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L’occupazione delle terre e il latifondo in chiave comparata Toscana e Sicilia

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Edizioni dell’Assemblea 218

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Il biennio rosso in Toscana

1919-1920

Atti del convegno di studi Sala del Gonfalone, Palazzo del Pegaso

5-6 dicembre 2019

a cura di Sandro Rogari

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volume in distribuzione gratuita

Consiglio regionale della Toscana

Settore “Rappresentanza e relazioni istituzionali ed esterne. Comunicazione, URP e Tipografia”

Progetto grafico e impaginazione: Patrizio Suppa

Pubblicazione realizzata dal Consiglio regionale della Toscana quale contributo ai sensi della l.r. 4/2009

Febbraio 2021

ISBN 978-88-85617-79-7

CIP (Cataloguing in Publication)

a cura della Biblioteca della Toscana Pietro Leopoldo

Il biennio rosso in Toscana 1919-1920 : atti del convegno di studi, Sala del Gonfa-lone, Palazzo del Pegaso, 5-6 dicembre 2019 / a cura di Sandro Rogari. - Firenze : Consiglio regionale della Toscana, 2021

1. Rogari, Sandro 945.50914

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Sommario

Presentazione 7

Antonio Mazzeo, Presidente del Consiglio regionale della Toscana

Saluti 9

Eugenio Giani

Nota del curatore 11

Le peculiarità di un paradigma: il biennio rosso in Toscana 13

Sandro Rogari

Primasessione - ilconflittoagrarioeindustriale presiede Sandro Rogari

Imprese e imprenditori toscani nella crisi del primo dopoguerra 25

Michele Lungonelli

Le lotte mezzadrili in Toscana 39

Fabio Bertini

L’Associazione agraria toscana di fronte alle lotte mezzadrili

del biennio rosso (1919-1920) 59

Luca Menconi

L’occupazione delle terre e il latifondo in chiave comparata:

Toscana e Sicilia 71

Giustina Manica

secondasessione - lottaPoliticaesociale presiede Zeffiro Ciuffoletti

I liberali toscani e le elezioni del 1919 81

Marco Sagrestani

Le elezioni amministrative del 1920 in Toscana 99

Domenico Maria Bruni

Biennio rosso in Toscana: il PSI 109

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Chiesa, cattolici toscani e partito popolare 127

Bruna Bocchini Camaiani

Il “vario” interventismo e trincerismo fra le urne e la piazza

nel biennio rosso: i casi di Firenze e Pisa 151

Paolo Nello

Il “vario” interventismo e trincerismo fra le urne e la piazza

nel biennio rosso: i casi di Livorno e Lucca 173

Fabrizio Amore Bianco

terzasessione - giornalismo, riviste, cultura presiede Paolo Bagnoli

Il biennio rosso. Guerra e dopoguerra a Firenze nella grande

narrazione storica del romanziere: “Lo scialo” di Vasco Pratolini 191

Marino Biondi

Nuovi assetti e tendenze della stampa d’opinione toscana

nel primo dopoguerra 213

Gabriele Paolini

Il futurismo a Firenze nel biennio rosso 227

Anna Nozzoli

Il biennio rosso all’università. Note sul caso dell’ateneo di Pisa 247

Alessandro Breccia

Dai canti popolari alle canzoni politiche: Spartacus Picenus

e il biennio rosso 259

Alessandro Volpi

Considerazioni sul paradigma del diciannovismo 279

Paolo Bagnoli

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L’occupazione delle terre e il latifondo

