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Carlo Levi. Paura della liberta'

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Academic year: 2021

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INDICE

C

APITOLO I

CARLO LEVI TRA ARTE E POLITICA

 1.1 Un medico pittore………. 2

1.2 Dall’antifascismo militante al Senato………... 9

1.3 Levi scrittore……… 25

CAPITOLO II

CARLO LEVI E IL NEOREALISMO

2.1 La crisi dei tempi moderni………. 31

2.2 Il neorealismo antifascista………. 40

CAPITOLO III

PAURA DELLA LIBERTÀ

 3.1 Un amore incondizionato……….………. 51

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C

APITOLO I

C

ARLO

L

EVI TRA ARTE E POLITICA

1.1 Un medico pittore

La prima difficoltà che si riscontra nell’affrontare un discorso su Carlo Levi è cercare di ricomporre in maniera unitaria il suo percorso esistenziale e letterario. Nella presentazione della raccolta dei discorsi parlamentari di Carlo Levi1, l’allora

Presidente del Senato Marcello Pera citava Ferruccio Parri, che aveva a suo tempo rilevato la difficoltà di ridurre ad unità biografica il complesso percorso esistenziale

1 C. Levi, Discorsi parlamentari, Bologna, Il Mulino, 2003. Il volume raccoglie i discorsi pronunciati in Senato da Carlo Levi tra il 1963 ed il 1970. Senatore della Sinistra lndipendente, Levi intervenne su tutte le più importanti questioni politiche dell'epoca: il varo dei primi governi di centro-sinistra, i problemi dell'emigrazione e della programmazione economica, la "Primavera di Praga", i rapporti con la Cina, la contestazione studentesca. Di particolare rilievo sono i discorsi relativi al patrimonio culturale italiano, un tema al quale Levi si interessò costantemente, e quelli relativi alle condizioni della Sicilia, che testimoniano della vicinanza intellettuale e dell'amicizia di Levi con Danilo Dolci, sociologo e poeta siciliano che ha sempre impiegato con coerenza e coraggio gli strumenti della nonviolenza nella sua attività di animazione sociale e di lotta politica, tanto da essere soprannominato Gandhi della Sicilia.

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di Levi, e osservava che l’elemento unificante di esperienze così varie nella pittura, nella letteratura, nel giornalismo, nella critica militante e nell’impegno politico andava ricercato nella passione che lo animava. Come osservava Pera:

[…] L’impegno unito all’afflato lo portano in spazi più ampi. Cura i bambini di malaria perché è medico. Dipinge ritratti e paesaggi di evidente bellezza perché è pittore. Scrive parole dense e profonde sull’Uomo, sulla Storia, su di sé e su di noi, perché è scrittore. E anche quando Carlo Levi è politico si avverte spesso l’artista, capace di tratteggiare quando interviene dagli scranni, così come è capace di raccontare quando dipinge.2

In questo percorso umano così eclettico – che ha certo molte radici, dall’aspirazione a una sapienza universale che appartiene alla tradizione della cultura ebraica, con la quale Levi si confrontò sempre pur senza ostentazione, fino a una singolarissima personalità che univa una salda fiducia nei propri mezzi espressivi e perfino nella propria superiorità intellettuale a una «rara empatia con uomini, donne, bambini e perfino animali»3 – egli stesso, peraltro, si considerò sempre in primo

luogo un pittore, vedendo nell’arte figurativa la sua “professione” e nelle sue altre esperienze, anche creative, essenzialmente una manifestazione in un certo senso terenziana della propria partecipazione a ogni aspetto dell’esistenza umana.

2 Ibidem, p.11.

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Levi nacque, secondo di quattro tra femmine e maschi, il 29 novembre del 1902 da Ercole e Annetta Treves, entrambi appartenenti a famiglie del ceto medio ebraico torinese, colte ma non ricche, anche se Ercole si era poi costruito una posizione molto agiata grazie alla sua attività di importazione di stoffe inglesi. Tra i fratelli di Annetta vi era Claudio Treves, uno dei fondatori e dei leader più eminenti del socialismo italiano4. Come racconta Riccardo Levi, fratello di Carlo, quando

questi nacque Treves mandò una cartolina d’auguri raffigurante Giuseppe Mazzini, che da ragazzo Carlo tenne sempre sopra il suo letto: «Mio fratello» scriveva Riccardo «non ebbe mai troppa simpatia politica per Mazzini ma rispettò di fatto l’augurio di impegno politico e civile che quella cartolina indicava»5.

4 Membro della direzione piemontese del partito che nel congresso di Reggio Emilia del 1893 era diventato Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, Claudio Treves viene condannato a due mesi di confino nel 1894. Strettamente legato a Filippo Turati e alle posizioni riformiste diventa deputato nel 1906, aderendo negli anni venti al PSU, il Partito Socialista Unitario di Turati e Matteotti, divenendo direttore dell'organo ufficiale del partito, il quotidiano La Giustizia, poi messo al bando dal regime fascista nel 1925. Nel 1926, col regime fascista ormai consolidato, Treves prese la via dell'esilio, valicando il confine svizzero, in compagnia dell'amico Giuseppe Saragat, nella notte tra il 19 e il 20 novembre. Dalla Svizzera raggiunse la Francia, dove partecipò attivamente alle iniziative degli antifascisti, anche dirigendo il quindicinale Rinascita Socialista (organo del PSLI, Partito Socialista dei Lavoratori Italiani) e, dal 1º maggio 1927, il settimanale La Libertà, organo della Concentrazione Antifascista. Nel 1930 sosterrà la riunificazione fra PSLI e PSI e parteciperà nello stesso anno al congresso del Labour Party britannico. Nel giugno 1931 sarà al congresso internazionale sindacale di Madrid e nel luglio prenderà parte ai lavori dell'assemblea dell'Internazionale Socialista a Vienna. Muore a Parigi la notte dell'11 giugno 1933, in un modesto albergo del quartiere latino, poche ore dopo aver commemorato la morte dell'amico Matteotti, alla sezione socialista della capitale francese. Importante resta la sua azione riformista all’interno del partito, basata su una politica pacifista in linea con l'internazionalismo socialista che lo portò a uno scontro diretto con l’allora membro del PSI Benito Mussolini: nel marzo 1915, dopo una lunga serie di reciproci articoli durissimi, giunti all'insulto personale, nonostante lo Statuto del Partito Socialista lo vietasse, Treves sfidò a duello Mussolini. La sfida venne accolta e il duello si svolse alla Bicocca di Niguarda, nel pomeriggio del 29 marzo 1915. Fu un combattimento alla sciabola violentissimo, durato 25 minuti suddivisi in otto assalti consecutivi, nei quali i duellanti infersero, l'un l'altro, varie ferite e contusioni. Al termine dell'ottavo assalto, su consiglio dei medici, i padrini decisero di porre termine allo scontro, comunque constatando l'univoco rifiuto dei duellanti alla riconciliazione. Pur restando ferito all'avambraccio, alla fronte e all'ascella, Treves riuscì a colpire all'orecchio il futuro Duce, che era uscito indenne da sei precedenti duelli. Cfr.: Antonio Casali,

Socialismo e internazionalismo nella storia d'Italia. Claudio Treves 1869-1933, Napoli, Guida Editori,

1985.

5 G. De Donato, S. D’Amaro, Un torinese del Sud: Carlo Levi: una biografia. Milano, Baldini

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Come allora spesso accadeva per i ragazzi dotati, Levi fece un percorso scolastico quantomai rapido, iscrivendosi alla facoltà di medicina a soli sedici anni. Gli anni trascorsi al liceo Alfieri di Torino furono comunque centrali nella sua formazione artistica, grazie alla frequentazione di una cerchia di giovani, anche più grandi di lui, dagli spiccati interessi culturali, che contribuì a spingerlo a cimentarsi con la pittura a partire dal 1915.

