• Non ci sono risultati.

Impatto socio-ambientale dei prodotti di origine animale

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Impatto socio-ambientale dei prodotti di origine animale"

Copied!
94
0
0

Testo completo

(1)

A papà, a Giada e a Bruno

Se non potete eliminare un'ingiustizia, almeno

raccontatela a tutti.

(2)

S O M M A R I O

INTRODUZIONE...4

Capitolo 1...8

L'INDUSTRIA DEI PRODOTTI DI ORIGINE ANIMALE...8

1.1. Cenni storici: dall'uomo cacciatore agli allevamenti intensivi...9

1.2. Nascita e sviluppo degli allevamenti intensivi...10

1.2.1 Selezione genetica...12

1.2.2 Mangimi chimici, antibiotici e ormoni...13

1.3. Principali tipologie di allevamenti intensivi, legislatura e norme...16

1.3.1. Allevamenti di bovini:...17 1.3.1. Allevamenti di suini:...19 1.3.3. Allevamenti di pollame:...21 Capitolo 2...27 IL CONSUMO DI RISORSE...27 2.1. Acqua...27 2.2. Terra...30 2.3. Energia...33 Capitolo 3...36 LE CONSEGUENZE...36 3.1. Inquinamento...36

3.1.1. Inquinamento del suolo e delle falde acquifere...37

3.1.2. Dell'aria...38

3.2. Erosione del suolo e deforestazione...41

3.3. Riscaldamento globale e cambiamenti climatici...42

3.4. Sfruttamento e impoverimento dei paesi in via di sviluppo...44

3.5. Salute umana...45

3.5.1. Salubrità degli alimenti...48

Capitolo 4...53

L'ASPETTO ETICO...53

4.1. Il concetto di benessere animale...54

4.2. La realtà degli allevamenti intensivi...56

4.2.1 Pratiche comuni: debeccaggio, amputazioni, bruciature...58

4.3. Il principio di nonviolenza rapportato agli allevamenti intensivi...60

Capitolo 5...65

LE ALTERNATIVE...65

5.1. Sviluppo sostenibile...65

5.2.1: Zootecnia sostenibile...67

(3)

5.4. La scelta vegetariana e vegana...71

CONCLUSIONI...75

Bibliografia:...80

(4)
(5)

INTRODUZIONE

Oggi, nei primi mesi del 2016, assistiamo a cambiamenti forti nelle abitudini e negli stili di vita dell'essere umano. Tutto è cambiato non solo rispetto ai secoli precedenti, ma anche in porzioni di tempo ben più piccole: basta voltare lo sguardo ad un passato distante solo qualche decennio per osservare più o meno increduli le nette differenze con il presente.

Tra i maggiori sbagli compiuti dall'uomo vi è il modo in cui egli si è rapportato, e continua a rapportarsi, nei confronti del pianeta: secondo molte moderne filosofie, ed anche secondo diversi antichi tra i quali Pitagora,1 l’uomo non è al vertice della piramide, né esiste una piramide che classifica gli individui in base alla loro importanza: l’uomo è parte della natura, esattamente come tutti gli altri esseri viventi. Il suo dovere è vivere utilizzando al meglio le risorse che gli sono realmente necessarie, tentando di avere un impatto su tutto ciò che è a lui esterno più basso possibile.2

Arne Naess, uno dei principali teorici di tale pensiero, iniziò a diffondere le sue idee dopo il rapporto del Club di Roma3 circa i limiti dello sviluppo (1972), che richiamava l’attenzione mondiale su problemi quali inquinamento, boom demografico ed esaurimento delle risorse non rinnovabili. Egli sosteneva che non è sufficiente modificare a livello economico e politico l’assetto mondiale relativo ai problemi ambientali, ma è in primis il comportamento e l’idea che l’uomo ha nei confronti dell’ambiente che devono essere modificati.

È necessario passare da un sistema di tipo antropocentrico, che vede l’uomo come centrale e predominante sulle altre specie e sull’ambiente, e giustifica di conseguenza il suo sfruttamento indiscriminato delle risorse in

1 P. Singer, Liberazione animale, Il Saggiatore, Milano, 2003, p.199.

2 L. Caimi, Coscienza ambientale e educazione alla legalità, Vita e Pensiero, Milano, 2006 p.

75.

3 Associazione non governativa la cui missione è individuare i principali problemi che l'umanità

(6)

quanto presenti apposta per lui, ad uno biocentrico, che vede l’essere umano come una delle parti costituenti il sistema a pari con le altre, che è tenuto a rispettare e salvaguardare.4 L’uomo non ha “diritti speciali”5 rispetto alla natura, e non è superiore ad essa: ne è semplicemente parte.

Abbiamo creato una società in cui il 4% della popolazione gode di effettivo benessere.6 Lo sviluppo a cui siamo giunti, il livello di modernità a cui ora siamo abituati non solo sta distruggendo il pianeta, ma non sta servendo quasi a nessuno, essendo una tale percentuale veramente esigua.

Tra le principali cause, vi è indubbiamente il modo in cui esso si alimenta. Il “progresso” ha portato ad un aumento smisurato del consumo di prodotti di origine animale, con conseguenze negative per l'ambiente e per l'uomo stesso.

In questo elaborato l'attenzione verrà focalizzata sui cambiamenti inerenti l'alimentazione degli individui, cambiamenti così' profondi da influenzare ampiamente molti altri ambiti: quello sociale, quello relativo all'inquinamento, alla sostenibilità, all'economia, all'etica, e via dicendo. Il modo in cui mangiamo, a ben vedere, tocca ogni aspetto del vivere. Verrà inizialmente descritta sommariamente la realtà degli allevamenti intensivi, soffermandosi soprattutto in quelle specificità che li caratterizzano: la loro nascita, le principali caratteristiche che accomunano in tutto il mondo questo tipo di strutture, per poi descrivere in maniera leggermente più dettagliata alcune delle principali realtà. La ricerca condotta a tale riguardo non pretende assolutamente di essere esaustiva, ma solamente di mettere in luce aspetti purtroppo tanto comuni quanto sconosciuti.

Successivamente, il testo tratterà le conseguenze di tali tipi di allevamenti: gli sprechi, l'inquinamento che produce, gli squilibri ambientali e sociali, i rischi per la salute umana. Un capitolo a parte verrà poi dedicato a quelle che possono essere chiamate le “conseguenze etiche” degli

4 S. Fusi, Spirito naturale. L’Ecologia Profonda per la salute del corpo e

dell’anima, Tecniche Nuove, 2007, p. 36.

5 Ibidem.

(7)

allevamenti intensivi, cercando di far comprendere come temi cari al corso di studi di Scienze per la Pace siano in queste realtà sistematicamente violati: la nonviolenza, il rispetto, la tutela della dignità di un altro essere vivente.

La tesi si conclude cercando di dare soluzioni e alternative concrete a tali situazioni, analizzando la possibilità di internalizzazione dei costi, materiali e immateriali, e soprattutto dando la responsabilità di ciò che accade a chi di dovere: noi stessi. I cambiamenti sono nelle nostre mani, nello specifico nei nostri piatti, e sta a noi scegliere la coerenza ed il cambiamento, od il continuare a fare finta di nulla ignorando la verità.

(8)
(9)

CAPITOLO 1.

L'INDUSTRIA DEI PRODOTTI DI ORIGINE ANIMALE

1.1. Cenni storici: dall'uomo cacciatore agli allevamenti intensivi

È durante la cosiddetta “rivoluzione neolitica”7 che l'essere umano, abituato a procacciarsi il cibo attraverso la raccolta di vegetali spontanei o alla caccia, che inizia il processo di trasformazione delle abitudini alimentari che ci porta agli allevamenti intensivi dei nostri giorni. L'uomo, nomade e al pari con le altre specie, si spostava di volta in volta alla ricerca di cibo, seguendo i ritmi della natura, fino alla scoperta della semina, dell'agricoltura e del processo di domesticazione degli animali.8

L'origine della società stessa si basa infondo sulla capacità dell'uomo di diventare sedentario, coltivando e allevando ciò che gli è necessario per il suo sostentamento. La sedentarietà porterà con se un aumento della popolazione, e la necessità di stabilire regole e confini per la convivenza, giungendo quindi ad una società sempre più articolata e densa di bisogni, primo fra tutti il soddisfacimento dei bisogni primari: il cibo è ovviamente tra le prime esigenze che devono essere appagate. Il processo di domesticazione è stato fondamentale dunque per lo sviluppo delle società, al punto da esserne diventato uno dei cardini principali. Non soltanto come fonte di cibo, ma anche in altri settori, come nell'uso degli animali per i trasporti, l'agricoltura, la guerra.

