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L'impatto emotivo della Diagnosi di un Disturbo dello Spettro Autistico sulla famiglia del soggetto

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

1. I DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO 1.1. Definizione

1.2. Criteri diagnostici nel DSM 5 1.3. Prevalenza

1.4. Cause

1.5. Sintomi principali 1.6. Diagnosi precoce

1.7. Strumenti per la diagnosi 1.8. Esordio e decorso

1.9. Principali trattamenti ed efficacia

2. ASD E FAMIGLIA

2.1. L’interazione genitori-bambino con ASD nei primi 18 mesi di vita 2.2. L’impatto emotivo della diagnosi sui genitori

2.3. L’impatto di un ASD sul benessere psicologico dei genitori

2.3.1. Fattori di rischio correlati alle caratteristiche cliniche del disturbo 2.3.2. Fattori di rischio interni alla famiglia

2.3.3. Fattori di rischio esterni alla famiglia 2.3.4. Fattori di protezione

2.4. Il ruolo dei genitori nel trattamento (parent-mediated)

3. LA RICERCA ED I DATI 3.1. Obiettivi

3.2. Campione

3.3. Metodologia e strumenti 3.4. Analisi dei dati

3.5. Risultati 3.6. Conclusioni

DISCUSSIONE CONCLUSIVA

APPENDICE: “100 Days Kit”, uno strumento di aiuto per i genitori nel periodo successivo alla diagnosi

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“Con il passare del tempo– di molto tempo – ciò a cui scegliete di credere riguardo all’autismo di un bambino potrebbe essere il fattore che in assoluto influenzerà maggiormente il suo futuro.”

(“10 cose che ogni bambino con autismo vorrebbe che tu sapessi”, Ellen Notbohm)

I Disturbi dello Spettro Autistico sono disturbi del Neurosviluppo caratterizzati da deficit nelle aree della comunicazione e dell’interazione sociale, associati alla presenza di comportamenti ripetitivi e stereotipati, che emergono in età evolutiva. I sintomi del disturbo possono avere un impatto significativo sulla famiglia del soggetto, in quanto essa si troverà a far fronte ai bisogni speciali ed alle esigenze dell’individuo che ne è affetto. La ricerca sull’influenza che la presenza di un individuo con ASD può avere sulla famiglia del bambino si sta ampliando, e a tal riguardo è importante comprendere anche il modo in cui il momento cruciale della diagnosi può colpire il funzionamento psicologico e la salute mentale dei genitori di bambini con bisogni speciali; in particolare, è utile esaminare quali siano i fattori che esercitano un impatto significativo sull’esperienza dei caregivers nei momenti precedenti e successivi al ricevimento della notizia. Potrebbe essere importante esaminare anche quali siano i maggiori fattori di rischio per il benessere psicologico dei genitori, prendendo in considerazione quelli interni alla famiglia stessa, come le caratteristiche psicologiche dei caregivers, quelli relativi alla presenza di stressors esterni, come i lunghi tempi impiegati per ottenere una diagnosi, la comunicazione superficiale con i professionisti, la discontinuità nel processo diagnostico e la mancanza di sostegno affettivo, e quelli derivanti dalle caratteristiche stesse del disturbo, come la presenza di problemi comportamentali e la scarsa reciprocità nell’interazione. Tutti questi aspetti possono influire sulle reazioni dei genitori alla diagnosi, riducendone le aspettative per il futuro del bambino; difatti, la mancanza di informazioni circa il disturbo, i possibili trattamenti e relativi esiti può comportare sentimenti di insoddisfazione e di abbattimento nella famiglia. Questo può avere un effetto a cascata sugli outcome dei trattamenti intrapresi dal bambino, in quanto i genitori stessi, che frequentemente ricoprono un ruolo attivo nel piano di intervento, tendono ad investire minor tempo ed impegno finalizzati al miglioramento e all’acquisizione di abilità nel bambino, compromettendone quindi concretamente le possibilità all’apprendimento. Questo elaborato prende in esame l’impatto che il processo diagnostico e la comunicazione della diagnosi possono avere sulle emozioni e sul benessere psicologico dei genitori di bambini con autismo, mediante l’utilizzo di un questionario somministrato alle famiglie in formato elettronico.

I risultati confermano l’importanza di fornire ai genitori informazioni ed indicazioni che aiutino loro ad orientarsi dopo la scoperta del disturbo; a tal proposito in appendice è stata allegata una guida dedicata ai genitori di bambini che hanno da poco ricevuto una diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico, alla traduzione della quale ho collaborato.

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1. I Disturbi dello Spettro Autistico 1.1. Definizione

I Disturbi dello Spettro Autistico (in inglese “Autism Spectrum Disorders”, da cui deriva “ASD”, l’acronimo universalmente utilizzato) sono disturbi del neurosviluppo ad eziologia multifattoriale, caratterizzati da difficoltà nell’interazione sociale, nella comunicazione non-verbale e da comportamenti ripetitivi e interessi ristretti (APA, 2013). La diagnosi di autismo viene solitamente formulata facendo riferimento alle due principali classificazioni internazionali dei disturbi mentali: il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders - Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) dell’American Psychiatric Association e l’ICD (International Classification of Diseases - Classificazione Internazionale dei Disturbi e delle Malattie) dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) (Ballerini, 2013; Vivanti, 2014). Fino alla penultima edizione del DSM le due classificazioni coincidevano sostanzialmente nei criteri diagnostici, mentre con il DMS 5 (APA, 2013), la nuova edizione del DSM pubblicata nel maggio del 2013, sono stati introdotti numerosi cambiamenti, per cui i criteri diagnostici per l’autismo ora si differenziano in maniera consistente rispetto a quelli dell’ultima versione dell’ICD, l’ICD-10 (WHO, 1994).

Nel DSM IV (APA, 2000) si parlava di “Disturbi Pervasivi dello Sviluppo”, che venivano distinti in Disturbo Autistico, Sindrome di Asperger, Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza, Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato, Sindrome di Rett. Con il DSM 5 questi sottotipi sono stati riuniti in un’unica categoria denominata “Disturbi dello Spettro Autistico”, ad eccezione della sindrome di Rett che è stata posta tra i disturbi neurologici, essendo l'unico del quale è nota l'eziologia. Il DSM 5 introduce inoltre il “Disturbo della Comunicazione Sociale”, le cui caratteristiche diagnostiche si sovrappongono parzialmente con i Disturbi dello Spettro Autistico, poiché la diagnosi di Disturbo della Comunicazione Sociale richiede la presenza di una “compromissione del linguaggio pragmatico” e di una compromissione “nell’uso sociale della comunicazione verbale e non-verbale”; tuttavia la presenza di interessi rigidi e ripetitivi è un criterio di esclusione per questa diagnosi ed un criterio essenziale per la diagnosi di ASD. Un’altra novità introdotta è la necessità di indicare la gravità della sintomatologia del disturbo dello spettro autistico su una scala di tre punti.

L’unificazione dei diversi Disturbi Pervasivi dello Sviluppo in un’unica categoria è la conseguenza di numerosi studi che hanno dimostrato come la distinzione in sottotipi diagnostici non sia coerente nel tempo e come le differenze nelle abilità sociali e cognitive dei sottogruppi si caratterizzino meglio in termini di un continuum (Volkmar F.R, et al, 2013). Inoltre è stato rilevato che la diagnosi dei diversi sottotipi di disturbi pervasivi dello sviluppo è molto variabile tra i diversi centri diagnostici ed è più spesso associata a severità, livello linguistico o QI, piuttosto che alle caratteristiche specifiche dei diversi disturbi (Aggio, 2012).

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Secondo il DSM 5 (APA, 2013) per una diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico deve essere soddisfatti quattro criteri:

A. Deficit persistente nella comunicazione sociale e nell'interazione sociale in diversi contesti, non spiegabile attraverso un ritardo generalizzato dello sviluppo e manifestato da tutti e tre i seguenti punti:

1. Deficit nella reciprocità socio-emotiva che va da un approccio sociale anormale e insuccesso nella normale conversazione (botta e risposta) attraverso una ridotta condivisione di interessi, emozioni, percezione mentale e reazione fino alla totale mancanza di iniziativa nell'interazione sociale.

2. Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali usati per l’interazione sociale, da una scarsa integrazione della comunicazione verbale e non verbale, attraverso anormalità nel contatto oculare e nel linguaggio del corpo, o deficit nella comprensione e nell'uso della comunicazione non verbale, fino alla totale mancanza di espressività facciale e gestualità.

