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Confronto fra differenti modalità didattiche nel laboratorio di fisica

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Academic year: 2021

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(1)

FEDERICO EGGENSCHWILER

DIPLOMA DI INSEGNAMENTO PER LE SCUOLE DI MATURITÀ

ANNO ACCADEMICO 2018/19

CONFRONTO FRA DIFFERENTI MODALITÀ

DIDATTICHE NEL LABORATORIO DI FISICA

RELATORE

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Indice

1 Introduzione 3

1.1 L’insegnamento della fisica al liceo nel cantone Ticino . . . 3

1.2 L’importanza delle attività di laboratorio per l’insegnamento della fisica . . . . 5

1.3 Empirismo vs. razionalismo . . . 6

2 Sperimentazione 9 2.1 Prima modalità . . . 9

2.1.1 Descrizione dell’attività . . . 9

2.1.2 Obiettivi dell’attività . . . 10

2.1.3 Riflessioni sull’efficacia della modalità . . . 11

2.2 Seconda modalità . . . 11

2.2.1 Descrizione dell’attività . . . 11

2.2.2 Obiettivi dell’attività . . . 13

2.2.3 Riflessioni sull’efficacia della modalità . . . 13

2.3 Terza modalità . . . 14

2.3.1 Descrizione dell’attività . . . 14

2.3.2 Obiettivi dell’attività . . . 16

2.3.3 Riflessioni sull’efficacia della modalità . . . 16

2.4 Questionario per gli allievi . . . 17

2.4.1 Descrizione delle classi . . . 17

2.4.2 Obiettivi e struttura del questionario . . . 17

2.4.3 Discussione dei risultati del questionario . . . 18

3 Conclusioni 24 Riferimenti bibliografici . . . 27

A Schede di laboratorio 28 A.1 Determinazione dell’accelerazione di caduta libera . . . 28

A.1.1 Introduzione . . . 28

A.1.2 Scopo . . . 29

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A.1.4 Procedimento . . . 29

A.2 Moto di un carrello su un piano inclinato in salita . . . 30

A.2.1 Introduzione . . . 30

A.2.2 Scopo . . . 30

A.2.3 Materiale . . . 30

A.2.4 Procedimento . . . 31

A.3 Moto di un carrello trainato da un peso in caduta verticale . . . 32

A.3.1 Introduzione . . . 32

A.3.2 Scopo . . . 32

A.3.3 Materiale . . . 32

A.3.4 Procedimento . . . 33

B Apparati sperimentali 35 B.1 Studio sperimentale dell’elasticità di una sbarra . . . 35

B.2 Studio sperimentale della somma di forze nel piano . . . 36

B.3 Studio sperimentale della pressione nei liquidi . . . 37

B.4 Studio sperimentale della spinta idrostatica . . . 38

C Questionario agli allievi 39 C.1 Introduzione . . . 39

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Capitolo 1

Introduzione

1.1

L’insegnamento della fisica al liceo nel cantone Ticino

Il “Piano quadro degli studi per le scuole di maturità” (PQS), rilasciato nel 1994 dalla Conferen-za svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE), definisce quattro settori di studio:

• Lingue

• Scienze umane ed economiche • Matematica e scienze sperimentali • Educazione artistica

Il documento definisce anche le competenze di base che gli studenti liceali devono aver acquisito al momento del conseguimento del titolo di maturità:

• competenze sociali, etiche e politiche

• competenze logico–formali, scientifiche ed epistemologiche • competenze comunicative, culturali e estetiche

• competenze concernenti lo sviluppo personale e la salute

• competenze concernenti i metodi di lavoro, l’accesso al sapere e le tecniche dell’informa-zione

L’insegnamento della fisica, presente all’interno del settore di studio “Matematica e scienze sperimentali”, contribuisce, per la natura stessa della materia, allo sviluppo delle competenze logico–formali, scientifiche ed epistemologiche degli allievi. Oltre a ciò, l’apprendimento della fisica può aiutare, in maniera indiretta, allo sviluppo di competenze comunicative, culturali e

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estetiche e competenze concernenti i metodi di lavoro, l’accesso al sapere e le tecniche dell’in-formazione.

A livello ticinese, le direttive federali del PQS sono confluite nell’elaborazione del “Piano can-tonale degli studi liceali”, il quale, per ogni materia, definisce le finalità formative e gli obiettivi dell’insegnamento. Per quanto concerne la fisica, al di là delle scelte riguardanti i singoli argo-menti, le finalità formative riguardano soprattutto l’apprendimento dei suoi metodi di indagine e di descrizione della realtà attraverso modelli matematici. Questi aspetti conferiscono unità alla disciplina malgrado la vastità dei fenomeni studiati.

Anno Scientifico Non scientifico Laboratorio 1 Laboratorio 2

I 2 2 1 0.5

II 3 2 0 0.5

III 0 1 0 0

IV 0 0 0 0

Totale 5 5 1 1

Tabella 1.1: Distribuzione delle ore d’insegnamento del corso base di fisica (teoria + laboratorio) al liceo in Ticino, in base all’indirizzo e alle scelte di sede.

La tabella 1.1 riassume la distribuzione delle ore settimanali d’insegnamento della fisica sull’ar-co dei quattro anni di liceo (Estratto del Regolamento degli studi liceali – Piano delle lezioni settimanali, 2008). Si può vedere che l’insegnamento della fisica, se fosse compresso in un uni-co anno suni-colastiuni-co, presenterebbe un cariuni-co uni-complessivo di sei ore alla settimana, di cui cinque dedicate alla teoria ed una alle attività di laboratorio. Esse sono però ripartite in modo diverso in base, sia all’indirizzo di studio scelto scelto da ogni studente, sia alle scelte operate da ogni sede liceale, per quanto riguarda l’organizzazione del laboratorio. Al primo anno, non essendo ancora avvenuta la separazione nei differenti indirizzi, tutti gli studenti hanno due ore di teoria alla settimana. Al secondo anno, quando avviene la separazione fra gli indirizzi scientifici e non scientifici, le ore di teoria diventano tre nel primo caso e due nel secondo. Al terzo anno avviene la separazione dei curricoli scientifici nelle opzioni specifiche “Fisica e applicazioni della matematica” (FAM) e “Biologia e chimica” (BIC). Di conseguenza, il corso fondamentale di fisica cessa per le classi scientifiche, mentre le classi non scientifiche continuano a ricevere un insegnamento della fisica, mediamente pari ad un’ora alla settimana, all’interno del corso interdisciplinare di “Scienze sperimentali”. Al quarto anno non vi sono più ore di fisica per alcun indirizzo, al di là di coloro che hanno scelto l’opzione specifica FAM o l’opzione com-plementare di fisica.

Oltre alle lezioni di teoria, i programmi d’insegnamento della fisica offrono anche delle ore di laboratorio, le quali vengono svolte a gruppi ridotti corrispondenti alla metà di ogni classe. Ad ogni sede liceale del cantone viene lasciata libertà riguardo alla modalità con cui ripartire le ore di laboratorio sull’arco dei primi due anni. Le possibilità sono due: un’ora settimanale unica-mente al primo anno, oppure mezz’ora alla settimana al primo ed al secondo anno. Nel primo

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SUPSI/DFA CAPITOLO 1. INTRODUZIONE

caso, ogni metà classe svolge due ore di laboratorio ogni due settimane per un anno, mentre nel secondo svolge due ore di laboratorio ogni quattro settimane per due anni.

1.2

L’importanza delle attività di laboratorio per

l’insegna-mento della fisica

Essendo la fisica una scienza sperimentale, il suo insegnamento non può limitarsi unicamente agli aspetti teorici, ma deve essere rivolto anche all’apprendimento dei metodi d’indagine della disciplina. Il piano cantonale degli studi liceali raccomanda infatti di prediligere, nel corso fondamentale di fisica, un approccio sperimentale alla disciplina. Sebbene le esperienze dimo-strative eseguite dal docente di fronte alla classe rimangano sicuramente utili per illustrare i concetti teorici, esse non risultano sempre essere pienamente efficaci al fine della comprensione dei modelli scientifici impiegati per descrivere i fenomeni naturali. In particolare, il metodo didattico induttivista, tradizionalmente applicato nell’insegnamento della fisica e basato sulla derivazione delle leggi generali a partire da esperimenti dimostrativi, è stato negli ultimi de-cenni oggetto di critiche (Robardet, 1990, 2001): gli esperimenti utilizzati a tale scopo sono infatti solitamente progettati in modo tale da “dimostrare” la legge che si desidera verificare e risultano quindi essere troppo distanti dai fenomeni “reali”, che gli studenti incontrano nella vita quotidiana. Ciò presenta degli effetti negativi per quanto concerne la motivazione degli allievi verso lo studio della fisica, che viene così percepita come una materia “inutile” e non applicabile alla realtà. Ancora più grave è però il fatto che l’approccio induttivista non sembri favorire una reale comprensione dei concetti da parte degli studenti: essi apprendono infatti ad utilizzare i modelli scientifici per descrivere le situazioni affrontate in classe, ma al contempo mantengono le loro rappresentazioni intuitive e spesso errate, per spiegare i fenomeni incontrati nella vita quotidiana. La metodologia tradizionale non tiene infatti conto delle rappresentazioni intuitive degli studenti e, non affrontandole, non permette quindi una loro sostituzione con i modelli scientificamente accettati.