Con la crescita della popolazione sedentaria gli allevamenti iniziano ad aumentare di numero e dimensioni, e man mano che le società accrescono il loro benessere, aumenta anche la domanda di prodotti di origine animale, tendenzialmente riservati alle società più sviluppate.

7 A. Duè, L'uomo e l'ambiente, la Preistoria vol. I, Jaka books, 1999, pp. 30-33. 8 S. Castiglione; L. Lombardi Vallauri, Trattato di biodiritto. La questione animale,

(10)

Tutt'oggi i maggiori consumi di prodotti di origine animale, in special modo di carne, sono presenti nei paesi più sviluppati, mentre nelle zone più povere del mondo, specialmente nell'Africa sub-sahariana, la carne rimane (per ora) un lusso riservato a pochi, o comunque qualcosa da poter consumare solamente in occasioni speciali.

Se inizialmente si poteva parlare di un rapporto “rispettoso” dell'uomo nei confronti degli animali, oggi sicuramente ogni parvenza di rispetto è sfumata sotto le regole economiche del maggior profitto al minor costo. Prima dell'avvento della società moderna l'allevatore aveva realmente un legame con i suoi animali, spesso viveva con essi durante i lunghi viaggi di transumanza, o comunque la sua vita da allevatore ruotava attorno agli esseri della propria fattoria.9 Considerando che ad oggi circa il 90% della carne e dei prodotti di origine animale deriva da allevamenti intensivi10, risulta ipocrita e piuttosto inutile dunque rifarsi al ricordo idilliaco di allevamenti e trattamenti di questo tipo, ad oggi veramente rari, in percentuale, sulla terra.

1.2. Nascita e sviluppo degli allevamenti intensivi

Con il termine allevamenti intensivi o industriali (factory farming) si vanno ad identificare tutti quegli allevamenti ad alto rendimento che tendono, come già accennato, alla ricerca della massima resa al minimo costo, utilizzando macchinari, selezioni genetiche, farmaci e così via, e riducendo al minimo gli spazi, i tempi e tutto ciò che potrebbe limitare i guadagni.11

La nascita degli allevamenti intensivi viene in realtà fatta simbolicamente risalire ad un errore: un'allevatrice statunitense, Celia

9 S. Castiglione, L. Lombardi Vallauri, Trattato di biodiritto. La questione animale,

op.cit., pp. 116-117.

10 http://www.saicosamangi.info/animali/

(11)

Steele, si vide consegnare cinquecento pulcini anziché i cinquanta che aveva ordinato. Per far fronte ad un tale numero di animali da allevare decise di allevarli in ambiente chiuso, utilizzando degli integratori, riuscendo così a decuplicare il numero di animali in soli dodici anni: nel 1935 i polli erano diventati ben 250 mila.12

Le esigenze economiche e sociali portarono durante la prima metà del Novecento ad una grande diffusione di tali tipologie di allevamenti, e dunque ad una riduzione dei terreni adibiti al pascolo o alla crescita degli animali “a terra”, ora allevati sistematicamente all'interno di grandi fabbricati chiusi e lontani dalla popolazione, o comunque in pascoli ridotti con alta densità di bestiame.

Il consumo di massa dei prodotti di origine animale è stato allo stesso tempo causa e conseguenza dell'aumento di tale tipo di allevamenti, portando ad una maggiore domanda, una maggiore offerta e di conseguenza alla capitalistica necessità dell'abbattimento dei prezzi. Per diminuire i prezzi è necessario naturalmente tagliare i costi, e nel mondo degli allevamenti a farne le spese sono stati ovviamente gli animali.

Come si più chiaramente vedere in tabella, l'aumento del consumo di carne è stato esponenziale: dati FAO mostrano come la produzione di pollame ad esempio è passata da 8,95 milioni di tonnellate, a quasi ben 100 milioni di tonnellate nel 2010. Lo stesso vale per altri tipi di carne, specialmente quella bovina, come si può notare nel grafico sottostante.

(12)

Negli ultimi cinquant'anni praticamente tutto il mondo ha intrapreso la via degli allevamenti intensivi (ad eccezione di alcune rare realtà ancora legate alla tradizione o alla produzione biologica), abbattendo di netto i costi da un lato, dall'altro però portando ad una lunga lista di aspetti negativi dal punto di vista della salute umana, dell'etica, della salvaguardia ambientale e animale. Non è difficile stilare una breve descrizione di tali aspetti.

1.2.1 Selezione genetica

Nel corso degli anni la selezione genetica ha permesso di selezionare sempre più quelle caratteristiche utili all'uomo al fine di poter produrre di più, più in fretta e con meno spesa possibile. Così sono stati creati nuovi

(13)

animali, non presenti in natura con tali caratteristiche. Basti pensare, ad esempio, che una mucca da allevamento odierna, di razza Brune Alpine o Jersey, è in grado oggi di produrre una quantità di latte pari a dieci volte quella che avrebbe prodotto, in natura, per nutrire il proprio vitello.13 Senza considerare poi i massimi raggiungibili, come i 60 litri di latte al giorno della Mucca Frisona.14

L'animale di cui si parla non è altro che il risultato di un insieme di interventi, speso divergenti, della natura e dell'uomo. La selezione, quindi,

permette di apportare modifiche al patrimonio originario dell'animale oppure di conservare il patrimonio genetico rivelatosi prezioso, cercando di

eliminare o di ridurre considerevolmente i caratteri indesiderati.15

Si parte quindi da ciò che è già presente in natura, come la lepre, il cinghiale, o il tacchino, e lo si modifica fino a raggiungere le caratteristiche desiderate. Il tacchino appena citato in natura volerebbe: la selezione genetica ha fatto si che diventasse troppo pesante per farlo. Altri volatili, specialmente i polli, sono stati modificati in modo da aumentare la massa delle parti più prelibate, “con il risultato che spesso gli animali non sono in

grado di muoversi o di stare sulle proprie zampe che frequentemente si fratturano, mentre lo sviluppo accelerato dei muscoli rispetto alle ossa determina dolori e patologie che non di rado provocano persino la morte.”16

1.2.2 Mangimi chimici, antibiotici e ormoni

Continuando ad osservare il fenomeno degli allevamenti intensivi da un punto di vista puramente economico ed oggettivo, l'animale che cresce rappresenta un costo: più velocemente crescerà e sarà pronto per il

13 O. Tomaino, Alternativa, considerazioni su un mondo cieco, 2014, Lulu.com, p. 80 14

http://www.localgenius.eu/razza-frisona-mucche-da-record-fino-a-60-litri-di-buon-latte-ogni-giorno-4358.htm

15 M. Girotti, Ape regina: biologia e selezione, tecniche di allevamento, utilizzo e

mercato, Hoepli, Milano, 1990, p.7

(14)

macello (o per la produzione di latte e uova) prima si tramuterà in un profitto.

A tale scopo vengono utilizzati spesso ormoni della crescita, detti

rBHG, utilizzabili negli Stati Uniti. Sono vietati invece dall'Unione Europea,

almeno nella teoria: nella pratica basta rimanere sotto certe percentuali.17 Inoltre, è tuttora in corso un dibattito contrario a tale limitazione in seno al W.T.O, che garantisce il commercio internazionale.18 Tra questi ormoni troviamo Testosterone, Progesterone,19 o altri composti sia naturalmente presenti in natura che sintetici. Ad essi però si accusa una conseguente alterazione dell'equilibrio ormonale nell'uomo che, mangiando carne, latte e uova, ne può assimilare i residui. Tali residui sono chiaramente dannosi, ed è stata provata una correlazione tra essi ed alcuni tipi di cancro, specialmente al seno ed alla prostata. Inoltre, possono interferire con il sistema riproduttivo o causare una pubertà precoce, secondo uno studio della Commissione Europea.20 Interessante da questo punto di vista risulta essere la descrizione fatta da un allevatore di conigli circa l'utilizzo e le conseguenze di tali pratiche:

L'uso esteso di antibiotici sottodosati, in funzione auxinica (promotori di crescita) ha poi fatto in modo che i conigli divenissero anche portatori

sani di altre malattie [...] Curare coi farmaci delle malattie come la Coccidiosi, che hanno una radice esistente nel coniglio da sempre, vuol

dire soppiantare i normali meccanismi naturali di difesa e regolazione dell'animale con altri assolutamente artificiali, vuol dire creare deliberatamente nell'animale una dipendenza dal sistema farmacologico ed una soppressione delle sue difese naturali. La cosa da nell'immediato un grandissimo profitto e pare un'ottima soluzione perché, eliminando una

grave fonte di mortalità, permette di spingere la produzione vendibile e la conversione alimentare a livelli diversamente impensabili. Ma [...] il meccanismo è tragicamente simile a quello della assuefazione agli

stupefacenti e presenta aspetti non meno inquietanti.21

17 J. Foer, Se niente importa, Guanda, 2009, p. 140

18 A. Meneghetti, Il piatto piange. Etica, dubbi e comportamenti nella catena

agroalimentare, Robertson Edizioni, Udine, 2012, pp. 70-73

19 G. Zicari, Gestione della sicurezza alimentare, Simone Editori, Napoli, 2003, p. 46 20 A. Meneghelli, Il piatto piange. Etica, dubbi e comportamenti nella catena

agroalimentare, op. cit., pp. 70-73

21 C. Della Valle, Conigli e Conigli, Manuale per l'allevamento a terra del coniglio

(15)