3. Deficit nella creazione e mantenimento di relazioni appropriate al livello di sviluppo (non comprese quelle con i genitori e caregiver), che vanno da difficoltà nell’adattare il comportamento ai diversi contesti sociali attraverso difficoltà nella condivisione del gioco immaginativo e nel fare amicizie fino all’apparente assenza di interesse per le persone.

B. Pattern di comportamenti, interessi o attività ristretti e ripetitivi come manifestato da almeno due dei seguenti punti:

1. Linguaggio, movimenti o uso di oggetti stereotipati o ripetitivi, come semplici stereotipie motorie, ecolalia, uso ripetitivo di oggetti, o frasi idiosincratiche.

2. Eccessiva fedeltà alla routine, comportamenti verbali o non verbali riutilizzati o eccessiva riluttanza ai cambiamenti: rituali motori, insistenza nel fare la stessa strada o mangiare lo stesso cibo, domande incessanti o estremo stress a seguito di piccoli cambiamenti.

3. Interessi altamente ristretti e fissati, anormali in intensità o argomenti: forte attaccamento o interesse per oggetti insoliti, interessi eccessivamente persistenti o circostanziati.

4. Iper o Ipo-reattività agli stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell'ambiente: apparente indifferenza al caldo/freddo/dolore, risposta avversa a suoni o consistenze specifiche, eccessivo annusare o toccare gli oggetti, attrazione per luci o oggetti roteanti.

C. I sintomi devono essere presenti nella prima infanzia (ma possono non diventare completamente manifesti finché le esigenze sociali non oltrepassano il limite delle capacità).

D. L’insieme dei sintomi deve limitare e compromettere il funzionamento quotidiano. I tre livelli di gravità:

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• Livello 3: Richiede supporto molto sostanziale 
- Comunicazione sociale: i gravi deficit nella comunicazione sociale, verbale e non verbale, causano una grave difficoltà nel funzionamento; iniziativa molto limitata nell'interazione sociale e minima risposta all'iniziativa altrui.
 Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: preoccupazioni, rituali fissi e/o comportamenti ripetitivi che interferiscono marcatamente con il funzionamento in tutte le sfere. Stress marcato quando i rituali o le routine sono interrotti; è molto difficile distogliere il soggetto dal suo focus di interesse, e se ciò avviene egli ritorna rapidamente ad esso.

• Livello 2: Richiede supporto sostanziale - Comunicazione sociale: Deficit marcati nella comunicazione sociale, verbale e non verbale, l’impedimento sociale appare evidente anche quando è presente supporto; iniziativa limitata nell'interazione sociale e ridotta o anormale risposta all'iniziativa degli altri.
 Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: preoccupazioni, rituali fissi e/o comportamenti ripetitivi appaiono abbastanza di frequente da essere evidenti per l’osservatore casuale e interferiscono con il funzionamento in diversi contesti. Stress o frustrazione appaiono quando sono interrotti ed è difficile ridirigere l’attenzione.

• Livello 1: Richiede supporto - Comunicazione sociale: senza supporto i deficit nella comunicazione sociale causano impedimenti che possono essere notati. Il soggetto ha difficoltà a iniziare le interazioni sociali e mostra chiari esempi di atipicità o insuccesso nella risposta alle iniziative altrui. Può sembrare che abbia un ridotto interesse nell´interazione sociale. Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi: rituali e comportamenti ripetitivi causano un´interferenza significativa in uno o più contesti. Resiste ai tentativi da parte degli altri di interromperli.

Come evidente, un’altra novità introdotta dal nuovo manuale dei criteri diagnostici è il raggruppamento dei sintomi in due categorie rispetto alle tre precedenti; più in particolare, nel DSM IV si parlava di compromissione dell’interazione sociale, compromissione della comunicazione sociale e repertori ristretti e ripetitivi di interessi ed attività.

Ognuna di queste tre categorie comprendeva quattro sintomi; per effettuare una diagnosi di “disturbo pervasivo dello sviluppo” era necessario fossero presenti almeno sei sintomi, di cui almeno due nella categoria della compromissione della interazione sociale e almeno uno per ciascuna delle altre due categorie.

Con il DSM 5 le categorie di sintomi vengono ridotte a due: quella del deficit persistente nella comunicazione e nell’interazione sociale e quella dei comportamenti e/o interessi e/o attività ristrette e ripetitive.

La diagnosi di ASD richiede la presenza di almeno tre sintomi nella categoria dei “deficit della comunicazione sociale” e di almeno due in quella dei “comportamenti ripetitivi” (APA, 2013).

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Importanti novità introdotte sono l’eliminazione del “ritardo/menomazione del linguaggio” fra i sintomi necessari alla diagnosi e l’introduzione della “sensibilità insolita agli stimoli sensoriali” come sintomatologia

compresa tra i “comportamenti ripetitivi”.

Ancora, mentre nel DSM IV si parlava di esordio entro i 36 mesi di età, ora si parla più genericamente di un esordio nella prima infanzia. Infine, se il bambino presenta sintomi aggiuntivi sufficienti a rientrare nei criteri diagnostici di un altro disturbo, secondo il DSM 5 è possibile assegnare una doppia diagnosi, cosa che non era possibile con il DSM IV.

1.3. Prevalenza

La prevalenza a livello mondiale è di circa l’1%. Le statistiche del Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli USA riportano che 1 bambino americano su 68 nati rientra tra i disturbi dello spettro autistico. L’autismo è inoltre presente con una frequenza di 4 volte maggiore nei maschi rispetto alle femmine. Recenti stime del CDC indicano che 3 milioni di persone sono affette dal disturbo negli USA e circa 60 milioni nel mondo. In Italia non esistono dati ufficiali epidemiologici e le stime di prevalenza disponibili sono basate esclusivamente su sistemi informativi sanitari o scolastici. Ad esempio in Piemonte, i dati ricavati dal sistema informativo NPI.net indicano una prevalenza di ASD nella fascia di età 6-10 anni pari a 3.7/1000 nel 2008 e 4.2/1000 nel 2010, mentre in Emilia Romagna dai dati del sistema ELEA la prevalenza di ASD nella fascia di età 6-10 anni oscilla dal 2,4/1000 del 2010 al 2,5/1000 nel 2006 e 2009, fino al 2.8/1000 negli anni 2008 e 2011 (www.airautismo.it).

1.4. Cause

Non esiste una singola causa dell’autismo cosi come non esiste una sola tipologia di autismo. Sono stati identificati geni codificanti per una serie di proteine probabilmente implicate nell’eziologia dell’autismo, tutte coinvolte nel neurosviluppo e molte con un ruolo nell’ambito della funzionalità sinaptica. Negli ultimi anni gli scienziati hanno evidenziato solo un esiguo numero di mutazioni genetiche associate all’autismo che da sole sono in grado di spiegare il disturbo, mentre nella maggior parte dei casi è una combinazione di fattori genetici e ambientali che influenza una precoce alterazione dello sviluppo cerebrale che di conseguenza determina l’autismo. In presenza di una predisposizione genetica, un numero considerevole di “variabili” ambientali possono giocare un ruolo come fattore di rischio nello sviluppo dell’autismo. Tra queste ad esempio l’età genitoriale avanzata (sia materna che paterna) e malattie materne durante i primi mesi della gravidanza. Un numero crescente di ricerche suggerisce che una donna può ridurre il rischio di autismo della prole assumendo una dieta ricca di acido folico nei mesi precedenti e durante il concepimento i primi mesi di gravidanza.

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1.5. Sintomi principali

Gli ASD rappresentano una condizione clinica estremamente eterogenea, che potremmo collocare su un continuum, agli estremi del quale troviamo rispettivamente individui a basso funzionamento (low-functioning) ed individui ad alto funzionamento (high-(low-functioning); come già precedentemente sottolineato i fattori più importanti che determinano la diversità clinica, sono la variabilità nel livello di funzionamento cognitivo e nelle abilità linguistiche. Altri fattori sono relativi all’età, alla gravità delle caratteristiche comunicative e di interazione sociali, alle condizioni mediche associate (come l’epilessia) e alle eventuali comorbilità psichiatriche (Mazzone L. et al., 2012). La manifestazione dei sintomi sociali e comunicativi può variare dalla totale mancanza di consapevolezza delle altre persone, agli approcci sociali bizzarri che non tengono conto del contesto sociale, dovuti all'incapacità di relazionarsi socialmente con i coetanei, non percependo la loro presenza o percependola come fonte di stress, al tal punto da manifestare risposte di autoaggressività ed isolamento. Nei soggetti con autismo, i comportamenti sociali, che nei bambini con sviluppo tipico si manifestano ben prima della completa acquisizione delle abilità linguistiche, cognitive e motorie, possono essere ridotti o persino assenti. Le compromissioni più frequentemente riscontrabili riguardano la scarsa risposta agli stimoli sociali (Apicella F. et al, 2013), dovuta non all'intenzionalità di ignorarli, bensì alla mancanza di un innato ed automatico orientamento verso essi, la compromissione dell'abilità di attenzione condivisa (definita come la capacità di condivisione di un oggetto o di un evento con un'altra persona) (Mundy P. et al., 2009), la compromissione dell'abilità di imitazione (Vivanti G. et al., 2008) ed il mancato riconoscimento, comprensione e risposta adeguata alle espressioni emotive altrui (Baron-Cohen S., 1991).

