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L'argomento di indispensabilità epistemica a favore del realismo normativo

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI CIVILT `A E FORME DEL SAPERE Corso di Laurea Magistrale in Filosofia e forme del sapere

Tesi di laurea magistrale

L’argomento di indispensabilit`

a epistemica a favore del

realismo normativo

Candidato:

Dario Cecchini

Matricola 540693

Relatore:

Prof. Luca Bellotti Correlatore:

Prof. Massimo Mugnai

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epistemica a favore del realismo

normativo

Dario Cecchini

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The explanatory indispensability argument affirms that a normative property is real, because the reference to it is indispensable to the best explanation of a natural phenomenon concerning human activity. My reasearch intends to defend the argument, in favour to normative realism, against the main objections in recent literature. Part of my research will inquire the concept of normative explanation and some of the main positions in me-taethics: robust realism, quasi-realism and analytical naturalism.

Nella letteratura recente in metaetica, ha avuto un certo credito un argomento a favore del realismo sulle propriet`a normative (explanatory indispensability argument). L’argomento afferma che almeno una propriet`a normativa `e reale, in quanto il riferimento ad almeno una di esse `e indispensabile alla miglior spiegazione di un qualche fenomeno riguardante l’azione umana. La presen-te ricerca consispresen-te in una difesa dell’argomento dalle principali obiezioni mossegli. A tal fine, la ricerca indagher`a il concet-to di spiegazione normativa e analizzer`a alcune delle delle pi `u importanti posizioni metaetiche, fra cui il realismo robusto, il quasi-realismo e il naturalismo analitico.

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Ringrazio Carla Bagnoli, che mi ha aiutato ad impostare il lavoro, Giorgio Lando, che mi ha aiutato nelle questioni di metafisica, Mauro Imbimbo, che ha riletto il lavoro con attenzione e mi ha sempre incoraggiato allo studio della materia, i miei genitori, che mi hanno sostenuto con pazienza durante il percorso univer-sitario, e i frequentatori dell’aula studio 1 del Collegio Timpano, luogo di studio e di svago in cui sono nate molte delle idee per questa ricerca.

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1 i n t r o d u z i o n e 9

2 l’argomento di indispensabilit `a: una

presen-ta z i o n e 15

2.1 Il realismo robusto e le sue sfide . . . 15

2.1.1 Il punto di vista realista . . . 16

2.1.2 Le sfide del realismo robusto . . . 23

2.2 L’argomento di indispensabilit`a epistemica . . . . 28

2.2.1 La forma dell’argomento e alcune assun-zioni preliminari . . . 28

2.2.2 Un programma quineano? . . . 32

3 l a s p i e g a z i o n e n o r m at i va 39 3.1 Il dibattito sulla moral explanation . . . 39

3.1.1 La sfida di Harman . . . 40

3.1.2 La spiegazione delle credenze . . . 43

3.1.3 Sturgeon vs Thomson: test controfattuale e epifenomenalit`a . . . 45

3.2 Enunciati normativi che spiegano fenomeni naturali 48 3.2.1 Il ruolo della spiegazione normativa . . . . 49

3.2.2 La spiegazione normativa `e indispensabile? 52 4 q ua s i-realismo? 57 4.1 Il non-cognitivismo e le sue ultime prospettive . . 57

4.1.1 L’intuizione non-cognitivista . . . 57

4.1.2 La tradizione non-cognitivista e la sua eredit`a 61 4.1.3 La svolta quasi-realista e l’espressivismo . 67 4.2 Il senso dell’oggettivit`a quasi-realista . . . 70

4.2.1 L’oggettivit`a recuperata . . . 70

4.2.2 Quasi-realismo e realismo . . . 73

4.3 L’obiezione quasi-realista . . . 77

4.3.1 La spiegazione attraverso i piani . . . 77

4.3.2 Hard road e easy road . . . 80

5 l’obiezione naturalista 85 5.1 Il naturalismo . . . 86

5.1.1 Il normativo che si appella al naturale . . . 86

5.1.2 L’identit`a del normativo con il naturale . . 89

5.2 La sopravvenienza delle propriet`a normative . . . 92

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8 Indice

5.2.1 L’intuizione di Hare . . . 93

5.2.2 La covarianza e i suoi limiti . . . 95

5.3 Rivincita dell’analisi? . . . 100

5.3.1 Dalla sopravvenienza all’analisi: l’argo-mento di Jackson . . . 100

5.3.2 Obiezioni . . . 103

5.3.3 Il descrittivo che fonda il normativo: un’in-terpretazione non riduttiva . . . 107

6 l’indispensabilit `a dei fatti normativi 113 6.1 Quale spiegazione? . . . 113

6.1.1 Il punto della situazione . . . 114

6.1.2 Il problema della rilevanza epistemica . . . 117

6.2 L’argomento di esclusione causale e risposte . . . 121

6.2.1 L’argomento . . . 122

6.2.2 Obiezioni . . . 124

6.3 Scenario complessivo e possibili problemi . . . 128

6.3.1 La realizzabilit`a multipla di N . . . 128

6.3.2 Problemi . . . 131

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1

I N T R O D U Z I O N E

Nel 1789, alla vigilia della Rivoluzione francese, nel regno di Francia i nobili grandi proprietari terrieri godevano ancora di diversi diritti feudali, a discapito dei contadini a loro carico e dei piccoli possidenti, costretti perci `o a vivere in miseria. Negli stati generali del regno, il ”terzo stato”, che includeva la maggioranza della popolazione, non era adeguatamente rappresentato, poich´e aveva un singolo voto come gli altri due ordini (la nobilt`a e il clero).

Per rappresentare, in un quadro complessivo, questo insieme di fattori che hanno portato allo scoppio della Rivoluzione, talvolta si dice che la societ`a francese era ingiusta, o quantomeno oppressiva, per la maggioranza della popolazione. Ammesso ci `o, ci apparir`a corretto affermare che la Rivoluzione francese scoppi `o perch´e la societ`a era ingiusta (o oppressiva).

’La rivoluzione `e scoppiata perch´e la societ`a era ingiusta’ `e un tipico esempio di spiegazione normativa, ossia un enunciato che, per spiegare l’accadere di un qualche fenomeno (lo scoppio della rivoluzione), menziona almeno un termine normativo (’ingiusta’ o ’oppressiva’). Spiegazioni analoghe ad essa possono essere: ’Milioni di persone sono morte a causa della crudelt`a di Hitler’, ’L’uditorio di una conferenza `e stato disturbato perch´e Donald `e stato maleducato’, ’La Concordia `e naufragata a causa del comportamento irresponsabile di Schettino’ oppure ’Molti avversari politici di Cesare rimasero in vita perch´e il dittatore fu clemente’.

Nella letteratura recente in metaetica, alcuni sostenitori del realismo normativo hanno cercato di sfruttare la validit`a intuitiva delle spiegazioni sopra menzionate per articolare un argomento filosofico generale a favore dell’esistenza di propriet`a irridu-cibilmente normative. L’argomento, ispirato all’argomento di indispensabilit`a nell’ambito della filosofia della matematica, af-ferma che almeno una propriet`a normativa N `e reale, in quanto il riferimento ad almeno un N sarebbe indispensabile alla mi-glior spiegazione di fenomeni come quelli citati in precedenza. In termini quineani, l’argomento di indispensabilit`a epistemi-ca (explanatory indispensability argument) sostiene che, poich´e la quantificazione su propriet`a normative `e ineliminabile nelle

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10 i n t r o d u z i o n e

spiegazioni normative, ci `o costituirebbe una prova a favore della loro realt`a.

Le pi `u accreditate obiezioni all’argomento di indispensabi-lit`a epistemica in ambito metaetico si possono suddividere in due grandi categorie, alle quali corrispondono due differenti strategie argomentative.

La prima strategia obietta al realista che il riferimento ad una propriet`a normativa reale non `e indispensabile nelle spiegazio-ni, perch´e i termini normativi come ’essere ingiusta’ o ’essere oppressiva’ non si riferirebbero ad alcuna propriet`a. Secondo tale obiezione, dal punto di vista dell’uso linguistico, i termini sarebbero indispensabili, ma ci `o non comporterebbe alcun rife-rimento fattuale e quindi nessun impegno ontologico su ci `o che esiste.

La seconda strategia tipicamente usata per rispondere all’ar-gomento di indispensabilit`a consiste nell’obiettare che i termini normativi impiegati nelle spiegazioni non siano irriducibilmente normativi. Secondo tale obiezione, ’l’essere ingiusta’ o ’l’essere oppressiva’ sarebbero sostituibili, senza alcuna perdita di verit`a e validit`a della spiegazione, con quei termini descrittivi che de-finirebbero l’essere ingiusta o oppressiva di una societ`a. Pertanto, secondo quest’ipotesi, il riferimento ad una propriet`a irriduci-bilmente normativa reale non sarebbe affatto indispensabile alla miglior spiegazione di certi fenomeni.

La presente ricerca intende difendere l’argomento di indispen-sabilit`a dalle principali obiezioni mossegli, classificabili appunto nelle due strategie che ho appena esposto. La mia ricerca, quin-di, assumer`a – sostenendone la plausibilit`a – una posizione realista antiriduzionista (realismo robusto) sulla questione del significato e dell’ontologia degli enunciati normativi.