Al fine di contrastare questi effetti indesiderati e favorire invece i processi cognitivi auspicati negli allievi, nel corso degli ultimi decenni sono state sviluppate delle metodologie didattiche, di cui una è la situazione–problema (Meirieu, 1987). Essa consiste in una situazione didattica, solitamente basata su un problema tratto dalla realtà e sufficientemente complesso per lo stu-dente, per la cui soluzione egli è chiamato ad affrontare un ostacolo cognitivo, che può essere superato unicamente ricorrendo al concetto che si desidera insegnare. Un’altra metodologia didattica, sviluppata in risposta alla necessità di offrire agli studenti una sperimentazione il più possibile diretta, consiste nel far loro svolgere dei semplici esperimenti, spesso costruiti con oggetti incontrati nella vita quotidiana. Queste semplici esperienze risultano essere particolar-mente efficaci per motivare gli allievi allo studio della fisica, mostrando loro che non è una disciplina avulsa dalla realtà. Esse permettono inoltre di condurre facilmente gli studenti ad

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una tensione cognitiva, sorta dall’osservazione di fenomeni inaspettati ed in contrasto con le loro rappresentazioni intuitive della realtà. Questa tensione cognitiva conduce alla necessità di apprendere un nuovo concetto, al fine di spiegare l’osservazione inattesa, costituendo così la base, nell’allievo, per un desiderio di maggiore conoscenza.

Come accennato in precedenza, il piano cantonale degli studi liceali prescrive ai docenti di insegnare non solo i modelli ed i concetti teorici, ma anche il metodo sperimentale, di cui la fisica si avvale per indagare la realtà e mettere alla prova le proprie teorie. Affinché gli allievi possano apprendere il metodo sperimentale e comprendere il suo ruolo di selettore dei modelli e delle ipotesi, essi devono poterlo mettere in pratica effettuando degli esperimenti più complessi e strutturati in una fase di misurazione ed una di analisi dei dati raccolti. A tale scopo, come descritto nella sez. 1.1, nella griglia oraria sono state inserite delle ore di laboratorio, in cui gli studenti, a gruppi ridotti, possono effettuare dei simili esperimenti, allo scopo di apprendere il metodo d’indagine sperimentale. L’obiettivo del presente lavoro di diploma è infatti discutere e confrontare differenti modalità didattiche per le attività di laboratorio, nell’ottica di quale sia la più efficace per la comprensione, da parte degli allievi, dei concetti scientifici e del metodo sperimentale.

1.3

Empirismo vs. razionalismo

Parallelamente all’evoluzione delle scienze sperimentali, si è sviluppata anche una branca della filosofia, detta filosofia della scienza, la quale si occupa di studiare gli aspetti epistemologici di queste discipline, ovvero i metodi da esse impiegati per giungere alla conoscenza. A partire dal XVII secolo, si sono affermate due correnti di pensiero in contrasto fra loro: l’empirismo ed il razionalismo. La corrente empirista, i cui maggiori esponenti furono i filosofi inglesi John Locke (1632–1704), George Berkeley (1685–1753) e David Hume (1711–1776), sosteneva che la conoscenza dell’essere umano fosse possibile unicamente attraverso l’esperienza ed i sen-si. La corrente razionalista, il cui principale esponente fu il filosofo francese René Descartes (1596–1650), anche noto come Cartesio, propugnava invece la tesi secondo cui la conoscenza umana potesse avvenire attraverso il solo uso della ragione.

Queste visioni contrapposte furono riprese più avanti, in forma aggiornata, all’inizio del XX secolo. Negli anni ’20 si formò a Vienna il cosiddetto “Wiener Kreis”, un circolo di filosofi e scienziati, i cui principali membri furono Moritz Schlick, Rudolf Carnap, Otto Neurath e Hans Hahn. Costoro ripresero una concezione empirista della conoscenza scientifica e fondarono una corrente filosofica nota come positivismo logico (o noepositivismo). La concezione di questi filosofi, esposta nel manifesto del circolo “Wissenschaftliche Weltauffassung” (Carnap, Hahn, & Neurath, 1929), prevedeva che esistessero unicamente due forme di proposizioni scientifiche: proposizioni empiriche, verificabili per mezzo di esperimenti e proposizioni analitiche, dimo-strabili con la logica. Il positivismo logico affermava che la conoscenza scientifica avanzasse attraverso un processo induttivo, schematizzato nella fig. 1.1

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SUPSI/DFA CAPITOLO 1. INTRODUZIONE

Osservazioni sperimentali

Formulazione di un’ipotesi

Derivazione di previsioni dall’ipotesi

Realizzazione di nuovi esperimenti

Confronto fra previsioni dell’ipotesi e risultati degli esperimenti

Confronto positivo

Ipotesi momentaneamente confermata

Formulazione di un principio

Confronto negativo

Ipotesi da correggere o scartare

Figura 1.1: Il metodo induttivo: dall’osservazione sperimentale si giunge alla formulazione di un principio.

Il metodo induttivo consiste fondamentalmente nel giungere a formulare dei principi di valen-za generale partendo da una serie di osservazioni empiriche particolari. In questo paradigma, l’esperimento assume una funzione di verifica delle ipotesi formulate a partire da precedenti osservazioni sperimentali. Secondo i neopositivisti un’ipotesi può quindi essere confermata da una serie di esperimenti e successivamente generalizzata in un principio di ampia applicabilità. Il paradigma induttivo propugnato dal circolo viennese venne messo in discussione alcuni an-ni dopo dalla fondamentale opera “Logik der Forschung” (Popper, 1934) di un altro filosofo viennese: Karl Popper (1902–1994). Egli individuò nella concezione neopositivista un pro-blema logico di fondo, poiché una serie di affermazioni particolari non possono sempre essere generalizzate in un principio generale. Di conseguenza, una serie di esperimenti non potrà mai confermare una teoria scientifica, poiché nulla esclude che essa venga prima o poi smentita da un nuovo esperimento. Popper propose quindi un nuovo paradigma, che egli stesso chiamò razionalismo critico, in base al quale le teorie scientifiche non vengono più indotte a partire da una serie di osservazioni sperimentali, ma vengono piuttosto sviluppate per rispondere ad un problema teorico. L’avanzamento della conoscenza scientifica avviene quindi attraverso un processo deduttivo, in cui gli esperimenti assumono un ruolo di falsificazione delle teorie. In-fatti, se anche un grande numero di esperimenti non è in grado di provare con certezza una teoria, un solo esperimento è sufficiente per smentirla. La fig. 1.2 rappresenta schematicamente i principali punti del paradigma deduttivo: la formulazione del modello teorico ha luogo prima dell’oservazione sperimentale, la quale viene effettuata ripetutamente fino a che un esperimento non confuti la teoria e crei così la necessità di formularne una nuova.

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Nascita di un problema teorico

Formulazione di un modello

Derivazione di previsioni dal modello

Realizzazione di nuovi esperimenti

Confronto fra previsioni del modello e risultati degli esperimenti

Confronto positivo

Modello momentaneamente confermato

Confronto negativo

Modello da correggere o scartare

Figura 1.2: Il metodo deduttivo: l’osservazione sperimentale ha la funzione di falsificare un modello teorico.

Le due posizioni filosofiche appena esposte costituiscono il quadro teorico di riferimento per lo svolgimento del presente lavoro di diploma. Trattandosi infatti di un’analisi e confronto di differenti modalità didattiche per il laboratorio di fisica, è essenziale definire innanzitutto il ruolo ricoperto dall’esperimento nell’indagine scientifica e la sua valenza rispetto alle teorie. Più in generale, dovendo un docente liceale di fisica occuparsi di insegnare anche il metodo sperimentale ai suoi studenti, con la possibilità di scegliere a quale paradigma appoggiarsi, è necessario che egli svolga una riflessione approfondita su questi aspetti, al fine di definire il quadro teorico al cui interno programmare poi le attività didattiche. Le modalità didattiche che verranno discusse nel cuore del presente lavoro faranno capo ad entrambi i paradigmi, cercando di sfruttare i loro pregi per l’apprendimento e tenendo conto al contempo dei loro limiti.