in chiave comparata: Toscana e Sicilia

Giustina Manica

La Toscana del primo dopoguerra è un territorio fortemente interessato da conflitti sociali di diversa natura. A Signa si formarono i cortei delle trec-ciaiole e dei lavoratori agricoli. A Firenze il 24 febbraio 1919 le donne del quartiere fiorentino del Pignone reagirono alla chiusura, per deficit di bilan-cio, della rivendita di generi alimentari gestita dalla locale cooperativa ope-raia consorziata con l’Ente autonomo dei consumi presieduto dal comune. Si organizzò una manifestazione con centinaia di persone, per lo più donne, sedata solo dalla riapertura della cooperativa. Nel giugno 1919 i moti del caroviveri ebbero inizio a La Spezia, in risposta alla serrata dei commercianti contro la vendita della merce a prezzi sbassati, poi si diffusero a macchia d’olio in tutta la penisola. In Toscana i tumulti furono numerosi. In luglio, Firenze era nuovamente sotto assedio. Il caroviveri dava filo da torcere. Gli operai della Galileo, della Pignone entravano in sciopero guidati dalla came-ra del lavoro. Poi le insurrezione coinvolsero la Lunigiana, la Versilia, l’alta Maremma, Lucca, Pisa, la Toscana interna. Numerosi furono anche gli scio-peri agricoli dove la Toscana superava numericamente Lombardia, Piemonte e Veneto. Nelle campagne toscane, le famiglie mezzadrili più povere, con poderi sottodimensionati rispetto alle esigenze familiari, dovevano comprare a prezzi alti i generi alimentari non prodotti ma necessari per il loro sostenta-mento come zucchero, sale, concimi chimici ecc. e anche riacquistare ad un prezzo assai maggiorato quelli che, come il grano, il latte, la verdura, veniva-no loro sottratti con le requisizioni. La proprietà terriera cercò di prevenire le agitazioni mezzadrili istituendo nell’aprile del 1919 l’Associazione agraria regionale assorbendo così la vecchia Associazione Mutua Agraria della pro-vincia di Firenze, sorta nel 1909. Essa raccolse insieme proprietari e conta-dini ma non ebbe particolare successo per le scarse adesioni dei proprietari. Per quanto riguarda i contadini toscani organizzati nelle leghe, seppur sempre più forti e radicate nella società civile, erano in continuo contrasto.

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Giustina Manica

Da una parte le leghe bianche che miravano a trasformare la mezzadria in piccola proprietà, dall’altra quelle rosse che puntavano alla socializzazione della terra.

L’organizzazione cattolica contava numerosi iscritti nel territorio fio-rentino, che salirono a ben 20.800 nel 1921. Questo successo si verificò in tutte le zone tradizionalmente cattoliche come nel Mugello, la Val di Pesa, la Val di Bisenzio, in parte nel Casentino e inoltre a Reggello e Figline, gra-zie anche all’influenza dei parroci1. La presenza della Federterra era invece

molto forte nell’Empolese e nella Valdelsa2.

Nel mese di luglio l’agitazione mezzadrile per la riforma del patto co-lonico aveva conquistato tutte le campagne toscane. Nonostante tutto, la divisione tra le leghe bianche e quelle rosse rendeva la protesta meno pre-gnante di quello che ci si aspettava per mancanza di unitarietà d’azione riducendo la potenziale forza del movimento3. I rossi negavano la validità

dei patti conclusi dalle leghe bianche, e i bianchi quelli conclusi dai ros-si dando ai proprietari la posros-sibilità di sfuggire agli impegni sottoscritti. Questa situazione, inoltre, rendeva le vertenze infinite, i progetti di patti colonici si moltiplicavano e lo stato di agitazione dei mezzadri si protraeva in tutta la regione4. Vi erano anche aspetti condivisi fra le due parti, come

la volontà di superare il contratto di mezzadria, ormai considerato obsole-to, e la disdetta solo per “giusta causa”. A partire dal 1919 tutta la Toscana fu teatro di numerose manifestazioni contadine. Nel fiorentino, nel giugno del 1919 iniziarono le agitazioni “bianche” dell’Unione dei mezzadri di Sesto Fiorentino che rivendicavano il riconoscimento dell’organizzazione, le limitazioni delle disdette padronali, l’obbligo della regolare tenuta del libretto colonico, il diritto di prelazione in caso di vendita o di affitto del podere, oltre ai miglioramenti economici5. Il 27 luglio la Federterra

orga-nizzò a Cerreto Guidi una grande manifestazione.

1 L. Guerrini, La Resistenza e il mondo contadino: dalle origini del movimento alla repub-blica: 1900-1946 : contributo per il convegno Mondo contadino e Resistenza, Giuntina,

Firenze, p. 32.

