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La conciliazione giudiziale alla luce delle recenti modifiche legislative

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di laurea magistrale in

Consulenza professionale alle aziende

TESI DI LAUREA

La conciliazione giudiziale alle luce delle recenti modifiche

legislative

Relatore:

Giulia Boletto

Candidato:

Lisa Menconi

ANNO ACCADEMICO 2015/2016

(2)

Alla mia famiglia, perché senza la loro presenza non sarebbe stato possibile raggiungere questo traguardo

(3)

LA CONCILIAZIONE GIUDIZIALE ALLA LUCE DELLE RECENTI

MODIFICHE LEGISLATIVE

Indice

Introduzione

1. Inquadramento generale dell’istituto

1.1. La natura giuridica

1.2. L’evoluzione normativa

1.3. Il dogma dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria

1.4. I riferimenti normativi

2. L’art.48 del D.lgs. 31 dicembre 1992 n.546

2.1. I soggetti legittimati a proporre la conciliazione

2.2. L’oggetto della conciliazione

2.2.1. Le liti di rimborso

2.2.2. La conciliazione delle sanzioni

2.2.3. Le liti soggette a reclamo

2.3. La conciliazione parziale

2.4. Il ruolo del Giudice competente

2.5. Il procedimento di conciliazione fuori udienza

(4)

2.7. Le differenze con la normativa ante D.lgs. 24 Settembre 2015, n.156

3. L’art.48-bis del D.lgs. 31 dicembre 1992 n.546

3.1. La conciliazione in udienza

3.2. Il perfezionamento dell’accordo e la cessazione della materia del contendere

3.3. Le differenze con la normativa ante D.lgs. 24 Settembre 2015, n.156

4. L’art. 48-ter del D.lgs. 31 Dicembre 1992 n.546

4.1. La definizione e il pagamento delle somme dovute

4.1.1. La riduzione delle sanzioni amministrative

4.1.2. Il versamento dell’importo dovuto

4.1.3. Il versamento rateale

4.2. Le spese di giudizio

4.3. Le differenze con la normativa ante D.lgs. 24 Settembre 2015, n.156

4.3.1. La conseguenza dell’omesso versamento delle somme o della

prima rata

4.3.2. L’omesso versamento delle somme: l’orientamento

dell’Amministrazione finanziaria, ante riforma 2015

4.3.3. L’omesso versamento delle somme: la posizione della

(5)

4.3.4. L’omesso versamento delle somme: la posizione della Corte di

Cassazione, ante riforma 2015

5. La conciliazione giudiziale nel sistema degli istituti deflattivi del contenzioso

5.1. La conciliazione giudiziale e il reclamo

6. Indisponibilità dell’obbligazione tributaria e discrezionalità

6.1. L’indisponibilità dell’obbligazione tributaria

6.2. La discrezionalità nel diritto tributario

6.3. L’indisponibilità e la discrezionalità negli istituti deflattivi del contenzioso

6.4. Conclusioni sull’ (in)disponibilità dell’obbligazione tributaria

(6)

Introduzione

Il D. Lgs. n. 156/2015, recante “Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e

del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n.23”, ha concretizzato la più ampia ed organica riforma della giustizia tributaria dall’approvazione del D. Lgs. 31 Dicembre 1992, n. 546.

Il legislatore delegato ha messo in atto un intervento di ampio respiro volto a ridisegnare

il sistema fiscale secondo i principi di semplificazione e certezza, con riguardo alla tutela

dei contribuenti e alla diminuzione del carico fiscale su di essi gravante.

Il tentativo di realizzare un sistema fiscale più equo e trasparente non avrebbe potuto

prescindere da un’organica razionalizzazione della disciplina del contenzioso tributario

in grado di garantire la parità delle parti processuali anche nelle liti tra contribuenti e

Fisco.

Una prospettiva nuova, dunque, che non considera più il contribuente come soggetto

sottoposto ai pubblici poteri ma un vero e proprio soggetto attivo al quale sono

riconosciuti diritti nei confronti dell’Amministrazione pubblica (primo fra tutti il diritto

di difesa).

Il presente lavoro, si propone di mettere in luce l’attuale disciplina della conciliazione

giudiziale, a seguito della riforma apportata con il D.Lgs. 156/2015, evidenziando i

(7)

1. Inquadramento generale dell’istituto

1.1. La natura giuridica

La Conciliazione giudiziale è uno strumento deflattivo [1] del contenzioso attraverso cui

definire, in via parziale o totale, la controversia pendente dinanzi alla Commissione

Tributaria di primo grado o di appello, prima della conclusione del processo, a seguito di

un accordo tra le parti.