Dalla mia disamina, emerger`a che il primo tipo di obiezio-ne, per la sua formulazioobiezio-ne, presuppone una concezione non-cognitivista del linguaggio normativo. Si osserver`a che gli ultimi sviluppi quasi-realisti del non-cognitivismo (Gibbard, 2003; Blac-kburn, 1993a) hanno abbandonato un atteggiamento metafisico eliminativista, in favore di una posizione vicina al riduzionismo. Quest’ultima mossa, a mio modo di vedere, ha portato l’obiezio-ne non-cognitivista a convergere l’obiezio-nel secondo tipo di obieziol’obiezio-ne all’argomento di indispensabilit`a. Detto in altri termini: se il contenuto di ogni termine normativo pu `o essere ridotto in ter-mini descrittivi, allora il non-cognitivista si trova nella stessa posizione di colui che sostiene la sostituibilit`a dei termini nor-mativi in descrittivi, senza perdita di verit`a. A dire il vero,

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si vedr`a che `e proprio il contesto della spiegazione normativa a rendere necessaria un’operazione di riduzione da parte del non-cognitivista: se l’enunciato normativo che spiega non va inteso in senso ”realistico”, qual `e il contenuto reale della spie-gazione? Si vedr`a che, a questo punto, il non-cognitivista sar`a costretto a parafrasare il linguaggio normativo in descrittivo e ci `o consister`a in una riduzione a tutti gli effetti.

Come si pu `o intuire, il secondo tipo di obiezione `e general-mente sostenuta da una posizione metaetica vicina al cosiddetto naturalismo, inteso in questa sede come sinonimo di riduzioni-smo. Questo tipo di obiezione all’argomento di indispensabilit`a pu `o essere sviluppata secondo due forme diverse di naturali-smo: secondo un naturalismo analitico, che ritiene che ciascuna propriet`a normativa N `e sostituibile con una propriet`a descrit-tiva D, in ogni contesto, senza alcuna perdita di verit`a; oppure secondo un naturalismo pi `u debole (naturalismo epistemico), che sostiene che specificamente ciascuna spiegazione normativa pu `o essere sostituita da una spiegazione descrittiva, senza alcuna perdita di validit`a.

Nel corso della mia ricerca, ho cercato di dare delle risposte soddisfacenti ad entrambi i tipi di naturalismo. Per quanto ri-guarda il naturalismo analitico, ho cercato di mostrare che esso trascura importanti aspetti sulla fenomenologia delle discus-sioni normative (in particolare il cosiddetto because constraint). L’argomento di Jackson (Jackson, 1998), a favore del naturalismo analitico, fallisce perch´e la coestensione di una propriet`a norma-tiva con una propriet`a descritnorma-tiva non `e un criterio sufficiente per la loro identit`a.

Per quanto riguarda il naturalismo epistemico, invece, ho cercato di mostrare che, in certi contesti riguardanti l’azione umana, la spiegazione normativa non pu `o essere sostituita da una descrittiva corrispettiva, perch´e la prima risulta essere pi `u rilevante rispetto a quest’ultima. A tal proposito, ho ritenu-to pertinente avvalermi delle obiezioni di Yablo (Yablo, 1992b) all’argomento di esclusione causale di Kim (Kim, 1998), nel-l’ambito del dibattito sulla mental causation. Per queste ragioni, dunque, l’obiezione complessiva naturalista all’argomento di indispensabilit`a non risulta valida.

La mia posizione finale risulter`a ”nello spirito” vicina al co-siddetto Cornell realism (Sturgeon, 1985; Brink, 1989; Boyd, 1988): per un qualche fenomeno, sono compatibili due tipi di spiegazio-ni, una pi `u generale che fa riferimento a propriet`a normative ed una pi `u specifica che fa riferimento a propriet`a descrittive.

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Que-12 i n t r o d u z i o n e

st’ultima non esclude la prima, bens`ı la integra, garantendole un solido fondamento naturale.

Tuttavia, ”nella lettera” la mia posizione `e distinta dal Cornell realism, in quanto ritengo che, in certi contesti, la spiegazione normativa `e migliore rispetto a quella naturale pi `u fondamentale. Come si potr`a osservare, talvolta il grado di specificit`a del fenomeno da spiegare richiede una spiegazione normativa che racchiuda un vasto campo di possibili realizzazioni naturali; in tali casi la spiegazione normativa `e preferibile e perci `o il riferimento ad una propriet`a normativa `e indispensabile.

La posizione che intendo argomentare in questa sede `e favo-revole ad una forma di naturalismo, nella misura in cui accetta che, per ogni propriet`a normativa N, esiste un insieme di pro-priet`a descrittive, coestensive ad N, che costituiscono la sua base naturale. Inoltre, la mia posizione `e naturalista nel senso quineano del termine, perch´e ammette come esistenti esclusi-vamente quelle entit`a il cui riferimento `e indispensabile alle migliori spiegazioni scientifiche del mondo (nel nostro caso specifico, delle scienze storico-sociali). La mia posizione non `e, invece, naturalista in senso stretto, nella misura in cui non so-stiene che ciascuna propriet`a normativa N `e riducibile (identica) alla sua base naturale. Per quest’ultimo motivo, la mia posi-zione si pu `o legittimamente considerare una forma di realismo antiriduzionista (o realismo robusto).

Nel panorama metaetico contemporaneo il realismo robusto (Enoch, 2011) deve difendersi principalmente da tre posizioni: il non-cognitivismo quasi-realista, che eredita la tradizione emo-tivista e prescritemo-tivista, raccogliendone le sfide semantiche pi `u importanti, il naturalismo analitico, che `e ritornato sulla scena con Jackson, e il costruttivismo, il quale non ha ancora uno statuto chiaro in metaetica, ma che si presenta – in particolar modo nel kantismo di Korsgaard (Korsgaard, 1996) – come valida al-ternativa al dualismo tra realismo e antirealismo. Alla luce di tale contesto, personalmente ritengo che l’argomento di indi-spensabilit`a epistemica possa rappresentare una sfida degna di nota verso queste tre posizioni avverse al realismo robusto. Vale come argomento a favore dell’irriducibilit`a dei fatti normativi (contro il naturalismo); e, allo stesso tempo, ha l’ambizione di essere una prova a favore dell’esistenza (in senso forte) di fatti normativi indipendenti dalla volont`a e dal giudizio degli agenti (contro il non-cognitivismo e il costruttivismo).

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Il capitolo 2 (L’argomento di indispensabilit`a: una presentazio-ne) contiene un’esposizione delle principali tesi della posizione assunta nella ricerca – il realismo robusto – nonch´e delle sue principali sfide nel dibattito metaetico contemporaneo. Inoltre, l’argomento di indispensabilit`a epistemica sar`a presentato nella sua forma generale e saranno discusse alcune assunzioni me-todologiche preliminari, che non riguardano specificamente la questione della spiegazione normativa.

Lo scopo del terzo capitolo (La spiegazione normativa) `e quello di raggiungere una nozione condivisa di spiegazione normativa, discutendo alcuni degli esempi paradigmatici. Sar`a ripercor-sa brevemente anche la storia del dibattito sulla spiegazione normativa, a partire dall’originale sfida scettica di Harman (Har-man, 1977), il quale ha avuto il merito di portare l’attenzione sul potere esplicativo dei termini normativi.

Nel quarto capitolo (Quasi-realismo?) sar`a analizzata la posi-zione non-cognitivista, nelle sue tesi generali e, nella fattispecie, nei confronti dell’argomento di indispensabilit`a. A tal proposito, ho deciso di prendere la teoria di Gibbard come paradigmati-ca. L’operazione filosofica di Gibbard `e interessante, in quanto parte dalle intuizioni non-cognitiviste tradizionali – emotiviste e prescrittiviste – ma cerca di svilupparle in modo che il suo apparato teorico ricalchi tutte le pretese realiste del linguaggio normativo; perci `o si parla di quasi-realismo.

Nel quinto capitolo (L’obiezione naturalista) saranno discusse le obiezioni all’irriducibilit`a dei fatti normativi, da parte del naturalismo; in particolar modo del naturalismo analitico, se-condo il quale ogni concetto normativo `e definibile attraverso concetti puramente descrittivi. Al fine di confutare tale punto di vista, saranno necessarie alcune considerazioni generali sul rapporto – sopravveniente – tra i fatti normativi e la loro base naturale, e sar`a necessario trovare delle risposte soddisfacenti all’argomento di Jackson.

Infine, il sesto capitolo (L’indispensabilit`a dei fatti normativi) contiene la discussione delle obiezioni principali all’indispen-sabilit`a della spiegazione normativa. Si cercher`a di rifiutare il naturalismo epistemico, il quale sostiene che l’esistenza di una base naturale per ciascuna propriet`a normativa `e sufficiente ad escludere l’indispensabilit`a della spiegazione normativa. Al con-trario, si sosterr`a che, in certi contesti, la spiegazione normativa

`e indispensabile in quanto a rilevanza epistemica. Per dimostra-re ci `o, sar`a necessario controbattedimostra-re l’argomento di esclusione causale di Kim.

