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L'incastellamento della valle di Petra in Transgiordania e la frontiera crociato-musulmana come problema archeologico

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Academic year: 2021

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1.1. Cercherò, attraverso cenni sui risultati di

un progetto archeologico da tempo in atto,1 di muovere da un caso concreto, che dispone oramai di un’esperienza più che decennale2 di ricerca sul campo, per fare qualche osservazione su di un problema generale, che potrebbe essere così sinte-tizzato: ‘risorse per la ricerca e ricerca come risorsa’. In un momento in cui, a torto o a ragione – e a volte, sembra, con approssimazioni di sapore ideo-logizzante (ora è la volta delle ‘privatizzazioni’, come fino a qualche tempo fa lo era delle ‘nazionalizzazio-ni’, come immancabile e semplicistica soluzione di ogni problema), con tutti i rischi che, proprio sul piano dell’efficienza e di una reale economicità, ne conseguono – il rapporto con il mercato è recepito, forse invasivamente ma certo concretamente, da una molteplicità di soggetti e come clima generale, come centrale. Di più e con qualche evidente eccesso, come indicatore di efficienza di ogni attività, non solo in termini economici ma anche più in generale di uti-lità sociale; e questo, sempre più, anche nel settore della cultura scientifica e in quello dei Beni Culturali. Una dimensione che, quindi, investe a pieno titolo anche gli scenari che caratterizzano l’attività arche-ologica, si può affermare, comunque indirizzata.

In altri termini, una progettualità che, pur mantenendo il baricentro della propria attività sul versante scientifico, si ponga anche il problema del reperimento di risorse, proprio per migliorare la ‘produttività’ (chiamiamola pure così) della ricerca stessa, sta diventando, sempre più anche formal-mente,3 difficilmente eludibile, almeno se si tenta di agire a un certo livello di complessità e se ci si propone di operare in una dimensione che possa portare contributi alla conoscenza di fenomeni di respiro storico, oltre che offrire pur utili elementi documentari materiali circoscritti ai singoli episodi oggetto di indagine.

Sul versante archeologico una possibile via, accettabile credo, anche in considerazione del mantenimento, essenziale, delle priorità di ordine scientifico, può essere cercata in direzione della va-lutazione, anche in senso ‘mercantile’, di corrette ed efficienti modalità di inserimento degli ‘oggetti’ in-dagati nel proprio specifico contesto culturale, anche contemporaneo; un inserimento in senso materiale (intendendo con ciò categorie diverse, che possono andare da ambiti territoriali a complessi produttivi a serie di manufatti) e soprattutto a proposito degli stessi risultati conseguiti dal processo di conoscenze critiche prodotte da uno specifico programma di ricerca che su tale ‘oggetto’ si sia magari esercitato. Così, nel caso di indagini archeologiche, partico-larmente se di progetti operanti nell’ambito di ob-biettivi e metodiche propri dell’archeologia storica (per certi versi la più ‘difficile’, rispetto a quella monumentale o storico-artistica, sotto il profilo di una patente visibilità di prodotto finale, per così dire, confezionato), il documento materiale conclusivo frequentemente costituisce, nel contempo, una ‘pre-senza culturale’ parte di uno specifico territorio – del quale rappresenta una parte peculiare del suo stesso significato – e un elemento nuovo, spesso essenziale per la sua identità. Una sorta di ricontestualizzazione che, certamente partendo dalla costruzione di una fonte materiale interpretata prodotta appunto dalla ricerca archeologica, possa poi agire anche nella dimensione contemporanea – e appunto economica – del proprio ambiente culturale.

Insomma, un itinerario che fosse orientato a muoversi coerentemente, anche dal punto di vista della sua stessa progettualità scientifica e dalle con-nesse scelte procedurali: dalla ricerca, alla conserva-zione, fino alla valorizzazione di quanto ricostruito e compreso/interpretato; una valorizzazione che, quindi, non solo non comprometta ma, in un certo senso, vada oltre4 l’accezione semantica interna ad una ricerca scientifica, per approdare anche a un

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si-gnificato più esteso, in direzione di un utilizzo e uno sfruttamento di eventuali potenzialità economiche. Ma, come si accennava, anche un tracciato proget-tuale che sia programmato in premessa, aggiornato in itinere, confezionato (dimensionato o magari scar-tato) in sede conclusiva, sia scientifica che, appunto, di ‘comunicazione sociale’;5 un itinerario, quindi, volto a reperire risorse, finalizzate certo a costituire uno strumento, se mi si passa l’espressione, terri-torialmente ‘fertile’ su di un piano direttamente economico, ma anche a sostenere la ricerca stessa nell’ambito dei propri obbiettivi scientifici.

Si tratta di un itinerario percorribile, ma per il quale occorre attrezzarsi sia culturalmente che me-todologicamente; un atteggiamento che probabil-mente, almeno come tendenza, è ineludibile, ma che certo non tollera improvvisazioni. I rischi, infatti, restano notevoli, nel senso che, in difetto di un reale governo e di una vigile difesa della centralità scien-tifica dei progetti archeologici, i condizionamenti di un orientamento volto a ‘fare rendere’, magari sul versante di un utilizzo turistico, una ricerca, possono influire indebitamente non solo su proce-dure e scelte di percorso ma sulla selezione degli stessi obbiettivi di fondo di questa. Nella migliore delle ipotesi, un simile cedimento avrebbe come conseguenza la riduzione della ricerca stessa nei limiti di una ricerca applicata; ciò che in circostanze specifiche può anche giustificarsi (magari nel caso di ritrovamenti di emergenza o, meglio, nell’ambito di progetti condivisi con soggetti della società civile, purché rigorosamente basati su competenze e su prodotti di una ricerca programmata), ma certo, anche in archeologia, resta ben diversa non solo la produttività, ma lo stesso ruolo della ricerca pura. In definitiva, anche in campo archeologico, sì a flessibilità, in ordine alla scelta di reperire risorse, ma attenzione a non scendere a compromessi, su procedure come su contenuti della ricerca, che sarebbero perdenti, e irreversibilmente perdenti, trattandosi sempre di ricerca scientifica, appunto.