Tale istituto ha suscitato un vivace dibattito concernente la sua natura giuridica in quanto

in dottrina si sono da sempre contrapposte due differenti ricostruzioni dell’istituto: la

prima (e tendenzialmente maggioritaria) configura la conciliazione giudiziale quale

istituto avente natura transattiva o valenza negoziale dove l’elemento chiave è

rappresentato dallo scambio di reciproche concessioni tra le parti; la seconda, al

contrario, fa leva sull’indisponibilità dell’obbligazione tributaria e sul principio di

legalità per escludere la natura transattiva della conciliazione e affermare che si è in

presenza di una forma di partecipazione del contribuente alla valutazione dei fatti da parte

dell’Amministrazione finanziaria.

Se volessimo fare un paragone tra la conciliazione disciplinata nel processo civile agli

art. 183 e seguenti del C.p.c. e la conciliazione prevista all’interno del processo tributario

potremmo rilevare che alla prima può essere riconosciuto sia un contenuto processuale

1 Negli ultimi anni, il legislatore ha ampliato gli strumenti a disposizione del contribuente per la definizione

bonaria dei tributi. Gli istituti deflattivi consentono all’Erario dello Stato di ridurre drasticamente tempi e costi delle liti e riconoscono al contribuente collaborativo un abbattimento delle sanzioni ordinarie.

(8)

sia un contenuto negoziale: l’effetto processuale consisterebbe nell’immediata chiusura

del processo con la pronuncia di cessazione della materia del contendere mentre l’effetto

negoziale sarebbe rinvenibile nelle “reciproche concessioni” tra le parti.

Se gli effetti processuali riconosciuti alla conciliazione nel processo civile sembrano poter

essere estesi anche all’istituto operante all’interno del processo tributario, appare più

problematico applicare a quest’ultimo gli schemi negoziali della “transazione” o della

“rinuncia” alla pretesa o in un riconoscimento della pretesa altrui.

La difficoltà di inquadrare la conciliazione giudiziale all’interno di uno schema di tipo

transattivo discende dalla tendenziale indisponibilità dell’obbligazione tributaria, ovvero

del diritto in capo all’Amministrazione Finanziaria, che forma oggetto della lite. Infatti

coloro che negano la natura dispositiva della conciliazione ritengono che la materia degli

accordi tra contribuente e Amministrazione Finanziaria non sia riconducibile al negozio

giuridico, trattandosi piuttosto di un mero atto giuridico non negoziale la cui attuazione

dipende dalla volontà delle parti, ma i suoi effetti sono interamente disciplinati dalla legge

[2].

Secondo questa tesi, la conciliazione non può avere un carattere transattivo in quanto

l’art. 1965 Cod. Civ. definisce il contratto di transazione come “il contratto col quale le

parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già cominciata o

(9)

prevengono una lite che può sorgere tra loro” e questo postula che le parti dispongano pienamente dei diritti che formano oggetto della lite.

La dottrina, nella fase successiva all’introduzione dell’istituto, era ostile nell’inquadrare

la conciliazione giudiziale all’interno di uno schema transattivo data la limitata libertà di

condotta della parte pubblica che deve avere come prioritaria finalità una corretta e

coerente applicazione delle norme configurando dunque la conciliazione come un istituto

di diritto tributario che, pur mutuando scopi e tipologia da istituti consimili di altre

branche del diritto, assume una propria particolare e specifica connotazione in rapporto

al contesto in cui è collocata (3).

L’atteggiamento della dottrina è progressivamente mutato a seguito delle numerose

modifiche apportate al testo dell’art. 48 del D. Lgs. 546/92 in base alle quali, l’istituto

non incontra più alcun limite e sembrerebbe applicabile a qualsiasi controversia, essendo

venuti meno il riferimento alle prove certe e dirette, alle prove certe, nonché, attraverso

il rinvio ai casi in cui era ammesso l’accertamento con adesione, il riferimento alle

questioni relative all’esistenza, la stima, l’inerenza e l’imputazione a periodo (per le

imposte dirette), ed al valore o maggior valore dei beni suscettibili di valutazione (per le

imposte indirette). Questo venir meno di limiti espressi alla possibilità di giungere alla

conciliazione giudiziale inizialmente ha suscitato preoccupazioni della dottrina che ha