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Capitolo 2

Sperimentazione

2.1

Prima modalità

2.1.1

Descrizione dell’attività

La prima modalità didattica sperimentata consiste nello svolgere un esperimento seguendo le indicazioni di un protocollo. L’attività prevede un approccio deduttivo, secondo quanto descrit-to nella sez. 1.3, in quandescrit-to il modello che lega le grandezze caratteristiche del fenomeno in esame viene dato in partenza e deve essere verificato per mezzo dell’esperimento da svolgere. Nell’appendice A sono riportate le schede di laboratorio contenenti le indicazioni per lo svol-gimento degli esperimenti effettuati dagli studenti in questa prima parte della sperimentazione didattica. Gli esperimenti si inseriscono all’interno del capitolo della cinematica ed in partico-lare della parte dedicata allo studio del moto rettilineo uniformemente accelerato. I fenomeni studiati sono la caduta libera verticale (sez. A.1), il moto di un carrello lanciato in salita lungo un piano inclinato (sez. A.2) ed il moto di un carrello che si muove lungo un binario orizzontale (sez. A.3), dapprima trainato, per mezzo di un filo passante su una carrucola, da un corpo in caduta verticale ed in seguito, dopo che il corpo trainante ha toccato il pavimento, per inerzia. Negli esperimenti proposti, gli studenti devono effettuare delle serie di misure volte a verificare le relazioni matematiche che descrivono l’evoluzione temporale delle grandezze caratteristiche del moto, ovvero la posizione e la velocità. Pur non trattandosi propriamente di esperimenti di fisica, poiché non vengono indagate le cause dei moti studiati, ma solamente delle regole matematiche che ne descrivono l’evoluzione temporale, ai fini del presente lavoro essi possono essere ragionevolmente considerati tali, poiché la metodologia di lavoro appicata segue un pa-radigma deduttivo e gli studenti, a questo stadio di apprendimento, non hanno ancora una piena concezione di cosa sia un modello fisico.

Come si può vedere, ogni scheda è suddivisa in quattro sezioni: introduzione, scopo, materiale e procedimento. La prima sezione comprende una rappresentazione schematica dell’apparato sperimentale, una breve descrizione del fenomeno in esame ed il modello teorico da verificare per mezzo dell’esperimento. Nella sezione successiva, viene sinteticamente enunciato lo

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sco-po dell’esperimento, che prevede la verifica del modello teorico e la determinazione di una grandezza caratteristica del fenomeno studiato. Nei casi qui considerati, questa grandezza ca-ratteristica è l’accelerazione dei corpi in moto. La terza sezione comprende un elenco degli strumenti messi a disposizione e del materiale necessario per lo svolgimento dell’esperienza. L’ultima sezione contiene infine la descrizione dettagliata delle operazioni da svolgere, elenca-te in ordine logico. Esse includono sia la parelenca-te pratica delle misure, sia la parelenca-te più concettuale di analisi dei dati. Quest’ultima viene svolta rappresentando i dati sperimentali in un grafico, che può essere realizzato sia manualmente su un foglio di carta millimetrata, sia al computer per mezzo del programma Excel. In seguito viene richiesto di tracciare una retta di regressione passante fra i punti sperimentali sul grafico e di determinarne la pendenza. Gli ultimi punti sono quelli che richiedono il maggior sforzo intellettuale per gli allievi, poiché riguardano la determinazione della grandezza caratteristica del fenomeno indagato, tramite il confronto fra il valore sperimentale della pendenza del grafico ed un’espressione teorica della stessa, determi-nata a partire dal modello teorico. A questo punto, le indicazioni sulle operazioni da svolgere sono accompagnate da alcune domande, sul modello delle seguenti:

• Che unità di misura ha la pendenza della retta che hai tracciato? • Partendo dal modello teorico, ricava un’espressione per la pendenza.

• Utilizzando l’espressione teorica che hai ricavato ed il valore della pendenza della retta che hai tracciato determina il valore della grandezza caratteristica.

Le domande sono pensate per obbligare gli studenti a riflettere su quanto da loro svolto fino a quel momento. Nei casi qui considerati, ci si aspetta che gli studenti siano in grado di capire che la pendenza di un grafico velocità–tempo, o di un grafico posizione–tempo al quadrato, ha le unità di misura di un’accelerazione. Confrontando i modelli teorici, che legano la velocità al tempo, o la posizione al tempo al quadrato, con l’equazione di una retta, gli allievi dovrebbero quindi arrivare a capire che nel primo caso la pendenza equivale all’accelerazione, mentre nel secondo equivale alla metà di essa.

2.1.2

Obiettivi dell’attività

La prima attività di laboratorio ha i seguenti obiettivi di apprendimento:

• gli studenti imparano a lavorare autonomamente, seguendo le indicazioni di un protocollo. • gli studenti sono in grado di effettuare un esperimento relativamente complesso,

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SUPSI/DFA CAPITOLO 2. SPERIMENTAZIONE

2.1.3

Riflessioni sull’efficacia della modalità

Questa modalità di lavoro in laboratorio è quella che maggiormente ho applicato durante i miei primi due anni e mezzo di insegnamento al liceo di Lugano 1. Sulla base delle esperienze ac-cumulate fino a questo punto, penso di poter affermare che, grazie all’utilizzo delle schede di laboratorio, gli studenti riescono a lavorare autonomamente e ad effettuare le misure secondo le indicazioni ricevute. Se gli obiettivi didattici si limitassero all’apprendimento e esecuzione di procedure, si potrebbe considerare questo metodo efficace.

Le criticità nascono quando si cercano di perseguire degli obiettivi di apprendimento di ordi-ne cognitivo superiore per mezzo di questa modalità didattica. Essa mostra infatti i suoi limiti quando si chiede agli studenti di comprendere a fondo il senso dell’esperimento che stanno svolgendo. Ho infatti osservato in questi anni che, giunti alla fase di analisi dei dati, gli studenti si bloccano, incapaci di proseguire autonomamente. Solitamente non comprendono la richiesta di ricavare un’espressione teorica della pendenza di un grafico da un modello dato. È quindi necessario il mio intervento, allo scopo di aiutarli a capire il senso di ciò che stanno facendo. A tale scopo cerco di farli riflettere, ponendo loro delle domande, sul significato delle indicazioni presenti sul protocollo, cercando di ricollegarle con le misurazioni da loro effettuate. Il processo si rivela però spesso difficoltoso e non sempre il mio intervento è risolutorio. Si verifica non di rado infatti che, nonostante le mie indicazioni, molti allievi ancora non comprendano il senso dell’esperimento svolto.

Personalmente penso che ciò sia dovuto al fatto che gli allievi eseguono le operazioni mec-canicamente, senza comprendere o interrogarsi sul senso di ciò che stanno facendo. Ciò ha generato in me una notevole insoddisfazione che deriva dal mio desiderio di riuscire ad otte-nere una maggior comprensione da parte degli allievi, rispetto agli esperimenti che chiedo loro di svolgere. Ritengo infatti che le ore di laboratorio dovrebbero servire ad aiutare gli allievi a comprendere i concetti teorici affrontati a lezione e non semplicemente ad applicare delle leggi precedentemente apprese che, peraltro, spesso non hanno compreso appieno. L’altro obiettivo delle lezioni di laboratorio, altrettanto importante, è che gli allievi apprendano il metodo speri-mentale e quindi in cosa consiste un esperimento scientifico. Da queste riflessioni è quindi nata la mia volontà di cominciare a sperimentare delle altre modalità didattiche in laboratorio, al fine di sostenere in maniera più efficace l’apprendimento degli studenti.

2.2

Seconda modalità

2.2.1

Descrizione dell’attività

Un’ipotesi per spiegare le difficoltà incontrate dagli allievi nella fase di analisi dei dati, nono-stante le indicazioni della scheda, è che queste ultime non risultino sempre sufficientemente chiare per loro. Ho infatti riscontrato, in questi miei primi anni di insegnamento, che molti allievi che approdano al liceo mostrano delle significative difficoltà nella comprensione di

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te-sti scritti di una certa complessità. Nel corso della redazione delle schede di laboratorio, ho cercato di trovare un compromesso fra la sintesi, la chiarezza ed il rigore disciplinare dei testi che ho scritto. Nonostante, a mio parere, dei simili testi dovrebbero essere comprensibili per uno studente di prima liceo, sulla base delle precedenti considerazioni è comunque ipotizzabile che per alcuni studenti essi possano presentare un significativo sforzo cognitivo. Le difficoltà di ordine concettuale potrebbero quindi essere almeno in parte ricondotte a delle debolezze sul piano linguistico.

Ho perciò pensato che una possibile strategia per far fronte a questi ostacoli potesse essere quella di far spiegare ad ogni gruppo l’esperimento svolto nel corso della precedente sessione di laboratorio ad un altro gruppo. Applicando questa modalità, ho pensato di sfruttare l’ap-prendimento fra pari, nella speranza che, ricevendo delle spiegazioni formulate nel registro linguistico da loro abitualmente utilizzato, le difficoltà degli allievi su questo piano venissero eliminate, favorendo così la loro comprensione del senso dell’esperimento e delle procedure da seguire. Al contempo, questa attività avrebbe potuto costituire un utile esercizio linguistico per gli studenti incaricati di spiegare l’esperimento da loro precedentemente svolto. Le spiegazioni fornite, pur non dovendo venire necessariamente espresse in un linguaggio scientifico, avrebbe-ro infatti dovuto essere sufficientemente chiare per il gruppo che le avrebbe ricevute, affinché esso fosse poi in grado di svolgere autonomamente l’esperimento sulla base di esse. Gli stu-denti incaricati di ricevere le spiegazioni degli esperimenti avrebbero invece dovuto annotare le indicazioni ricevute, esercitandosi così a prendere appunti ed a trascrivere delle procedure in modo sufficientemente dettagliato da essere successivamente in grado di metterle in pratica. Infine, questa modalità didattica presenta anche un obiettivo pedagogico di taglio più genera-le: avendo il compito di spiegare l’esperimento svolto ad un altro gruppo, gli studenti vengono maggiormente responsabilizzati e chiamati a prepararsi adeguatamente in vista del compito loro assegnato. Gruppo 1 Gruppo 2 Gruppo 3 Gruppo 4 Gruppo 5

Figura 2.1: La struttura circolare secondo cui un membro di ogni gruppo ha spiegato ad un membro di un altro gruppo l’esperimento precedentemente svolto.