2 L. Guerrini, Il movimento operaio empolese, ed. Rinascita Toscana, Firenze, 1954, p. 197 3 R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla marcia su

Roma, volume II, Il Mulino, Bologna, 1991, p. 793

4 Ibidem.

5 M. A. Martini, Le agitazioni dei mezzadri in provincia di Firenze, Pubblicazione edi-ta a cura della Unione del Lavoro di Firenze e Provincia. Stabilimento Tipografico Bacher, Firenze, 1921,pp. 51- 53.

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73 L’occupazione delle terre e il latifondo in chiave comparata: Toscana e Sicilia

Nel clima incandescente del periodo, una delegazione degli agrari fiorentini e una della Federazione bianca raggiunsero un accordo detto “Concordato di Firenze”, ma l’Agraria, in una apposita assemblea, lo scon-fessò, suscitando la reazione dei mezzadri bianchi che scesero in sciopero. Fu infine trovata un’intesa su tutta una serie di “patti locali”. La Federterra, invece, sviluppò la sua azione attraverso uno sciopero ben organizzato che, partito da Firenze, dilagò in tutta la regione6.

Il timore di vedere sfumati i raccolti convinse l’Agraria Fiorentina a trovare un accordo, accettando le richieste della Federterra, soprattutto riguardo la trascrizione del patto sul libretto colonico ed il diritto di pre-lazione del colono in caso di affitto del podere7. Fu una grande vittoria

dei mezzadri. Infatti, la stabilità sul fondo e la “giusta causa permanente” costituivano il punto di convergenza di tutte le lotte contrattuali dei coloni.

Il 7 agosto comunque l’associazione agraria firmò il concordato con le leghe bianche ma i proprietari si rifiutarono poi di attuarli dando l’input alla ripresa delle agitazioni a cui si unirono anche le leghe rosse, nell’ottobre, dopo il diniego da parte dei proprietari di accettare il loro progetto di patto colonico8. A complicare ulteriormente il quadro già instabile, giunse fra il

settembre e l’ottobre del 1919 la prima ondata di scioperi colonici rossi, che riguardavano inizialmente solo i braccianti, ma che successivamente si este-se anche ai coloni, nel Seneeste-se, nell’Aretino, e in particolare nella Valtiberina e in Val di Chiana9. In provincia di Firenze lo sciopero colonico fu

procla-mato dai socialisti nell’ottobre 1919. La Federazione Mezzadri e Piccoli Affittuari rispose con un duro comunicato nel quale si affermava che erano contrari allo sciopero socialista sia perché in molti comuni stavano andan-do in porto i loro patti sia perché non volevano confondere la loro azione con quella socialista che aveva criteri morali, sociali ed economici diversi10.

Di fatto, comunque, fra il settembre e l’ottobre 1919 gli scioperi bianchi 6 L. Guerrini, La Resistenza e il movimento contadino, cit., p. 37.

7 G. Giorgetti, Contadini e proprietari nell’Italia moderna: rapporti di produzione e

contratti agrari dal secolo XVI a oggi, Einaudi, Torino, 1974,p. 442

8 R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla marcia su

Roma, cit. p. 795.

9 M. Toscano, Lotte mezzadrili in Toscana nel primo dopoguerra in «Storia contempo-ranea.» - dicembre 1978, 890-893.

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Giustina Manica

avvennero contemporaneamente a quelli rossi contribuendo così a rendere più rapida l’approvazione dei concordati bianchi.

Sia il patto di San Casciano, il 20 settembre 1919, per le leghe bian-che, che quello di Siena, il 1° novembre 1919, per le leghe rosse, avanza-vano comunque richieste molto modeste. La ripresa delle contestazioni da parte dei mezzadri, all’inizio del 1920, furono la diretta conseguenza del comportamento dei proprietari di rendere inattivi i patti sottoscrit-ti11. Di fronte al crescere della tensione l’associazione agraria fiorentina

proposte la costituzione di un patto colonico regionale che unisse fede-razioni bianche e rosse. L’iniziativa dell’Agraria di Firenze ebbe come immediata conseguenza la denuncia di tutti patti già esistenti conqui-stati dai contadini durante le lotte del 1919. Iniziarono così le trattative tra l’Agraria e le due Federazioni il cui dissidio era giunto al punto che ambedue le organizzazioni agivano separatamente. Il 1° luglio la Federazione bianca ruppe le trattative non avendo raggiunto un accordo sulla durata del contratto, sulla disdetta, sui diritti di miglioria, sui di-ritti di prelazione, sulle norme per la risoluzione dei conflitti individuali e collettivi. Di contro, la Federazione rossa concordava con l’Agraria il nuovo contratto regionale varato il 7 agosto, mentre le leghe bianche continuavano la lotta per raggiungere l’obiettivo di trasformare il con-tratto di mezzadria in affittanza, primo passo per raggiungere l’agognata proprietà della terra.