3 M. Polano, Errore di calcolo e rettifica di somme dovute nella conciliazione giudiziale tributaria, GT 07,

(10)

ravvisato in questo aspetto un potere discrezionale da parte dell’Amministrazione

finanziaria nella gestione della pretesa erariale che avrebbe la facoltà di compiere atti di

disposizione del credito tributario, violando il principio di indisponibilità

dell’obbligazione tributaria. (4)

In seguito la dottrina, dopo aver preso atto dell’evoluzione normativa dell’istituto e del

venir meno di ogni limite espresso alla conciliazione, ha sempre più riconosciuto una

natura transattiva alla conciliazione giudiziale.

Tale parte della dottrina sostiene che l’istituto consiste in un accordo di natura negoziale,

il cui contenuto è rimesso alla disponibilità delle parti pubblica e privata. [5]

In tale prospettiva, emerge chiaramente la funzione deflattiva dello strumento in esame

e, poiché l’intento della conciliazione è quello di porre termine ad una lite in corso, si

ritiene che sia inquadrabile tra gli accordi di tipo transattivo.

Inoltre, si deve mettere in evidenza che la conciliazione si atteggia non solo come uno

strumento tendente all’eliminazione, totale o parziale, della controversia in essere,

suscettibile di esprimere una transazione nel caso in cui comporti reciproche concessioni

innovatrici, ma anche come uno strumento che comporta un riconoscimento del diritto

4 Gallo, Rass. Trib. 94, 1490 ss., secondo il quale la mancata indicazione di criteri e procedure per la

determinazione del reddito da conciliare avrebbe rischiato di introdurre schemi di tipo transattivo ed atti dispositivi del credito tributario, con violazione del principio di capacità contributiva.

5 G. Falsitta, Manuale di diritto Tributario: parte generale, 2005 CEDAM Padova; P.Russo, Manuale di

diritto Tributario, Giuffrè Milano 2005; F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, parte generale, 2011 Utet Torino.

(11)

altrui in quanto pare sia possibile utilizzare tale istituto anche qualora il contribuente riconosca integralmente il fondamento della pretesa tributaria. In questa circostanza, il

soggetto privato beneficia dell’abbattimento delle sanzioni e si sottrae alla condanna delle

spese mentre l’Amministrazione Finanziaria ottiene la definizione della lite e il

pagamento delle somme dovute.

Facendo riferimento unicamente al quantum della pretesa che forma oggetto di

definizione, è possibile distinguere, tra conciliazione “transattiva” e conciliazione “non

transattiva”.

La conciliazione avrebbe carattere transattivo nei casi in cui l’Ufficio e il contribuente

conciliano la controversia e, a seguito di reciproche concessioni, pervengono alla

determinazione dell’ an e del quantum della pretesa, e si accordano su un tributo di

ammontare intermedio tra quello dichiarato dal contribuente e quello risultante

dall’accertamento; mentre, ne sarebbe priva in tutti i casi in cui l’Ufficio desiste

totalmente dalla pretesa, procedendo all’annullamento dell’atto impositivo impugnato dal

contribuente oppure quando quest’ultimo rinuncia al ricorso presentato, assoggettandosi

all’integrale pagamento delle somme accertate.

Per superare le preoccupazioni che, attraverso una ricostruzione in termini transattivi

della conciliazione, si finisca per violare il principio di indisponibilità dell’obbligazione

tributaria, una parte della dottrina ha relativizzato le modifiche normative apportate

(12)

Da un lato, si osserva come la mancanza di limiti espressamente previsi dalla legge

processuale non significa conciliabilità illimitata, in quanto operano i limiti deducibili sia

dalla particolare natura dell’oggetto della lite sia dal rispetto dei principi generali, anche

di ordine costituzionale (quali legalità e capacità contributiva): è possibile condividere la

natura negoziale della conciliazione sostenendo che l’introduzione di istituti che

consentono di concordare il contenuto dell’obbligazione tributaria non pregiudicano i

caratteri dell’irrinunciabilità ed indisponibilità dell’obbligazione tributaria, dal momento

che la discrezionalità amministrativa rimane sempre vincolata nel fine predeterminato

legislativamente. (6)

Dall’altro lato, la riduzione della pretesa erariale viene pur sempre concepita, non alla

stregua di uno “sconto” transattivo dell’imposta, ma come una rideterminazione operante

solo in presenza di controversie suscettibili di soluzioni di compromesso ovvero in ipotesi

di divergenza di valutazioni tra fisco e contribuente giustificata dalla incertezza della

soluzione. Quindi nonostante l’assenza di limiti espressi alla conciliazione, questa

sarebbe concepibile soltanto in presenza di una controversia dall’esito incerto.

