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Valutazione di parametri di benessere in allevamenti di bovine da latte a stabulazione libera e fissa in Toscana.

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Academic year: 2021

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I

Dipartimento Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie delle Produzioni

Animali

Valutazione di parametri di benessere in

allevamenti di bovine da latte a stabulazione

libera e fissa in Toscana.

Candidato

Relatore

Marco Rizzuto Dott.ssa Lorella Giuliotti

Correlatore

Dott.ssa Maria Novella Benvenuti

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III

RIASSUNTO

La questione del benessere animale in allevamento è una tematica molto dibattuta sia dall’opinione pubblica che dagli operatori del settore zootecnico. Il benessere della vacca da latte, come delle altre specie in produzione zootecnica, può risultare influenzato dal management aziendale e in particolare dal sistema di stabulazione. In questo comparto, nonostante l’orientamento verso strutture che prevedono la disponibilità per gli animali di apposite aree (di esercizio, di alimentazione, di riposo), la presenza di realtà che prevedono il mantenimento degli animali legati senza possibilità di movimento, è ancora diffusa. Questa privazione viene percepita come uno dei fattori più importanti nel limitare il benessere delle bovine da latte.

Questo studio ha avuto come scopo la valutazione del benessere animale attraverso l’analisi di parametri immunologici, metabolici e stress correlati in vacche da latte pluripare di razza Frisona allevate a stabulazione fissa o libera.

Lo studio ha interessato 155 vacche appartenenti a diciotto aziende dislocate nelle Province di Firenze, Massa. Lucca, Pisa e Livorno.

Per ogni soggetto è stato prelevato un campione di sangue e di pelo e allo stesso tempo è stato valutato il Body Condition Score (BCS). Tutte le valutazioni e i prelievi sono stati effettuati di mattina e in presenza del personale di stalla per limitare il disturbo agli animali.

Sono stati determinati i seguenti parametri: alanina-aminotransferasi (ALT), aspartato-aminotransferasi (AST), beta-idrossibutirrato (BHBA), azoto ureico (BUN), acidi grassi non esterificati (NEFA), proteine totali (TP), creatinina (Creat), calcio (Ca), cloro (Cl), potassio (K), fosforo inorganico (P), lisozima sierico (SL), aptoglobina (Hp), radicali liberi dell’ossigeno (OFR), cortisolo del pelo (Cortis) e BCS.

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IV

I risultati hanno messo in evidenza che il tipo di stabulazione ha influenzato in maniera significativa ALT, AST, BUN, BHBA, Cl, SL, OFR. Tutti i parametri ricadono all’interno dei range di normalità ad eccezione di ALT, BUN, NEFA e SL.

OFR è risultato più elevato negli allevamenti a stabulazione libera, molto probabilmente a causa del maggiore livello produttivo delle bovine allevate in questa tipologia. Il Cortisolo, nonostante sia risultato più alto nella posta fissa, non suscita particolari preoccupazioni riconducibili a stress cronico, poiché i valori ottenuti sono più bassi di molti riferiti in bibliografia.

Dai risultati ottenuti emerge che la stabulazione fissa non sembra compromettere la salute e lo stato di benessere degli animali, probabilmente a seguito delle maggiori attenzioni sul singolo soggetto e sull’ambiente di allevamento da parte dell’uomo.

PAROLE CHIAVE: vacca da latte, benessere animale, sistemi di allevamento,

parametri immunologici, parametri metabolici.

ABSTRACT

The increasing attention paid both by the legislator and the consumers regarding animal welfare has brought to the criticism towards the tie stall (TS) farming system of dairy cattle because it probably restricts the voluntary movement and the social behaviour of cows.

The aim of this study was to compare the welfare of dairy cows reared in a tie-stall (TS) and open-stall (OS) system by metabolic, immunological and stress related parameters. The study involved 155 cows belonging to 18 farms located in some provinces of Tuscany.

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V

Blood samples were collected in the morning to estimate alanina-aminotransferase (ALT), aspartate-aminotransferase (AST), betahidroxibutirrate (BHBA), nitrogen ureic (BUN), non esterified fatty acids (NEFA), total proteins (TP), creatinine (Creat), calcium (Ca), Clorum (Cl), potassium (K), phosphorus (P), serum lisozyme (SL), haptoglobin (Hp), oxygen free radicals (OFR), and hair cortisol. At the same time a body condition score (BCS) was recorded.

The results showed that the housing system affected various parameters such as ALT, AST, BHBA, BUN, Cl, SL, OFR.

Most of these parameters showed mean values within the range of reference without revealing any signs of suffering. An interesting outcome regarded the OFR level which was higher in the OS system probably as a consequence of the high productive effort. TS did not show a comparable overall situation with serious signs of welfare impairment.

Cortisol, despite resulted higher in TS, did not raise particular concern related to chronic stress, since the obtained values were lower than data reported in literature.

TS did not show a comparable overall situation with serious signs of welfare impairment.

KEY WORDS: dairy cattle, welfare, farming system, metabolic parameters,

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VI

INDICE

PREMESSA 8

I. INTRODUZIONE 10

1. BENESSERE ANIMALE 10

1.1 STORIA E SVILUPPO DEL CONCETTO DI BENESSERE ANIMALE. 10

1.2 DEFINIZIONE DI STRESS 12

1.3 VALUTAZIONE DEL BENESSERE ANIMALE 17

1.4 INDICATORI DI BENESSERE ANIMALE 19

1.5 SISTEMI PER LA VALUTAZIONE DEL BENESSERE ANIMALE IN ALLEVAMENTO 22 1.6 PRINCIPALI NORME COMUNITARIE E NAZIONALI SULLA PROTEZIONE DEGLI ANIMALI

NEGLI ALLEVAMENTI 26

2. L'ALLEVAMENTO DELLA VACCA DA LATTE 29

3. AMBIENTE D’ALLEVAMENTO E BENESSERE ANIMALE 33

3.1 PRINCIPI DI ETOLOGIA DEL BOVINO 33

3.2 CARATTERISTICHE DELLA STABULAZIONE FISSA. 36

3.3 CARATTERISTICHE DELLA STABULAZIONE LIBERA. 44

3.3.1 Stalle a lettiera permanente 45

3.3.2 Stalle a lettiera inclinata 46

3.3.3 Stalle con cuccette 47

II. PARTE SPERIMENTALE 52

4. MATERIALI E METODI 52

5. RISULTATI E DISCUSSIONI 58

6. CONCLUSIONI 73

7. BIBLIOGRAFIA 74

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PREMESSA

La tutela del benessere animale in allevamento ed il problema della sua valutazione rappresentano temi di attuale importanza sia per l’ambiente scientifico che per i tecnici e i consumatori. Viene infatti sempre più concordemente sentita la necessità di garantire condizioni di benessere, in grado di indurre la massima capacità produttiva, quantitativa e qualitativa, senza provocare manifestazioni patologiche o turbe comportamentali che possano alterare l’equilibrio fisiologico degli animali.

La necessità di valutare scientificamente il benessere nasce in conseguenza di questa aumentata sensibilità nei confronti delle condizioni di allevamento. Oggi la maggior parte dei consumatori dell’Unione Europea guarda con favore l’evoluzione delle normative a beneficio del benessere animale e anche gli stessi allevatori sono sempre più propensi al miglioramento delle condizioni, sia per interesse economico che per il maggior livello di conoscenza riguardo alle necessità comportamentali degli animali. Attualmente il consumatore più attento non cerca più esclusivamente la qualità del prodotto dal punto di vista igienico-sanitario e nutrizionale ma pone una particolare attenzione anche alla qualità etica del prodotto. Nello stesso tempo, grazie al contributo della ricerca, gli allevatori sono divenuti sempre più consapevoli del fatto che garantendo un giusto grado di benessere negli animali allevati, questi riescono a produrre di più e meglio.