Anche le compromissioni del linguaggio verbale possono variare ampiamente. Nella metà dei casi circa riscontriamo una totale assenza dello stesso, raramente compensata dall’utilizzo di gesti finalizzati a richiedere, condividere interessi o messaggi, a causa della difficoltà che i soggetti con autismo riscontrano nell’integrare diversi comportamenti come il contatto oculare, la vocalizzazione e l'uso del gesto di indicare. Il linguaggio di coloro che sono riusciti a svilupparlo può risultare adeguato per ampiezza del vocabolario e per abilità sintattiche; tuttavia si distingue per la presenza di numerose caratteristiche peculiari, come inversioni pronominali, ecolalie, anomalie nella prosodia e deficit nello sviluppo delle competenze semantiche e pragmatiche, risultando quindi poco creativo, comunicativo ed informativo, deficitario di espressioni ironiche o sarcastiche.

L'indice comportamentale che risulta spesso più evidente quando inizia a manifestarsi, è quello dei comportamenti ripetitivi e stereotipati (Watt N. et al., 2008). I comportamenti anomali più osservati nei bambini con autismo sono l'interesse limitato a dettagli particolari di oggetti o ad alcune loro proprietà non funzionali al gioco, la presenza di comportamenti e movimenti stereotipati (rilevati persino in bambini molto

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piccoli) e un’atipica dedizione verso interessi specifici dei quali tendono a parlare continuamente nei bambini con buone abilità verbali. La tendenza alla ripetitività e la scarsa flessibilità che caratterizzano gli individui affetti da autismo sono state messe in evidenza fin dalla prima descrizione di Kanner del disturbo (Volkmar F.R. et al., 2012). Nei bambini con autismo, soprattutto nelle prime fasi di sviluppo, è possibile osservare l'alternanza tra momenti di iperattività e momenti di ipoattività. Molto frequente in questa popolazione è anche la presenza di disturbi sensoriali, per cui i soggetti possono apparire molto interessati e/o preoccupati da stimoli uditivi, visivi, tattili o cinestetici a seconda dell'intensità della percezione degli stessi (amplificata, ridotta o assente). La modalità uditiva è quella più colpita, ma ad essere interessate sono anche la percezione tattile, la percezione olfattiva, la percezione del caldo e del freddo e quella dolorifica. Sono stati osservati disturbi anche nella sfera alimentare, con reazioni esagerate di fronte a determinati odori o consistenze di cibi, e disturbi del sonno.

1.6. Diagnosi precoce

Numerose studi scientifici hanno dimostrato che, già dai 12 mesi di vita, i bambini con autismo mostrano alcune caratteristiche atipiche nel comportamento e nella interazione con l’altro collaboratori (Apicella F. et al, 2013). Tali indicatori precoci, non sufficienti di per sé per formulare una diagnosi definitiva, rappresentano comunque dei segnali di allarme da riconoscere per una tempestiva presa in carico di questi bambini. Uno dei principali segnali di allarme, segnalato anche dai genitori, è il contatto oculare: lo sguardo risulta sfuggente e poco sostenuto durante l’interazione e per il genitore risulta difficile ottenere lo sguardo del bambino, anche dopo averlo chiamato per nome. Difatti, l’assenza della risposta al nome è un altro dei primi segni che compaiono nei bambini con autismo. Altre difficoltà mostrate precocemente da questi bambini riguardano la comunicazione e l’interazione: oltre ad avere un ritardo nello sviluppo del linguaggio espressivo, utilizzano poco i gesti per comunicare e talvolta sembrano non comprendere il linguaggio altrui, arrivando a far dubitare delle loro capacità uditive. Nella relazione con l’altro, sembrano poco attivi nella risposta e mostrano scarsa iniziativa diretta nel coinvolgere l’altro. Tali comportamenti, definiti intersoggettivi, non sono totalmente assenti ma risultano più deboli e meno frequenti rispetto ai bambini con lo stesso livello di sviluppo. Successivamente, dai 18 ai 24 mesi, emergono altre difficoltà a carico dell’attenzione condivisa (non indicano e non seguono l’indicare dell’altro), dell’espressione facciale delle emozioni, mostrando una mimica poco varia, e del gioco. In particolare, il gioco di questi bambini è ripetitivo e caratterizzato da lunghi periodi di tempo impiegati a far ruotare gli oggetti. Il gioco di finzione è ridotto e spesso non emerge il gioco di tipo simbolico. Infine, alcune difficoltà possono essere riscontrate a livello motorio: i bambini piccoli con autismo appaiono ipotonici e mostrano movimenti goffi, con difficoltà anche a livello della motricità fine. Un elemento cruciale nell’identificazione precoce dei bambini con autismo non è la semplice presenza o assenza di tali comportamenti, ma piuttosto la loro frequenza e la

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possibilità di osservarli in diversi contesti, su iniziativa del bambino e non solo come risposta. Ciò che caratterizza infatti l’esordio precoce dell’autismo non è la totale assenza di tali comportamenti, ma la loro bassa frequenza e intensità. I segni precoci dell’autismo sono stati esaminati mediante l’analisi dei video familiari di soggetti che successivamente hanno ricevuto diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico (ASD), evidenziando la presenza di alterazioni nelle interazioni tra il bambino ed il caregiver già a partire dall'età di 6 mesi (Muratori F. et al, 2011). Tuttavia, nonostante i bambini con autismo ad esordio precoce siano caratterizzati da livelli inferiori di attenzione agli stimoli sociali se comparati a soggetti con sviluppo tipico (Maestro et al., 2002), è stato dimostrato che alcune forme di abilità sociali possono non necessariamente essere compromesse in questa popolazione (Maestro et al., 2005); difatti, i bambini che in seguito hanno ricevuto diagnosi di autismo, durante i primi 6 mesi di vita possono mostrare comportamenti sociali, ma in misura significativamente inferiore.

Sembra che i bambini con ASD non siano in grado di mantenere, durante l'interazione, una combinazione prolungata di attenzione visiva e di espressioni facciali; la presenza di una disregolazione a livello temporale della sintonia, nonostante la frequenza con cui essa si manifesta risulti inalterata, può essere quindi considerata uno dei segni predittivi dell'autismo.

Nell'età compresa tra i 6 ed i 18 mesi, diventano più evidenti i problemi inerenti ai comportamenti sociali: a confronto con bambini a sviluppo tipico, quelli con diagnosi di autismo mostrano una ridotta presenza e durata di comportamenti atti a mantenere un ruolo attivo all'interno di una relazione sociale.

La capacità di entrare in relazione in seguito ad un invito, quella di mantenere un ruolo attivo

all'interno di essa, e la presenza di orientamento dello sguardo in risposta al richiamo per nome, risultano quindi essere elementi da esaminare attentamente, in grado di aiutarci ad individuare eventuali segni precoci di autismo; difatti la differenziazione dei sintomi diventa più evidente attorno al secondo anno di vita.

1.7. Strumenti per la diagnosi

Le linee guida per l'autismo stilate dalla Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile e dell'Adolescenza (SINPIA), approvate dal Consiglio Direttivo nel marzo del 2005, suggeriscono la necessità di affiancare all'indispensabile osservazione standardizzata, l'utilizzo di scale di valutazione opportunamente elaborate per cogliere i parametri comportamentali tipici del disturbo.

La Childhood Autism Rating Scale (CARS) (Schopler et al., 1988) è una scala di valutazione del comportamento autistico che raccoglie informazioni in vari contesti e da varie fonti e permette di esplorare e valutare 15 aree di sviluppo del bambino, mediante un punteggio che l'esaminatore attribuisce a ciascuna di esse per indicarne il grado di anormalità, tenendo conto dell'intensità, della durata e della frequenza del comportamento considerato. In particolare, le aree osservate riguardano le relazioni interpersonali,

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l'imitazione, l'affettività, l'utilizzo del corpo, il gioco, l'uso degli oggetti, il livello di adattamento, la responsività agli stimoli uditivi, le modalità sensoriali, le reazioni d'ansia, la comunicazione verbale, quella non verbale, il livello di attività, il funzionamento cognitivo ed infine le impressioni generali dell'esaminatore.

La Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS) (Lord et al., 2000) è uno strumento ampiamente utilizzato; inizialmente creato per la ricerca, è stato adattato per l'uso sistematico nella pratica clinica, in quanto consente l'identificazione di Disturbi dello Spettro Autistico basandosi sui criteri diagnostici di DSM e ICD. L'ADOS è basata sull'osservazione diretta e standardizzata del bambino, ed è strutturata in più moduli che esplorano il comportamento sociale in contesti comunicativi naturali; le prove di ogni modulo sono selezionate in base all'età ed al livello linguistico. L'utilizzo è adatto a partire dai 2 anni (12 mesi per la versione aggiornata ADOS-2) fino all'età adulta; la somministrazione richiede 30-45 minuti, ma richiede training e procedure di convalida specifiche.

La Autism Disgnostic Interview - Revised (ADI-R) (Lord et al., 1994) è uno strumento diagnostico complementare all'ADOS, e consiste in un'intervista semistrutturata destinata a raccogliere dai genitori informazioni relative ai comportamenti tipici del disturbo e alle modalità di gioco del bambino; la somministrazione ha una durata di circa 90 minuti e richiede anch’essa training specifici per gli esperti. La Autism Behaviour Checklist (ABC) (Krug, Arid, Almond, 1980) è una scala di valutazione del comportamento che suddivide i problemi comportamentali in 5 aree (linguaggio, socializzazione, uso degli oggetti, sensorialità e autonomia), ciascuna di esse valutata mediante un punteggio. Può essere utilizzata a partire dall’età di 18 mesi, ma data la sua scarsa sensibilità risulta maggiormente utile per le valutazioni periodiche degli effetti di un intervento terapeutico.

La Gilliam Autism Rating Scale (GARS) (Gilliam, 1995) è una checklist per i genitori nella quale gli items sono raggruppati a seconda delle aree di interesse: sviluppo sociale, comunicazione e comportamenti stereotipati. È uno strumento utile e facilmente applicabile, non solo al fine diagnostico, ma anche per individuare obiettivi specifici e individualizzati per gli interventi terapeutici, soprattutto relativi ai problemi concreti e quotidiani del bambino. La fascia di età in cui la GARS è applicabile va dai 3 ai 22 anni, il che rende il suo utilizzo ancora più accessibile, sia nella fase di programmazione che in quella di valutazione dell'efficacia dell'intervento.

In aggiunta agli strumenti con validità diagnostica finora elencati, troviamo altre due scale molto utili e diffuse per la valutazione dei Disturbi dello Spettro Autistico.

La Psycho-Educational Profile (PEP-R) (Schopler et al., 1989) è una scala di valutazione che permette di raccogliere informazioni dettagliate per lo sviluppo di un piano terapeutico specifico ed individualizzato. La somministrazione richiede dai 45 ai 90 minuti e le aree indagate sono le seguenti: imitazione, percezione,

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motricità fine e grossolana, coordinazione oculo-manuale, livello cognitivo, relazione e affetti, gioco ed interesse per il materiale, risposte sensoriali e linguaggio. Il materiale utilizzato per l'applicazione di questa scala è molto concreto ed attraente per i bambini e la modalità di somministrazione risulta particolarmente flessibile, in quanto i tempi non devono essere cronometrati e la maggior parte degli item non richiede abilità verbali. I livelli di valutazione (insuccesso/riuscita/emergenza), attribuiti a ciascun item, costituiscono la base per lo sviluppo di un programma di intervento basato sulle capacità emergenti e finalizzato al miglioramento di quelle in cui il bambino risulta più carente.

Le Vineland - Adaptive Behaviour Scale (VABS) (Sparrow et al., 1984) sono ritenute la migliore scala psicometrica nell'ambito della valutazione del livello adattivo di un individuo; si tratta di un'intervista semi-strutturata, somministrata da un operatore specificamente addestrato, alla persona che meglio conosce il soggetto da valutare, che deve avere un'età compresa tra gli 0 ed i 18 anni di età. La scala è suddivisa in 4 aree: comunicazione (linguaggio recettivo, linguaggio espressivo, lettura, scrittura), socializzazione (relazioni interpersonali, gioco e tempo libero, regole sociali), abilità di vita quotidiana (abilità personali, domestiche, di comunità) ed abilità motorie (fini e grossolane). La VABS misura le prestazioni e non le abilità stesse, definendo difatti il livello adattivo sulla base delle performance ottenute in compiti che mimano richieste ambientali adeguate ad età e contesto culturale; dei buoni punteggi su questo costrutto rappresentano un buon indice predittivo di successo professionale e di livello di indipendenza raggiungibile dal soggetto con autismo.

Nonostante gli strumenti elencati risultino di grande utilità nella pratica clinica per quanto riguarda sia il processo diagnostico, che quello di stesura di un piano di intervento, essi non devono mai essere utilizzati al di fuori di un percorso completo condotto da un professionista del settore, che includa un accurato assessment e numerose valutazioni ed osservazioni.

1.8. Esordio e decorso

Nonostante l'autismo sia diagnosticato in media all'età di 3 anni, diversi genitori riportano le prime preoccupazioni intorno al primo anno di vita, ma naturalmente più piccoli sono i bambini, più difficile risulta l'identificazione dei sintomi (Zwaigenbaum L. et al., 2005). Tuttavia, è necessario distinguere i due differenti quadri di insorgenza dei sintomi dell’autismo: il primo, definito precoce, prevede che i sintomi inizino a manifestarsi entro il primo anno di vita, configurandosi quindi come una stagnazione dello sviluppo prima ancora che le abilità del bambino si siano sviluppate. L’esordio di tipo regressivo (Hansen R.L. et al., 2008), prevede invece un normale sviluppo fino ai 18-24 mesi, seguito da una regressione che comporta il deterioramento o la totale perdita delle abilità sociali e comunicative già acquisite. Ci troviamo quindi di fronte ad un continuum, ai cui estremi troviamo, da una parte bambini che manifestano sintomi molto

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precoci (entro il primo anno di vita), dall'altra soggetti che li presentano tardivamente (tra i 18 ed i 24 mesi, fino, in rari casi, ai 36 mesi). I primi segni a comparire interessano diverse aree: il bambino non risponde quando viene chiamato (Nadig A.S. et al., 2007), non guarda negli occhi, mostra difficoltà nello spostare l'attenzione da uno stimolo all'altro, non usa né il linguaggio né i gesti per comunicare, non comprende la comunicazione altrui, fa ruotare gli oggetti ed ha difficoltà nella motricità fine (Zwaigenbaum L. et al., 2005) (Ozonoff S. et al., 2008). Successivamente si osservano la mancata capacità di indicare, l'assenza di attenzione condivisa ed il mancato orientamento verso gli stimoli sociali (Volkmar F.R. et al., 2005). Per quanto riguarda gli esiti evolutivi delle persone con autismo i dati forniti dalla ricerca sono inferiori; pochi studi difatti si occupano di analizzare longitudinalmente lo sviluppo di questi soggetti dopo l'infanzia e l'adolescenza. Molte di esse non vengono identificate nemmeno in età adulta, poiché nel frattempo hanno sviluppato altri disturbi psichiatrici che mascherano i sintomi autistici, come ansia e depressione (Ghazziudin M. et al., 2002), o più comunemente perché gli psichiatri non hanno familiarità con questa sindrome, tipicamente interesse dei neuropsichiatri infantili. Alcuni studi hanno inoltre evidenziato che soggetti con diagnosi di autismo, riescono, in età adulta, soltanto nell'1% dei casi a condurre una vita autonoma ed indipendente (Pennington B.F., 2002); inoltre, altrettanto rara risulta la presenza di rapporti sentimentali e di amicizie.

La gravità e la stabilità nel tempo dei sintomi è comunque molto variabile, e la possibilità di accesso ad adeguati protocolli di intervento incide fortemente sulla probabilità di esiti evolutivi più favorevoli. I principali fattori predittivi per un buon esito del trattamento sono la gravità dei sintomi ed il quoziente intellettivo; tuttavia, anche i soggetti nei quali tale parametro risulta nella norma, spesso risultano necessitare di assistenza durante le loro attività quotidiane e lavorative. Questa condizione di non-autosufficienza riflette, purtroppo anche nei paesi più sensibili al problema, la scarsità dei servizi in grado di prendere in carico questi pazienti (Vivanti G., 2010).

1.9. Principali trattamenti ed efficacia

Ogni persona con disturbo dello spettro autistico è unica e per tanto il piano di trattamento deve essere sempre pensato in relazione ai suoi bisogni individuali specifici e della sua famiglia. La vita di una persona con autismo può essere felice, soddisfacente e ricca di opportunità di apprendimento e di successi, ma ciò dipenderà dalla possibilità di accesso ad un trattamento adeguato.