Il concordato concluso il 7 agosto 1920 rappresentò la conquista mas-sima del movimento contadino toscano. Con questo patto si limitava il potere di escomio del proprietario, si abolivano i patti accessori, si introdu-cevano miglioramenti economici a vantaggio del mezzadro e la corretta te-nuta dei conti colonici oltre che la liquidazione annuale di ogni credito. In esso si ribadiva, comunque, che la direzione dell’azienda agricola spettava al proprietario, si confermava l’obbligo del colono di mantenere inalterata la capacità lavorativa della famiglia colonica e si riaffermava il principio di armonia cui le parti dovevano uniformarsi12. Tuttavia, nonostante i limiti è

opportuno riconoscere che molti furono i miglioramenti economici e mo-rali conseguiti dai contadini in questo biennio: aumenti salariali, riduzio-ne dell’orario di lavoro, controllo del collocamento, riconoscimento delle 11 R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla marcia su

Roma, cit. p. 797.

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75 L’occupazione delle terre e il latifondo in chiave comparata: Toscana e Sicilia

regole per affermare l’imponibile di manodopera, definizione dei rapporti tra salariati fissi e conduttori revisione dei patti colonici. Questi furono i motivi che portarono nell’autunno del 1920 alla doppia reazione rurale e urbana. Una volta fallita anche l’occupazione delle fabbriche gli industriali si allearono con gli agrari. Il fascismo, fino a quel momento forza esigua, iniziava a prevalere e diffondersi. Le squadre godevano dei ricchi finanzia-menti che arrivavano dall’Associazione agraria toscana i cui esponenti ri-coprivano cariche di rilievo nei primi fasci regionali. Analogamente anche gli industriali parteciparono alla promozione del movimento fascista. Gli atti di violenza delle squadre d’azione furono numerosissimi in campagna come in città. I fascisti fiorentini ebbero molto spesso un ruolo centrale nelle spedizioni punitive che si diffusero non solo in Toscana, ma anche in Liguria, Umbria e Lazio. Le elezioni amministrative del 1923 rappresen-tarono il momento della conquista generalizzata da parte dei fascisti delle amministrazioni comunali, mettendo in evidenza il passaggio dei liberali toscani nelle file del fascismo.

Molto diversa è la situazione siciliana dove la vecchia classe dirigente agra-rio latifondistica fu colpita da diversi fattori di crisi che hanno caratterizzato il periodo quali il suffragio universale maschile del 1913 e l’introduzione della legge proporzionale con lo scrutinio di lista del 1919. Tuttavia, la que-stione più dirompente fu l’emergere del movimento contadino. I contadini, infatti, una volta scoppiata la guerra, furono chiamati in massa al fronte. La chiamata alle armi implicò l’abbandono delle terre e provocò il fallimento dei piccoli contadini con conseguenze molto negative per l’economia gene-rale della Sicilia: la diminuzione di braccia per il lavoro dei campi determinò una progressiva diminuzione delle aree coltivate a cereali e l’estensione del latifondo incolto che in Sicilia comprendeva già il 29% dell’intera superficie catastale. A farne le spese soprattutto i braccianti agricoli delle zone cen-tro-occidentali13. La vita al fronte per i contadini soldato era molto dura,

ma la vicinanza e la condivisione dei molti problemi con operai e contadini del nord portò ad una progressiva politicizzazione delle masse permettendo al movimento contadino siciliano di rafforzarsi. Si consolidarono di conse-guenza anche le strutture al quale il movimento si appoggiava come i movi-menti sindacali che videro aumentare il numero degli aderenti.

