celebra la conquista pisana della sua rivale storica. L’anonimo X sarebbe quindi un testimone diretto di questa impresa. Oltretutto l’anonimo X non si contenta di compendiare il ms. L54, ma aggiunge anche delle notizie che nell’anonimo pisano mancano: alla rubrica dell’anno 1130, che si riferisce al re di Sicilia, egli integra la frase «re delli reami che ora tiene lo re Uberto [Roberto] e li nipoti». Ora, siccome Roberto d’Angiò morì il 26 gennaio 1343, possiamo dedurne un’ulteriore indicazione cronologica: l’aggiunta dell’anonimo X fu fatta tra il 1342 e il 25 gennaio 1343. Sempre dall’analisi del testo dell’anonimo X, Banti avanzò l’ipotesi che questo anonimo abbia proseguito la narrazione dei fatti fino alla Peste e alla presa del potere della fazione dei Bergolini con Andrea Gambacorta nel 1348. Questo perché prendendo come riferimento il codice Marucelliano A-235 (seconda cronaca), che Banti considera sicuramente derivato dalla cronaca dell’anonimo X, si nota che dopo un

(10)

10

dettagliato racconto dei fatti del 1348 si ha una breve notizia sulla durata del regime gambacortiano (caduto il 20 maggio 1355) e un brano sulle «misure del magnifico duomo». Questa aggiunta è probabilmente stata fatta quando, in un più antico manoscritto che terminava con il dettagliato resoconto dei fatti del 1348 dell’anonimo X, un amanuense per riempire le pagine lasciate in bianco aggiunse questo brano sulle misure del Duomo (oltre forse alla breve nota sul regime gambacortiano). Un altro «amanuense pedante»26 avrebbe poi ricopiato il tutto senza far caso alle differenze tra i due argomenti. Si può dedurre quindi che nel punto in cui si ha l’interruzione e l’aggiunta di questo brano di diversa natura, abbia termine anche il testo dell’anonimo X. In sostanza: l’anonimo X avrebbe compendiato il ms. L54 ed avrebbe poi aggiunto i fatti fino al 1348. La sua personale aggiunta corrisponde quindi agli anni 1343-1348. Può anche darsi che l’anonimo X abbia proseguito lui il racconto fino al 1355, ma quello che è certo è dopo questa data comincia «un brano cronistico di altro autore»,27 dato riscontrabile in tutti i codici.

Dei manoscritti che a loro volta prendono l’anonimo X come archetipo, alcuni ne fanno a loro volta un compendio per gli anni 1343-1354 (così come l’anonimo X aveva compendiato il ms. L54), altri lo trascrivono fedelmente. Ma dopo il 1354 il testo riprende ad essere uguale per tutti i manoscritti. In questi manoscritti derivanti dall’anonimo X si ha il computo degli anni a partire dalla creazione del mondo, dalla distruzione di Troia e dalla fondazione di Pisa ma viene eliminata la data del 1343 che segnava la data di inizio della cronaca dell’anonimo X (come il Ronc.-335, Maruc. A-235 I e il Magl. XXV-491). Queste cronache sostiene il Banti hanno una redazione tarda, forse proprio nel periodo dello Scisma d’Occidente degli anni 1378-1417, nei quali si ha il Concilio di Pisa del 1409. Sono anni indubbiamente duri per la città, che il

26 Ottavio Banti op. cit. 27

(11)

11

9 ottobre 1406 cade inesorabilmente sotto Firenze; forse questi manoscritti nascono anche con l’intento di contrapporre alla misera condizione in cui Pisa era caduta, quella Pisa un tempo forte e vittoriosa.

In definitiva, questo è lo sviluppo completo dei manoscritti cronistici pisani del XIV secolo:28 il manoscritto L54 è l’archetipo di tutte le cronache pisane successive ed è stato composto negli anni 1338-1342. L’anonimo X ha poi compendiato il testo L54 ed ha aggiunto i fatti degli anni 1343-1348 (o forse proprio lui l’ha portato fino al 1354). Dalla cronaca dell’anonimo X si sono poi sviluppate due tradizioni cronistiche: una è quella di un anonimo M che estende la cronaca fino al 1370 circa, l’altra è quella di Ranieri Sardo che riportò i fatti fino al 1399 (es. Magliab. XXV-491), anno della sua morte. Dalla cronaca dell’anonimo M si sono originati a loro volta due gruppi cronistici. Il primo, di un anonimo Mʹ, riporta gli avvenimenti dal 1370 al 1389 (es. Laur. LXI-17); il secondo, di un anonimo U, riporta i fatti degli anni 1373-1396 (es. Maruc. A-235, I). Un altro cronista, detto anonimo R, ha poi aggiunto ad Mʹ i fatti fino al 1406 (es. Roncioni 338). Infine un ultimo anonimo compilatore, verso la metà del XV secolo ha aggiunto ad Mʹ l’ultima parte della cronaca di Ranieri Sardo (anni 1392-1399) e i fatti degli anni 1405-1422 (es. ms. 6 ASP e Marc. VI-971).

28

(12)

12

Questo è lo schema delle filiazioni dei testi cronistici pisani del XIV secolo come ce lo presenta il Banti: L54 X + x ? Y + + + M S (1399) M + + U Mʹ (1389) + + + u (1396) s R (1406) + C (1421)

Con “Y” si intende l’ipotetico prosecutore della cronaca dell’anonimo X fino al 1354; con “x” il compendio del manoscritto dell’anonimo X; con “S” la cronaca di Ranieri Sardo e con “s” la sua ultima parte (anni 1392-1399) utilizzata da un anonimo, che poi ha proseguito fino al 1421 il resoconto dei fatti (allacciandosi alla cronaca di Mʹ). Con “C” si indica gli Annali di quei Da Campo. Con “U” si intende il brano inserito dopo il manoscritto di M presente nel codice Maruc. A-235, I e nel ms. 700 della Biblioteca dell’Università di Pisa e con “u” la sua continuazione.

(13)

13

Conclude il Banti sostenendo come l’uso di questi manoscritti sia rimasto circoscritto in ambiti privati e che lo stesso ms. L54 non conobbe grande fortuna, al quale gli venne preferito il manoscritto compendiato dell’anonimo X. Mancò quindi a Pisa «uno storico della tempra del Villani»29 capace di trasmettere ad un vasto pubblico cittadino la sua opera. È allora giunto il momento di occuparci del cronista fiorentino e della Nuova Cronica.