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SUPSI/DFA CAPITOLO 2. SPERIMENTAZIONE

Gli esperimenti con cui è stata messa in pratica questa seconda modalità sono i medesimi con cui è stata sperimentata la prima, ovvero quelli descritti nell’appendice A. Essendo le classi di laboratorio solitamente costituite da 10 o 11 allievi, esse risultavano suddivise in un numero dispari di coppie. Per poter abbinare le coppie in modo tale che ognuna di esse spiegasse il proprio esperimento ad un’altra ed al contempo ricevesse da un’altra coppia la spiegazione di un altro esperimento, sono ricorso ad una struttura circolare, come quella rappresentata sche-maticamente nella figura 2.1. Secondo questa struttura, per ogni coppia vi era una allievo che spiegava l’esperimento, mentre contemporaneamente il secondo allievo riceveva una spiegazio-ne. Grazie a questa strategia, messa in atto durante la fase di scambio, ogni allievo era occupato a spiegare o a ricevere una spiegazione ed ogni gruppo aveva ricevuto alla fine un esperimento da svolgere. Nella fase successiva, le coppie originali venivano riformate, in modo tale che gli allievi che avevano ricevuto la spiegazione si occupavano di spiegare al compagno il nuovo esperimento da svolgere.

2.2.2

Obiettivi dell’attività

La seconda attività di laboratorio ha i seguenti obiettivi di apprendimento:

• gli studenti sono in grado di spiegare a dei compagni un esperimento precedentemente svolto, sia per quanto concerne i metodi di misura sia per l’analisi dei dati.

• gli studenti apprendono a scrivere un protocollo contenente le l’indicazioni per lo svolgi-mento di un esperisvolgi-mento relativamente complesso.

2.2.3

Riflessioni sull’efficacia della modalità

Osservando il lavoro degli allievi durante lo svolgimento delle attività ho potuto constatare che, grazie alle spiegazioni ricevute dai compagni, essi sono stati in grado di svolgere autonoma-mente e correttaautonoma-mente la parte pratica delle misurazioni. Si può quindi concludere che, general-mente, sia la capacità di tradurre in un linguaggio condiviso una serie di indicazioni riguardanti delle procedure relativamente complesse, sia l’abilità comprenderle e ad annotarle messe in at-to dagli studenti sono state all’altezza del compiat-to loro assegnaat-to. Sotat-to quesat-to profilo, questa modalità didattica si è quindi rivelata tanto efficace quanto l’utilizzo della scheda contenente le procedure.

Allo stesso tempo, si sono però ripresentate le medesime criticità che già mi avevano fatto dubi-tare dell’efficacia dell’utilizzo delle schede di laboratorio. Se durante la fase delle misurazioni ho potuto lasciare lavorare autonomamente gli allievi, senza che ci fosse la necessità di un mio intervento, giunti alla fase di analisi dei dati essi si sono nuovamente bloccati, non sapendo come proseguire. A questo punto si è quindi reso nuovamente necessario il mio intervento, con tutte le difficoltà già descritte, fra cui, non da ultima, quella di dover gestire contemporanea-mente cinque coppie di laboratorio in attesa di ricevere spiegazioni da parte mia. Chiedendo

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agli studenti il motivo per il quale non fossero in grado di portare a termine l’analisi dei da-ti dell’esperimento da loro svolto, molda-ti mi hanno risposto di non aver ricevuto spiegazioni a riguardo dai loro compagni. Ciò, a mio modo di vedere, può essere spiegato in due modi: la prima spiegazione è che agli allievi non fosse chiaro che dovessero dare ai loro compagni delle spiegazioni riguardanti anche l’analisi dei dati. La seconda e più probabile è che, non avendo loro per primi capito come analizzare i dati, gli studenti chiamati a dare le spiegazioni, non fossero in grado di fornire indicazioni su questa parte del lavoro ai loro compagni.

Sulla base di queste considerazioni, penso di poter concludere che questa modalità didattica, avendo presentato gli stessi pregi e gli stessi limiti dell’utilizzo delle schede di laboratorio, non abbia mostrato i miglioramenti auspicati sotto il profilo della comprensione degli studenti, ri-spetto al senso del lavoro da loro svolto. Una doverosa considerazione da fare, comunque, è che la sperimentazione di questa modalità si è svolta utilizzando esperimenti, basati sull’utilizzo di una strumentazione relativamente complessa, che gli allievi avevano precedentemente svol-to seguendo le indicazioni di una scheda. Quessvol-to contessvol-to di partenza potrebbe quindi essere significativo per spiegare l’apparente inefficacia di questa modalità.

2.3

Terza modalità

2.3.1

Descrizione dell’attività

Le considerazioni illustrate nella sez. 2.2.3 mi hanno spinto a progettare una terza modalità didattica, in cui gli allievi sono chiamati a progettare il loro esperimento, senza ricevere indica-zioni da parte del docente, o ricevendone solamente in misura limitata. A mio modo di vedere, ciò dovrebbe inevitabilmente costringere gli allievi ad interrogarsi sugli obiettivi e sul senso del lavoro che stanno svolgendo. Questo aspetto potrebbe inoltre rivalutare l’utilizzo della moda-lità delle spiegazioni reciproche fra studenti, nel caso si decida, in una successiva sessione di laboratorio, di applicare questo metodo per ruotare le esperienze fra le varie coppie. Avendo infatti dovuto maggiormente riflettere sull’esperimento ed avendone quindi meglio compreso le varie parti, gli studenti dovrebbero essere in grado di fornire spiegazioni più esaustive ai loro compagni.

Questa terza modalità, da me progettata, consiste nel porre gli studenti di fronte ad un apparato sperimentale, predisposto per lo studio di in fenomeno da loro non ancora conosciuto e studia-to. Gli esperimenti utilizzati per questa fase della sperimentazione sono descritti nell’appendice B. Essi vertono sullo studio delle forze e della pressione nel caso statico. Nella fattispecie, i fenomeni studiati sono l’elasticità di una sbarra (sez. B.1), la somma delle forze nel piano (sez. B.2), la pressione nei liquidi (sez. B.3) e la spinta idrostatica (sez. B.4). Prima dell’inizio della messo in atto di questa modalità, a lezione erano stati introdotti i concetti di forza ed equilibrio e si erano studiate la forza–peso e la forza elastica di una molla. Non essendo il modello teorico fornito in partenza, questo approccio didattico può essere ricondotto al paradigma induttivo,

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SUPSI/DFA CAPITOLO 2. SPERIMENTAZIONE

secondo quanto descritto nella sez. 1.3. L’obiettivo dell’attività, comunque, è che gli allievi giungano a formulare delle ragionevoli ipotesi rispetto ai fenomeni studiati, non attendendosi in alcun modo che essi arrivino ad indurre il principio generale.

Prima dell’inizio dello svolgimento delle attività, ad ogni gruppo ho assegnato un esperimento, dando a tutti la seguente indicazione generale: «Cercate di capire quali strumenti avete di fronte a voi, quali grandezze misurano e quali manipolazioni potete effettuare». Nel caso dello studio della pressione nei liquidi, effettuato per mezzo di un barometro digitale, è stato necessario che spiegassi agli allievi che si trattava di uno strumento che misura la pressione. L’obiettivo della fase iniziale dell’attività era che gli studenti capissero, almeno a grandi linee, quali fenomeni stessero studiando e ne individuassero le grandezze caratteristiche. Successivamente, sulla base delle loro riflessioni iniziali, dovevano progettare il loro esperimento, allo scopo di ricavare una relazione fra le grandezze caratteristiche che avevano precedentemente individuato. Nei casi in cui gli allievi mi erano parsi maggiormente in difficoltà, sono intervenuto suggerendo loro alcune misurazioni che era possibile effettuare con gli strumenti a disposizione.

