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L'anima del soldato

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Academic year: 2021

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FRANCO CIARLANTINI

L’anima del soldato

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C-1'-T on D cfc'jQ M O

M IL A N O Fr a t e l l i T r e v e s, Ed i t o r i 1 9 1 7

SISTEMA BIBLIOTECARIO DI ATENEO SALERNO

00294271

di A te n e o

(6)

-P R O -P R I E T À L E T T E R A R I A .

I d i r i tt i d i ripro d u zio n e e d i tra d u zio n e sono riservati p e r tu tti i paesi, com presi la Svezia , la N orvegia e l Olanda.

Copyright by Fratelli Treves, 1917.

Milano, Tip. Treves.

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L’A N I M A D E L S O L D A T O

L a d i v i s a d e l s o l d a t o . L a divisa del sol dato a reso più cavalleresco il mio spirito. Mi sento pervaso da sensi di bontà. Non mi pare d’essere strum ento di m orte. Il fucile, la baio netta, i caricato ri non m i turbano affatto. Li ò con me e son tranquillo, come se portassi mazzi di verzu ra e fiori di cam po. Non ò nulla di g uerriero e pu re m i sento soldato di u n a nobile im presa. Alle volte mi vien voglia di uscire dai rang hi e di andare a sedere sul verde di un cam po p e r can ta re u na m elodia mai sentita, con parole m ai dette, il cuore ap erto al più vasto amore.

ClAKLANTlNI. 1

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L a v i a l u m i n o s a . ò tra sp o rta to lunghi tubi di ferro e casse pesanti, a spalla. Mi sono insudiciato di ruggine, m ani, faccia, abiti: lutto. Irriconoscibile. E pure, così, al giogo, u n cuore d’im p erato re mi diceva c h ’ero più libero assai di uno de’ tanti zerbinotti im balsam ati negli uf fici a em arginar p ratich e m ilitari!

U n operaio, sudicio, certo u n professionale

del m otore ghignava in vederm i piegato al

duro cim ento. Aveva intuito che io non ero della p a rtita . Amico mio, t’inganni! Sono ben saldo io, sono uomo da costa e da riviera, e ti voglio bene anche p e r questo piccolo lusso che ti p ren d i alle mie spalle.

Non godrai m ai abbastanza p er com pensarti della fatica che ài dovuto p atire negli anni della tua vita. P erchè il lavoro, p e r essere leg gero, dev’essere illum inato da un pensiero che trascen d a l’interesse, il pane, lo stesso miraggio del riposo. Io, m adido di sudore, sporco di ru g gine e di polvere, e con le m em b ra rotte, vo m or m orando u n a divina canzone del P etrarca, e lu> invece, bestemmi] e ti consoli con p arole sconce.

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C a n t i d i s o l d a t i . Nella m arcia chi canta è padrone della m èta. Chi inton a un coro è ge nerale. L a m assa segue. E si va avanti bene.

Quando cessano i cori classici i cori nostri

che àn sì dolce risonanza nell’anim a popo

lare dopo u na breve sosta, ecco che serpeggia

nelle file il canto delle cam pagne, lo stornello sbarazzino o appassionato, il coretto degli uo m ini del popolo, la nenia degli artigiani, la can zone sospirosa dei ricordi. Incerto, d a p p rim a,/ stonato, con dizioni diverse, con variazioni estem poranee, m an m ano il canto del popolo tra sc in a anche i più restii e.... A ddioì N in etta ,

addio, La violetta, la va la va, e altri motivi del

genere finiscono p er trionfare. Allora, a sentire tutti quegli uom ini cantare, così, con abbandono, li senti preso da commozione e can ti anche tu p e r non pen sare. Ognuno, forse, in quel mo mento, istintivam ente, c a n te rà p e r non pensare. Melanconie di giovinezza tu rb a ta d a m ute p a s sioni, nostalgia di donne am ate follemente, di fanciulle a p p en a adocchiate, di spose, che si struggono nell’attesa. Ma tutte sospirose o

vio-— ­ — ­ — ­ ­ ­ ­

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lente note d’am ore: amore, eterno poema del mondo.

T utto è p iù bello di lontano, lutto è più dol ce. Chi c a n ta Addio} mia bella, addio, anche a q u a r a n ta n n i sorride come a venti, e getta fiori e baci alla donna lontana, alla donna del suo cuore o alla donna del suo sogno.

*

C o n m e s t e s s o . Q uando sono afflitto sp iri tualm ente fo l’esam e di coscienza e sono tanto severo con me, come nessun altro giudice po trebbe essere. E p e r castigarm i irrid o con sar casm o ai miei sogni e m ’inibisco il conforto che viene aH’anim a inquieta dalla bontà delle p e r sone che amiamo.

A llor che l’am arezza mi è stillata nel cuore come goccia di veleno e in’à um iliato, a poco a poco torno a civettare con quell’altro io che mi assolve con leggerezza e m i suggerisce le vie piane. E sorrido, credendo ferm am ente alla im possibilità di rim an ere con me stesso senza aver spavento della vita. Questi pensieri mi vengono spesso alla m ente quando sono stanco e siedo sulla m ia pov era b ra n d a in caserm a....

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Me d i t a z i o n i. M i a n n o s c r i t t o e d e t t o e r i p e t u t o c h e , d o p o la g u e r r a , c i s a r à d a f a r e i c o n t i c o n t a n t a g e n t e : c o n i v i l i , g li s p e c u l a t o r i , i t r a d it o r i, g l im b o s c a t i .

Ah, no! Se ci son giustizie da com piere, le si com piano, m a oggi; se ci son e rro ri da r i p a ra re , li si rip a rin o , m a oggi; se ci son di fese da assum ere, le si assum ano, m a oggi.

Dopo la guerra, non si dovrà recrim in are. A m olti sem bra che oggi basti vincere la guerra, e che, oltre questa, non vi sia a ltra ne cessità. A me p a re , invece, che nessuna g u e rra sia più urgente da com battere di quella colidia na, che ognuno vorrebbe rim a n d are con la scusa della gu erra che prem e alle frontiere.

Ieri, quando m al districandom i dal dedalo delle mie m editazioni filosofiche pensavo alla g u erra come ad un incidente propizio cui affi dare a chius’occhi la soluzione del g ran p ro

blema, ero debole e vile.

Ora, p e r m ia fortuna, non ho a ltra c u ra che quella di rend erm i non indegno di vivere, se

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uscirò incolum e d alla m ischia. Con questa di visa io penso che la m orte p o trà sorprenderm i, non m ai um iliarm i o vincerm i.

L ’e rro re fondam entale di certi pacifisti di m ia conoscenza è tutto nel non s a p e r valutare i fatti della g u e rra a p rescin d ere dalla realtà non voluta, nel non sa p e r quindi p en sare come sia utile cred ere di p o ter forzare il m ale che trae seco inevitabilm ente la g u e rra fino a tra r ne utile certo.

Altro erro re di tanti specie soldati

è quello di giudicare la g u e rra e la pace dal l’esclusivo punto di vista dell’interesse perso nale. Ai soldati dico: su p erato l’egoismo che intossica il retto pen sare, vi sentirete più grandi col vostro sacrifizio e m eno um iliati.

U n a notte riposavo in un fienile di Schio, m en tre di fuori diluviava, e il cannone ruggiva ogni tanto sul lim itare dei Sette Comuni pensavo che tutti dovessero an d are alla guer r a così come se il cim ento im m inente fosse u n a piccola cosa rispetto a qiielli che si do v ran n o su p e ra re dopo il tragico conflitto.

Bisogna sentirsi soldati p ro n ti a u n a più lun ­ ­ — — ­ ­ — — ­ ­ ­

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ga guerra, dopo quella delle arm i, soldati col cuore infiam m ato dalla fede im m ortale.

P e r molti di noi la vera lotta incom incerà ad d irittu ra dom ani, dopo che la g u erra ci avrà illum inato della sua trem enda luce e costretto a battere le a sp re vie segnale dalla dinam ite.