1.2. Quindi, in tale ottica ‘economica’, si può

bene prevedere la conservazione di quanto ‘pro-dotto’ dalla ricerca; questa magari dotata di ac-corgimenti che, sempre in corso d’opera, possano condurre ad allestimenti che pongano in primo piano l’esigenza di predisporre condizioni di co-municazione dei risultati della lettura scientifica

condotta e di conseguire comprensibilità verso una pluralità di soggetti (‘fruitori’, si ripete con un da tempo logoro neologismo gergale). E tutta-via, la cultura del restauro, nella tradizione italiana fortemente connotata in tutte le sue migliori com-ponenti da un’opzione peculiarmente ‘filologica’,6 mostra tutto il suo valore soprattutto quando può confrontarsi, si può dire, con la generalità delle soluzioni adottate all’estero, anche da parte delle più attrezzate scuole archeologiche occidentali.

Per limitarci al caso giordano – peraltro em-blematico per un verso (vista la qualità di recenti interventi restaurativi in aree archeologiche di rilievo assoluto) e rappresentativo, per un altro, di quanto sta accadendo più in generale, almeno nel vicino Oriente – circolano modelli dominanti di intervento in aree archeologico-monumentali, ora-mai non limitate al periodo classico come accadeva fino a qualche anno fa che, oltre una tradizione scenograficamente e su larga scala ‘ricostruttiva’,7 si configurano ora come tecnicamente (esiterei a dire ‘metodologicamente’) ‘presentabili’. Ricostruzioni monumentali e diffuse, con criteri di ‘riprodu-zione archeologica’ che tuttavia, nei casi appunto migliori, dispongono di seri percorsi di indagine archeologica rigorosamente condotti,8 quando non anche fondati su metodologie di lettura e di intervento sufficientemente aggiornati;9 una sorta di anastilosi ‘allargata’ o interpretata estensivamente che tuttavia si presenta come modello aggiornato e ben proponibile, in quanto attrezzato nelle sue premesse di ricerca e sostanzialmente inserito in una collaudata tradizione di ‘consumo’ turistico, da sempre negli obbiettivi politici immediati nella regione.10 Un modello quindi, tanto più pericoloso in quanto, sia pure su nuove basi, si conferma in sostanza una prassi distruttiva del testo archeolo-gico autenticamente inteso e fortemente soggetto a condizionamenti di varia natura (commerciale ma, in determinati contesti, anche politica, ad esempio), perfettamente in grado di influire sulle stesse scelte di fondo della ricerca, con evidenti esiti, almeno in potenza, scientificamente limitanti.

Opportunità, debitamente impostate, dunque esistono, sotto forma di valenze turistiche ma anche più ampiamente ‘d’immagine’, sia per una committenza interessata a valorizzare e, beninteso, a ‘spendere’ in diversa forma il risultato di indagini

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su aree caratterizzate da un interesse culturale reso rilevante appunto da ricerche avanzate, sia per pro-getti scientifici anche complessi o impegnativi. E la valenza di una scuola italiana che operi secondo le proprie scelte culturali maturate negli ultimi decenni di intenso dibattito – ‘rischiando’ quindi di non adattarsi a comportamenti e scelte certo al momento dominanti, almeno sulla scena (stavo per dire sul mercato) internazionale – potrebbe davvero proporsi come modello culturale almeno diverso, se non esplicitamente alternativo; si otterrebbe di aggiungere, diciamo così, un’opzione che credo abbia notevoli chances di proporsi con successo, anche per le caratteristiche di economicità insite in interventi condotti con intenti fondamentalmente basati sul binomio conservazione-manutenzione, più che sul restauro ricostruttivo.11

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2.1. Il progetto,12 in realtà, si propone di offrire un contributo peculiare alla conoscenza ed all’in-terpretazione della società feudale mediterranea nei suoi aspetti strutturali, a partire dalle modalità di insediamento sul territorio nelle sue varie forme. In sintesi, il metodo scelto passa attraverso l’analisi di alcune aree campione, di cui ricostruire connotati e caratteri del popolamento e delle interrelazioni con lo stesso ambiente fisico, che costituisce nel contempo lo scenario e la concreta realtà plasmata dalla società feudale, nel momento in cui questa è protagonista di un prolungato confronto con le nuove realtà politiche che – nell’Occidente europeo e, in forme certo assai diverse, nell’Oriente medi-terraneo islamico – si venivano affermando con crescente invadenza e, infine, pieno successo.13 Si tratta di documentare una vera e propria cultura, sotto il profilo del genere di vita, non meno che della definizione di un ambiente fisico – fra inca-stellamento e decainca-stellamento di un territorio – fino agli esiti bene incisivi sullo stesso paesaggio ‘natu-rale’. Letture archeologiche tese a rappresentare, nei suoi aspetti materiali, un fenomeno storico diffuso e caratteristico di una stagione culturale e di un passaggio di civiltà fondamentale nella costruzione di una identità europea e mediterranea medievale.

