• Non ci sono risultati.

Teen language e teenfilms. Prospettiva diacronica sul linguaggio giovanile inglese nel cinema.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Teen language e teenfilms. Prospettiva diacronica sul linguaggio giovanile inglese nel cinema."

Copied!
201
0
0

Testo completo

(1)

1

Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN LETTERATURE E FILOLOGIE EUROAMERICANE

Tesi di Laurea

Teen language e teenfilms. Prospettiva diacronica sul linguaggio giovanile

inglese nel cinema.

RELATORE

Prof.ssa Silvia Bruti

CANDIDATO

Lucia Vitali

(2)

2

(3)

3

INDICE

INTRODUZIONE …………..……….……….……… 5

CAPITOLO I. Chi sono i teenager?...………..……….……. 9

1.1 ‘At the beginning of the twentieth century, teenagers did not exist.’.……...…….… 9

1.2 Adolescence………...………..…. 12

1.3 Verso una cultura giovanile ……..………….………...………...… 14

1.4 ‘The motion picture has grown up by appeal to interests of childhood and youth’………...………...….. 18

1.5 ‘That’s the third sock I have lost this term. I must have sox appeal.’…………... 22

1.6 Gli anni 50 e il nuovo medium……….…….……...……... 27

1.7 ‘Make ‘em big or make ‘em provocative’………..…….… 29

1.8 Teenpics………...……….… 31

1.9 “The way teenagers talk is not about the way adults think teenagers should talk”………...……….……… 38

CAPITOLO II. Teen language nei teenfilm ………...………..………... 51

2.1 le caratteristiche del linguaggio giovanile inglese ………...…… 51

2.1.1 Like ………..………..……… 54

2.1.2 Ain’t ………... 57

2.1.3 General extenders ………...……… 59

2.1.4 Intensifiers ……….………...……….……….…... 61

2.2 Il linguaggio giovanile nel testo filmico ………...……….……. 64

2.2.1 Aspettative e metodo………..……...….. 67

2.3 Analisi dei film………..………....….. 68

2.3.1 Here we go round the mulberry bush (1968)……….………….….…. 68

2.3.2 The diary of a teenage hitchhiker (1979) ………..……….……...….... 80

(4)

4

2.3.4 Clueless (1993)………...……….……... 100

2.3.5 Ginger snaps (2000) ………...………...………..……….. 118

2.3.6 Kidulthood (2006)………...……..…. 130

2.3.7 Fish Tank (2009)………..…….…. 142

2.3.8 The bling ring (2013)……...…….………....…….… 153

2.3.9 Dope (2015)………..….… 165

CAPITOLO III. Revisione dati………....…………...…. 182

3.1 Confronto delle variazioni diacroniche nei film e nel linguaggio giovanile……... 182

3.2 Conclusione………...……….…….…... 191

RINGRAZIAMENTI………...…. 193

BIBLIOGRAFIA………..……….…...……….……….... 194

(5)

5

Introduzione

Il presente lavoro offre una prospettiva diacronica sul linguaggio giovanile inglese e sul modo in cui questo viene rappresentato nei media e, in particolare, in una selezione di film prodotti dagli anni 60 del secolo scorso fino agli anni più recenti. Lo studio si propone di mostrare il rapporto tra il medium cinematografico e il codice usato dagli adolescenti, cercando di approfondire le dinamiche che ne regolano la rappresentazione. Per questo motivo, sono stati presi in considerazione gli aspetti intrinseci nella struttura dei testi filmici, partendo dalle prime manifestazioni della cinematografia degli anni 20 del Novecento, così da delineare il tracciato che ha portato alla creazione di film pensati per un pubblico adolescenziale. A questo proposito, sono stati poi analizzati gli elementi che intervengono nella caratterizzazione dei personaggi. In particolare, quest’ultima è stata indagata anche dal punto di vista linguistico, cercando il rapporto tra l’espressione usata dai personaggi adolescenti e l’immagine che di essi si vuole veicolare. È proprio nella sfera linguistica che risiede la parte più importante di questa analisi. Infatti, oltre all’aspetto mediatico dei film scelti, l’indagine si è concentrata principalmente sull’evolversi del linguaggio giovanile come codice interdipendente dalla lingua comune e elemento costitutivo del contesto adolescenziale, nonché come strumento principale per la stesura dei dialoghi che vedono i teenagers come personaggi.

Nello specifico, il lavoro è suddiviso in due blocchi. Nel primo capitolo, si analizzano i fattori storico-politico-economici che hanno incoraggiato l’emergere della concezione degli adolescenti come soggetti sociali a sé stanti. In prima istanza, si riportano le opinioni degli studiosi che hanno analizzato il fenomeno a partire dagli ultimi anni del secolo XIX e i primi del successivo. In secondo luogo, si fa riferimento all’adolescenza nel panorama hollywoodiano, progressivamente coinvolto nel contesto economico americano e di cui è diventato industria principale sul fronte dell’intrattenimento. Si menzionano inoltre gli effetti del Secondo Conflitto Mondiale sia sulla compagine cinematografica che sulla percezione che questa offriva degli adolescenti, tenendo presente anche il crescente regime di consumismo economico, preponderante sul suolo statunitense nel Dopoguerra. In questo panorama si è cercato di interpretare i mutamenti ravvisabili nelle rappresentazioni filmiche dei teenager, problematizzando il loro ruolo nella comprensione dei giovani nella società americana e occidentale. L’attenzione si è spostata progressivamente sull’aspetto linguistico, indagando le caratteristiche generali del linguaggio giovanile come fenomeno globale, e, contestualmente, proponendo una visuale più precisa su ciò che riguarda il contesto anglofono, comprendendo anche confronti provenienti da altri ambienti, come quello italiano e russo. A questo fine, si sono considerati alcuni studi relativi al linguaggio giovanile: si tratta, in particolare, delle ricerche di Sali A. Tagliamonte e di Ignacio M. Palacios

(6)

6

Martinez. Per quanto riguarda il contesto italiano, invece, si fa riferimento ai lavori di Michele Cortelazzo e Lorenzo Coveri.

Nel secondo capitolo si descrivono gli elementi linguistici del linguaggio giovanile di cui si è indagato la presenza e l’uso nei film scelti. Nello specifico, sono stati selezionati alcuni degli elementi caratteristici del linguaggio giovanile inglese indicati come salienti e rilevanti dagli studiosi appena citati. Tali elementi sono l’uso dei general extenders e di tutti quei termini che indicano vaghezza; la presenza della particella like nel ruolo di approssimatore in presenza di altri sostantivi, sintagmi verbali e aggettivali, come elemento quotativo e come hesitational device; vi è poi l’uso della variante ain’t in sostituzione dei verbi to have e to be in forma negativa e, infine, l’impiego dei rafforzativi.

L’analisi vera e propria è stata condotta su ogni film, in modo da assicurare una descrizione comprensiva degli aspetti linguistici ed extralinguistici. A questo proposito, a seguito della visione sono stati catalogati gli elementi significativi per ogni testo e si è cercato di accertare se la presenza di questi elementi poteva dirsi coerente al linguaggio autentico in base alle ricerche sul codice giovanile, tenendo presente il contesto comunicativo presentato in ogni testo filmico e altri aspetti contingenti come l’anno e il luogo di produzione. Inoltre, ci si è serviti delle trascrizioni dei dialoghi, quando possibile, al fine di analizzare i dati con maggiore accuratezza, e per facilitare un confronto intertestuale grazie al software Antconc, su cui sono state caricate le trascrizioni per rivelare le occorrenze e creare wordlist dei termini usati, dal più frequente al meno frequente. Tuttavia, questo procedimento ha subito variazioni dal momento che non vi è stata la possibilità di consultare le trascrizioni dei film meno recenti, di cui si sono considerate le occorrenze rilevate direttamente dalla visione. Il fatto che si siano inclusi nell’analisi anche testi di cui non si dispone trascrizione, d’altra parte, ci ha permesso di instaurare un confronto intertestuale e intratestuale su più livelli: i film, infatti, sono stati selezionati proprio al fine di garantire sufficiente eterogeneità, necessaria soprattutto a rilevare differenze linguistiche significative.

Il primo film preso in analisi è stato Here we go round the mulberry bush, del 1968, ambientato in Inghilterra, e tratto dall’omonimo romanzo di Hunter Davis; esso presenta elementi interessanti nel modo in cui viene rappresentato il protagonista e le modalità con cui comunica con gli amici e con se stesso.