Le ore più tristi in cui mi p a r vano ogni

mio sforzo sono quelle in cui cerco d’in d a

gare il m istero della esistenza, di pen sarm i come assente nel tempo e nella m em oria degli uom ini, di m isu rare la m icroscopica o p era m ia neH’etern ità della vita. Pure, se libero u n a ra m a o intreccio fili d’erba, se carezzo u n a gem m a o raccolgo delle pietruzze, se seguo il tenue corso di un rigagnolo o il volo di u n uccello, m ’acqueto. E il m istero della vita m ’a p p a re soltanto come un rim pianto sopito dal tempo, e il pensiero della m ia pochezza u n soffio di m elanconia, p e r cui è lecito sorridere.

*

C a n t o d i r e c l u t e . Sono ancora p er l’aria i canti delle nuove reclute. O ndate di vita nelle cam pagne, p e’ borghi, nelle città. O ndate di

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spensieratezza. L a no stra gioventù, sempre p ro n ta a donar la vita come un fiore, pare quest’anno più balda del solito. Più balda e più im m em ore del suo im m inente destino. Vien fatto di p en sare: questi giovani vogliono sto rd irsi p e r non p en sare a ciò che li attende, alla caserm a, alle m arce, alle fatiche del cam po, alla trincea, agli assalti, alle lunghe atte se nei rip a ri sotterranei.

P e r qualcuno, certo, il canto serv irà a repri m ere un singhiozzo, a o bliare l’am arezza di un addio, l’eco delle ultim e p aro le m aterne, la carezza di un saluto m orm orato da u n a fan ciulla, in fretta, allo svolto d’u n a via o da un balcone fiorito....

P e r i più, però, è confuso rigoglio di speran ze, ard ore di m ovim ento, orgoglio di forza che non esita, che non trem a.

Mai come ora nel cim ento più duro che

conti la storia dei popoli a p p arv e luminoso come la m orte sia una p a rte della vita, e ciascu no senta di tendere a ll’infinito nell’atto stesso di p o rre in gioco la sua esistenza. L ’istinto della vita è di co n tin u are: l’uomo nuovo ride, dan za, canta, ama, sogna, sp e ra su ll’orlo degli abis si, al cospetto della m orte im placabile,

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L a p rim a v era di n o stra gente c a n ta nell’ad dio: non la compiangete. Anche chi vuole igno ra re la guerra, anche chi la m aledice, sorrida. P e r tutte le lotte di oggi e di dom ani il canto della gioventù s a rà sem pre il prim o sorriso della vittoria. E il più g ran conforto alle retro guardie.

Si fan deserte le case, ina la eco delle voci m aschie i noti rito rn elli d ’am ore, rip e tu ti al vento le rian im a, e i vecchi, le donne e i fan ciulli si riconfortano, e sui volti am m estiti r ia p p are la benedizione del sorriso.

L a m o n a c h in a d i V ia O r m e a . E n tra i nel piccolo convento di Via O rm ea p e r u n a visita, p rim a di p a rtire p e r la fronte.

U na saletta buia, una m onachina tutta di nero, seduta davanti a un piano, il pallido viso illum inato da u n lume fioco: il lum e com pagno dei vegliardi, dei m alati e dei reclusi.

Il mio passo deciso scosse i mobili, i vetri. La m onachina non si mosse. Non c’ero p e r lei. P e r lei non c’e ra la g u e rra ; non c ’era l’odio degli uomini, il cordoglio deH’iunanità.

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La m onachina, in falsetto, con gesto lento, freddo, si accom pagnava al piano u na nenia senz’anim a. O ra il mio occhio adattatosi al buio vedeva in fondo alla saletta un crocefisso stra ziato dal p iù cupo dolore, grondante lacrim e e sangue.

*

M e n t r e s i p a r l a d i p a c e . L a sc ia r dire

e dire con nobiltà di fini quello che ieri

in fatto di ideali di affratellam ento e di pace era p atrim onio m orale acquisito alla genera lità dei cittadini, non è p e r nulla pericoloso.

Che in alto al di so p ra delle opposte trin

cee sp len d a u n a face anim atrice di sogni

im m ortali è necessario.

Ci sono tanti soldati che com battono unica m ente p e r quei sogni, e solo p er quelli sentono tu tta la bellezza del m artirio.

O r e m o r t e . Seduto so p ra casse di esplo sivi, in un treno m erci. Senso della vanità del tutto u ltra leopardiano. Languore delle ore mor

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-le, languore sconsolalo, languore d ’agonia. U na voce grida da un mondo lontano nell’anim a m ia: Im p a ra a m orire in festa, im p a ra ad esaltare la tua m orte! Anche se qualcuno

dintorno piangerà.

*

A l l o s c a l o m e r c i d i V i c e n z a . Pioggerella uguale, p e n e tran te ; cielo uguale, crucciato; rit

mo che sem bra u n castigo co n danna di un

Dio im perscrutab ile e nemico , ritm o di tre

ni, di cavalli, di soldati. L a F a talità im pera assoluta sul mondo. Bisogna piegarsi. A lterna vicenda di bene e di m ale, di letizia e di do lore, la vita: verità eterna.

Ma forse è meglio p en sare che bene e male, letizia e dolore siano u n unico aspetto della vita, percepito diversam ente dagli uom ini nei vari m om enti della loro esistenza.

Z o n a d ’o p e r a z i o n i . L a p rim a volta, solo, senza pensiero di alcun pericolo: un profondo senso di disagio, profondo e inesplicabile. Nè

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tristezza, nè sgomento. L ’anim a m ia mi p a rv e sospesa negli abissi. E ro vicino alla g u e rra con la m ia v era anim a.

*

R e t r o v i e . Via vai di grossi cam ions, di c a rri, di automobili,, di m otociclette; soldati d’ogni arm a, carab in ieri in grigio verde, te r rito riali di guard ia con la baionetta in can na. S tra d a di m ontagna orribilm ente fangosa. Cielo grigio, crepuscolare, pioggerella lenta, insidiosa. Tutto si muove qui in silenzio e con ritm o, un ritm o che p a r il resp iro stesso della dea F a talità. Sento che debbo piegarm i, docile, muto. L a ribellione è m o rta il dì in cui gli uom i ni, dopo u n brivido di m orte, im bracciarono u n ’a n n a .

*

I s e m p l i c i . U n agricoltore del Polesine, nella cantina di Calalzo, mi esternò l’unica sua voglia nella vita del soldato: L ’u ltim a volta che to rn ai a casa, p rim a di tutto, andai nella

stalla delle m anze ed esclam ai: Poverete!

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E tutte si levarono a sentir la m ia voce. Ora, dimmi, come si può vivere in pace lontano da quelle care b e stie ?...

Ò viaggiato con u n singoiar tipo di fantac cino del Padovano che si recava alla fronte. E ra stato dichiarato inabile alle fatiche di guer ra. U n giorno, andò di scorta a un c a rro di m unizioni e, quando giunse alla stazione più vicina al suo paese, tagliò la corda lasciando di guardia al carro un suo com pagno. Fu visto e inseguito dai carabinieri. Ma lui se la diede a gambe e, p e r p a u ra d’esser preso, corse, corse, corse sem pre p e r ben 15 chilo m etri....

Identificato e deferito all’au torità m ilitare, si difese dicendo soltanto che aveva sentilo il bi sogno p repotente di andare a rivedere la sua com pagna e i suoi sette figlioli.

E come te la sei cavata? gli ò chiesto. Bene; il capitano, c h ’è tanto buono, mi disse che, se ero capace di co rrere p e r tanti chilom etri, dovevo essere anche abile alle fa tiche di guerra. E adesso mi m and a in trin cea. Sicuro, avevo dei mali, m a adesso mi p a r d’essere guarito e p arlo soddisfatto.

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Si p a rla v a d’im boscati, un giorno, seduti d a vanti ad una cann o n iera della 43.a someggiata. U n giovane asp ira n te esprim eva il dubbio che i provvedim enti escogitati dal M inistro della G uerra potessero realm en te sn id are dagli uf fici i pusillanim i che si sottraggono dal cim ento con ogni mezzo.