Nel 1918 conobbe Piero Gobetti6, iniziando a collaborare con lui prima sulle

pagine di «Energie Nove» e, dal 1922 , su quelle del «La Rivoluzione Liberale». Quando nel novembre del ʼ18 Carlo ebbe per caso tra le mani il primo numero di «Energie Nove», poté affermare:

Quando […] ebbi cominciato a leggerlo, andai innanzi […] con sempre maggiore rapimento. Mi pareva di trovarci, espresso in parole esplicite, rivelato, diventato comunicabile e chiaro, tutto il vago ineffabile che era in me, tutta la energia indeterminata, e così nuova che non sapeva neanche di esistere, tutta la potenza diffusa e inconsapevole7.

costante da seguire. La sua famiglia aveva educato il giovane Carlo «ad opporsi ad ogni forma di potere, ad ogni forma di menzogna e di apparenza, puntando invece dritto alla sostanza e tendendo costantemente alla libertà». Ibidem, p. 23. E in un’intervista raccolta nel ʼ73 da Walter Mauro, Carlo afferma: «L’educazione della mia famiglia era non soltanto di tradizioni politicamente e socialmente avanzate nel significato socialistico, ma anche individualmente di alta qualità morale, di un senso profondo della trascendenza che non può confondersi con l’immanenza: per cui io ero segnato fin da principio a non poter accettare certe forme, i rituali convenzionali». Ibidem, p. 23.

6 Considerato un erede della tradizione post-illuminista e liberale che aveva guidato l'Italia dal Risorgimento fino a poco tempo prima, tuttavia di stampo profondamente sociale e sensibile alle rivendicazioni del socialismo, Piero Gobetti fondò e diresse le riviste Energie Nove, La Rivoluzione

Liberale e Il Baretti, dando fondamentali contributi alla vita politica e culturale, prima che le sue

condizioni di salute, aggravate dalle violenze fasciste, ne provocassero la morte prematura a 24 anni durante l'esilio francese. Cfr.: M. Brosio, Riflessioni su Piero Gobetti, in Collana editoriale Quaderno

della Gioventù Liberale Italiana di Torino e della Segreteria cittadina del P. L. I., Torino, Lito-Copisteria

Valetto, 1974.

7 G. De Donato, S. D’Amaro, Un torinese del Sud: Carlo Levi: una biografia, cit., p.26. Carlo ricorderà in seguito il momento dell’incontro per lui magico con Piero: «Quel senso di potenza illimitata era nel fondo giovanile della sua vita, della nostra vita: e l’immagine di Piero Gobetti adolescente è quella dell’energia, del formarsi primo della persona […] Una illimitata capacità di vita, una straordinaria

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L’incontro con Gobetti costituisce uno snodo fondamentale nel percorso di formazione del giovane Levi non solo dal punto di vista politico, ma anche sotto il profilo artistico, dal momento che Gobetti lo presentò a Felice Casorati8, che Piero

stesso aveva promosso a «futuro maestro di un’intera generazione di pittori a campione del classicismo, contro impressionismo e decadentismo»9. Di venti anni

maggiore di Levi, Casorati era già un pittore piuttosto noto (aveva già esposto alle biennali veneziane del 1909 e del 1910, e successivamente si era avvicinato alla lezione della Secessione viennese, che aveva contribuito a far conoscere in Italia attraverso la rivista Via Lattea pubblicata a Verona nel 1914) quando si era trasferito a Torino con la famiglia dopo la guerra. «[…] Il suo arrivo», come scrisse Levi alla morte di Casorati nel 1963 «era stato […] come la caduta di un masso in uno stagno, e aveva modificato d’un tratto […] la vita culturale della città»10. Levi diventò

dunque allievo della scuola di pittura di Casorati, che gli fu maestro di quella rigorosa costruttività e saldezza formale che sarà il segno intorno al quale evolverà l’esperienza artistica di Levi il quale, pur affrancandosi ben presto dal ruolo di freschezza e verità erano dunque in quel suo occhio penetrante, che brillava dietro gli occhiali, e ti guardava con un severo giudizio fraterno, che è assai più che uno sguardo complice dell’amicizia».

Ibidem, p.26.

8 Felice Casorati discende da una famiglia che aveva dato all'Italia matematici e scienziati di fama. Il padre fu ufficiale di carriera e pittore dilettante. Casorati fu arruolato nell'esercito nel 1915, e quando alla morte del padre nel 1917 si trasferì con la famiglia a Torino, divenne ben presto una figura centrale nei circoli intellettuali della città. Strinse rapporti di amicizia con il compositore Alfredo Casella e con Piero Gobetti, aderendo nel 1922 al gruppo della "Rivoluzione Liberale". Nel 1923, in conseguenza dell'amicizia con l'antifascista Gobetti, subì un arresto e alcuni giorni di carcere; dopo quell'episodio evitò di entrare in conflitto aperto con il regime. Cfr.: Angiuli E., Matteoni D., La poesia della tavola. Da

Giuseppe De Nittis a Felice Casorati, Milano, Silvana Editore, 2015.

9 G. De Donato, S. D’Amaro, Un torinese del Sud: Carlo Levi: una biografia, cit., p. 36.

10 C. Levi, Prima e dopo le parole. Scritti e discorsi sulla letteratura, a cura e con introduzione di G. De Donato e R. Galvagno, Roma, Donzelli, 2001, p. 95.

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allievo, mantenne sempre vivo un rapporto di salda amicizia col maestro, nonostante la differenza di età e l’improvviso allontanamento di Casorati da qualsiasi coinvolgimento in attività politiche, dopo lo shock dell’arresto da lui subito nel 1923 a causa della collaborazione con la casa editrice di Gobetti.

Alla metà degli anni ’20 il giovane Levi sembra incerto fra la carriera artistica e quella scientifica. Laureatosi a pieni voti nel 1924, diventa assistente del professor Micheli presso la cattedra di clinica medica, pubblicando studi sperimentali di internistica di notevole pregio, e nell’ambito del perfezionamento dei suoi studi medici si reca a Parigi per il primo di vari soggiorni che ebbero un ruolo essenziale nella sua maturazione artistica, e nell’aprire una finestra europea a quello che cominciava ad essere un pittore con un proprio ruolo nello scenario artistico italiano. In quello stesso anno infatti debutta alla biennale di Venezia esponendo tre dipinti:

Arcadia, Il fratello e la sorella, La madre e Lelle bambina.

In questo periodo Levi consolida il proprio impegno politico-culturale, collaborando alla Rivoluzione liberale fino alla sua chiusura nel 1925, e ancora alla rivista culturale di Gobetti, Il Baretti, fino alla chiusura nel 1928. Nel 1927 Levi decide di dedicarsi interamente alla pittura, abbandonando la carriera medica, e si reca a Parigi dove, anche grazie ai contatti col mondo artistico francese della sua fidanzata di allora, la lettone Vitia Gourevitch11, comincia a guadagnare una crescente

11 Figlia di Lèon Gourevitch, Vitia, la “belle rousse”, si trasferisce dalla Russia a Torino nel 1919 e poi successivamente a Parigi. Non a caso di dedica alla danza già durante il periodo torinese, e, con le sorelle Bella e Raja Markman, compagne della pittrice inglese Jessie Boswell, entra nel cenacolo artistico più esclusivo di Torino a quell’epoca: quello di Cesarina e Riccardo Gualino. Cfr. G. De Donato, S. D’Amaro, Un torinese del Sud: Carlo Levi: una biografia, cit., pp.30-31. Riccardo Gualino, un

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notorietà. Tra il 1928 e il 1932 alterna i soggiorni parigini a quelli torinesi durante i quali partecipa alla vita artistica italiana e soprattutto a quella del cosiddetto “Gruppo dei Sei” (oltre a Levi, Jessie Boswell, l’unica donna, Gigi Chessa, Nicola Galante, Francesco Menzio e Enrico Paulucci), impegnati nella ricerca di un linguaggio moderno che mantenesse un rapporto dialettico con la pittura italiana dell’800, in una polemica col futurismo che aveva una chiara connotazione politica; come scrisse Levi nell’introduzione al catalogo della mostra torinese sui Sei del 1965:

[…] l’origine vera del Gruppo [era] nella ricerca di un linguaggio pittorico di libertà, a noi adatta e vissuta, reale; in opposizione contro i falsi miti novecenteschi, gli arcaismi, i populismi totalitari, le mistificazioni moderne della retorica e dell’accademia e dell’attivismo e vitalismo futurista 12.

finanziere e industriale attivo sui mercati internazionali, soprattutto con la Russia, fu una figura di rilievo nel panorama artistico e culturale torinese. Assieme alla moglie Cesarina Gurgo Salice, fu un grande mecenate e amante delle arti, amico del critico d'arte Lionello Venturi, che coinvolse in molte attività, e sostenitore di molti artisti, tra i quali il pittore Felice Casorati e il gruppo dei Sei di Torino, del quale fecero parte sia Carlo Levi che la pittrice inglese Jessie Boswell. Cfr.: S.Baldi , N. Betta ; C. Trinchero, Il

teatro di Torino di Riccardo Gualino (1925-1930). Studi e documenti, Lucca, LIM, 2014.