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2

L’ A R G O M E N T O D I I N D I S P E N S A B I L I T `A : U N A P R E S E N TA Z I O N E

All’interno del linguaggio ordinario, vi `e un certo tipo di enun-ciati che valutano o prescrivono una qualche condotta da per-seguire in un determinato ambito (morale, politico, tecnico, estetico ecc.). Definiremo tali enunciati normativi. Si parla di enunciati e non di proposizioni perch´e il loro statuto proposiziona-le `e discusso. L’ambito filosofico di discussione sulla semantica, l’epistemologia e la metafisica degli enunciati normativi `e la me-taetica. Il punto di vista metaetico che si intende assumere nella presente ricerca `e realista sugli enunciati normativi: assegna uno statuto oggettivo ai giudizi normativi, sostiene che essi abbiano una pretesa di verit`a e che tale verit`a `e confermabile attraverso determinati fatti del mondo. La chiarificazione della posizione realista che si intende adottare sar`a oggetto della prima sezione di questo capitolo (2.1).

Tra le argomentazioni impiegate a favore del realismo nor-mativo, in tempi recenti, gode di un certo credito il cosiddetto argomento di indispensabilit`a epistemica (explanatory indispensa-bility argument), ispirato all’argomento di indispensabilit`a nella filosofia della matematica. Esso ha la pretesa di mostrare l’in-dispensabilit`a degli enunciati normativi per la spiegazione di almeno un fenomeno (non-normativo) del mondo; e afferma che ci `o comporterebbe un punto a favore della loro oggettivit`a. Nella seconda sezione di questo capitolo (2.2) sar`a enunciata la forma logica dell’argomento di indispensabilit`a e saranno di-scusse alcune assunzioni metodologiche preliminari, necessarie affinch´e l’argomento funzioni.

2.1 i l r e a l i s m o r o b u s t o e l e s u e s f i d e

Il punto di vista adottato in questa sede `e il realismo antiridu-zionista (o realismo robusto): `e una posizione cognitivista sugli enunciati normativi, `e realista sui fatti normativi e rifiuta la tesi secondo cui questi fatti siano riducibili a fatti ordinari (naturali). Il realismo robusto deve affrontare alcune sfide filosofiche: quel-le che ho individuato in questa sede riguardano la stranezza dei fatti normativi, la loro indispensabilit`a e la loro irriducibilit`a.

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16 l’argomento di indispensabilit `a: una presentazione

2.1.1 Il punto di vista realista

Per realismo normativo si intende una tesi – o pi `u precisamente un insieme di tesi – di metafisica sullo statuto e la natura degli enunciati normativi, come ad esempio: ’Torturare le persone `e ingiusto’, ’Si devono mantenere le promesse’, ’Hitler era una persona crudele’, ’San Francesco era un uomo buono’, ’L’Italia deve uscire dall’Euro’. Intuitivamente, la posizione realista `e quella che assegna uno statuto oggettivo a questo tipo di enun-ciati; sostiene che vi sono certe verit`a normative, che certi fatti del mondo le confermano e che tali verit`a forniscano un qualche tipo di conoscenza.

Ci `o che ha per oggetto il realismo normativo, dunque sono gli enunciati normativi. Per enunciato normativo si intende un qualsiasi enunciato che contiene almeno una componente di linguaggio normativo (o valutativo, se mi si permetter`a di usare i due termini come sinonimi), sia esso sottile (thin) o spesso (thick)1

. Gli enunciati normativi riguardano l’azione umana: pre-scrivono una determinata condotta da compiere, relativamente ad un certo contesto. In altre parole, gli enunciati normativi, a differenza di enunciati genuinamente descrittivi, rispondono – direttamente o indirettamente, totalmente o parzialmente – alla domanda ’Che fare?’

Si prendano, ad esempio, i seguenti scenari:

Marta: io penso che la pena di morte sia ingiusta, perch´e nessuno, neanche il peggior criminale, merita di morire. Chiunque deve avere il diritto di rifarsi una vita.

Gianni: non sono d’accordo! Un uomo che tortura e uccide dei bambini non merita di morire? Queste persone non saranno mai capaci di rifarsi una vita e lo stato non deve aiutarli.

Gianni: nonostante le numerose difficolt`a econo-miche che ci ha causato la moneta unica, io credo che l’Italia non debba uscire dall’eurozona; ci `o avrebbe conseguenze catastrofiche.

1 I termini sottili – come ’buono’, ’brutto’, ’giusto’, ’bello’ ecc. – si usano per esprimere una valutazione pura dell’oggetto in questione; al contrario, i termini spessi (’crudele’, ’generoso’, ’grazioso’, ’egoista’ ecc.) contengono, oltre alla valutazione, anche qualche indicazione descrittiva dell’oggetto giudicato.

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Marta: le presunte conseguenze nefaste dell’usci-ta dall’Euro sono solo un ricatto dei potenti; l’Idell’usci-talia per riprendersi dalla crisi deve riacquisire la sua sovranit`a monetaria.

Marta: secondo me Pino ha fatto bene a lasciare il suo lavoro: era sfruttato, lavorava ininterrottamente per pochi spiccioli all’ora.

Gianni: secondo me invece ha fatto un errore, perch´e di questi tempi un lavoro bisogna tenerselo stretto, anche se costa parecchi sacrifici.

Questi tre esempi consistono in tre discussioni normative: Gianni e Marta sono in disaccordo su come sia corretto agire in un determinato contesto, su quale sia la scelta giusta da compiere. Per esprimere la propria posizione a riguardo, fanno infatti uso di enunciati normativi: ’La pena di morte `e ingiusta’, ’L’Italia deve uscire dall’Eurozona’, ’Pino doveva lasciare il lavoro’.

Il realismo in ambito normativo sostiene che nelle tre discus-sioni citate una delle due posizioni in gioco sia corretta e l’altra no: uno tra Marta e Gianni dice il vero, l’altro il falso. Marta e Gianni, secondo la prospettiva realista, possono portare a so-stegno delle loro tesi una serie di prove e giustificazioni che verificano i loro enunciati. Da ci `o segue un’importante conse-guenza: per il realismo, ogni dissenso in ambito normativo `e – almeno in linea di principio – sempre risolvibile. Supponiamo che sulle questioni citate Gianni dica il vero e Marta il falso: se Gianni riuscir`a ad argomentare correttamente la propria posi-zione, condividendo tutte le informazioni rilevanti e facendo vedere la realt`a delle cose secondo la sua corretta prospettiva, Marta dovr`a per forza di cose concordare; un suo ulteriore dissenso pu `o essere considerato al pari di un mero capriccio.

Affinch´e gli enunciati normativi possano essere veri o fal-si, essi devono dire qualcosa intorno al mondo, ossia devono essere assertori, cos`ı come lo sono gli enunciati descrittivi stan-dard come ’La neve `e bianca’, ’Il cielo `e azzurro’, ’Il tavolo ha quattro gambe’. Il realista normativo sostiene che dal punto di vista dell’assertoriet`a gli enunciati normativi sono perfettamente analoghi a quest’ultimo tipo di enunciati. Egli ritiene che le que-stioni tirate in ballo da Marta e Gianni siano queque-stioni di fatto, pi `u simili alle discussioni su quale sia la capitale della Costa Rica o su quale sia stato il risultato dell’ultima finale di Champions, che alle discussioni riguardanti gusti e desideri personali (se sia

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18 l’argomento di indispensabilit `a: una presentazione

meglio mettere la musica di sottofondo a cena, se sia meglio il gelato al pistacchio o alla fragola).

Questo tipo di concezione degli enunciati normativi si defini-sce cognitivismo e consiste nella tesi (a) secondo cui gli enunciati normativi hanno un valore di verit`a. Si tratta di un primo livello minimale di realismo che consiste nell’equiparare, da un punto di vista semantico, gli enunciati normativi a quelli descritti-vi: entrambi descrivono certi stati di cose, entrambi sono dei portatori di verit`a (truthbearers).

In quale senso le discussioni normative sono ”questioni di fatto”? In quale senso dicono ”qualcosa intorno al mondo”? Che cosa dicono? Affinch´e gli enunciati normativi siano dei truthbearers, ci devono essere dei truthmakers che confermano o non confermano la loro verit`a. La spiegazione realista di ci `o `e la pi `u semplice e lineare possibile: se una proposizione `e vera se, e solo se, corrisponde ad un certo stato di cose, allora l’enunciato normativo esprime una proposizione vera se, e solo se, ci `o che dice corrisponde ad un certo stato di cose. Ad esempio, l’enunciato ’La pena di morte `e giusta’ `e vero se, e solo se, la pena di morte `e ingiusta; il che vuol dire che l’enunciato `e verificato se c’`e un fatto (la pena di morte) in cui `e istanziata la propriet`a dell’essere una cosa giusta da fare. Quindi, in ultima analisi, il realismo spiega il suo cognitivismo attraverso la tesi (b): esistono certi fatti normativi.