U n artigliere toscano contadino in quel

di Bolgheri tagliò corto p e r conto suo alla

discussione, c o s ì: O li lascino un po’ in dove sono. Quassù m eno siam o e meglio è. Poi, volete che ve la dica? la gente che à p a u ra è meglio p e rd e rla che g uad ag n arla....

*

L u c e l o n t a n a . Verso F eltre. Neve. N eb bie vaganti sull’alba. Freddo. A p en sarci mi sento percorso da brividi. Si gelava in quella carrozza di terza! Uno solo e ra al finestrino: u n artigliere. E batteva i denti da p iù di m ez z’ora. G uardava u n a luce lo n tan a: la luce della su a casetta. ­ ­ — — — — — ­ ­

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D o l c e e c o l o n t a n a . Scendevo dall’alto Ca dore, di buon m attino, steso in un cam ion, sopra larghe tavole di abete ancor tutte fra gran ti di resina. Avrei dovuto dorm ire, ma il continuo sobbalzo della v e ttu ra mi teneva in uno stran o dormiveglia. Verso Rozzo sento il suono di una cam pana. Oh, no, non sono più soldato! Questa è la cam pana della Madon netta, e la m am m a mi sveglia perchè vada alla

novena di N atale. M amm a mia, non sono più

fanciullo e non ò p iù p a u ra dell’in fe rn o .... Pure, come verrei volentieri con te alla novena di N atale!

*

Il b e r s a g l i e r e i n n a m o r a t o . In u n a bet tola fum osa di Vallesella trovai, sul declinare dell’autunno dell’anno scorso, un bersagliere si ciliano, sceso allora allora dalla trincea. Vo­ levo indurlo a p a rla re della sua vita, delle sof ferenze patite, de’ lunghi m esi trascorsi in p ri m a linea. — ­ ­ -— — — ­ ­ ­ ­

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Disse poche parole. Mi p arlò invece a lungo di M ariannina. M ariannin a è u n a cuginetta molto buona. Lui, quando era al paese, le fece un telaio da ricam o. Il babbo gli offerse q u in dici lire in com penso. L a m am m a gliene offer se venti. M ariannina, p e r ultim o, gliene offerse venticinque.

Alla fine, il bersagliere confessò che il telaio

era un regalo. U n regalo p e r M ariannina.

E da allo ra ci siam o scritto tutti i giorni e ci. vogliamo u n bene....

L a trin cea e ra u n ’inezia. Invece l’am ore p e r M arian nin a era grande.

*

L ’e t e r n i t à d e l l a v i t a . Al cospetto delle

Alpi cadorine dove p u r mi additavano trin

ceram enti, forti, concentram enti di m unizioni,

d’arm i e d ’arm ati ò notato con anim a gioio

sa l’im passibilità dei m onti pittoreschi, delle cascatelle, dei boschi, delle valli, dei pianori. E ò pensato: la g u e rra dov’è? Dov’ò l’o rrib ile spettacolo che strazia ta n ta u m an ità ? Oh, no„ la g u e rra non tu rb a la n a tu ra che è lì, im p a s sibile, ad attestare l’e te rn ità della vita, la as ­ ­ — — — — ­ — ­ ­ ­

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soluta consistenza di un dom ani di pacifico progresso! In quel m omento avrei baciato la terra.

*

D i s c i p l i n a d i g u e r r a . I soldati più ric a l c itran ti in caserm a, al fronte si com portano meglio de’ più disciplinati. Ò avuto modo di osservare che alla m attina, ap p en a ap p aia il c h iaro r dell’alba, tutti si levano senza squilli di trom ba, senza sollecitazioni o m inacce di caporali, e si recano al p ro p rio posto cantic chiando o zufolando. Mi p are che la trincea non è fatta p e r esaltare l’attuale ordinam ento

della caserm a. ! ;

*

S o l d a t i in m a r c i a . Nella ten eb ra p a u ro sa, in m arcia verso le linee del fuoco,, ò sen tito il vostro p alp ito miei com m ilitoni e mi s’è agghiacciato il cuore dalla commozione p e r la vostra m uta passione.

Il rum ore della pioggia, quella notte, sem b rava l’oscurità del suono stesso. L a cadenza del vostro passo d ap p rim a, poi qualche voce

C lA R L A N T IN I. 2 — ­ ­ — ­ ­ — — ­

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isolala, poi l’ansito dei vostri petti e l’accom pa gnam ento ingrato degli zaini e delle gavette sobbalzanti su lla schiena; infine, come u n lu n go sospiro, le vostre canzoni in sordina canti di ru scelletti sotterranei, bisbigli di am a n ti, lieve sto rm ir di foglie, rim em b ran ze di se re n a te ....

Dopo aver sentito voi om bre fugaci nel

l’om bra c a n ta r sotto la pioggia verso le li nee del fuoco, credo davvero che sia gioioso d a r la vita p e r u n sogno, anche p e r un sogno vano, anche p e r un sogno che non vedrem o realizzato, anche p e r un bene che non ci a p p a rte rrà .

F r a t e l l o m u l o . Ò visto un pacifico artigliere da m ontagna sg ran are u n a pagnotta m ilitare col suo mulo. U n boccone l ’artigliere, un boccone il mulo, con fra te rn ità spontanea. A ndavano sulla vetta del Pasubio.

*

Il r e d u c e . T ra i soldati si trova spesso il reduce di professione. Il soldato che s’ad atta

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a lutto, non p e r u n ’idea, non p er u n a fede, 110 11

p e r spirito di d isciplina: unicam ente p e r po ter dire al rito rn o : sono un reduce.

P iù di u n a volta m ’è avvenuto di credere di tro varm i davanti a u n eroe. Poi ò scoperto che l’eroe era soltanto u n meticoloso raccogli tore di prove lam p an ti della sua o n n ip resen za sui vari settori della g uerra.

*

I l m o r t o . Meno facile è trovare il c a n didato alla m orte, l’a sp ira n te anzi alla m orte. Ma p u re qualcuno c ’è. D all’ingenuo che si fi gura di poter dire, bell’e m orto, all1 imboscato,

e con q u an ta più veemenza! a chi è rim a sto a casa: Io sono m orto; e tu, vigliacco? al predestinato alla gloria che su p e ra le bas sezze delle com parazioni e delle recrim inazio ni, e già si com piace dei necrologi dei giornali, delle orazioni funebri, di qualche lapiduccia

com m em orativa e perchè no? della p a

ginetta di storia p a tria am m annita agli scolari, in cui la sua gesta avrà eco e onore im p erituro.

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R a f f a e l e M e r e l l i , mio fratello di latte.

Avevamo fatto il presepe, le lum inarie, le m arion ette assiem e; gli idraulici, i costruttori, i p itto ri assiem e; la g u e rra contro i ragazzi di Bruciano, di Capocastello e d ’Alvaneto as sieme.

Da casa m ia io lo chiam avo qu and ’era nel

l’orto di nonna T eresa: Fefè! D alla fi

n e stra della no n na Lui mi dava convegno qu an do scarrettavo lungo la stra d a pietro sa delle

C arceri: Cecchino!

Io e ra ideatore e condottiero; L ui costruttore

geniale, aiutante m aggiore fedele, ardim entoso. Ci eravam o ritro v ati in L om b ard ia più fra telli che m ai, solidali ne’ sogni, devoti alla n o stra arte, serenam ente orgogliosi della po

vertà d ’un tem po. i

Q uando l’asfissia dom enicale della grande città mi serrav a la gola, correvo a Monza da Lui, e s’andava insiem e nel P arco a ricordare le divine follie della n o stra in fan zia e a fanta sticare.

O ra Fefè non è più. È caduto sul Carso dopo

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essere tornalo più voite alla battaglia con le ferite ancora aperte.

Aveva ideato p e r la guerra, ne’ brevi riposi che consente la trincea, ben pensati congegni che avrebbero dovuto facilitare la distruzione dei reticolati nemici. L a sua volontà e ra g ran de come la sua fede.