Attualmente il problema del restauro dei siti archeologici appare condizionato dalla dilagante

cultura dell’immagine che, sotto la spinta degli inte-ressi più diversi, trova fertile terreno proprio in quei paesi dove più debole è la tradizione restaurativa e dove più incalzante si fa la pressione turistica, con implicazioni ambientali, economiche e, in specie in aree extraeuropee, direttamente politiche. Ed è proprio a seguito di tali spinte che si assiste di fatto, anche ad opera delle più prestigiose (su altri piani…) missioni occidentali, a un netto divario scientifico fra il momento della ricerca (archeolo-gica) e quello della conservazione (architettonica e ambientale14). Una situazione che rimanda forse proprio all’assenza di un disegno preliminare, in-teso nell’accezione non solo restaurativa ma anche culturalmente propositiva del termine, a costituire il problema centrale; un disegno che, dalla ricerca, giunga al progetto di restauro, dall’analisi archeo-logica si estenda alla fabbrica e da questa al contesto territoriale, soprattutto in senso storicistico.

Il punto sta quindi proprio nel porsi prelimi-narmente o almeno in tempo utile il problema del rapporto fra la metodologia della ricerca e la scelta di specifici e compatibili indirizzi per conseguire la comunicazione/valorizzazione del prodotto finale realizzato dal programma scientifico. Nel nostro caso la soluzione adottata è ad esempio quella di predisporre una tale compatibilità tramite le pos-sibilità offerte dal previsto uso strategico dell’‘ar-cheologia leggera’, indirizzata alla ricostruzione di quadri/itinerari territoriali tematizzati secondo i risultati in progress della ricerca stessa. D’altra parte, corrispondentemente al respiro storico-territoriale della ricerca e dei suoi obbiettivi, la ricostruzione di contesti storico-archeologici territoriali è pro-posta, così come la sua fruizione anche turistica, per itinerari organizzati non come collegamenti fra ‘punti’ visibili (castelli, monumenti, siti, aree archeologiche, esposizioni o musei, etc.), ma en-tro una dimensione (‘la frontiera crociata’) resa comprensibile con chiavi di lettura fornite dalla ricerca stessa.15

E questo è tanto più valido nell’attuale fase della ricerca, che prevede un’estensione delle indagini verso insediamenti, territori e sistemi fortificati sui due versanti della frontiera crociato-musulmana, intesa come ‘osservatorio’ su rapporti, influenze, contrapposizioni delle due culture nella regione nel corso dei secc. XII-XIII, concettualmente estesa dal

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Golfo di Aqaba al porto di Antiochia, in particolare nei tratti giordano e siriano.16

2.2. È così che il progetto di conservazione e

valorizzazione del sistema incastellato crociato di Petra17 si basa sull’indagine archeologica in atto che, indagando i ‘caratteri originari’ dell’insediamento occidentale in Terrasanta e utilizzando come scena-rio la Transgiordania crociata e i siti abbandonati dopo la giornata di Hattin (1187), è basata su di un innovativo ruolo strategico affidato alle archeologie ‘leggere’ (un approccio integrato fra archeologia del paesaggio, degli elevati e ambientale) e al siste-ma di inforsiste-matizzazione dell’intera ricerca.

Il programma di interventi ha per oggetto il sistema di incastellamento petrano, baricentro inse-diativo di tutta la regione nel sec. XII, individuato e in corso di esplorazione tramite anche una serie di saggi condotti in particolare nei due siti chiave della valle (i castelli di Wu’ayra e al-Habis). Il criterio fondamentale di intervento è centrato sul restauro non ricostruttivo; le procedure muovono dalla tutela del ‘testo’ originario documentato archeo-logicamente sul terreno e dalla ‘comunicazione’, diffusa a più livelli: consolidamento di emergenze strutturali; integrazioni parziali documentate; ri-costruzioni, in base alle fonti materiali, affidate a un innovativo sistema ‘virtuale’; un apparato dida-scalico sui siti, ricollegato a una sezione specifica prevista in una sala del nuovo museo di Petra.

Il progetto prevede una ricostruzione compu-terizzata virtuale del sistema dei castelli crociati di Petra sulla base di un apparato documentario selettivamente criticato e organizzato secondo specifici codici di riferimento. Un approccio che, sperimentato oramai su di una casistica assai diffe-renziata in diversi progetti in corso da anni e ‘testa-to’ metodologicamente in varie sedi internazionali, comporta la ridefinizione di molte delle procedure e delle tecniche attualmente correnti.18

L’esito finale, disponendo di risorse adeguate – comunque largamente inferiori anche al più modesto degli interventi condotti con procedure tradizionali – consisterà nell’attrezzatura di un ‘fascio’ di percorsi tematici che consentano a un visitatore (a piedi, a cavallo) non solo di visitare aree archeologiche rese comprensibili, in partico-lare la facies ‘medievale’ dei castelli di Petra, ma di collocarli agevolmente nel tempo (in un rapporto

reso esplicito con le accertate preesistenze anche monumentali e con significative frequentazioni successive), nello spazio (ripercorrendo la logica territoriale che ha presieduto alla stessa disposi-zione degli insediamenti a sistema: Wu’ayra, al-Khubtah, Jabal Atuff, al-Habis) e nella dimensione subregionale dell’intera Signoria di Transgiorda-nia, lungo l’antica ‘Strada dei re’ (Kerak-Tafileh-Shawbak e il sistema centrale petrano-Ayla-Ile de Graye), fino al delinearsi di una nuova identità regionale, oltre la stessa stagione crociata.19