Inoltre viene fatto notare che la riduzione della pretesa erariale avviene a monte, quando

il credito tributario non è ancora determinato ed esiste una controversia al riguardo, nella

cui gestione l’Amministrazione finanziaria deve massimizzare l’interesse erariale.

6 G. Petrillo, La conciliazione giudiziale tributaria e la teoria germanica della “intesa effettiva”, in

(13)

In giurisprudenza è presente una posizione maggioritaria in cui si sostiene la natura

negoziale e quindi il contenuto transattivo dell’istituto, giungendo alla conclusione che

tale istituto possa rappresentare una deroga “legale” al principio di indisponibilità

dell’obbligazione tributaria, al pari degli altri strumenti deflattivi.

A questo proposito, con la sentenza 12314/2001, i giudici di legittimità hanno

espressamente riconosciuto nella conciliazione giudiziale una “forma di composizione

convenzionale della lite tributaria nella sede del processo” operante “in deroga al principio più generale della normale indisponibilità per l’erario del credito di imposta”.

Anche successivi interventi giurisprudenziali hanno confermato tale impostazione.

Con la sentenza 20386/2006, la Cassazione ha affermato che: “le parti, lungi

dall’insistere sulle opposte posizioni, hanno negozialmente convenuto sull’esistenza della obbligazione, fissando l’entità della prestazione pecuniaria, e accettando una riduzione di quella accessoria per le sanzioni”.

E ancora, con la sentenza 21325/2006, la Cassazione, ha affermato che “la conciliazione

giudiziale di cui all’art. 48 attiene all’esercizio di poteri dispositivi delle parti”, essendo “concepita come una forma di composizione convenzionale della lite nella sede del

processo” e “pur nella sua indubbia specificità, costituisce un istituto deflattivo di tipo negoziale”.

(14)

Nell’attuale disciplina della conciliazione risultante dalle modifiche di cui al d.lgs.

156/2015, si rinviene un elemento testuale che sembra deporre a favore della tesi

transattiva, ossia il richiamo operato sia nell’art.48, comma 1 sia nell’art. 48-bis comma

2, all’ “accordo conciliativo”.

1.2. L’evoluzione normativa

La conciliazione ha fatto ingresso nel processo tributario in tempi relativamente recenti

in quanto non aveva trovato applicazione né prima né dopo la riforma degli anni Settanta.

Una forma embrionale di possibilità di trovare un accordo nelle liti pendenti fu prevista

nel 1994, attraverso l’art. 4 del D.l. 18.07.1994, n. 452 che ha inserito l’art. 20 bis, nel

D.P.R. n. 636/1972, rubricato “Conciliazione”.

La conciliazione, nella sua formulazione originaria, poteva riguardare solo le controversie

aventi ad oggetto questioni non risolvibili in base a prove certe e dirette ovvero solo le

questioni di valutazione estimativa, cioè questioni di fatto la cui soluzione è affidata ad

un giudizio di normalità o di probabilità, non suscettibile di riscontro rigoroso (7), ma non

era prevista la possibilità di trovare accordi sulle liti pendenti.

Successivamente, con l’art. 2 sexies del d.l. 30.09.1994, n. 564, convertito con

modificazioni nella l. 30.11.1994, n. 656, venne eliminato il riferimento alle prove

“dirette” e rimase solo il riferimento alle prove “certe”.

(15)

Considerata la difficoltà di individuare tali controversie, si ebbe un ulteriore cambiamento

con il D.l. 26 Settembre 1995, n. 403, convertito nella L. 20 Novembre 1995, n. 495,

che ha eliminato anche il riferimento alle prove “certe” e ha fatto coincidere l’ambito di

applicazione della conciliazione con quello dell’accertamento con adesione, stabilendo

che la conciliazione giudiziale potesse riguardare soltanto le controversie inerenti a

questioni suscettibili di accertamento con adesione (8), ovvero questioni in materia di

tributi diretti, relative all’esistenza, alla stima, all’inerenza e all’imputazione a periodo di

componenti positivi e negativi del reddito e solo per i titolari di reddito d’impresa e del

reddito di lavoro autonomo.