Praticamente gli animali vengono assuefatti da tale pratica, e trasmettono poi tale deficit alla prole, creando animali sempre più deboli e sempre più bisognosi di medicinali, che finiscono poi in parte nei nostri piatti.22

La stessa cosa vale per gli antimicrobici, come gli antibiotici, che vengono utilizzati per debellare determinati microorganismi dannosi, o per arrestarne la crescita. Di per sé tale metodo non è condannabile a priori, tant'è che anche per gli esseri umani viene seguita la stessa procedura nel momento in cui risulta necessaria a scopi terapeutici. Il problema è che negli allevamenti intensivi l'uso di antibiotici viene fatto a priori, prima che nasca un'effettiva esigenza tali sostanze vengono somministrate senza distinzione a tutti gli animali in via preventiva. 23

Le condizioni di vita negli allevamenti industriali sono responsabili del debole stato di salute degli animali. Senza i farmaci, quindi, non sarebbe

possibile far funzionare alcun allevamento intensivo. Per produrre 1 chilogrammo di carne sono impiegati mediamente 100 mg di antibiotico. 24

Parlando di mangimi chimici, non ci si discosta molto da tale artificiale linea di pensiero, normalmente usata per portare avanti gli allevamenti industriali. Gli animali non mangiano mai ciò che sarebbe il loro cibo consueto in natura, ma mangimi prodotti al fine di farli crescere più in fretta ed al minor costo.

Enormi superfici di terra vengono utilizzate per la produzione di monoculture chimiche, specialmente di soia e cereali, arricchiti poi con i

22

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/18/resistenza-agli-antibiotici-e-allevamenti-intensivi-un-pericolo-paragonabile-al-terrorismo/956842/

23 A. Meneghelli, Il piatto piange. Etica, dubbi e comportamenti nella catena

agroalimentare, op. cit., p. 73

24 http://www.corriere.it/animali/10_marzo_03/carne-antibiotici-dossier-lav

(16)

farmaci sopra descritti.25

In passato inoltre sono state riscontrate presenza di animali stessi all'interno dei mangimi, il cui più famoso caso fu quello riscontrato nella cosiddetta “mucca pazza”.26 Questa infatti nasce anche a causa dell'utilizzo di farine animali dati ad esseri viventi prettamente erbivori, sballando completamente i loro organismi e portando così alla diffusione della “encefalopatia spongiforme bovina” (BSE), nata in Gran Bretagna in seguito all'uso di parti di cadaveri di ovini, specialmente teste e altri scarti non vendibili.27

1.3. Principali tipologie di allevamenti intensivi, legislatura e norme

I principali animali che vengono allevati all'interno degli allevamenti intensivi mondiali sono bovini, suini, e polli. Ovviamente ciascuno di tali allevamenti presenta caratteristiche specifiche, soprattutto rispetto al prodotto finale che si vuole ottenere (carne o latte/uova), ma alcune peculiarità, come la selezione genetica e l'uso di antibiotici sopra descritti, restano comuni a tutti gli allevamenti.

Ad esse vanno ad aggiungersi altre similitudini, quali gli spazi dedicati agli animali e le metodologie di trattamento, che pur variando da Stato a Stato restano di base volte alla formula “minor spesa - maggior guadagno”.

Non è difficile dare praticamente per scontato che all'interno dell'Unione Europea vi siano molte più norme a favore della tutela animale che non in Cina, o nei Paesi in via di Sviluppo. In verità, differenze abissali esistono anche tra il cosiddetto Occidente, con una normativa statunitense molto più scarna e permissiva rispetto a noi europei. Rapidamente, è

25 http://www.repubblica.it/ambiente/2015/02/17/news/philip_lymbery_farmageddon-107532569/ 26 G. Francescato, A. P. Scanio, Il principio di precauzione, Editoriale Jaka Books,

Milano, 2002, p. 115

(17)

possibile dare un'idea delle condizioni in cui vertono tali allevamenti, sempre al fine di poter giudicare e trarre le dovute conseguenze non in via astratta, ma avendo una conoscenza più vicina alla realtà possibile di ciò di cui si sta parlando. Si farà riferimento alla legislatura italiana, tenendo presente però che in molti altri paesi la situazione è nettamente più critica.

La principale fonte relativa al trattamento degli animali da allevamento in Italia è il Regolamento di polizia veterinaria, del 08/02/1954, che riguarda specificatamente le malattie infettive che gli animali potrebbero contrarre e che fa da fondamenta ai successivi interventi a riguardo. In tempi più recenti invece grazie ad una direttiva europea (98/58/CE) è entrato in vigore il Decreto Legislativo del 26 marzo 2001, relativo alla protezione degli animali negli allevamenti.

1.3.1. Allevamenti di bovini:

Gli allevamenti di bovini possono essere principalmente di tre tipologie: il primo è il pascolo libero, ormai presente in percentuali minime per lo più nelle zone montane. I più utilizzati invece sono i sistemi confinati, tipici degli allevamenti intensivi. Sono la metodologia più produttiva e al contempo più limitante per l'animale, rinchiuso dalla nascita fino al trasporto verso il macello. Possono essere classificati in due grandi tipologie: a stabulazione libera, detta anche a stalla aperta, dove i bovini vengono collocati in un recinto all'aria aperta con netti vantaggi per gli animali: riduzione dei problemi respiratori (nei capannoni degli allevamenti intensivi l'aria è intrisa dell'odore delle deiezioni), una possibilità di movimento maggiore, una vita sicuramente meno artificiale. Tendenzialmente però gli animali da ingrasso vengono comunque lasciati chiusi in box, affinché vi sia il minimo dispendio energetico possibile.28

28 Il benessere dei suini e dei bovini da latte: punti critici e valutaione in

allevamento, FAO, http://www.fao.org/fileadmin/user_upload/animalwelfare/Il %20benssere%20deibovinie%20dei%20suini.pdf

(18)

L'alternativa è la stabulazione fissa, utilizzata spesso negli allevamenti di medie dimensioni, dove gli animali vengono legati o obbligati in pochi metri quadrati, specialmente i bovini all'ingrasso. Nelle strutture più grandi invece si tende a non farlo, non per un maggior benessere dell'animale, ma perché slegare e rilegare molti capi per la mungitura, lo spostamento eccetera aumenta i costi di manodopera.

In entrambi i casi, l'iter è il medesimo: le mucche vengono ingravidate attraverso la fecondazione artificiale ogni anno, in quanto, come tutti i mammiferi, se non in gravidanza smetterebbe di produrre latte. Una volta nato il vitellino verrà separato dalla madre immediatamente o comunque dopo pochi giorni e alimentato in box tramite latte artificiale modificato, al fine da mantenere la sua carne bianca. Resterà in box fino a macellazione, che può avvenire dalla nascita fino agli otto mesi per la carne di vitello, dagli otto ai dodici mesi per il cosiddetto “vitellone”, e così via.29

Il latte della madre verrà dunque destinato al consumatore e prelevato attraverso una mungitrice meccanica, attaccata alla mammelle della madre per diverse ore all'interno del suo box o in apposite aree da mungitura. La mucca da latte verrà abbattuta nel giro di quattro, otto anni al massimo, quando la produzione di latte cala oppure quando non sarà più letteralmente in grado di reggersi sulle proprie zampe a causa delle forti carenze che una tipologia di vita del genere impone, nei non rari casi di “mucca a terra”. Una mucca in natura vivrebbe circa quarant'anni.30

Andando a considerare l'andamento del consumo di questa tipologia di carne nel nostro Paese, si nota una forte crescita iniziale, negli anni '60-'80, dovuto sicuramente in larga parte ad una crescita del benessere economico dopo le due guerre mondiali: il consumo di carne bovina passa in questo ventennio da 14,85 kg a più di 26 kg negli anni ottanta. In questo periodo infatti iniziarono a svilupparsi e a crescere sempre più gli allevamenti intensivi in pianura padana, tutt'oggi tra i più importanti in Italia.