Per quanto riguarda il comparto bovino da latte, il legislatore e l’opinione pubblica

associano uno scarso benessere animale alla detenzione di vacche da latte a posta fissa per lunghi periodi dell’anno, se non addirittura per tutta la carriera produttiva in quanto

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questi allevamenti non consentono agli animali di esplicare in maniera completa le cinque libertà, ritenute requisiti minimi che dovrebbero essere garantiti ad ogni animale. La stabulazione libera invece, costituita da diverse aree funzionali nella quale la vacca può muoversi liberamente, viene associata ad una maggiore garanzia di benessere animale. A prescindere dal tipo di stabulazione comunque va ricordato che la vacca da latte, per espletare al meglio il suo potenziale produttivo, richiede idonee strutture di allevamento accompagnate da un ottimale gestione della mandria.

Lo studio del benessere è importante anche per quanto riguarda la produzione. Infatti da condizioni non ottimali di allevamento può derivare uno stato di stress che, se prolungato nel tempo, può incidere significativamente anche sulle performance produttive. Da molti autori (Siegel, 1987; Broom e Johnson, 1993) è stato dimostrato che queste cause di stress determinano un peggioramento dell’accrescimento, dell’indice di conversione e dello stato di salute come conseguenza di una diminuzione delle difese immunitarie.

Lo scopo di questa tesi è quello di valutare il grado di benessere animale in alcuni allevamenti di vacche da latte di razza Frisona allevate a stabulazione libera o fissa in alcune province della Toscana attraverso l’analisi del livello di cortisolo del pelo e di alcuni parametri metabolici e immunologici e il punteggio della condizione corporea.

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I. INTRODUZIONE

1. BENESSERE ANIMALE

1.1 Storia e sviluppo del concetto di benessere animale.

La pubblicazione del libro “Animal macchine” di Ruth Harrison (1964) suscitò un grande impatto nella popolazione per i temi affrontati sul benessere animale negli allevamenti intensivi; per questa ragione, l’anno successivo il governo inglese

commissionò a un gruppo di ricercatori la stesura di un report sulle condizioni degli animali negli allevamenti da cui scaturì il “Brambell Report” dal nome del biologo che dirigeva la ricerca.

Questo rapporto è considerato la base per i successivi studi sulla problematica del benessere animale e rappresenta uno dei primi documenti scientifici ufficiali che affrontano questa problematica. Gli autori di questo rapporto definiscono il benessere come un “un termine dal significato vasto, che comprende sia l’aspetto fisico che quello mentale dell’animale”, e indicano la possibilità di valutarlo scientificamente. Il rapporto fa cenno a quelle che saranno definite in seguito le cinque libertà che rappresentano i requisiti minimi che dovrebbero essere garantiti agli animali in allevamento:

- Liberta dalla fame, dalla sete e dalla malnutrizione; - Libertà dai disagi ambientali;

- Libertà dalle malattie e dalle ferite;

- Libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche; - Libertà dalla paura e dallo stress.

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Secondo queste indicazioni, all’animale deve essere garantita una dieta in grado di coprire i fabbisogni fisiologici e idrici, devono essere forniti idonei ricoveri, deve essere assicurata la cura e l'assistenza agli animali malati o feriti, devono essere forniti spazi e ambienti adeguati in modo da permettere agli animali di manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche e devono essere evitate loro sofferenze inutili. Alcune di queste condizioni come la libertà dalla fame, dalla sete e dalla malnutrizione risultano essere soddisfatte nella maggior parte dei casi, mentre l'esigenza di manifestare le caratteristiche specie-specifiche e la libertà dalla paura e dallo stress sono più raramente garantite all’interno degli allevamenti intensivi.

Nel 1997 con il Trattato di Amsterdam gli animali vengono riconosciuti come “esseri senzienti” e, in quanto capaci di provare dolore, ad essi devono essere evitate condizioni di sofferenza e non devono essere sottoposti a maltrattamenti. Questo concetto viene ribadito nel trattato di Lisbona del 2007.

Con il “Libro Bianco sulla Sicurezza Alimentare” (2000) viene riconosciuto un forte legame fra benessere animale, salute animale e sicurezza alimentare, per cui con questo tutti i componenti della filiera zootecnica (allevatori, agronomi/zootecnici, veterinari ecc..) devono operare in modo da tutelare il benessere degli animali anche per garantire al consumatore produzioni di qualità.

La definizione del benessere animale non è di semplice formulazione e nel corso degli anni diversi autori ne hanno dato una propria interpretazione. Hughes (1976) per esempio definisce il benessere animale uno “stato di salute completa, sia fisica che mentale, in cui l’animale è in armonia con il suo ambiente”. Broom (1986) invece afferma che “il benessere di un animale è la sua condizione in relazione ai suoi tentativi di adattarsi all’ambiente”. Hurnik e Lehman (1988) sostengono che: “il benessere

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animale è uno stato o una condizione di armonia fisica e psicologica tra l’organismo e il suo ambiente caratterizzata dall’assenza di privazioni, stimoli avversi, sovra stimolazioni o qualsiasi altra condizione imposta che influenzi negativamente la salute e la produttività di un organismo”. Fraser e Broom (1990), affermano che il benessere dipende dal “grado di successo conseguito nel far fronte a condizioni difficili". Questa

ultima definizione si addice bene ai sistemi zootecnici in quanto non esiste allevamento che non causi una qualche difficoltà per l’animale, ed è qui che il management gioca un ruolo importante.

A livello mondiale la questione del benessere animale è stata dibattuta nella Global Conference on Animal Welfare nel 2004.

1.2 Definizione di stress

Il concetto di benessere è intimamente collegato a quello di stress. Secondo Fraser e Broom, (1990) “lo stress rappresenta una modificazione del normale stato fisiologico dell'animale adottato per poter fronteggiare stimoli sfavorevoli, sia di derivazione ambientale che da allevamento”. Possono essere causa di stress le situazioni negative, durature o transitorie, imprevedibili che l’individuo non riesce ad affrontare nel migliore dei modi. In base a queste situazioni si verificano modifiche sia fisiologiche che comportamentali, che influiscono sia sul comportamento animale che sulle produzioni. Selye (1936) individua due differenti tipologie di stress in base alle conseguenze che può creare: eustress (eu- in greco significa buono) e distress (dis- significa cattivo). L'eustress è quello che risulta utile, in quanto favorisce l'interazione con l'ambiente; il distress, invece è quello che provoca gravi scompensi nell'attività fisica, produttiva ed emotiva dell'individuo. In una zootecnia di tipo intensivo è stato osservato che il distress

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può essere causato sia da una carenza che da un eccesso di stimoli ambientali (sovraffollamento, isolamento, etc). Lo stress può ulteriormente essere classificato in base alla durata dell’esposizione all’agente stressogeno in stress acuto (transitorio) e stress cronico (di lungo periodo). Lo stress acuto si ha in seguito a una situazione negativa di breve tempo, con ripristino di tutte le funzioni fisiologiche. Questa condizione risulta essere semplice da definire, ma difficile da misurare, in quanto causa una risposta biologica veloce. La risposta ad uno stress acuto è data dall’attivazione del sistema nervoso centrale e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, causando nel brevissimo lasso di tempo (pochi secondi o minuti) la modifica dell’assetto ormonale dell’individuo. Alcuni ormoni vengono quindi aumentati (catecolamine, ormone

adrenocorticotropo, oppiacei, vasopressina, prolattina, glucagone, growth hormone e glucorticoidi) mentre altri ridotti (serotonine, gonadotropine). In più, ci sono effetti fisiologici o metabolici che possono verificarsi immediatamente o dopo un certo lasso di tempo. Tra questi, i più comuni sono: aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, aumento della pressione sanguigna, aumento dell’energia derivante dalla mobilizzazione (incremento di glucosio e NEFA), stimolazione del sistema immunitario e la riduzione dell’appetito (Sapolsky et al., 2000). È poi stata osservata una minore velocita del contenuto del rumine (Trevisi et al., 2007) e di quello dello stomaco (Taché et al., 1999), ed un transito più veloce nell’intestino (Taché et al., 1999; Mayer, 2000). Terminato lo stress, il sistema nervoso centrale e l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene cessano di ricevere stimoli e successivamente si ha un ritorno degli ormoni a livelli fisiologici.