In seguito ho lasciato svolgere ad ogni coppia l’esperimento che aveva progettato. In generale, durante questa fase, è stato necessario un monitoraggio piuttosto costante da parte mia del la-voro degli allievi, al fine di assicurarsi sia che i gruppi non fossero in difficoltà, sia che stessero lavorando con la dovuta serietà. Conclusa la fase delle misurazioni, grazie ad alcuni computer presenti nel laboratorio, gli allievi hanno potuto effettuare l’analisi dei dati raccolti con l’au-silio del programma Excel. Essa consisteva essenzialmente nell’inserire i dati in una tabella opportunamente strutturata, all’interno di un foglio di calcolo ed in seguito di rappresentarli in grafico, al fine di visualizzarne l’andamento inserendo la curva di regressione adatta. Durante questa fase ho discusso con ogni gruppo dei risultati ottenuti, incoraggiando gli studenti for-mulare le loro ipotesi per spiegarli. L’analisi dei dati sperimentali per mezzo di un grafico ha fornito anche l’occasione per far riflettere gli allievi sull’accuratezza delle loro misurazioni e su eventuali errori da loro commessi. In alcuni casi, gli allievi hanno dovuto ripetere una parte delle misurazioni. Nel caso dello studio della somma delle forze nel piano, l’analisi dei dati non è stata effettuata al computer. In questo caso ho spiegato agli studenti il metodo grafico (punta–coda) per la somma delle forze nel piano e li ho successivamente invitati a verificare questa proprietà con almeno un’altra configurazione di forze.

La sperimentazione di questa modalità si è infine conclusa con delle presentazioni degli allie-vi, di fronte ai propri compagni, degli esperimenti da loro svolti. Durante le presentazioni ho invitato gli studenti a fornire spiegazioni più dettagliate delle procedure, quando ciò era a mio avviso necessario, e ad esporre le loro ipotesi riguardo alla causa del fenomeno studiato. Ter-minate le presentazioni degli studenti, ho colto l’occasione per effettuare un momento di teoria in cui ho illustrato i principi generali che si celavano dietro ai fenomeni studiati. Un’altra pos-sibilità per concludere questa attività di laboratorio avrebbe potuto essere quella di far svolgere, a rotazione, ogni esperimento a tutte le coppie, partendo ogni volta dalle spiegazioni reciproche degli allievi, come già precedentemente menzionato. Oppure, avrei potuto far redigere, ad ogni

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gruppo, un protocollo dell’esperimento svolto, sul modello delle mie schede di laboratorio. In conclusione, per lo svolgimento di questa attività sono state necessarie, includendo le misure, l’analisi dei dati e le presentazioni finali di tutti i gruppi, quattro sessioni di laboratorio.

2.3.2

Obiettivi dell’attività

La terza attività di laboratorio ha i seguenti obiettivi di apprendimento:

• gli studenti sono in grado di identificare le grandezze caratteristiche di un fenomeno da loro non ancora studiato.

• gli studenti sono in grado di progettare ed eseguire un esperimento per indagare la rela-zione fra le grandezze caratteristiche di un fenomeno.

2.3.3

Riflessioni sull’efficacia della modalità

Osservando il lavoro degli allievi, durante lo svolgimento delle attività, ho avuto l’impressio-ne che essi fossero maggiormente coinvolti e motivati verso il compito loro assegnato, rispetto alle occasioni in cui avevo implementato le altre modalità. In particolare ho apprezzato quan-do gli studenti, di loro iniziativa, hanno proposto ed effettuato delle misurazioni supplementari per verificare alcune loro ipotesi. Non tutte le coppie, comunque, hanno mostrato il medesimo entusiasmo e spirito d’iniziativa, poiché ciò, chiaramente, dipende anche dalle caratteristiche caratteriali dei singoli allievi e dalla loro motivazione intrinseca. In generale, però, anche i gruppi meno motivati sono stati obbligati ad effettuare uno sforzo di riflessione maggiore ri-spetto a quello a cui erano abituati con le altre modalità.

Avendo già avuto modo di accumulare esperienze in laboratorio per più di un semestre, gli studenti non hanno generalmente avuto particolari difficoltà nel progettare un esperimento con-sistente in una serie di misurazioni al fine di verificare la relazione fra due grandezze caratteri-stiche del fenomeno in esame. Ciò può essere considerato un indicatore del fatto che l’utilizzo delle schede di laboratorio non sia stato completamente inefficace e che grazie ad esso gli stu-denti abbiano potuto apprendere, almeno in parte, il metodo sperimentale. Come già descritto in precedenza, si è però reso necessario, da parte mia, un monitoraggio dell’attività degli allievi maggiore di quello che avevo inizialmente ipotizzato. Questo mio accresciuto impegno è però stato ripagato dalla percezione di un maggior coinvolgimento degli allievi nell’attività. Ho an-che avuto l’impressione an-che gli studenti si siano maggiormente resi conto delle imprecisioni o degli errori di misurazione da loro commessi, rispetto a quanto percepivo avvenisse con l’uti-lizzo delle altre modalità. Dovendo seguire le indicazioni di una scheda, pur essendo comunque possibile che commettano degli errori, è meno probabile che gli allievi se ne rendano conto, rispetto ad una situazione in cui hanno dovuto essi stessi progettare l’esperimento, riflettendo sulle procedure da svolgere e sulle problematiche ad esse correlate.

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SUPSI/DFA CAPITOLO 2. SPERIMENTAZIONE

Sulla base di queste considerazioni mi ritengo quindi soddisfatto di questa prima implementa-zione di questa modalità didattica. L’unica sua pecca, se tale può essere considerata, risiede nel maggior tempo necessario per lo svolgimento delle attività rispetto agli altri metodi. Per questo motivo, questa modalità risulta essere poco adatta per essere l’unica utilizzata durante tutto l’anno scolastico. Essa può però essere sicuramente alternata con altre modalità, al fine di lasciare, di tanto in tanto, più spazio di riflessione agli studenti.

2.4

Questionario per gli allievi

2.4.1

Descrizione delle classi

La sperimentazione delle modalità didattiche sopra descritte ha avuto luogo presso il liceo can-tonale Lugano 1, con due classi prime. Una delle due classi è costituita da 23 allievi, di cui 21 sono ragazze. L’altra classe è invece composta da 18 studenti, di cui 3 sono ragazze. La prima classe presenta quindi una netta maggioranza di femmine, mentre la seconda una prevalenza di maschi. Oltre che per la composizione, le due classi si differenziano anche per le attitudini degli allievi. La prima classe è caratterizzata da circa un terzo di allievi che mostrano un di-screto interesse verso la fisica e partecipano attivamente alle lezioni, mentre il resto della classe è tendenzialmente silenzioso e poco partecipe, probabilmente a causa di una certa timidezza. La seconda classe è invece generalmente più vivace. Entrambe le classi, comunque, presentano sia studenti con un quadro scolastico solido che studenti con significative difficoltà scolastiche. Con entrambe le classi, grazie all’impegno mostrato dagli allievi, è stato possibile impostare un lavoro proficuo ed effettuare la sperimentazione in modo soddisfacente.

2.4.2

Obiettivi e struttura del questionario

L’obiettivo della sperimentazione è quello di individuare delle modalità didattiche che siano più stimolanti per gli allievi e più efficaci per il loro apprendimento. A tale scopo, ho quindi ritenuto necessario rilevare anche le opinioni degli studenti riguardo ai metodi di lavoro in la-boratorio che ho sperimentato con loro. Per questo motivo ho deciso di sottoporre loro un breve questionario di quattro domande, riportato nell’appendice C. Le domande poste agli studenti sono volte ad indagare in quale misura si siano trovati bene con le modalità applicate, quanto a fondo ritengano di aver compreso i fenomeni studiati ed i metodi di misura applicati ed in quale misura le modalità applicate abbiano risvegliato il loro interesse verso gli esperimenti. Gli allievi devono valutare la loro percezione rispetto alle quattro dimensioni sopra descritte, su una scala da 1 a 5.

Nel seguito, i risultati del questionario sono presentati e discussi. Su 41 allievi totali che hanno preso parte alla sperimentazione didattica, solamente 22 hanno risposto al questionario, nono-stante le mie sollecitazioni nei loro confronti in tale senso. Personalmente mi sarei aspettato

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che tutti loro avrebbero risposto alle domande del questionario entro il termine stabilito e sono quindi un po’ deluso dalla loro mancanza di impegno verso questo compito loro assegnato. Con-siderando però il periodo particolarmente denso di lavori scritti ed il breve tempo loro concesso, gli allievi che non hanno risposto al questionario possono essere almeno in parte scusati.

2.4.3

Discussione dei risultati del questionario

1 2 3 4 5 0 2 4 6 8 10 12 14 Punteggio Numero di allie vi

Indicazioni della scheda Spiegazione reciproca Progettazione dell’esperimento

Figura 2.2: Risultati della domanda sull’apprezzamento generale delle modalità didattiche da parte degli studenti.