In seguito, si è scelto un film americano del 1979, Diary of a teenage hitchicker, un esempio di

exploitation film che si basa sui fatti di cronaca che vedevano coinvolte le adolescenti californiane

rimaste vittime di assalitori mentre facevano l’autostop. Sul piano linguistico, si iniziano ad intravedere alcune delle caratteristiche più importanti del codice giovanile come l’uso dei general

(7)

7

Gregory’s girl è invece un film scozzese del 1981, dove il protagonista affronta le preoccupazioni

e le euforie condivise da tutti gli adolescenti. Sebbene il linguaggio mostri una tendenza conservatrice rispetto al testo precedente, come per esempio nell’uso del rafforzativo very, più spesso associato a contesti formali, la presenza della componente scolastica e paritaria offre una prospettiva interessante sulla comunicazione dei teenagers.

Il linguaggio giovanile trova particolare espressione, poi, in Clueless (1993), film divenuto celebre per la rappresentazione delle Valley girls, autentico anche nella caratterizzazione linguistica originale.

Unico film horror dell’analisi è Ginger snaps (2000), prodotto in Canada e ambientato in una lugubre cittadina, nella quale le due protagoniste si trovano ad affrontare eventi soprannaturali. Il linguaggio è piuttosto coerente con i dati relativi al codice giovanile, soprattutto nell’uso creativo di termini del turpiloquio. Quest’ultimo diviene, poi, onnipresente nel film successivo,

Kidulthood (2006), dove i ragazzi dei sobborghi di Londra si servono del linguaggio violento

come risposta ad un contesto permeato di malavita e degrado. Emergono, inoltre, elementi relativi al linguaggio dialettale, perfettamente inseriti nel codice di questi giovani, come l’uso di ain’t e

innit.

Di tutt’altro tipo è, invece, il linguaggio della protagonista di Fish tank (2009), che, emarginata dai suoi pari e dalla famiglia, non mostra un codice caratteristico dei gruppi giovanili, ma si esprime con la stessa violenza e marcatezza a causa del contesto di solitudine in cui vive. Si considera inoltre The bling ring (2013), basato sulla vera storia di alcuni giovani rapinatori a discapito delle celebrità di Beverly Hills. Le vicende e il codice verbale dei personaggi riprendono a piene mani i documenti e le registrazioni relative a questa serie di furti, confermando alcuni aspetti importanti del codice giovanile, come l’uso di appellativi amichevoli ma provenienti da contesti criminali e la vaghezza lessicale.

Infine, il film più recente, Dope (2015), presenta una storia originale che vede come protagonisti tre nerd finiti a gestire un traffico di droga contro la loro volontà. Oltre all’aspetto della criminalità, che indubbiamente influisce sul parlato dei giovani, i protagonisti mostrano un codice verbale in linea con la loro caratterizzazione, che prevede uso di tecnicismi e termini formali unito a espressioni colloquiali e dialettali.

Dopo aver analizzato i testi filmici, si sono raccolti i dati più significativi per confrontare il cambiamento avvenuto in diacronia e, in base ai risultati ottenuti, si è verificato che il linguaggio rappresentato nei film mostra un legame di coerenza con il linguaggio giovanile autentico nella quasi totalità dei casi presi in esame. Infatti, le variazioni del codice giovanile si verificano solo nel momento in cui intervengono aspetti narrativi prioritari quali la caratterizzazione dei personaggi e le esigenze relative alla trama, elementi inerenti alla sfera extralinguistica e al

(8)

8

medium filmico. Inoltre, anche l’elemento geografico può risultare determinante nella stesura dei dialoghi, richiedendo l’inserimento di tratti dialettali e locali che risultano, comunque, coerenti con il contesto comunicativo di tipo giovanile.

Questo lavoro si configura come uno studio esplorativo della componente linguistica adolescenziale nei testi filmici di ambito anglofono, auspicando che possa rappresentare un punto di partenza per ulteriori approfondimenti.

(9)

9

Primo capitolo: Chi sono i teenager?

Each generation feels that it is the future.

To the teenager, nothing is more important than to find out where he fits in relation to life around him.

It is a serious quest, often a painful one.

‘A Teenage Bill of Right’ 1945

1.1 ‘At the beginning of the twentieth century, teenagers did not exist.’

Riconoscere la peculiarità dell’adolescenza come momento di crescita non paragonabile ad altri per la mole di cambiamento che esso comporta è uno dei traguardi più importanti dei primissimi anni del XX secolo. In ambito accademico europeo ed extraeuropeo, infatti, “l’invenzione” dell’adolescenza e, in concomitanza ad essa, il suo riconoscimento come stato speciale nella vita umana, sono il risultato di processi storici che hanno favorito lo sviluppo dell’interesse per i giovani, per i loro diritti e il loro ruolo in una società che stava assistendo ad una fioritura

socio-economica senza precedenti. Con il termine adolescenza, attualmente, si intende quel periodo della vita di un individuo che

implica un radicale cambiamento a livello personale, fisico, psicologico e comportamentale. Gli adolescenti sono quindi quel gruppo di persone che, a prescindere dalla comunità e dal contesto di provenienza, si trovano a condividere interessi e dinamiche sociali assunti in virtù della loro età. Per arrivare ad una definizione dettagliata, però, è necessario indagare il substrato

storico-culturale che ha permesso il riconoscimento di questa condizione a livello politico ed istituzionale. Non stupisce che nel XIX secolo non si sentisse ancora il bisogno di considerare la pubertà come

un’età della vita particolare, o in qualche modo determinante. Dall’infanzia si passava gradualmente all’età adulta, di cui si assumevano responsabilità e privilegi. I diritti dell’infanzia non venivano posti come questioni da affrontare da una prospettiva politica, bensì si riteneva che l’educazione e la crescita dei bambini fosse diretta competenza dei genitori, mentre qualsiasi intervento esterno non era affatto contemplato. Fu nel 1898 che lo psicologo e pedagogo statunitense Granville Stanley Hall (1844 – 1924) esordì durante un convengo estivo affermando che la pubertà non ha solo valenza biologica e fisiologica, ma è determinata anche dall’ambiente

(10)

10

sociale, per cui ne concludeva che uno sviluppo corretto è tanto benefico per l’individuo quanto vantaggioso per la società di cui fa parte. Al contrario, se non vi è un’adeguata crescita psicologica oltre che fisica l’effetto dannoso di tale mancanza si propaga gradualmente nella comunità,

portandola ad un inesorabile disfacimento. Hall fu allievo di uno dei fondatori della psicologia negli USA, William James, ciononostante

non mancò di farsi affascinare dalla teoria dell’evoluzione darwiniana, che declinò in modo del tutto personale, insistendo sulla valenza dei sentimenti, secondo lui fin troppo ignorati dal maestro. Proprio grazie all’apporto teorico di Hall, nell’ambiente accademico cominciarono ad interrogarsi sui pensieri, emozioni e modi di relazionarsi del bambino, per la prima volta considerato nelle sue specificità, e non come un “piccolo adulto”. Venivano perciò condotti veri e propri studi volti a dimostrare le dinamiche psicologiche infantili, tramite l’osservazione dei bambini nei contesti di gioco, con i genitori e tra i loro pari. Per questo tipo di indirizzo empirico, nelle varie università americane si diffuse sempre più l’appellativo di Child studies che, grazie ad Hall, stavano contribuendo a sensibilizzare sempre più l’opinione pubblica a considerare l’infanzia e la giovinezza come uno stadio della vita del tutto nuovo rispetto a ciò che si era sempre creduto, facendo leva sull’importanza di un’adeguata educazione affinché fosse garantito ai bambini un trattamento interamente basato sul rispetto di questo stadio della vita, cercando di

incontrare le loro necessità, a prescindere dall’intervento genitoriale.1

Oltre all’interesse dell’ambiente accademico, anche la politica degli Stati Uniti si stava facendo portavoce di queste spinte progressiste, soprattutto nella prospettiva dell’istruzione. D’altra parte, non vi era modo di ignorare che il maggior controllo sulla gioventù americana urbana era esercitato dalla malavita e dalle piccole gang di delinquenti, in cui confluivano tutti quei bambini e giovani provenienti da condizioni di miseria, spesso privi di tutele e pertanto condannati ad una condizione di emarginazione. Per questo motivo, molti di loro considerarono la via della criminalità come l’unica percorribile, anche a causa della mancanza di un’adeguata istruzione, che avrebbe potuto invece assicurare loro un’occupazione socialmente utile. Nonostante la crescente affluenza di scolari e studenti nelle scuole americane già a partire dagli anni 30 dell’800, il sistema educativo pubblico statunitense non poteva tuttavia vantare quell’accoglienza onnicomprensiva di cui si faceva portavoce. Quasi la metà dei bambini che cominciavano la

1I metodi proposti da Hall erano originali quanto la sua teoria sull’adolescenza. Egli riconobbe il ruolo

dei diari come elementi di analisi psicologica e lui stesso pubblicò il suo Note on early memories (1899) dove fece luce su vari aspetti e aneddoti della sua gioventù, oltre ad offrire un personale punto di vista sul funzionamento della memoria. Da questi scritti emerse il suo rapporto conflittuale, e talvolta violento, con il padre, così come la rigida educazione puritana, probabilmente responsabile di quel senso di

inadeguatezza fisica e sociale che accusa a se stesso. È stato ipotizzato che un tale contesto di

provenienza abbia contribuito particolarmente al suo successivo interesse sui giovani e i problemi legati alla crescita.