Per fatti normativi si intendono stati di cose o eventi del mon-do, nei quali sono istanziate delle propriet`a valutative. Il realista sostiene perci `o che, ad esempio, se la pena di morte `e l’azione giusta da fare, il suo essere la cosa giusta da fare `e una propriet`a che risiede in ogni azione particolare che esemplifica la pena di morte. La tesi appena enunciata pu `o essere, a dire il vero, scom-posta in due parti. Innanzitutto presuppone (1) che i predicati valutativi (’buono’, ’bello’, ’crudele’ ecc.) denotino delle pro-priet`a; poi occorre che (2) le propriet`a normative siano istanziate in almeno un fatto del mondo. Per quanto possa apparire sottile, tale distinzione permette di discriminare posizioni differenti. Ad esempio, tra gli antirealisti che non accettano (b), l’error theo-ry – che sostiene che nel mondo non vi siano alcune propriet`a normative, sebbene i nostri giudizi lo pretendano – sembrerebbe accettare (1) ma rifiutare (2); invece, il non-cognitivismo, come vedremo, sembrerebbe rifiutare anche il punto (1).

I fatti normativi, nonostante la loro apparente stranezza, non sono necessariamente qualcosa di ideale o sovrannaturale: la loro origine, nonch´e la loro natura, pertiene alla teoria

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norma-tiva che ha il compito di spiegarli; se uno `e relativista in etica sosterr`a che i fatti normativi (le cose giuste o sbagliate) derivano dai rispettivi contesti storico-culturali, se uno ha una morale cristiana sosterr`a che derivano da un comando divino, se uno `e utilitarista sosterr`a che i fatti giusti consistono in ci `o che massi-mizza il piacere. Lo scopo del realismo non `e dimostrare che vi sia una qualche ”verit`a eterna” o ideale su cosa sia giusto o in-giusto fare, ma `e quello di comprendere il senso delle posizioni che dicono cosa sia giusto fare, attribuendo loro una consistente pretesa oggettiva. Il realismo normativo `e una tesi esistenziale: afferma che ci sono certi fatti normativi, ma non prende posizio-ne circa la loro natura o la loro origiposizio-ne. Il realismo normativo `e una tesi di second’ordine rispetto alla distinzione di Mackie (1977) tra giudizi etici di primo e secondo ordine: ha come oggetto la normativit`a e non parteggia per nessuna posizione normativa vera e propria. Il relativismo, il cristianesimo e l’utilitarsimo sono teorie normative di primo ordine; il realismo ha il compito di spiegare su cosa si fondano in ultima analisi le loro pretese e su cosa verte il loro dissenso. In particolare, il realista sostiene che esse siano vere e proprie teorie, che riguardano la realt`a dei fatti e non dei gusti o delle inclinazioni soggettive.

Secondo il realismo, quindi, lo scopo di tutte quelle discipline che riguardano una certa condotta da compiere (l’etica, la poli-tica e l’economia normative, ad esempio) `e fare teorie, le quali esplorano la realt`a dei fatti, una realt`a variegata che comprende fatti ordinari (naturali) ma anche fatti normativi. In tal senso – sostiene il realismo – le teorie normative hanno un valore og-gettivo. Tuttavia, per rafforzare il senso per cui tali teorie sono oggettive, nonch´e per escludere che la loro oggettivit`a sia un oggettivit`a ”fittizia”, il realista deve accettare un’ulteriore tesi riguardante i fatti normativi: (c) i fatti normativi sono indipendenti dalla prospettiva degli osservatori e degli agenti. Tale tesi esclude che i fatti normativi siano un mero prodotto delle teorie normative, un qualcosa di costruito ad hoc per dare senso ai nostri giudizi. Per il realismo, le teorie normative non fanno altro che scoprire qualcosa che gi`a c’`e, indipendentemente dalla volont`a e dalla conoscenza degli agenti.

Occorre fare alcune precisazioni circa il tipo di indipendenza a cui intendo riferirmi. Ovviamente, senza alcun agente non vi sarebbero azioni e, senza azioni, non vi sarebbe alcun fatto giusto o ingiusto, in quanto le propriet`a normative riguardano la condotta. Ma non `e questo il tipo di indipendenza che si intende. L’indipendenza riguarda piuttosto la realt`a delle

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pro-20 l’argomento di indispensabilit `a: una presentazione

priet`a normative rispetto alle procedure giudicanti degli agenti, siano esse razionali, universalmente riconoscibili o soggettive. Nella letteratura sul realismo normativo, talvolta si trova la tesi dell’indipendenza esposta come mind-independence, ossia l’indi-pendenza dei fatti normativi dalla mente umana. Personalmente, ritengo il concetto di mind-independence fin troppo oscuro e spi-noso per poter essere utilizzato innocentemente. Brink (1989), invece, sostiene che i fatti normativi debbano essere indipen-denti dall’evidenza che abbiamo per essi. Non adotter `o un tale tesi semplicemente per rimanere neutro circa l’epistemologia dei fatti normativi.

L’indipendenza dei fatti normativi `e una tesi forte: sostiene che certi azioni, ad esempio certe azioni crudeli, sarebbero co-munque tali senza che vi sia alcun agente in grado di giudicare quelle azioni. Poich´e certi valori esistono indipendentemente dagli agenti, certe azioni sono crudeli, ingiuste, buone ecc. La tesi sull’indipendenza, perci `o non `e banale da sostenere in am-bito metafisico; tuttavia, allo stesso tempo consente di spiegare alcune distinzioni sottili sull’esperienza del giudizio normativo.

Ad esempio, supponiamo che osservi un senzatetto, in uno stato di forte miseria, che trova per terra un portafogli che `e caduto per sbaglio al proprietario; il senzatetto, che non mangia da due giorni, prende i soldi contenuti nel portafogli e si reca a comprare qualcosa da mangiare. Supponiamo che io, compren-dendo la sua situazione, affermi: ’Io al posto suo avrei fatto la stessa cosa, ma non `e stata la cosa giusta da fare, il senzatetto doveva portare il portafogli pieno all’ufficio degli oggetti smar-riti’; c’`e sicuramente un senso in cui la mia affermazione non sarebbe contraddittoria. Supponiamo, invece, che io affermi: ’Qualunque essere umano, nella sua condizione, avrebbe fatto la stessa cosa, ma non `e stata la cosa giusta da fare’; anche qui, c’`e un senso in cui la mia affermazione non `e contraddittoria. Infine, supponiamo che io dica: ’Qualunque essere umano, nella sua condizione, avrebbe dovuto fare la stessa cosa, ma non era la cosa giusta da fare’; in questo caso la questione `e indubbia-mente pi `u controversa, tuttavia io sostengo che anche in questo caso c’`e un qualche senso in cui l’affermazione non sarebbe con-tradditoria: il primo `e un giudizio normativo (’avrebbe dovuto fare la stessa cosa’) relativo agli scopi e alla prospettiva degli esseri umani (ad esempio, la sopravvivenza, la riproduzione della specie ecc.), il secondo `e un giudizio normativo con la ’n’ maiuscola che dice qual era la cosa giusta da compiere in quel caso, indipendentemente da qualsiasi prospettiva (dalla mia,

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da quella del senzatetto, da quella dell’umanit`a in generale). Dal mio punto di vista, un agente pu `o accettare il primo ed il secondo giudizio, allo stesso tempo, senza necessariamente contraddirsi; se l’agente ha una teoria etica secondo cui le azioni giuste sono quelle che perseguono l’interesse dell’umanit`a, i due tipi di giudizi andranno a coincidere (e a quel punto la contraddizione sar`a inevitabile), per `o tale coincidenza `e una presa di posizione normativa che deve essere giustificata dalla teoria.

Il realismo normativo, con la tesi sull’indipendenza dei fatti normativi, spiega in modo lineare questo tipo di distinzioni: quando affermo cosa farei/cosa dovrei fare nei panni di un agente o di un insieme di agenti mi sto riferendo a dei fatti dipendenti dalla loro prospettiva, quando affermo cosa `e giusto fare (in senso assoluto) mi sto riferendo a dei fatti normativi che esistono indipendentemente da qualsiasi prospettiva. Si noti che anche questa tesi `e indipendente da qualsiasi tesi di primo ordine: se ad esempio uno ha una concezione normativa egoistica secondo cui cosa `e giusto fare dipende dagli interessi del singolo, la sua posizione non preclude affatto una posizione di secondo ordine realista; il realista afferma che, se quello che sostiene l’egoista `e vero, allora `e indipendente dalla prospet-tiva e dal giudizio degli agenti che ci `o che devono perseguire dipende dal loro interesse (anche se questo `e in un certo senso prospettico). Il realismo `e una tesi che spiega il significato di cosa `e giusto o sbagliato, l’egoismo `e una tesi che spiega ci `o che

`e giusto o sbagliato.

L’ultima presa di posizione che un realista pu `o assumere per rafforzare o rendere pi `u flessibile la propria teoria riguarda l’irriducibilit`a dei fatti normativi. Un realista che ha una conce-zione non-riduzionista dei fatti normativi sosterr`a, infatti, (d): i fatti normativi sono irriducibili ad altri fatti non-normativi.