Lo stress cronico, a differenza dello stress acuto, è considerato una condizione di continua stimolazione fisiologica (Mendoza et al., 2000). Lo stress cronico si verifica

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quando l’individuo è soggetto ad un evento stressante per un periodo durevole e ripetuto, anche se di lieve entità; in questo caso il sistema nervoso autonomo raramente ha la possibilità di rilassarsi.

Nel 1936 Selye descrisse la sindrome generale di adattamento come la risposta allo stress. Selye, nei suoi studi identificò tre fasi fondamentali: reazione di allarme, reazione di resistenza o adattamento e fase di esaurimento. Tale sindrome risulta essere quindi un meccanismo di difesa, con cui l’organismo cerca di affrontare le difficoltà, per ristabilire poi nel minor tempo possibile l’omeostasi. Lo stress può causare problematiche molto importanti negli animali in produzione zootecnica, per esempio si può avere una diminuzione delle difese immunitarie. Inoltre si può presentare una vera e propria patologia da stress cronico con la comparsa di alterazioni patologiche o alterazioni comportamentali come stereotipie, aggressività, depressione, abbattimento, nonché anomalie del comportamento materno, riproduttivo e sociale. Negli animali la risposta agli stressor e dovuta a un insieme di reazioni che coinvolgono sia il sistema nervoso che quello endocrino, con possibili ripercussioni sul sistema immunitario e quindi su tutto l’organismo.

La reazione di allarme, è la fase che si ha immediatamente dopo la percezione dello stressor, ed è causata da un’immediata attivazione del surrene e del sistema nervoso simpatico. In questa fase si verifica una massiccia produzione di catecolamine (adrenalina e noradrenalina) e di cortisolo sotto lo stimolo dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH) e un aumento del ritmo cardiaco. Il rilascio di questi ormoni associato con la stimolazione del sistema simpatico provoca conseguenti reazioni biologiche come maggior catabolismo, aumento della pressione arteriosa, aumento della gettata cardiaca, contrazione della muscolatura scheletrica,

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vasocostrizione a livello di mucose, cute e visceri addominali con una più facile coagulazione del sangue, tendenza all’arresto della funzione digestiva, midriasi, aumento della glicemia, stato di allerta e una minor irrorazione sanguigna; la minor irrorazione sanguigna nelle aree del cervello specializzate all’elaborazione delle informazioni e alla risoluzione dei problemi può determinare le cosiddette reazioni di attacco o fuga. La successiva fase è quella di resistenza, in cui il soggetto riesce ad adattarsi alle nuove condizioni, trovando una sorta di equilibrio. Questa fase si verifica a seguito di uno stressor più prolungato e il soggetto non potendo rimanere costantemente in stato di allerta, mette in atto una risposta endocrina più lenta ma protratta nel tempo. In questa fase si ha l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (asse HPA) con

effetti di natura sia biologica che comportamentale come risposta allo stressore. L'eventuale sovrapproduzione di cortisolo può determinare la riduzione delle difese immunitarie dell’organismo. I glucocorticoidi risultano essere fondamentali nelle fasi di adattamento allo stress di lunga durata, infatti il rilascio di questi ormoni rappresenta l’adattamento allo stress cronico. I glucocorticoidi, a differenza dalle catecolamine, vengono sintetizzati a partire da precursori molecolari a seguito della stimolazione ipotalamica. Per questo motivo l’effetto dei glucocorticoidi non è immediato come l’effetto delle catecolamine. Il loro rilascio nella fase di resistenza stimolano il catabolismo delle proteine nel muscolo, stimolano la gluconeogenesi epatica, favoriscono l’iperglicemia, favoriscono il catabolismo dei grassi, inibiscono la secrezione di gonadotropine ipofisarie inibiscono l’ormone della crescita, inibiscono la tireotropina ipofisaria e causano una depressione del sistema immunitario. La misurazione della cortisolemia (concentrazione di cortisolo nel sangue), risulta essere uno dei metodi più affidabili per valutare lo stress in un animale. Il cortisolo è un

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ormone chiave nella risposta fisiologica allo stress ed è normalmente determinato in campioni di sangue, urina e feci (Hay and Mormède, 1998; Mostl et al., 2002; Negrao et al., 2004). In accordo con Dickerson e Kemeny (2004) è necessario ricordare che i livelli basali di cortisolo tendono ad aumentare se il soggetto è sottoposto a stressori fisici o psicologici. Le matrici biologiche precedentemente citate però non sono molto pratiche per le analisi in campo e per studi di lungo termine, per questo è stata sviluppata la metodica di valutazione del cortisolo nel pelo.

La prima e seconda fase della sindrome generale di adattamento corrispondono all’eustress.

La fase finale di esaurimento si verifica quando il “pericolo” viene percepito come superato o quando l’energia da stress comincia a scarseggiare. Questa fase è sicuramente la più pericolosa, in quanto l'organismo, malgrado gli sforzi, non riuscendo ad adattarsi può andare incontro a stati patologici di natura psichica e fisica. Dal punto di vista biochimico, l’inizio di questa fase è caratterizzato da una rapida diminuzione degli ormoni surrenalici (noradrenalina, adrenalina, e cortisolo) nonché delle riserve energetiche. La conseguenza di questa fase è un’azione depressiva che inverte i processi organici dalle reazioni da stress per riportare l’organismo alla funzionalità normale. Il distress rientra in quest’ultima fase della sindrome generale di adattamento.

Moberg (1985) ritiene che uno stressor può essere avvertito come una minaccia alla omeostasi metabolica per cui l’organismo provvederà ad attivare una difesa biologica, attivando una risposta a livello neuro-endocrino e comportamentale; a tale risposta seguono diversi cambiamenti biologici e comportamentali in più organi e apparati; se questi cambiamenti non riescono ad essere compensati si può arrivare a stati pre-patologici e patologie vere e proprie. Lo stesso autore ritiene che la diminuita

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immunocompetenza, la maggiore aggressività e la minor attività riproduttiva, possano essere ritenuti stati pre-patologici, indicatori di uno scarso benessere animale.

È bene però ricordare che la risposta allo stress non deve sempre essere intesa come un qualcosa di negativo per il soggetto, infatti i meccanismi di adattamento pongono il soggetto in condizioni tali da superare l’evento avverso proveniente dall’interno o dall’esterno del corpo. (Ferrante, 2009), concetto molto importante per quanto riguarda l’allevamento animale.

1.3 Valutazione del benessere animale

Lo sviluppo di uno strumento di valutazione del benessere in allevamento, che possa stimare in maniera semplice ma efficace le condizioni di stabulazione, dell’ambiente e

del comportamento degli animali e che possa fornire agli allevatori notizie utili al miglioramento delle strategie produttive, in modo da potersi adeguare alle normative vigenti ed alle richieste dei consumatori, è un aspetto fondamentale della ricerca in questo settore.

Nel corso degli anni si sono sviluppati diversi tipi di approcci scientifici.

Esistono tre approcci riguardo al metodo di giudicare il benessere animale (Duncan e Fraser, 1997):

- “feelings-based”, basato sulla considerazione delle sensazioni soggettive degli animali: questo approccio ritiene che gli animali possano avere esperienze soggettive e percepire le diverse situazioni come piacevoli o spiacevoli;

- “natural living-based”, basato sulla possibilità da parte degli animali di manifestare il repertorio comportamentale tipico della specie;

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- “functioning-based”, basato sulla valutazione delle funzioni biologiche dell’animale. Lo scarso benessere viene messo in evidenza dalla presenza di lesioni, patologie e malnutrizione.

Il primo tipo di approccio si basa sulla considerazione che ogni animale possa provare emozioni e stati affettivi (Bono, 2001) e che quindi esperienze individuali negative quali: fame, sete, paura, ecc.., possano compromettere il benessere animale, che al contrario è favorito da situazioni sociali positive.

La valutazione del livello di benessere si avvale di test di preferenza o di avversione e di indicatori comportamentali e fisiologici di stati emotivi e benché le metodiche sperimentali siano molto rigorose, risulta comunque complessa l’interpretazione dei

risultati.