L’istituto della conciliazione viene trasposto nel nuovo sistema processuale all’art. 48

del D. Lgs. n. 546/1992 ad opera del D.L. 15.3.1996, n.123 in una formula molto simile

a quella attuale che sostitutiva integralmente l’istituto dell’ “Esame e definizione

preventiva della controversia”: il ricorrente poteva chiedere nel ricorso che la controversia fosse definita totalmente o parzialmente; se l’Ufficio aderiva, la controversia

era decisa in camera di consiglio dalla Commissione e la relativa sentenza era

impugnabile solo per errore materiale o per violazione delle norme sul procedimento.

Non si trattava però di uno strumento conciliativo, ma di un rito abbreviato.

(16)

Una prima struttura formale dell’istituto risultava dall’art. 14 D.lgs. 19 Giugno 1997, n.

218 [9], che mutò il testo dell’art. 48 del D. Lgs. 546/1992, in attuazione dell’art. 3 della

delega n. 662/1996 conferita al Governo che al comma 120, lett. b) prevede “il

coordinamento della disciplina dell’accertamento con adesione con quella della conciliazione giudiziale, stabilendo l’identità di materie oggetto di definizione nonché delle cause di esclusione”.

Le principali modifiche sono rilevanti specialmente sotto il profilo procedimentale in

quanto venne previsto che, in caso di avvenuta conciliazione, le sanzioni amministrative

si applicano nella misura di un terzo delle somme irrogate; è ammesso il pagamento delle

somme dovute in forma rateale; il perfezionamento della conciliazione avviene con il

versamento delle somme dovute con le modalità e nei tempi stabiliti ed è venuto meno il

divieto per gli uffici di restituire le somme versate dal contribuente prima della

conciliazione.

La conciliazione continuava ad essere finalizzata a definire una lite già sorta e poteva

essere esperita solo entro la prima udienza fissata davanti alla Commissione tributaria

provinciale.

Un’ulteriore modifica è stata apportata con l’art. 1 della l. 30.12.2004, n. 311 che ha

inserito il comma 3 bis che ha disciplinato il caso in cui si fosse verificato l’omesso

(17)

pagamento anche di una sola delle rate e predispone l’iter che l’Amministrazione

finanziaria deve seguire per iscrivere a ruolo le somme non riscosse: in particolare, era

stato previsto, in caso di inadempimento di alcuni pagamenti previsti dal piano di

rateazione, l’automatica decadenza dal beneficio della dilazione, nonché l’iscrizione a

ruolo delle somme dovute sia a carico del contribuente che del garante in caso di mancato

pagamento da parte di quest’ultimo dell’importo garantito entro 30 giorni dalla

notificazione di apposito invito a procedere al pagamento.

Nel tracciare le linee ed i principi ispiratori del nuovo istituto, il legislatore delegante ha

attuato un rovesciamento dell’ottica che aveva ispirato la l. n. 495/1995, in base alla quale

la conciliazione era proponibile nei casi in cui era ammessa la definizione

dell’accertamento con adesione del contribuente mentre da questo momento alla

conciliazione viene assegnato il ruolo principale la cui disciplina deve essere coordinata

con quella dell’accertamento con adesione, quanto a identità di materie oggetto di

definizione ed a cause di esclusione.

Si è sempre di più affermata in dottrina l’opinione secondo cui la contiguità della

conciliazione all’accertamento con adesione si stia trasformando in continuità, al punto

che la conciliazione può essere considerata come la versione giudiziale dello stesso

concordato ovvero una sorta di “ultima spiaggia” per il contribuente che, per varie ragioni,

(18)

A questo proposito, possiamo citare la relazione governativa al d.lgs. n. 218 del 1997,

secondo cui la disciplina della conciliazione giudiziale è stata resa “coerente e

tendenzialmente uniforme a quella dell’adesione, rispetto alla quale si caratterizza soprattutto per la diversa collocazione sequenziale” e la circolare ministeriale n. 98/E

del 23 Aprile 1996, che considerava tale istituto come “un ulteriore strumento

appositamente predisposto per favorire una definizione concordataria non ancora matura in fase precontenziosa, ma suscettibile di realizzazione in sede contenziosa anche attraverso la fattiva opera di collaborazione e di incentivazione da parte degli organi giudicanti.”