Nella fig. 2.2 sono riportati i risultati per quanto riguarda la prima domanda del questionario, volta ad indagare l’apprezzamento generale delle modalità didattiche da parte degli studenti. La modalità didattica della scheda, illustrata nella sez. 2.1, ha ottenuto dei punteggi abbastanza buoni, che vanno da 3 a 5. La modalità didattica della spiegazione reciproca, descritta nella sez. 2.2, ha invece ricevuto dei punteggi perlopiù concentrati fra i valori 3 e 4. Infine, la modalità didattica della progettazione dell’esperimento, discussa nella sez. 2.3, presenta un’ampia distri-buzione dei punteggi assegnati dagli allievi, i quali si estendono da 2 a 5. Si noti che all’incirca la metà degli studenti ha indicato il suo apprezzamento della prima e della terza modalità con il punteggio 4, mentre due terzi di loro hanno attribuito questo punteggio alla seconda modalità. Ciò può essere letto come un segno del fatto che una buona parte di loro si è trovata abbastanza bene con ognuna di esse. La prima modalità ha ricevuto un punteggio pari a 5 da 9 studenti, mentre nessuno di loro ha indicato la seconda modalità con il punteggio più alto e solamente 2 studenti hanno assegnato questo punteggio alla terza modalità. Si segnala inoltre che la seconda e la terza modalità hanno entrambe ricevuto due valutazioni negative, mentre la prima non ne

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SUPSI/DFA CAPITOLO 2. SPERIMENTAZIONE

ha ricevuta nessuna.

Cercando di interpretare questi dati, possiamo affermare che la modalità maggiormente apprez-zata dagli allievi è stata la prima, mentre la seconda sembra essere quella che ha li maggiormente lasciati indifferenti. La terza modalità sembra invece avere diviso gli animi degli studenti. Que-sti risultati potrebbero essere spiegati considerando che per gli allievi è più semplice seguire le indicazioni di una scheda, in quanto ciò richiede un minor sforzo cognitivo da parte loro. Dover progettare il proprio esperimento, sembra invece aver stimolato gli studenti più motivati, ma potrebbe al contempo aver suscitato qualche disagio a quelli maggiormente in difficoltà. Va comunque segnalato il fatto che l’utilizzo di una scheda è la modalità a cui avevo maggiormen-te abituato i miei studenti. Questo fatto potrebbe spiegare lo smarrimento da loro provato nel momento in cui sono stati confrontati per la prima volta con altre modalità didattiche.

1 2 3 4 5 0 2 4 6 8 10 12 Punteggio Numero di allie vi

Indicazioni della scheda Spiegazione reciproca Progettazione dell’esperimento

Figura 2.3: Risultati della domanda sulla percezione degli studenti rispetto alla loro comprensione dei fenomeni studiati.

Nella fig. 2.3 sono riportati i risultati delle risposte degli studenti alla seconda domanda del que-stionario, che aveva l’obiettivo di sondare la loro percezione rispetto alla loro comprensione dei fenomeni studiati. Si noti innanzitutto che a nessuna delle modalità è stato assegnato il punteg-gio più basso. Tutte e tre hanno però ricevuto un voto negativo da almeno uno studente. Anche in questo caso, nessun allievo ha attribuito il punteggio più alto alla modalità della spiegazione reciproca, che ha ricevuto un punteggio pari a 3 da più della metà degli studenti. I punteggi delle altre due modalità presentano invece delle distribuzioni abbastanza simili, sebbene quella della scheda abbia ottenuto valutazioni positive da un maggior numero di studenti rispetto alla progettazione dell’esperimento, la quale ha invece ricevuto più valutazioni negative.

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la loro comprensione dei fenomeni studiati. La seconda modalità ha invece ricevuto delle valu-tazioni piuttosto negative a questo riguardo, mentre la terza è stata oggetto di una valutazione complessivamente discreta, ma inferiore a quella della prima. La percezione degli studenti, di non aver appieno compreso i concetti con la seconda modalità è probabilmente da ricondur-re alle spiegazioni lacunose fornite dai loro compagni, non abituati a questo compito. Questo risultato sembra inoltre corrispondere alla mia impressione in questo senso. Al contrario, il fatto che anche in questo ambito gli studenti sembrino preferire la prima modalità è in contra-sto con le mie osservazioni, secondo cui la terza avrebbe invece maggiormente favorito la loro comprensione dei fenomeni. Ciò potrebbe essere ancora spiegato considerando che la modalità della scheda è quella a cui gli studenti sono maggiormente abituati e che richiede il minor sfor-zo cognitivo da parte loro. Il maggior impegno mentale richiesto dalla terza modalità potrebbe infatti aver suscitato negli studenti l’impressione di aver capito poco dei fenomeni studiati. Va comunque ricordato che questa domanda del questionario poteva unicamente sondare una per-cezione degli allievi e non la loro reale comprensione, la quale, peraltro, non è stata verificata mediante un apposito test.

1 2 3 4 5 0 2 4 6 8 10 12 Punteggio Numero di allie vi

Indicazioni della scheda Spiegazione reciproca Progettazione dell’esperimento

Figura 2.4: Risultati della domanda sulla percezione degli studenti rispetto alla loro comprensione dei metodi di misura applicati.

Nella fig. 2.4 sono riportati i risultati della terza domanda del questionario, volta a rilevare la percezione degli studenti rispetto alla loro comprensione dei metodi di misura applicati. Si osserva innanzitutto che, anche in questo caso, nessuna modalità ha ricevuto il punteggio più basso. Le modalità della spiegazione reciproca e della progettazione dell’esperimento hanno ricevuto valutazioni da 2 a 5, pur con differenti distribuzioni, mentre a quella della scheda non

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SUPSI/DFA CAPITOLO 2. SPERIMENTAZIONE

sono stati assegnati punteggi inferiori a 3. Anche in questa domanda, la prima modalità è quella che ha ricevuto le valutazioni più alte, con ben 12 studenti che le hanno attribuito il punteggio 4 ed altri 6 il punteggio massimo. 12 studenti hanno assegnato il punteggio 3 alla seconda mo-dalità, che ha comunque ricevuto complessivamente 9 valutazioni positive. La terza modalità è stata infine oggetto di un discreto apprezzamento da parte degli allievi, che le hanno attribuito 13 voti positivi.

Nell’opinione degli allievi, l’utilizzo della scheda li avrebbe maggiormente aiutati a compren-dere i metodi di misura, rispetto alle altre due modalità. Il fatto che la scheda contenesse indica-zioni dettagliate riguardo alle procedure da seguire potrebbe spiegare questa loro impressione, comportando ciò un minor sforzo cognitivo per loro, come già argomentato in precedenza. An-che in questo caso la modalità della spiegazione reciproca sembra aver raccolto meno preferen-ze fra gli studenti, probabilmente a causa delle difficoltà da loro incontrate nello spiegare delle procedure di una certa complessità. La terza modalità, come nei casi precedenti, ha globalmen-te otglobalmen-tenuto punglobalmen-teggi migliori della seconda ma inferiori alla prima, probabilmenglobalmen-te a causa del maggior impegno richiesto agli allievi nel progettare un esperimento. Anche in questo contesto è però necessario rammentare che è stata rilevata unicamente una percezione degli allievi e non la loro reale comprensione dei metodi sperimentali applicati.

1 2 3 4 5 0 2 4 6 8 10 Punteggio Numero di allie vi

Indicazioni della scheda Spiegazione reciproca Progettazione dell’esperimento

Figura 2.5: Risultati della domanda sull’interesse degli studenti verso i fenomeni studiati. Nella fig. 2.5 sono rappresentati i risultati relativi alla quarta domanda del questionario, volta ad indagare l’influsso delle tre modalità didattiche sull’interesse degli allievi verso i fenomeni studiati. Osservando il grafico, il primo aspetto che salta all’occhio è il fatto che i punteggi ottenuti dalla modalità della spiegazione reciproca sono concentrati fra i valori 2 e 4, mentre quelli delle altre due sono sono distribuiti lungo tutta la scala. In secondo luogo, si nota che i

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punteggi assegnati ad essa ed alla modalità della progettazione dell’esperimento sono caratte-rizzati da distribuzioni crescenti. In particolare si può vedere che 12 studenti hanno assegnato il punteggio 4 alla seconda modalità, mentre ben 17 hanno attribuito i punteggi 4 e 5 alla terza. La modalità della scheda, in questa domanda, ha invece ottenuto dei punteggi inferiori: si nota infatti che solo quattro allievi le hanno assegnato il punteggio più alto, mentre 9 di loro le hanno attribuito delle valutazioni meno positive.

Sulla base di quanto osservato, posso concludere che la percezione degli allievi rispetto al loro interesse sembra corrispondere alle mie impressioni. Infatti, la modalità della progettazione del-l’esperimento sembra aver maggiormente risvegliato il loro interesse rispetto ai fenomeni stu-diati. Questo dato risulta essere particolarmente interessante, se confrontato con quanto emerso dalle risposte alle precedenti domande del questionario, in cui gli allievi hanno dichiarato di non aver percepito miglioramenti della loro comprensione dei fenomeni e dei metodi e di non essersi trovati particolarmente bene con questa modalità. Sembra infatti che questi aspetti non siano in alcuno modo correlati al loro interesse verso gli argomenti trattati. Ciò potrebbe essere spiegato considerando che il maggior sforzo cognitivo richiesto agli allievi dalla progettazione dell’esperimento potrebbe aver suscitato in loro qualche insicurezza ma, al contempo, averli maggiormente stimolati. 1 2 3 3 3.2 3.4 3.6 3.8 4 4.2 4.4 Modalità didattica Punte ggio medio Domanda 1 Domanda 2 Domanda 3 Domanda 4

Figura 2.6: Punteggi medi ottenuti dalle tre modalità didattiche nelle quattro domande del questionario.