(11)

11

scuola non arrivavano a completare gli studi, altri venivano invece del tutto esclusi dall’ambiente scolastico, in particolare i figli di immigrati, trovatisi in condizioni ancora più svantaggiose rispetto ai loro coetanei. Si calcolava infatti che questi componessero ben il 70% dei minori condannati per reati gravi. Risultò chiaro che i numeri rassicuranti emersi sull’istruzione riguardavano pressoché esclusivamente i figli delle famiglie più abbienti, che non avevano un reale bisogno di tale servizio pubblico, potendo permettersi tutor privati. Di conseguenza, con il crescere della criminalità, a seguito dell’ondata di urbanizzazione e in concomitanza allo sviluppo industriale di ampia portata, il problema del controllo e della tutela dei giovani divenne

imperativo, e la politica americana decise di farsene carico. Nel luglio 1899, il Juvenile Court Act di Illinois fondò il primo tribunale giovanile a Chicago con

cui sanciva la sua giurisdizione su quei bambini abbandonati e delinquenti al di sotto dei 16 anni. Veniva inoltre affermata la volontà di dare maggiore spazio alla riabilitazione e al reintegro sociale, piuttosto che ad un atteggiamento punitivo. Di fatto, la Corte attuò una sostanziale separazione tra il trattamento degli adulti e dei bambini, vietando la detenzione degli individui minori di 12 anni e garantendo il rispetto della persona e della sua privacy, al fine di evitare possibili ritorsioni. Un esempio particolarmente significativo fu quello rappresentato dal giudice Richard S. Tuthill, che presiedette al tribunale minorile per 1500 casi di condanne per reati commessi da ragazzi e ragazze. Una tale affluenza gli diede quindi modo di studiare a fondo il problema della latitanza tra i più giovani, convincendosi che l’unica opzione per gestire queste situazioni risiedesse nel concedere ai ragazzi condannati di vivere in semilibertà, controllati da un tutore legale, e tenere presenti nel momento del verdetto “il benessere e gli interessi del

minore, il benessere della comunità e intelletto e sentimenti di genitori e parenti”.2

Per quanto ancora incompleto e contraddittorio, il Juvenile Act ebbe una risonanza fondamentale nella società americana. Nei decenni successivi, tutti gli Stati si adoperarono ad istituire una corte in tutto simile a questa, dando valenza giuridica a quella fetta di popolazione che stava a mano a mano diventando preponderante, tanto da sentire sempre più il bisogno di darle rappresentanza istituzionale.3

2“È desiderio della corte proteggere i bambini dall’abbandono e dalla crudeltà, e anche salvarli dal

pericolo di diventare criminali o esseri non autonomi”. (Jon Savage, 2009), pp. 78-79.

3Nella nuova corte si poteva riscontrare una contraddittorietà tutt’ora attuale per cui non si raggiungeva

la maggiore età prima del compimento del 21° anno di età, sebbene si considerasse un individuo

sessualmente maturo a partire dai 12 anni. Nonostante ciò, è comunque apprezzabile la portata innovativa di questa nuova istituzione, specialmente se si considera che, all’epoca, erano parecchio diffuse anche teorie molto diverse, derivate da quella evolutiva Darwiniana, con stampo decisamente deterministico, come nel caso di Cesare Lombroso e Herbert Spencer.

(12)

12

1.2 Adolescence

Nel 1904, Hall pubblicò il volume che raccoglieva tutti i suoi studi sui giovani, con il titolo

Adolescence: its psychology and its relations to physiology, anthropology, sociology, sex, crime, religion, and education. La portata storica di questo scritto si fece evidente fin da subito, quando

l’editore notò con soddisfazione il numero di copie vendute “nonostante il prezzo elevato”. Il testo, infatti, non era indirizzato soltanto ai professori universitari: chiunque poteva giovare dell’approccio innovativo proposto, che riconosceva ai giovani quelle qualità tipiche di ogni essere umano, ma che negli adolescenti si ampliano fino a farne tratti caratterizzanti. Ad esempio, Hall descriveva la loro tendenza a lasciarsi affascinare dalla condizione onirica, in cui sembrano “inebriarsi senza bisogno di sostanze intossicanti”; notava poi i loro frequenti sbalzi d’umore, e per questo li riteneva “instabili e patologici emozionalmente”.

D’altro canto, erano proprio gli accademici ad apprezzare con più entusiasmo il lavoro di Hall, che riconosceva, tra gli altri, la paternità a Freud per quanto riguarda la consapevolezza sul sesso, elemento conturbante quanto onnipresente nella vita degli adolescenti.4 Inoltre, lo studioso

contribuì ad avvallare la necessità di tutti quegli sforzi portati avanti dalla Corte giovanile per difendere i giovani dai pericoli di cui le città erano colme. Analogamente, proprio nel delimitare il periodo adolescenziale tra il 14 e i 24 anni, Hall non solo dava al fenomeno una definizione anagrafica più precisa di quanto fosse stato fatto prima, ma esprimeva l’importanza di tutelare chi ne faceva parte tramite un programma su misura che comprendesse istruzione, sport e attività ricreative. Una prima conseguenza fu il suo impegno costante nel rendere l’istruzione obbligatoria almeno fino ai 16 anni, e non a 14. Considerava poi importante che la scuola fornisse un programma completo, che doveva rispecchiare l’interesse e la propensione personale di ogni ragazzo. Si scagliò, per questo, con forza contro il sistema scolastico americano, secondo lui troppo blando e incapace di favorire una formazione solida. Non esitò a criticare anche le Università, dove i giovani, prima ancora di essere studenti, venivano attirati nel mondo del lavoro, poiché ritenuti necessari a soddisfare il fabbisogno di dipendenti nelle città industriali emergenti. Al contrario, Hall rivendicava per loro “il diritto di essere pigri” e di vivere l’esperienza del college come una crescita personale più che una strada facilitata per fare carriera. In definitiva, il trattato di Hall comprendeva tutti quegli ambiti della realtà sociale in cui i giovani non avevano mai avuto voce in capitolo, e se alle Università Hall era risultato convincente grazie ad un significativo approccio teorico, era però riuscito a conquistare anche i lettori meno attenti con l’idea, ancora più rivoluzionaria, che andava a definire la base su cui avevo impostato la sua

4Hall dichiarò che nei giovani “il sesso afferma il suo predominio in un campo dopo l’altro e semina

(13)

13

ricerca. Secondo lo studioso, la tutela dell’adolescenza era importante per tutte le società, ma fondamentale per quella Statunitense, poiché, a differenza dei maggiori Stati europei, dove la popolazione era omogenea e unitaria, in America il susseguirsi di processi storico-sociali di ingente portata, come l’immigrazione, avevano fatto sì che il popolo americano fosse composto da “sangue misto”, problema del tutto assente nei neonati Stati nazionali europei. Come Hall riconosceva un problema in questa condizione, egli ne prevedeva anche la soluzione: se l’America fosse riuscita ad incanalare le energie dei giovani, superando le serie di “pericoli e problemi di questo periodo”, implementati ulteriormente dalla varietà di persone coinvolte, sarebbe divenuta la Nazione più giovane del mondo. Con uno slancio patriottico, egli affermò che “il solo fatto che pensiamo di essere giovani renderà terapeutica la fede nel nostro futuro, e un giorno attireremo la gioventù del mondo grazie alla nostra libertà e alle impareggiabili opportunità”. Con la crescita dei giovani, quindi, sarebbe cresciuto anche il continente americano, presentandosi al mondo come portatore di progresso.