29

(14)

14

Capitolo secondo

Come avevo accennato in precedenza (pag. 3) il prologo della Nuova Cronica30 presenta delle interessanti analogie con il prologo della cronaca dell’anonimo pisano. Questo è il prologo del ms. L54:

«[…] chome per alcune antiche scritture si trova le quali con pocho ordine e male tenute, quale trattando d’una cosa e quale d’un'altra, che raccoltele insieme lo più che s’è potuto et ordinarle a’ tempi ch’elle seguitonno, cominciando dal suo primo origine, et chi la puose, et dove prima ebbe principio mi sento gentile opera fare […] [così se qualcuno vorrà] d’essa cità alchuna cosa sapere o ragionare, con qualche pocho d’ordine ne possa parlare. E se alchuno volesse dire: bene sono stati nigligenti li antichi passati, chè per loro non si trova alchuna scrittura di ciò ordinata! Questo saria falsa oppinione […] Ma crediamo che tutte le cose che antiche sono state con grande ordine fusseno scritte, perché alquante si trovano con bello ordine dicte, ma è stato cagione le grandi aversità che àe avute […] dalli anni .CCCC. fine a .DCCLXXV. che-lla magior parte delle cità d’Italia in quelli tenpi funo distrutte e disfacte, e così si perderono scripture […] nel .MVI. la cità di Pisa essendo li pisani iti con grande armata alla cità di Regio in Calavria, la quale si tenea per li Sarracini, dove stenno circha a uno ano, in quello tenpo lo Nugieto barbaro [Mujahid] fe’ grande armata et vene a Pisa, et trovandola sprovveduta d’omini, entrò in dicta cità et abrugiò la magior parte, et così si perderono scritture […] E queste sono le cagione che poche scritture o non niente si trovano antiche».31

Così il prologo della Nuova Cronica di Giovanni Villani:

«Conciò sia cosa che per gli nostri antichi Fiorentini poche e nonn-ordinate memorie si truovino di fatti passati della nostra città di Firenze, o per difetto della loro negligenzia, o per cagione che al tempo che Totile flagellum Dei la distrusse si perdessono scritture […] mi pare che si convegna di raccontare e fare memoria dell’origine e cominciamento di così famosa città […] per dare materia a’ nostri successori di nonn-essere negligenti di fare memorie […] acciò ch’eglino si esercitino adoperando le virtudi […] a ciò che li laici siccome gli aletterati ne possano ritrarre frutto e diletto […]».

30 Vedi nota 17 sull’edizione dell’opera e nota 1 dell’Introduzione. 31

(15)

15

Come sostiene Franca Ragone32 entrambi i cronisti imputano la scarsità di materiale o alla negligenza degli antichi o, soprattutto, ad un qualche incidente materiale. Infatti Giovanni Villani nel suo prologo imputa la scarsità di materiale alla furia distruttrice di Totila e l’anonimo pisano ad un incendio provocato dai saraceni di re Mugetto/Mujahid nel 1006. È indicativo il fatto che entrambi i cronisti non possano concepire una città senza memoria, cioè senza cronisti, anche per i tempi più remoti. I cronisti dovevano pur esserci e la mancanza di fonti è probabilmente dovuta ad azioni distruttive, quindi a cause potremo dire “accidentali”. I due prologhi costituiscono quindi un primo punto di contatto tra i due manoscritti, così come aveva anche sostenuto il Banti33 riguardo una possibile influenza esercitata dal cronista fiorentino sull’anonimo pisano (alle connessioni tra le due opere sarà dedicata tutta la seconda parte del presente lavoro, quando verranno analizzati nel dettaglio l’ultima parte del ms. L54 degli anni 1254-1310 e i corrispondenti capitoli della cronaca villaniana).

Dal 1991 grazie al lavoro di Giuseppe Porta, possediamo un’edizione critica della Nuova Cronica, dove tra l’altro le viene assegnato il titolo che le spetta perchè espressamente dichiarato dall’autore, ma che era sempre stato travisato. Lo dice Giovanni Villani stesso nella rubrica introduttiva: «questo libro si chiama la Nuova Cronica […]».34

Il Porta ripartisce il testo in tredici libri anziché dodici (come invece le precedenti edizioni avevano fatto) suddivisi in due volumi. Lo studioso nonostante l’enorme numero di varianti nei manoscritti, notò che «spiccano nondimeno in questa sconfinata varia lectio due famiglie di codici che possono essere considerate portatrici di due strati redazionali diversi per i primi dieci libri».35 I codici più rappresentativi di

32 Franca Ragone, Giovanni Villani e i suoi continuatori. La scrittura delle cronache a Firenze nel

Trecento, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1998.

33

Ottavio Banti op. cit. pag. 296.

34 Nuova Cronica, nota introduttiva.

35 Giuseppe Porta, I passi francesi della “Nuova Cronica” di Giovanni Villani (con altri saggi di varianti

redazionali), in Miscellanea di studi, I, quaderni dell’istituto di letteratura e filologia moderna, 2, Todi

(16)

16

queste due famiglie sono il Riccardiano 1533 e il Riccardiano 1532 (detto Testo Davanzati). Questo per quanto riguarda i primi dieci libri. I restanti due libri (la suddivisione in tredici libri avverrà solo successivamente, quando ci sarà una frattura al capitolo 38 del primo libro) sostiene il Porta36 furono composti in due tempi, con un’interruzione al capitolo 51 del libro undicesimo. Si ebbe quindi una prima versione arcaica “α” dei libri I-X; venne poi pubblicata la seconda parte “a” con il libro XI capp. 1-51. Poi seguì una revisione della prima parte (libri I-X) pubblicandone la nuova versione “β”; infine venne pubblicata la seconda parte “b” dei libri XI-XII, cioè i libri XI dal capitolo 52- libro XII. La versione definitiva ha quindi la formula “β + b”. Infine Villani decise di dividere in due il cap. 38 del libro I, in modo da originare un ulteriore tredicesimo libro. Perciò si avrà il seguente risultato: “β + b” = libri I-XIII.

Oltre al prologo iniziale dell’opera, Villani inserisce un secondo prologo all’altezza del cap. 36 del IX libro:

«[…] e trovandomi io in quello benedetto pellegrinaggio ne la santa città di Roma […] leggendo le storie e’ grandi fatti de’ Romani, scritti per Virgilio, e per Salustio, e Lucano, e Paulo Orosio, e Valerio, e Tito Livio […] presi lo stile e forma daˑlloro […] mi parve convenevole di recare in questo volume e nuova cronica tutti i fatti e cominciamenti della città di Firenze […] E così nelli anni MCCC tornato da Roma, cominciai a compilare questo libro a reverenza di Dio e del beato Giovanni, e commendazione della nostra città di Firenze».37

Il cronista fiorentino infatti cominciò a scrivere la sua cronaca proprio nel 1300,38 anno in cui partecipò al Giubileo. Quando poi con la narrazione dei fatti della storia universale, giunse a narrare i fatti di quell’anno, pensò di inserire un secondo prologo che rievocasse le circostanze del cominciamento della sua opera. Egli testimonia come

36 Sto seguendo il processo di stesura dell’opera così come la presenta Franca Ragone, op. cit. 37 Op. cit.

38 «Questo libro si chiama la Nuova Cronica […] cominciato a compilare nelli anni della Incarnazione di

(17)

17

abbia cominciato a scrivere la sua opera prendendo esempio dagli antichi scrittori romani.