In conclusione, si vuole percorrere una solu-zione che punti a conseguire la ‘sostenibilità’ del sistema culturale da valorizzare, facendo leva sulla peculiarità dell’esperienza italiana e puntando su soluzioni anche informatizzate (fra l’altro di facile reperibilità, economicità e ovvia, assoluta reversibilità), diffusamente e crescentemente presenti – e non solo (direi anzi, non tanto) in ambiti specialistici20 – anche in regioni non altri-menti ‘alfabetizzate’ in modo adeguato in forme tradizionali. Una soluzione quindi che, oltre il caso specifico, possa proporsi come concreto contributo all’elaborazione di modelli avanzati per l’utilizzo sociale dei beni culturali anche in ambienti e so-cietà assai differenti per possibilità materiali e per disponibilità di competenze. Un sistema che si pone ‘aperto’ anche nel senso di costituire un punto di aggregazione e opportunità di formazione per interessi e specialisti non solo locali.21

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Aspetti e risultati del progetto (1999) I. La Transgiordania crociato-ayyubide e il ruolo di Petra

Individuazione del sistema incastellato di Pe-tra (Fig. 1) e del suo ruolo cenPe-trale nell’assetto territoriale della Transgiordania crociata sul Mar Rosso (Fig. 2). Un ruolo già proprio della capitale dei Nabatei e che, dopo il sec. XII, non perderà,22 nonostante la riunificazione fra i poli politici regionali – Siria ed Egitto – operata dal Saladino alla fine del secolo.

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II. L’incastellamento della valle di Petra

L’insediamento crociato a Petra è risultato appoggiarsi a un vero sistema fortificato per il controllo della valle sia tattico – con perno sulla fortezza di al-Habis (Figg. 3-5) – sia strategico con Wu’ayra (Fig. 6) e Shawbak (Fig. 7) cerniere, ri-spettivamente interna ed esterna, di tutto il sistema.

III. Archeologia medievale a Wu’ayra, la chiave di Petra Rinvenimento e ricostruzione del sistema inse-diativo (Fig. 8): aree residenziali, chiesa fortificata e area cimiteriale (Fig. 9), articolazione topografica interna, sistema di rifornimento idrico (Fig. 10), fino all’abbandono, a un breve riutilizzo con un laboratorio metallurgico ayyubide (Fig. 11) e alla sequenza dei crolli, colti in stratigrafia (Fig. 12).

La serrata stratigrafia di livelli di vita ben databili (Fig. 13) – almeno tre periodi di frequenze e nove fasi di vita, a partire dalla necropoli monumentale protostorica – è essenziale per la costruzione di cronotipologie di manufatti di grande precisione per il periodo medievale, per la prima volta nella regione almeno per il sec. XII23 (Fig. 14).

La costituzione di atlanti territoriali di tipo-logie murarie e di dati tecnologici basati su serie di analisi stratigrafiche murarie (Fig. 15), colte all’interno di precisi contesti archeologici, ha nelle

ultime campagne portato a identificare importanti preesistenze insediative e militari limitanee di età bizantina nei siti scelti poi dai crociati per il loro sistema insediativo24 (Fig. 16).

IV. Il programma di conservazione e valorizzazione: per non ripristinare

Un restauro a carattere conservativo su base filologica, fondato su di un criterio di ‘manuten-zione’, di microconsolidamenti e di valorizza-zione (anche con ausili multimediali), che eviti ricostruzioni monumentali e che proponga un modello d’intervento critico di marcata ‘scuola’ italiana, finora mai realmente sperimentato in aree archeologiche non solo medievali nel Vicino Oriente (Fig. 17). Un metodo che non rinuncia a recuperi funzionali, come nel caso della chiesa fortificata, utilizzabile come struttura museale o dell’attrezzatura di itinerari fra l’area degli alberghi di Wadi Musa e la valle.

Il progetto propone infatti l’allestimento, in forma leggera, di un percorso archeologico-monumentale (Fig. 18) – Wadi Musa-Wu’ayra-al Khubtah-Jabal Atuff-al Habis, da dove si apre la più suggestiva ed imponente vista sulla valle – che consenta di percepire modalità e cultura dell’in-sediamento europeo a Petra.25

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Fig. 2. Il castello ‘regio’ Shawbak (Crac de Montréal).

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Fig. 3. La valle di Petra dal castello di al-Habis.

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Fig. 6. Il castello Wu’ayra (Li Vaux Moises).

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Fig. 7. Shawbak: un’area archeologico-monumentale, un castello a controllo dei percorsi esterni a Petra.

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Fig. 10. Wu’ayra: topografia dell’area archeologica del castello.

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Fig. 11. La fine del castello; fossato del cassero: laboratorio metallurgico di periodo Ayyubide.

Fig. 12. Indagini nell’ala meridionale del cassero (saggio 3): stratigrafia muraria e dei livelli di abbandono.

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Fig. 14. Wadi Musa: sala ove sono esposti reperti e risultati della Missione. Fig. 13. Indagini nell’area della rampa d’accesso alla posterula e chiesa fortificata sul lato nord della cittadella.

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Fig. 15. W u’ ayr a, il c asser o: analisi s tr atigr afic a per un a tlan te delle mur atur e.