Nel cim ento terribile non l’à turbato la vi sione del suo bim betto sorridente, il pensiero della giovine com pagna tu tta sola col suo do lore.

Forse quel visetto di bimbo sorrid ente lo avrà anim ato neH’assallo, forse p e r d a r tra n quillità alla sua donna lontana av rà cantato m entre varcava le trincee austriache.

F ratello, mi levo il b erretto di m in ato re in tanto che ti raffiguro con la m em oria: fratello mio, sei m orto bene!

*

« N a p o l i » . E ri sem pre nella nicchia, e si vedeva soltanto il tuo capo. Aspettavi la de stinazione definitiva con terrore. Lo so. Ma cantavi. Cantavi sem pre. Giorno e notte cantavi le canzoni infuocate d’am ore e di nostalgia

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della tu a terra. Cantavi p e r riscald arti, p e r dim enticare, p e r non lasciarti vincere dalla p a u ra. E ri giovane, tanto giovane, povero «N a poli » ! E tutti, a sera, ti dicevano la loro pic cola insolenza; tutti ti gettavano addosso q u al che rifiuto. E ri la iettatura, dicevano !

Ci can ta! sentitelo, ci can ta! Ma io,

u n a volta, ti son venuto vicino e ti ò visto gli occhi pieni di lacrim e in tan to che cantavi:

«M’aggio ’mbarcato co’ nu bastim ento, » e tre

m avi tutto, forse p e r la febbre.

T i dissi addio sulla stra d a di Ponte Verde. Andavi alle P o rte del Pasubio. Io più avanti.

T u possa can tare, ora, fratello, senza lacrim e e senza trem ore!

U n a v i s i t a n o t t u r n a . T u tti dorm ono nella piccola baracca. Sinfonia s tra n a di ru m o ri: una sega che si lam en ta col legno u n gatto che

fa le fusa u n a po m p a che a sp ira da un

cilindro profondo il vento che soffia da una

fessura il tenue muggito di u n vitellino. I

miei occhi vagano d a ll’oscurità p er vette nevose, entro caverne, nelle trincee.

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Verso m ezzanotte scroscia la pioggia, im placabile colpi rip e tu ti alla porta.

L a s tra n a sinfonia s’atten u a; m a nessuno risponde.

Altri colpi. E poi: Siamo quelli che àn

portato giù i m orti della valanga.

Nella baracca, silenzio. Nel cuore di ognuno echeggia la rom ba della bianca sfinge dei monti.

Avanti, fratelli: hodie m i h i, cras tibi! *

U l t i m o b a c i o . Io ti benedico, o sacerdote in veste di alpino, p e r il bacio che ài deposbo con slancio fratern o sulla fronte del soldato che ò visto so tte rra re la vigilia di N atale.

E ra un baldo figlio delle Alpi. Bello. Gli oc chi soli facevano spavento e la sm orfia della bocca che doveva aver gridato tutti gli spasim i e tutte le invocazioni nei brevi istan ti vissuti sotto la neve ru in a ta dalle Dolomiti.

T u lo baciasti p e r i suoi congiunti, p er la fidanzata, p e r gli amici che non lo vedranno più e che forse ignoreranno p e r sem pre dove riposi.

Tu lo baciasti anche p e r me.

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Uopo quel bacio m i p a re che gli occhi del soldato m orto non facciano più spavento e la sua bocca si sia com posta a dolce rasseg n a zione.

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F è s t a n o t t u r n a . P iù notti non potetti dor m ire nella m ia tana, a Raossi. L a pésta n o ttu r na sulla stra d a che m ena a Rovereto non ave va un secondo di tregua.

C’era un non so che di fatale in quel p e r sistente diguazzar di uom ini e di m uli nel fango: una m usica o ra roca, o ra sghignazzante, ora terrib ilm en te uguale e rassegnata, che mi stringeva il cuore e mi destava pen sieri di u n a tristezza accorata.

*

Un c o n g e l a t o . Usciva da un angiporto di Raossi. B arb a nera, lunga, viso sparuto, occhi infossati. Il fucile gli faceva da stam pella. R i to rn av a dalla trincea, p a re v a un ru dere. N ’ebbi pietà. A vederlo cam m inare così, adagio, c u r vo, ra ttra p p ito , pensai che la su a anim a fosse

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s m a rrita nell’orrore di u n a notte senza fine. A un tratto, le lab bra del congelato si dischiu sero, gli occhi brillarono di dolcezza.

Ascoltai m eraviglialo. C antava u n a rom anza della Tosca: «E lucevan le stelle....»

*

L e r o i s m o d e i s o l d a t i m o d e r n i . Il sol dato nella g u e rra m oderna non può avere che raram en te i ca ra tte ri distintivi dell’eroe clas sico. L a p erso n alità del com battente scom pare. L ’eroismo più grande è quello del m ilite che compie il p ro p rio dovere con scrupolo, p ure sapendo che s a rà da tutti ignorato il suo sa crifizio.

Ecco : il soldato di oggi deve sen tirsi eroe di fronte al giudizio della sua coscienza. Il clam ore degli encomi solenni, delle illustrazioni sulle riviste e sui giornali turb a e spesso cor rom pe l’anim a del vero eroe. Alcune au to rità m ilitari tentano con l’apologia del dispregiator della vita di creare u n a efficace em ulazione nei com m ilitoni. Spesso, invece, creano il vanitoso vuoto e superbo, e anche l’abile m istificatore.

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R i f l e s s i t r a g i c i . Ò p a rla to e vissuto con soldati che ànno p artecip ato a diverse avanzate. Molli sono rim asti indifferenti alla pro v a del fuoco; alcuni, invece, anche se d ’anim o sem pli ce, ànno tu tto ra nello sguardo i riflessi della tra gedia. Riflessi che incutono tim ore se si sanno scorgere, e davanti ai quali ò taciuto più d’u na volta, come si tace nella stan za dove d a poco u n ’anim a à spiccato il volo verso l’infinito o davanti a u n dolore p e r cui ogni parola, p u r sentita profondam ente, a p p arireb b e convenzio nale.

*

N o s t a l g i a . In questa quiete proiezione

di m orte un pensiero oggi m ’è venuto alla

m ente: u n giorno non volli p e n e trare u n ’anim a che m i si offriva, sgomento p er quello che p en savo sarebbe stato di me se l’anim a m i si fosse riv elata come nei sogni di u na p rim a v era che non scorderò.

Q uell’anim a o ra m ’è lontana, ed io le sono — ­ ­ ­ — — — ­

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debitore di quest’attim o di nostalgia e di p e n tim ento, che rom pe la ghiaccia solitudine delle nevi e colora fugacem ente d ’azzurro le e rra n ti nebbie delle valli vicine.

*

A t t o d i f e d e . P e r me le P atrie furono sem pre considerate le unità sp iritu ali della grande consociazione dei popoli: della In te r nazionale. U na Internazionale, fatta di nazioni uguagliate da u n a onnipotenza nuova, ugua gliate ne’ gusti, nelle attitudini, ne’ desideri, nelle m anifestazioni d’arte, mi parv e sem pre un odioso sem inario.

Io credo che la cu ltu ra sia la base del vero internazionalism o e che gli uom ini non su p ereran n o il pregiudizio di razza che il giorno in cui conosceranno bene il p ro p rio e l’altrui paese, attraverso le p iù alte e p u re m anifesta zioni intellettuali. Gl’interessi, sì, possono la lor p a rte nell’affratellam ento um ano, e così pu re un certo senso m orale astratto, che pone al bando la gu erra tra uomo e uom o; m a la com prensione intellettuale delle razze sarà la fine dei conflitti arm ati tra i popoli. La coni

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-prensione non è il livellam ento, ch ’è quanto dire, p e r me, l’incretinim ento. M’è caro rip e terlo.

Noi dobbiam o p o rta re al m assim o grado la p otenzialità com prensiva e critica del popolo italiano, farlo essere e sentire se stesso p e r essere certi che arm onizzerà dom ani nella con vivenza pacifica delle nazioni. P erch è il super ficialism o spaventoso, che caratterizzò la co scienza italiana negli ultim i lu stri, ci à dato, ancora, con nomi diversi, guelfi e ghibellini, e non già italiani.