Purtroppo non abbiamo ancora abbastanza dati scientifici per comprendere a fondo l'autismo, e di conseguenza per sviluppare una cura; la ricerca condotta sull'efficacia dei vari tipi di trattamento proposti per i soggetti con autismo, però, ci permette di discriminare quali di essi risultino efficaci, quali non, e quali persino dannosi.

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I trattamenti non farmacologici per i Disturbi dello Spettro Autistico posso essere collocati su un continuum che vede, ai suoi estremi, da una parte gli approcci altamente strutturati, guidati da un terapista in un setting clinico, dall'altra gli approcci che si adattano agli interessi del bambino in un contesto naturalistico e basato sulla relazione. Nell'articolo di Narzisi A. e collaboratori (“Non-Pharmacological Treatments in Autism Spectrum Disorders: An Overview on Early Interventions for Pre-Schooler”, 2014) è possibile ripercorrere i principali trattamenti non farmacologici attualmente utilizzati per il trattamento di individui con autismo.

Lovaas (Lovaas O.I., 1987) fu il primo ricercatore ad usare i principi dell'ABA (Applied Behavioural Analysis) per il trattamento di bambini con Disturbi dello Spettro Autistico e a documentarne gli esiti. Gli interventi basati sull'analisi applicata del comportamento utilizzano i principi del condizionamento operante al fine di rinforzare specifici comportamenti nel bambino con autismo. L'insegnamento di queste riposte specifiche avviene in un contesto strutturato, nel quale l'adulto premia sistematicamente il comportamento target e comportamenti che vi si avvicinano, estinguendo progressivamente l'aiuto fino all'acquisizione totale dell'abilità.

Nonostante siano stati riscontrati inequivocabili benefici ottenuti mediante questi approcci, essi hanno ricevuto numerose critiche riguardanti la difficoltà di generalizzazione dei comportamenti appresi, la meccanicità delle risposte, la mancanza di spontaneità, l'eccessiva dipendenza dalle sollecitazioni esterne, la lentezza dei progressi e la scarsa stabilità nel tempo dei risultati raggiunti; per una maggiore efficacia l'intervento dovrebbe difatti essere realizzato in tutti i contesti di vita e dovrebbe prevedere il coinvolgimento dei genitori nel ruolo attivo di insegnamento.

Il PRT (Pivotal Response Training), un intervento di tipo comportamentale più naturalistico con efficacia documentata (Koegel R.L. et al., 2001), è nato proprio in risposta ai limiti riscontrati nel metodo ABA classico; i principi che lo caratterizzano riguardano la scelta di abilità centrali come obiettivo del trattamento, lasciando al bambino la facoltà di scegliere le attività da svolgere e le tipologie di gioco secondo i suoi interessi. L'uso del rinforzo viene esteso anche ai tentativi di risposta incompleti oltre che alle risposte corrette.

È stato dimostrato che i trattamenti ABA completi possono condurre a miglioramenti significativi nei bambini con autismo, per quanto riguarda il funzionamento intellettivo, lo sviluppo del linguaggio, l'acquisizione delle abilità di vita quotidiana ed il funzionamento sociale; tuttavia questi miglioramenti sono comparabili con quelli ottenuti mediante altri protocolli di cura standard (Spreckley M., Boyd R., 2009).

Un altro tipo di trattamento basato sui principi ABA è la PECS (Picture Exchange Communication System) (Bondy A., Frost L., 2001), che prevede l'uso di carte-immagini per richiedere oggetti o attività all’interno di un contesto sociale; difatti, l'atto di richiesta assume un valore primario nella comunicazione e il rinforzo è il

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mezzo utilizzato per spronare l'iniziativa e la spontaneità dei bambini all'interno della stessa.

I sistemi di comunicazione alternativa come la PECS sono finalizzati a compensare i deficit nella comunicazione espressiva, mediante l'uso di sistemi simbolici alternativi al codice verbale; difatti, nonostante questo tipo di intervento non si rivolga in modo diretto al linguaggio verbale, è stata dimostrata la sua efficacia nel facilitarne lo sviluppo. Tuttavia, la necessità di formazione specifica sul riconoscimento delle carte da parte del caregiver e la difficoltà nell'inserire questo sistema di comunicazione all'interno di sequenze di gioco con i coetanei non “formati”, costituiscono un notevole limite per questi approcci.

Il Modello DIR (Developmental Individual-differences and Relationship based) (Greenspan S., Wieder S., 1998) basa il suo intervento sulle differenze individuali relative al modo in cui ogni bambino elabora gli stimoli provenienti dal mondo esterno e risponde ad essi. Queste modalità costituiscono difatti degli elementi chiave per la costruzione di interazioni sociali efficaci, a loro volta utilizzate per promuovere lo sviluppo e l’apprendimento. Il Modello DIR si basa su un’attenta osservazione degli interessi e delle modalità di interazione che il bambino mostra in un contesto naturale, al fine di consentire all’operatore di accedere al suo mondo e spronarlo a condividerlo con gli altri; per questo motivo la generalità lascia spazio alle peculiarità del singolo paziente, permettendo l’elaborazione di interventi su misura.

Obiettivo di questo metodo è favorire nel bambino l’acquisizione di abilità fondamentali per l’espressione dell’intelligenza, dell’affettività e della socialità, spesso compromesse in presenza di ASD.

La FloorTime è considerata una delle componenti più importanti del metodo DIR (Pajareya K., Nopmaneejumruslers K.,2011); essa prevede la messa in atto sequenze di gioco guidate dai genitori ripetute più volte durante il giorno e regolarmente supervisionate da un esperto. I principi di questo approccio indicano la necessità di seguire le iniziative del bambino e supportarle, focalizzandosi sull'attenzione condivisa, sull’imitazione e sulla creazione di strategie di problem solving, al fine di contrastare la ripetitività tipica dell’autismo.

Gli approcci evolutivi si basano sull'acquisizione delle abilità sociali pre-verbali, considerate come basi necessarie per l'apprendimento nelle altre aree di sviluppo.

Elemento target di questi metodi è quindi la reciprocità sociale, mediata da comportamenti come l'attenzione condivisa, l'imitazione e la condivisione d'affetto nell'interazione con il caregiver; l'acquisizione di queste abilità, difatti, creerebbe le fondamenta per uno sviluppo linguistico, cognitivo e sociale nei bambini con autismo.

Un intervento di questo tipo è l'ESDM (Early Start Denver Model), nato nei primi anni 2000 alla University of Washington, dall’integrazione di elementi dell'analisi applicata del comportamento e delle teorie dello sviluppo (Dawson G. et al, 2010).

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compresa tra i 12 ed i 48 mesi, in quanto è proprio in questo range di età che emergono le maggiori sfide ed esigenze particolari. Il metodo, focalizzato sull'iniziativa, sulla motivazione e sulla partecipazione del bambino, si basa sul parent-training, ovvero su insegnamento e supervisione ai genitori, al fine di educarli all’utilizzo di strategie specifiche da mettere in atto nella vita di ogni giorno; è stato difatti dimostrato che l'assegnazione di un ruolo attivo ai genitori, anziché caricare la famigliare di uno stress aggiuntivo, la arricchisce di un nuovo entusiasmo verso il bambino e verso lo sviluppo delle sue potenzialità.

All'adulto viene quindi attribuito il compito di monitorare l'attivazione emotiva del bambino e di modificare la propria comunicazione affettiva al fine di creare un contesto ottimale per favorire l'apprendimento; la comunicazione spontanea è incoraggiata e rinforzata, dando in questo modo al bambino la possibilità di sperimentare ed apprezzare egli stesso il potere delle proprie richieste ed iniziative all'interno dell'interazione.

Il programma SCERTS (Social Communication, Emotional Regulation and Transactional Support) (Prizant B.M. et al, 2003) ed è stato sviluppato al fine di ottimizzare il funzionamento comunicativo, sociale ed emozionale del bambino e di migliorarne le interazioni con la famiglia; la sua efficacia è stata dimostrata soprattutto per quanto riguarda il trattamento dei deficit nell'area del linguaggio. Si basa su un approccio naturalistico centrato sulla comunicazione sociale, sulla regolazione emotiva e sul supporto transazionale.