In un numero ristretto di codici, giunto a narrare le vicende dell’alluvione del 1333 e le vicende del Duca d’Atene, Villani pensò di inserire un terzo piccolo prologo:

«[…] convenevole e più atto ne pare per acconcio del lettore e per meno vilume di scrittura questa ultima parte della presente nuova cronica di Giovanni Villani mettere in nuovo libro, non sanza cagione, considerato i nuovi accessi venuti alla nostra città di Firenze e sì per lo diluvio e per la nostra libertà occupata per la tirannesca signoria del duca d’Attena».39

L’importanza degli eventi, quali l’alluvione del 1333 e le vicende del duca d’Atene sono tali che il cronista ha ben pensato di cominciare un nuovo libro. Questo terzo piccolo prologo però come detto, è presente solo in un ristretto numero di codici, dei quali il Porta pubblicò un’edizione critica. Per avere un’idea generale della ripartizione dell’opera così come è edita dal Porta, prendo come riferimento il testo della Ragone.40

Libro I: distruzione della torre di Babele. Libro II: prima edificazione di Firenze.

Libro III: distruzione di Firenze per mano di Totile.

Libro IV: riedificazione di Firenze per mano di Carlo Magno. Libro V: incoronazione di Ottone I.

Libro VI: Federico I.

Libro VII: coronazione di Federico II nel 1220. Libro VIII: Carlo d’Angiò.

Libro IX: Giano della Bella e il Secondo popolo.

39 Giuseppe Porta, L’ultima parte della “Nuova Cronica” di Giovanni Villani, «Studi filol. Ital.», 41

1983, Franca Ragone, op. cit. pag. 144.

40

(18)

18

Libro X: Arrigo VII.

Libro XI: signoria del duca di Calabria. Libro XII alluvione del 1333.

Libro XIII: Duca d’Atene.

Considerando che il presente lavoro riguarda l’analisi degli eventi pisani degli anni 1254-1310 presenti nel ms. L54 e nella Nuova Cronica (che saranno esaminati nel dettaglio nella seconda parte), se ne deduce che la parte dell’opera di Villani presa in analisi dal sottoscritto concernerà i libri VII-VIII-IX-X.

Mi propongo ora di riportare le notizie biografiche di Giovanni Villani, anche perché molte di queste si possono leggere direttamente nei capitoli della sua opera. Per quanto riguarda la genealogia di Giovanni rimando qui in appendice ad una mia ricostruzione, dedotta da quella che ne fa Franca Ragone.

Giovanni Villani nasce intorno al 1276 da Villano di Stoldo e Fia di Ugolino da Coldaia. È il primo nato di sei fratelli. Gli altri sono il noto Matteo (continuatore della cronaca del fratello), Francesco, Filippo, Bartola e Lapa. Intorno al 1300 diviene socio della compagnia dei Peruzzi. Nel 1301 lo troviamo certamente a Firenze perché ce lo testimonia lui stesso in IX, 49:41

«[…] il dì d’Ognesanti MCCCI entrò il messer Carlo in Firenze […] E messer Carlo […] di sua bocca accettò e giurò, e come figliuolo di re promise di conservare la città in pacifico e buono stato; e io scrittore a queste cose fui presente […]».

Il cronista fiorentino è quindi presente nella sua città ed è testimone diretto di uno degli eventi più emblematici della storia di Firenze del periodo, cioè la venuta di Carlo

41 D’ora in poi per le indicazioni ai passi della Nuova Cronica utilizzerò la classica formula che indica

con il numero romano il libro e con il numero arabo il capitolo relativo (ovviamente considero l’edizione del Porta).

(19)

19

di Valois e la presa del potere dei guelfi di fazione nera capeggiati da Corso Donati, con la conseguente cacciata dei guelfi bianchi. È qui che comincia anche l’esilio di Dante. Negli anni 1302-1307 Villani intraprende dei viaggi in Fiandra per conto dei Peruzzi. Dal 1307 ritorna stabilmente a Firenze ed è in questo periodo che prende la prima moglie Bilia. Nei successivi anni 1308-1310 si consuma il divorzio con la compagnia dei Peruzzi. Nel 1316 diviene ufficiale della Moneta e priore per il periodo 15 dicembre 1316-15 febbraio 1317 e nuovamente per il periodo 15 dicembre 1321-15 febbraio 1322. È in questo periodo che entra a far parte della compagnia dei Buonaccorsi. Nel 1322 è tra gli otto cittadini incaricati di stabilire le sanzioni economiche contro Pisa e nel 1324 è sovrintendente alla costruzione della nuova cinta muraria cittadina:

«Nel detto anno MCCCXXIIII […] faremo menzione ordinatamente

dell’edificazione de le dette mura, e la misura come furono diligentemente misurate ad istanza di noi autore, essendo per lo Comune ufficiale sopra le mura […]». (X, 256).

È tra gli anni 1323-1327 che, già vedovo, sposa in seconde nozze Monna di Francesco dei Pazzi. Nel 1325-26 è tra i dodici eletti sull’ordinamento delle entrate durante la guerra con Castruccio, signore di Lucca. Nel 1327 fu membro della commissione che si occupava dell’estimo e incaricato per il calcolo delle spese per sovvenzionare Carlo di Calabria:

«[…] si trovarono spesi per lo Comune, in XVIIII mesi che il detto duca fu in Firenze, co la moneta ch’egli aveva de’ gaggi, più DCCCCm di fiorini d’oro; e io il posso testimoniare con verità, che per lo comune fui a farne ragione […]» (XI, 50).

Nel 1327-28 fu sovrintendente della moneta e nel 1328 fu di nuovo priore (periodo 15 agosto-15 ottobre).42 Nel 1329-30 fu tra i magistrati del comune che dovettero

42 «[…] E com’io ebbi questa lettera, la mostrai a’ miei compagni priori, ch’era allora di quello collegio

(20)

20

affrontare la carestia di grano;43 sempre nel 1329 divenne membro della commissione incaricata di trattare l’acquisto di Lucca.44

Nell’ottobre dello stesso anno fu ambasciatore a Bologna presso il legato Bertrando del Poggetto.45 Nell’aprile 1330 visitò le fortificazioni fiorentine a Montecatini46 e successivamente fu deputato nel trattare la resa di Lucca.47 Tra il 1330 e il 1331 venne incaricato dall’Arte della Lana di seguire i lavori di costruzione delle porte del Battistero.48 Comincia allora la parabola discendente della sua attività politica cittadina: nel 1331 infatti viene accusato di malversazione. Fu lui a proporre il nome di Firenzuola per la nuova rocca dei Fiorentini (1332)49 e a sostituire un ufficiale per trattare la pace tra Firenze e Genova nell’aprile del 1338.50 Ma soprattutto fu lui ad essere inviato come ostaggio a Mastino II della Scala a Ferrara nel 1341. Questo è un fatto sul quale mi devo soffermare perché i lunghi capitoli nei quali questa vicenda si inserisce ci svelano molto sull’”uomo” Villani e sul suo modo di concepire gli eventi.