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1.2 Dall’antifascismo militante al Senato

In realtà la ricerca artistica di Levi è speculare a un crescente impegno antifascista, con l’adesione al movimento clandestino “Giustizia e libertà” di Carlo Rosselli, fin dalla sua costituzione nel 1929, adesione cui egli da’ contenuto collaborando alla rivista edita in Francia, fornendo la sua opera di disegnatore, coordinando le attività del gruppo torinese che – dopo i processi del 1930-31 che avevano decapitato i gruppi milanese e romano con le condanne di Ernesto Rossi, Riccardo Bauer, Francesco Fancello, Nello Traquandi e altri – era diventato la principale realtà italiana del Movimento13. È interessante notare che l’estraneità dei

giovani borghesi di GL agli ambienti considerati dall’OVRA come i più tipici dell’attività antifascista torinese (la classe operaia, i vecchi militanti del Partito comunista e dei Partiti aventiniani) contribuì per lungo tempo alla completa ignoranza da parte della polizia circa l’identità degli aderenti. Sotto questo aspetto Levi – giunto all’età adulta sotto il Regime, laureato, di famiglia benestante, artista di

13 Tra il 1930 e il 1931, Carlo Rosselli, uno tra i principali fondatori del movimento, stipulò un accordo con il Partito Socialista Italiano e poi con la Concentrazione Antifascista, nel quale si riconobbe GL come

il movimento unitario dell'azione rivoluzionaria in Italia. Carlo Rosselli fu il teorico del "socialismo

liberale", un socialismo riformista non marxista ispirato al laburismo inglese. Insieme al fratello Nello fu ucciso in Francia nel 1937 da assassini legati al regime fascista. Per uno studio approfondito sulle origini e l’evoluzione delle brigate partigiane cfr. S. Fedele, I repubblicani in esilio nella lotta contro il fascismo

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crescente fama anche a livello internazionale, che espone a Parigi e Londra e fa anche le sue prime prove nel cinema come scenografo e sceneggiatore – rappresenta un esempio tipico di un ambiente che, al di là di frequentazioni e passioni giovanili, si riteneva naturalmente “normalizzato”, e capace tutt’al più di un dissenso meramente culturale e “privato”.

Questa situazione si modifica bruscamente nel febbraio del 1934, quando la polizia di frontiera arresta a Ponte Tresa, mentre tentano di introdurre in Italia stampa clandestina, due giovani militanti torinesi di GL, Sion Segre Amar e Mario Levi; quest’ultimo, che riesce a sfuggire alla cattura e a riattraversare il confine, è fratello, oltre che della futura scrittrice Natalia Ginzburg, anche di Paola, moglie di Adriano Olivetti e notoriamente amante di Carlo Levi (dal quale avrà nel 1937 una bambina, Anna). La polizia arresta quindi, insieme ad altre persone dello stesso ambiente, anche Levi, che viene imprigionato nelle Carceri Nuove di Torino; il prudente e disinvolto artista però, che è riuscito a nascondere in luogo sicuro qualsiasi materiale compromettente, non cede ai pressanti interrogatori, sostenendo che le sue relazioni con gli arrestati hanno carattere meramente amicale e culturale14.

14 Nel marzo del 1934 Carlo si trovava nella villa paterna di Alassio quando due carabinieri arrivarono per arrestarlo. Rievocando in seguito quest’episodio Carlo racconta: «Mi ricordai che avevo in tasca delle carte compromettenti: erano degli articoli manoscritti, di parecchi collaboratori, che dovevano essere spediti in Francia per essere pubblicati sui «Quaderni di Giustizia e Libertà». Dovevo agire rapidissimamente, non avendo il tempo di farli scomparire; salii alla stanza di sopra, vi trovai la moglie del mezzadro […] che stava rifacendo il letto. In quella urgenza, prima che arrivasse la forza pubblica alla mia porta, cercavo qualche nascondiglio per le carte; la giovane contadina mi disse: «Le dia a me». Intuì, perché non sapeva nulla; e le mise in seno, senza chiedermi niente». G. De Donato, S. D’Amaro,

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Carlo rimane in carcere per quasi due mesi, dal 13 marzo al 9 maggio ʼ34, e questo periodo di detenzione sembra proiettarlo in una dimensione di tempo e spazio sospesi, sintomo di un attonito smarrimento dello scrittore che si traduce in una continua ricerca delle proprie certezze e dei propri rapporti con la realtà, come si deduce dalla corrispondenza epistolare di quei mesi. In una lettera del 6 aprile alla madre Annetta scrive:

Anche il cielo attraverso le grate, è molto indeterminato: non è proprio un vero cielo, ma piuttosto un buco luminoso, nel quale non si distingue bene il nuvolo dal sereno, gli aeroplani dagli uccelli; e i rumori che vengono dal di fuori, quelli di una fabbrica vicina, o dei tram, la notte, o le voci delle guardie, non hanno neppur essi una dimensione e un carattere preciso15.

Seppur con un provvedimento di ammonizione il 9 maggio viene quindi rilasciato, ma l’OVRA continua a indagare sul movimento infiltrandolo con un suo informatore, il popolare scrittore Pitigrilli, al secolo Dino Segre16, cugino di Sion

Segre Amar; l’infiltrato indirizza di nuovo l’attenzione degli inquirenti su Levi, che viene arrestato nel maggio 1935. Egli però – per motivi che testimoniano la superiore chiaroveggenza dell’artista rispetto ai meri attivisti politici – ha sempre diffidato di

15 Ibidem, p. 101.

16 Dino Segre, noto con lo pseudonimo di Pitigrilli, era già collaboratore e membro dell’ OVRA prima che questa diventasse la polizia segreta dell’Italia fascista. Grazie alla sua azione di spionaggio e di delazione portò all'arresto di numerose personalità dell'antifascismo, perlopiù torinesi e appartenenti al gruppo Giustizia e Libertà. Mussolini aveva creato l’OVRA ispirandosi alla polizia segreta sovietica; ricomposta e potenziata alla fine del 1926 per opera del capo della Polizia di Stato, Arturo Bocchini: «Nell'Esercito vi era un'arma che aveva sopra tutto carattere esclusivamente dinastico: l'arma dei carabinieri. Era questa l'arma del re. Anche qui il Fascismo cercò di organizzare una polizia che desse garanzie dal punto di vista politico e vi aggiunse una organizzazione segreta: l'OVRA.» Benito Mussolini,

Il tempo del bastone e della carota. Storia di un anno (ottobre 1942 - settembre 1943), in supplemento al

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Pitigrilli, ed ha avuto cura di non aprirsi in alcun modo con lui. E in effetti Carlo aveva da subito nutrito dei sospetti verso quel personaggio dall’abile tattica manovriera:

Aveva intuito che quell’uomo apparteneva ad un altro mondo e ad un’altra Italia, cinica, avida, amorale, assetata di potere. Scrive Carlo nel primo dei suoi articoli sull’«Italia libera»: Da noi […] la crisi della civiltà si espresse in forma politica, con il fascismo, e il suo compromesso virtuistico, monarchico e cattolico […] Pitigrilli semplicemente la adoperò. Quel mondo elementarmente insofferente di legami morali, privo di ideali e rivolto soltanto a una miserabile vita particolare, quella borghese in dissoluzione, con le sue povere ambizioni di potere e di sessualità, rappresentarono per lui un argomento di scrittura superficiale, e, soprattutto un pubblico pronto e adatto a essere sollecitato […] Il basso, il povero mondo piccolo borghese del fascismo si ritrovava con le sue aspirazioni e le sue voglie nei suoi personaggi, nei suoi mammiferi di lusso, nel suo gergo spregiudicato, e soprattutto si beava del suo cinismo, che, come in politica, scambiava per realismo, per una reale superiorità e forza di spirito17.