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Fig. 16. Schema aperto di analisi di strutture vettorializzate.

Fig. 17. Antiporta del sistema d’accesso al castello di Wu’ayra.

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Fig. 19. La base della Missione dell’Università di Firenze a Wadi Musa e Land Rover di dotazione.

Fig. 20. Il convegno di Firenze (Palazzo Vecchio-Palazzo Strozzi, 5-8 novembre 2008) La Transgiordania nei secoli XII-XIII e le frontiere del Mediterraneo medievale.

Fig. 21. La mostra ‘Da Petra a Shawbak’

(Da Petra a Shawbak. Archeologia di una frontiera, Mostra Internazionale, Firenze, Palazzo Pitti, 13 luglio-11 ottobre 2009).

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riservato, tuttavia, anche sorprese: G. Vannini, “Il ‘castello’ di Shawbak e la Transgiordania meridionale: una frontiera del Mediterraneo medievale”, in P. Peduto - A.M. Santoro [ed.], Archeologia dei castelli nell’Europa angioina [secoli XIII-XV].

Atti del Convegno internazionale di Salerno, 10-12 novembre 2008,

Firenze 2011, 145-157).

3. Siamo già da qualche anno, anche sul versante delle for-malizzazioni amministrative, in tempi di auto o “cofinan-ziamento”; si pensi solo agli stessi moduli informatici per le domande di finanziamento per i Progetti di interesse nazionale del MURST (ora MIUR). Un modello che, deri-vato dagli schemi burocratici (e sostanziali! Anche se con noti escamotages…) delle domande ‘europee’, si è oramai esteso quasi ad ogni settore della pubblica amministra-zione e non solo.

4. Parafrasando quanto già osservato (T. Mannoni, “Arche-ologia globale a Genova”, Restauro e città I/2 [1985] 46), esiste una conservazione della memoria ottenuta attraverso il prodotto di una ricerca archeologica, ma anche una memoria conservata, attraverso il mantenimento di un de-posito archeologico che, come sappiamo, esiste non solo in profondità (scavo) ma anche in verticale (costruito) e in orizzontale (paesaggio); cf. anche G. Vannini, “Arche-ologia storica: costruzione di un documento e restauro di una memoria. Appunti di lavoro”, in L. Marino (ed.),

Conservazione e manutenzione di manufatti edilizi ridotti allo stato di rudere. Report 1/1989, Firenze 1989, 6-8.

5. G. Vannini, “Luci e ombre sui secoli bui”, in Atti del 2°

Incontro nazionale di “Archeologia Viva”, Firenze, 14 marzo 1999,

Firenze 1999, 22-27.

6. Cf. D. Esposito, “Carte, raccomandazioni e circolari”, in G. Carbonara (ed.), Trattato di restauro architettonico, IV, Torino 1996, 409-452; B. Amendolea (ed.), I siti archeologici. Un

proble-ma di musealizzazione all’aperto. Secondo Seminario di Studi, Roproble-ma 1994,

Roma 1995; si veda anche G. Vannini, “Ricerca scientifica e comunicazione sociale in archeologia: un rapporto da definire”, in R. Ninci (ed.), La società fiorentina nel basso medioevo.

Per Elio Conti (Nuovi Studi Storici 29), Roma 1995, 255-282.

Si può ora almeno aggiungere, esemplificativamente P. Ruschi - E. Sodi, “Il progetto di restauro”, in G. Vannini - M. Nucciotti (ed.), Da Petra a Shawbak: archeologia di una frontiera. Catalogo della Mostra: Firenze, Palazzo Pitti, Limonaia di Boboli, 13 luglio-11 ottobre 2009, Firenze 2009, 178-183. 7. In Giordania si può citare l’area urbana archeologico-monumentale di Gerasa, ove in questo senso operano, con analogia di approccio restaurativo di fondo, varie missioni internazionali da anni in continuità, fra cui – per citare solo gli esempi migliori – francesi dell’I.F.A.P.O. e anche italiani dell’Università di Torino: Jerash; R. Parapetti, “Atti-vità di scavo e restauro a Jerash”, in B. Barich (ed.), Missioni

archeologiche italiane. La ricerca archeologica, antropologica, etnologica,

Roma 1997, 97-102; G. Gullini, “Town planning and ar-chitecture. The Sanctuary of Artemis in Jerash: restoration and evaluation programs”, in Culture in Sustainable Development:

An Italian Strategy. Research and Pilot Projects on Archaeology and Antropology, Roma 1999, 40-43.

8. A Petra si possono ricordare i recentissimi lavori di restauro degli edifici templari e monumentali di età ellenistico-romana da parte della missione della Brown University

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ote 1. L’intervento è centrato sui rapporti che possono/devono

intercorrere fra la ricerca sul campo (forme e risultati), i problemi della conservazione e la valorizzazione di quanto emerso, anche sotto il profilo economico; il caso presentato è quello della missione archeologica in Giordania dell’Uni-versità di Firenze e diretta dallo scrivente (incastellamento della valle di Petra; sistema insediativo nella Trangiordania meridionale crociata del sec. XII, come contesto di riferi-mento: dalla ricerca all’attrezzatura programmata di itinerari e ambienti). Le immagini si devono ad Archeologia Viva (n. 20: rielaborata), Stefano Bertocci (nn. 1, 9, 10: rielaborate), Anna Marx (nn. 2-5, 8, 11, 14, 17, 18), Michele Nucciotti (nn. 6, 16), Andrea Vanni Desideri (n. 15), Guido Vannini (nn. 7, 12), Tommaso Zoppi (n. 19).