Un secondo tipo di approccio si basa sullo studio dei comportamenti naturali. Questo tipo di criterio si basa sul principio che gli animali debbano essere messi in grado di manifestare in maniera completa il proprio repertorio comportamentale. La valutazione avviene attraverso il confronto tra il comportamento che ogni animale esprime nel suo ambiente naturale con quello degli animali allevati in cattività. Per gli animali in produzione zootecnica questo tipo di approccio non è molto corretto, in quanto con la domesticazione e la successiva selezione genetica molti comportamenti “selvatici” sono stati persi o comunque alterati.

Un ulteriore metodo per la valutazione del benessere animale riguarda l’approccio funzionale. Questo tipo di approccio misura il grado di adattamento dell’animale all’interno del proprio sistema di allevamento attraverso lo studio di diversi parametri oggettivi (indicatori fisiologici, patologici, produttivi) e di alcuni indicatori etologici (Aguggini et al., 1998). Questa valutazione parte dal presupposto che il benessere sia

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uno “stato di salute completa, sia fisica che mentale, in cui l’animale è in armonia con il suo ambiente” (Hughes, 1976) e risulta l’approccio più valido per la valutazione del benessere animale nei sistemi zootecnici in quanto in accordo con Duncan, (1981).

1.4 Indicatori di benessere animale

La possibilità di quantificare con criteri oggettivi lo stato di benessere e di interpretare il significato delle interazioni organismo-ambiente richiede l’utilizzo di una serie di indicatori, che siano in grado di mettere in rilievo le modificazioni di tipo fisiologico, comportamentale, immunologico e patologico che si verificano nell’animale come risposta ai tentativi di adattarsi ad una condizione stressante.

Nella messa a punto di sistemi per la valutazione degli animali in allevamento uno dei principali problemi da affrontare riguarda l’individuazione di indicatori che riflettano in maniera effettiva lo stato di benessere degli animali, che siano facilmente riproducibili e ripetibili nel tempo e che siano dotati di elevata praticabilità.

Possono essere presi in analisi diversi tipi di indicatori: diretti (animal based) e indiretti (environmental factors) (INEA, 2012).

Con gli indicatori diretti si cerca di misurare le reazioni che gli animali percepiscono nell’ambiente di allevamento (Ferrante, 2009). Appartengono a questa categoria gli indicatori: comportamentali (analisi dell’etogramma specie-specifico, test comportamentali, anomalie comportamentali), fisiologici (neuro-endocrini, immunitari, metabolici, cardiaci), patologici (patologie, lesioni, disordini metabolici, mortalità) e produttivi (fertilità, accrescimento, quantità delle produzioni, qualità delle produzioni). In accordo con Veissier et al., (2000) si ritiene che i parametri comportamentali siano tra gli indicatori più sensibili. Infatti un animale che si trova a dover fronteggiare una

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situazione avversa tende a modificare il proprio comportamento e tale modifica può determinare una risposta fisiologica e immunologica. Quindi i parametri comportamentali possono ritenersi predittivi dell’effetto dello stress sulle funzioni fisiologiche dell’animale.

Gli indicatori fisiologici risultano validi ed accurati, ma richiedono tempi lunghi e costi generalmente più elevati. Per questi motivi tali indicatori risultano meno adatti alla valutazione del benessere animale in allevamento, ma risultano fondamentali nella valutazione del benessere a livello scientifico nonché per la validazione dei modelli di allevamento.

Gli indicatori fisiologici più utilizzati sono: ematocrito, frequenza cardiaca e respiratoria, temperatura rettale, indicatori metabolici, catecolamine e glucocorticoidi, oppioidi endogeni ecc.. Per una valutazione più completa possono essere correlati ai rilievi produttivi, riproduttivi e sanitari.

Per quanto riguarda gli indicatori patologici bisogna ricordare che condizioni ambientali che inducono l’animale ad uno stress cronico possono determinare diverse patologie. Possono essere valutati il ridotto accrescimento, la perdita di peso (valutabile con il Body Condition Score) l’incidenza di ulcere gastriche, le parassitosi, l’immunosoppressione e l’ipofertilità. La misura dello stato sanitario si deve focalizzare anche su esami clinici sistematici; ad esempio le lesioni cutanee, le laminiti, le condizioni esterne del corpo e le malattie cliniche. Altro parametro da considerare, secondo Broom e Johnson, (1993), sarebbe l’aspettativa di vita. Questo parametro per esempio risulta molto importante negli allevamenti di vacche da latte con elevate produzioni in quanto è risaputo che il numero medio di lattazioni per carriera è diminuito col passare degli anni, mentre è aumentata la capacità produttiva e l’indice di

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conversione alimentare; questo comporta una quota di rimonta elevata dovuta a vacche riformate ancora giovani per l’insorgenza di mastiti, ipofertilità, problemi podali, che causano una diminuzione della loro produttività, incidendo sul bilancio aziendale sia dal punto di vista produttivo sia per quanto riguarda le spese sanitarie.

Per quanto concerne invece i fattori produttivi e riproduttivi è ben noto che il trasporto, il sovraffollamento, il ridotto spazio di stabulazione ecc., caratteristiche di molti allevamenti intensivi, possono determinare problematiche sia fisiologiche che comportamentali con ripercussioni sia sulle performance produttive e riproduttive dei soggetti allevati.

Gli indicatori indiretti o environmental factors rilevano invece le caratteristiche dell’ambiente in cui vivono gli animali. Questi indicatori sono abbastanza semplici da rilevare e comprendono una serie di informazioni sul sistema di allevamento (caratteristiche delle strutture, impianti e attrezzature disponibili, spazio a disposizione, tipo di stabulazione, presenza di pericoli, presenza o assenza di lettiera nonché la sua qualità, modalità di aerazione e ventilazione) e per gli animali che vanno all’aperto anche informazioni sulla qualità del pascolo (disponibilità di ombra e ripari, distanza tra pascolo e zona di mungitura ecc.).

È inoltre necessario valutare la gestione dell’allevamento andando a indagare sull’alimentazione, sulla routine di mungitura, sulle cure effettuate e sulla giusta manutenzione di ogni impianto.

Per quanto riguarda le relazioni uomo-animale è necessario inoltre ricordare che gli animali devono essere accuditi da personale idoneo sia in termini di giusto numero di addetti che di competenze professionali che di motivazione. Il personale di stalla è uno dei fattori che può maggiormente influenzare il benessere degli animali.

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E’ inoltre importante che gli animali fin da giovani vengano a contatto con il personale di stalla in modo tale che non risultino spaventati nel momento in cui dovranno essere sottoposti a qualsiasi tipo di trattamento.

Solo con la rilevazione congiunta sia dei parametri diretti che indiretti siamo in grado di risalire alle cause degli eventuali problemi di benessere.

1.5 Sistemi per la valutazione del benessere animale in allevamento

Negli ultimi decenni con lo sviluppo di una zootecnia sempre più intensiva, è risultato necessario sviluppare sistemi per valutare il benessere animale in allevamento, in modo tale da fornire agli allevatori, agli zootecnici ed ai veterinari, uno strumento veloce e utile per individuare i punti critici di questi sistemi di allevamento (Tosi et al., 2001; 2003). Inoltre in questi ultimi anni, la maggiore consapevolezza dei consumatori verso la problematica del benessere animale ha comportato la necessità di mettere a punto dei sistemi per poter certificare il livello di benessere animale (Bartussek; 2001, Sundrum et al., 1994).

La valutazione del benessere a livello aziendale può essere eseguita seguendo due diversi approcci. Il primo utilizza i design criteria ed è basato sulla valutazione di elementi tecnici e strutturali, quali, ad esempio, la disponibilità di spazio, la facilità di assunzione dell’alimento e dell’acqua di abbeverata, il tipo di pavimentazione, la rumorosità ambientale, la presenza di opportuni sistemi di ventilazione e le condizioni igieniche dell’allevamento. Alcuni studi hanno evidenziato una stretta relazione tra i criteri tecnici, lo stato di salute e il comportamento animale; ad esempio, lo spazio per l’alimentazione svolge un ruolo importante in relazione al comportamento agonistico e

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importante, sia per il giusto apporto di alimento e acqua, sia per consentire un buon comportamento sociale all’interno dell’allevamento (Sundrum, 1997).