La vicenda è la guerra per il possesso di Lucca tra il comune di Firenze e il comune di Pisa. Mastino II della Scala signore di Verona si era accordato con i Fiorentini di cedere a loro la città di Lucca per 250 mila fiorini d’oro. Il comune pisano, avverso a tale operazione, stringe alleanza con Luchino Visconti signore di Milano e, costituito un forte esercito, si pone all’assedio di Lucca:

43

«[…] E tutto ch’io scrittore non fossi degno di tanto ufficio, per lo nostro comune mi trovai ufficiale con altri questo amaro tempo […]» (XI, 119).

44 «[…] E di ciò potemo rendere piena fede noi autore, però che fummo di quegli […]» (XI, 141).

45 «[…] E di queste cose io posso rendere testimonio, ch’io era allora in Bologna per ambasciadore del

nostro comune al legato […]» (XI, 146).

46 «[…] Fu tenuta grande cosa e ricca impresa a chi la vide, che fummo noi di quegli […]» (XI, 152). 47 «[…] E io autore, con tutto non fossi degno di sì grandi cose menare, posso essere vero testimonio,

però che fui di quello numero con pochi diputato per lo nostro comune a menare il primo trattato […]» (XI, 170).

48 «[…] E noi autore, per l’arte de’ mercatanti di Calimala, guardiani dell’opera di Santo Giovanni, fui

uficiale a far fare il detto lavorio […]» (XI, 175).

49 Op. cit., XI, 200. 50

(21)

21

«[…] nonn-istettono i pisani oziosi, ma inanzi che’ fiorentini compiessono la folle compera di Lucca […] feciono lega e compagnia con meser Luchino Visconti signore di Milano […] e tali colle loro forze mossono guerra e ruppono le strade a’ Fiorentini […] con tutta la loro cavalleria e popolo per comune subitamente a dì ….. d’agosto del detto anno [1341] vennero alla città di Lucca. E puosonvi l’assedio […]» (XII, 131).

A questo punto il comune fiorentino reagisce all’offensiva pisano-viscontea e muove il proprio esercito verso Lucca contro le truppe assedianti. Ed è qui che Villani comincia con una lunga serie di interventi di carattere personale, criticando la politica fiorentina di essersi impelagata in questa sciagurata impresa (“i grandi falli” come lui dice):

«[…] Come i fiorentini ebbono raguanata loro gente e amistadi elessono per capitano di guerra messer Maffeo da Ponte Carradi di Brescia […]. E questo fu il secondo gran fallo de’ fiorentini appresso al primo della folle compera di Lucca, che con tutto che meser Maffeo fosse un valente e buono cavaliere, non era sofficiente duca a guidare sì grande esercito […]» (XII, 132).

Giovanni Villani denuncia quindi già due gravi “falli” del suo comune: l’aver voluto comprare Lucca da Mastino II e l’aver posto a capo del proprio esercito un uomo non adatto, Maffeo da Ponte Carradi.

Il terzo “gran fallo” denunciato dal cronista è di tipo tattico-logistico: i Fiorentini dopo aver devastato il contado di Pisa e preso il Ponte ad Era e il fosso Arnonico (questo fosso tornerà ad essere menzionato successivamente, nella seconda parte del presente lavoro) distrussero Cascina, villa di San Savino, San Casciano e il Borgo delle Campane (a due miglia da Pisa). A questo punto si rivolsero verso la Valdera e Ponte di Sacco (Ponsacco). Ma a seguito di una forte pioggia furono costretti a ripiegare a Fucecchio e nelle zone del Valdarno. Afferma allora Villani:

«[…] E nota che questo fu il terzo gran fallo della impresa di Lucca e mala capitaneria […] si disse inanzi per li savi e intendenti, ch’a volere levare l’assedio da Lucca e disertare i Pisani, l’oste di fiorentini si dovea porre al fosso Arnonico ch’era bene albergato, e quello aforzare verso Pisa di fossi e steccati e aforzare il Ponte ad era, e fare un piccolo battifolle a piè di Marti o in su Castello del Bosco, e in quelli lasciare

(22)

22

guardia e guernigione di gente d’arme per avere ispedito il cammino eˑlla vittuaglia. E poi al continovo fare grosse cavalcate in Valdera, e a Vada, e a Porto Pisano, e a Livorno, e infino alle porte di Pisa intorno intorno, faccendo ponte di legname sopra l’Arno; e potieno di continovo cavalcare iˑ loro Piemonte e’n Valdiserchio, e ‘mpedire la vettuaglia ch’andava da Pisa all’oste di Lucca; onde convenia per nicistà si levasse l’oste da Lucca […]» (XII, 132).

L’esercito fiorentino avrebbe dovuto secondo Villani restare nella zona intorno a Pisa e della Valdiserchio per impedire i rifornimenti di vettovaglie alle truppe pisane assedianti.

Ecco ora un elemento centrale per tutta la cronaca villaniana del quale discuterò tra poco, cioè il costante provvidenzialismo, lo spiegarsi della riuscita o meno delle imprese alla luce della condizione della città dinanzi a Dio, un costante rimando direi tra un aldilà e un aldiquà:

«[…] Ma il distino ordinato da Dio per punire le peccata non può preterire, ch’accieca l’animo de’ popoli e di loro duchi e rettori in non lasciare prendere il migliore partito. E così avvenne al nostro Comune». (XII, 132).

Prosegue allora il cronista indicando il “quarto grande fallo”:

«[…] si tennono in Firenze più consigli, e per li più savi si consigliava per lo migliore cheˑlla ‘mpresa si lasciasse, e guerreggiassesi sopra il contado di Pisa, e com’era gran follia a prendere la possessione di terra assediata […] Maˑll’ambizione dell’uficio de’ XX e de’ loro seguaci […] vinse contra il savio e buono consiglio, ma pur volerla, dicendo che lasciarla troppo era gran vergogna e abassamento del Comune di Firenze: questo fu il quarto gran fallo sopra fallo fatto per l’uficio di XX […]. (XII, 133)».

L’ufficio dei Venti sostiene Villani, per evitare la grande vergogna di ritirare il proprio esercito e rivolgerlo (come sarebbe stato giusto fare) contro il contado di Pisa, volle proseguire nella trattativa con Mastino II per prendere possesso di Lucca. Il

(23)

23

cronista ci dà allora una prima testimonianza diretta della vicenda, essendo lui tra gli ostaggi fiorentini a Ferrara sotto Mastino II. Egli dopo aver riportato la trattativa tra il suo comune e Mastino II sul prezzo per l’acquisto di Lucca (sceso da 250 mila a 180 mila fiorini d’oro) afferma:

«[…] e questo sapemmo di certo, però ch’eravamo presenti al trattato, del numero delli stadichi […]». (XII, 133).

Si giunse così alla battaglia tra l’esercito fiorentino e quello pisano:

«[…] si diliberaro cheˑlla detta nostra oste iscendesse al piano verso Lucca, e fossero alla battaglia co’ pisani […] E questo fu il quinto fallo, e sanza rimedio, che Lucca era fornita ancora per più di VIII mesi […]». (XII, 134).