G erm anofili, anglofili, francofili, fin che se ne voleva: italiani pochissim i. E nell’o ra decisi va fu m iracolo se il deciso partegg iare p e r u n g ruppo di nazioni coincise con in teressi e tra dizioni italian e e fece sì che le arm i non venis sero im pugnate, come a’ tem pi delle com pagnie di v entura, p e r la vergogna di un com penso o p e r inconfessata p a u ra di rap p resag lia.

*

F a l c e l u n a r e . Gelo d ’intorno. Biancore agghiacciante di nevi. O ra di nostalgia in sulla

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E non sentivo nessuna squilla lontana! Nostalgia, forse, anche di un suono di cam pane.

E perchè tanto cruccio? E perchè il cilizio di questa vita? Dove a rriv e rà il dolore di tu tta questa gente dall’aspetto rassegnato? O cuore mio, perchè p alp iti così e t’affanni p e r chi forse non sente la o rrib ilità della tragedia?

L a falce lunare, questa sera, dietro il passo Buole, à un suo ghigno speciale. P a re dica:

Che piccolezze ti crucciano! Sapessi quanto m ondo c’è oltre il tuo, e diverso, e sapessi q u a n te notti dovrò ancora illum inare! Ma ridi, d u n que, ridi!

L anguida falce di luna, ài ragione: voglio ridere.

E rido, m a p e r rid ere p ro p rio bene dovrei piangere u n po’, dovrei abban d o narm i sulle ginocchia di m ia m adre, e to rn are bam bino u n ’ora sola.

tfs

I n m a r c i a . Debbo salire, dalla V allarsa, a oltre duem ila m etri di altezza. A piedi. Tutto arm ato: moschetto, giberna, baionetta.

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Ma sono p ro p rio io, vestito così, in questo luogo? (Che bei m onti davanti, che valloncelli, che serpeggiar di strad e laggiù, che paeselli raccolti e che m aestà di silenzio su tutto!) Sono io, sono io con questo fan tasticare! Ma, così vestito, ahim è!, m a così a rm a to !!

Che sia diventato un pochino Don Chisciotte? Ah, l’aver piegato alla fata lità ; ah, l’aver r i sposto festoso all’appello senza p iù riserve, sen za voltare il capo a salu tare la vecchia p a ttu glia! (Mi riconoscerò dunque, ahim è, così ve stito, così a rm a to ? )

Uno sh ra p n e ll scoppia, alto, sul mio capo. Il nemico tira da Monte Corno, ostinato. Non v’è più tem po p e r g u a rd a re la valle e p e r la nostalgia delle strade: su in m arcia, ché son io: quello di ieri e di dom ani!

T r i n c e e . L a te rra dove si com batte è uguale uguale all’a ltra dove il contadino lavo ra, dove il m on tan aro stenta. Le trincee non sono certo solchi p e r il grano. Pure, qualche seme da esse dovrà germ ogliare.

Questo noto subito: quassù si sente di non avere nessun m erito a non tem ere la m orte.

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*

A u g u r i o in u n m o m e n t o f r a n c e s c a n o . Il desiderio di bene e di vicinanza che ci punge oggi lontani dalle nostre case, soli e sperduti,; viva dentro di noi e si serbi così e p iù grande p e r dom ani, se tornerem o; e la gioia di p e r donare, di abbracciare chi ci à offeso, ren d a buoni quelli che furono nostri nemici e av versari.

*

«Ai s o l d a t i è c a r a l a p o s t a l u n g a . . . . » S ì. Il ritm o del passato, m en tre tutto il nostro spirito tende verso l’im previsto, ci p are spesso sim ile alla carezza di u n a m ano am ica, sim ile a p a ro la p a te rn a a p p en a su ssu rra ta ....

E d è bello soprattutto il ricordo della vita che non to rn a più, che ci dà la sensazione di un sicuro rinnovam ento p e r dom ani!

*

S f u m a t u r e d i m a l i n c o n i a . Q uanti sono i soldati che disertano spiritu alm en te la b a tta

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glia p e r i soprusi che com piono poveri di sp i rito invasati d’au to ritarism o ?

Valgo qualche cosa davvero p erchè il mio sacrificio possa v a lere?

Forse m orrò senza vedere realizzato uno solo dei miei sogni. Ma che farei qui, se i miei sogni non illum inassero la via della d u ra fa tica?

I l f u n e r a l e d i u n a l p i n o . L a m orte non è a p p a rs a m ai tanto insignificante nella m ia m ente come ora.

Me ne sono accorto anche stam ane assistendo dal mio rifugio al funerale di u n alpino.

U n a cassa p o rta ta a spalle da q u attro sol dati, un d rap pello a rm a to di alp in i p e r gli onori di rito, u n tenente medico tutto im pellic ciato, un cappellano in divisa di ufficiale.

L a fossa era troppo piccola e m en tre il sa cerdote leggeva le sue preci, due territo ria li ànno levato in fre tta a ltra terra.

A pochi passi, q ua e là, soldati d ’ogni a r m a guardavano la cerim onia consum ando il rancio con la gavetta in mano.

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Breve il cim itero. U n recinto con fili a re ti colati, q u attro abeti stenti stenti, u n lenzuolo di neve con su, regolari, alcune file di croci.

Addio, alpino!

Il m io p a r a f u l m i n e . In fatto di m orte in g u erra io sono superstizioso. Credo che m uoiano di preferen za quelli che non vorrebbero m orire e che ognora trepidano p e r il g ran passo.

Mi p a re che chi pensi continuam ente alla sua incolum ità concentri su se stesso il p e ri colo e lo attragga.

Ò un com m ilitone vicino che trem a ogni qual volta tuona il cannone o scoppia u n a m ina. Poverino! lo guardo e mi sem bra p ro p rio il mio p arafulm ine.

O l t r e l a m o r t e . P rim a avevo p a u ra del l’arteriosclerosi. O ra m ’è svanita anche questa preoccupazione. Il sangue è più rosso e circola bene. Com prendo che quassù si debba pensare con u n a c e rta gioia che si possa m orire nel

ClA RLANTINI. 3 ­ — — — ­ — ­

(40)

-l’atto del combattimento, quasi che, anche dopo morti, persistesse la giovinezza che ora sentiamo nelle vene e per essa fosse men triste la notte eterna.

Am i c i l o n t a n i. Quando mi scrivete la vo

stra speranza di rivederci e di lavorare insieme in un prossimo domani, sorrido di compiacenza e compio più volentieri il mio dovere. La vo stra speranza è per me come la luce lontana del pellegrino delle fiabe. Che la luce brilli sempre, e il mio cammino sarà senza soste c senza scoramenti.

In t e n z i o n i. Due amici mi ànno mandato,

l’uno all’insaputa dell’altro, Intenzioni di Oscar Wilde.

Wilde non mi seduce più. Molte delle sue.... intenzioni sono volutamente eccezionali.

Un tempo, serbavo per me Wilde, consigliavo Ruskin alla mia donna. Le durezze della nuova vita mi ànno imposto una filosofia diversa. La filosofia delle gravi calamità è quella che

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s’insinua inavvertitamente nel cervello nostro quando un grave male ci affligge. Forse, l’eter na filosofia dell’uomo costretto a confessare la sua debolezza di fronte aH’immanenza di certi fenomeni del mondo e dello spirito.

Guai se oggi non mi assegnassi una mis sione inorale, guai se la m ia opera non mi apparisse grande per un fine, oltre clic utile agli altri, indispensabile alla maturazione della mia personalità! E Wilde mi viene a con traddire proprio.... sul posto, quando afferma clic il sacrificio è «una specie di sopravviven za di selvaggi».

Il mio nuovo atteggiamento spirituale non

mi porta certo al cilizio o al romitaggio. Dico che la sofferenza fluttua nel mondo e che, in proporzioni e in tempi diversi, tocca inesora bilmente ogni vivente.