2. Lo scritto – volutamente appena rielaborato da una co-municazione presentata alla Seconda Borsa mediterranea del Turismo Archeologico Luoghi, scenari, progetti per il turismo

sostenibile del terzo millennio ‘Alle origini del futuro’. Nuovi

itinerari per il turismo culturale mediterraneo. Sessione I

Castelli del periodo delle Crociate, organizzata dalla Provincia di

Salerno (4-7 Novembre 1999, Paestum) – è qui presen-tato, lasciando invariato l’impianto originario e con solo qualche contrappunto per lo più in nota, per due ragioni. La prima è che vi sono accennati temi e considerazioni, fra metodo e merito e fra ricerca e utilizzo dei suoi esiti, che proprio in quegli anni avevo avuto occasione di af-frontare in una serie di conversazioni con padre Michele e che quindi posso in qualche modo qui, affettuosamente, ‘restituirgli’; la seconda è che, viste in prospettiva, le li-nee di fondo della ricerca, alla luce dell’ultimo, seguente decennio di attività, hanno trovato sviluppo in direzioni e scelte che qui appaiono già in nuce (‘archeologia pubbli-ca’: C. Bonacchi, “Archeologia pubblica in Italia: origini e prospettive di un ‘nuovo’ settore disciplinare”, Ricerche

Storiche 39/2-3 [2009] 329-345) o che hanno trovato

notevoli conferme sia sul piano dei risultati (il sistema territoriale fra la Signoria crociata di Transgiordania e la fase ayyubide; il ruolo della valle di Petra in rapporto al suo incastellamento: un modello di interpretazione, come era quello allora proposto, poi straordinariamente confermato dai risultati di altre missioni: Università di Berlino, della Pennsylvania, di Münster, dell’ACOR), sia sul piano delle opzioni metodologiche (approccio territoriale: ‘da Petra a Shawbak’; impostazione tematica: ‘età crociato-ayyubide’; ripensamento dell’uso delle ‘nuove tecnologie’, in specie archeomatiche: cf. infra nota 18). Tutti temi oggetto di conversazioni, anche appassionate, con padre Michele, all’ombra del pergolato del Monte Nebo, nella seconda metà degli anni ’80 e che, dopo il momento fondamentale della stessa impostazione della tematica della Missione, costituirono un momento importante in una fase cruciale del programma, quando più decisamente ci proponevamo di ‘uscire’ da Petra, in un’‘ottica’ di lungo raggio, verso una contestualizzazione spaziotemporale della ‘frontiera’ che ci interessava studiare (cf. infra nota 16) e soprattutto con l’avvio di un’intensificazione della ricerca, prima ‘leggera’, quindi anche di scavo (dal 2002) nella regio-ne, a partire dall’‘osservatorio stratigrafico’ che avevamo scelto: il sito incastellato di Shawbak (e che ci avrebbe

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(M.S. Joukowsky [ed.], Petra Great Temple. I: Brown University

Excavations 1993-1997, Providence RI 1999), con tanto di

significativa bandiera al vento sull’opera ricostruita, o bizantina da parte dell’A.C.O.R.; cf. Z. Fiema, “Culture History of the Byzantine Ecclesiastical Complex at Petra”,

ACOR Newsletter n. 7/2 (1995) 1-3.

9. Esemplare può essere il caso dei restauri sistematici condotti dalla missione congiunta giordano-spagnola nella cittadella omayyade di Amman; alla situazione precedente tali interventi si riferisce C. Kanellopoulos,

The Great Temple of Amman: The Architecture (ACOR Occasional

Papers 2), Amman 1997.

10. Oramai un classico nella regione è il restauro – questo sì può ben definirsi ‘monumentale’ in una molteplicità di ac-cezioni (fra architettura, archeologia e ricostruzione) – del celebre Crac des Chevaliers in Siria, tuttora in corso in alcuni interventi marginali e condotto negli anni ’30 (come può constatarsi da una serie di date orgogliosamente inserite nelle murature dalla missione francese: P. Deschamps, Les

châteaux des croisés en Terre Sainte. I: Le Crac des Chevaliers [BAH

19], Paris 1934).

11. Forse (la prudenza è d’obbligo in un settore sempre più al centro di interessi crescenti anche come dimensione e non solo in senso strettamente economico) segni di un muta-mento di clima, per ora si direbbe ancora prevalentemente culturale più che operativo, sono rilevabili ad esempio nell’iniziativa presa in proposito e assai opportunamente dal nostro Ministero degli Affari Esteri a Firenze circa un anno fa nell’ambito del congresso ‘Finanziamenti, risorse ed economia della cultura per lo sviluppo sostenibile’. Conferenza Internazionale, Firenze (4-7 Ottobre 1999) promosso, oltre che dal MAE (D.G. Relazioni Culturali), dall’UNESCO e dalla Banca Mondiale (Culture in Sustainable

Development, Roma 1999).

12. Cf. G. Vannini - A. Vanni Desideri, “Archaeological Research on Medieval Petra: A Preliminary Report”, ADAJ 39 (1995) 509-540; G. Vannini - C. Tonghini, “Mediaeval Petra. The Stratigraphic Evidence from Recent Archaeological Exca-vations at al-Wu’ayra”, in SHAJ VI (1997): 371-384; G. Vannini, “Petra Medievale. Insediamenti di epoca crociata e ayyubide in Transgiordania”, in Barich (ed.), Missioni

archeologiche italiane, 103-106. Si veda anche il Web site:

www.unifi.it/project/petra/.