`E discusso quale sia il significato di ’riduzione’, ne parleremo meglio nei prossimi capitoli. In ogni caso, per adesso ci basti dire che il realista riduzionista non ritiene che i fatti normativi siano un tipo speciale di fatti, poich´e essi sono in qualche modo riconducibili a dei fatti non-normativi (naturali). Il riduzionista, infatti, sostiene che gli ipotetici fatti normativi non sono altro che fatti ordinari e che le teorie normative hanno lo scopo di ridurre le propriet`a normative a propriet`a naturali. Il realista antiri-duzionista, al contrario, sosterr`a che, per quanto le propriet`a normative debbano essere spiegabili e realizzabili in propriet`a naturali, le due tipologie di propriet`a non coincidono.

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Suppo-22 l’argomento di indispensabilit `a: una presentazione

niamo che Gianni e Marta alla fine di una lunga discussione convengano sul fatto che la pena di morte `e ingiusta; tuttavia, Gianni – che `e un consequenzialista – pensa sia ingiusta perch´e non porta benefici alla societ`a, Marta, che invece `e una deon-tologista, ritiene sia ingiusta perch´e per principio `e sbagliato uccidere deliberatamente. Per il riduzionista, Marta e Gianni, pur convergendo nel giudizio normativo (’La pena di morte `e ingiusta’), si riferiscono a due cose distinte (gli scarsi benefici della pena di morte, la violazione di un principio universale); per l’antiriduzionista, Marta e Gianni si riferiscono alla stessa cosa (il fatto che la pena di morte `e ingiusta), pur dando spiega-zioni diverse. Si prenda, inoltre, un altro esempio: supponiamo che sia nel mio interesse comprare una certa casa; supponiamo io condivida una teoria normativa egoistica, secondo la quale ognuno deve agire nel proprio interesse: di conseguenza, com-prare quella casa per me sar`a la cosa giusta da fare, in un senso pi `u oggettivo. Il riduzionista sosterr`a che i giudizi ’Comprare quella casa `e nel mio interesse’ e ’Io devo comprare quella casa’ dicano la medesima cosa, mentre l’antiriduzionista sosterr`a che dicano due cose diverse: il primo si riferisce ad una propriet`a naturale, il secondo ad una propriet`a normativa.

Riassumendo, possiamo quindi ridurre a quattro livelli le tesi sul realismo normativo:

(a) cognitivismo: gli enunciati normativi hanno un valore di verit`a;

(b) esistenza: esistono alcuni fatti normativi;

(c) indipendenza: i fatti normativi sono indipendenti dalla prospettiva degli osservatori e degli agenti;

(d) antiriduzionismo: i fatti normativi sono irriducibili ad altri fatti non-normativi.

Il punto di vista che intendo adottare nella presente ricerca accet-ta tutte le tesi esposte in quesaccet-ta sezione: `e cognitivisaccet-ta rispetto alla semantica degli enunciati normativi, afferma l’esistenza dei fatti normativi, ne sostiene l’indipendenza ed `e antiriduzionista rispetto ai fatti non-normativi. Definir `o tale posizione realismo robusto, riprendendo il termine da Enoch (2011).

Oltre in Enoch (2011), altre concezioni degne di nota di rea-lismo normativo antiriduzionista si trovano esposte in Shafer-Landau (2003), Oddie (2005) e Wedgwood (2007). Degli aspetti interessanti si trovano anche nel cosiddetto Cornell realism2

, an-2 Boyd (1988), Brink (1989).

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che se i suoi esponenti non sono cos`ı esplicitamente antiriduzio-nisti come quelli precedentemente menzionati.

2.1.2 Le sfide del realismo robusto

Come giustifica la propria posizione un realista robusto? Come deve difendersi dalle principali critiche che gli vengono rivolte? In questa sezione esporr `o quelle che ritengo siano le principali sfide che il realismo robusto deve affrontare.

L’aspetto minimale del realismo, ossia il cognitivismo, in ge-nere viene giustificato facendo ricorso alla fenomenologia dell’e-sperienza del giudizio normativo. Detto in altri termini, certe procedure, attraverso le quali nell’esperienza quotidiana for-muliamo giudizi normativi, sembrerebbero presupporre una concezione cognitivista degli enunciati. Negli esempi preceden-ti, Gianni, quando afferma che l’Italia non deve uscire dall’Euro, `e convinto di dire qualcosa di vero, `e pronto a portare certe ragioni a sostegno della propria tesi e tali ragioni, per Gianni, riguardano la realt`a delle cose. Marta, al contrario, `e convinta che l’Italia debba uscire dall’Euro e che Gianni dica il falso, perch´e le cose non stanno nel modo in cui sostiene Gianni. Gli enunciati normativi, come quelli di Gianni e Marta, sembrano possedere tutte le sembianze di credenze standard: hanno la pretesa di asserire qualcosa, hanno la pretesa di essere vere o false e la loro verit`a sembra richiedere certi fatti del mondo che la confermano. Come afferma Brink:

Moral judgments are typically expressed in language employing the declarative mood; we engage in moral argument and deliberation; we regard people as capable both of making moral mistakes and of correcting their moral views; we often feel constrained by what we take to be moral requirements that are in some sense imposed from without and indepedent of us. (Brink, 1989) (Pag. 24).

Effettivamente, da un punto vista linguistico, gli enunciati normativi hanno una forma dichiarativa, allo stesso modo degli enunciati descrittivi. Le nostre deliberazioni, riguardo ad una qualche condotta da perseguire, sembrerebbero richiedere che vi siano delle verit`a normative che in qualche modo cerchiamo di raggiungere; o perlomeno degli standard di correttezza ai quali cerchiamo di adeguarci. Se il dissenso tra Gianni e Marta fosse fondato su un loro differente desiderio, e non su come stanno le

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24 l’argomento di indispensabilit `a: una presentazione

cose, la loro discussione perderebbe di senso e probabilmente si arresterebbe dopo poco tempo. Da questo punto di vista, il cognitivismo sembrerebbe essere una ”naturale” spiegazione del funzionamento dei giudizi normativi. Il realismo, sin dalla sua intuizione di partenza, `e una posizione che prende sul serio le questioni normative, conferendo loro un fondamento oggettivo e fattuale.

Il non-cognitivismo `e l’etichetta che racchiude una famiglia di posizioni metanormative che negano la tesi (a), ossia che gli enunciati normativi abbiano un valore di verit`a. Il punto contestato dai non-cognitivisti non riguarda tanto di per s´e il fatto che gli enunciati normativi possano essere veri o falsi3

, quanto l’assertoriet`a del linguaggio normativo. Per un’analisi non-cognitvista un giudizio normativo non asserisce, ma esprime desideri, o comanda. Il non-cognitivismo ha un’intuizione radi-calmente opposta al realismo sulla normativit`a: sostiene che le questioni normative siano pi `u vicine alle questioni riguardanti i gusti e i desideri soggettivi dei parlanti, piuttosto che alle questioni fattuali. Per un non-cognitivista, due agenti possono concordare sui propri desideri, su come agire in certe situazioni, ma ci `o non implica necessariamente la condivisione di qualche verit`a o il raggiungimento di una conoscenza comune. `E possibi-le perci `o che, in un’ipotetica situazione, due agenti condividano le stesse informazioni rilevanti, vedano la realt`a allo stesso mo-do, ma possono entrambi dissentire coerentemente su cosa sia giusto o sbagliato fare.

Le posizioni classificabili come non-cognitiviste, quindi, han-no un’intuizione di partenza sulla han-normativit`a che definirei soggettivista; non nel senso che il significato di un enunciato normativa oscilla di soggetto in soggetto, ma nel senso che gli enunciati normativa riguardano, in ultima analisi, la volont`a e i desideri dei soggetti. Per questa ragione, il non-cognitivismo si trova a dover spiegare, in modo non immediato, le pretese oggettive delle questioni normative come quelle tirate in ballo da Marta e Gianni. Il realista, che `e cognitivista sugli enunciati normativi, parte dunque avvantaggiato nella propria teoria sulla normativit`a.

L’argomentazione esposta in precedenza – che abbiamo defi-nito fenomenologica – non porta un punto a favore necessaria-mente al realismo, ma pi `u in generale al cognitivismo. Il realista 3 La maggior parte delle teorie non-cognitiviste assegnano comunque un valore logico, anche se diverso dalla verit`a, attraverso semantiche non vero-funzionali.

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deve fare un passo successivo e dimostrare che la verit`a di alcuni enunciati normativi comporta un certo impegno ontologico circa l’esistenza di fatti normativi.

All’interno del dibattito sullo statuto dei giudizi normativi, vi sono infatti delle posizioni che, pur accettando la tesi cognitivi-sta, negano l’esistenza di fatti normativi veri e propri (b), oppure la loro indipendenza rispetto alla prospettiva degli agenti (c). Mi riferisco a delle forme di realismo procedurale4

, che accettano che vi siano risposte normative corrette in base a delle procedure di giustificazione corrette, ma che queste non richiedano l’esisten-za di entit`a intrinsecamente normative; oppure a delle forme di costruttivismo, secondo le quali le verit`a normative sono il prodotto di un processo idealizzato di deliberazione razionale5

. Secondo questo tipo di ipotesi, il realismo sui fatti normativi non `e affatto una necessaria conseguenza del cognitivismo sugli enunciati normativi. Una prima sfida che il realismo deve raccogliere consiste nel mostrare l’indispensabilit`a del riferimento a dei fatti normativi indipendenti, una volta accettata la tesi del cognitivismo sull’assertoriet`a degli enunciati normativi. In altre parole, il realista deve dimostrare che l’esistenza di certi fatti normativi `e l’unica strada possibile – o perlomeno la strada pi `u sicura – per salvaguardare la verofunzionalit`a del linguaggio normativo.