29 https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/6533 30 E. Schlosser, M. Gini, Fast food nation. Il lato oscuro del cheeseburger

(19)

VARIAZIONI CONSUMO MEDIO PRO CAPITE DI CARNE BOVINA IN ITALIA:

Fonti: Banca Mondiale, FAO, Istat

Ad oggi il consumo medio pro capite di questo animale si aggira intorno ai 21 kg: la diminuzione è dovuta molto probabilmente ad aspetti salutistici, che negli anni più recenti tendono a spingere la popolazione verso la riduzione di carne rossa.

1.3.1. Allevamenti di suini:

Gli allevamenti suini si presentano come enormi fabbricati dove gli animali vengono tenuti perennemente al buio o comunque alla semi oscurità, in quanto la luce non incide sulla loro crescita o produzione (come invece avviene, ad esempio, con le galline ovaiole). Vengono collocati in gabbie suddivisi in base al taglio di carne che diventeranno: i maiali destinati a diventare salumi, detti “pesanti” dovranno raggiungere un peso di circa 160, 180 chilogrammi; i maiali allevati per produrre carne dovranno avere un peso medio di 110 chilogrammi.31

(20)

http://www.rivistadiagraria.org/articoli/anno-2008/suini-tecnica-di-Il decreto legislativo numero 122 del 7 luglio 2011, recepito sempre grazie ad una direttiva europea, stabilisce norme minime per la protezione dei suini, grazie al quale vi sono stati alcuni cambiamenti significativi.32

Tra queste norme vi è il divieto parziale, entro 11 anni da ora, di utilizzo delle cosiddette “gabbie di gestazione”, dove le scrofe vengono completamente immobilizzate per tutta la durata della gestazione (circa quattro mesi). Al momento, oltre a tale limitazione, i maiali hanno a disposizione un metro quadro a testa, per animali che spesso superano i 110 kg33 possono venire isolati nonostante siano animali iper-sociali, e castrati e mutilati entro i primi sette giorni di vita.34

Le scrofe vengono macellate dopo il quinto/settimo parto, ossia circa a tre anni e mezzo di vita. Gli altri maiali invece possono essere macellati all'età di cinque mesi per avere della carne magra, a un anno per insaccati e prosciutti, e così via.35

La suinicoltura ha avuto in Italia un costante aumento negli ultimi anni, e ad oggi si calcolano all'incirca 9 milioni di animali nel nostro Paese.

VARIAZIONI CONSUMO MEDIO PRO CAPITE DI CARNE SUINA IN ITALIA:

Fonti: Banca Mondiale, FAO, Istat

allevamento/

32 S. Castiglione, L. Lombardi Vallauri, Trattato di Biodiritto. La questione

animale,op.cit., p. 870

33 http://www.ilfattoalimentare.it/maiali-regole-benessere.html 34 http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_normativa_1371_allegato.pdf

(21)

Confrontando questo grafico con quello relativo ai consumi di carne bovina, si può notare come fino agli anni '80 prevalesse la prima, per poi passare ad una rapida crescita della carne di maiale, che passa da meno di 13kg pro capite negli anni '70, a più di 31 kg pro capite negli anni '90. Ciò a causa soprattutto dell'aumento del prestigio della salumeria italiana, come il Prosciutto Crudo di Parma o quello di San Daniele. Anche questa tipologia di carne rossa ha però avuto un arresto della produzione, anche se in misura minore rispetto a quella bovina.

1.3.3. Allevamenti di pollame:

Possono essere suddivisi in due grandi categorie: allevamenti per la produzione di carne, e allevamenti volti alla produzione di uova.

Sono gli animali con meno tutela in realtà, sottoposti ad una elevata densità di capi in spazi ristretti e regolamentata attraverso “norme minime” da dover rispettare per la loro protezione, stabilite in un Decreto Legislativo del 2010. L'art. 3 stabilisce la densità massima di allevamento di 33 kg/m

²

(con deroghe che possono portare fino a 39 kg/m²),36 obbliga a dare ai polli dei periodi di buio di almeno 4 ore (spesso gli animali vengono lasciati 24/24 alla luce, perché aumenta la produzione), l'accesso ad una lettiera pulita e “sufficiente ventilazione”.37

In Italia vi sono al momento quattro tipologie intensive di allevamento per le galline ovaiole, che viene impresso sulle uova attraverso un numero che va da 0 a 3 per indicare l'allevamento di provenienza.

Il numero 3 si riferisce all'allevamento in gabbia, teoricamente vietato, in queste condizioni, da diversi anni. Nella pratica ancora oggi almeno 20 milioni di galline in Italia vengono ancora allevate in questo metodo. In

36 http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/10181dl.htm 37 Ibidem

(22)

queste gabbie tutto è automatizzato, le galline sono considerate letteralmente macchine per la produzione di uova, chiuse in gabbie dove non possono letteralmente muoversi, se non per mangiare: la densità degli individui è di circa 18 galline a metro quadro.

Dal 1 gennaio 2012 la situazione è, quantomeno sulla carta, migliorata grazie all'Unione Europea, che ha vietato gli allevamenti di galline ovaiole nelle classiche gabbie a batteria sopracitate, dove l'animale non aveva spazio per fare nemmeno un passo e gli esemplari con zampe atrofizzate erano moltissimi. Da tale data gli animali devono essere allevati o a terra (con una densità comunque molto elevata) oppure in gabbie che diano almeno 750 cm² di spazio a ciascuna gallina e, sempre teoricamente, la possibilità di avere una lettiera, un nido e dei posatoi.38

Nella pratica, le nuove gabbie hanno una densità leggermente minore, ma l'affollamento resta alto e opprimente. Vi è l'aggiunta di un posatoio, ossia in concreto un tubo di plastica sul quale le galline possono salire, anziché stare costantemente su grate di ferro inclinate per favorire la discesa delle uova verso gli appositi raccoglitori.

Il nido introdotto nella pratica consiste in alcune strisce di plastica che separano a mò di separé una parte di gabbia, niente di più.

Sono modifiche sulla carta molto positive, nella pratica ciò che è cambiato è davvero poco.

Il tipo 2 rappresenta uova derivanti da un allevamento a terra: circa 8 milioni di galline in Italia viene allevata in questo modo. In questo allevamento, rigorosamente al chiuso, ogni parte del capannone viene letteralmente riempita di animali, che si beccano e si spennano per lo stress dovuto all'affollamento. Vi possono anche essere una sorta di terrazzamenti, di modo da poter occupare il capannone anche verticalmente ed aumentare il numeri di capi. Gli animali vivono inizialmente in aree con pavimenti ricoperti di paglia, ma nel giro di brevissimo tempo, vista l'alta densità, tale area verrà ricoperta di piume,

(23)

escrementi e animali deceduti. La pulizia viene infatti svolta solamente a capannone vuoto, e quindi quando gli animali saranno tutti trasferiti verso il macello, o verso gli allevamenti per la produzione di uova.

Infine, il tipo 1 indica allevamenti a terra, e 0 allevamenti di tipo biologico. Tra questi due, nella maggior parte dei casi l'unica cosa che cambia è il mangime, biologico appunto per quest'ultimo. Una serie di blitz hanno mostrato come in realtà queste galline vengono comunque tenute al chiuso se non per brevissimi periodi, perché in alternativa la produzione di uova a causa di una diversa temperatura ne risentirebbe.

Le galline ovaiole vivono circa un anno e mezzo, poi vengono mandate al macello per diventare carne di seconda scelta. A questà eta infatti il rendimento di produzione cala, ed è più conveniente sostituirle con galline più giovani. Ogni italiano consuma circa 220 uova all'anno.

Secondo dati della FAO, per quel che riguarda invece gli allevamenti avicoli da carne solo l'80% dei polli riesce a sopravvivere fino al macello, la restante percentuale muore prima, spesso a causa di malformazioni, fratture, infezioni. La mortalità è un fattore calcolato e considerato, e gli animali malati o feriti non vengono minimamente considerati, né curati né soppressi, vengono semplicemente lasciati morire.

La razza più utilizzata è la razza “broiler”, selezionata per riuscire ad avere una crescita molto rapida, ma moltissimi individui non riescono a reggere questa crescita fuori misura, essendo più o meno come se un bambino di due anni di vita si ritrovasse a pesare 300 chili. Verranno uccisi dopo 40 giorni di vita.39

39

(24)

VARIAZIONI CONSUMO MEDIO PRO CAPITE DI POLLAME IN ITALIA:

Fonti: Banca Mondiale, FAO, Istat

Il consumo di pollame non ha subito i cali visti precedentemente per la carne rossa in quanto non è stata considerata potenzialmente cancerogena; anzi, è passata dall'essere consumata nel 1961 a circa 5,37 kg pro capite fino a 19 kg a testa nel 1990. Subì dei picchi nel 2003 e nel 2006 a causa della paura per la cosiddetta “influenza aviaria”, risalendo però rapidamente negli ultimi anni, fino ad una media odierna di 18/19 kg a persona.