L’approccio basato sui performance criteria invece va ad analizzate in maniera diretta gli animali, in modo tale da poter tradurre ciò che è stato osservato, attraverso l’uso di indici affidabili e ripetibili in un punteggio. Alcuni di questi parametri possono essere: l’indice di mortalità, l’indice di longevità, la presenza di stereotipie, l’indice di pulizia corporea, l’aggressività, l’indice di ingrassamento, la presenza di lesioni cutanee e di zoppie. È necessario ricordare che non esiste un metodo di valutazione migliore dell’altro, ma in base a ciò che vogliamo ricercare si applica un tipo di approccio rispetto ad un altro anche se i metodi più validi per poter valutare il benessere in allevamento devono includere entrambe le tipologie di approccio, in modo tale da avere una visione più attendibile di ciò che abbiamo davanti.

Tali sistemi di controllo si sono sviluppati anche sulla base delle indicazioni fornite dalla Direttiva CE 98/58, che stabilisce le norme minime per la protezione degli animali in allevamento. Tra i metodi di valutazione sviluppati in Europa è senza dubbio importante ricordare il sistema Animal Needs Index (ANI-35L). Questo protocollo, è stato messo a punto da Bartussek nella sua prima versione nel 1985, in Austria, ed è il primo schema di valutazione messo a punto per valutare a livello aziendale il benessere degli animali. Questo metodo è applicabile in allevamenti di bovini, suini e galline ovaiole e riesce a indirizzare gli allevatori verso interventi in grado di migliorare il benessere animale e può inoltre essere utilizzato come strumento scientifico. Questa metodologia si basa principalmente sull’analisi di cinque punti critici: la possibilità di muoversi e deambulare, la possibilità di interagire coi conspecifici, il tipo e le condizioni del pavimento, le condizioni di luce e aria e le relazioni tra uomo e animale.

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Dall’analisi dei punti critici è possibile risalite ad un punteggio ANI complessivo che può andare da -9 a + 46. In base al punteggio ottenuto possiamo classificare l’allevamento in sei categorie di benessere: non adatto (con punteggio minore di 11), scarsamente adatto (con punteggio compreso tra 11 e meno di 16) poco adatto (con punteggio compreso tra 16 e meno di 21), mediamente adatto (con punteggio compreso tra 21 e meno di 24), abbastanza adatto (con punteggio compreso tra 24 e meno di 28), e molto adatto (se il punteggio risulta maggiore di 28). Quindi maggiore sarà il punteggio, migliori saranno le condizioni del ricovero in termini di benessere animale (Napolitano et al., 2009). Tra gli aspetti positivi del sistema ANI-35L si ha l’elevata ripetibilità e la velocità di esecuzione. E’ possibile inoltre migliorare il risultato della valutazione nel

caso in cui il punteggio ANI raggiunto ricada al di sotto degli standard richiesti. Tuttavia, determinati requisiti minimi devono essere sempre soddisfatti.

Il metodo TGI 200 (Sundrum et al. 1994) risulta piuttosto simile al precedente e fornisce un approccio semplificato alla valutazione del benessere animale negli allevamenti di vitelli, suini e galline ovaiole.

A livello comunitario inoltre sono presenti ed utilizzati altri sistemi di valutazione: i Codici di Buona Pratica d’Allevamento (Defra, 1998), il modello BWAP (Bristol Welfare Assurance Programme), che si basata sia sull’osservazione diretta degli animali sia sulla valutazione del management aziendale (Gastaldo et al. 2011) ed infine il sistema di valutazione dello stato sanitario delle vacche da latte, sviluppato come parte di un programma di salute animale (Health Plan) in Irlanda (INEA, 2012).

Anche a livello nazionale si sono sviluppati diversi sistemi per valutare il benessere animale: il Sistema Diagnostico Integrato (SDI) proposto da Bertoni et al. (1999), l’Indice di Benessere dell’Allevamento (IBA) e il sistema di valutazione ad indice

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TOScana Benessere Bovine Latte (TOS-BBL) messo a punto per la valutazione del livello di benessere animale per la Toscana (Gastaldo, 2015). Tali metodi si basano su parametri oggettivi e facilmente misurabili, messi a punto e validati da ricercatori, allevatori e tecnici, nel rispetto della legislazione vigente in materia di protezione e benessere degli animali allevati. I criteri alla base di questi sistemi di valutazione riguardano innanzitutto la messa in evidenza delle carenze del sistema e delle strutture d’allevamento e allo stesso momento si cerca di valorizzare gli aspetti più qualificanti relativi al benessere degli animali allevati. I parametri da ricercare sono elencati in una check list.

Nel 2004 la Comunità Europea ha sviluppato un progetto per la definizione di schemi di valutazione del benessere di bovini, suini e pollame, dalla fase di allevamento fino alla macellazione. Tale metodologia si basa su fondamenti scientifici e attribuisce maggiore importanza alle misurazioni effettuate direttamente sugli animali, ma prevede anche rilievi riguardanti le strutture e il management.

Tale progetto, che ha visto la collaborazione di più ricercatori europei, si basa su quattro principi fondamentali: stabulazione adeguata, corretta alimentazione, buona salute, e comportamento appropriato. Per sviluppare questi quattro principi sono stati considerati dodici criteri di benessere, diversi ma complementari, applicabili a sette categorie di animali da allevamento: vacche da latte, vitelloni, vitelli a carne bianca, scrofe, suini da ingrasso, galline ovaiole e broilers, valutati e testati in più di settecento allevamenti in nove paesi europei e in alcuni paesi del America Latina. Al termine di questa validazione è stato possibile utilizzare questo sistema per valutare il benessere animali nei diversi tipi di allevamento e nei macelli, in modo tale da poter migliorare le

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eventuali pratiche di allevamento e o macellazione e per garantire al consumatore finale elevati standard di benessere uniformato a livello europeo. (Keeling et al., 2005).

1.6 Principali norme comunitarie e nazionali sulla protezione degli animali negli allevamenti

Con la pubblicazione del Brambell Report, a livello europeo si è sviluppata una crescente sensibilizzazione verso la problematica del benessere degli animali in allevamento sia da parte dei consumatori che da parte delle istituzioni governative. Numerose sono state le normative per la tutela degli animali in produzione e non solo sviluppate nel corso degli anni. Tappa fondamentale per quanto riguarda la legislazione sul benessere animale è stata il Trattato di Amsterdam (1997), che attribuisce agli animali in produzione zootecnica lo status di “esseri senzienti”. Qualche anno più tardi, nel 2009, con il Trattato di Lisbona, viene ribadito il concetto che l’animale in produzione zootecnica non debba essere considerato come una macchina da produzione e che ad esso debbano essere garantite adeguate condizioni di vita.

Attualmente a livello europeo le normative per quanto riguarda il benessere animale riguardano l’allevamento, il trasporto e i centri di macellazione. Nella presente tesi verranno prese in considerazione le normative che interessano la fase di allevamento. Le normative sul benessere dell’animale si distinguono in due grandi categorie: orizzontali e verticali. Si definiscono orizzontali quelle norme che risultano valide per ogni specie animale allevata, mentre si definiscono verticali quelle specifiche per ogni specie.