L’indispensabilit`a dei fatti normativi non `e ovviamente l’unica sfida per il realismo normativo. C’`e chi sostiene che ammessa l’esistenza dei fatti normativi, ammessa anche la loro indispen-sabilit`a, questo tipo di fatti sarebbero troppo strani e bizzarri per poter essere collocati nell’armamentario del mondo. Come afferma John Mackie, a proposito del celebre argomento della stranezza (queerness):

If there were objective values, then they would be enti-ties or qualienti-ties or relations of a very strange sort, utterly different from anything else in the universe. Correspon-dingly, if we were aware of them, it would have to be by some special faculty of moral perceptions or intui-tion, utterly different from our ordinary ways of knowing everything else. (Mackie, 1977) (Pag. 38).

Al di l`a delle varie interpretazioni che `e possibile dare alla sua critica, Mackie sembra innanzitutto sostenere che la sola presen-za dei fatti normativi nel mondo porta di per s´e dei problemi 4 Secondo la definizione di Korsgaard (1996).

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26 l’argomento di indispensabilit `a: una presentazione

metafisici ed epistemologici al realista normativo. Quest’ultimo ha il compito di spiegare come delle entit`a cos`ı non ordinarie come i valori (il bene, la bellezza ecc.) si relazionino con gli oggetti e gli eventi naturali del mondo e come si concilino con una visione scientifica; inoltre, il realista deve spiegare come sia possibile avere accesso a tali entit`a (come si percepiscano). Il realismo, che era partito come una teoria di ”buon senso” rispettando la fenomenologia dei giudizi normativi, si trova ora in una posizione difficilmente conciliabile con una visione del mondo di senso comune. Il realista dovr`a disporre di una teoria metafisica forte che spieghi l’intima connessione fra le azioni concrete e i fatti normativi e che renda quest’ultimi il meno possibile misteriosi; inoltre dovr`a disporre di una teoria epistemologica che renda in qualche modo accessibili i fatti normativi. Se dal punto di vista della semantica il realismo parte avvantaggiato, potendo permettersi di lasciare inalterate le concezioni tradizionali del linguaggio, dal punto di vista della metafisica egli deve colmare un non trascurabile gap esplicativo con le visioni tradizionali del mondo.

Questa serie di problemi, a cui il realismo robusto deve ri-spondere, si possono perci `o sintetizzare come obiezioni sulla stranezza dei fatti normativi. Ritengo che esse costituiscano una seconda sfida autonoma al realismo robusto, sebbene non indipendente dalla sfida sulla indispensabilit`a. Chiaramente, porre l’accento sulla stranezza dei fatti normativi induce a ri-vedere fortemente la loro indispensabilit`a; allo stesso tempo, un’argomentazione forte dell’indispensabilit`a dei fatti normativi rende pi `u accettabile la loro stravaganza. Ad esempio, le entit`a fisiche non osservabili come i protoni, gli elettroni e i neutroni erano considerate estremamente stravaganti rispetto al mondo osservabile e percepibile, fino a che le forti prove a favore della loro indispensabilit`a nelle teorie scientifiche hanno favorito il loro inserimento nell’arredo naturale del mondo.

Il realismo riduzionista (o naturalista) ha una risposta chiara e semplice al problema della stranezza dei fatti normativi: ”i fatti normativi non sono niente di speciale”. Secondo una posi-zione naturalista i fatti normativi hanno la stessa natura dei fatti naturali del mondo; pertanto non sussiste alcuna necessit`a di spiegare la loro collocazione nei fatti ordinari. Il realista robusto, dal canto suo, dovr`a dimostrare l’irriducibilit`a dei fatti normati-vi, ossia la tesi (d). Quest’ultima, di per s´e, rappresenta un’altra sfida storica per un realismo antiriduzionista. Perch´e non `e pos-sibile trovare certe qualit`a naturali del mondo che sostituiscono

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le propriet`a normative? Perch´e dovremmo attingere a dei fatti speciali se abbiamo tutto ci `o che ci occorre tra i fatti ordinari del mondo? Per rispondere a questo tipo di obiezioni, il realista antiriduzionista dovr`a tornare nuovamente al linguaggio: dovr`a cercare di mostrare che un enunciato che asserisce una norma e un enunciato che descrive le caratteristiche naturali della norma siano due giudizi distinti che pretendono di riferirsi a due fatti distinti.

Nel corso di questa sezione ho accennato alle varie posizioni critiche nei confronti del realismo robusto. A questo punto, mi sembra giunto il momento di classificarle – molto schematica-mente – a seconda delle quattro tesi del realismo robusto che accettano o respingono. Senza dubbio, la famiglia di teorie non-cognitiviste, almeno nella loro concezione tradizionale emotivista o prescrittivista, nega la tesi (a) sull’assertoriet`a degli enunciati normativi, ossia il realismo robusto nel suo aspetto pi `u mini-male. La questione sar`a pi `u complessa per il non-cognitivismo quasi-realista di Blackburn (1993a) e Gibbard (2003), ma lo vedre-mo meglio nel capitolo 4. L’error theory – di cui Mackie (1977) sembra essere l’unico esponente – non nega l’assertoriet`a dei giudizi normativi, ma afferma che essi sono sistematicamente falsi, respingendo quindi (b).

`E discusso dove si collochino le teorie costruttiviste all’interno del dibattito sul realismo; dipende ovviamente dal tipo par-ticolare di teoria adottata. Probabilmente, un costruttivista – genericamente inteso – nega (c), in quanto sostiene che le verit`a normative siano frutto di una qualche funzione costruttiva degli agenti. Gi`a meno scontata, invece, sarebbe la negazione di (b). Infine, il naturalismo, pur accettando le altre tre tesi, respinge decisamente (d).

Le principali obiezioni critiche al realismo che abbiamo visto in questa sezione si possono riassumere in tre gruppi:

1. sfida dell’indispensabilit`a dei fatti normativi; 2. sfida della stranezza dei fatti normativi; 3. sfida dell’irriducibilit`a dei fatti normativi.

Ovviamente ci sono anche altri punti problematici, che non ho menzionato, per realismo robusto. Ad esempio, il problema della motivazione: se il valore `e qualcosa di fattuale, come pu `o di per s´e motivare l’agente a perseguirlo? Oppure il problema dell’accesso epistemico, a cui ho in parte accennato: se i fatti normativi sono fatti non ordinari, con quale facolt`a conoscitiva

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28 l’argomento di indispensabilit `a: una presentazione

vi abbiamo accesso? Tuttavia, ritengo che una soddisfacente risposta a queste tre sfide possa essere una solida base per un realismo robusto sulle propriet`a normative.

2.2 l’argomento di indispensabilit `a epistemica Il cosiddetto argomento di indispensabilit`a epistemica (expla-natory indispensability argument), che sar`a presentato in questa sezione, si pu `o considerare uno dei pi `u importanti argomenti che in tempi recenti hanno animato il dibattito tra realismo e antirealismo sulle propriet`a normative. L’argomento intende dimostrare che il riferimento a certi fatti normativi `e indispen-sabile per la validit`a di certe spiegazioni di alcuni fenomeni del mondo.

Ritengo sia un argomento importante da trattare per il realista robusto, poich´e affronta quelle che in precedenza ho definito le tre sfide del realismo robusto: il problema dell’indispensabilit`a, l’obiezione della stranezza e la questione dell’irriducibilit`a. 2.2.1 La forma dell’argomento e alcune assunzioni preliminari Nella letteratura recente sul realismo morale o sul realismo normativo, l’argomento di indispensabilit`a epistemica ha avuto un discreto peso. L’argomento ha suscitato interesse, sia tra i sostenitori del realismo, sia tra i suoi avversari, perch´e con-cerne la possibilit`a di una spiegazione normativa dei fenomeni naturali e l’impegno ontologico che questa comporterebbe. Una volta ammesso che certe propriet`a normative siano effettivamen-te utili per la spiegazioni di eventi non-normativi, dobbiamo considerare queste propriet`a come reali? L’argomento di indi-spensabilit`a epistemica `e utilizzato dai realisti per dimostrare come la validit`a di certe spiegazioni, che menzionano delle pro-priet`a normative, comporti un’ammissione di esistenza di fatti che istanziano quelle propriet`a.

Riprendendo da Roberts (2016), possiamo sintetizzare la for-ma dell’argomento come una conclusione derivata da due pre-messe:

(1) Una propriet`a P `e reale, se il riferimento a P `e indispensabile alla miglior spiegazione di qualche fenomeno F.

(2) Il riferimento ad almeno una propriet`a normativa N `e indispensabile alla miglior spiegazione di qualche F.

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Quindi,

(3) N `e una propriet`a reale.

Nell’argomento la conclusione (3) segue logicamente da (1) e (2). Pertanto qualunque critica all’argomento deve mostrare la falsit`a di almeno una delle due premesse.