Una volta di più, dopo due mesi di interrogatori prima alle Carceri Nuove, e poi a Roma, a Regina Coeli, non emergono elementi che giustifichino il deferimento al tribunale speciale (che condanna invece a pesanti pene detentive Segre Amar, Leone Ginzburg, Vittorio Foa, Michele Giua e il pur “pentito” Massimo Mila); tuttavia Levi è proposto per la misura di prevenzione come sospetto antifascista, e ad agosto viene inviato al confino a Grassano, in provincia di Matera. Dopo appena un

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mese però la Questura raccomanda il suo trasferimento in una località più isolata, apparendo difficile tenere sotto controllo l’esuberante pittore, che in poche settimane ha ricevuto la visita di Paola Olivetti e ha avuto modo di mettersi in contatto con Vitia Gourevitch, da tempo sposata in Lettonia (tutta la complessa vita sentimentale di Levi è caratterizzata da relazioni che non sfoceranno mai in una vita famigliare – quali quella ventennale con Linuccia, figlia del poeta Umberto Saba e moglie del pittore Lionello Giorni, o quella con Luisa Orioli18 – e che non si interromperanno mai

veramente nemmeno dopo la fine dell’intimità, trasformandosi in profondi rapporti affettivi e intellettuali); Levi viene perciò inviato ad Aliano.

Il confino, come è noto, rappresenta una vera svolta nella vita dell’artista. L’empatico e generoso Levi scopre nella vita contadina lucana un mondo alternativo a quello della modernità e della razionalità da cui proviene, nel quale sa penetrare con curiosità e rispetto (un esito tutt’altro che scontato se si pensa, ad esempio, al drammatico senso di estraneità con cui Cesare Pavese visse il confino a Brancaleone)19; ne nasce un’esperienza centrale nel suo percorso umano sotto ogni

18 Malgrado i risvolti conflittuali ora latenti ora flagranti del loro ménage, Carlo Levi rimase legato a Linuccia Saba fino alla morte; Luisa Orioli era una sua modella, traduttrice, e in seguito sarà consigliere delegato nell’82 della Fondazione Carlo Levi, memorabile fu la sua interpretazione nel film del 1962 di Pier Paolo Pasolini, Mamma Roma, in cui recitò affianco alla grande attrice Anna Magnani.

19 Cesare Pavese fu processato nel 1935 per antifascismo e inviato in confino a Brancaleone Calabro. Nell’anno successivo pubblicò Lavorare stanca, una raccolta di poesie che sono ricordi della sua esperienza di confinato politico. Giunto nel paesino calabrese scrisse ad Augusto Monti, che era stato suo insegnante di lingua italiana e lingua latina al liceo classico Massimo D'Azeglio di Torino, amico di Piero Gobetti (collaborò alla sua rivista La Rivoluzione liberale) e di Antonio Gramsci : «Qui i paesani mi hanno accolto umanamente, spiegandomi che, del resto, si tratta di una loro tradizione e che fanno così con tutti. Il giorno lo passo "dando volta", leggicchio, ristudio per la terza volta il greco, fumo la pipa, faccio venir notte; ogni volta indignandomi che, con tante invenzioni solenni, il genio italico non abbia ancora escogitato una droga che propini il letargo a volontà, nel mio caso per tre anni. Per tre anni! Studiare è una parola; non si può niente che valga in questa incertezza di vita, se non assaporare in tutte le sue qualità e quantità più luride la noia, il tedio, la seccaggine, la sgonfia, lo spleen e il mal di pancia. Esercito il più squallido dei passatempi. Acchiappo le mosche, traduco dal greco, mi astengo dal

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profilo: filosofico, perché trasforma e completa il peculiare umanesimo che costituisce la sua chiave di lettura dell’esistenza; politico, perché precisa e definisce la sua visione della democrazia, derivata dall’insegnamento di Gaetano Salvemini20,

incentrata sull’autonomia delle comunità elementari; artistico, perché questa esperienza, mentre darà inizio, con Cristo si è fermato a Eboli, alla sua carriera di scrittore, indirizzerà il suo percorso pittorico degli anni successivi.

Liberato a seguito del condono concesso a numerosi confinati in occasione della proclamazione dell’Impero, rientra a Torino, dove riprende la sua attività artistica cimentandosi non solo nella pittura (nel biennio successivo al suo rilascio presenta numerose “personali” a Milano, Roma e Genova, e suoi dipinti sono esposti nel dicembre del 1937 all’Anthology of Contemporary italian painting di New York) ma anche nella poesia e nella scenografia cinematografica. Per quanto sia costretto a muoversi con estrema prudenza, il confino non ha certo spento la sua passione politica: nell’estate del 1937 dipinge un Autoritratto con camicia insanguinata che sembra alludere all’assassinio dei fratelli Rosselli, avvenuto il 10 giugno di quell’anno, e a partire dall’anno successivo riesce a far arrivare clandestinamente in Francia articoli pubblicati su Giustizia e Libertà.

guardare il mare, giro i campi, fumo, tengo lo zibaldone, rileggo la corrispondenza dalla patria, serbo un'inutile castità», Lettera ad Augusto Monti, 11 settembre, pubblicata in Davide Lajolo, Il vizio assurdo, Milano, Il Saggiatore, 1967, pp.120-122.

20 Membro del Partito Socialista Italiano di corrente meridionalista, Salvemini fu un tenace sostenitore del suffragio universale e del federalismo, visto come unica possibilità per risolvere la questione del Mezzogiorno, cercando di condurre su posizioni meridionaliste il movimento socialista e insistendo sulla necessità di un collegamento tra operai del nord e contadini del sud, sulla necessità dell'abolizione del protezionismo e delle tariffe doganali di Stato (che proteggono l'industria privilegiata e danneggiano i consumatori), e della formazione di una piccola proprietà contadina che liquidasse il latifondo. Fu tra i fondatori del movimento Giustizia e Libertà a Parigi nel 1929. Cfr.: M. L. Salvadori, Gaetano Salvemini, Torino, Einaudi, 1963.

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Dal settembre 1938 però la posizione di Levi si complica a causa dell’avvio della politica razziale, che impedisce di fatto agli artisti ebrei di esporre o pubblicare col proprio nome21. Nel giugno 1939 si trasferisce a Parigi, e di qui a La Baule in

Normandia, dove scrive il saggio Paura della Libertà. Dopo l’invasione tedesca della Francia, Levi ritiene prudente abbandonare la “Zona occupata” e si trasferisce a Marsiglia. Anche se nemmeno la Francia può essere considerata un posto sicuro; così Levi riesce a ottenere un visto americano, ma all’ultimo momento decide di non partire per gli USA, e nel 1941 rientra in Italia, stabilendosi prima a Milano, dove entra in contatto con Ugo La Malfa partecipando alla fondazione del Partito d’Azione22, quindi a Firenze, dove si guadagna da vivere essenzialmente come

ritrattista.

Sospettato di attività antifascista, viene arrestato nell’aprile del 1943 e rinchiuso al carcere delle Murate, da dove è liberato con la caduta di Mussolini. Dopo l’8 settembre entra in clandestinità; nonostante i pericoli, i disagi e l’impegno nella

21 Le leggi razziali fasciste vennero applicate in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana. Nel primo numero della rivista «La difesa della razza» si sosteneva quanto segue:«È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo arianonordico». «La difesa della razza», anno I, numero 1, 5 agosto 1938, p. 2. Si era ormai delineata la forte radice antisemita del fascismo di quegli anni sempre più legato alla Germania nazista, che già nel 1935 aveva promulgato le leggi di Norimberga.