L'aumento della produzione di prodotti di origine animale su così larga scala avrebbe dovuto essere accompagnato da leggi che tutelassero in modo efficace sia i consumatori che gli animali. Purtroppo invece sono state spesso comprovate le mancate attuazioni di tali norme, a seguito di ispezioni degli allevamenti da parte di associazioni animaliste che hanno in una moltitudine di casi documentato violazioni gravi, soprattutto relativamente alla densità degli animali negli allevamenti, nella maggior parte dei casi ammassati gli uni agli altri. 40

Secondo le più recenti norme europee, l'allevamento intensivo non “deve sacrificare la dignità animale alle esigenze umane. In particolare si deve evitare di infliggere agli animali sofferenze sproporzionate all'utile

40

(25)

economico che si può realizzare.”41

Il problema è che tale indicazione è altamente relativa, e il valore economico spesso supera di gran lunga quello dato alla dignità animale:

“Se un determinato mangime, ciclo produttivo, genere di macellazione consente un maggior guadagno ma tormenta

l'animale, non ci sono problemi, si va avanti. Così ragiona l'industria dell'allevamento intensivo”42

41 G. Querini, La tutela dell'ambiente nell'unione europea, Franco Angeli Editore,

Milano, 2007, p. 67

(26)
(27)

CAPITOLO 2

IL CONSUMO DI RISORSE

L’alimentazione basata su animali o su prodotti animali ha innanzitutto come diretta conseguenza il consumo di moltissime risorse, soprattutto per quel che riguarda l’energia e l’acqua43, che deve poi tra

l'altro essere depurata, impiegando nuovamente risorse.

2.1. Acqua

Grandissime quantità d’acqua sono destinate agli allevamenti sotto diverse forme: per abbeverare gli animali, per la pulizia degli allevamenti stessi, e soprattutto per l'agricoltura.

Fonte: rielaborazione dati FAO

43 S.Castiglione, L. Lombardi Vallauri, Trattato di biodiritto, op. cit., p. 169. 70%

10% 20%

Percentuale di utilizzo dell'acqua:

mangimi e allevamento consumo umano

(28)

È questo infatti il settore che maggiormente grava sullo spreco di questa indispensabile risorsa. In totale, si stima che ben il 70% dell'acqua utilizzata sull'intero pianeta venga utilizzata nella zootecnia e nell'agricoltura.44 Ma tale agricoltura per la maggior parte non è destinata all’uomo, bensì all’allevamento del bestiame stesso.

Il consumo di acqua viene anche definito come Water footprint, ossia la stima del consumo di acqua dolce utilizza per produrre un prodotto, che viene fatta calcolando e poi sommando tutte le fasi della produzione di quest'ultimo. Ci si riferisce ad un consumo di acqua “virtuale”, in quanto l'acqua consumata non si ritroverà poi nel prodotto finale in modo fisico, ma è stata consumata durante il ciclo di vita di questo. Si possono suddividere i consumi di acqua in tre grandi categorie così definite:

• Blue water: ci si riferisce all'acqua che deriva da laghi, fiumi o falde sotterranee che viene utilizzata per l'irrigazione dei campi e nella filiera produttiva, e che non viene restituita al bacino di prelievo45; è quindi considerabile come acqua “sottratta”.

• Green water: racchiude in sé l'acqua proveniente dalle precipitazioni e dal suolo, ed è la principale acqua che viene utilizzata lungo la filiera produttiva dei prodotti di origine animale;

• Grey water: ovvero l'acqua usata, consumata e inquinata nei vari passaggi della catena di produzione dei prodotti di origine animale.46Viene misurata come la quantità di acqua che sarebbe necessaria per diluire gli inquinanti e riportare la stessa ad essere nuovamente pulita.

44 M. Tettamanti, L'impatto sull'ambiente degli allevamenti,

http://www.scienzavegetariana.it/ambiente/imp_amb_vegag2004.html

45 http://carnisostenibili.it/2014/12/12/gli-alimenti-e-il-consumo-di-acqua/

46 M. Mele, G. Pulina, Alimenti di origine animale e salute, Franco Angeli Editore, Milano,

(29)

In tutte e tre le tipologie gli allevamenti intensivi consumano grandi quantitativi di acqua, a cui c'è da aggiungere poi l'inquinamento delle falde acquifere a causa delle deiezioni animali. La più rilevante resta però la componente di green water all'interno delle filiere degli allevamenti intensivi, nonché la più complicata da calcolare e variabile da zona a zona in base al clima, alla piovosità e così via.

Si stima che l'Animal Water Foorprint relativa ad un bovino da latte sia pare a circa quattro litri di acqua consumata per ogni litro di latte prodotto.47 Ciò significa che l'acqua utilizzata per produrre cinque chili di carne sono equivalenti al consumo di acqua di una famiglia media in un anno.

Basti considerare poi, per fare tale ragionamento all'inverso, che per produrre proteine animali è necessaria una quantità d’acqua di gran lunga superiore a quella necessaria per produrre la stessa quantità di proteine vegetali;48. Calcoli di questo tipo, facilmente reperibili in rete, portano a cifre che non lasciano dubbi circa la non sostenibilità della dieta carnea:

47 M. Mele, G. Pulina, Alimenti di origine animale e salute, Franco Angeli Editore, Milano,

2016, p. 134

48 SaiCosaMangi.Info, Dalla fabbrica alla forchetta, op. cit., p. 19.

ALIMENTO

patate

500 litri

frumento

900 litri

grano

900 litri

mais

1400 litri

riso

1900 litri

soia

2000 litri

pollo

3500 litri

manzo

100000 litri

Litri di acqua per

produrne un kg

(30)

Seguendo la tabella sovrastante, per produrre un chilo di carne di manzo sono necessari circa 100.000 litri di acqua; ne bastano invece 500 per un chilo di patate, o 2000 per un chilo di soia e così via.49 È palese il netto risparmio che si avrebbe destinando tali colture direttamente all'uomo, utilizzando le risorse in maniera nettamente più efficiente e produttiva.

Un recente rapporto FAO relativo al “World Water Day” riassume bene tutti questi concetti; in una delle prime pagine scrive:

“Il mondo ha sete a causa del nostro fabbisogno di cibo. La terra, oggi, deve sfamare sette miliardi di persone. Una cifra destinata ad aumentare a nove miliardi entro il 2050. Per poter sfamare tutti, dobbiamo in primo luogo garantire l’acqua, in quantità sufficiente e qualità adeguata. Dovremo anche produrre più cibo usando meno acqua, ridurre gli sprechi e le perdite e andare verso diete più sostenibili.”50

2.2. Terra

Il consumo di terra può essere inteso in due modi differenti: l'occupazione effettiva di spazi di terreno, e dunque considerabili come parti di terra che vengono sottratti alla natura per produrre alimenti di origine animale; oppure come consumo vero e proprio della terra, ossia come erosione e desertificazione, che verrà approfondito nel capitolo successivo.

L'aumento del benessere ha portato a miliardi di persone che richiedevano più cibo, più prodotti, più spazio, ed ad un aumento esponenziale delle terre destinate alla zootecnie e all'agricoltura:

49 D. Pimmentel, M. Pimmentel, Sustainability of meat-based and plant-based diets

and the environment, Am J. Clin Nut, 2003, p. 78

(31)

Fonte: rielaborazione dati FAO

Ben il 70% della terra è utilizzato per la produzione zootecnica e agricola, specialmente per la coltivazione di foraggio. Il boom della ricerca di nuove terre da coltivare ha dato il via ad una desertificazione su larga scala, abbattendo foreste e bonificando territori per fare spazio alle coltivazioni:

“Sarà però la dissipazione delle foreste a rivelarsi la più grande delle follie causate dalla domanda di carne. Storicamente, la ricerca di terra da pascolo per gli animali è stato il motivo dominante del disboscamento. Lo è ancora oggi.

[...] Nel corso degli ultimi venticinque anni, quasi la metà delle foreste pluviali tropicali del Centro America è stata distrutta, in gran parte per fornire carne di manzo all'America del Nord.” 51

La FAO ha calcolato che circa il 70% delle aree già disboscate della foresta amazzonica sia stato utilizzato per gli allevamenti, ed il restante per

51 P. Singer, Liberazione animale, op. cit. p. 180.

70%

22%

Percentuale di utilizzo delle terre nel mondo:

mangimi e allevamen-to

consumo umano altro

(32)

la coltivazione di foraggio per il bestiame. Grazie a devastanti incendi gigantesche aree vengono disboscate (senza alcuna remora nei confronti degli animali, ed a volte delle persone, che vi abitano) creando nuove zone fertili che verranno utilizzate per due o tre anni, per poi ripetere l'operazione.