Gli uomini sarebbero migliori e starebbero meglio, a mio avviso, se non considerassero il male come una eccezione, il dolore come un atto di ostilità della misteriosa n atura o di Dio, e se fossero meno irriconoscenti verso quello stalo d’animo che li à aiutati a superare col m inor disagio possibile una data crisi di

dolore. , ­ ­ ­ ­ ­

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P er conto mio, mi reputerò fortunato se do mani, tornando alla vita ordinaria, mi ricor derò di ciò che penso in questo tempo della nostra destinazione nel mondo!

Ca n t o d i a l p i n i. Ricordo. Eravate rac

colti a cerchio, come intenti ad un rito. E c’era tra voi uno dalla voce sciolta e chiara che can tava col capo ardito nell’aria, che cantava una strofe di rude bellezza, e tutti, in coro, lenti e solenni, rispondevate.

Eco di valli e rimbombi di macigni, richiamo di pastori e stornellar di fanciulle, brontolìo di tuoni e muggito di giovenche, melodie d’uccelli e musica del bosco: fusione di voci soffusa di quella dolce tristezza nota a chi è cresciuto tra i monti.

Sentivo per quel canto il cuore vostro tra boccante di amore. Perchè amavate certo in quell’ora e sentivate appieno e senza averne contezza l’armonia esistente tra voi e il mondo.

Yoi cantavate felici di riabbracciarvi in ispi rito alle care consuetudini di un giorno, di r i salire i valichi alpini, di soffermarvi sui verdi

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pianori, di riguardare le boscaglie e i ghiacciai, dovunque un dì potè spandersi festosa la voce vostra e quella de’ fam iliari....

Voi cantavate, e mi pareva che coll’anima vibraste fino alle stelle, e che nell’oblìo della canzone faceste rinunzia di voi per riconqui starvi in amore.

*

Mo r t o m i o. Una notte si lavorava in un

camminamento scoperto. Dovevamo approfon dirlo e fare una specie di trincea di neve p er non essere continuamente molestati dalle ve dette acquattate sul Dente del Pasubio.

A un tratto, un artigliere posa la gravina, e ci chiama.

Mi pare un morto,... guardate!

E ra un morto difatti, uno dei nostri caduti sul Coston del Lora nel magnifico tentativo del

10 settembre dello scorso anno.

La notte era cupa, rigida, triste. Venne so speso il lavoro senza intesa.

Se ne trovan tanti di morti insepolti, ma: quello trovato sotto i nostri piedi, a quell’ora,, c’immelanconì tragicamente. Ci eravamo avviali

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verso la baracca quando l’artigliere che aveva fatto la scoperta tornò indietro e con alcune badilate di neve ricoprì in fretta il cadavere.

P rim a d’allontanarsi lo sentii dal limi

tare della roccia lo salutò con insolito ac

cento di tenerezza:

Dormi, morto mio, dormi in pace.... *

Un s u p e r s t i t e. «Una volta, sì, ero sem

pre in giro col moschetto, e sparavo, e colpivo giusto. Loro tirano a noi, noi si deve tirare a loro per forza.

«Ma adèsso me n’è passata la voglia. Avevo altri due fratelli e sono morti in guerra, in po chi mesi, tutt’e due.

«Chi ammazza resta ammazzato!

«Vò per legna, adesso, su per questi scogli, levo la neve nei camminamenti, porto la spesa ai p e z z i e sto più tranquillo».

Così mi disse l’altra sera la luna splen

deva sulle nevi d’un pallore melanconico e i burroni convergenti al Ponte delle Prigioni ap

parivano coperti d’ombre sinistre un soldato

umbro con la tristezza rassegnata del colono

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che abbia visto distruggere le sue messi dalla tempesta.

*

Du e z a p p a t o r i d e l 1 5 7 . Piemontesi, d i

poche parole, instancabili, innam orati del loro lavoro, muti davanti al dovere, fieri di una certa loro libertà senza pretese.

Uno, più anziano, sentenzia contro la guer ra ; l’altro rinforza, secco, astioso.

I prim i giorni esitavano a entrare in conver

sazione con i nuovi vicini. Provati dalle priva zioni di mesi e mesi vissuti in prim a linea, mi pareva quasi colpevole distrarli dal loro astio, tentare di far sopportare con animo diverso la impervia necessità.

Ora ò scoperto che uno di essi à scritto in un taccuino una specie di diario di guerra in cui esalta le gesta della sua compagnia p ara gonandole a quelle del prode manipolo guidato da Fortunato Calvi, e che l’altro, mal soppor tando i paragoni ingiuriosi di un sergente di artiglieria a’ danni del suo reggimento, per que sto era ringhioso e attendeva al varco il pro vocatore come, in altre circostanze, proterve sentinelle nemiche. ° — ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­

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I l m i o «f i o r e t t i s t a». Dolce nome di fan

ciullo: Dino. Profilo m arcato della buona raz za toscana, occhio vivo, con un zinzino di m a lizia precoce. Fum atore e bestemmiatore im penitente, tanto p er aggiungere qualche cosa ai suoi imberbi diciannove anni.

Nei momenti in cui gli p a r più grave il pericolo da affrontare, più pesante il lavoro,,

più avversa la stagione, ghigna: Viva la

guerra! Vorrebbe avere il sarcasmo d’un uo

mo che abbia sondato le ragioni della prova spaventosa e abbia tuttavia un suo particolar motivo per tollerare.

Ma se un piccolo malore lo assale, torna

quello che è veram ente e chiam a: Mam

mina, mammina mia!

E quello che è, in fondo, mi appare ogni

m attina quando leva il capo dallo zaino il

suo cuscino e mi chiede sottovoce: Sarà

ora d’andare nella caverna? Ci sarà benzina per oggi? Venne la gelatina al quarto p e z z o ?

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*

I l «r a n c i e r e» d e l l a 7.a s o m e g g i a t a.

Brutto, repellente: bruciato sulle gote, pelacci rossastri lunghi e radi, sguardo quasi morto.

Confesso che non riuscivo a guardarlo con benevolenza.

M’era antipatico, e ciò mi dispiaceva. Oggi lo abbraccerei.

Nella cucina più fumosa del Cosmagnon tirava vento ed eravamo accovacciati su due

sacchi di neve mi raccontò di quando ven

ne p er la prim a volta alla fronte, e dal Solio Incudine dovette recarsi al Passo della Lora, a portare la slitta di un pezzo da 75. P er

la strada era già tardi non fece gran caso

ai morti seminali da una recente azione. A un certo punto, però, volle riposarsi e lasciò ca dere la slitta sopra un largo rialzo coperto alla meglio di teli da tenda.

Una sentinella gli fu subito da presso: Artigliere, guarda che lì sotto sono stati rac colti i morti nostri....

Mi sentii gelare, e nel dire così il r a n ciere fu percorso da un brivido e mi fissò ne

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gli occhi ed ebbi l’impressione di aver fatto male a dei poveretti che non potessero difen dersi.... Se ci penso mi par di sentire stritolar delle ossa um ane.... Vede, e si asciugò gli oc

chi con la manica della giubba non è p er il

fumo, sa; non so perchè, ma, quando r i

cordo quella notte, mi vien da piangere.... *

Ba l s a m o d i f r a t e r n i t à. Nella trincea,

nel cajnminamento, tra la neve, nel fango, sotto lo scrosciar della pioggia, di vedetta, dovun que sia messa a dura prova la sua vita, il sol dato à i suoi momenti di odio, ne’ quali cova propositi di rancore per il domani, se tornerà.

Ma il rancore poi si ammorza, a notte, nella fraternità del dolore, nella tregua pensosa del giaciglio, specie se brilli una stella in lonta nanza, se la visione della sua casetta lontana lo conforti, se nel sospiro del vicino, nel son no concitato del commilitone, in qualche espres sione che sfugga al silenzioso raccoglimento del sogno com prenda che la sua nostalgia è condivisa da tante anime e la sua speranza è luce sempre viva nella inente de’ combattenti.