22 Il 4 giugno 1942, i gruppi di Giustizia e Libertà presenti in Italia costituirono clandestinamente il

Partito d'Azione, nella casa romana di Federico Comandini; oltre alla componente giellista, aderirono al

nuovo partito, d'ispirazione mazziniana, numerosi repubblicani e liberal-democratici (in gran parte una volta rientrati dall'esilio o dal confino) quali Guido Calogero, Ugo La Malfa, Ferruccio Parri, , Riccardo Bauer, Adolfo Omodeo, Vittorio Foa, Leo Valiani, Alberto Tarchiani, Oronzo Reale, Riccardo Lombardi, Francesco De Martino ed altri. Dopo la caduta di Mussolini e l'invasione nazista dell'Italia, i membri del Partito d'Azione organizzarono bande partigiane e parteciparono alla Resistenza con le Brigate Giustizia e Libertà.

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Resistenza non interrompe l’attività creativa, terminando fra l’altro la stesura del

Cristo. Dopo la liberazione di Firenze, entra per il PdA nel CLN23 della Toscana,

assumendo la direzione de «La nazione del popolo», organo del CLN regionale. Nel giugno del 1945 si trasferisce a Roma per assumere la direzione de «L’Italia libera», organo del Partito d’Azione. Si apre così un anno di esperienze quanto mai intense. In questo periodo, mentre Einaudi pubblica Cristo si è fermato a Eboli con un immediato e travolgente successo anche all’estero, e soprattutto negli USA, si consuma rapidamente l’esperienza del PdA, entrato in crisi dopo la caduta del Governo Parri24 (episodio centrale dell’Orologio) e la crescente inconciliabilità delle

diverse culture che lo avevano animato. Levi però muove agli azionisti una critica di segno diverso, accusandoli di un’insufficiente attenzione verso le questioni

23 Il Comitato di Liberazione Nazionale era stato fondato a Roma il 9 settembre 1943, allo scopo di opporsi al fascismo e all'occupazione tedesca in Italia, sciolto successivamente nel 1947. In particolare il CLN ha coordinato e diretto la resistenza italiana diviso in Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), con sede nella città di Milano durante la sua occupazione, ed il Comitato di Liberazione

Nazionale Centrale (CLNC). Era una formazione interpartitica formata da movimenti di diversa

estrazione culturale e ideologica, composta da rappresentanti del Partito Comunista Italiano (PCI), Democrazia Cristiana (DC), Partito d'Azione (PdA), Partito Liberale Italiano (PLI), Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) e Democrazia del Lavoro (DL). Per ulteriori approfondimenti sulla storia della resistenza italiana si veda: Resistenza a cura di Giorgio Sacchetti, Resistenza e Guerra

Sociale in Rivista Storica dell'Anarchismo, N.1º gennaio-giugno 1995; Lettere della resistenza europea

Torino, Einaudi, 1974; Storie della Resistenza, a cura di D. Gallo e I. Poma, Palermo, Sellerio, 2013; Paolo Alatri, Il prezzo della libertà. Episodi di lotta antifascista, Milano, Tipografia Nava, 1958.

24 «Se ci fu un presidente del Consiglio italiano che meritò la qualifica di galantuomo, di politico onesto e probo, quello fu Ferruccio Parri», Indro Montanelli, L'Italia della guerra civile, Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2000. Ferruccio Parri fu il primo presidente del Consiglio a capo di un governo di unità nazionale istituito alla fine della seconda guerra mondiale; Il Governo Parri fu in carica dal 21 giugno 1945 al 10 dicembre 1945, per un totale di 172 giorni, ovvero 5 mesi e 19 giorni. Composto dai seguenti partiti: Democrazia Cristiana (DC), Partito Comunista Italiano (PCI), Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP già PSI), Partito Liberale Italiano (PLI), Partito d'Azione (PdA), Partito Democratico del Lavoro (PDL), aveva alimentato le speranze rivoluzionarie di una parte della Resistenza che aveva visto nell'assunzione di Ferruccio Parri, espressione del CLN, al governo un primo passo verso un rinnovamento istituzionale e sociale. Il rinnovamento politico, che era parso configurarsi con la cosiddetta "epurazione" - l'allontanamento dalle fabbriche e dagli uffici pubblici di coloro che avevano collaborato con il passato regime - e con l'annuncio del governo Parri di un'imposta sul capitale, si spense invece di fronte ad una forte opposizione interna ed esterna, provocando profonda amarezza in quanti avevano sperato in un cambiamento radicale con la nuova forma di governo repubblicana.

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meridionale e contadina, dalla cui comprensione, a suo avviso, dipende la possibilità di realizzare in Italia una vera rivoluzione democratica. Aderisce così ad Alleanza Repubblicana, un gruppo fondato dagli azionisti meridionalisti Dorso, Rossi Doria e Fiore, con cui si candida all’Assemblea costituente. AR però non raggiunge il quorum e non elegge deputati25.

Intanto lo straordinario successo del Cristo si è fermato a Eboli conferisce a Levi una posizione centrale in quel rinnovamento della vita culturale nazionale che si manifesta nel dopoguerra e che, grazie in primo luogo al cinema, assume ben presto una dimensione internazionale26. All’immagine di Levi fuori dell’Italia contribuisce

in maniera determinante il viaggio che compie insieme a Parri nel 1947 negli USA, organizzato da una associazione culturale italoamericana per far conoscere al pubblico americano le condizioni e i bisogni della nuova Italia repubblicana. Il

25 Per ulteriori approfondimenti sulla situazione politica italiana del secondo dopoguerra si veda: A. D'Andrea, Il secondo dopoguerra in Italia, 1945-1960, Cosenza, Pellegrini Editore, 1977; A. Desideri,

Storia e storiografia, Vol. III, Messina-Firenze, Ed. D'Anna, 1980; N. Kogan, L'Italia del dopoguerra. Storia politica dal 1945 al 1966, Bari, Laterza, 1968; S. J. Woolf, Italia 1943-1950. La ricostruzione,

Bari, Laterza, 1974; L. De Rosa, Lo sviluppo economico dell'Italia dal dopoguerra a oggi, Bari, Laterza, 1997; N. Bobbio, Dal fascismo alla democrazia: i regimi, le ideologie, le figure e le culture politiche, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2008; C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella

Resistenza, Torino,Bollati Boringhieri Editore, 2006.

26 Sono infatti di quegli anni i film e i protagonisti tra i più creativi e prestigiosi della storia recente del cinema italiano. Tra i registi di maggior spicco che conosceranno una grande affermazione internazionale si ricordano: Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Giuseppe De Santis, Luchino Visconti, Federico Fellini. I film neorealisti sono generalmente girati con attori non professionisti; le scene sono girate quasi esclusivamente in esterno, per lo più in periferia e in campagna; il soggetto rappresenta la vita di lavoratori e di indigenti, impoveriti dalla guerra. L’immagine dell’Italia che ne viene fuori è quella di un paese povero e desolato, per tale ragione nel 1949 fu emanata una legge, presentata dall'allora sottosegretario allo spettacolo Giulio Andreotti, che prevedeva una sorta di censura preventiva: se si riteneva che un film diffamava l'Italia poteva essere negata la licenza di esportazione. Per quanto concerne il periodo neorealista del cinema italiano se esiste univocità di giudizi, o quasi, sull'anno in cui ha avuto inizio il fenomeno del neorealismo propriamente detto (il 1943, allorquando venne presentato al pubblico italiano il capolavoro di Visconti Ossessione), le certezze vengono meno al momento di stabilirne la durata. Il celebre critico francese George Sadoul, ad esempio, lo fa dilatare cronologicamente fino alle soglie degli anni sessanta e cita a tale proposito Rocco e i suoi fratelli (1960) che egli definisce «une grande tragédie néo-réaliste». Cfr. George Sadoul, Histoire du Cinema Mondial,

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viaggio diventa una straordinaria occasione di promozione culturale, grazie soprattutto all’abile opera di Max Ascoli27 che introduce Levi nell’ambiente

intellettuale d’oltreoceano, procurandogli una collaborazione con Life che, seguita da quella con La Stampa e altri giornali italiani, darà vita a una delle più caratteristiche attività di Levi negli anni ’50, quella di moderno “GrandTourist”, narratore e interprete di un mondo che, tra guerra fredda, decolonizzazione e nuovi media, comincia a rivelare al lettore medio italiano un volto assai diverso da quello consolidato dalla tradizionale letteratura di viaggio ed esotista.