Successive modifiche si ebbero con la Legge di Stabilità (1.01.2011) riguardo alle

sanzioni amministrative che divennero applicabili nella misura del 40% delle somme

irrogabili in rapporto all’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione medesima

(non più nella misura di 1/3) ma, in ogni caso, la misura delle sanzioni non poteva essere

inferiore al 40% dei minimi edittali.

Con il D.l. n. 98/2011, convertito con modificazioni nella L. 111/2011, venne eliminato

l’obbligo di prestare garanzia in caso di rateazione delle somme superiori a 50.000 Euro

e nel caso di mancato pagamento anche di una sola delle rate successive alla prima entro

il termine di pagamento della rata successiva, l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate era

autorizzato a procedere all’iscrizione a ruolo delle somme dovute e delle sanzioni

(19)

La conciliazione, in conclusione, si atteggia come un istituto premiale, complementare

all’accertamento con adesione, in quanto ne consegue l’abbattimento delle sanzioni

irrogate al contribuente riguardanti il provvedimento impugnato di fronte al giudice

tributario ed è ammessa rispetto a qualsiasi controversia.

E’ bene sottolineare che, nella disciplina previgente all’attuale dettato normativo, tale

istituto incontrava un limite temporale non potendo essere attuato oltre la prima udienza

davanti alla Commissione Tributaria Provinciale.

Tale limitazione viene definitivamente superata con il D.lgs. n.156/2015 che ha

profondamente riformato l’istituto, regolandolo in tre articoli (art. 48, 48-bis, 48-ter),

ammettendo la possibilità di conciliare anche le liti pendenti dinanzi alla Commissione

Tributaria Regionale.

1.3. Il dogma dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria

La conciliazione non è entrata nel processo tributario con la riforma del 1992 ma venne

introdotta nel nostro ordinamento contestualmente all’accertamento con adesione [10],

quindi in un secondo momento.

La ragione per la quale l’istituto (e, in generale, tutti gli istituti a carattere transattivo) ha

tardato ad essere inserito nel nostro processo tributario risiede nel principio generale

dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria.

(20)

In particolare, il fatto che l’ente impositore potesse giungere ad una definizione dei valori

imponibili concordata con il soggetto passivo, era apparso come una violazione del

generale principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria. Tale obbligazione

infatti, crea un vero e proprio diritto in capo al soggetto pubblico che non può

discrezionalmente rinunciarvi, in linea con quanto previsto dagli articoli 23 [11] e 97 [12]

della Costituzione in merito alla legalità della tassazione ed alla imparzialità dell’operato

della pubblica amministrazione.

In sostanza, nel rispetto di tale principio, si giungeva alla conclusione che

l’Amministrazione Finanziaria non potesse concedere sconti su un credito che è

indisponibile dal momento che tale credito risponde alla funzione di ripartire equamente

i carichi pubblici. Per questo motivo non pare possibile che il soggetto pubblico potesse

fare una ponderazione di interessi altri e ulteriori rispetto al principio sancito dall’art. 53

[13] della Costituzione.

A ben vedere, tuttavia, con riferimento alla conciliazione giudiziale, l’Amministrazione

Finanziaria non dispone di un credito certo, liquido ed esigibile perché credito sub iudice

ovvero non ancora accertato nel suo ammontare definitivo: in questa prospettiva, si ritiene

11 “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla Legge”

12 “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’Ordinamento dell’Unione Europea, assicurano

l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di Legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei Funzionari. Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla Legge”

(21)

che l’ente impositore disponga semplicemente di una pretesa ed eventualmente, qualora

venisse raggiungo l’accordo con il contribuente, rinuncerebbe ad una parte della sua

pretesa. L’argomento della indisponibilità, dunque, cade.

Risulta così fondamentale il ruolo del giudice, che non si limita a ratificare quanto già

deciso dalle parti bensì agisce quale garante dei principi costituzionali di legalità e

imparzialità.

In effetti, si tratta di valutazioni ancora soggette ad un procedimento di formazione, in

vista del raggiungimento della stabilità giuridica, nel quale è possibile individuare da una

parte, la proposta-pretesa dell’ente impositore, che può arrivare a definizione con

l’adesione del contribuente; dall’altra, la proposta-dichiarazione da parte del soggetto

passivo, che può arrivare a definizione con la rinuncia all’imposizione da parte

dell’ufficio che potrebbe essere considerata come un’adesione alle determinazioni del

contribuente.