Questo fenomeno è destinato a ripetersi e ad ingigantirsi nel corso degli anni, visto il forte aumento di consumi di tali tipo di alimenti nei Paesi in via di sviluppo.

Se tutta l'umanità iniziasse a mangiare carne allo stesso ritmo occidentale, ossia circa 80/100 kg pro capite all'anno, sarebbe necessaria una superficie pari a due o tre volte quella di tutta la terra stessa52, da adibire al pascolo e soprattutto alle coltivazioni per il foraggio destinato a nutrire gli animali, quando invece si avrebbe un consumo nettamente minore di terra destinandola alla produzione di vegetali per uso umano:

Secondo questi dati, elaborati dalla Global Hunger Alliance53, è chiaro quanto risparmio di terra si avrebbe destinandola a determinati alimenti

52 C. Modonesi, G. Tamino, I. Verga, Biotecnocrazia. Informazione scientifica,

agricoltura, decisione politica, Jaka Book, Milano, 2007, pp. 123-124

53 http://globalhunger.net/ PATATE 22 persone RISO 19 persone MAIS 17 persone GRANO 15 persone LATTE 2 persone POLLO 2 persone UOVA 1 persona CARNE 1 persona

QUANTE PERSONE SFAMA UN ETTARO DI TERRA

(33)

piuttosto che altri. Un ettaro di terra basterebbe per produrre patate a sufficienza per ben 22 persone, ed al contempo lo stesso ettaro può venire letteralmente sprecato per produrre prodotti di origine animale per una, massimo due persone.

2.3. Energia

Il mantenimento di un grandissimo numero di animali all'interno degli allevamenti, la manutenzione, pulizia e smaltimento dei rifiuti all'interno di questi ultimi, nonché degli animali stessi, richiede un quantitativo enorme di energia; si stima che il 90% di questa si perda poi lungo la catena produttiva.54

In media, per produrre un kg di carne di manzo viene utilizzata circa una quantità di energia sufficiente per tenere accesa una lampada da 100W per 20 giorni.55 Bisogna infatti pensare ad ogni fase del ciclo produttivo del prodotto di origine animale: vi è innanzitutto l'energia utilizzata per la produzione degli alimenti destinati agli animali, per utilizzare i macchinari necessari (come ad esempio le mungitrici elettriche), per mantenere areati gli edifici con enormi impianti di ventilazione, l'energia destinata ad un'illuminazione quasi costante, eccetera.

Soprattutto il trasporto degli animali destinati al macello, e dei prodotti che ne derivano verso le diverse aree di lavorazione, portano a costi energetici molto alti; a questi vanno poi sommarti il confezionamento e lo stoccaggio. In particolare la lavorazione ed il trasporto del latte costituiscono rilevanti emissioni di CO2.56

L'energia può essere presa in considerazione anche da un altro punto di vista: secondo uno studio dell'economista F. Lappè intitolato “Diet for a

54 C. Modonesi, Biodiversità e beni comuni, Jaka Book, Milano, 2009, p. 135 55 A. Segrè, Vivere a spreco zero, Marsilio Editori, Venezia, 2013, p. 48

56 A. Sandrucci, "Allevamenti e ambiente." Controllo dell’impatto ambientale degli

(34)

Small Planet”,57 negli Stati Uniti vengono prodotti circa 145 milioni di tonnellate di cereali e soia; considerando che da questi vengono ricavati solamente 21 milioni di tonnellate di carne, latte e uova, ne si può conseguire che lo spreco energetico, in questo caso a livello calorico, è davvero elevato. Infatti con una semplice sottrazione, si giunge alla conclusione che 124 milioni di tonnellate di cibo, che avrebbero potuto sfamare migliaia di persone, sono andate sprecate per soddisfare le nostre papille gustative.

57 A. F. Smith, Food and drink in American History, ABC-CLIO, Santa Barbara, California, 2013,

(35)
(36)

CAPITOLO 3

LE CONSEGUENZE

Oltre a ciò che fisicamente consuma, l'allevamento intensivo su larga scala reca anche importanti conseguenze in svariati campi del nostro vivere. In alcuni di essi, come l'aria o direttamente sulla popolazione, gli effetti sono così profondi da avere ripercussioni che difficilmente potranno essere sanate nel corso degli anni.

3.1. Inquinamento

La produzione di alimenti di origine animale provoca elevatissimi livelli di inquinamento, causati principalmente dalle deiezioni animali e dai pesticidi utilizzati per le colture,58 accompagnati dall'ormai incessante uso

del petrolio e di altre energie non rinnovabili; questo soprattutto a causa delle industrie che ancora non usano energie verdi, e per l'assenza di politiche ambientali adeguate alla soluzione di tali problemi. Il tutto contribuisce ad alterare l'equilibrio della natura.59

“Gli allevamenti intensivi presentano un notevole impatto ambientale negativo. L'elevata concentrazione di animali, in spazi molto ristretti, comporta ingenti flussi di rifiuti solidi, liquidi e aeriformi

con un duplice inconveniente: da una parte non è possibile smaltire tali rifiuti in modo ecologicamente corretto, se non a costi molto elevati; dall'altra diviene non praticabile il tradizionale riuso dei rifiuti

come fertilizzante naturale.”60

58 S. Castiglione, L. Lombardi Vallauri, Trattato di Biodiritto. La questione animale,

op.cit., pp. 160-165.

59 http://www.fao.org/docrep/010/a0701e/a0701e00.HTM

60 G. Querini, La tutela dell'ambiente nell'unione europea, Franco Angeli Editore, Milano, 2007,

(37)

3.1.1. Inquinamento del suolo e delle falde acquifere

Oltre all'inquinamento derivante dall'uso di pesticidi e fertilizzanti che filtrano nel terreno, anche le deiezioni animali, prodotte in enorme quantità, causano spesso la contaminazione sia del suolo che delle falde acquifere sottostanti, aumentando in esse il contenuto di nitrati e nitriti.

Un esempio lampante può essere l'allevamento dei suini, dove i liquami totali ammontano in media a 50 litri giornalieri per ogni singolo animale.61 Questo appunto perché non siamo più di fronte ad un allevamento di tipo tradizionale, dove il concime prodotto dagli animali è di adeguate quantità e diventa realmente un grande aiuto per la fertilizzazione dei terreni. Ora i concimi sono composti anche da residui farmacologici, ormoni e altre sostanze inquinanti, e creano in quantità così elevate un eccesso di azoto, fosforo, ammoniaca e metalli pesanti, che si disperdono poi nell'ambiente.62

Le acque reflue derivanti poi hanno un alto potenziale eutrofizzante, ossia un'eccessiva presenza di nutrienti in grado di aumentare la presenza di alghe e parassiti che di essi si nutrono.63

Alle deiezioni animali vanno poi sommati gli scarti della macellazione, di volume notevole considerando che ogni anno vengono uccisi più 56 miliardi di animali.64 Nonostante molte parti vengano comunque utilizzate in altre maniere, come le pelli nell'industria conciaria, o la carne separata meccanicamente (CSM) dalle ossa per la produzione di wurstel,65 grandi quantità (viscere, zoccoli, ghiandole..) devono essere trattate come materiale di scarto, andando ad aumentare la produzione dei rifiuti nel mondo in quantità non indifferente.

61 S. Fumich, Cronache Naturali, Lulu.com, 2008, p184

62 I. di Girolamo, A. Mantovani, Popolazioni animali e rischi ambientali, Istituto

Superiore di Sanità, 2009 p. 78

63 L. Prati, G. Galotto, Scarichi, inquinamento idrico e difesa del suolo, Milanofiori

Ipsoa, Roma, 2008, pp. 43-46

64 http://www.abolitionistapproach.com/media/pdf/2007-glipha-stats.pdf

65

(38)

Le grandi quantità di prodotti chimici utilizzati poi nell'agricoltura finalizzata alla produzione di foraggio, quali pesticidi ed erbicidi, contribuiscono all'inquinamento del terreno e delle falde acquifere sotterranee, a cui va a sommarsi l'inquinamento derivante dall'uso di macchinari per la raccolta e la semina, degli impianti di lavorazione e stoccaggio, e così via.66

3.1.2. Dell'aria

L'inquinamento dell'aria può anche essere considerato utilizzando il metro di misura del cosiddetto “Carbon Footprint”, che va ad identificare l'impatto di un determinato prodotto relativamente alle emissioni di anidride carbonica durante tutto il ciclo di vita di quest'ultimo: detto in altre parole, va ad indicare il cosiddetto effetto serra potenziale di un sistema.67

Per quel che riguarda i prodotti di origine animale l'impronta consiste principalmente in:

• Metano (CH4): prodotto soprattutto dalle emissioni di gas dovute ai processi digestivi dei bovini e dagli escrementi animali; in termini di importanza è il secondo gas responsabile dell'effetto serra, dopo la CO2. In realtà, in termini di quantità, è molto inferiore a quest'ultima, ma grava sul riscaldamento globale in maniera nettamente più pericolosa. Il 35/40% del metano di origine antropica deriva dalla zootecnia.68

• Biossido di Carbonio (CO2): in conseguenza all'uso di combustibili fossili, sia nella coltivazione delle materie prime che durante la

66 http://www.scienzavegetariana.it/ambiente/imp_amb_vegag2004.html

67 G. Pulina A. H. D., Francesconi, M. Mele, B. Ronchi, B. Stefanon, E. Sturaro, Sfamare un

mondo di nove miliardi di persone: le sfide per una zootecnia sostenibile, Italian Journal of Agronomy, 2011, 6(2s), p. 7.