Nel contesto di questa attività – che darà vita ad acutissimi reportage, alcuni dei quali si trasformeranno in opere di maggior respiro, come La doppia notte dei

tigli sulla Germania divisa e Il futuro ha un cuore antico sulla società sovietica – si

distinguono i viaggi nell’Italia del Sud, dai quali nascono opere come Le parole sono

pietre e Tutto il miele è finito, e nei quali il punto di vista dell’osservatore diventa

anche quello di un soggetto attivo. Levi infatti in questi anni è ormai una figura chiave del meridionalismo militante, animatore del movimento di opinione pubblica contro la persecuzione amministrativa e giudiziaria di Danilo Dolci in Sicilia,mentore di tutta una nuova generazione di intellettuali meridionalisti specialmente lucani, si pensi soprattutto a Rocco Scotellaro28 al quale Levi rimase legato da una profonda

27 Professore di diritto alle università di Roma e Cagliari alla fine degli anni ‘20, Max Ascoli nel 1931 emigra per le proprie convinzioni antifasciste negli Stati Uniti dove insegnò alla New School for Social Research e fu fondatore e direttore dal 1949 al 1968 della rivista The Reporter.

28 Di umile famiglia, il padre Vincenzo era calzolaio e la madre Francesca Armento una casalinga, Rocco Scotellaro conosceva bene il dramma dei contadini meridionali, e, pur continuando gli studi classici (prima a Napoli, poi a Bari) inizia un'intensa attività sindacale che sfocia nell'iscrizione al Comitato di Liberazione Nazionale, al Partito Socialista Italiano e nella fondazione della sezione tricaricese del suddetto partito. Nel 1946, all'età di ventitré anni, viene eletto sindaco di Tricarico e nello

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amicizia. Proprio con il giovane poeta – che, come Dolci, vedrà Levi schierato al suo fianco durante le tormentose vicende giudiziarie con le quali si tenterà di contrastare il suo impegno riformatore – farà nel dicembre del 1952 un viaggio in Calabria dal quale nasceranno alcuni dei suoi quadri più famosi come La porta del Sud, Melissa,

Antonio e il porco, Il piccolo assegnatario, Nonna e nipote. In un suo articolo Levi

riferendosi ai suoi quadri di Calabria afferma:

È, per me, il paesaggio più vero che io conosca […] L’ho visto, la prima volta, tanti anni fa, nelle argille desolate di Lucania, che si stendono a perdita d’occhio da Aliano a Pisticci, da Craco a Montalbano, dove sulle bianche distese deserte passa l’ombra delle nuvole; l’ho rivisto, diverso e sostanzialmente simile, in tutte le terre povere del Sud […] È la terra della fatica contadina, della miseria e della civiltà contadina. Il suo colore è quello della terra antica, nuda, bruciata da tutti i soli, lavata e spogliata da tutte le piogge; lo stesso colore del viso degli uomini e delle donne, il colore della malaria, della fame, della fatica, della pazienza e del coraggio di vivere. […] Queste figure di calabresi che ho dipinto vogliono essere la descrizione, la storia di un paese di braccianti poveri. Non sono dei ritratti, ma dei personaggi, come il paesaggio su cui vivono. Ognuno di essi porta sul viso la

stesso anno incontra per la prima volta Manlio Rossi Doria e Carlo Levi, che Rocco indicherà come suo mentore. Nel dopoguerra Rocco Scotellaro vide nel Partito Socialista il mezzo ideale per il miglioramento delle condizioni economiche e sociali dei contadini di cui i governi si erano sempre poco occupati. Avendo vissuto l'infanzia e lunghi anni dell'età adulta in un centro rurale, era ben conscio della situazione disumana in cui sopravviveva la civiltà contadina: le carenze alimentari e igienico-sanitarie, un caporalato spietato e intransigente, l'estrema e costante povertà. Sin dall'inizio della sua attività politica si dedicò quasi esclusivamente allo sradicamento di queste fonti di malessere secolare, compiendo anche ricerche e studi sociologici, oltre ad un'inchiesta sulla cultura e sulle condizioni di vita delle popolazioni del sud per conto della casa editrice Einaudi, inchiesta interrotta dalla sua morte improvvisa, il 15 dicembre 1953, stroncato da un infarto, a soli 30 anni. Tutte le opere di Scotellaro sono strettamente collegate alla società contadina a cui orgogliosamente rivendica di appartenere, e furono pubblicate postume, anche grazie all'impegno e all'interessamento di Levi e Rossi-Doria. Cfr. G. B. Bronzini, L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro, Bari, Edizioni Dedalo, 1987.

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sua storia, che dovrebbe essere riconosciuta senza bisogno di essere raccontata; la sua storia, il suo lavoro, la sua fame, le sue malattie, le sue speranze, la sua volontà, il suo carattere personale. […] Essi ci guardano: se noi li avessimo guardati come curiosità, come folklore non li avremmo mai visti. Se li abbiamo potuti vedere e rappresentare è perché li abbiamo guardati con la stessa intimità e lo stesso distacco con cui guardiamo noi stessi29.

Il quindicennio postbellico è infatti, più in generale, quello in cui vengono dipinte la maggior parte delle opere di “realismo sociale”, che in Levi tende però sempre ad essere sfumato dal senso del magico, e di soggetto “contadino” della pittura leviana, che culmineranno prima nel Lamento per Rocco Scotellaro, dipinto dopo la morte del poeta (1953), e infine nel grande telero realizzato per il padiglione della Basilicata all’expo di Torino per il centenario dell’Unità nazionale. Sarebbe un errore tuttavia dimenticare che la ricerca artistica di Levi anche in questa fase si confronta con numerose modalità espressive: la serie dei quadri di soggetto mitologico (Demetra e Persefone, Teseo e Arianna, Narciso), il pluridecennale esercizio, in litografia e in scultura, col tema degli amanti, che culmina nella famosa personale alla Galleria “Il Pincio” di Roma nel 1955, e soprattutto la ritrattistica, che è stata una presenza costante nell’opera di Levi e che in questi anni vede posare per lui, fra tantissimi altri, Italo Calvino per ben dieci ritratti, Anna Magnani, Ernesto Rossi, Giuseppe Di Vittorio, Giorgio Amendola, Ilja Ehrenburg, Frank Lloyd Wright, David Siqueiros, Pablo Neruda. Proprio il poeta cileno – accanto ai ricordi di tanti modelli che hanno parlato delle curiose sedute di posa di Levi, che non richiede

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l’immobilità al modello e per tutto il tempo chiacchiera e scherza con lui – ha lasciato una testimonianza che allude al fascino un po’ misterioso che la personalità del pittore ha sempre esercitato su chi lo ha conosciuto:

Mentre mi ritraeva nell’antico studio, il crepuscolo romano discendeva lentamente, i colori si attenuavano come se il tempo impaziente rapidamente si consumasse […] Sprofondai nell’oscurità, ma egli continuava a dipingermi. Il silenzio finì per divorarmi, però egli seguitava forse a dipingere il mio scheletro. Perché i casi erano due: o le mie ossa erano fosforescenti, o Carlo Levi era un gufo, aveva gli occhi scrutatori dell’uccello della notte.30

L’impegno meridionalista di Levi – che nella sua visione politica rappresenta una chiave di lettura di un rinnovamento democratico dell’intera società italiana – cerca in questi anni con difficoltà di trovare una sponda politica. Dopo il trionfo della coalizione centrista la posizione di Levi si precisa nel senso della sua contrapposizione a una maggioranza politica che egli considera espressione di un blocco sociale conservatore e culturalmente miope (risale alla pubblicazione dell’Orologio la sua nota metafora sulla magna divisio della società italiana in

30 G. De Donato, S. D’Amaro, Un torinese del Sud: Carlo Levi: una biografia, cit. p. 210. E queste

sensazioni del poeta cileno si traducono in una poesia riportata durante un’intervista radiofonica di Carlo Levi: Nel suo studio il sole non tramonta di Pablo Neruda/ Mentre mi ritraeva nell’antico studio/ Il crepuscolo romano discendeva lentamente/ I colori si attenuavano come se il tempo impaziente/ Lentamente li consumasse/ Si udivano i clacson delle automobili/ che correvano per le strade verso la campagna/ Verso il silenzio, verso la notte stellata/ Subitamente, nell’oscurità, compresi che sorrideva/ Con un sorriso di crisantemo/ E che non mi avrebbe permesso di lasciare lo studio/ finché il dipinto non fosse terminato/ perciò quietatomi nuovamente/ compresi che Carlo Levi era anche un sole/ che pensava e dipingeva come il sole/ con molta fermezza e chiarità/ perché sempre attinse allo spazio/ la sua forza luminosa. Da Hobby musica. Incontri musicali a cura di Glauco Pellegrini: Gioacchino Rossini e Carlo

Levi. A cura di Glauco Pellegrini. Trasmesso dalla Rai – Radiofonia (Secondo o Terzo programma) il 22

agosto 1972, in Un dolente amore per la vita. Conversazioni radiofoniche e interviste, a cura di L. M. Lombardi Satriani e L. Bindi, Roma, Donzelli, 2003, p. 37.