In questa prospettiva, sembra potersi parlare di una particolare regolamentazione della

procedura che concede l’opportunità al soggetto privato di giungere ad una definizione

(22)

1.4. I riferimenti normativi

Uno dei criteri più importanti della Legge Delega fiscale n. 23/2014 in materia di

revisione della disciplina del contenzioso tributario, è rappresentato dal rafforzamento

degli strumenti deflattivi.

Nella formulazione previgente, la conciliazione giudiziale soffriva di alcune limitazioni.

In primo luogo, non potevano essere conciliate le liti definibili tramite l’istituto della

mediazione/reclamo e, in ogni caso, non era ammessa la conciliazione oltre il primo grado

di giudizio (limite temporale).

L’articolo 10, comma 1, lettera a), di tale legge, annovera, tra i criteri direttivi della

riforma, quello di “rafforzamento e razionalizzazione dell’istituto della conciliazione nel

processo tributario”, nell’intento di superare la criticità legata allo scarso utilizzo di tale istituto [14] e “anche a fini di deflazione del contenzioso e di coordinamento con la

disciplina del contraddittorio fra i contribuente e l’amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo, con particolare riguardo ai contribuenti dei

quali sono configurate violazioni di minore entità” [15].

Nello specifico, la conciliazione è stata oggetto di profonda revisione ad opera dell’art.

9 comma, lett. s) e t) del D. Lgs. n. 156/2015, il quale ha completamente riscritto la

disciplina dell’istituto in esame, sostituendo il vecchio disposto di cui all’art. 48 del D.

14 Nell’anno 2014, tale strumento è stato utilizzato per circa l’1% delle definizioni complessive 15 Circolare 38/E del 29 Dicembre 2015

(23)

Lgs. 546/1992, rubricato “Conciliazione giudiziale”, con la nuova formulazione volta a

disciplinare la “Conciliazione fuori udienza”; parte della disciplina contenuta nella

precedente disposizione normativa è stata trasposta e disciplinata in maniera più compiuta

nei nuovi articoli 48-bis e 48-ter, rubricati, rispettivamente, “Conciliazione in udienza”

e “Definizione e pagamento delle somme dovute a titolo di imposta e di sanzioni”.

Nell’ambito delle modifiche introdotte, le più rilevanti riguardano:

 L’estensione dell’ambito di applicazione dell’istituto al secondo grado di giudizio,

e dunque, ai giudizi pendenti dinnanzi alla Commissione tributaria regionale;

 L’individuazione di un diverso momento di perfezionamento della conciliazione

e di nuove regole per il pagamento il pagamento delle somme dovute;

 La nuova entità delle sanzioni irrogabili, riformulata secondo modalità più

favorevoli al contribuente;

 L’applicazione della conciliazione giudiziale per le liti reclamabili.

Continuano a non poter essere definite con tale strumento, le controversie davanti alla

Corte di Cassazione, poiché, per loro natura, non si prestano ad essere oggetto di chiusura

tramite un accordo. (16)

I nuovi articoli 48, 48-bis, 48-ter, si applicano- in base a quanto stabilito dall’articolo 12,

comma 1, del decreto di riforma – ai giudizi pendenti alla data del 1° Gennaio 2016.

16 i giudizi in Cassazione precludono accertamenti in fatto ad opera del giudice di legittimità in quanto si

(24)

Per quanto riguarda i predetti giudizi, se alla data del 1° Gennaio 2016 la conciliazione

risulta già perfezionata attraverso il pagamento delle somme dovute in unica soluzione o

della prima rata, gli effetti restano disciplinati dalle norme vigenti al momento del

(25)

2. L’art. 48 del D.Lgs. 31 Dicembre 1992 n.546

2.1. I soggetti legittimati a proporre la conciliazione

Per quanto riguarda i soggetti legittimati a conciliare, l’art. 48 D.lgs. 546/92, attualmente

prevede, al primo comma: “Se in pendenza del giudizio le parti raggiungono un accordo

conciliativo, presentano istanza congiunta sottoscritta personalmente o dai difensori per la definizione totale o parziale della controversia”, quindi la conciliazione può essere proposta:

 dal ricorrente;

 dall’ente impositore o dall’Agente della riscossione.

Possono dunque proporre la conciliazione i soggetti individuati dall’ art. 10 del D.Lgs

546/92 (17) rubricato “parti del processo”, ovvero:

 colui che chiede al giudice tributario l’annullamento totale o parziale di un provvedimento impositivo (parte attiva o ricorrente);

 l’ente impositore, l’agente della riscossione e i soggetti iscritti all’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446/97 (c.d. concessionari privati della riscossione) che

hanno emanato l’atto impugnato (parte passiva o resistente).