Tra gli altri trattamenti troviamo la TED (Therapie d'Echange et Developpment) (LeLord G., Sauvage D., 1990), che si fonda sullo scambio tra il bambino e l’ambiente, utilizzato per favorirne le capacità di socializzazione e di comunicazione, tenendo sempre conto delle funzioni di base che risultano compromesse. L'ipotesi di fondo di questa modalità di intervento è che i bambini con autismo abbiano particolari difficoltà nel filtrare, focalizzare e mantenere processi mentali; questa ipotesi deriva da complesse osservazioni a livello neurofisiologico dell'attività elettrica del cervello, in grado di rilevare forme di acquisizione più sottili rispetto ad una franca condizione di apprendimento.

Poiché è molto frequente riscontrare in bambini con ASD dei deficit sensorimotori (Jean A.A., 1972), tra gli interventi di salute troviamo i trattamenti di psicomotricità, basati sulla premessa che, prima di affrontare processi di ordine superiore, sia necessario normalizzare la risposta del cervello agli input sensoriali di base. Difatti, se il bambino riesce a sviluppare la capacità di processazione, modulazione ed integrazione delle informazioni sensoriali, sarà per lui più semplice acquisire anche le abilità di ordine superiore (Rogers S.J., Ozonoff S., 2005).

Il TEACCH (Treatment and Education of Autistic and related Communication Handicapped Children) è un intervento educativo strutturato che tiene in considerazione i punti di forza e di debolezza di ciascun

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bambino, focalizzandosi sulla persona e sviluppando un programma cucito su misura a seconda delle abilità, degli interessi e dei bisogni individuali (Mesibov G.B. et al, 2005). Questo approccio si avvale dell'adattamento dell'ambiente alle caratteristiche degli individui e dell’utilizzo di una forte strutturazione spazio-temporale delle attività di apprendimento, che permetta al bambino di prevedere con più facilità la routine che dovrà svolgere.

Nonostante ciascuna tipologia di intervento sia caratterizzata da presupposti ed obiettivi differenti, la loro precocità, tempestività ed intensività sono aspetti che influenzano la prognosi del bambino; l'individualizzazione del piano terapeutico in base ai punti di forza e di debolezza, l’attribuzione di un ruolo attivo delle figure genitoriali all’interno di esso e le periodiche valutazioni ed aggiustamenti dello stesso rappresentano difatti le basi necessarie per l'ottenimento di un esito positivo del trattamento.

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2. ASD e famiglia

2.1. L’interazione genitori-bambino con ASD nei primi 18 mesi di vita

Il ruolo che i genitori rivestono nel percorso che conduce all'ottenimento di una diagnosi, può rivelarsi di enorme importanza; difatti, nonostante essi non posseggano le competenze necessarie per poter identificare i sintomi dell'autismo, possono tuttavia giungere a maturare preoccupazioni inerenti al livello di sviluppo raggiunto dal bambino o alla presenza di comportamenti atipici. Questi sospetti possono indurre i genitori a ricercare un parere professionale a riguardo, anticipando così sia i tempi di diagnosi, sia l'accesso ad uno o più trattamenti specifici, aumentandone di conseguenza le probabilità di raggiungimento di un esito positivo.

Soprattutto in epoche precoci, prima dell’inserimento alla scuola materna, sono proprio i genitori a trascorrere la maggior parte del tempo con il bambino e ciò consente loro di osservarne i comportamenti in più contesti e circostanze.

Comprendere quali siano le manifestazioni precoci di un ASD è quindi un elemento di fondamentale importanza per poter effettuare diagnosi precoce e differenziale con altri disturbi dello sviluppo.

Uno studio di Horovitz e collaboratori esamina la relazione esistente tra le prime preoccupazioni manifestate dai genitori ed i sintomi associati ai Disturbi dello Spettro Autistico. Di solito, i genitori iniziano a notare atipie comportamentali e differenze nell'acquisizione delle abilità tipiche della fase di sviluppo in cui il bambino si trova, attorno all'età di 2 anni. Nei bambini piccoli, molto spesso le preoccupazioni riguardano lo sviluppo del linguaggio e della comunicazione verbale e non, ed i problemi comportamentali, come l'aggressività, i capricci e l'inosservanza delle regole, manifestati con frequenza e gravità maggiore rispetto ai pari con sviluppo tipico (Horovitz, Matson & Sipes, 2011).

Lo studio si è avvalso di un campione di bambini di età compresa tra i 17 ed i 37 mesi ed i loro careviger, e prende in considerazione le prime preoccupazioni di questi ultimi in due aree in particolare, maggiormente riportate in letteratura: quella dello sviluppo del linguaggio e quella dei comportamenti disadattivi (Kozlowski A.M. et al., 2011).

Quello che emerge è che è proprio il livello di sviluppo del linguaggio il primo motivo di preoccupazione dei genitori, seguito dalla presenza di problemi comportamentali.

Il fatto che invece non ci siano differenze significative, per quanto riguarda l'area della comunicazione, tra bambini con ASD e bambini con altro disturbo dello sviluppo, ci suggerisce l'importanza di un accurato assessment condotto dal clinico, che tenga conto anche delle prime preoccupazioni riportate dai genitori, in modo tale da rendere possibile una diagnosi differenziale quanto più possibile precoce.

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affatto gli unici segni precoci dell'autismo; Muratori e collaboratori si sono occupati di esaminare video familiari di soggetti che successivamente hanno ricevuto diagnosi di Disturbo Autistico (ASD), al fine di individuare le alterazioni che si manifestano nelle interazioni tra il bambino ed il caregiver già a partire dall'età di 6 mesi (Muratori F. et al, 2011).

L'utilizzo dei video familiari rappresenta una grande opportunità per poter effettuare un'osservazione diretta delle prime manifestazioni dell'autismo, e dopo molti anni di ricerca in questo campo, è stato dimostrato essere uno strumento ecologico di gran supporto, anche per quanto riguarda gli studi condotti sui fratellini (Massie, H. N. et al., 1975) (Landa et al., 2008).

Nonostante i bambini con autismo ad esordio precoce siano caratterizzati da livelli inferiori di attenzione agli stimoli sociali se comparati a soggetti con sviluppo tipico (Maestro et al., 2002), è stato dimostrato che alcune forme di abilità sociali possono non necessariamente essere compromesse in questa popolazione (Maestro et al., 2005). Gli studi effettuati con questa metodologia hanno permesso di mettere in evidenza non soltanto lo sviluppo atipico dei bambini che successivamente avrebbero ricevuto una diagnosi di autismo ma anche, in qualche modo, l’effetto che tali atipie producono sulla relazione che i bambini stabiliscono con i loro caregivers primari.

Nello studio di Muratori e collaboratori (2011), i comportamenti del bambino oggetto di analisi sono stati la presenza di sorriso sociale, il voltarsi al richiamo per nome, il ricercare il contatto visivo o fisico con il caregiver, la congruenza tra risposte affettive e sollecitazioni ambientali, la presenza di sguardo referenziale e di comportamenti atti ad attrarre l'attenzione del genitore, il mantenimento di un ruolo attivo nell'interazione con esso, la vocalizzazione ed il rispetto dei turni di parola, ed infine l'utilizzo di vocalizzazioni significative, connotate, cioè, di significato semantico stabile. Per la prima volta in uno studio del genere è stata introdotta una scala per la codifica dei comportamenti dei genitori, allo scopo di esaminare in maniera più approfondita le differenze rilevabili nelle attitudini genitoriali di fronte a bambini che mostravano già una difficoltà nel porsi in interazione con il mondo esterno. I comportamenti esaminati nei caregivers riguardavano la loro capacità di modulare l'arousal e gli stati affettivi del bambino, calmandolo o sollecitandolo, e quella di stimolare in lui comportamenti di richiesta di attenzione rivolti al genitore, mediante l'uso di vocalizzazioni e gesti, come il mostrare ed il toccare.

Ciò che è emerso è che i bambini che in seguito hanno ricevuto diagnosi di ASD, durante i primi 6 mesi di vita possono mostrare comportamenti sociali, come il mantenere un'interazione sociale ed il provare piacere in essa; tuttavia, nei soggetti con autismo, questi comportamenti si manifestano in misura significativamente inferiore.

Inoltre, la durata della sintonia con il caregiver, definita come la congruenza tra risposte affettive e sollecitazioni ambientali, e basata sulla capacità di esprimere emozioni e comprendere quelle altrui, è nettamente ridotta rispetto ai pari con sviluppo tipico.

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combinazione prolungata di attenzione visiva e di espressioni facciali; la presenza di una disregolazione a livello temporale della sintonia, nonostante la frequenza con cui essa si manifesta risulti inalterata, può essere quindi considerata uno dei segni predittivi dell'autismo.

Nell'età compresa tra i 6 ed i 18 mesi, diventano più evidenti i problemi inerenti ai comportamenti sociali: a confronto con bambini a sviluppo tipico, quelli con diagnosi di ASD mostrano una ridotta presenza e durata di comportamenti atti a mantenere un ruolo attivo all'interno di una relazione sociale.