Con la Direttiva 98/58/CE, la Comunità Europea ha voluto gettare le basi normative per la tutela del benessere degli animali di allevamento, in particolare di quelli allevati nei

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sistemi intensivi. Questa direttiva ha indotto gli stati Membri a recepirla in modo da assicurare che i proprietari e/o i detentori adottino le misure adeguate per soddisfare il benessere dei propri animali, senza causare loro inutili dolori, sofferenze o lesioni. La direttiva 98/58/CEE è stata recepita in Italia con il D. L. 146/2001, anche se a livello nazionale, il Codice Penale (Articolo 544 ter), faceva già riferimento alla problematica del maltrattamento animale. Il D.Lgs 146/2001 si riferisce a tutti gli animali allevati a fini agricoli, indipendentemente dal numero di capi allevati, pertanto è da applicarsi sia agli allevamenti di tipo intensivo ed industriale che familiare. Questa normativa si riferisce all’allevamento di vertebrati compresi pesci, rettili e anfibi. A seguito della direttiva 98/58/CEE si sono poi sviluppate una serie di norme verticali che vanno a focalizzarsi su particolari specie e categorie di animali. Queste norme risultano essere specifiche e affrontano la problematica andando ad analizzare da vicino questi sistemi produttivi. Queste norme risultano essere:

- Decreto legislativo 29 luglio 2003, n. 267 che attua le direttive 1999/74/ CE e 2002/4/CE, per la protezione delle galline ovaiole e la registrazione dei relativi stabilimenti di allevamento;

- Decreto legislativo 27 settembre 2010, n. 181 che attua la direttiva 2007/43/CE la quale stabilisce norme minime per la protezione di polli allevati per la produzione di carne;

- Decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 126 che attua la direttiva 2008/119/CE la quale stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli;

- Decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 122 che attua la direttiva 2008/120/CE la quale stabilisce le norme minime per la protezione dei suini;

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- Decreto Ministeriale 4 febbraio 2013. Che applica le disposizioni in materia di protezione di polli allevati per la produzione di carne, ai sensi degli articoli 3,4,6 e 8 del decreto legislativo 27 settembre 2010, n. 181;

- Raccomandazione (UE) 2016/336 della Commissione dell'8 marzo 2016 relativa all’applicazione della direttiva 2008/120/CE del Consiglio che stabilisce le norme

minime per la protezione dei suini in relazione alle misure intese a ridurre la necessità del mozzamento della coda.

Infine risulta essere di particolare importanza a livello comunitario, il regolamento 882/2004 CE, necessario per garantire il rispetto del benessere animale. Questo regolamento stabilisce che ogni stato membro deve eseguire programmi di controllo e relazioni annuali indicanti i risultati delle ispezioni condotte nei settori affini alla sicurezza alimentare e quindi anche ciò che riguarda il benessere animale. Il programma dei controlli sono stabiliti dal Piano Nazionale Benessere Animale (Ministero della Salute, 2016)

Per concludere si può affermare che sia a livello nazionale che comunitario le norme che garantiscono la protezione ed il benessere animale sono ben presenti e ben note tra gli allevatori. In accordo con Calamari (2007), si ritiene importante ricordare che con l’osservazione e il rispetto di queste norme, e quindi garantendo agli animali un maggior benessere, si ha la possibilità di avere animali più sani ed ottenere produzioni migliori sotto ogni punto di vista e che gli eventuali costi necessari per migliorare il benessere animale in allevamento sono ripagati dal miglioramento delle performance zootecniche e dello stato sanitario degli animali.

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2. L'ALLEVAMENTO DELLA VACCA DA LATTE

Secondo i dati ANAFI (2015) le vacche da latte sottoposte a controlli funzionali sono 1.369.952 distribuite in 17.959 allevamenti. L’85% di questi sono presenti nell’ Italia Settentrionale, mentre la rimanente percentuale si trova nell’Italia Centro-Meridionale

ed Insulare. La vacca da latte più utilizzata in tutta la nostra penisola è la Frisona Italiana, che costituisce circa l’80% del patrimonio bovino da latte sottoposto a controllo funzionale, seguita dalla razza Bruna, dalla Pezzata Rossa e da altre razze meno specializzate per questa produzione.

La vacca Frisona è la razza da latte più allevata nel mondo (Miglior et al., 2005; Oltenacu e Broom, 2010; Thornton, 2010). Dalla originaria Frisona Olandese sono derivati diversi ceppi, creati e selezionati in diverse aree geografiche per rispondere alle varie esigenze ambientali, produttive e morfologiche. La Frisona Italiana attuale risulta essere frutto dell’incrocio dei ceppi olandese, svedese, tedesco, danese, canadese e statunitense.

La Frisona è caratterizzata dal mantello pezzato nero con cute fine e pigmentata, ma è possibile la comparsa di pezzature rosse dovute all'espressione di un carattere recessivo. Le bovine di questa razza sono caratterizzate da grande mole con altezza compresa tra 135 e 150 cm ed un peso medio di circa 650 kg. La struttura generale è tipica della vacca ad attitudine lattifera ovvero poco muscolosa, molto spigolosa e con ampia mammella. L'ossatura è fine con testa leggera, ben proporzionata e con un ampio musello; gli arti anteriori e posteriori sono ben distanziati con piedi forti. La mammella presenta un'ampia attaccatura e vene mammarie molto ramificate. I capezzoli risultano ben inseriti nel centro di ciascun quarto, perpendicolari e di medie dimensioni. Per

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queste caratteristiche, la mammella della Frisona si presta efficientemente ad essere sottoposta alla mungitura meccanica.

Fig. 1. Bovine di razza Frisona

Ad oggi, in Italia la Frisona ricopre un ruolo preponderante nella produzione di latte con una media nazionale di 9.582 Kg di latte riferiti a una lattazione standard di 305 giorni, una percentuale del 3.66% di grasso e del 3.27% di proteina (ANAFI 2015a).

Secondo gli ultimi dati ANAFI (2015b), la Toscana conta 5.030 vacche Frisone distribuite in 66 allevamenti con una media di 76 vacche per allevamento ed una produzione di latte di circa di 8.994 Kg con una percentuale di grasso del 3.7% e quella di proteina del 3.31%.

Il miglioramento genetico nel corso degli anni ha mirato a selezionare i caratteri legati alla produttività tralasciandone altri, altrettanto importanti, come la resistenza alle malattie o la longevità. Inoltre la forte spinta selettiva verso caratteri produttivi ha determinato la comparsa di problemi sanitari e riproduttivi, ha reso gli animali più

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suscettibili a problemi metabolici come la chetosi, a problematiche agli arti e ai piedi, a mastiti, cisti ovariche, infezioni uterine e altre malattie riproduttive (Oltenacu et al., 2010). Inoltre, studi effettuati da Ingvartsen et al (2003) hanno dimostrato una correlazione genetica negativa tra produzione di latte e incidenza di questi tipi di malattia. Lucy nel 2001 ha osservato un aumento dell’intervallo parto-concepimento da

meno di 13 mesi a più di 14.5 mesi e del numero di inseminazioni per concepimento che sono passate da 2 a 3,5 in un ventennio; negli animali più selezionati per i caratteri produttivi, inoltre, l’estro risulta più breve e spesso di difficile rilevamento (Dransfield et al., 1998).

La selezione protratta nel tempo per la produzione di latte e l’impiego di tecnologie di allevamento intensive hanno compromesso seriamente il benessere degli animali (Oltenacu e Broom, 2010; Thornton, 2010. Ahlman et al., 2011) per cui è necessario correggere le condizioni di allevamento in modo da migliorare la qualità della vita degli animali (Hadley et al., 2006; Ahlman et al., 2011; De Vries, 2013).

La mastite è la principale patologia della vacca da latte. E' un processo flogistico causato da batteri, micoplasmi, lieviti, funghi, virus e alghe che colpisce la mammella sottoposta a forti stress per l’elevata attività produttiva e per la manipolazione meccanica che subisce con la mungitura. I fattori predisponenti a questa malattia possono essere ambientali, gestionali ed igienico-sanitari (Amadori 2005). La presenza della flogosi, a livello della ghiandola mammaria, oltre a provocare dolore determina una riduzione della funzionalità dell’organo che si traduce in una alterata produzione di latte sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo.

La zoppia è un'altra problematica frequente nell’allevamento di bovine da latte che limita il benessere degli animali (Von Keyserlingk et al., 2009). Le cause di questa

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malattia possono avere origini diverse: gestionali, nutrizionali, genetiche, ambientali. Tosi et al (2003) ritengono che le vacche ad alta produzione siano più sensibili alle zoppie a seguito delle maggiori problematiche metaboliche (Cook et al., 2016; Popescu et al., 2013; Eicher 2010) e alle condizioni intensive di allevamento. Le lesioni cutanee, i gonfiori delle articolazioni o di altre parti del corpo possono essere causate da strutture non adatte o da materiali non idonei presenti nella zona di allevamento. Queste problematiche possono inoltre essere favorite da malattie parassitarie o dall’aggressività tra gli animali. Le lesioni sono sempre più utilizzate come indicatori oggettivi per valutare il benessere della vacca da latte.