Il 2 ottobre 1341 avvenne quindi il tanto temuto scontro tra i due eserciti e Villani dà un lungo e dettagliato resoconto delle fasi della battaglia. Alla fine l’esercito pisano sconfigge quello fiorentino «con nostro danno e vergogna e disinore».51

A questo punto il cronista apre una lunga digressione su questa rovinosa sconfitta dell’esercito del suo comune, nei confronti della quale esprime il suo rammarico e ne dà una spiegazione in linea con il suo forte provvidenzialismo:

«Quando fu la detta sconfitta, noi Giovanni Villani autore di questa opera eravamo in Ferrara stadico di messer Mastino per lo nostro Comune cogli altri insieme […] uno de’ nostri compagni cavaliere compiagnendosi quasi verso Iddio, mi fece quistione dicendo: «Tu hai fatto e fai memoria de’ nostri fatti passati e degli altri grandi avvenimenti del secolo, quale puote essere la cagione, perché Iddio abbia permesso questo arduo contro aˑnnoi, essendo i Pisani più peccatori di noi, sì da tradimenti sì d’essere sempre stati nimici e persecutori di santa Chiesa, eˑnnoi ubidienti e benefattori?» Noi rispondemmo alla quistione, […] che in noi regnava solo un peccato intra gli altri che più spiacea a Dio che quelli de’ Pisani; ciò era non avere in noi né fede né carità. Rispuose il gentiluomo quasi commosso, dicendo: «Come la carità, che più se ne fa in Firenze in

51

(24)

24

uno dì, che in Pisa in uno mese?» Dissi ch’era vero; ma […] della fe’ e carità verso il nostro Comune e republica è anche manifesto tutta esere fallita […]. Ove i Pisani sono il contrario, cioè che sono uniti traˑlloro, e fedeli eˑlleali al loro Comune, benché in altre cose sieno così, o maggiori peccatori di noi […]» (XII, 135).

A questo punto ritengo che ci siano tre elementi che si devono considerare visto quello che è emerso dai brani riportati. Il primo è il modo di Giovanni Villani di leggere e interpretare i fatti accaduti. È quello che oggi definiremo una “spiegazione a posteriori”, cioè il cercare di dare una spiegazione dei fatti passati a cominciare dalla situazione presente. È quanto possiamo dedurre quando leggiamo tutti quei “grandi falli” cioè grandi errori che secondo Villani il governo del Comune fiorentino ha commesso e che hanno portato alla tragica e miserabile sconfitta. Ecco che ad ogni critica dell’operato del Comune fiorentino si accompagna sempre quello che avrebbe dovuto fare. Il Comune non avrebbe dovuto acquistare Lucca, non avrebbe dovuto mettere a capo dell’esercito fiorentino Maffeo, non sarebbe dovuto andare contro l’esercito Pisano ecc… Ma questo solo perché Villani è ben consapevole di come poi si sono svolti i fatti. È il tipico ragionamento fatto “con il senno di poi”.

Tutto questo mi porta ad evidenziare il secondo punto degno di nota di cui ho già accennato: il forte provvidenzialismo di Giovanni Villani. Tutta la Nuova Cronica è permeata da questa tendenza di fondo: Dio interviene nella storia e punisce i peccati degli uomini (o al contrario favorisce i buoni e i giusti). Infatti per tutti (o quasi tutti) i casi nei quali si legge una qualche calamità per una città o per un personaggio questo è perché quella città o quel personaggio hanno commesso gravi peccati in precedenza. E non solo, ma Villani già in quei fatti precedenti dove si commette il grave peccato, preannuncia le sventure che seguiranno in futuro. Formule del tipo “e come piacque a Dio per i peccati commessi si ebbe questa sciagura” o “e per questi peccati commessi si avranno delle sciagure come vedremo innanzi” si ritrovano continuamente nella Nuova

(25)

25

Cronica. E dico questo anche perché, quando nella seconda parte di questo lavoro andrò ad analizzare gli eventi degli anni 1254-1310, queste “formule” saranno ben presenti in quegli eventi emblematici per la storia pisana, come la sconfitta della Meloria e la vicenda del conte Ugolino.

Il terzo punto da evidenziare è puramente biografico e si può ben dedurre dall’ultimo passo di brano riportato: un cavaliere, ostaggio con Villani a Ferrara (per conto del Comune di Firenze a garanzia degli accordi con Mastino II), si rivolge al cronista sapendo come lui faccia memoria dei fatti del passato. Questo sta ad indicare come Villani sia ben consapevole del suo ruolo di cronista cittadino, dove probabilmente i suoi scritti erano già cominciati a circolare negli ambienti fiorentini.

Inoltre nei capitoli successivi che continuano a narrare la vicenda dell’assedio e della conquista pisana di Lucca, Giovanni Villani ci dà un importante dato sulla sua personale vicenda come socio della compagnia dei Buonaccorsi. Infatti viste le difficoltà incontrate, il Comune di Firenze chiese aiuto a re Roberto di Napoli. Questi non apparve molto convinto di prestare soccorso alle truppe fiorentine, così i Fiorentini pensarono di rivolgersi all’imperatore Ludovico il Bavaro. Sebbene neanche dall’imperatore riceveranno nessun aiuto concreto, re Roberto «entrò in tanta gelosia»52 temendo che un intervento imperiale potesse comportare un rovesciamento politico a Firenze con la presa del potere dei ghibellini. Da ciò seguì che molti grandi mercanti del regno di Napoli «entrarono in sospetto»,53 cioè temerono che i loro investimenti venissero congelati, e cominciarono a ritirare i loro capitali che avevano investito nelle operazioni finanziarie e commerciali delle grandi banche e compagnie fiorentine. Questo effetto a catena provocò un’enorme crisi di liquidità di queste compagnie, che

52 Nuova Cronica XII, 138. 53

(26)

26

fallirono. Tra queste figura anche la compagnia dei Buonaccorsi, della quale appunto faceva parte come socio Giovanni Villani. Così riporta il cronista:

«[…] molte buone compagnie di Firenze falliro, le quali furono queste: quella de’ Peruzzi; gli Acciaiuoli, tutto non cessassono allora, per loro grande potenza in Comune, ma poco apresso; e’ Bardi ebbono gran crollo, e non pagavano a cui dovieno, e poi pur falliro; falliro i Buonaccorsi, i Cocchi, li Antellesi, quelli da Uzzano, i Corsini, e Castellani, e Perondoli […]. E nota che per li detti fallimenti delle compagnie mancarono i danari contanti in Firenze, ch’apena se ne trovavano […]» (XII, 138).