Anche la capacità di entrare in relazione, di prestare attenzione e di provare interesse durante un'interazione sollecitata dal caregiver, risulta ridotta, come la risposta di orientamento al richiamo per nome, considerata come l'abilità di spostare l'attenzione da stimoli non sociali a stimoli sociali.

La capacità di entrare in relazione in seguito ad una sollecitazione, quella di mantenere un ruolo attivo all'interno di essa, e la presenza di orientamento dello sguardo in risposta al richiamo per nome, risultano quindi essere elementi da esaminare attentamente, in grado di aiutarci ad individuare eventuali segni precoci di autismo.

La presenza di tali segni, se da un lato evidenzia una compromissione delle abilità socio-comunicative del bambino, lascia ipotizzare che all’interno della relazione con i genitori, il bambino non riesca ad assumere quel ruolo di “partner interattivo” che ci si potrebbe attendere. Il genitore è pertanto chiamato ad assumere un ruolo ancora più attivo, modificando la naturale simmetria e sincronia che viene descritta nelle prime interazioni del bambino con il suo ambiente come qualità fondamentale per il costituirsi di una teoria della mente.

Per quanto concerne i comportamenti messi in atto dai caregivers nell'interazione con il bambino; ne emerge che, mentre la quantità di comportamenti di sollecitazione (up-regulation) risulta inalterata nel confronto con i genitori di bambini a sviluppo tipico, quella dei comportamenti atti a calmare (down-regulation) risulta invece inferiore. Il fatto che i bambini con AD necessitino quindi in maniera inferiore di essere calmati durante le attività svolte con il caregiver (come vestirsi, farsi il bagno, mangiare e giocare), porta ad affermare che siano meno propensi a manifestare quei fisiologici stati di disregolazione, che richiedono l'intervento dell'adulto. I bambini che svilupperanno ASD vengono difatti descritti nel loro primo anno di vita spesso come molto calmi e tranquilli, in quanto i segni precoci di autismo si manifestano molto più spesso come assenza di comportamenti che rappresentano tappe evolutive fondamentali nel percorso di sviluppo del bambino, che non come presenza di comportamenti strani o atipici.

Per quanto riguarda invece i comportamenti di sollecitazione, dallo studio emergono risultati contrastanti rispetto alla letteratura precedente; quest'ultima infatti sostiene che l'assenza di reciprocità ed interazioni da parte del bambino con Disturbo Autistico, provochi nei genitori un aumento, anche se irregolare, dei comportamenti stimolatori, sia verbali che fisici.

I dati di questa ricerca mostrano come invece i bambini con ASD non vengano considerati dai loro genitori come più bisognosi di sollecitazioni; l'incremento della stimolazione da parte dei caregivers diventa infatti

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caratteristica solo nel secondo e terzo semestre di vita del bambino. Lo studio in oggetto tuttavia non effettua una differenziazione dei diversi tipi di stimolazioni possibili e la mancanza di differenze potrebbe essere dovuta a questo, così come dimostrato in uno studio successivo.

Il tipo di esordio del Disturbo Autistico risulta essere una discriminante da prendere in considerazione in studi futuri, in quanto i comportamenti dei caregivers nei confronti dei bambini che presentano una regressione si distinguono nettamente da quelli con esordio precoce descritti precedentemente.

Questi ultimi infatti tendono ad ottenere maggiori sollecitazioni dai genitori, in quanto essi si trovano a far fronte alla perdita di abilità un tempo acquisite dal bambino.

Una ipotesi che è possibile avanzare è quindi che i comportamenti dei caregivers possono essere essi stessi validi indicatori precoci di uno sviluppo atipico del figlio; difatti, fin dalla prima infanzia, i bambini sono interessati agli scambi reciproci con gli altri e condividono i loro stati psicologici all'interno della relazione diadica, all'interno della quale il comportamento del caregiver influenza quello del bambino e viceversa. La reciprocità può essere definita come una condizione interattiva, nella quale due individui rispondono vicendevolmente l'un l'altro eseguendo delle attività insieme; questo comportamento è presente fin dai primi istanti di vita, quando il bambino si orienta spontaneamente verso il volto della madre.

La reciprocità è necessaria per raggiungere obiettivi condivisi e consiste in uno scambio di turni dotato di sintonia e simmetria.

Nonostante un deficit in quest'area sia una caratteristica centrale dei Disturbi dello Spettro Autistico, le conoscenze riguardo alle prime espressioni di tale deficit non sono ancora conclusive.

Uno studio di Apicella F. e collaboratori (Apicella F. et al, 2013) descrive il fenomeno della reciprocità all'interno dell'interazione tra bambino e caregiver durante il primo anno di vita, mediante l'analisi di filmati familiari.

I comportamenti dei bambini presi in considerazione sono: il coinvolgimento (l'intervallo di tempo che inizia quando il bambino attira l'attenzione del caregiver, e finisce quando egli sposta la sua attenzione su altro interrompendo l'interazione), la responsività (l'intervallo di tempo in cui il bambino riesce a rispondere appropriatamente ai tentativi del caregiver di attirare la sua attenzione), le vocalizzazioni rivolte al caregiver (atte ad attrarre la sua attenzione e/o a rispondere alle sue sollecitazioni), i comportamenti di attivazione (orientamento dello sguardo verso il caregiver e/o comportamenti motori, come muovere gli arti, raggiungere il caregiver, toccarlo, afferrarlo, andargli incontro, al fine di attirare la sua attenzione), i comportamenti sintonizzati (sguardi e comportamenti in risposta alle sollecitazioni del caregiver), i sorrisi rivolti al caregiver.

Nei genitori invece i comportamenti osservati sono: il coinvolgimento (l'intervallo di tempo nel quale il caregiver riesce a rispondere appropriatamente ai tentativi del bambino di attirare la sua attenzione ed a trattenerla), la responsività (l'intervallo di tempo in cui il caregiver riesce a rispondere appropriatamente ai tentativi del bambino di iniziare un'interazione), le vocalizzazioni rivolte al bambino (atte ad iniziare

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un'interazione e/o a rispondere alle sue sollecitazioni), il richiamo per nome, il contatto affettuoso (per esempio carezze o baci, per iniziare un'interazione con il bambino o per rispondere alle sue sollecitazioni), i gesti stimolatori (come fare il solletico, fare le smorfie o mostrare oggetti al bambino, per iniziare un'interazione e/o a rispondere alle sue sollecitazioni).

Il confronto è stato eseguito tra 2 gruppi, rispettivamente composti da 10 bambini con diagnosi di ASD e 9 con sviluppo tipico, suddivisi a loro volta in base all'età del campione (dagli 0 ai 6 mesi e dai 6 ai 12 mesi, rispettivamente denominati T1 e T2).

Nel confronto tra il gruppo di bambini con sviluppo tipico e quelli con diagnosi di ASD, emerge che questi ultimi mostrano punteggi significativamente inferiori per quanto riguarda i comportamenti di attivazione e le vocalizzazioni, soprattutto in risposta alle sollecitazioni dei caregivers, mentre i genitori di bambini con ASD si differenziano per punteggi inferiori relativi al contatto affettuoso con i figli, per la durata della responsività e per la durata del coinvolgimento.

Nei bambini con sviluppo tipico è stata invece rilevata invece una maggiore durata della responsività, una maggiore frequenza di comportamenti attivatori e di vocalizzazioni.

Dai dati ottenuti possiamo osservare quindi, nel confronto tra bambini con ASD e bambini con sviluppo tipico, il delinearsi di traiettorie quasi opposte, durante il primo anno di vita, per quanto riguarda lo sviluppo della reciprocità. Al contrario dei bambini con sviluppo tipico, infatti, quelli con ASD non mostrano uno sviluppo della responsività, ed il tempo che i loro caregivers investono nell'attrarre la loro attenzione tende a diminuire; si ipotizza inoltre che il livello di coinvolgimento dei genitori possa essere modulato dalla responsività del bambino e viceversa.

Inoltre, l'analisi dei filmati suggerisce la presenza di differenze qualitative nei comportamenti utilizzati dal bambino per coinvolgere il caregiver nell'interazione e per rispondergli.