13. Una precisazione ‘curiosa’: il progetto in effetti, non concerne i crociati in quanto tali (un tema peraltro in-teressante, oltreché naturalmente altrettanto legittimo), ma un aspetto, appunto della società feudale in ambito mediterraneo analizzata, per quadri territoriali comparati, con gli strumenti dell’archeologia, in particolare colta nel momento del confronto e della sua crisi con i poteri cen-trali emergenti (le città mercantili in Italia, le monarchie nazionali in Europa, l’impero musulmano in Oriente). Analogamente, così come per la ‘strategia’ generale del progetto, anche sotto il profilo delle scelte ‘tattiche’ della ricerca, una delle principali indagini – l’area incastellata di al-Wua’yra, che domina gli accessi a Petra – si è appuntata sulla chiesa, ma solo in quanto punto nodale dell’assetto topografico (sistema dei collegamenti interni) e funzio-nale (difesa) dell’intero insediamento; così come i primi restauri hanno preso le mosse ancora dall’area della chiesa, ma proprio perché di qui si comprende meglio la logica urbanistica del castello nelle sue varie componenti.

14. Un quadro che naturalmente presenta situazioni più ar-ticolate e, in alcuni casi, anche con segni di evoluzione. Forse uno dei casi più interessanti è costituito dall’attività di Ignacio Arce, responsabile della missione archeologica spagnola in Giordania, che ha saputo – appunto partico-larmente nell’ultimo decennio (2010) – rifondare sulla base di un’archeologia che assume (e reinterpreta) uno dei settori innovativi propri di alcune scuole archeologiche medieviste italiane, l’‘archeologia dell’architettura’, gli stessi criteri di fondo del restauro monumentale arche-ologico: in sintesi, dall’esperienza del palazzo omayyade di Amman (A. Almagro - I. Arce, “The Umayyad Palace of Amman: Stratigraphy and Restoration”, in SHAJ VII [2001]: 667-672), a quella del castrum di Hallabat (I. Arce, “Coenobium, Palatium & Hira: The Ghassanid Complex at Hallabat”, in SHAJ X [2009]: 937-966).

15. Cf. infra nota 21.

16. Si veda quanto riferito nel contributo di C. Tonghini e G. Vannini in questo stesso incontro, ora edito: G. Vannini - C. Tonghini - E. Donato, “Siria Islamica e Oriente cro-ciato: una frontiera medievale”, Schola Salernitana - Annali 11 (2006) 184-224, in particolare nota 13.

17. Tale proposta di restauro conservativo (cf. P. Ruschi - G. Vannini, “The Fortified Crusader-Ayyubid Settlements in the Petra Valley: A Study for a Project of Restoration”, in

SHAJ VII [2001]: 695-705) è stato inserito fra i ‘Progetti

pilota’ del Ministero degli Esteri (G. Vannini, “‘Medieval’ Petra: a question of archaeological ‘visibility’. A project for the the preservation and exploitation of a historical site in Trans-Jordan”, in Culture in Sustainable Development, 53-57). 18. Ad esempio si veda M. Crescioli - F. Niccolucci, “PETRA

data: an integrated environment for archaeological data processing”, in New Techniques for old times. CAA international

Conference, Barcelona 1998 (BAR Int Ser 757), Oxford 1999,

133-137; M. Crescioli - F. Niccolucci - C. Tonghini - G. Vannini, “PETRA 2.0 - un sistema integrato per la gestione dei dati archeologici”, Archeologia e Calcolatori 11 (2000) 49-67. Un percorso che ha poi ricevuto nuovo impulso e specifici, innovativi indirizzi grazie all’apporto – alla missione e più in generale alle attività di archeologia ter-ritoriale condotte dalla Cattedra di Archeologia Medievale dell’Università di Firenze – da parte del gruppo di lavoro coordinato da Pierre Drap e dai Laboratori del CNRS di Marsiglia (ad es. P. Drap et alii, “A Merging Data Tool for Knowledge Based Photogrammetry: The Case Study of the Castle of Shawbak in Jordan”; “Full XML Documentation from Photogrammetric Survey to 3D Visualization. The Case Study of Shawbak Castle in Jordan”, in CIPA XXth

Internatio-nal Symposium ‘InternatioInternatio-nal Cooperation to Save the World’s Cultural Heritage (Torino - Italy, 26 september - 1 october, 2005)’ [The CIPA

International Archive for Documentation of Cultural He-ritage 20], Torino 2005, 538-544, 771-777; P. Drap et alii, “Towards a Photogrammetry and Virtual Reality Based He-ritage Information System: A Case Study of Shawbak Castle in Jordan”, in M. Ioannides et alii [ed.], The 7th International

Symposium on Virtual Reality, Archaeology and Cultural Heritage, Cipro

2006, 67-74; P. Drap et alii, “Going to Shawbak (Jordan) and getting the data back: toward a 3D GIS dedicated to medieval archaeology”, in F. Remondino - S. El-Hakim - L. Gonzo [ed.], Proceedings of the 3rd ISPRS International Workshop

3D-ARCH 2009 [ISPRS Commission V-WG4, International

(18)

Information Sciences, vol. XXXVIII-5/W1], Trento 2009, 320-328, online: http://www.isprs.org/proceedings/ XXXVIII/5-W1/pdf/drap_etal.pdf).