Pochi mesi dopo l’uscita di Adolescence, l’autore cominciò a ricevere quantità sempre maggiori di lettere, tutte con lo stesso contenuto. Tra i suoi lettori, infatti, vi erano anche tutti quei genitori che vivevano la scoperta dell’adolescenza nelle loro case, sotto i loro occhi. Gli ideali proposti da Hall, per quanto progressisti ed accreditati, dovevano disorientare parecchio gli adulti che si trovavano ad occuparsi direttamente dei giovani. La preoccupazione si fece poi dilagante a seguito della dichiarazione dello stesso Hall, che ritenne l’ambiente urbano estremamente inadatto ad una crescita proficua, se non addirittura nocivo, dato che, come in una grande serra, in città tutti gli eccessi dei giovani potevano trovare sfogo, arrivando a “maturare in anticipo”. È importante sottolineare come anche lo studioso non fornisse molti elementi pratici per gestire un fenomeno simile. I suggerimenti che proponeva erano basati su percezioni, ricordi della sua adolescenza, perciò piuttosto inconsistenti e talvolta obsoleti5. Nonostante ciò, le considerazioni di Hall non

erano del tutto improprie nemmeno su questo fronte, dal momento che insisteva con fermezza sulla necessità di inserire i giovani in gruppi autonomi da quelli riconosciuti dagli adulti, e privilegiare attività che li tenessero impegnati fisicamente ed intellettualmente. Una tale impostazione è riscontrabile nell’organizzazione proposta, ad esempio, dai boy scout, fondati nei primi anni del 900 in Gran Bretagna. Il fondatore, Baden-Powell, fu il portavoce di un disegno educativo che comprendeva campeggi nei boschi, contatto con la natura, obbedienza ai propri superiori e incessante diligenza verso i propri doveri. Se l’impostazione data era principalmente basata su schemi militari, l’esito che si voleva ottenere era quello di fornire una formazione solida anche a quei ragazzi che non avevano accesso alle public schools, veicolandone gli ideali tramite

5Ad esempio, affermò che “non si è mai troppo a favore delle docce gelate e del nuoto a quest’età”. Ibid.

(14)

14

la raccolta Scouting for Boys (1908), in cui, oltre alle tecniche di sopravvivenza nelle foreste, si trasmettevano i valori della società di stampo imperiale.

Non passò molto perché anche negli Stati Uniti si diffondesse l’idea dei boy scout come valido appoggio per l’educazione giovanile. Con lo stesso spirito, proponendo sport e attività di gruppo ed esortando il sistema scolastico ad intraprendere programmi più completi che incoraggiassero gli studenti a terminare gli studi, Hall cercava di formare una gioventù che avrebbe a mano a mano trovato la sua strada nel mondo adulto. Tuttavia, in uno Stato con crescente bisogno di manodopera industriale e di dirigenti per le nuove compagnie, il lavoro si presentava come la risposta più ovvia al quesito dell’inserimento dei giovani nella compagine sociale. In un contesto di irruente crescita economica come quello americano, non mancarono di presentarsi attriti già agli inizi del XX secolo. Ben presto si formarono movimenti contro il lavoro minorile e i sindacati si diffusero a macchia d’olio, con l’appoggio dei giovani immigrati. Questi ultimi avevano ormai preso il posto degli americani nelle fabbriche, dopo che nemmeno un programma mirato all’inclusione riuscì ad accoglierli nel sistema educativo liceale. Gli scioperi per l’aumento dei salari e per il miglioramento delle condizioni lavorative erano all’ordine del giorno, ma il messaggio più spesso veicolato dalla stampa statunitense era l’agitazione giovanile, secondo cui i giovani diventavano sempre più pigri e inclini alla delinquenza.

1.3 Verso una cultura giovanile

In contesti diversi, dominati da dinamiche complesse, gli adolescenti iniziarono a diventare oggetto di interesse in molti ambiti della vita americana. Dopo Hall, altri studiosi si fecero avanti e contribuirono allo sviluppo di discipline come la sociologia e la psicologia6. Lo stesso Freud

non venne più trattato con scetticismo ma piuttosto con curiosità, specialmente da chi si occupava di mass media.

In particolare, un ambiente dove la psicologia, seppur in fase embrionale, trovò terreno fertile, fu quello pubblicitario. In breve tempo, infatti, si arrivò a concepire l’idea di adolescenti come target privilegiati di strategie pubblicitarie volte a coinvolgerli direttamente come consumatori. Ad esempio, già nel primo decennio del nuovo secolo, le ragazze e i ragazzi potevano attingere ad una serie consistente di prodotti indirizzati esclusivamente a loro, ma uno degli aspetti più inediti in questo senso arrivò con l’organizzazione del nuovo intrattenimento di massa: il cinema.

6 “The ideas proliferating about adolescence in the 1890s/1920s contributed to the emergence of social

studies like sociology and psychology, for which how we come to be particular kinds of people is crucial. Social studies became therefore more and more relevant at the same time. The idea of adolescence to which we are used today was in fact produced by interactions between social and cultural theory, public debate and popular culture.” C. Driscoll (2011), pp. 11

(15)

15

Le prime sale cinematografiche sorgevano nei centri delle grandi città, vicino ai migliori teatri; luoghi simili per i ragazzi erano pressoché inaccessibili, non era nemmeno concepibile che fosse permesso loro di frequentarli. Tuttavia, nei quartieri operai delle città si pensò ad una soluzione economica che sostituisse il lusso dispendioso dei teatri, ma che offrisse, allo stesso tempo, uno svago socialmente accettabile ed economico. Pertanto, vennero aperti i cosiddetti Nickelodeon, concepiti soprattutto per i lavoratori, ma dato che più della metà di questi era composta da giovani, nei cinema a basso prezzo non si poteva più ignorare la loro voglia di divertimento. Gli adolescenti giovani cominciavano quindi ad attirare l’interesse dei grandi imprenditori, e proprio nel cinema

l’ondata di nuovi consumatori avrebbe creato un effetto dirompente. Con il cinema, l’economia americana credeva di aver trovato un’immensa miniera d’oro.

Frequentare le sale cinematografiche era diventato il passatempo più amato dagli americani di tutte le età. Per i “neonati” adolescenti però, il cinema aveva il valore aggiunto di assecondare la loro necessità di svago e di sogno. Progressivamente i film si facevano più specializzati, raffinati, anticipando quei generi che tutt’oggi vengono presi a modello. Ad esempio, iniziarono ad essere trasmesse sul grande schermo quelle difficoltà che si associano alla crescita personale, tra cui il bisogno di ribellione, il contrasto con i genitori, la complicità con i propri simili. In più ampio raggio si arrivò persino a fare riferimento ad aspetti anche più gravi, come la tossicodipendenza e il dilagare della criminalità giovanile. In questo nuovo medium, ogni ragazzo o ragazza statunitense poteva facilmente immedesimarsi nei ruoli proposti dagli attori, ma aveva anche la possibilità di vivere, anche se per un tempo molto breve, in una realtà migliorata, vicina alle proprie esigenze e dove la realizzazione del protagonista acquistava molto più che un semplice valore simbolico. Anche per questo gli stessi attori, inizialmente del tutto ignorati o lasciati nell’anonimato, vennero poi presi a modello dagli adolescenti, pronti a renderli idoli indiscussi di questa nuova “religione pagana”, come ebbe a definirla Jon Savage (2009), in riferimento all’ideale di eterna giovinezza incarnato da questi artisti, cristallizzati nella celluloide come in una favola. Con il successo del cinematografo, anche gli altri media risposero alla chiamata del nuovo pubblico e non si lasciano sfuggire quella preziosa fetta di mercato costituita dagli adolescenti,

soprattutto la radio, con la diffusone di musica pop, la vendita di dischi e i balli. Negli anni 20, la macchina economica americana risultava ormai inarrestabile. I cittadini

americani affermavano con sicurezza di andare al cinema almeno una volta a settimana, e sebbene i giovani ne fossero i maggiori beneficiari, in realtà la nuova forma di intrattenimento risultava essere anche la più democratica: a differenza dell’opera o del teatro, il cinema era pensato per piacere a tutti, un’arte popolare, che accontentasse le aspettative del pubblico maggioritario e

(16)