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«

To r n a l a p a t t u g l i a. Notte da lupi. Sia

mo tutti accovacciali attorno a un foclierello alimentato da frasche verdi e dal nostro fiato. Che lacrimoni per il fumo! Ci prende tutti, il fumo, siam tutti belli, col viso sporco e i panni infradiciati dalla neve che ci si scioglie addosso !

Ora si sente avanti alla baracca un p a r lare animato. Torna la pattuglia che è andata fino al Panettone.

Discorsi di guerra? Lam enti? Maledizioni? Un tarchiato contadino della Maremma to scana discute con un asciutto piemontese.... delle nozze dell’aglio con la cipolla. Proprio

così. i

Il piemontese non ci crede. E l’altro, entrato,

invoca finalmente la mia autorità: È vero

che lo scalogno vien dall’aglio e dalla cipolla, ed è a spicchi più grossi dell’aglio e rosso di colore ? — ­ ­ ­ — —

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Pe r u n a r t i g l i e r e s c o m p a r s o i n u n b u r r o n e. Ti aspettava la tua dolce Maria t’a

veva scritto la diletta: «ÀTo/z ti scordar di m e quando la sera sotto la tenda r i p o s e r a i ; la tua sorella monaca t’aveva affidato alla gran

Madre Celeste, teneramente : « O Madre Ce-

leste, che sai le nostre ansie, proteggi questo tuo f ig lio» ; Adele la sorellla minore t’aveva inviato mille teneri baci per le stelle al

pine che le avevi regalato: «Questi fiori li

terrò s e m p r e nel cuore'» ; gli amici ti ave van detto: «Certo, G iu seppe, farai onore alla ba n d ie ra....»

Ora per te il bel tempo e la torm enta sono uguali, la tenebra più cupa e lo splendor della luna uguali, uguali il canto e il silenzio, la guerra e la pace.

Un monumento di pietre quelle che p re

cipitiamo ogni giorno dalla cresta del Cosma-

gnon salverà il tuo povero corpo dal becco

crudele dei corvi.

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(51)

*

Vi t a l o n t a n a. Quando indugio, per neces

sità di lavoro o per riposare, nei rip ari di neve, nelle tende, nelle caverne scavate nella

roccia i piedi nel fango, il sibilo del vento

alle orecchie, un brivido di gelo nelle ossa e davanti il corruccio del cielo senza azzurro

velario ostinato alla divina luce , provo la

sensazione di aver vissuto, in cerli luoghi, in tempi tanto lontani, m a con un’altra anima. E mi punge la nostalgia della mia antica vita misteriosa e della mia anima perduta nei tempi.

*

Mi n e. Rombi cupi, secchi eco sdegnosa

brontolìo nelle piccole valli, sibilo di grossi calibri erranti, simbolo di massi precipitati ne’ burroni dal cupo fondo, lungo tuono di maggio: e la roccia si squarcia e contro il cielo infuria l’ira della pietra ferita, e l’acre fumo della polvere lutto annebbia dintorno. Poi

un istante di perplessità pare agghiacci lo

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spazio muore la eco con tono aspro, a volte come di ossa stritolate.

Precipitano i macigni nei b aratri oscuri, ro tolano i sassi con furiosa gara sulle scìe ne rastre stabilite nella ripida vallata.

Ronzano intanto i motori, im perturbabili, fre mono i m artelli perforatori, e la mazzetta ac compagnata dall’ànsito affannoso de’ minatori batte il ritmo all’opera possente.

Ca m p o s i l v a n o. Paesaggio di fiaba lenta la neve fiocca.... paesaggio di Natale sognato da bambino, ma senza il fumo lento che sale dai cam ini; paese deserto e gelato: non ò visto

mai splendere i vetri delle sue case non li

ò visti tinti di fiamma i suoi vetri prim a che il

sole scompaia in Val Lagarina. Paese senza

vetri, tu sei morto la tua opacità è quella

d’uno spettro tu sei morto e il gelo de’ tuoi tetti ti fa, impassibile, da pietra sepolcrale.

Vi a g g i o n o t t u r n o. La luna si affanna con

tro le nubi per d ar luce al mio viaggio not — ­ ­ ­ ­ — — — — — — — ­ ­

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turno. Il camminamento di bel nuovo rico

perto di neve è come una meditata insidia

alla mia stanchezza. Sibilano vicini i proiet

tili nemici. E corro allora. La luna gentile!

m’offre tutta la sua luce e la neve accoglie le mie orme con fraternità.

#

Un «s o v v e r s i v o». Biellese, imbevuto fino

alle midolla del vecchio catechismo socialista, neutralista irreducibile secondo i canoni uffi­ ciali. I prim i giorni mi à guardato con diffi denza: dovevo certo parergli un vile borghese.

Mi sono cattivato ben presto, e con mia gran de meraviglia, la sua simpatia intessendogli le lodi dell’artiglieria da montagna. In verità, il suo sovversivismo non allarm erà mai nessuno. Dorme vestito e senza coperte fin verso la mezzanotte, ora in cui suole fare l’ultimo spun tino. Scrive lettere di amore per tutti gl’inna morati analfabeti della batteria, e mantiene i segreti del cuore con ostentata gravità; rin nova ogni giorno gli scalini di neve che dalla ba racca conducono nel camminamento; ogni sera si reca in maniche di camicia a far legna ne’

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posti più pericolosi; rende servizi ai sottuffi ciali per pane e cacio, e pane e cacio dona ai più famelici, ogni giorno; è insensibile al fred do più rigido e alim enta per tutti la stufetta

con un toc cTbosch ogni tanto.

Lui non crede ai giornali, però: sono tutti impostori perchè anno imbrogliato il Paese per indurlo alla guerra. Peraltro, divora quelli che gli do ogni giorno, e se c’è qualche notizia fa vorevole agli Alleati la legge forte. Quando gli Stati Uniti ànno rotto i rapporti diploma

tici con la Germania, il sovversivo s’è fregato

le mani e a esclamato:

Ora, perdio, la nostra vittoria è certa! *

Sa l u t o a i c o m b a t t e n t i. L ’elogio rivolto

alla 44.a Divisione dal Comando Supremo ci è stato ripetuto con alte degne parole dal generale Graziani nel saluto del nuovo anno. Mi è parso di sognare! Si elogia lo spirito d’iniziativa del soldato italiano, la sua personalità che non subisce diminuzioni dal vivere collettivo: l’au tonomia dello spirito e dell’azione, in una p a rola. ­ ­ ­ ­ — — ­ ­

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E si addita questa caratteristica come garan zia di successo, oggi, nella guerra, domani, nella rinnovata vita del Paese. Il soldato numero, il combattente, che si muove p er automatismo o per semplice paura, è posto in dispregio. Il tedeschismo è stato bandito dall’esercito; se non è stato peranco sconfitto, i sintomi sono buoni e lasciano prevedere che l’aria davvero incomincia a rinnovarsi.

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Sc u o l a d i g u e r r a. La ferrea scuola della

guerra non è come l’altra che troppo spesso insegnava ciò che non metteva conto di cono scere. Quello che si apprende dalla guerra non si dimentica più. Ma bisogna essere stati sul campo, nella trincea, nelle retrovie delle p ri me linee. Esserci stati e non ricordarsi della vita che vi si mena soltanto p er non staccarsi

più dall’altra piacevole e così spesso infin

garda ; esserci stati e non tenerla come un

comodo usbergo per ciangottar impunemente d’ogni cosa che non si sappia e accam par di ritto a poltrire.

Io ò appreso finora che a vivere di più con

ClARLANTINI. 4 ­ -— ­ ­ — ­ — ­

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me stesso intendo meglio gli altri; che nella vita si può fare a meno delle domeniche; che spesso l’avventura è più interessante del pen siero e tonifica meglio di una medicina; che l’amore vero è quello che sa vivere lontano dalla casa e dalla persona am ata; che si può vestire di bellezza il dolore e farsene un compagno e una guida.

È vero che anche prim a avevo intuito sui li bri e dalla vita queste verità. Ma era una in tuizione letteraria e serviva tutt’al più per m a scherare nei dì di festa la m iseria de’ miei giorni.