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3. AMBIENTE D’ALLEVAMENTO E BENESSERE ANIMALE

3.1 Principi di etologia del bovino

Per garantire il benessere animale e minimizzare i fattori di stress, risulta fondamentale un sistema di allevamento che favorisca il più possibile la manifestazione del comportamento etologico della specie. Risulta quindi necessario analizzare come il bovino si comporta in natura e come percepisce gli stimoli dall’ambiente circostante. Il bovino è un animale sociale che vive in gruppo, all’interno del quale riesce a stabilire delle gerarchie con i conspecifici. In natura le vacche con i vitelli formano gruppi indipendenti e si riuniscono ai maschi soltanto nel periodo riproduttivo. Gli elementi che possono in qualche maniera influire sull’istaurarsi della gerarchia possono essere l’altezza, il peso, l’età, il sesso, la presenza o l’assenza di corna e la territorialità: anche se una volta stabilita sembra non sia più influenzata dai cambiamenti dell’aspetto fisico. La dominanza gerarchica può essere determinata attraverso il “bunt order”, nei bovini privi di corna, o attraverso l’“hook order” nei bovini provvisti di corna. Durante uno scontro risulta semplice identificare la vacca dominante rispetto alla sottomessa. La bovina dominante, infatti, porta gli arti distesi e la testa rivolta verso il basso in posizione perpendicolare verso il terreno mentre le orecchie sono tenute indietro con la superficie interna rivolta verso il basso. La bovina sottomessa invece si trova in stazione con la testa abbassata, ma parallela al suolo e le orecchie girate in modo che la superficie interna sia girata di lato. L’aggressione avviene quando l’animale dominante colpisce ripetutamente con la testa il soggetto che gli si oppone. L’aggressione termina quando la vacca più debole dà segnali di sottomissione alla vacca dominante. Oltre ai soggetti dominanti, all’interno della mandria possono esserci soggetti leader, spesso di

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rango intermedio, i quali influenzano il movimento di tutta la mandria; infatti il soggetto leader viene osservato e seguito da tutta la mandria. Per quanto riguarda l’allevamento bovino può risultare fondamentale individuare il soggetto che detiene la leadership in modo tale da poter effettuare movimenti della mandria in maniera più rapida e sicura sia per gli operatori che per gli animali.

Per quanto riguarda le abitudini alimentari del bovino, sappiamo che si alimenta e pascola in gruppo durante le ore di luce, quindi può essere definito come una specie diurna. Il tempo che dedica al pascolo risulta variabile tra le 4 e le 12 ore al giorno, a seconda della qualità e delle essenze vegetali disponibili, del clima e della competizione che c’è per accedere alle zone di alimentazione (Mounaix et al., 2014) e si dedica soprattutto a questo tipo di attività all’alba e al tramonto. Con il pascolo il bovino può percorrere distanze variabili tra i pochi metri fino ad arrivare a percorrere diversi chilometri al giorno (Tosi et al., 2003). L’attività di pascolo in mandria risulta essere molto importante a livello di interazioni sociali. È stato notato che i soggetti in gruppo sembrano ingerire quantità di cibo superiore rispetto a soggetti da soli (Metz 1974) ed inoltre i bovini che pascolano insieme tendono ad imitarsi (Curtis et al., 1983).

Per quanto riguarda invece l’assunzione di acqua bisogna ricordarsi che il bovino necessita mediamente di 40 litri di acqua al giorno, quantitativo che può variare in base all’età, alla condizione fisiologica, alla temperatura dell’acqua e alla sua qualità. La frequenza di abbeverata può variare da una a sei volte al dì nei nostri climi ma può ridursi ad una volta ogni due giorni in climi dove risulta difficile reperire l’acqua (Mounaix et al., 2014).

L’attività di riposo, fondamentale per i ruminanti, può essere distinta in attività di ruminazione e di sonno.

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Per quanto riguarda l’attività di ruminazione si può affermare che il tempo medio dedicato a questa attività può variare dalle 5 alle 10 ore al giorno, e soltanto animali in salute e non stressati risultano avere una costante e funzionale attività ruminale, invece per il sonno si può dire che questo può ricoprire il 2-4% della notte ed è frammentato in 8-10 sequenze (Mounaix et al., 2014).

La vista del bovino risulta molto sviluppata e consente una visione laterale a 330 gradi con due zone cieche rappresentate da una zona frontale e da una ristretta zona posteriore. Parlando invece della percezione dei colori bisogna ricordare che il bovino riesce a percepire bene i colori caldi (Mounaix et al., 2014). Il bovino riesce a individuare l’uomo attraverso le forme e il colore dell’abbigliamento e facilmente

associa un numero elevato di uomini a trattamenti terapeutici, movimentazioni eccetera. Come già detto il bovino è una specie diurna che preferisce pascolare al crepuscolo e una luce intensa, che risulta normale per l’uomo, può abbagliare i soggetti, creando il panico e difficoltà di avanzamento tra loro. Questa particolarità deve essere ricordata nella progettazione degli edifici. La vista risulta fondamentale anche a fini comunicativi.

L’olfatto di questi animali risulta molto sviluppato, infatti riesce a percepire odori che l’uomo non riesce a sentire. Lo sviluppo di questo senso risulta fondamentale anche per la percezione dei feromoni sessuali e di sostanze volatili in grado di far scegliere gli alimenti ai soggetti. Ciò risulta utile per capire se all’interno della mandria ci sono soggetti spaventati o stressati, infatti l’odore delle feci e dell’urina di un soggetto spaventato, possono influire sulle reazioni comportamentali dei suoi simili (Boissy et al., 1998). Questo senso risulta infine fondamentale in associazione alla vista per la formazione delle gerarchie e per l’istaurarsi del rapporto madre vitello.

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L’udito risulta molto sviluppato nei bovini i quali riescono facilmente a percepire le alte e basse frequenze. Le alte frequenze sono in grado di allarmare le vacche mentre quelle basse riescono a tranquillizzare gli animali. L’udito risulta inoltre utile al bovino per percepire i predatori ed è fondamentale per far sì che il vitello possa riconoscere la madre e viceversa all’interno della mandria.

Anche il tatto è molto sviluppato nei bovini. La stimolazione tattile è fondamentale per la comunicazione intraspecifica. Le bovine possono essere rilassate dagli stimoli tattili. Infatti spesso si assiste all’attività di self-grooming e di grooming sociale, attività che il bovino in natura pratica spesso ed ha come scopo la pulizia del mantello, il rilassamento reciproco dei soggetti e l'eliminazione dei parassiti che vivono su di esso. L’attività di

grooming non sempre però risulta garantita in tutti i sistemi di allevamento.

Il gusto può influire nelle scelte alimentari dei soggetti e consente al bovino di percepire sensazioni zuccherine salate acide e amare. Questo senso può essere utilizzato anche dall’uomo per la gestione delle mandrie.

La memoria del bovino risulta molto sviluppata infatti i soggetti possiedono una memoria visiva, olfattiva, uditiva e spaziale per questo gli effetti negativi possono rimanere impresso ai soggetti per oltre un anno (Mounaix et al., 2014).

3.2 Caratteristiche della stabulazione fissa.

Un altro aspetto fondamentale da valutare riguarda le caratteristiche principali delle strutture zootecniche dedicate all’allevamento della vacca da latte, coscienti che il bovino in queste strutture non potrà mai comportarsi come si comporterebbe allo stato naturale.

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Secondo l’EFSA si definisce un allevamento a stabulazione fissa qualsiasi tipo di allevamento nel quale le vacche in produzione rimangono legate alla posta per un periodo di tempo superiore a 180 giorni (The Efsa Journal 2009).

Questa definizione a livello teorico risulta immediata ma a livello pratico può risultare un po’ più complessa; non è difficile infatti imbattersi in sistemi di allevamento di tipo

misto, tipici degli ambienti montani, dove si assiste al pascolo degli animali nella stagione primaverile-estiva e allo svernamento in stalle a posta fissa nei mesi più freddi dell’anno. Il sistema di allevamento a posta fissa attualmente è poco praticato negli allevamenti medio-grandi, localizzati soprattutto in pianura, mentre risulta ancora abbastanza diffuso nei sistemi di allevamento in zone marginali o nei piccoli allevamenti a conduzione familiare (Popescu et al., 2013), anche se questo tipo di stabulazione fino a qualche decennio fa era considerato il tipico sistema di allevamento per la specie bovina.