Per concludere la discussione dei risultati del questionario sottoposto agli allievi, è utile ed in-teressante riportare in un grafico le medie dei punteggi ottenuti dalle tre modalità nelle quattro domande, poiché ciò permette di averne un visione più globale. Nella fig. 2.6 sono appunto rappresentati i punteggi medi in funzione delle modalità didattiche, per ogni domanda del

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que-SUPSI/DFA CAPITOLO 2. SPERIMENTAZIONE

stionario. Si osserva che la modalità della scheda ha mediamente ottenuto i punteggi più alti nelle prime tre domande, mentre nella quarta, il punteggio medio più alto è stato assegnato al-la modalità delal-la progettazione dell’esperimento. La modalità delal-la spiegazione reciproca, in ognuna delle domande, ha ottenuto i punteggi mediamente più bassi. I punteggi medi ottenuti dalla terza modalità nella prima e nella terza domanda sono simili a quelli ricevuti dalla secon-da, così come quelli assegnati alla prima ed alla seconda modalità nella quarta domanda. Si osserva quindi che l’andamento dei punteggi medi rispetto alle modalità ed alle domande del questionario corrisponde a quanto già precedentemente osservato nei grafici dei risultati di ogni domanda. La prima modalità è stata preferita dagli allievi in tre delle quattro dimensioni indagate dal questionario. La seconda modalità è invece stata la meno apprezzata dagli studenti in tutte le categorie osservate. Infine, la terza modalità ha captato le preferenze degli allievi nell’ultima domanda.

Riassumendo brevemente quanto precedentemente discusso, ho ipotizzato che questi risultati possano essere spiegati dal fatto che la modalità della scheda sia quella a cui ho maggiormente abituato i miei allievi. La novità costituita dalle altre due modalità potrebbe quindi aver suscita-to in loro qualche incertezza. È quindi possibile che esista una correlazione fra lo stasuscita-to d’animo degli allievi durante lo svolgimento delle attività e la loro percezione della comprensione dei concetti. La modalità della spiegazione reciproca che, sia in base mie osservazioni, sia in base a quanto riportato dagli allievi, sembra essere stata la meno efficace, potrebbe essere stata pena-lizzata dalla loro inesperienza nel fornire spiegazioni ai compagni. Infine, il maggior impegno richiesto dalla progettazione del proprio esperimento sembra aver presentato qualche difficoltà agli studenti, ma al contempo averli maggiormente stimolati ed interessati.

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Conclusioni

Il presente lavoro di diploma è stato per me l’occasione per sperimentare delle nuove modalità didattiche nel laboratorio ed ampliare così i miei orizzonti professionali in vista di una possi-bile futura carriera quale docente di fisica in un liceo cantonale. Nei miei primi due anni di insegnamento, ho preparato delle schede di laboratorio contenenti delle indicazioni dettagliate per lo svolgimento degli esperimenti, come quelle allegate nell’appendice A, da distribuire agli allievi. Ritenevo infatti che questa modalità didattica fosse la più efficace per farli lavorare in maniera indipendente ed al contempo permettere loro di comprendere sia i fenomeni studiati, sia i metodi sperimentali applicati. Grazie alle esperienze accumulate nel corso di questi due anni, mi sono però reso conto del fatto che l’utilizzo di una scheda di laboratorio permetta di raggiungere questi obiettivi soltanto parzialmente: se da una parte gli allievi riescono a lavorare in modo autonomo, dall’altra ho sempre avuto l’impressione, come argomentato nella sez. 2.1, che la loro comprensione dei concetti e delle procedure si limitasse ad un livello superficiale. Ho quindi pensato che sarebbe stato utile ed interessante sperimentare delle differenti modalità didattiche, al fine individuare altre strategie più adatte ad ottenere la comprensione degli stu-denti.

Inizialmente ho ipotizzato che le difficoltà degli allievi potessero essere almeno in parte ricon-dotte a delle debolezze sul piano linguistico, in particolare nell’ambito della comprensione di testi brevi, ma relativamente densi di informazioni. Ho quindi pensato che una soluzione per far fronte a queste criticità potesse consistere nel sostituire l’uso delle schede con spiegazioni reciproche fra gli studenti, come descritto nella sez. 2.2. L’idea alla base di questa modalità didattica consisteva nel cercare di sfruttare il linguaggio comune degli allievi, nella speranza che, eliminando l’ostacolo linguistico, la loro comprensione dei concetti venisse facilitata. In seguito alla messa in pratica di questa modalità, posso affermare che ciò non si è purtroppo verificato, probabilmente a causa di due fattori principali. La prima probabile causa potrebbe essere il fatto che gli studenti incaricati di spiegare un esperimento precedentemente svolto se-guendo le indicazioni di una scheda non avevano appieno compreso i concetti e le procedure, soprattutto per quanto riguardava l’analisi dei dati. Di conseguenza essi non erano stati in grado di fornire sufficienti spiegazioni ai propri compagni. La seconda ragione potrebbe consistere

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SUPSI/DFA CAPITOLO 3. CONCLUSIONI

probabilmente nell’inesperienza degli allievi nello spiegare ai compagni concetti e procedure di una certa complessità.

Sulla base di questa esperienza, non pienamente soddisfacente, ho deciso di sperimentare una terza modalità didattica, discussa nella sez. 2.3. Essa consisteva nel porre gli studenti di fronte ad un apparato sperimentale da loro non ancora utilizzato, fornendo loro un numero limitato di indicazioni riguardo al funzionamento degli strumenti di misura. Sulla base delle esperien-ze precedentemente accumulate, gli allievi avrebbero dovuto essere in grado di individuare le grandezze caratteristiche del fenomeno in esame e di progettare il loro esperimento, al fine di indagare la relazione fra di esse. Il mio auspicio era che il fatto di dover progettare un proprio esperimento portasse gli studenti ad interrogarsi più a fondo, sia sui metodi di misura da appli-care, sia sul modo in cui interpretare i risultati. Osservando il lavoro degli studenti durante la sperimentazione, ho avuto l’impressione che essi fossero maggiormente coinvolti nell’attività loro assegnata e quindi più motivati a comprendere i principi fisici che si celavano dietro i fe-nomeni studiati. D’altra parte, però, mi sono subito reso conto della necessità di fornire loro un maggior sostegno di quello che avevo preventivato. L’implementazione di questa modalità mi ha quindi maggiormente soddisfatto rispetto alle altre, sebbene debba riconoscere di aver forse parzialmente sottovalutato alcune difficoltà degli allievi.

A conclusione della sperimentazione delle tre modalità didattiche, ho pensato che fosse utile ri-levare anche le opinioni degli studenti a questo riguardo. A tal fine ho sottoposto loro un breve questionario di quattro domande, allegato nell’appendice C ed i cui risultati sono discussi nella sez. 2.4. Le risposte degli allievi sono state in parte in accordo ed in parte in contrasto con le mie osservazioni: ad esempio, è emerso che la modalità più efficace nell’ottica della comprensione sarebbe stata la prima, mentre la seconda sarebbe stata la meno apprezzata e la terza avrebbe maggiormente risvegliato il loro interesse verso i fenomeni. Ho quindi ipotizzato che questi risultati siano principalmente dovuti all’abitudine degli allievi all’utilizzo della prima modalità. La messa in pratica per la prima volta di altre modalità potrebbe aver infatti suscitato in loro qualche incertezza, dando loro l’impressione che esse fossero meno efficaci. È comunque in-teressante notare che le impressioni di un docente non sempre corrispondono a quelle dei suoi allievi. Infine, dalle risposte degli allievi sembra emergere anche una certa correlazione fra il loro stato d’animo e la loro percezione della comprensione dei concetti. Al contempo, però, le difficoltà da loro incontrate non sembrano aver intaccato il loro interesse verso i fenomeni. In conclusione del presente lavoro di diploma, posso affermare che la sperimentazione di dif-ferenti modalità didattiche nel laboratorio ha aperto degli scenari interessanti per il mio futuro professionale. Sulla base di quanto emerso nel corso della sperimentazione, ho potuto consta-tare che le differenti modalità didattiche presentano vantaggi e svantaggi e che la loro efficacia dipende sia dal contesto in cui vengono applicate, sia dagli obiettivi che il docente intende per-seguire per mezzo di esse. In particolare l’utilizzo di schede di laboratorio risulta utile per far lavorare gli studenti in modo autonomo, facendoli esercitare nell’applicazione di procedure di una certa complessità. Volendo però perseguire una maggiore comprensione dei concetti da

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parte loro, una modalità in cui essi sono chiamati ad un maggior sforzo cognitivo sembra essere più efficace, sebbene possa presentare qualche difficoltà iniziale per loro. Ritengo inoltre che la modalità delle spiegazioni reciproche possa essere rivalutata e nuovamente applicata in futuro, nonostante nel corso di questa prima sperimentazione non abbia prodotto i risultati desiderati. Penso infatti che dover spiegare un esperimento precedentemente svolto ad un compagno possa essere un utile esercizio per gli allievi, a cui andrebbero maggiormente allenati. In ogni caso, ritengo che la presente sperimentazione abbia indicato la necessità di variare le modalità didatti-che da applicare nel laboratorio, al fine di non abituare gli allievi ad un unico metodo di lavoro e di promuovere lo sviluppo di competenze diverse da parte loro, stimolandoli a molteplici livelli cognitivi. Infine, quale proposito per il mio futuro professionale, mi riprometto di continuare a sperimentare ulteriori modalità didattiche, cercando al contempo di perfezionare quelle già conosciute.