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“contadini” – i ceti produttivi e gli intellettuali – e, dal nome del podestà di Aliano, i “Luigini”, un blocco sociale che riunisce ceti parassitari collocati a livelli diversi della piramide socioeconomica)31.

Nel corso degli anni cinquanta dunque Levi si avvicina sempre di più alla sinistra di opposizione e comincia a guardare al Partito comunista che fin dal 1953, nella prospettiva di porsi come perno di una coalizione alternativa a quelle incentrate sulla DC, offre “ospitalità” nelle proprie liste a personaggi di vari orientamenti politico-culturali che di tali alleanze dovrebbero essere i catalizzatori, determinando la nascita dei Gruppi parlamentari della Sinistra Indipendente. Nel 1963 Levi è dunque eletto al Senato nel collegio di Civitavecchia. Levi resta in Senato per due legislature, come componente della Commissione Istruzione pubblica e belle arti. Il suo ruolo, a differenza di altri artisti e in generale di esponenti della cosiddetta

31 L’Orologio è il libro della delusione: fa riferimento a un momento storico preciso, la caduta del governo Parri. La difficoltà di concordare un programma politico di ricostruzione e cambiamento aveva dimostrato come non ci fosse spazio al suo interno per il Partito d’Azione nel quale era confluito il movimento di “Giustizia e Libertà”, nato da nobili istanze etiche e unito su principi ideali. Da qui la meditazione di Levi sulla situazione politica italiana di quegli anni: «Le forze politiche radicate nel popolo sono la Dc con la Chiesa Cattolica e il Pci cui si unisce il Psi che hanno radici nelle masse di operai e contadini. Alla terza via viene sottratto qualsiasi spazio. La caduta del governo Parri segnerà la fine delle speranze di rinnovamento per gli intellettuali del PdA […]. Allora torna il pensiero all’esperienza del mondo lucano dove ha scoperto i due archetipi degli italiani: i contadini e i luigini. Ma se nel mondo astorico contadino è colui in cui alberga “l’oscuro fondo vitale di ciascuno di noi”, nella storia sono contadini, oltre ai contadini veri, tutti coloro che dedicano la vita a produrre, a creare per una società più giusta, più libera e più solidale, realizzando così pienamente se stessi. Così nel mondo astorico don Luigino era il maestro di scuola podestà, simbolo di una piccola borghesia meschina, la cui umanità si era isterilita perché priva di rapporti veri con gli altri e astratta dai problemi reali, nella storia sono luigini tutti coloro che vivono da parassiti, pensano a conseguire sempre nuovi privilegi a danno della comunità e ad esercitare il comando sempre in combutta col potere. Per ottenerlo essi si sottomettono ad altri. Pensano così di diventare qualcuno, ma rinunciano in effetti a realizzare se stessi».

Il germoglio sotto la scorza. Carlo Levi vent’anni dopo. A cura di F. Vitelli, Cava de’ Tirreni, Avagliano,

1998, pp. 17-18. L’opera raccoglie gli atti di un convegno leviano, tenutosi a Matera per iniziativa del Centro Carlo Levi nel ‘95, a vent’anni dalla morte dello scrittore; con interventi di D. Valli, V. Giacopini, M. Flores, A. L. Giannone, R. Fedi, G. Fofi, G. Farese, N. Tanda, W. De Nunzio, A. Placanica, M. A. Grignani.

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“società civile” eletti in Parlamento, non sarà mai quello di un mero “tecnico”, che prende la parola esclusivamente su questioni che attengono alla propria specifica esperienza di vita. Senza mai dimenticare la sua dimensione di artista e la prospettiva particolare che essa conferisce alla sua analisi della realtà, il senatore Levi è un parlamentare e un politico a tutto tondo, del quale restano ad esempio memorabili interventi nei dibattiti sulla fiducia ai Governi di quegli anni – da quello sul primo Governo Moro nel quale, alla critica per quello che gli sembra il difetto genetico di un governo che nasce su basi politiche insufficienti a consentire un vero rinnovamento dei rapporti sociali, si unisce l’interesse per il programma politico e l’affetto per tanti componenti della compagine che hanno condiviso momenti importanti della sua vita, a quelli, sempre più sfiduciati verso le successive riedizioni di un centro-sinistra che lui vede ridursi da «forma» a «formula»32 ovvero nelle sue

analisi di questioni come la difesa della libertà di coscienza e di espressione, la tutela del paesaggio, le relazioni internazionali, i nuovi movimenti giovanili e molte altre.

Provato da problemi di salute Levi, che nel 1968 era stato rieletto nel collegio di Velletri, non si ripresenta alle elezioni del 1972. Negli ultimi anni, nonostante le condizioni sempre più precarie, ivi compresi un periodo di cecità che fa da sfondo alla sua ultima opera letteraria, il Quaderno a cancelli, continuerà a lavorare, realizzando in particolare nel 1974 insieme a Cagli e a Guttuso, autori delle prime

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due, l’ultima opera (La Liberazione) del gruppo celebrativo del trentennale delle Fosse ardeatine33. Muore il 4 gennaio 1975.34

33 A marzo del 1974 Levi viene incaricato dal generale Beolchini, di eseguire, insieme a Guttuso e Cagli, suoi compagni d’arte fin dai primi anni, tre opere per ricordare l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Cagli illustra l’oppressione, Guttuso il massacro e Carlo la liberazione. Le opere vengono poi donate al complesso monumentale in occasione del 25 marzo. Cfr., G. De Donato, S. D’Amaro, Un torinese del

Sud: Carlo Levi: una biografia, cit., p. 331.

34 Tra le più minuziose biografie su Levi: G. De Donato, S. D’Amaro, Un torinese del Sud: Carlo

Levi: una biografia, cit.; inoltre si ricorda il saggio biografico di S. Ghiazza, Carlo Levi e Umberto Saba. Storia di un’amicizia, Dedalo, Bari 2002. Un importante contributo alla conoscenza del periodo

fiorentino di Levi ci viene dato, nel centenario della nascita, da F. Benfante, Quattro anni della vita di

Carlo Levi (1941-45), in Carlo Levi. Gli anni fiorentini 1941-45, Roma, Donzelli, 2003; ancora, e per la

stessa occasione celebrativa, Gli anni di Parigi. Carlo Levi e i fuorusciti. 1926-1933, con saggi di G. De Luna, Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, 2003.

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1.3 Levi scrittore

• Scritto alla fine del 1939, mentre è esule in Francia e mentre infuria

l’inizio della seconda guerra mondiale, Paura della libertà viene pubblicato solo nel 1946. È la prima opera di Levi che bisogna considerare per procedere all’analisi dell’intera produzione letteraria dello scrittore. Nella prefazione della prima edizione Levi scrive che si trattava di «un piccolo libro che doveva essere soltanto una prefazione ad un libro molto più grande, scoprendo ad ogni pagina quello che mi pareva la verità del mondo»35. Un saggio pieno di

suggestioni filosofiche e psicanalitiche, che delineano la visione del mondo dell’autore.