Insomma, la guerra contro Pisa per il possesso di Lucca costò molto cara a Firenze, davvero in tutti i sensi.54

54 Cfr. a proposito C.M. Cipolla in Il fiorino e il quattrino, ed. Il Mulino, Bologna 1982, pagg. 14-15:

«[…] gli strascichi della guerra combattuta da Firenze in Lombardia diedero esca ad un nuovo conflitto per il possesso di Lucca. Nel febbrile gioco diplomatico che accompagnò questa nuova guerra si profilò la possibilità che soprattutto a causa delle difficoltà finanziarie, Firenze passasse dalle sue tradizionali alleanze guelfe al campo ghibellino dell’imperatore Ludovico il Bavaro. Le manovre diplomatiche fiorentine misero in allarme re Roberto di Napoli, i suoi baroni e gli alti prelati del Regno che tenevano grossi capitali in deposito presso i banchieri fiorentini. Il timore che i loro fondi potessero venire congelati li spinse a una corsa al prelievo che mise in difficoltà le banche fiorentine […]. Il paradigma applicabile ai prelievi napoletani è analogo ma diverso [rispetto al caso inglese]. Le grosse banche del paese ad economia dominante (Firenze), una volta stabilitesi nel paese sottosviluppato (Regno di Napoli) esportatore di materie prime (grani, lana, cotone) stabiliscono contatti con le aristocrazie locali e raccolgono risparmio. Il surplus della bilancia commerciale del paese sottosviluppato viene riesportato come capitale finanziario e si cumula in forma di depositi presso le banche del paese ad economia dominante per essere riciclato dalle banche stesse. L’investimento a breve è però, per sua natura, volatile e qualsiasi avvisaglia di turbolenza politica può portare ad un immediato richiamo dei fondi e a una messa in crisi del sistema bancario del paese ad economia dominante».

(27)

27

PARTE SECONDA

Capitolo Primo

Questa seconda parte è dedicata all’analisi dell’ultima parte del manoscritto L54, che riguarda il periodo degli anni 1254-1310, e dei capitoli corrispondenti nella Nuova Cronica di Giovanni Villani. È perciò necessario fare una premessa sulla situazione del Comune di Pisa in questo periodo.

Negli anni successivi alla morte dell’imperatore Federico II (13 dicembre 1250), suo figlio Enzo re di Sardegna (già prigioniero dei bolognesi dal 1249) nominò il conte Ugolino della Gherardesca (della famiglia dei Donoratico) suo Vicario in Sardegna. In questi primi anni ’50 del XIII secolo Pisa, dopo il decennio Federiciano, si trovava in una situazione di estrema precarietà. Questa era dovuta a due motivi, uno interno l’altro esterno. Internamente Pisa stava attraversando una fase di lotte intestine tra i Della Gherardesca e i Visconti «et grande coda delli altri nobili di Pisa si tiravano dirieto».55 Per quanto riguarda la situazione esterna invece Pisa promosse un’alleanza antifiorentina56 con Pistoia e Siena (giugno 1251). Firenze a sua volta strinse un’alleanza con Lucca e Genova. Ma l’instabile situazione interna rese Pisa incapace di opporre un’efficace resistenza e fu alla fine costretta a firmare la resa con Firenze nel settembre del 1256. Già da due anni però, e proprio in conseguenza di queste lotte intestine, la città aveva adottato un nuovo ordinamento, il comune di Popolo, dove per la prima volta il 13 agosto del 1254 gli Anziani (vedi nota 93) parteciparono al Consiglio generale. All’inizio del 1256 il Comune di Pisa decise di intervenire contro Chianni marchese di Massa e Giudice di Cagliari. Così a luglio dell’anno seguente,

55 Lidia Orlandini, Cronaca Pisana di autore anonimo contenuta nel cod. 54 dell’Archivio di Stato di

Lucca, Pisa 1967, pag. 120.

56

(28)

28

venne organizzata da Pisa una spedizione contro la roccaforte di Santa Igia, un importante centro strategico del cagliaritano. Chianni venne sconfitto e il cagliaritano venne suddiviso in tre parti, assegnate alle tre famiglie nobiliari che parteciparono alle operazioni militari in supporto delle truppe del Comune di Pisa: un terzo venne assegnato al conte Guglielmo da Capraia (già Giudice d’Arborea), un terzo a Giovanni Visconti (già Giudice di Gallura) e a Ugolino e Gherardo di Donoratico il rimanente terzo (cioè un sesto ciascuno).

La Battaglia di Benevento (26 febbraio 1266) segnò una tappa decisiva per l’affermazione del potere angioino in Italia e acuì lo scontro tra coloro che appoggiavano Carlo d’Angiò e coloro che sostenevano gli svevi (Manfredi prima e Corradino poi). Il Comune di Pisa, schieratosi prima con Manfredi e poi con Corradino, assunse nei confronti di Carlo d’Angiò una politica inizialmente aggressiva, con atti di pirateria delle navi pisane contro i sudditi del Regno di Sicilia. Per questo motivo, già il 12 gennaio del 1267 re Carlo minacciava l’espulsione dal Regno di tutti i mercanti pisani e alla fine dell’anno una flotta angioina distruggeva le istallazioni di Porto Pisano. Il comune toscano sembrava allora condannato ad una resa con Carlo, ma la venuta in Italia di Corradino rianimò le speranze. Nel giugno 1268 infatti il giovanissimo re aiutava le truppe pisane nella conquista di Santa Maria del Giudice, Massa, Vorno e Pontetetto ai danni di Lucca.57 Per reazione papa Clemente IV privò Pisa della primazia arcivescovile sulla Sardegna. Con la battaglia di Tagliacozzo (23 agosto 1268) il giovane re uscì dallo scenario politico per poi venire giustiziato a Napoli per volere di Re Carlo, il 29 ottobre 1268.

Intanto le truppe della lega guelfa, insieme con le truppe angioine, sconfiggevano nel giugno del 1269 i ghibellini a Colle Val d’Elsa e in agosto Lucchesi e Fiorentini

57 Cfr. Emilio Cristiani Gli avvenimenti pisani del periodo ugoliniano in una cronaca inedita, ed. U.

(29)

29

penetravano nel contado pisano. Carlo d’Angiò allora sempre nell’estate di quell’anno, per contrastare Pisa anche sul mare, fece alleanza con i Genovesi con lo scopo di penetrare in Sardegna e contrastare direttamente i Pisani sull’isola. Filippo, figlio di Carlo, venne proclamato Re di Sardegna e i Genovesi cacciarono i mercanti pisani dalla loro città. Dopo una serie di ulteriori contrasti con Carlo (il quale revocò al comune pisano la giurisdizione sui possedimenti della famiglia nobiliare filoguelfa dei conti Da Biserno,58 famiglia che per la sua importanza per la politica pisana nell’entroterra toscano ritornerà presente anche nel ms. L54 con il conte Inghirame) si giunse alla pace il 18 aprile 1270.59

È in questo contesto che avvenne lo scontro tra il Giudice di Gallura Giovanni Visconti e il Podestà di Pisa, la sera del 1° maggio 1270.60 Accadde infatti che presso la Chiesa di San Filippo (zona di Borgo vicino al Ponte di Mezzo, allora Ponte Vecchio) due consorti di Giovanni Visconti insieme ad una quindicina di uomini (sempre al seguito del Giudice) uccisero alcuni berrovieri (guardie) del Podestà.61 A questo punto Simone Zaccio, Ildebrandino del Turco e Giovanni Gaddubbi andarono dal Giudice Giovanni incitandolo a scendere in piazza per prendere il potere in tutta la città. Ma per il momento il Giudice Giovanni affermò: «io voglio innanzi stare come io mi sono che mettere questa città a fuocho et a sangue».62 Gli esponenti della fazione avversa al Giudice andarono invece dagli Anziani per proporre una spedizione punitiva contro i responsabili dell’accaduto; altri ancora andarono dal Podestà (che era un membro della famiglia bolognese degli Andalò) chiedendo la decapitazione del Giudice Giovanni. Ma

58 Emilio Cristiani op. cit. pag. 25 nota 81. 59

Secondo un’altra cronaca, quella di Guido da Corvaia, il 2 maggio i pisani stipularono la pace anche con Pistoia, Prato, Volterra, Colle Val d’Elsa e San Gimignano. Il 5 maggio venne stipulato un trattato di pace con Firenze. Emilio Cristiani op . cit. pag. 28, nota 85.