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SUPSI/DFA CAPITOLO 3. CONCLUSIONI

Riferimenti bibliografici

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Estratto del regolamento degli studi liceali – Piano delle lezioni settimanali. (2008, giugno 25). Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport / Divisione della scuola / Ufficio dell’insegnamento medio superiore.

Meirieu, P. (1987). Apprendre... oui mais comment. Paris: ESF éditeur.

Piano cantonale degli studi liceali. (2001). Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport / Divisione della scuola / Ufficio dell’insegnamento medio superiore.

Piano quadro degli studi per le scuole svizzere di maturità. (1994). Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione.

Popper, K. (1934). Logik der forschung. Tübingen: Mohr Siebeck.

Robardet, G. (1990). Utiliser des situations–problèmes pur enseigner les sciences physiques. Journal pour les enseignantes de mathématique et des sciences physiques du premier cycle de l’enseignement secondaire(23), 61–70.

Robardet, G. (2001). Quelle démarche expérimentale en classe de physique? Bulletin de l’union des physiciens(836), 1173–1190.

Questa pubblicazione, Confronto fra differenti modalità didattiche nel laboratorio di fisica, scritta da Eggenschwiler Federico, è rilasciata sotto Creative Commons Attribuzione – Non commerciale 3.0 Unported License.

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Schede di laboratorio

A.1

Determinazione dell’accelerazione di caduta libera

A.1.1

Introduzione

h

t

t

0

Un corpo, che viene sollevato da terra e poi lasciato libero, cade verso il centro della Terra con un’accelerazione costante. Il valore dell’accelerazione di caduta libera g, in assenza influssi esterni, quali la resistenza dell’aria, è uguale per tutti i corpi, indipendentemente dalla loro massa. Un corpo che viene lasciato cadere da fermo dall’altezza h al tempo t0= 0 s, toccherà

terra all’istante di tempo t. La relazione fra l’altezza di caduta h ed il tempo di caduta t è data dalla seguente formula:

h = 1 2· g · t

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SUPSI/DFA APPENDICE A. SCHEDE DI LABORATORIO

A.1.2

Scopo

Lo scopo di quest’esperienza è la verifica sperimentale della formula A.1 e la determinazione dell’accelerazione di caduta libera g.

A.1.3

Materiale

Per svolgere quest’esperienza hai a disposizione: Metro

• • Aste e morsetti • Biglia

Morsetto con contatto

• • Tappetino di arresto • Cronometro digitale

Calcolatrice

• • Carta millimetrata • Righello

A.1.4

Procedimento

1. Imposta il cronometro digitale sulla modalità GATE. Inserisci la biglia nel morsetto e fissala premendo sul pistoncino e stringendo la vite. Azzera il cronometro.

2. Posiziona l’asticella a cui è fissato il morsetto con la biglia in modo tale che la distanza h fra la parte inferiore della biglia ed il tappetino di arresto sia pari a 10 cm.

3. Lascia cadere la biglia aprendo la vite che blocca il morsetto ed annota il tempo di caduta misurato dal cronometro. Ripeti la misura 3 volte.

4. Ripetendo i passi precedenti, misura i tempi di caduta aumentando l’altezza h di 10 cm ogni volta fino a raggiungere un valore massimo di 1 m. Per ogni altezza h misura 3 tempi di caduta.

5. Calcola la media t di ogni tempo di caduta. Per ogni valore t calcolane il quadrato t2. Inserisci i dati in una tabella come la sottostante.

h[m] t [s] t2[s2]

0 0 0

0.1 . . . . . . . .

6. Utilizzando la carta millimetrata, rappresenta in un grafico h in funzione di t2 (t2 sull’a-scissa e h sull’ordinata).

7. Utilizzando la riga, traccia una retta che avvicini il più possibile i punti sul grafico. 8. Determina la pendenza della retta che hai tracciato. Che unità di misura ha?

(31)

9. Partendo dalla formula A.1, ricava un’espressione teorica per la pendenza ∆h/∆t2. 10. Utilizzando l’espressione teorica che hai ricavato ed il valore della pendenza della retta

che hai tracciato determina l’accelerazione di caduta libera g.

A.2

Moto di un carrello su un piano inclinato in salita

A.2.1

Introduzione

Sensore 1

Sensore 2

s

s

0

t

t

0

Lanciacarrello

Un carrello che viene lanciato in salita lungo un piano inclinato, ad esempio per mezzo di una molla, si muove con un’accelerazione costante, che è però diretta in direzione opposta rispetto alla sua velocità. La velocità del carrello in funzione del tempo è data dalla formula seguente:

v(t) = a · t + v0 (A.2)

dove a è l’accelerazione del carrello.

A.2.2

Scopo

Lo scopo di quest’esperienza è la verifica sperimentale della formula A.3, la determinazione dell’accelerazione del carrello e della sua velocità iniziale.

A.2.3

Materiale

Per svolgere quest’esperienza hai a disposizione: Binario munito di metro

• • Carrello • Lancia–carrello a molla

Placchetta metallica

• • 2 fotocellule • Cronometro digitale

Calcolatrice

(32)

SUPSI/DFA APPENDICE A. SCHEDE DI LABORATORIO

A.2.4

Procedimento

1. Imposta il cronometro digitale sulla modalità PULSE1. Posiziona le due fotocellule alla distanza di 10 cm l’una dall’altra.

2. Comprimi la molla del lancia–carrello fino a che non scatta il blocco. Posiziona il carrello sul binario e mettilo in moto tirando l’innesco del lancia–carrello.

3. Misura il tempo necessario per percorrere lo spostamento fra le due fotocellule. Ripeti la misura altre 2 volte.

4. Ripeti le misure precedenti aumentando la distanza fra le fotocellule di 10 cm ogni volta fino ad arrivare al valore massimo di 120 cm.

5. Imposta ora il cronometro sulla modalità GATE2. Lascia la prima fotocellula nella posi-zione in cui si trova.

6. Lancia il carrello e misura l’intervallo di tempo per cui la prima fotocellula viene oscurata. Ripeti la misura altre 2 volte.

7. Ripeti le misure precedenti allontanando ogni volta la prima fotocellula di 10 cm fino ad una distanza massima di 120 cm.

8. Calcola la media t di ogni tempo utilizzando i 3 valori misurati.

9. Misura la lunghezza ∆s della placchetta metallica. Calcola la media ∆t di ogni interval-lo di tempo utilizzando i 3 vainterval-lori misurati. Determina le veinterval-locità istantanee v = ∆s/∆t utilizzando i valori medi degli intervalli di tempo ∆t.

10. Inserisci i dati in una tabella come la sottostante:

s[m] t [s] ∆t [s] v[m/s]

0 0 . . . .

. . . .

11. Utilizzando la carta millimetrata, rappresenta in un grafico v in funzione di t (t sull’ascissa e v sull’ordinata).

12. Utilizzando il righello traccia una retta che avvicini il più possibile i punti nel grafico. 13. Determina la pendenza della retta che hai tracciato. Qual’è il significato fisico della

pendenza?

1Nella modalità pulse il cronometro viene avviato quando la prima fotocellula viene oscurata e quando viene

oscurata la seconda viene fermato.

2Nella modalità GATE il cronometro misura l’intervallo di tempo durante il quale la prima fotocellula viene

(33)

14. Determina la velocità iniziale del carrello e l’istante di tempo in cui esso si arresta com-pletamente.

A.3

Moto di un carrello trainato da un peso in caduta

verti-cale

A.3.1

Introduzione

Sensore 1

Sensore 2

t

t

0

s

0

s

Un carrello trainato in orizzontale da un corpo in caduta verticale per mezzo di un filo, si muove con un’accelerazione costante. La sua velocità in funzione del tempo è descritta dalla seguente formula:

v(t) = a · t + v0 (A.3)

dove a è l’accelerazione del carrello. Se la trazione del corpo in caduta verticale cessa, il carrello continua a muoversi in orizzontale a velocità costante. La sua velocità in funzione del tempo è descritta in questo caso dalla formula:

v(t) = vfin (A.4)

A.3.2

Scopo

Lo scopo di quest’esperienza è la verifica sperimentale delle formule A.3 e A.4, la determina-zione dell’acceleradetermina-zione del carrello e della sua velocità finale.

A.3.3

Materiale

Per svolgere quest’esperienza hai a disposizione: Binario munito di metro

• • Carrello • Peso e filo

Placchetta metallica

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