In primis, il basso tasso di comportamenti di attivazione (motori e non) e di comportamenti motori nei bambini con ASD, evidenzia il ridotto impiego da parte di essi di comportamenti motori finalizzati ad intraprendere o a mantenere viva l'interazione con il caregiver; questi dati confermano altri studi condotti sui video familiari (Adrien et al., 1993), nei quali sono stati osservati elevati livelli di ipotonia e la presenza di posture inusuali in bambini con ASD, spesso anche anni prima della formulazione della diagnosi. Alcuni studi sui fratellini (Flanagan J. E. et al., 2012) (Zwaigenbaum L. et al., 2005) hanno descritto la ridotta attività verso i 6 mesi di vita come una caratteristica dei bambini che stanno sviluppando un ASD, trovando conferma in altre ricerche (Phagava et al., 2008) che hanno evidenziato, nei bambini con Disturbi dello Spettro Autistico, una povertà del repertorio motorio, sia all'età di 6 mesi che nelle fasi successive (Fournier et al., 2010).

Questo ha portato ad ipotizzare che le alterazioni per quanto riguarda l'attività motoria nel primo anno di vita, e in particolare nel primo semestre, possano essere una componente chiave per comprendere le differenze qualitative nella reciprocità.

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Durante il secondo semestre di vita, i comportamenti motori e di attivazione aumentano significativamente sia nei bambini con sviluppo tipico, sia nei bambini con ASD; tuttavia questi ultimi rimangono comunque ad un livello leggermente più basso e tendono a non sviluppare comportamenti motori ben sintonizzati, di cui la presenza risulta invece significativamente incrementata nel gruppo con sviluppo tipico.

Questo studio longitudinale suggerisce che, nonostante sia presente un miglioramento dell'attività motoria nei bambini con ASD, essi ne fanno minore uso per sintonizzarsi con gli altri.

Può essere ipotizzato quindi che il pattern, composto dal precoce basso livello di attività motoria e la successiva mancanza di sviluppo di attività motoria sintonizzata, possa rappresentare l'espressione o il substrato delle difficoltà nella reciprocità che si riscontrano nei soggetti con ASD.

Mentre nei primi sei mesi sono state rilevate differenze soltanto per quanto riguarda l'attività motoria, durante il secondo semestre di vita i bambini con ASD si distinguono dai bambini con sviluppo tipico anche per quanto riguarda il tasso di vocalizzazioni; difatti questa differenza significativa è attribuibile sia alla diminuzione di vocalizzazioni, soprattutto in risposta al caregiver, nei bambini con ASD, sia all'aumento delle stesse nei bambini con sviluppo tipico; questo dato è in accordo con il mancato incremento della durata dello stato di responsività descritto precedentemente.

Questi risultati, che mostrano un pattern atipico nello sviluppo delle vocalizzazioni durante il primo anno di vita, sono paragonabili a quelli ottenuti da Ozonoff in uno studio prospettico condotto su fratellini che successivamente hanno sviluppato un Disturbo dello Spettro Autistico (Ozonoff et al., 2010); lo studio ha rilevato che all'età di 6 mesi non vi erano differenze significative nella frequenza delle vocalizzazioni e dei sorrisi sociali tra bambini con ASD e bambini con sviluppo tipico, mentre nel secondo semestre di vita questa si riduceva fino a raggiungere una differenza significativa all'età di 12 mesi.

Il ridotto utilizzo della vocalizzazione in risposta al genitore, può suggerire che, nei bambini con ASD, le vocalizzazioni base non si evolvono in un'abilità comunicativa, che permetta di rispondere, intraprendere un dialogo, fino ad assumere la forma di linguaggio strutturato.

Il pattern atipico di vocalizzazioni rilevato nel gruppo con ASD evidenzia la criticità del periodo che va dal primo al secondo semestre di vita per quanto riguarda lo sviluppo dell'autismo; coerentemente con la descrizione del periodo tra i 4 ed i 7 mesi, come critico sia per lo sviluppo del linguaggio (Kuhl P. K. et al., 2004), che della processazione della voce a livello cerebrale (Grossmann T. et al, 2010), il pattern atipico di vocalizzazioni riscontrate nel gruppo di soggetti con ASD evidenzia la criticità del periodo compreso tra il primo ed il secondo semestre per lo sviluppo dell'autismo.

Un altro dato significativo che è stato rilevato è la riduzione, descritta anche negli studi di Ferber (Ferber et al.,2008), del contatto affettuoso nei bambini con ASD e nei loro caregivers, durante il primo anno di vita. Il contatto affettuoso si manifesta nel caregiver attraverso carezze o baci ed è un fenomeno che tende a decrescere progressivamente durante il primo anno di vita dei bambini con sviluppo tipico; tuttavia esso risulta molto più lento e non raggiunge livelli significativi come nei genitori dei bambini con ASD.

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La differenza nella traiettoria inerente al contatto affettuoso tra il primo semestre ed il secondo è in accordo con il significativo decremento, in questo lasso temporale, della durata dello stato di coinvolgimento nell'interazione; possiamo ipotizzare che entrambi possano essere correlati con l'atipico sviluppo vocale e motorio dei bambini con autismo durante il primo anno di vita.

Un'ipotesi potrebbe essere che i caregivers riducano il loro utilizzo del contatto per coinvolgere i loro bambini come conseguenza della ridotta responsività e della scarsità dei comportamenti sintonizzati descritti nei soggetti con ASD; un'altra ipotesi potrebbe invece riguardare le abilità sociali dei caregivers, che tendono a differenziarsi di soggetto in soggetto. Comunque sia, sono necessarie ulteriori analisi per poter confermare queste considerazioni.

È possibile inoltre osservare una traiettoria opposta per quanto riguarda gli atti stimolatori dei caregivers (ad esempio l’uso di gesti, il solletico, le smorfie o il presentare oggetti al bambino); difatti, i genitori di bambini con ASD mostrano un aumento degli atti stimolatori per coinvolgere i loro piccoli, non riscontrabile nei caregivers dei bambini con sviluppo tipico. Precedenti studi sui filmati familiari descrivono l'aumento delle sollecitazioni genitoriali come un segno precoce di autismo (Muratori F. et al., 2011) (Saint-Georges C. et al., 2011). Inoltre, un recente studio sull'interazione tra genitori e bambini ad alto rischio di sviluppo di ASD, ha messo in evidenza come i comportamenti interattivi dei caregivers siano maggiormente direttivi (Wan M. W. et al., 2012).

Il presente studio aggiunge un ulteriore dato a quelli precedentemente raccolti, riguardo al modo in cui i genitori si adattano alla scarsa responsività dei loro bambini con ASD, integrando due aspetti apparentemente contrastanti. Da una parte, i genitori di bambini che stanno sviluppando un Disturbo dello Spettro Autistico potrebbero interpretare il comportamento del figlio come un riflesso del suo temperamento, riducendo il contatto affettuoso per adattarvisi; dall'altra, potrebbero accorgersi che qualcosa non va nel loro bambino così passivo e apatico, incrementando di conseguenza l'utilizzo di comportamenti stimolatori.

Ciò nonostante, poiché è la qualità dei comportamenti del bambino ad essere ridotta, e non la durata del coinvolgimento e della responsività, i genitori potrebbero notare soltanto alcune sottili differenze e maturare lentamente la consapevolezza che loro figlio necessita di maggiori sollecitazioni.

Difatti, un importante aspetto metodologico dello studio condotto da Saint-Georges e collaboratori (Saint-Georges C. et al., 2011) è l'utilizzo di metodi computazionali che hanno permesso di selezionare soltanto i pattern interattivi eseguiti con successo (dove per successo si intende l'ottenimento di una risposta dal bambino in seguito ad una sollecitazione da parte del caregiver); in questo specifico contesto è evidente l'aumento dei comportamenti di stimolazione e di contatto nei genitori di bambini con ASD in confronto a quelli di bambini con sviluppo tipico.

Questo studio ci suggerisce, quindi, che i bambini con Disturbi dello Spettro Autistico ad esordio precoce possono mostrare problemi sia a livello motorio che a livello vocale, ipotizzando che questo pattern non

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sintonizzato possa interferire in vari modi con lo sviluppo della reciprocità nella relazione primaria tra bambini successivamente diagnosticati ed i loro caregivers. Le differenze per quanto riguarda l'attività motoria si manifestano alla fine del primo semestre di vita, ed è possibile ipotizzare che queste abbiano un risvolto sulla mancanza di iniziativa, sulle difficoltà di mantenimento di un ruolo attivo nell'interazione e sulla reciprocità.

Il decremento nel tempo delle vocalizzazioni, a confronto con i bambini con sviluppo tipico, potrebbe essere visto come un segnale di uno sviluppo sociale atipico.

Se questo pattern motorio e vocale, osservato in bambini che hanno successivamente ricevuto diagnosi di ASD, sarà in futuro confermato dalla ricerca, la sua identificazione precoce potrebbe fornire informazioni utili per identificare precocemente i soggetti ad alto rischio di ASD, permettendo inoltre un accesso tempestivo a trattamenti adeguati.

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