16

In un contesto vivace come quello del cinema americano degli anni 20, che in futuro sarebbe stato ricordato come l’età classica del cinema hollywoodiano, i giovani si trovavano rappresentati per la prima volta come una classe economica distinta. Accanto alla pubblicità, che continuava a diffondere prodotti su misura “per i giovani adulti”, anche il cinema faceva la sua parte, proponendo film che facessero breccia sulla loro sempre crescente necessità di trovare rappresentanza. È proprio in questo contesto che fecero breccia quei film muti ed in bianco e nero che avrebbero determinato i tòpoi principali dei generi a venire. Ne è un esempio Birth of a Nation (1915), di David Griffith, dove un primo prototipo dell’American girl, interpretato da Mary Pickford, allora sedicenne, simboleggiava il bisogno della nuova cultura di essere riconosciuta, e della sua fiducia nel futuro. La stessa Pickford divenne un’icona di questa idealizzazione della giovinezza, tanto che le fu richiesto di mantenere lo stesso tipo di vestiario e di acconciatura anche una volta raggiunta la maggiore età. In questi primi esperimenti cinematografici, infatti, le ragazze adolescenti, ad un passo dal diventare adulte, dovevano proporsi come l’incarnazione della purezza e dell’innocenza. Questa percezione si estese poi con forza anche tra le attrici adulte, influenzata principalmente dalle leggi sull’educazione obbligatoria, il lavoro minorile e il consenso sessuale, attraverso cui si rafforzò l’idea che il raggiungimento della maturità fisica non sempre coincidesse con quella psicologica e sociale, tant’è che se a 12 anni si poteva considerare normale lavorare come garzoni, non si poteva però dare per scontato l’accesso all’età adulta a tutti gli effetti. Mostrare la tipica ragazza americana come membro di questo limbo in cui convivono ingenuità e conoscenza, libertà e dipendenza, fu un passo decisivo nella consapevolezza degli adolescenti come gruppo sociale distinto.

Alcuni hanno associato i protagonisti di questi primi film a modelli di ingénue (C. Driscoll, 2011), proprio a rimarcare questo senso di separazione dalla coscienza che viene spesso associata alla mancanza di maturità. The Kid di Chaplin è un altro rappresentante di questo topos, seppur nelle vesti di bambino. Ma mentre per il monello l’unica trasgressione possibile è far infuriare l’agente di polizia, per la ragazza di Birth of a Nation ciò che conta è il preservare della propria innocenza, poiché qualsiasi atteggiamento fuori tono sarebbe stato immediatamente ricollegato alla sfera sessuale. Tuttavia, con l’arrivo dei Flapper Films questa situazione si evolse in senso opposto: ciò che si vedeva nella sala oscurata era promiscuità, divertimenti sfrenati e trucco sfacciato. In

The wild party (1929), l’innocenza lascia il posto alla sregolatezza, all’eccesso e alla ricerca del

piacere nelle vite delle giovani ragazze moderne, ammaliate dalle luci della città e dal fascino del lusso. Rapporti sessuali prematrimoniali e uso di droghe risultavano impliciti anche nei College

Movies, un genere tipicamente americano di cui fa parte il film The plastic age (1925), dove lo

stratagemma del solo passaggio di una tenda, che limita la visione, non lascia spazio all’immaginazione dello spettatore, che immediatamente intuiva cosa succedesse davvero nelle

(17)

17

feste delle confraternite universitarie. È possibile interpretare The plastic age come una versione maschile del Flapper film, poiché la dinamica messa in atto dai protagonisti risulta la stessa, nonostante il genere diverso. Vi ritroviamo infatti inscenati varianti più complesse del topos dell’ingénue, ma che ne riconfermano l’essenza. Quello che i protagonisti cercano davvero non è la ribellione o la trasgressione, bensì l’essere controllati e accettati. Sintomatico di questo atteggiamento è anche l’interiorizzazione di certi gruppi particolarmente selettivi in cui si vanno a trovare gli adolescenti nei film. Il protagonista di The plastic Age viene da tutti additato come

geek, inetto nello sport e nelle relazioni sociali, opposto quindi al quarterback, giovane spavaldo

e popolare tra le ragazze, anch’esse categorizzate come cheerleader o bookworm. Tutte queste tipologie hanno un loro ruolo nella nicchia micro sociale del College, con i sui riti di passaggio e

il suo ballo di fine anno, successivamente ripresi dagli High school movies. Comunque, se fino a quel momento produttori e registi lavoravano pressoché indipendentemente

nella scelta delle tematiche dei propri film e su come affrontarle, protetti da leggi regionali e controlli piuttosto blandi, con l’avvento del sonoro e dei talkie, i censori cinematografici, sotto l’egida del Motion Picture Production Code, si trovarono costretti a radicalizzare progressivamente le loro posizioni in fatto di ciò che poteva essere detto o no, visto che “film-scripts could make so much story explicit” (Driscoll, 2011). Inoltre, la situazione si aggravò quando, nel 1933, venne registrato il più alto tasso di criminalità degli ultimi anni, notizia che rese imperativo un controllo “morale” del nuovo medium di comunicazione. Nel giro di un anno, ricercatori del Motion Picture Research Council passarono in rassegna i film trasmessi nei cinema americani in quell’anno calcolando che il 72% di questi aveva a che fare con “crimine, sesso e amore” (J. Savage, 2009). Conseguentemente, nel 1934, fu ufficialmente istituita la Production Code Administration, al cui vaglio dovevano assoggettarsi tutte le produzioni statunitensi prima

di essere rilasciate nei teatri. Il controllo serrato dei contenuti cinematografici non risultava certo come una novità per i registi,

i quali anzi tenevano molto in considerazione il rispetto di certe regole non scritte, ma profondamente interiorizzate, attraverso cui potevano assicurare al loro pubblico uno scenario coerente e consolidato, evitando elementi troppo sperimentativi o addirittura alienanti. Con il Production Code, queste norme venivano di fatto istituzionalizzate, affinché nei film si potesse vedere rappresentato l’ideale favolistico del lieto fine7. Ovviamente, il vantaggio che portavano

7 “Moviemakers learned early on that theirs was fundamentally a storytelling medium and that stories

affirming an audience’s beliefs were the most successful at the box office. The wise moviemaker

‘exploited’ what was known about the audience by catering to its desires and meeting its expectations. By the 1930s, the Production Code set of standardized audience values to guide moviemakers in the

construction of their narratives and hence in the exploitation of their audience, i.e. that crime should not pay, virtue should be rewarded, the good handsome boy should get the good pretty girl. Hollywood would have had to adhere to conventions, Code or no Code.” Thomas Doherty (2002), pp. 6

(18)

18

questi film prodotti “in serie” era ravvisabile soprattutto nei profitti. Ciò non significa che gli studios di Hollywood mancassero di invettiva a seguito della censura, ma il contrario: se il mercato cinematografico riuscì a mantenersi vitale anche dopo il rovinoso crollo della borsa di Wall Street e l’irruenza delle leggi censorie, si dovette proprio all’originalità di certi film, che offrivano alla popolazione martoriata dalla crisi economica una valvola di sfogo, una realtà fittizia dove rifugiarsi.

Tuttavia, sarebbe un errore grossolano non considerare come contrappeso nella bilancia hollywoodiana anche l’aspetto meramente economico. Per l’appunto, la produzione di un film consisteva in un processo relativamente lungo e costoso, nel quale non era contemplabile nessun margine di errore. Non a caso si è spesso parlato della storia del cinema americano come di una “storia commerciale”8, la cui sorte era letteralmente in mano ad otto compagnie che detenevano

il monopolio sugli studios. Questi Big Eight, fin dai primissimi anni 20, erano riusciti a definire il prodotto di massa hollywoodiano che soddisfaceva il gusto di tutti, e, di conseguenza, assicurava introiti pressoché stabili. Mentre gli altri giganti dell’industria si trovarono ad affrontare la bancarotta a causa della Grande Depressione del 29, gli studios raggiunsero il loro equilibrio riducendo al massimo i prezzi dei biglietti e chiudendo i teatri minori, un compromesso più che convivente per il nuovo medium, che proprio grazie alla situazione di crisi generale affermò con forza la sua presenza nella società come colonna portante nella frontiera dell’intrattenimento, più che mai necessario in quella circostanza. Il cinema americano aveva confermato, sotto gli occhi di tutti, il suo inarrestabile potenziale economico.