60 Riporto questo fatto che non è presente nella Nuova Cronica né nel ms. L54, ma che è importante per

meglio identificare gli uomini e gli scontri che in questo periodo imperversavano nella città.

61 «La famiglia del judice di Galluri e Vesconti si levorno da mangiare e trasseno archanati et ferirno et

uciseno de berrovieri et riscossero Marcharello et Giusto Lotto», Cronaca Rocioniana 352, in Archivio Storico Pisano.

62

(30)

30

già qui il Podestà manifestò tutto il suo timore (e la sua debolezza) nei confronti del Visconti affermando: «io mi vo innanzi questo danno che io metta mano a iudici di Galluri che è el maggior che sia in Toschana a parte de fideli et di amici che io ci farei male andare a Bolognia, e fare si ch’io non ne voglio far niente».63

In sostanza ammise la sua riluttanza a prendere decisioni contro il Visconti per paura di una ritorsione di questi. Il mattino seguente il Podestà convocò il Giudice Giovanni ma questi rifiutò di andare al palazzo perché aveva saputo quello che gli sarebbe accaduto. Il Podestà assicurò allora che non gli sarebbe stato fatto alcun male e «che sicuramente venga innanzi. Sopra el capo mio lo fidate».64 Il Visconti a questo punto decise di recarsi al palazzo podestarile, ma con il seguito di un’imponente scorta armata. Giunto alla piazza dove risiedeva il palazzo del Podestà (Piazza S. Ambrogio), il Visconti e il suo seguito si trovarono dinanzi Michelazzo Gualandi con il suo seguito di consorti,65 con un atteggiamento ostile nei confronti del Giudice. Infatti la consorteria di Michelazzo temeva che un colpo di mano del Visconti avrebbe fatto cadere la città nelle sue mani ed era quindi pronta ad intervenire qualora il Giudice avesse mostrato un atteggiamento ostile nei confronti del Podestà. A questo punto, dopo un nuovo rifiuto del Visconti di salire nel palazzo del Podestà, scese in piazza uno dei giudici della Curia Maleficiorum. Il Giudice gli confessò allora i nomi di coloro che avevano ucciso i berrovieri. Venuto a sapere questo, essendo i colpevoli associati ai Visconti, il Podestà condannò al bando (a Vada) il Giudice Giovanni e la sua fazione. Fatto degno di nota però, il bando fu di appena quindici giorni! Trascorso questo breve periodo il Giudice rientrò a Pisa

63 Ib. 64 Ib. 65

I Gualandi furono una delle principali famiglie di rango nobiliare a partecipare alla vita politica pisana del periodo. Questa grande famiglia era distinta in vari rami: Gualandi Bocci, Gualandi Buglia, Gualandi Maccaione, Gualandi da Parrana, Gualandi Delle Bolle, Gualandi Cortevecchia. Fu Bacciameo Gualandi dei Cortevecchia uno dei capi dell’opposizione alla signoria di Ugolino nel 1288. La Torre della Fame (chiamata allora Torre della Muda perché utilizzata per la muta delle penne delle aquile) nella quale Ugolino e i suoi consorti trovarono la tragica fine, apparteneva proprio ai Gualandi. Andreazzo Gualandi, presente in questi scontri del 2 maggio 1270 è il principale oppositore del Giudice Giovanni. Queste informazioni le ho ricavate dal testo di Emilio Cristiani Nobiltà e popolo nel Comune di Pisa. Dalle

(31)

31

suscitando un certo malcontento dei Pisani nei confronti del Podestà. Quest’ultimo non poté fare altro che prendere la via della fuga: «certi Gualandi et altri gentili homini di Pisa furno molto dolorosi della tornata del Judice et lli pisani dettero cumiato al Podestà che si dovesse partire di Pisa perché non avea fatto quello che li fu detto per certi pisani».66 E fu proprio il Giudice Giovanni di Gallura a fornire la scorta al Podestà fino a San Miniato, dopo che lo stesso Podestà lo ebbe supplicato: «pregovi che voi mi faciate acompagniare fuori del distretto di Pisa».67 La cronaca Roncioniana 352 prosegue fino al 1296.

Ho riportato questo avvenimento dello scontro della sera del 1° maggio perché possiamo scorgevi quegli elementi fondamentali che ritroveremo anche negli eventi riportati dall’anonimo pisano. Per prima cosa risalta fortemente l’atteggiamento del Giudice Giovanni Visconti. Questi mostra costantemente la sua forza a spese del Podestà (e dei berrovieri) nonostante i suoi consorti si siano macchiati di omicidio e in più omicidio delle guardie del Podestà. Un delitto simile in altre circostanze, nelle quali le istituzioni di Popolo avrebbero potuto esercitare il loro potere, avrebbe comportato una pena ben più severa. Invece non solo il Visconti scende in piazza con il suo seguito armato, ma anche la pena nella quale incorre risulta irrisoria (quindici giorni di bando). Al suo ritorno in città, è proprio il Podestà che si “raccomanda” al Giudice chiedendogli protezione nella sua uscita da Pisa. È evidente come il Giudice in questo momento stesse esercitando un forte controllo su tutta la città, soprattutto nei confronti del Comune cittadino che non riesce a imporre i suoi statuti senza dover venire a patti con i “potenti”. Possiamo notare come queste consorterie nobiliari abbiano a Pisa, nel tardo XIII secolo, ampio spazio di manovra e come non tengano conto degli ordinamenti del

66

Emilio Cristiani Gli Avvenimenti ecc. op. cit.

67 Ib. Anche i Fragmenta col. 645 op. cit. (vedi nota 93) riportano la “fuga” del Podestà: «Messere

Andalò da Bolognia Podestà anno uno. MCCLXXI. [stile pisano] lo quale ci stecte pur mesi cinque, e andossi per paura di Judici di Gallura del vecchio, cioè di Judici Jovanni, e suoi seguaci; e poi lo Capitano del Populo fecie l’officio de la Podestaria e Capitanaria».