68 A. Sandrucci, "Allevamenti e ambiente, Controllo dell’impatto ambientale degli allevamenti

(39)

lavorazione, l'imballaggio, e il trasporto dei prodotti. È il principale gas serra, derivante da molte attività dell'uomo, del quale gli allevamenti intensivi risultano essere abbastanza marginali (si calcola che siano responsabili del 9% delle emissioni di CO2 di origine antropica).69

• Protossido di azoto (N2O); gas serra derivante dall'uso di fertilizzanti nei quali è presente azoto nei processi agricoli, e dagli escrementi animali. In ordine di importanza è il terzo gas serra, e contribuisce all'assottigliamento della strato di ozono. Si calcola che circa il 65% del protossido di azoto antropogenico derivi dalla zootecnia,70 una cifra veramente importante.

In questo caso si parla di Animal carbon footprint, che varia molto da specie a specie e dal tipo di prodotto che si vuole ottenere; per tentare di calcolarlo è stato sviluppato un modello matematico che tenesse però in considerazione soltanto l'allevamento (non tenendo conto dunque delle culture per il foraggio, dell'ingrassamento, e della commercializzazione del prodotto). Così si è potuto calcolare che per allevare un bovino viene prodotta mediamente 1636kg di CO2eq all'anno;71 tanto per poter dare una comparazione, la produzione di un kg di banane ne produce 0,5 kg, un'auto media invece circa 540 g per percorrere un miglio di distanza.72

Diversi studi, molti dei quali commissionati dall'agenzia ONU per l'Alimentazione e l'Agricoltura, dimostrano come le emissioni di gas serra provenienti dal settore agricolo e quello zootecnico stiano negli anni aumentando vertiginosamente: nel 2011 il 39% delle emissioni del settore agricolo derivò dal metano prodotto dalla digestione degli animali, aumentando dell'11% rispetto al 2001.73

69 A. Sandrucci, "Allevamenti e ambiente, Controllo dell’impatto ambientale degli

allevamenti animali, 2009, p.5.

70 Ibidem

71 M. Mele, G. Pulina, Alimenti di origine animale e salute, Franco Angeli Editore, Milano, 2016,

p. 31

72 http://www.focus.it/ambiente/ecologia/il-comparatore-di-c02#/bp_2008%22%0D 73 FAO: Aumentano le emissioni di gas serra dall'agricoltura

(40)

Sempre secondo un rapporto FAO, tali allevamenti intensivi hanno dunque il triste primato di maggiori produttori di gas serra. Più dei trasporti, delle industrie, di qualunque altra cosa. Il 18% del gas serra prodotto a livello globale deriva dagli allevamenti di animali contro il 13,5% dell'intero settore dei trasporti, aviazione compresa.74

Causa più inquinamento quindi “allevare mucche che guidare macchine”.75

Negli Stati Uniti è stato effettuato uno studio76 secondo il quale, utilizzando i dati dell'Economic Research Service,77 un americano produce per la sua nutrizione in media 2,5 tonnellate di CO2 pro capite all'anno. Nel grafico sottostante si può osservare la percentuale relativa a ciascun alimento, incluso il cibo che viene scartato e buttato:

Fonte: rielaborazione dati ERS

http://www.fao.org/news/story/it/item/224411/icode/

74

http://archivio.panorama.it/scienza/dieta/Ambiente-Vegan-Society-con-dieta-veg-1-5-tonn-CO2-a-persona-l-anno

75 http://www.fao.org/newsroom/it/news/2006/1000448/ 76 http://shrinkthatfootprint.com/shrink-your-food-footprint

77 La Economic Research Service è la più importante fonte di ricerca del

dipartimento degli Stati Uniti per l'agricoltura.

31%

13%

18%

12%

5%

6%

7%

2%

6%

Emissioni di CO2 per alimento

MANZO E AGNELLO POLLO, PESCE, SUINO LATTICINI CEREALI E PANE VERDURA FRUTTA OLIO ZUCCHERO E SNAKS BEVANDE

(41)

Come si può notare immediatamente le maggiori emissioni derivano dalla carne, in special modo dalla carne bovina (0,8 t), dai prodotti lattiero-caseari (O.5 t) e dai prodotti avicoli (0,3 t).

Va precisato però che queste alte percentuali non derivano da un'alimentazione completamente sbilanciata verso i prodotti di origine animale, ma semmai dal fatto che, anche in piccole percentuali, i livelli di inquinamento di questi ultimi hanno livelli di produzione di CO2 altissimi rispetto ai prodotti vegetali: in totale il 62% delle emissioni deriva da carne, latte e uova.

3.2. Erosione del suolo e deforestazione

L'aumento vertiginoso di gas serra a cui stiamo assistendo è dovuto anche al processo di deforestazione: le piante abbattute per fare spazio alle colture intensive infatti emettono grandi quantità di anidride carbonica durante il loro utilizzo, e smettono chiaramente al contempo di trasformarla, attraverso la fotosintesi clorofilliana, in ossigeno.

La maggior parte delle aree che vengono disboscate si trovano nel Terzo Mondo, specialmente in America Latina,78 e vengono utilizzate sia per aumentare i terreni agricoli che per i pascoli di bestiame, specialmente bovino: dagli anni Sessanta ad oggi in Brasile, Colombia e Bolivia, tanto per citarne alcuni, sono stati bruciati decine di milioni di ettari di foresta, più di un quarto dell'intera estensione delle foreste centroamericane.79

In tutte queste aree disboscate moltissimi animali praticamente ammassati gli uni sugli altri portano ad una forte erosione del suolo ed una conseguente desertificazione, che costringe nel giro di pochi anni a dover cambiare zona, spostandosi in un area ancora verde. La foresta

78 G. Alberti, Cambiamento climatico, deforestazione e destino dell’Amazzonia,

Forest@-Journal of Silviculture and Forest Ecology, 2008, 3

(42)

sudamericana è soltanto uno dei tanti esempi delle terre destinate al pascolo che vengono distrutte quotidianamente in questa maniera, pari a circa il 26% delle terre emerse totali.80

In realtà questo problema tocca anche gli Stati Uniti: oggi il Paese, a causa della progressiva erosione e desertificazione del suolo, ha perso molto del suo strato di humus, e Stati come lo Iowa, in passato considerato tra gli Stati più agricoli del mondo, “in un solo secolo ha perso più di metà del suo strato superficiale”.81

Ad oggi, l'allevamento intensivo è considerato la principale causa della desertificazione.82Le conseguenze sono, oltre a quelle già citate, un maggior impoverimento dei terreni, che senza alberi riescono a trattenere in maniera nettamente meno efficace le acque, aumentando così le frane e le inondazioni, e limitando l'approvvigionamento delle falde acquifere sotterranee con una conseguente maggiore siccità.

Inoltre, il disboscamento e la desertificazione sottraggono l'habitat naturale a molte specie, e mettono in pericolo la possibilità di sostentamento di più di un miliardo di persone. Le zone aride ad oggi rappresentano il 41,3% delle terre emerse, e vi vive una persona su tre.83

3.3. Riscaldamento globale e cambiamenti climatici

Il riscaldamento globale può indubbiamente trovare tra le sue cause gli allevamenti intensivi. Con questo termine si va ad indicare tutti quei mutamenti, in parte naturali ed in parte dovuti all'uomo, che possono essere osservati nel nostro pianeta e che portano a minare il suo equilibrio. Questi mutamenti possono essere attribuiti in larga parte ai gas serra, che

80 S. Castiglione, L. Lombardi Vallauri, Trattato di biodiritto, Giuffrè, op. cit., pp. 148-149. 81 J. Rifkin, Ecocidio, ascesa e caduta della cultura della carne, Mondadori, Milano, 2001, p. 57 82 S. Lucci, S. Poletti, Lo sviluppo sostenibile, Alpha Test, 2004, p. 44

83

(43)

come già detto vengono prodotti anche dagli allevamenti intensivi in misure non indifferenti.