1.4 ‘The motion picture has grown up by appeal to interests of childhood and youth’

Oltre ad aver consolidato il suo ruolo di “attività per tutta la famiglia”9, il colosso americano

aveva ampliato e raffinato il suo target. Gli anni 20 furono cruciali, dal momento che era saltato all’attenzione di tutti l’interesse che il cinema esercitava su quella fascia di popolazione compresa tra infanzia e adolescenza. Mentre dilagava la preoccupazione sul diffondersi a macchia d’olio della criminalità giovanile, negli studios ci si proponeva di dare un messaggio che, da un lato, limitasse l’ansia dei genitori sul futuro dei loro figli, dall’altro, che proponesse proprio ai giovani un modello alternativo, dove potersi realmente rispecchiare come gruppo a sé stante. In questo senso, i film prodotti in questo periodo fornirono un modello imprescindibile, e non solo negli

8 “In America, moviemaking has always been dependent on commercial validation. Virtually all movies

begin as commodities. The history of American motion pictures can be seen as a commercial history.” Ibid., pp. 13

9 “Motion picture producers and distributors of America (MPPDA) from 1922 to 1945 always insisted

(19)

19

Stati Uniti. In Francia ed in Germania il fenomeno degli adolescenti che frequentavano i cinema grazie ai piccoli guadagni dei loro lavoretti era considerato come un segno dell’influenza dei film nella vita di questi giovani fruitori, che percepivano nelle storie del cinema non una rappresentazione mimetica, ma una trasmissione di ideali, che nella realtà potevano trovare applicazione10.

Nonostante questa crescente attenzione per la giovane età in quasi tutto il contesto occidentale, è stato argomentato che proprio nell’America degli anni 40, nel momento in cui l’Europa si stava imbarcando per una nuova guerra in cui gli USA avrebbero giocato un ruolo fondamentale, gli adolescenti furono attratti dal cinema ad un tempo come protagonisti e spettatori. Nelle produzioni cinematografiche i personaggi principali erano portavoce di un’intera generazione in cerca di idoli, pronta a riconoscere questo ruolo impegnativo agli attori che dovevano mettere in scena le loro agitazioni, la loro euforia e necessità di integrazione. In quanto audience maggioritario, i

teenager riconoscevano in questi film il raggiungimento di una condizione sociale legittima, in

cui si identificavano come compagine autonoma e unitaria, catalizzatrice di uno slancio verso il nuovo. Già Stanley Hall aveva iniziato ad usare il termine teenagers per definire gli adolescenti, ma solo il mondo del cinema riuscì a totalizzare questo loro status. A differenza delle stilizzazioni a cui attori e attrici degli anni 20 dovettero adeguarsi per la realizzazione dei personaggi giovani, nella seconda metà del secolo si tese invece a caratterizzare gli adolescenti nella loro interezza, scavando oltre il substrato sociale che li avrebbe collocati a metà tra infanzia ed età adulta fino ad arrivare a catturarne le mode, i comportamenti, i gusti. Come per il topos dell’ingénue infatti, le nuove attrici e little girls dei film sono sì ancora innocenti, vitali, gioiose ma hanno storie tempestose alle spalle, magari cresciute senza l’appoggio dei genitori, oppure di questi cercano l’attenzione. Un esempio lampante è Shirley Temple, così come le altre giovanissime attrici che in quegli anni spaccavano gli schermi, diventando la rappresentazione delle bobby-soxer: avevano un loro vestiario, uno specifico modo di parlare e un atteggiamento totalmente diverso dalle dive che le avevano precedute.

Il tono giocoso di queste commedie adolescenziali, più tardi chiamate teenpics, non riusciva però ad esorcizzare del tutto il problema sempre consistente della delinquenza giovanile. L’isteria dei media su questa piaga ancora aperta nella società si sfogava soprattutto contro quelli che venivano additati come cattivi esempi per la gioventù presenti nei film di quegli anni. È stato argomentato che, sebbene la criminalità prettamente maschile fosse quella con conseguenze più destabilizzanti, in realtà il coinvolgimento delle ragazze nelle dinamiche della delinquenza era oggetto di

10 Catherine Driscoll (2011) a questo proposito fa riferimento ad un saggio del critico tedesco Siegfried

Kracauer, The little shopgirls go to the movies (1927). In particolare, viene problematizzata la questione del tipo di spettatori che frequentano i teatri, riscontrabile nella nuova categoria sociale di ragazze lavoratrici.

(20)

20

maggiore preoccupazione sia da parte delle istituzioni che degli adulti. Proprio come nei flapper

film infatti, ciò che turbava in maniera consistente l’opinione pubblica era la corruzione dei

costumi delle ragazze, soprattutto nel momento in cui gli Stati Uniti intervennero nella guerra, situazione in cui i nemici europei non facevano che approfittare di qualsiasi opportunità per diffondere propaganda politica anti-americana. Tutto ciò avveniva proprio in concomitanza con l’emergere di figure come Frank Sinatra (1915 – 1998), che aveva raggiunto l’apice del successo sulla base del suo fascino sulle adolescenti, tanto da spingere alcuni a credere che fosse creato appositamente per loro dalla casa discografica, così come, negli anni 20, Rodolfo Valentino aveva sorpassato gli altri colleghi attori per popolarità tra le spettatrici americane. Quello che avveniva con Sinatra era un procedimento di marketing che all’epoca era noto come Exploitation, dal momento che sfruttava l’interesse che orbitava intorno ad un certo evento o personaggio dello spettacolo per creare un caso mediatico. Lo stesso procedimento si ravvisava anche nei film, soprattutto nei così detti B picture, ovvero quei prodotti che, in particolare negli anni 50, ma già a partire dai 40, avevano il compito di intrattenere gli spettatori attraendoli nei teatri sulla base di ciò che era stato pubblicizzato in precedenza fornendo una dose già consistente di notizie, come di solito succedeva con gli articoli di gossip o relativi alla guerra, diffusi via radio e riviste al fine di attrarre interesse e di sollevare l’umore 11. I B picture erano per questo un ottimo prodotto,

poiché accontentavano tutti riuscendo a tenere il pubblico incollato al grande schermo, mentre le compagnie dedicavano la maggior parte delle loro risorse alla produzione degli A picture, che però richiedevano un dispendio di tempo decisamente ingente per lo standard hollywoodiano, tanto da richiedere proprio l’intervento di un prodotto qualitativamente inferiore, ma funzionale a riempirne il vuoto. Tutto ciò non dispiaceva affatto ai produttori, decisi a trarre vantaggio da qualsiasi evento mediatico di cui sfruttavano la diffusione per convogliare orde di spettatori

all’interno dei loro teatri, con la convinzione di trovarvi qualche scoop esclusivo. Non era un caso che questi film di serie B fossero indirizzati ai più assidui frequentatori delle sale

cinematografiche, i teenager. Hollywood, in effetti, aveva da poco iniziato ad utilizzare sondaggi e ricerche sulla frequenza dei suoi spettatori nelle sale per poterne prevedere i gusti ed anticipare perciò costi, investimenti e profitti in base al prodotto da realizzare. Ovviamente questo processo

11

Doherty (2002) definisce il processo di exploitation in termini di attivo-passivo: il film sfruttato è

l’oggetto passivo, usato per il marketing e le produzioni pubblicitarie, ma è anche soggetto attivo, dal momento che viene indirizzato ad un particolare pubblico, incoraggiato a comprare il biglietto del cinema per usufruire di contenuti originali e stuzzicanti. In questo senso Doherty enfatizza il processo

comunicativo che si instaurava tra film e pubblico, il quale cercava nel primo una rappresentanza dei propri valori e aspettative, e più il film accontentava queste richieste, più l’exploitation aveva avuto effetto. Si riporta la dichiarazione dell’allora vice presidente dei Columbia Pictures, Jack Cohn: “Good pictures do not sell themselves, we will never have phenomenal box office success without the combination of a great picture and adequate exploitation […] the better the picture, the greater must be the exploitation campaign.”

(21)

21

non riguardava soltanto gli adolescenti, ma a differenza di tutti gli altri spettatori tradizionali, questi erano i più affidabili e per questo gli studios puntavano sulla loro fiducia, così come le catene di vestiario e di cura della pelle contavano sulla loro futura lealtà al brand, anche una volta superata la fase adolescenziale.