(32)

32

Comune cittadino ma seguano unicamente le loro particolari inclinazioni tipiche della nobiltà feudale atta «a rivendicare come propria esplicita prerogativa il diritto della giustizia privata, e avendo conservato per tradizione il diritto di esercitare da sé la propria giustizia, di compiere la vindicta o faida delle offese ricevute».68

Nel 1274 Giovanni Visconti viene cacciato da Pisa e si unisce alla Lega Guelfa di Toscana. L’anno successivo, il conte Ugolino della Gherardesca intraprende la medesima strada (mentre il Giudice Giovanni moriva nel castello di San Miniato). La causa della discordia fu il possesso dei domini sardi, che il Comune di Pisa revocava per sé andando contro gli interessi dei Conti e dei Visconti. Dopodiché il conte Ugolino, insieme alla lega guelfa, affrontò e sconfisse il Comune pisano nella battaglia del Fosso Rinonico e rientrò a Pisa nel 1276. All’indomani della sconfitta di Pisa alla Meloria il Conte, contro il volere del popolo e di «molte altre case di Gentili homini»,69 venne eletto Podestà (la prima volta il 18 ottobre 1284, la seconda nel febbraio 1285 con mandato di dieci anni. Vedi nota 119). Dopo il duumvirato di Ugolino e del nipote Nino Visconti (figlio del Giudice Giovanni) degli anni 1286-88, conclusosi con la ben nota e tragica vicenda della Torre della Fame (della quale vicenda, sia l’anonimo che Villani, ci danno un ampio resoconto), si giunse al governo del conte Guido da Montefeltro che riaccese le speranze di rivalsa del Comune pisano (anni 1289-1293), intervallato dal governo del cugino Galasso. Con il trattato d’Anagni (12 giugno 1295) Carlo II d’Angiò e Giacomo II d’Aragona, con la benedizione di Bonifacio VIII, fecero alleanza contro il fratello di Giacomo Federico III d’Aragona per riconquistare la Sicilia. In cambio Giacomo II ottenne da Bonifacio VIII il diritto di infeudare la Sardegna a spese di Pisa (1297). L’ultima parte del manoscritto si incentra sulle vicende di Enrico VII, dalla sua elezione ai suoi preparativi per la spedizione in Italia, dove Pisa riprese nuovamente

68 Emilio Cristiani Nobilità e popolo nel Comune di Pisa. Dalle origini del podestariato alla signoria dei

Donoratico, Napoli 1962, pag. 82.

69

(33)

33

vigore e appoggiò incondizionatamente l’imperatore. Ma a questo punto il manoscritto dell’anonimo si interrompe bruscamente all’anno 1310 (1311 stile pisano).

Queste sono le principali vicende del Comune di Pisa nel periodo suddetto.

È così giunto il momento di andare a vedere più da vicino il manoscritto dell’anonimo pisano e i capitoli corrispondenti nella Nuova Cronica di Giovanni Villani.

(34)

34

Capitolo secondo

Confronto I70

Il primo brano che riporto riguarda la pace che i Pisani furono costretti a fare con i Fiorentini, i quali avevano invaso il contado pisano.

Ms. L54 C. 61r col. B.71

«Nelli annj MXXLIIII [MCCLIIII] del mese di setenbre li fiorentinj e Luchesi et Volterranj e altri loro colleghatj con grande esercito venneno sul contado di Pisa in Valdera et, trovandosi in Pisa grande discordia tra llj nobilj di casa Vischonti elli nobilj conti da Doneraticho et grande coda dellj altri nobilj di Pisa si ritiravano dirieto, e per questa cagione non di provedea a mandare contra al sopra ditto essercito per dubio c’aveano li signorj ansianj del populo della signoria della terra, unde presono partito pigliare acordio collj Fiorentini et l’acordio fue che lli Fiorentini passono franchi delle ghabele in Pisa, di mettere per mare e per terra e poterle cavare e anco in Pisa vendere, ma ogni mercantia che in Pisa comprassero cavandola, fusseno dorigati a paghare la ghabella e pace fusse tra Pisanj e Fiorentini e loro colleghati e per sigurtà di ciò et de’ mercanti fiorentinj che venisseno e abitasseno in Pisa. Li Pisanj dienno in diposito a’ Fiorentini la roccha di Ripafracta e, fermati li capituli, l’esercito si partì di Valdera».

Nuova Cronica VII, 58.

«Come i Fiorentini andaro ad oste sopra Pisa, e’ Pisani feciono le loro comandamenta.

Come i fiorentini ebbono riformata la città di Volterra aˑlloro volontà, sanza tornare in Firenze, la loro bene avventurosa oste andarono sopra la città di Pisa. I Pisani avendo intese le vittorie de’ Fiorentini, e la presa della forte città di Volterra, sbigottiti molto, mandarono loro ambasciatori a l’oste de’ Fiorentini colle chiavi in mano in segno d’umiltà, per trattare di pace, e fare il piacere de’ Fiorentini; la qual pace fue accettata in questo modo: che’ Fiorentini a perpetuo fossono franchi in Pisa, sanza pagare niente di

70

Comincia qui la serie di confronti tra le due cronache; le parti di brano sottolineate sono quelle nelle quali è evidente un’analogia tra le due cronache. Riguardo il ms. L54, per i confronti I-V prendo come riferimento il testo di Lidia Orlandini (vedi nota seguente) e per i restanti confronti faccio riferimento all’ultima parte del manoscritto dell’anonimo edita da Pietro Silva, op. cit. (nota 2). Per la numerazione delle carte, di conseguenza, riporterò quella che ha utilizzato la Orlandini per i confronti I-V e, per i restanti confronti, quella che utilizzò Pietro Silva.

71 Numerazione di Lidia Orlandini, Cronaca Pisana di autore anonimo contenuta nel cod. 54

dell’Archivio di Stato di Lucca, Pisa 1967. Così la Orlandini a pag. IV, nota (I): «Tra parentesi è indicata

Riferimenti

Documenti correlati

Anche il sistema di finanziamento deve essere modificato per dipendere meno dalla pubblicità, come hanno scelto di fare alcune emittenti pubbliche europee, così da

Fissata la dimensione delle forze di lavoro e data una funzione di produzione, il tasso naturale di disoccupazione determina il livello naturale della produzione.. Nel breve

Secure and sustainable re-integration of the whole Donbas region requires that the international community unites in its efforts to facilitate dialogue with the Russian

This paper is, to my knowledge, the first study that documents the procyclicality of wage dispersion and develops a dynamic stochastic general equilibrium model of the labor market

In questo periodo i papi sono due: uno francese e uno romano, un papa e un antipapa, fino al 1377, anno in cui la sede papale torna a Roma.. Si assiste a lunghi periodi di carestia

Per verificare questa circostanza, si assume che lo scarto della quantità di cibo consumata dagli animali di questa popolazione sia ancora 0.6 kg, e si sottopone a

Tutti gli operai della Fiat Mirafiori che sono scesi in sciopero in questi giorni hanno chiesto: Aumenti salariali.. Anche le richieste di passaggi di categoria volevano dire:

La serie dal 2006 sarebbe più omogenea, ma i dati sono davvero pochi e forse c’è un calo che può far pensare ad un ritorno verso il 2005, quindi prendiamo la prima (tutto