In questa sezione, ci occuperemo esclusivamente della pre-messa (1), delle assunzioni metodologiche che questa comporta; quindi, non entreremo per adesso nel caso specifico delle pro-priet`a normative. Va a vantaggio del realista non fare assunzioni preliminari troppo restrittive o controverse, in modo che la discussione sulla validit`a dell’argomento possa concentrarsi so-lamente su questioni pi `u sostanziali riguardanti le spiegazioni normative.

Innanzitutto si noti che la premessa (1) parla di certi fenome-ni F che necessitano di una spiegazione. Di quali fenomefenome-ni si tratta? Come vedremo dagli esempi (capitolo 3), si presume che essi siano non-normativi, affinch´e la spiegazione non sia com-pletamente interna ad una teoria normativa. Sarebbe piuttosto irrilevante constatare che certi fenomeni gi`a normativamente ca-ratterizzati siano spiegabili attraverso certe propriet`a normative. L’esistenza di fenomeni naturali e il fatto che questi necessitino di una spiegazione non mi sembrano questioni discusse tra gli avversari del realismo, se si escludono casi di scetticismo assolu-to la cui sostenibilit`a non mi pare rilevante discutere in questa sede.

La premessa (1) contiene un criterio per considerare reale una certa propriet`a: la sua indispensabilit`a per la miglior spiega-zione di un fenomeno. L’indispensabilit`a, di per s´e, implica la condivisione di un principio di non moltiplicazione degli enti. Vi `e a monte un intento metafisico al risparmio, secondo il quale dobbiamo ammettere nella nostra ontologia solo quegli enti per i quali abbiamo forti ragioni per ammetterne l’esistenza. Per usare un’espressione di Enoch (2011), la premessa (1) assume un Minimal Parsimony Requirement. La domanda che occorre porsi `e quanto possa essere innocua tale assunzione metodologica, rispetto ad un ipotetico avversario del realismo robusto.

Personalmente, ritengo l’assunto un presupposto implicito in qualsiasi dibattito metafisico. In una discussione sulla realt`a di P, il realista cercher`a di far vedere che vi sono buone ragioni per ammettere la fattualit`a P; l’antirealista, al contrario, dovr`a far vedere che l’impegno ontologico su P non `e indispensabile. Senza un intento al risparmio sulle entit`a, il dibattito tra realismo e antirealismo perde di senso.

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30 l’argomento di indispensabilit `a: una presentazione

A mio modo di vedere, vi sono due possibili prese di posizio-ne per riteposizio-nere insensata la discussioposizio-ne sullo statuto ontologico di una propriet`a normativa: (A) per una posizione antimeta-fisica specificamente sugli enunciati normativi oppure (B) per un intento antimetafisico generico. (A) Sostiene che il dibattito tra realismo e antirealismo sia insensato, perch´e ritiene che gli enunciati normativi non riguardino qualcosa di sostanziale, ma siano un fenomeno meramente linguistico. (B) Sostiene che qualsiasi dibattito metafisico sulla realt`a di una propriet`a o di un’entit`a sia insensato, perch´e ritiene impossibile distinguere all’interno del nostro linguaggio un piano puramente linguistico (o epistemico) da un piano dei fatti, a cui attribuiamo un deter-minato valore ontologico. Sia (A) che (B) rigettano la premessa (1), ma per motivi diversi. L’obiezione di (A), che ha alle spalle una posizione metanormativa ben precisa, sar`a discussa nel capitolo 4. Mi sembra invece un compito che vada ampiamente al di l`a degli scopi prefissati nella presente ricerca discutere l’obiezione di (B), ossia discutere sulla generale sensatezza delle questioni metafisiche. Presupposto dell’argomento di indispen-sabilit`a epistemica `e che sia sensato interrogarsi sulla realt`a di una qualche entit`a e di considerare superflue quelle entit`a per cui non abbiamo particolari ragioni per ammetterne l’esistenza.

La premessa (1) afferma che l’indispensabilit`a epistemica di una qualche propriet`a P `e una condizione sufficiente per la fattua-lit`a di P. `E una questione interessante se il criterio di indispen-sabilit`a epistemica non debba essere una condizione necessaria per la realt`a di una propriet`a, oltre che sufficiente; in tal caso, (1) diventerebbe:

(10) Una propriet`a P `e reale, se, e solo se, il riferimento a P `e indi-spensabile alla miglior spiegazione di qualche fenomeno F.

Secondo questa ipotesi, il principio di risparmio ontologico menzionato in precedenza sarebbe soddisfatto esclusivamente dall’indispensabilit`a epistemica. Il Minimal Parsimony Require-ment diventerebbe – usando sempre le parole di Enoch – un Explanatory Requirement. Il realista dovrebbe impegnarsi a soste-nere un presupposto metafisico non banale, ossia la tesi secondo la quale dovremmo ammettere nella nostra ontologia solo quelle entit`a che sono epistemicamente indispensabili. Perci `o l’ipo-tesi comporterebbe l’assunzione di un principio metodologico estremamente pi `u restrittivo.

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Per questi motivi ritengo che (10) sia una condizione eccessiva da accettare per l’argomento di indispensabilit`a6

. Se, da una parte, essa potrebbe rafforzare l’argomento, dall’altra potrebbe dare ulteriori elementi di appiglio all’antirealista per rigettarlo. Il passaggio dal Minimal Parsimony Requirement all’Explanatory Requirement deve essere giustificato; vale a dire che il realista de-ve trovare una ragione indipendente per la quale escludere come valida qualsiasi altra strategia per dimostrare l’indispensabilit`a delle propriet`a normative. L’onere di una tale giustificazione potrebbe portare alcuni problemi al realismo.

La resistenza di alcuni realisti non-naturalisti ad accettare l’argomento di indispensabilit`a epistemica (ad esempio, Enoch e Shafer-Landau) `e dovuta, a mio parere, ad un fraintendimento della premessa (1). Se l’indispensabilit`a epistemica si intende solamente come condizione sufficiente, il ruolo epistemico delle propriet`a normative costituisce una prova forte per la loro fat-tualit`a; nel caso in cui tale ruolo epistemico non si dimostra, non siamo legittimati ad escludere dall’ontologia quelle propriet`a: la partita per il realista non `e ancora persa.

Un’ultima possibile obiezione – che `e necessario prevenire – alla premessa (1) riguarda il concetto di miglior spiegazione: esso non `e gi`a un predicato normativo? Non stiamo dando per scon-tato ci `o che dovremmo dimostrare, ossia l’oggettivit`a di certe valutazioni normative? Penso che anche questa sia un’obiezione non troppo problematica per l’argomento di indispensabilit`a.

Innanzitutto, quando si parla di ”miglior spiegazione” si intendono certi valori epistemici che entrano per forza di cose in gioco, nella misura in cui abbiamo a che fare con una pluralit`a di spiegazioni di un certo fenomeno. Mi riferisco a criteri come la generalit`a, la semplicit`a, la chiarezza, la rilevanza esplicativa, i quali sono sicuramente normativi, ma di un livello diverso rispetto ai predicati normativi di cui vorremmo considerare l’esistenza (come vedremo successivamente negli esempi di spiegazione normativa). Potremmo definire tali valori come metavalori. Per questo motivo, mi sembra pertanto lecito ritenere non controversa una loro assunzione.

Inoltre, vorrei far notare che l’assunzione che vi sia una mi-glior spiegazione per un certo fenomeno non comporta, di per s´e, una presa di posizione realista. Noi possiamo stabilire che una spiegazione T `e la migliore rispetto ad altre – stabilendo quindi una gerarchia – indipendentemente dallo statuto, l’origine, la natura e tutte le questioni di secondo ordine che riguardano i 6 Sembra essere della stessa opinione Majors (2007).

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32 l’argomento di indispensabilit `a: una presentazione

valori. Nella premessa (1) stiamo usando un giudizio normativo, senza impegnarci sulla sua oggettivit`a. Pertanto, non si tratta affatto di una petitio principii.

Il fatto che una propriet`a debba essere presente nella miglior spiegazione di un certo fenomeno – e non in una spiegazione qualsiasi – per essere considerata fattuale, lo ritengo un presup-posto fondamentale. Nel caso in cui una spiegazione T, che si riferisce ad un insieme di propriet`a indispensabili P, sia sostitui-bile da altre spiegazioni concorrenti che invece non si riferiscono a quelle propriet`a, perch´e dovremmo ritenere P fattuali? Se in-vece sappiamo che T `e la spiegazione migliore per semplicit`a, generalit`a e rilevanza, abbiamo certamente maggiori garanzie sulla realt`a di P. A tal punto, possiamo veramente affermare che P `e indispensabile. Il tema della concorrenza fra spiegazioni normative e non-normative sar`a infatti centrale nella presente ricerca (capitolo 6). Il realista normativo non-riduzionista che vorr`a prendere sul serio l’argomento di indispensabilit`a episte-mica dovr`a mostrare che, in certi casi, la spiegazione normativa `e preferibile per alcuni criteri epistemici; e pertanto le propriet`a normative a cui si riferisce sono indispensabili.