Gli spettacoli musicali, i film, i balli, il jazz e lo stesso Frank Sinatra erano pertanto pedine in quel mercato che stava sempre più basando le sue fondamenta sul consumismo, ed i teenager, che appena 50 anni prima avevano affermato la loro rivalsa sociale con l’intervento di Hall, vedevano ora incanalare le loro energie nel mercato di massa di cui loro stessi erano inconsapevoli sostenitori. D’altra parte, il riconoscimento da parte delle istituzioni e l’emergere dei loro diritti non avevano però dato loro una vera e propria espressione politica. L’unico modo che rimaneva loro per dichiarare la loro indipendenza era il denaro, con cui comprare oggetti che quasi assumevano la funzione simbolica di amuleti, o per partecipare a raduni con i loro coetanei, come succedeva per le dance hall e i concerti di Sinatra. Non a caso, in questi anni di scontro bellico proliferarono le cosiddette teen canteen, luoghi simili ai pub e alle tavole calde ma consciamente indirizzati ad individui di età compresa tra i 12 e 19 anni, dove era possibile ascoltare musica, ballare, incontrarsi e bere Coca-Cola, tutto sotto l’assiduo, seppure discreto, controllo di un adulto, incaricato di sorvegliarli mentre passavano i pomeriggi in una piacevole condizione di libertà vigilata. Le canteen erano quindi un ottimo esempio di prodotto di marketing funzionale sia alle esigenze di mercato, il quale aveva iniziato a fare affidamento sul potere d’acquisto dei

teenager, sia alle esigenze della comunità, che invece insisteva affinché i giovani fossero tenuti

lontani da situazioni di degrado, potenzialmente causate dalla frequentazione di bar notturni, a

contatto con l’alcol e la malavita. Ad offrire un ulteriore supporto al tentativo istituzionale di tenere a bada gli istinti adolescenziali

evitando tutto ciò che era considerato sinonimo di criminalità, dissesto sociale e anti patriottismo, nel settembre 1944 intervenne in aiuto un nuovo prodotto indirizzato ai tennager che combinava formazione educativa a marketing spietato. La rivista “Seventeen” fece così il suo ingresso nel clima di ritorno all’ordine con il ruolo di mettere per iscritto ciò che succedeva nelle teen canteen di ogni quartiere. A differenza delle riviste per giovani in vendita, nel nuovo prodotto si trovarono sia riferimenti agli interessi dei giovani, e soprattutto alla moda che influenzava le scelte delle ragazze, sia vere e proprie esortazioni alla partecipazione attiva nel contesto nazionale come gruppo rappresentate del futuro del Paese. Alle riflessioni sulla democrazia, l’emancipazione e a tutto ciò che ogni teenager poteva fare per contribuire alla vittoria degli Stati Uniti oltreoceano, si affiancarono rotocalchi e pubblicità di qualsiasi prodotto di cui un teenager americano poteva sentire il bisogno, dal portasigarette a creme per il viso di ogni tipo. La leva mediatica che gravava

(22)

22

sui giovani era ormai evidente e “Seventeen” si inseriva a pieno titolo nelle file del mercato giovanile.

I consumatori più affezionati alla rivista erano le ragazze, a cui interessava trovare le ultime tendenze in fatto di vestiti e accessori per essere le più in vista tra le coetanee. Si pensava però anche al loro futuro come componenti attive della società, per cui non mancavano consigli su libri da acquistare e discussioni sui fatti dell’attualità. Era infatti sulle ragazze che si concentrava maggiore preoccupazione, soprattutto in questi anni di guerra, condizione extra ordinaria che rendeva difficile stabilire con esattezza il confine entro cui queste adolescenti erano da considerarsi ancora bambine. Ad alcune di loro, in effetti, veniva chiesto di mettere da parte gli studi per lavorare nelle fabbriche belliche, di fatto insieme alle madri e mogli dei soldati, ma d’altro canto ci si aspettava da loro di essere buone studentesse, con entusiasmo e voglia di partecipare, sempre mantenendo comportamenti consoni alla propria età e stando lontane dai guai.

1.5 ‘That’s the third sock I have lost this term. I must have sox appeal’

Questo fragile equilibrio, dove intervenivano diverse gioco-forze, non era destinato a durare a lungo. Una scossa considerevole provenne da un evento che fu in seguito ricordato come “Columbus Day Riot”. Il 12 ottobre 1944 Frank Sinatra rientrò nei Paramount Studios per un concerto a cui parteciparono più di 25.000 adolescenti, “most of them early teen-age girls clad-in bobby socks and sweaters” (Tim Snelson 2013), come vennero definite dal New York Times, dopo che alla fine del concerto, in preda ad euforia collettiva, si rifiutarono di lasciare la sala dove si era appena esibito il loro idolo, bloccando il traffico cittadino per ore e destabilizzando i negozi circostanti12. Chiaramente non si trattava di un assalto vandalico o di una rissa tra giovani

gangster, ma quello che si scatenò sui media fu un vero e proprio moral panic che impose alle autorità di intervenire per mettere fine alla bobby socks brigade e ristabilire il rigore morale. Le misure della polizia si moltiplicarono in breve tempo; ai teenager non era più permesso frequentare le dance hall oltre un certo orario prestabilito, dovevano poi rispettare un coprifuoco più severo e aumentò esponenzialmente il numero delle pattuglie nei luoghi di ritrovo più a rischio. Le imposizioni più rigide toccarono alle grandi città, in particolar modo New York, da dove il movimento repressivo era partito. Nelle città più piccole e lontane dai centri urbani principali l’impegno delle autorità fu più altalenante, ciononostante un tale ritorno all’ordine e la conseguente urgenza di controllo erano arrivati ad un punto tale da mettere in discussione tutto

12 Lo stesso protagonista della serata, Frank Sinatra, ebbe a dichiarare: “the sound that greeted me was

(23)

23

ciò che orbitava intorno ai teenager e alla loro disciplina. Eppure, la pressione che le comunità esercitavano sul comportamento delle adolescenti è interpretabile nella prospettiva di ciò che il mercato americano stava sperimentando. Vale a dire che, se anche le aziende compresero la portata economica dell’attrarre giovani consumatori, non erano però del tutto preparati a fornire prodotti che accontentassero la nuova clientela. I loro tentativi richiamavano sempre prodotti già esistenti che, attraverso abili strategie pubblicitarie, avrebbero dovuto far breccia tra i giovani consumatori, ma di fatto, una chiara idea di cosa fosse appropriato o no per gli adolescenti doveva ancora emergere. Il pericolo di indirizzare in maniera sbagliata i comportamenti dei giovani era sempre in agguato, provocando allarmismo tra l’opinione pubblica, ulteriormente radicalizzata quando si trattava di ragazze.

Volendo identificare meglio questo aspetto, è possibile fare riferimento proprio ai bobby sox, cioè nient’altro che un tipo di calze che non superavano la caviglia e che finirono per sostituire le tradizionali calze di seta. Se l’introduzione dei bobby sox è da spiegarsi in termini politico-economici, essendo proibitivo reperire in tempi di guerra una quantità di materiali tale da soddisfare la domanda di calze femminili, la portata simbolica che un capo così semplice ha avuto per un’intera generazione ha ben altra motivazione13. È infatti a partire dagli anni 30 che il fenomeno bobby sox si diffuse tra le

studentesse dei college, ma solo nel decennio successivo le teenager se ne appropriarono, rendendolo il loro marchio distintivo insieme alle saddle shoes e all’amore condiviso per Frank

Swoonatra14. Nel 1948 il mensile “Seventeen” pubblicò un articolo che ben sintetizzava

l’interesse economico che si celava dietro l’offerta dei prodotti menzionati: “When is a girl worth $11.690.499?” (K. Schrum, 2004). Nella rivista più popolare tra le adolescenti si sottolineava il potere delle lettrici nell’influenzare il mercato di cui loro stesse erano protagoniste. Quando infatti risultò chiaro che favorire quel preciso gruppo di individui fosse l’opzione più vantaggiosa per

13 Nel 1944 il New York Times pubblicò l’articolo “What is a Bobby Sock?”, in cui si spiegava che “the

purchaser and her motives change an innocent pair of anklets into a sociological problem.” (Tim Snelson, 2013), pp. 60

14 “George Evans, Sinatra’s press agent, may have hired girls initially to ‘swoon’ and scream, but […]

this response quickly became a genuine phenomenon. Girls across the country responded emotionally to seeing, hearing, or even mentioning Sinatra. Explanations for teenager girl’s behavior covered almost as much media space as tales of fanatics. […] a Sinatra fan remembered “…the thing we had going with Frankie was sexy. It was exciting. It was terrific.” Kelly Schrum (2004) si inserisce nella schiera di commentatori e studiosi che hanno guardato al fenomeno Frank Sinatra come all’inizio della rivoluzione sessuale femminile. In questo senso, l’autrice interpreta i segnali emotivi esagerati delle giovani donne verso il cantante come espressioni sensuali circoscritte in un contesto accettabile e quindi non

incriminabile. Vengono infatti riportati documenti dove si dimostra la popolarità del cantante diventata ossessione, frenesia: l’autrice ad esempio cita diari di ragazzine che si esercitavano nello svenimento nelle proprie camere insieme alle amiche, tra le altre testimonianze di devozione. È possibile suggerire che il

moral panic seguito al Columbus Day Riot fosse da interpretarsi nel segno di salvaguardia della virtù di

queste teenager che vivevano il rapporto con la celebrità non in senso materno, come ebbero a definirlo certi giornalisti contemporanei, ma libidico. (pp. 124-125)

(24)

24

qualsiasi attività commerciale, nessuno volle più rimanerne escluso e i prodotti indirizzati agli adolescenti, soprattutto ragazze, si moltiplicarono permeando ogni aspetto della quotidianità. La vita delle bobby soxer acquisì quindi uno status symbol inedito nella società americana, in cui prodotti e servizi si mettevano a disposizione delle esigenze dei nuovi adolescenti.