I gas serra tendono ad intrappolare il calore nell'atmosfera, portando a squilibri come l'aumento delle piogge, l'innalzamento del livello dei mari, la progressiva scomparsa delle coste e molte altre disastrose conseguenze che si concatenano tra loro, portando ad un effetto domino che sta distruggendo l'ecosistema terrestre.

Tali fenomeni hanno, e avranno sempre di più, un impatto importante sulle attività dell'uomo, che siano esse di natura economica, agricola o relative al benessere umano. Vanno inoltre a distruggere interi ecosistemi, portando all'estinzione di diverse specie animali e aumentando in misura e gravità gli eventi meteorologici come tifoni, maremoti e così via.

In un famoso documentario Al Gore, ex vicepresidente statunitense e Nobel per la pace per il suo impegno ambientale, spiega chiaramente i cambiamenti climatici che anche a causa nostra si stanno verificando nel nostro pianeta, portando allo scioglimento dei ghiacci, all'effetto serra, alla registrazione di temperature mai viste e di cicloni ed uragani che mai si erano presentati con tale forza.84

Tirando le somme, i più recenti studi dimostrano che dagli allevamenti intensivi derivi circa il 20% dei gas serra totali.85 Considerando poi che la FAO prevede un aumento della domanda di carne pari al +73% entro il 2050, le prospettive non sono certo delle più rosee.86

84 A. Gore, Un inconventient truth, Paramount Classics, 2006.

85 http://www.repubblica.it/ambiente/2015/11/27/news/pericoli_industria_carne-128274534/ 86 Ibidem

(44)

3.4. Sfruttamento e impoverimento dei paesi in via di sviluppo

Come già detto, la maggior parte degli allevamenti intensivi e dei terreni agricoli per il foraggio si trova nei Paesi in via di Sviluppo, specialmente in America Latina, nonostante il suolo non sia in realtà così favorevole a tali tipi di impieghi.

Il boom economico degli anni passati ha utilizzato, e utilizza tutt'ora, il sud del mondo come un serbatoio di risorse, togliendo ai Paesi sottosviluppati la possibilità di crescere, sia economicamente che socialmente, sottraendo materie prime e sfruttando le loro terre per l'allevamento e l'agricoltura.

“Se siamo seri, quando diciamo di voler mettere fine alla povertà, allora dobbiamo mettere fine ai sistemi che creano la povertà derubando i poveri dei loro beni comuni, dei loro stili di vita e dei loro guadagni. Prima di poter far diventare la povertà

storia, dobbiamo considerare correttamente la storia della povertà. Il punto non è quanto le nazioni ricche possono dare, il

punto è quanto meno possono prendere.”87

Così facendo, innanzitutto viene negato il diritto dei popoli a disporre delle ricchezze e delle risorse naturali delle proprie terre, e di conseguenza di crescere e svilupparsi. In realtà questo diritto ha una propria specifica salvaguardia all'interno delle Nazioni Unite,88 che nel 1952 approvarono una risoluzione che e riconosceva:

87 V. Shiva, Due miti che mantengono povero il mondo,

http://www.ecn.org/reds/donne/cultura/cultura0512VandanaShiva.html

88 V. Zambrano, Il principio di sovranità permanente dei popoli sulle risorse naturali

(45)

“...il diritto dei Paesi insufficientemente sviluppati di disporre liberamente delle loro ricchezze naturali e di utilizzarle in modo da poter realizzare al meglio i loro piani di progresso economico

conformemente agli interessi nazionali e di sviluppo dell'economia mondiale.”89

Fino a che però grande parte dei propri terreni è nelle mani delle multinazionali, questo resta un diritto sulla carta. Si stima che circa ogni anno 17 milioni di ettari di foreste tropicali vengano distrutte. Naturalmente la causa non è unicamente riconducibile agli allevamenti intensivi, ma grande parte della responsabilità è loro: circa il 70% delle zone disboscate in Costa Rica e a Panama sono ora diventate pascoli.90 Così facendo il suolo viene occupato, eroso e reso incoltivabile dalla popolazione, che nel frattempo soffre spesso la fame.

È soprattutto impressionante pensare che con tutto il foraggio letteralmente sprecato per nutrire gli animali potrebbero essere sfamate gran parte delle popolazioni che ancora oggi non hanno abbastanza da mangiare: per produrre 1 kg di carne sono necessari circa 15 kg di cereali, che potrebbero andare direttamente a sfamare le persone anziché gli animali da allevamento.

3.5. Salute umana

Il modo in cui scegliamo di nutrire il nostro corpo è la scelta più importante per poterci mantenere in salute: il filosofo Ludwig Feuerbach sosteneva che “siamo quello che mangiamo”.

Il modo in cui ci nutriamo ai giorni nostri, grazie al tipo di sviluppo a

89 Ibidem.

(46)

cui siamo giunti, sicuramente presenta non pochi difetti:

Consumiamo troppa carne troppi grassi, troppo zucchero, troppo sale. Siamo minacciati dal sovrappeso. rischiamo il diabete, la cirrosi epatica, l’eccesso di colesterolo e l'obesità [...] Va ricordato che gli obiettivi che la comunità internazionale

si è data all’alba del terzo millennio per il 2015 riguardano la salute per tutti e lo sradicamento della povertà, prima ancora

che la lotta contro le fonti di inquinamento.91

La modernità ci ha portato ad un’abbondanza tale da essere dannosa. Ad oggi si calcola che il 70% della popolazione è in sovrappeso, e di questi il 32% soffre di obesità.92 Chiaramente non è una questione

estetica ma salutare, in quanto con l’obesità aumenta il rischio di diabete, malattie cardiovascolari e respiratorie, che rappresentano il 49,5% delle cause di malattia nel mondo.93 Ed è anche una questione economica, visti

gli alti costi nella sanità per curare gli individui che hanno contratto una qualche malattia a causa del loro peso.

Non sono le istituzioni, ma l’uomo stesso che troppo spesso non se ne cura, perseguendo una vita sedentaria e un’alimentazione estremamente scorretta, fatta di snack, fast-food, ricchi di grassi e proteine animali. Gran parte delle colpe infatti sono da attribuire a questi ultimi, in perenne aumento, come si può chiaramente vedere in tabella:

91 S. Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 3 92 http://www.sio-obesita.org/documenti/sio_006.pdf

(47)

Un cambiamento radicale andrebbe quindi fatto anche nei confronti di quegli alimenti che ad oggi continuano ad essere considerati, per ignoranza o noncuranza, alimenti salutari. E per due aspetti ugualmente importanti: salute dell’uomo, e tutela dell’ambiente. La carne che oggi mangiamo non può essere considerata come un qualcosa di salutare, tenendo presente che, come detto, più del 90% degli allevamenti da cui deriva sono di tipo intensivo.

Allevamenti quindi dove gli animali vengono fatti crescere il più rapidamente possibile, nel minor spazio possibile e con la minore assistenza possibile, di modo da abbattere i costi di produzione ed avere al contempo la quantità maggiore di carne, latte o uova realizzabile. Animali sottoposti a pratiche crudeli, alimentati ad antibiotici ed alimenti ipercalorici, a ritmi veglia/sonno completamente alterati: quale tipo di alimento salutare potrebbe mai nascere da condizioni simili, dove l'unico obiettivo è

Riferimenti

Documenti correlati

• La digestione anaerobica offre interessanti prospettive per l’auto-sostentamento energetico di impianti finalizzati alla riduzione del carico azotato di effluenti

dell'impatto ambientale dell'allevamento zootecnico di pianura e per la valorizzazione dei prodotti di origine

Elenco dei Posti di Controllo Frontalieri autorizzati per gli animali di cui all'articolo 47, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) 2017/625 per i prodotti di origine

La definizione, il controllo delle caratteristiche nutrizionali, sensoriali, la sperimentazione e la coltivazione di Moringa oleifera e Salvia officinalis per garantire

La “ricotta pecorina stufata dei Berici” deriva dal processo di cottura ed essiccazione, un vero e pro- prio processo di stagionatura, della ricotta pecorina prodotta col siero

Il miele si ottiene da arnie stanziali o che vengo- no periodicamente spostate solamente all’interno del territorio montano di produzione; la raccolta del miele avviene sempre

Risolvi le tue esigenze di Benessere con il servizio di video consulenza online delle tue Farmacie Comunali Riunite. Con FCR puoi acquistare

"Riserva di nomina del contraente" ove è previsto che "nel momento della conclusione del contratto (1326) una parte può riservarsi la facoltà di nominare successivamente