19. Una connotazione, quest’ultima, che ha trovato la più incisiva e sorprendente delle conferme con gli esiti negli ultimi anni (2006-2009) delle indagini condotte sul sito di Shawbak, in particolare per come è apparso avere rein-terpretato il proprio ruolo in rapporto alla risorta funzione di frontiera della regione meridionale della Transgiordania – fra Kerak e Aqaba, con Shawbak come baricentro ammi-nistrativo, politico economico e militare – come nuovo centro urbano, fondato nella regione dopo secoli, dalla dinastia ayyubide, subito dopo la presa (1189) seguita alla giornata di Hattin (cf. Vannini, “Il ‘castello’ di Shawbak” e

supra nota 2).

20. Si pensi che, attualmente (1999), nel villaggio di Wadi Musa, prospiciente la valle di Petra, sono presenti già tre ‘Internet café’, frequentati con assoluta prevalenza da giovani locali.

21. Un quadro che si è poi sviluppato (2006) in direzio-ne di un’Archeologia Pubblica che riprendesse alcudirezio-ne esperienze anglosassoni (in particolare condotte presso l’UCL) ma che nel contempo cercasse di reinterpretarle alla luce sia delle specificità della società civile italiana sia rifacendosi ad una tradizione ‘lunga’ di un’interpretazione della dimensione archeologica che è da sempre abituata a coniugare prassi della ricerca e risultati delle indagini con aspetti diversi della vita civile delle comunità coinvolte e in diverso modo interessate. Si è ad esempio iniziato a proporre un utilizzo di risultati selezionati della ricerca territoriale ricalibrati per rispondere ad esigenze di go-verno consapevole e aggiornato in termini strutturali con la ricerca stessa, come nel caso della redazione di Atlanti dell’edilizia medievale, come quello dedicato ai territori della contea aldobrandesca e realizzato rispondendo in ter-mini innovativamente propositivi a un programma euro-peo ‘Leader-Plus’ impostato congiuntamente alla Regione Toscana, Comunità Montana dell’Amiata (G. Vannini, “Il

progetto ‘Atlante dell’Edilizia Medievale’, metodi e obbiettivi di una ricerca ‘applicata’”, in M. Nucciotti [ed.], Atlante dell’Edilizia Medievale delle comunità montane dell’Amiata grossetano e delle Colline del Fiora,

S. Fiora 2010, 5-9); su di un altro piano si pone quindi la partecipazione, per il settore archeologico, alla reda-zione di un piano integrato con settori storico-artistici, geologici, botanici e zoologici per un governo da parte

di tutti gli enti locali interessati a disporre di conoscenze, scientificamente fondate, utilizzabili per una gestione del sistema dei beni culturali e del paesaggio – il Pratomegno valdarnese fra Firenze e Arezzo – utilizzabile come mo-dello anche per aree omogenee diverse dal campione qui considerato (G. Vannini - V. Cimarri, “Province di Firenze e Arezzo. Parco Culturale Pratomagno-Setteponti [2006-2007]”, Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della

Toscana [2/2006] 646-648); quindi la stessa realizzazione

della mostra appunto dedicata ai risultati di vent’anni di ricerche nella Transgiordania ‘medievale’, fra Mar Morto e Mar Rosso (cf. Vannini - Nucciotti [ed.], Da Petra a Shawbak:

archeologia di una frontiera), la prima realizzata in Italia secondo

i criteri della Public Archaeology. Di stretta attualità (2010) è infine il progetto proposto alla Regione per la costituzione di un polo interateneo toscano dedicato a coordinare e istituzionalizzare, per la prima volta in Italia, uno specifico settore di Archeologia Pubblica (PAPT, PAR-FAS 2010). 22. Cf. supra nota 19.

23. Una prospettiva che non solo si è realizzata ma, a partire dal 2005, ha costituito lo strumento in base al quale lo stesso modello di interpretazione della logica insediativa della valle incastellata dai crociati e, quindi, dell’intero assetto della Signoria di Transgiordania proposta (Vannini - Desideri, “Archaeological Research on Medieval Petra”) ha potuto ricevere le accennate controprove; cf., per tutte, S. Schmid, “The International Wadi-Farasa Project (IWFP) Preliminary Report on the 2004 Season”, ADAJ 49 (2005) 71-80 e supra nota 2.

24. Anche in questo caso si tratta di un percorso che si è produttivamente sviluppato (cf. G. Vannini [ed.],

Archeo-logia dell’insediamento crociato-ayyubide in Transgiordania. Il progetto Shawbak [Collana di Archeologia Medievale 21], Firenze

2007) e non solo in Oriente (Vannini, “Il progetto ‘Atlante

dell’Edilizia Medievale’” e supra nota 21).

25. Ruschi - Vannini, “The Fortified Crusader-Ayyubid Set-tlements in the Petra Valley”. Criteri e progettualità che sono poi stati alla base dell’accordo stilato nel 2006 fra il DoA e l’Università di Firenze su ricerca, restauro e valo-rizzazione del sito di Shawbak e che, comunicato anche con la mostra ‘Da Petra a Shawbak’ (cf. Vannini - Nucciotti [ed.], Da Petra a Shawbak: archeologia di una frontiera) organizzata dalla Missione in collaborazione con il DoA a Firenze nel 2009, ha trovato attuazione a partire dagli anni seguenti ed è tuttora in corso (cf. supra nota 21: Figg. 19-21).

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