Cristo si è fermato a Eboli è scritto a Firenze tra il dicembre del 1943 e il

luglio del 1944 durante l’occupazione tedesca di Firenze. Pubblicato dalla casa editrice Einaudi nel settembre del 1945 ebbe subito un notevole successo suscitando dibattiti e riflessioni sul rapporto-civiltà contadina e modernizzazione. La condizione dei contadini della Lucania è definibile, secondo Levi, come anteriore alla storia e il Cristo, che si è davvero fermato a

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Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania, sta nel libro a segnare il limite tra due epoche, quella umana e quella preumana. I contadini non partecipano della Storia, da cui li esclude il sistema sociale, sopravvivono, con l’unica possibilità di patire insieme36.

L’orologio di Carlo Levi viene pubblicato nel 1950. Mentre nel Cristo si

rivelava un mondo fuori del tempo e della storia, nell’Orologio si scopre un mondo nel quale tutti i tempi e tutte le storie sono contemporanei. Levi racconta la fine del governo resistenziale di Ferruccio Parri, l’inizio della crisi dei partiti liberale e azionista, l’avvento al potere di Alcide De Gasperi e della Democrazia cristiana, e soprattutto di Roma e dell’Italia di allora. Il libro appare come un contenitore in cui si mescolano le atmosfere, le sensazioni, l’entusiasmo dell’immediato dopoguerra con il contraddittorio e l’immobilismo della classe politica che ha una visione astratta dei problemi37.

Le parole sono pietre, pubblicato nel 1955, è il racconto duro

dell’arretratezza dei contadini siciliani “lo spettacolo della più estrema miseria contadina”, di una terra dove diventa difficile far applicare quelle leggi che lo Stato italiano ha approvato per la redistribuzione della terra, per migliorare le condizioni di lavoro, per applicare i diritti che dovrebbero valere per tutti, ma che in quelle terre devono sottostare ai privilegi dei potenti. Si tratta del diario

36 Cfr. C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Torino, Einaudi, 2010.

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di tre viaggi compiuti dall’autore nelle terre della Sicilia tra il 1952 e il 1955. Con questo libro si apre un nuovo filone letterario nella produzione leviana quello del reportage di cui aveva già dato prova nei suoi articoli pubblicati su «La Stampa» e su «L’Illustrazione italiana»38.

Un volto che ci somiglia non è un romanzo ma un saggio scritto da Levi

per accompagnare un volume di fotografie, in bianco e nero, di János Reismann. Fu tradotto in tedesco e pubblicato nel 1959 dall’ editore Belser di Stoccarda. L’anno successivo venne pubblicato in Italia da Giulio Einaudi con il titolo Un volto che ci somiglia: ritratto dell’Italia. Il volume raccoglie le fotografie di noti monumenti del nostro Paese, di marine, di paesi sulle colline, di quartieri popolari delle grandi città come quelli di Napoli e Roma, ma anche i volti di contadini, pescatori e bambini che vivono intorno ai monumenti del passato. Ad accompagnare queste immagini l’analisi di Levi di un’Italia rurale e urbana che vive il suo tempo facendo trasparire i tratti di un’identità italiana come identità culturale contrapponendosi all’identità nazionale che si era già costituita con lo Stato liberale e con il fascismo39.

38 Cfr. C. Levi, Le parole sono pietre. Tre giornate in Sicilia, Torino, Einaudi, 2010.

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Il futuro ha un cuore antico. Viaggio nell’Unione Sovietica è il secondo

libro di viaggi di Carlo Levi pubblicato nel 1956. Questa volta è il resoconto giornalistico del viaggio effettuato tra il 17 ottobre e il 19 novembre del 1955 nella capitale sovietica, a Leningrado, a Kiev, in Armenia e in Georgia. «Così come gli abitanti della Nuova Inghilterra hanno serbato i modi puritani della patria di origine, o come i canadesi hanno conservato il francese del’700, i sovietici sono rimasti i custodi dei sentimenti e dei costumi dell’Europa, di quando l’Europa era unita, e credeva, tutta intera, in alcune poche verità ideali e aveva fiducia nella propria esistenza»40. E’ questo quello che Carlo Levi ci

racconta nel suo libro, una narrazione ricca di dettagli, di descrizioni di un mondo che allo tempo stesso è antiquato e giovane. L’autore ne rimanda un immagine poetica, fanciullesca e si lascia trasportare dalla descrizione dei luoghi e delle anime che incontra.

Tutto il miele è finito è l’ultimo racconto di viaggio pubblicato nel 1964

dedicato questa volta alla Sardegna. Carlo Levi visita l’isola in due volte, a dieci anni di distanza, nel maggio del 1952 e nel dicembre del 1962. Le riflessioni che l’autore trascrive nel suo diario di viaggio raccontano una terra con i suoi miti e suoi archetipi, una descrizione barbarica e fiabesca, una Sardegna di pietre e di pastori, e di uomini moderni e vivi. L’autore si sofferma a descrivere i problemi quotidiani della terra sarda, raccogliendo i luoghi e i volti del territorio più interno, raccontando in particolare di zone che si

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imprimono nella sua memoria come Nuoro, Orgosolo e Orune. Tutto il miele è

finito, il titolo prende spunto da un canto funebre sardo in cui la madre piange

il figlio assassinato paragonandolo al miele che non c’è più, rappresenta una terra che non è immobile, senza tempo, ma una realtà in cui si avverte il cambiamento della storia, partendo dalle immagini arcaiche e primordiali41.

Pubblicato nel 1959 La doppia notte dei tigli racconta le sensazioni del

viaggio di Carlo Levi realizzato in Germania. Il titolo è tratto da un verso del Faust di Goethe, in cui si narra del guardiano della torre che scruta e vede nella notte incendi e segni di massacro ovunque, Durch den Linden Doppelnacht per “la doppia notte dei tigli”. Nella sovra coperta della prima edizione si legge «Sempre i paesi di Carlo Levi diventano sempre “suoi”, legati a questo ospite in perpetuo stato di grazia da un rapporto come di consanguineità, d’identificazione con una realtà interiore, con un simbolo lirico, esistenziale e razionale e storico. La Germania no, è e resta per Levi l’antitesi, l’altro da sé, e pure la sua sollecitudine conoscitiva lo porta ad aggredirla da ogni lato, a cercare di inglobarla, a farne scaturire quella che al di là delle scintillanti vetrine del “miracolo economico tedesco” e delle saracinesche dell’oblio del passato, è la sua anima»42.

Quaderno a cancelli è l’ultimo scritto lasciato dall’autore torinese,

composto durante il suo stato di parziale cecità. Carlo Levi, infatti, alla fine del

41 Cfr. C. Levi, Tutto il miele è finito, Nuoro, Ilisso, 2003.

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1972 fu colpito da un distacco della retina che gli causò una temporanea cecità e alcuni interventi chirurgici agli occhi. E’ da questa drammatica esperienza che nasce Quaderno a cancelli, pubblicato postumo nel 1979, che può essere definito il “libro segreto di Carlo Levi”. Si tratta, infatti, di una sorta di diario-autobiografico in cui i pensieri, le paure, gli ideali dell’autore vengono espressi; Levi impara non solo ad accettare, ma a riconoscere il tempo della malattia come un tempo speciale e privilegiato tanto da scrivere che «La storia del mondo è iscritta nella malattia, assai meglio e più chiaramente e profondamente incisa che nella storia delle idee e delle istituzioni»43. Il titolo

del libro si può far risalire alla speciale intelaiatura di fili di ferro, una specie di quaderno di legno a cerniera, munito di cordicelle tese tra le due sponde costruito per guidare la mano dello scrittore. Ma quasi certamente l’espressione “quaderno a cancelli” risale ad una poesia di Rocco Scotellaro del 1952: “Questo piccolo quaderno a cancelli / l’ho scritto per te di cui non parlo / per i tuoi occhi chiusi e i tuoi capelli / di cera, il naso che non può fiutarlo”44. Il

“quaderno a cancelli” del poeta di Tricarico è probabilmente il quaderno delle classi elementari di un tempo in cui i “cancelli” di prima elementare con barre orizzontali e verticali si trasformano in binari, perdendo quindi le barre verticali e lasciando solo quelle orizzontali così da guidare la scrittura.

43 Cfr. C. Levi, Quaderno a cancelli, Torino, Einaudi, 1979.

44 Dedica a una bambina (1952), pubblicata in R. Scotellaro, Tutte le poesie 1940-1953, a cura di F.

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