Lo slogan usato dapprima dal partito socialista “terra ai contadini”, che concorse fortemente ad alimentare le speranze dei soldati-contadini, fu poi 13 G. Miccichè, Dopoguerra e fascismo in Sicilia, Editori riuniti, Roma, 1975, pag.11.

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Giustina Manica

utilizzato da molti esponenti politici e delle istituzioni come Salandra che sottolineò che dopo la guerra, i contadini avrebbero avuto la terra in modo che fosse garantita la loro l’indipendenza.

I reduci però alla fine della guerra tornarono a casa e si accorsero che nulla era essenzialmente cambiato; anzi, nella maggior parte dei casi, la condizione economica dei contadini era peggiorata. A questo si aggiun-gevano delusione per l’inadempienza delle promesse fatte dal governo e la delusione nei confronti dei proprietari terrieri che non davano applicazio-ne ai decreti luogoteapplicazio-nenziali promulgati durante la guerra a loro tutela. Si formò così un movimento contadino guidato da importanti forze politiche siciliane. Prima fra tutte le associazioni dei combattenti e dei reduci, poi i cattolici a cui si legavano sindacati, cooperative agricole e casse rurali e poi i socialisti.

L’occupazione delle terre divenne un fattore di crisi sociale tanto che il governo fu obbligato ad affrontare la situazione con una serie di decreti che legalizzavano le occupazioni. Si tratta del decreto Visocchi dal nome del ministro dell’Agricoltura dell’epoca e del decreto Falcioni che tesero a favorire la concessione di proprietà di terra ai contadini reduci dalla guerra mondiale. Il primo decreto del settembre 1919, composto da 7 articoli, pose l’attenzione prima di tutto sulla necessità economica nazionale di au-mentare la produttività del suolo; si illustravano le condizioni di scarsa o nessuna coltivazione proprie di alcune zone di latifondo; si autorizzava la concessione di terre incolte e mal coltivate ad organizzazioni di contadini per un massimo di quattro anni, salvo proroga definitiva; si stabiliva la costituzione di una commissione apposita presso il ministero dell’Agricol-tura nonché altre norme per l’applicazione pratica. Il secondo decreto del 22 aprile 1920, invece, affidava l’esame delle richieste di occupazioni ad apposite commissioni provinciali, e precisava anche il concetto che l’oc-cupazione poteva essere consentita soltanto per i terreni non coltivati o insufficientemente coltivati. Le terre concesse in assegnazione provvisoria corrisposero a novantamila ettari.

Per quanto riguarda le quotizzazioni, secondo l’Inea (Istituto nazionale di economia agraria), dal 1919 al 1930 furono ripartiti in Sicilia 139.802 ettari di 341 latifondi. Gli acquisti e le quotizzazioni avvenivano tramite cooperative, per trattativa diretta e per mezzo di intermediari. Gli interme-diari erano per lo più gabellotti, fattori, campieri, molti di essi mafiosi. La intermediazione, nei centri ad alta intensità mafiosa, fu pressante. La parte

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77 L’occupazione delle terre e il latifondo in chiave comparata: Toscana e Sicilia

migliore del fondo di solito era trattenuta da coloro che acquistavano in blocco per poi rivendere a piccole quote. Il prezzo della intermediazione si aggirava tra il 15 e il 20%, ma ci furono casi in cui fra il prezzo di acquisto e quello di rivendita vi era un aumento che si aggirava intorno al 30 - 40%. Il fenomeno del frazionamento alimentò, quindi, il costituirsi della me-dia proprietà fonme-diaria di matrice parassitaria e mafiosa. Ciò significa che molti mafiosi passarono da affittuari a proprietari terrieri. Per questo si è parlato di una nuova mafia, quella dei gabellotti di guerra in conflitto con la vecchia, quella dei gabellotti del latifondo14. Comunque, il rafforzarsi

del movimento contadino fece sì che i proprietari terrieri fossero sempre più dipendenti da uomini di fiducia mafiosi che dovevano far fronte alla manodopera contadina ribelle.