*

I l c o s t o d e l l a l i b e r t à. Dover zappare,

caricar mine, im provvisar congegni per le ne cessità del momento, trovare soluzioni pratiche p er mille insospettate evenienze mi ànno p er suaso che di fronte al vero operare l’uomo fruisce di una minima libertà. La vita sociale moderna aveva fatto dimenticare ai più quanto sforzo, quanto sudore, quanto sangue costino ai p aria della società le libertà degli eletti.

Desse almeno la guerra a tutti una più esat ta percezione della p ro pria esistenza e de’ prò ­ ­ ­ ­ — ­ ­ ­ ­

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p ri doveri verso la Nazione! Verrebbero r i sparm iate nel prossimo domani le risse civili già carezzate e cullate dalla demagogia senza fede, e solo per le lotte grandi e degne sareb be serbato lo spirito e l’ardim ento dei cittadini ansiosi di progresso.

A u n a r e c l u t a. L’odor della polvere è

la miglior cura in quest’ora della storia per noi irrequieti di spirito e novatori. E siamo bene al posto con la divisa del soldato. Soprattutto quassù, a pochi metri dal nemico. Nelle linee del fuoco non è la caserma, che asfissia e in tristisce: è il popolo nostro, con la vera sua anima, che sopporta ogni avversità e ogni fa tica, che combatte, senza saper forse bene il perchè, quasi con giocondità. Io ò gran fede in questo popolo divenuto guerriero contro sua volontà. Esso, al ritorno, rifarà il meglio di strutto dalla orrenda raffica e costruirà il nuo vo edifizio. A meno che litigiosità di fazioni e insipienza di governi non lo rendano codar do e accattone. ­ ­ — ­ ­ ­ ­ ­

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« Vi v a l It a l i a! » . Appare a velocità in

verosimile un nostro velivolo da caccia. Scorto appena sopra il Rojte, eccolo già sul Pallon che volteggia.

Un soldato cremasco del nostro gruppo dei più truci contro la guerra lo vede, scatta

in piedi e grida Viva l’Italia, perdio! I

compagni lo guardano, sorpresi. Vorrebbero di

leggiarlo e gli dicono: Oh, diventi volontario

anche tu ?

Il soldato cremasco quasi si scusa: Fila

ad una velocità, perdio!...

Sulla velocità meravigliosa siamo tutti d’accordo.

Ma io li guardo bene negli occhi: tutti, tutti, in fondo all’anima, sono convenuti anche nel

l'evviva. «

F ratelli miei, la guerra è atroce, terribile, infame, tutto quello che volete. Lo so. Però,

viva VItalia! si può gridare sempre, si deve gridar sempre senza tema del dileggio delle anime morte e degli ipocriti.

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Te m p o d i p o t a t u r a. In uno degli ultimi

pomeriggi vissuti sulla quota 2053 mi si ac costò un soldatone col quale non m ’era tratte nuto a parlare che rare volte, si sedette ac canto a me e mi guardò col fare di chi non

sa come attaccar lucignolo. Che sole!

disse; e poi un sospirone. Io, vedi, non

sono di quelli che si lagnano della guerra. È destino che sia così e fo il mio dovere. Ma ora vorrei volare a casa mia p er alcuni giorni. Tu non te ne intendi forse.... Ma questa è la stagione della potatura. Ora si preparano il le gname e i magliuoli p er l’innesto della vite. Se si a poca vigna è meglio potare un po’ più tardi: quando le viti incominciano a piangere si purgano meglio.... Vorrei potarle tutte io le mie viti mi pare che io solo le sappia potar

bene e poi tornare di bel nuovo quassù.

Tanto, per le avanzale di prim avera ci sarei di bel nuovo, e, credi, la mia parte non la ò fatta mai fare a nessuno.

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Pa c e f i s i c a. Da questa Alpe, col sole

più caldo che abbia mai goduto sui monti alle spalle e ai fianchi una chiostra di candide

montagne è bello oggi sentirsi simile ad un

albero che abbia udito il dolce richiamo della prim avera, e godere la pace fisica come se non esistesse il domani e la guerra fosse una brutta fiaba e gli spasimi della um anità un incubo ter rificante ma fuggevole.

Sentirsi simile ad un albero che abbia udito il dolce richiam o della prim avera e sogni nel moto delle nuove linfe rigoglio di gemme, ver de e fiori e fragranze p er la stagione dell’a more.

*

Tr e g u a. In certe ore nei giorni in

cui pare che il sole attardi all’orizzonte più

del consueto , in certe ore guardo la gran

roccia dellTncudine e le guglie più basse di Malga Fieno e Malga P ru st con tale inten sità da tra rre idee svariate e fantastiche vi

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sioni da ogni picco, da ogni macchia, da ogni strato emergente di pietra, dairimmacolato can dore di qualche selletta....

Poi mi vien desiderio di riassumere idee, visioni, fantasie; di coordinarle, come il monte si riassume nella vetta.

Inseguo, riafferro, frugo, scelgo, rinnovo.... Invano.

Le idee si sperdono nel biancore della neve, le fantasie s’insinuano nel profilo delle cre ste, le visioni dispaiono nel cielo coi colori delle nubi, col vento.

E il gioco dura fin che l’anima vi si as sopisce senza più ombra di desiderio, fino a confondersi col inondo esteriore. Questa vaga contemplazione è l’unico grande compenso che concedo a la mia fatica in quei giorni in cui pare che il sole attardi all’orizzonte più del consueto.

« Ma t e r d o l o r o s a. » Ogni notte, qualche

voce t’invoca nel tormento di un sogno^ nella sofferenza male repressa del corpo ciliziato dalla fatica: madre! Uomini adusati a tutte le prove della fronte, giovani dallo sguardo mite

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e incerto, sgomenti pel noviziato inesorabile, quando l’oscurità li agguaglia nel giaciglio, in vocano : m adre !

Io solo ò tema d’invocarti, m adre mia, se la

mestizia delle ore grigie m ’avvolga, se un tri sto malore rechi strazio alle mie carni: ò tema, madre, di far sanguinare il tuo cuore che è u n a ferita aperta p er ciascuno dei figli dispersi

nel mondo e p er il tuo compagno il padre

mio che riposa nel campo benedetto di

Fiolce.

O ra la tua ragione vacilla e so che vuoi chiudere gli occhi per sempre.

Madre, io sono tanto felice; alla fronte canto, e pericoli proprio non ce ne sono: i

fratelli sono tutti arricchiti, quello che è

in America à messo su un po’ di superbia, che s’è fatto milionario, ma in fondo ci ricorda

sempre! e, non è molto, mi son sognato

il babbo che aveva il viso dolce e beato, come quello di un fanciullo, e mi à assicurato che la guerra finirà presto, e mi à detto che tu, mamma, devi vivere dell’altro se vuoi andare in Paradiso a trovarlo! Madre, dunque è an cor bello vivere....

Ma non ò coraggio di d istrarre il tuo sguar ­ ­ — — — — — ­ —

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-do fisso nel mistero dell’infinito, e mi sei nel cuore come una statua di freddissimo marmo:

Al ater dolorosa.

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Da v a n t i a l l o s p e c c h i o. Mi son visto dopo

tre mesi: ombra lontana dell’zo di ieri, ombra appena riconoscibile.

Ò visto bene, però, i miei occhi e in essi m’è parso di scorgere un fanciullo tutto sorridente, tutto sorridente come se vivesse in un limpido sogno e non avesse tema di svegliarsi.

Pu r i f i c a z i o n e. Ignoravo la grandiosità del

dolore, l’estremo sm arrim ento della vita fisi ca nella immensità dello spasimo.

La ressa delle emozioni nel brio cuore, le visioni tragiche passate nell’anim a mia, àn tolto dal mio io il grande ingombro della preoc cupazione della vita p er la vita, per la vegeta zione organica. Ma credo di essere soltanto un iniziato.

Domani il mondo mi riprenderà' nelle sue spire e il demone ironico sarà di bel nuovo padrone di me. Perchè avrò p aura di rive

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