Questo sistema prevede che gli animali siano tenuti alla posta grazie all’uso di una catena in modo tale da poter mangiare, bere e coricarsi mentre non possono muoversi ed esprimere liberamente il loro comportamento sociale. Per questo motivo questo tipo di stabulazione non soddisfa la “libertà di movimento” (Brambell Report 1965). Gli animali allevati con questo sistema possono subire un alterato comportamento sociale (Phillips 2002). Per quanto riguarda l’etologia è da ricordare che in questo tipo di stabulazione, quando la vacca partorisce è sottoposta ad uno stress molto elevato perché non riesce ad assumere la posizione adeguata e naturale che dovrebbe assumere al momento del parto. Con questo tipo di sistema inoltre la vacca potrebbe avere difficoltà nel dare le prime cure al vitello e se questo per qualsiasi motivo tende a spostarsi o non si avvicina può causare un ulteriore stress nella bovina (Angelucci et al., 2014).

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Fig. 2. Allevamento a posta fissa in provincia di Firenze

Molti ricercatori hanno studiato la correlazione negativa tra la scarsità di movimento e il benessere animale, situazione tipica di questo sistema di allevamento. Ad esempio Philips (2002) e Popescu et al (2013) ritengono che le vacche che si muovono hanno minori problemi locomotori e quindi migliori condizioni di salute rispetto a quelle a posta fissa. Melizi (1985) sostiene che con un regolare esercizio fisico delle bovine in accrescimento, si possono ridurre i problemi podali e agli arti, grazie anche all’incremento del tono muscolare e della struttura ossea. Mattiello et al (2006), sostengono che la presenza di lesioni agli arti, agli unghioni, ai garetti e ai piedi risulta essere notevole in questo tipo di allevamento. Le problematiche agli arti e ai piedi, ad esempio, possono essere causate dal mancato consumo degli unghioni, conseguenza di un moto ridotto o assente, in quanto queste problematiche, se pur presenti negli allevamenti a stabulazione libera, risultano avere un incidenza minore (Klotz, 2008).

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Fig. 3. Particolare di unghione in una stalla fissa in provincia di Firenze

L’uso dei materassini nelle stalle a posta fissa presenta aspetti controversi: da una parte migliora il benessere nelle fasi di decubito, dall’altra può ridurre ulteriormente il

consumo degli unghioni creando ulteriori problemi ai piedi (Mattiello 2008).

Ladewig e Von Borell (1988) hanno notato che il tempo necessario per alzarsi in bovine allevate a stabulazione fissa risultava molto maggiore (59 secondi) rispetto a vacche allevate a stabulazione libera (9 secondi), mentre Krohn e Munskgaard, (1993) asseriscono che le attività necessarie per il decubito prevedono tempi più elevati negli animali a posta fissa rispetto a quelli al pascolo, e questo tempo sembra essere maggiore soprattutto in poste con poca lettiera (Mattiello et al., 2006), dovuto molto probabilmente al tipo di pavimentazione e alle dimensioni della posta.

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Figura 4. Sequenza di movimenti che il bovino esegue durante il passaggio da decubito a stazione: a) con modalità anormale, detta “a cavallo” b) con modalità normale

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Nelle vacche alloggiate in poste non idonee, è nota l’alzata detta a cavallo (Mortensen, 1971) cioè quella posizione assunta dalle bovine, le quali per alzarsi sollevano prima il treno anteriore e successivamente il posteriore, mentre in condizioni normali la vacca solleva prima il treno posteriore rispetto all’anteriore.

Sempre per quanto riguarda l’importanza del movimento, e stato notato che questo può

incidere in maniera positiva sulle problematiche digestive e metaboliche, in quanto è in grado di ridurre la concentrazione dei NEFA a livello ematico (Adewuyi et al., 2006). Khron e Munskgaard, (1993), in più hanno osservato che bovine allevate in stabulazione fissa e soprattutto con scarsa lettiera, possono avere una riduzione del tempo trascorso in decubito, rispetto alle bovine al pascolo, probabilmente dovuto ad un minor comfort della vacca. Il decubito risulta fondamentale nella vacca da latte, la quale deve poter stare coricata a ruminare diverse ore al giorno per far sì che le proprie funzioni fisiologiche siano garantite. Mattiello et al., (2005 e 2006), sostengono che in allevamenti che presentano un’elevata percentuale di vacche in piedi per diverso tempo, sarebbe necessario andare a valutare la quantità di lettiera e gli spazi a disposizione degli animali, i quali spesso non consentono alle bovine di potersi coricare contemporaneamente perché risultano avere le poste troppo piccole o troppo strette. I battifianchi delle poste risultano di primaria importanza per consentire il corretto decubito della bovina in quanto la loro assenza o la loro scarsa manutenzione possono creare problematiche di benessere della vacca (Mattiello 2008).

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Fig. 6. Allevamento a posta fissa in provincia di Massa

Non è difficile osservare in vacche stabulate a posta fissa la presenza di stereotipie ovvero comportamenti anomali, dovute a fattori di stress. Queste possono essere rappresentate per esempio dal “gioco con l’acqua” e dal “gioco della lingua”. Per quanto riguarda il “gioco con l’acqua”, alcuni autori sostengono che questa stereotipia sia maggiore in tipologie costruttive dove l’acqua risulta essere sempre disponibile ed in quantità elevate (Mattiello 2008); molti allevatori allora, per ridurne lo spreco decidono di razionarla con il rischio di non soddisfare a pieno i fabbisogni fisiologici della vacca con ricadute sulla produzione e sul benessere (Herren 1994).

Redbo (1990) ha notato che ad esempio il gioco della lingua scompare in manze condotte al pascolo nel periodo estivo per poi ricomparire nel periodo autunno-invernale, quando tornano di nuovo a essere stabulate.

Mattiello (2008) invece sostiene che una volta appreso il gioco della lingua, esso può continuare a manifestarsi, anche se in maniera ridotta, in vacche che vengono mandate

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in alpeggio nel periodo estivo ed inoltre alcune razze come la Jersey sembrerebbero più soggette a questo tipo di stereotipia (Mattiello et al., 2004).

Molte vacche, soprattutto quelle più vecchie (Mattiello et al., 2006) possono presentare le spalle aperte. In questo tipo di problematica si nota la chiusura del gomito e la punta della spalla risulta sporgente verso l’esterno. Le spalle aperte sono causate da una lassità

del legamento scapolare e una minore tonicità dei muscoli di questa regione (Angelucci et al 2014). Questo problema non risulta presente in vacche allevate a stabulazione libera, in quanto esse hanno una migliore tonicità muscolare, mentre negli allevamenti con posta fissa, l’incidenza di questa problematica può colpire anche il 67% delle vacche (Klotz, 2008). Lucchesi e Mattiello (2008), hanno inoltre notato che in stalle a stabulazione fissa con disposizione delle poste groppa a groppa sono presenti soggetti che nella parte distale delle corna presentano abrasioni dovute al ridotto spazio tra muro e animale. Questo problema oltre a interessare le corna può creare anche conseguenze sulla postura assunta dai soggetti. Questo sistema di allevamento inoltre potrebbe contribuire, insieme ad altri fattori, a ritardi nella manifestazione dei calori (Mattiello 2008). Vučemilo et al (2012) hanno osservato che gli animali costantemente legati alla posta presentano un comportamento frustrato, annoiato o indifferente, dovuto alla mancanza di stimoli ambientali e interazioni sociali.

L’allevamento a posta fissa tuttavia è caratterizzato anche da elementi che possono incidere positivamente sul management e benessere.

Il rapporto uomo-animale risulta favorito negli allevamenti a stabulazione fissa, generalmente di dimensioni piccole, nelle quali il rapporto tra le due specie si instaura subito dopo la nascita e si mantiene nel tempo. Klotz (2008) ha notato che nelle stalle a stabulazione libera la reazione di fuga tra vacca e un uomo estraneo si innesca ad una

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