Il movimento contadino di occupazione delle terra si diffuse in poco tempo e in diverse zone dell’Isola anche se la parte più interessata fu la Sicilia centro-occidentale dove, secondo l’inchiesta Lorenzoni del 1907, esistevano più di 900 feudi. Nella Sicilia orientale, invece, il fenomeno delle terre incolte era meno rilevante in quanto il numero dei latifondi era minore, tranne che per il catanese dove ve ne erano 250.

La reazione da parte dello stato e del fronte agrario mafioso non si fece attendere. L’8 ottobre 1919, a Riesi, duemila contadini invasero alcuni ex feudi di proprietà del principe Pignatelli. L’esercito, immediatamente ac-corso impose lo sgombero con le armi. Ma lo scontro si ebbe nella piazza del paese: falciati dalle mitragliatrici dieci lavoratori furono uccisi, mentre cinquanta furono i feriti. Mentre Riesi veniva occupata da tremila soldati che procedettero all’arresto di molti individui a diverso titolo coinvolti nel movimento popolare15. Il 9 ottobre due morti e sei feriti a Terranova tra

i contadini che si accingevano ad occupare i feudi16. A Ribera i contadini

esasperati delle lungaggini nelle trattative coi gabellotti del duca di Bidona invasero e saccheggiarono il castello ducale. La forza pubblica intervenne arrestando i contestatori17.

14 U. Santino, Storia del movimento antimafia: dalla lotta di classe all’impegno civile, Editori riuniti, Roma, 2000, pag. 113.

15 Acs, Min. Int., dir. Gen. Ps, Aff. Gen. e ris., 1921, cat c1, b. 57, Caltanissetta agita-zione agraria, relaagita-zione del prefetto, 10 gennaio 1920, in G. Miccichè, Dopoguerra

e fascismo in Sicilia, Editori riuniti, Roma, 1975, pag 38.

16 Ivi, Riesi e Terranova

17 Acs, Min. Int., dir. Gen. P.s, Aff. Gen. e ris. , 1919, cat. c1, b. 41, Girgenti (Agrigento), relazione del prefetto, 22 novembre 1919, in G. Miccichè, Dopoguerra

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Poi fu la volta del fronte agrario-mafioso. Moltissimi furono i militanti del movimento contadino uccisi in tutta la Sicilia fra i quali Giovanni Zangara, segretario della sezione socialista di Corleone e Giuseppe Rumore segretario della lega proletaria di Prizzi. Il 19 dicembre a Barrafranca era stato ucciso Alfonzo Canzio presidente della lega di miglioramento, men-tre il 28 febbraio 1920 fu ucciso Nicolò Alongi dirigente del movimento contadino prizzese e poi tanti altri a Petralia Sottana, Riesi, Noto, Gela, Randazzo, Centuripe, Modica, Messina e la lista potrebbe continuare a lungo. In Sicilia, dunque, non c’era bisogno dello squadrismo, che intanto dilagava in tutto il centro nord, per ripristinare lo status quo. Il fascismo, infatti, nella fase che precedette la marcia su Roma, fu un movimento minoritario in Sicilia e nel Mezzogiorno dove vi era un sistema di potere più conservatore che al nord e quindi l’azione dello squadrismo era meno necessaria, tranne che in Puglia dove esistevano nuclei proletari organizzati verso i quali il fascismo mise in atto gli stessi sistemi violenti che usò nel nord del paese.

Nel resto del Mezzogiorno, fino alla marcia su Roma, il fascismo era una forza minoritaria, priva di consistenza, meno originale e autentica ri-spetto al fenomeno esploso al nord. Alle elezioni del 1921, infatti, dei 35 fascisti eletti nei Blocchi nazionali solo due erano meridionali: Giacomo Acerbo, terzo degli eletti in Abruzzo, e Giuseppe Caradonna, fondatore del fascio di Cerignola e alla guida delle squadre d’azione contro i contadini pugliesi, nel collegio di Bari Foggia con 133.414 preferenze, al terzo posto dopo Salandra e Sala. Anche la presenza dei fasci era molto risicata. Solo dopo l’andata al potere di Mussolini esso divenne una fiumana.

Un fascismo, quindi, quello meridionale che fu sicuramente una forma repressiva ma che solo tardi e in misura modesta riuscì a incidere sulla sostanza.

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