Il ruolo del cinema in questo scenario è davvero emblematico, poiché l’esperienza legata alla sala cinematografica aveva un effetto onnicomprensivo; nel teatro non ci cercava solo la qualità del film in sé, ma anche tutto ciò che faceva da corredo. Gli adolescenti intendevano l’esperienza del cinema come momento di contatto con i loro pari, con la sala, con il ristorante dove andare alla fine del film. Nei licei venivano fondati club di apprezzamento di attori, fan club, centri di discussione. La vita dei nuovi teenager ruotava intorno al cinema così come a tutti i media, ma

solo nel mondo hollywoodiano si trovavano queste immancabili possibilità 15 .

A corollario di ciò, gli studios non potevano evitare di finire tra i primi ad essere accusati della deviazione morale che aveva spinto 25.000 teenager ad invadere il teatro di Paramount. Alcuni, infatti, si convinsero che il generale imbarbarimento dei teenager fosse causato in parte da ciò che recepivano dai film, capaci di influenzare il loro comportamento16. I prodotti incriminati

erano, in particolare, Youth runs wild di Mark Robson (1944), Where are your children? (1943) e Are these our parents? (1944) di William Nigh. La minaccia rappresentata da questi film risiedeva nel fatto che facessero parte di quel genere basato della delinquenza giovanile, trasposta in pellicola svelandone le drammaticità. I tesi come questi venivano perciò chiamati juvenile

delinquency films (j.d.) e facevano capo allo stile dei B picture, ma senza rispettarne totalmente i

criteri. Le dinamiche contenutistiche dei j.d. sono facilmente descrivibili se si prende in considerazione un esponente di rilievo di questo genere: il film Dead End diretto da William Wyler nel 1937 si guadagnò i consensi di critica e pubblico proponendo una versione del film di gangster che includeva tematiche legate al dramma familiare e personale, in cui il protagonista, vissuto per anni nella criminalità, rimane intrappolato nonostante gli sforzi di redimere gli errori del passato.

In relazione ai tre esempi citati, si rivela una fondamentale differenza. Infatti, ciò che risultava inaccettabile in queste produzioni era il coinvolgimento nella malavita di ragazze normali, di buona famiglia e background economico solido. Il fattore femminile risultava quindi determinante

15 Timothy Shary: “one of the reasons the teenage population became more visible [in the early twentieth

century] was due to the spread of movies theatres, where young people would congregate. […] Cinema thinks as teenagers as exciting figures of vulnerability and promise.” (C. Driscoll, 2011)

16 Lo scetticismo nei confronti del cinema relativo all’influenza negativa che avrebbe esercitato sugli

individui più suscettibili e, di conseguenza, anche sui giovani, era diffusa già negli anni 10 del secolo. Ciò che in quel frangente destava maggiore sconcerto era l’eccessiva occorrenza di casi di epilessia tra bambini e adolescenti, per cui se ne cercarono le origini nella frequentazione di teatri in cui questi soggetti sarebbero stati sottoposti a scene, unite a suoni, che avrebbero urtato la loro sensibilità rendendone impossibile un’assimilazione ordinaria.

(25)

25

nelle trame di questi film poiché le protagoniste finivano per essere risucchiate, a più livelli, in situazioni scomode e socialmente deprecabili, specialmente in relazione alla sfera sessuale. Sebbene il riconoscimento della sessualità adolescenziale avesse fatto enormi progressi rispetto ai primi anni del secolo, tale argomento destava ancora un certo sconcerto e lo si considerava unanimemente un tabù. D’altra parte, anche il Picture Code non accettava di buon grado che certe tematiche controverse apparissero nelle produzioni hollywoodiane, in cui si privilegiavano film che rendevano chiara la separazione delle protagoniste da quelli che venivano considerati comportamenti trasgressivi. A differenza di Kiss and tell (1945) o di The bachelor and the

bobby-soxer (1947), infatti, dove la benamata Sherley Temple, nei panni della protagonista, non superava

certi limiti impliciti alla sua età, senza però rinunciare totalmente alla sua veste di piccola ribelle, nei film citati invece le ragazze assumevano atteggiamenti già biasimevoli se associati a dei

teenager, ma del tutto riprovevoli per delle ragazzine. Inoltre, nel finale di questi film non era

presente alcun tipo di messaggio morale, ma si aveva anzi la rivelazione implicita che considerava l’emergere di comportamenti sconvenienti tra i giovani come conseguenza diretta dell’inadeguatezza dei genitori, negligenti verso i figli e completamente assorbiti dalle loro carriere ambiziose, e secondariamente del contesto storico di crisi, interpretando gli atteggiamenti fuori luogo delle giovani donne come sintomo di destabilizzazione causata dalla guerra in corso. D’altra parte, è comprensibile che l’intervento americano nella guerra destasse non poche preoccupazioni, per cui determinati attriti tra la popolazione sono da spiegarsi soprattutto in relazione al periodo di instabilità politica. In merito a ciò va interpretata anche la conflittuale ambiguità che spesso accompagnava la figura femminile nei media e nell’opinione pubblica. In Particolare, alcune delle attrici che interpretavano i personaggi femminili di “bambine combina guai” erano ormai troppo cresciute per preservare quello spirito innocente e naïve che si chiedeva loro, cioè quell’ideale di femminilità attivo già nel lontano Birth of a Nation, ma ora quasi anacronistico se comparato all’iconografia diffusa delle victory girl e pin up girl, vale a dire figure di ragazze adulate dai soldati e da loro esortate a mostrarsi compiacenti per avere sempre presente il premio per cui stavano combattendo. Il paradosso risiedeva quindi nella naturalezza con cui queste giovani donne venivano contemporaneamente associate a paladine della democrazia ed a prostitute, e quindi accusabili di mancanza di patriottismo oltre che di amoralità. La stessa Shirley Temple risentì parecchio del moral panic che circondava la sua generazione come uno stigma. Dal 45 al 47 fu sempre più difficile trovare un ruolo adatto a lei, soprattutto in seguito al suo matrimonio, di fatto escludendola dalla produzione di alcuni film e, successivamente, costretta ad abbandonare la carriera ad Hollywood definitivamente. La vicenda di Temple è emblematica poiché rappresenta l’ambivalenza del ruolo della donna nella società americana durante e subito dopo il conflitto mondiale.

Riferimenti

Documenti correlati

All'inizio del ciclo di elaborazione il registro PC (program counter) vale 1, e viene ogni volta incrementato SUBITO DOPO la fase di Fetch: in questo modo, l'esecuzione di

En d’autres termes, nous mettons l’accent sur ce qui est fait et devrait être fait pour encourager les créations de sujets d’actualité, l’emploi/recrutement et

Hence, here I am treating praise and glory on hand, and censure on the other, as evidence of judgement applied on characters of the heroic poems and their Eddic heroism,

Several cohort studies reported a positive association between prenatal exposure to paracet- amol and wheezing or asthma in children (summarised in S5 and S6 Tables), but the lack

terrorismo sono stati reperiti sul sito www.pensionilex.kataweb.it e sui siti INPS e INPDAP... Tale procedimento deve essere concluso con sentenza soggetta all’impugnazione

Provare a standardizzare, per vedere

Se programma chiamante e subroutine dichiarano l’array con numero di righe differente, fanno riferimento alla stessa. variabile con

[r]