2.2.2 Un programma quineano?

L’argomento di indispensabilit`a sulle propriet`a normative `e esplicitamente ispirato al celebre argomento di indispensabilit`a attribuito a Quine e Putnam7

, a proposito dell’indispensabilit`a della matematica per le teorie scientifiche. Anche l’argomento di indispensabilit`a matematica – come quello normativo per le propriet`a normative – viene usato in difesa di una posizione realista sulle entit`a matematiche. Sinteticamente, esso afferma che, poich´e la quantificazione su entit`a matematiche `e indispen-sabile alle migliori teorie scientifiche, allora dovremmo credere nell’esistenza di quelle entit`a matematiche.

L’accettazione di un argomento analogo a quello quineano comporta, a mio modo di vedere, l’assunzione di buona parte del backdrop filosofico quineano che sta alla base dell’argomento. In questa sezione, analizzeremo tutti quei presupposti metodo-logici e programmatici che sostengono l’argomento di Quine in filosofia della matematica. Ci domanderemo in che misura tali presupposti vadano adottati anche per l’argomento di in-dispensabilit`a normativo e se sia possibile traslarli dall’ambito 7 Quine (1953); Putnam (1979).

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di discussione sulle entit`a matematiche a quello sulle propriet`a normative. Da ci `o nascer`a un parallelismo interessante – che ci sar`a utile per il proseguimento della ricerca – tra il realismo ma-tematico e il realismo normativo. In particolare, il parallelismo riguarder`a un programma filosofico naturalista.

Innanzitutto, da un punto di vista strettamente metafisico, il realista che accetta l’argomento di indispensabilit`a dovr`a sposa-re una metodologia quineana: l’esistenza – o la sposa-realt`a, poich´e per un quineano sono sinonimi – non `e una propriet`a, ma il risultato di una quantificazione. Ci `o che rende un’entit`a indi-spensabile, nonch´e ci `o che ci d`a ragione di credere nell’esistenza di quell’entit`a, `e la quantificazione ineliminabile di essa in una determinata teoria scientifica. Secondo Quine, noi dovremmo credere nell’esistenza di enti matematici, poich´e le nostre mi-gliori teorie scientifiche quantificano entit`a numeriche. Nel caso dell’argomento di indispensabilit`a normativo, la quantificazione ineliminabile a cui si fa riferimento sar`a di secondo ordine, poich´e il riferimento riguarda alcune propriet`a (la giustizia, la crudelt`a, l’ingiustizia ecc.).

Negli ultimi decenni, `e emerso nella letteratura un altro ap-proccio metodologico in metafisica8

, il quale prende le distanze dalla concezione di Quine. Molto sinteticamente, secondo tale approccio, la quantificazione non ha alcun peso relativo all’im-pegno ontologico su una qualche entit`a; le questioni riguardanti la realt`a concernono piuttosto ”cosa fonda cosa”. La realt`a `e una propriet`a primitiva, graduabile a seconda se un determinato fatto `e pi `u fondamentale di un altro.

L’argomento di indispensabilit`a, a mio modo di vedere, non `e in realt`a cos`ı estraneo rispetto a quest’ultima metodologia. Infatti, `e verosimile pensare che per Fine, il fatto che alcuni fatti normativi spiegano (nel senso di ’fondare’) alcuni fatti non-normativi ritenuti reali rappresenta una prova forte della loro realt`a. Tuttavia, ritengo che l’approccio quineano si sposi meglio con l’argomento di indispensabilit`a sulle propriet`a normative, in virt `u del fatto che la presunta indispensabilit`a esplicativa dei fatti normativi `e di tipo scientifico-causale e non di tipo fondativo.

Secondo l’interpretazione di Colyvan (2001), l’argomento di indispensabilit`a della matematica deve essere sostenuto da due delle pi `u celebri dottrine di Quine: il naturalismo e l’olismo. Vedremo in che misura un realista normativo, che accetta l’argo-mento di indispensabilit`a, debba assumere le due dottrine. 8 Fine (2001, 2009); Schaffer (2009).

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34 l’argomento di indispensabilit `a: una presentazione

Per naturalismo, qui non si intende il naturalismo riduzionista sulle propriet`a normative (2.1.2), ma una tesi programmatica se-condo cui ”la filosofia deve accettare solo descrizioni scientifiche della realt`a” (Colyvan, 2001) (Pag. 25). Parte del programma filosofico di Quine `e infatti l’abbandono di un ruolo predomi-nante della filosofia nella determinazione dell’immagine del mondo, a favore delle scienze naturali. Difatti, sostiene Quine, noi dovremmo credere all’esistenza delle entit`a matematiche, poich´e queste sono in sintonia con le migliori teorie fisiche a nostra disposizione.

Le propriet`a normative, per ovvi motivi, non possono riguar-dare le nostre migliori teorie fisiche, ma piuttosto tutte quelle scienze che riguardano le azioni e il comportamento umano, che per convenzione chiameremo scienze storico-sociali. Pertanto, il realista normativo dovr`a accettare un naturalismo inteso in un senso pi `u ampio, tale da includere l’immagine del mondo fornita dalle teorie delle scienze storico-sociali. Inoltre, dovr`a accertarsi che in tali teorie il riferimento a propriet`a normative sia effettivamente indispensabile per la descrizione di fenome-ni storico-sociali. Il tema dell’utilizzo di enunciati normativi all’interno delle scienze storico-sociali `e sicuramente troppo am-pio per essere approfondito in questa sede. Ci basti dire che esso rappresenta un punto programmatico non trascurabile per un realista normativo che intende conciliare l’esistenza di fatti normativi con un’immagine scientifica del mondo.

L’olismo `e l’altra dottrina quineana che implicitamente `e pre-supposta dall’argomento di indispensabilit`a. Si tratta di una tesi non indipendente dal naturalismo, sebbene in qualche mo-do distinguibile. In Quine si trovano due tipi di olismo: del significato e della conferma. L’olismo semantico `e la tesi che afferma che l’unit`a di significato empirico non `e la singola pro-posizione, ma l’intera teoria scientifica. L’olismo sulla conferma (confirmational holism) afferma, invece, che l’intera teoria `e l’unit`a di conferma scientifica. L’obiettivo di Quine `e di quello di far cadere la netta dicotomia, all’interno di una teoria, tra enunciati validi a priori ed enunciati empiricamente confermabili; caden-do tale dicotomia, gli enunciati matematici – dall’empirismo ritenuti analitici – risulteranno anch’essi sottoposti a conferma empirica, insieme all’intero corpo di enunciati della teoria. L’oli-smo, quindi, da tale punto di vista risulta essere una dottrina favorevole al realismo matematico, poich´e assegna un valore empirico agli enunciati matematici.

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penso sia lecito fare per il realismo normativo un discorso ana-logo al realismo matematico. In questo caso l’olismo, sostenuto dal realista sulle propriet`a normative, non riguarda tanto la dicotomia tra giudizi a priori e a posteriori, quanto piuttosto la dicotomia tra enunciati normativi e descrittivi. Il realista normativo dovr`a impegnarsi a sostenere che, sebbene in una teoria scientifica storico-sociale sia distinguibile un momento pi `u descrittivo da un momento pi `u normativo, `e l’intero corpo di enunciati (descrittivi e normativi assieme) che viene sotto-posto a conferma. Questo tipo di tesi sembra essere sostenuta da Putnam (2002). Egli afferma che una netta dicotomia tra giudizio di fatto e giudizio di valore appartiene ad un mede-simo ”retroterra empirista” che erroneamente ha postulato la dicotomia tra giudizio analitico e sintetico; se `e necessario far cadere quest’ultima dicotomia (attraverso le argomentazioni di Quine e dello stesso Putnam), sar`a anche necessario far cadere la dicotomia tra questioni di fatto e giudizi di valore che – sostiene Putnam – non `e pi `u proficua per la ricerca scientifica. A soste-gno della propria tesi, Putnam riporta gli studi dell’economista Amartya Sen9

, secondo il quale non `e possibile avere una teoria economica del benessere senza una presa di posizione di valore sull’etica e sul ’buon vivere’.

Non si pu `o certo annoverare Putnam tra i realisti in ambito normativo: egli, in linea con il suo pragmatismo, trae dalla fine della dicotomia di fatti e valori in ambito scientifico anche la fine di una fondazione ontologica dei problemi etici (Putnam, 2004). Personalmente ritengo, al contrario di Putnam, che in ambito filosofico sia necessario chiarificare come l’intreccio di fatti e valori si rispecchi in quelli che reputiamo essere i fatti reali del mondo. In ogni caso, per certi punti di vista, il lavoro svolto da Putnam pu `o essere sposato anche dal realista normativo.

Oltre a quello quineano, esiste un’altra versione pi `u ristretta di naturalismo, che si fa risalire ad Armstrong (1980). Secondo questo tipo di naturalismo, la realt`a consiste in un sistema di entit`a spazio-temporale; la filosofia dovrebbe considerare come ontologicamente consistenti solo quelle entit`a che sono causal-mente attive. Il naturalismo di Armstrong (o naturalismo causale) `e tendenzialmente avverso al realismo sulle entit`a matematiche, alle quali non viene generalmente attribuita un’attivit`a causale. Mi sembra rilevante considerare la validit`a della versione causale del naturalismo, per quanto riguarda l’ontologia degli enunciati normativi. Spesso la questione della rilevanza esplica-9 Sen (1987).

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