17 L’art. 10 D.Lgs. 546/92 è stato modificato dall’art. 9 comma 1, lett. c) del D.Lgs. n° 156/2015 e prevede

che:

“Sono parti nel processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, gli altri enti impositori, l’agente della riscossione ed i soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che hanno emesso l’atto impugnato o non hanno emesso l’atto richiesto.”

(26)

Il ricorrente è obbligato a farsi assistere da un difensore tecnico abilitato (18) nel caso in

cui il valore della controversia sia superiore a 3000 Euro (19).

Per quanto riguarda i soggetti abilitati all’assistenza tecnica, il decreto in commento

introduce

dei criteri di distinzione per materia, operando così una differenziazione tra:

 coloro che possono assistere i contribuenti nella generalità delle controversie

(avvocati);

 coloro che sono abilitati alla difesa con riguardo a controversie aventi ad oggetto

materie

18 L’art. 12 D.Lgs. 546/1992 prevede che : “Sono abilitati all’assistenza tecnica, se iscritti nei relativi albi

professionali: gli avvocati, i soggetti iscritti nella Sezione A commercialisti dell’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, i consulenti del lavoro, i soggetti di cui all’articolo 63, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, i soggetti già iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la subcategoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioniere limitatamente alle materie concernenti le imposte di registro, di successione, i tributi locali, l’IVA, l’IRPEF, l’IRAP e l’IRES; i funzionari delle associazioni di categoria che, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, risultavano iscritti negli elenchi tenuti dalle Intendenze di finanza competenti per territorio, ai sensi dell’ultimo periodo dell’articolo 30, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636; i dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (C.N.E.L.) e i dipendenti delle imprese, o delle loro controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, primo comma, numero 1), limitatamente alle controversie nelle quali sono parti, rispettivamente, gli associati e le imprese o loro controllate, in possesso del diploma di laurea magistrale in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale; i dipendenti dei centri di assistenza fiscale (CAF) di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e delle relative società di servizi, purché in possesso di diploma di laurea magistrale in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale, limitatamente alle controversie dei propri assistiti originate da adempimenti per i quali il CAF ha prestato loro assistenza.

Per le controversie di cui all’articolo 2, comma 2, primo periodo, sono anche abilitati all’assistenza tecnica, se iscritti nei relativi albi professionali: gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti industriali, i dottori agronomi e forestali, gli agrotecnici, i periti agrari.

Per le controversie relative ai tributi doganali sono anche abilitati all’assistenza tecnica gli spedizionieri doganali iscritti nell’apposito albo.”

19 L’art. 12 comma 2 precisa che “Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi

e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.”

(27)

specifiche (periti agrari, ingegneri, etc.);

 coloro che possono assistere esclusivamente alcune categorie di contribuenti

(dipendenti

del CAF, dipendenti di associazioni di categoria rappresentate nel CNEL, etc.).

Ai difensori deve essere conferito l’incarico con atto pubblico o con scrittura privata

autenticata od anche in calce o a margine di un atto del processo.

2.2. L’oggetto della conciliazione

Sul versante dell’ambito di applicazione della conciliazione giudiziale si sono susseguite

molteplici soluzioni.

La prima versione dell’istituto emanata nel 1994 prevedeva una limitazione espressa del

ricorso alla conciliazione alle sole questioni di fatto e l’esclusione della sua esperibilità

in caso di liti di rimborso. Successivamente è stato eliminato qualsiasi limite espresso

all’individuazione delle controversie conciliabili ma si assiste alla permanenza di un

dibattito che verte su altri temi: i dubbi che sono rimasti sostanzialmente derivano dalle

divisioni e dalle incertezze circa la natura giuridica della conciliazione.

Innanzitutto per ciò che concerne la conciliabilità delle questioni di diritto, il dibattito

è ancora aperto in quanto è incerto se la conciliazione giudiziale, oltre a concernere il

quantum dell’obbligazione tributaria (questioni di fatto), possa riguardare anche l’an della stessa (questione di diritto).

(28)

Coloro che adottano una soluzione restrittiva, limitando l’ambito di applicazione della

conciliazione alle questioni di fatto, sono coloro che negano la natura transattiva

dell’istituto e trovano fondamento nel fatto che nell’interpretazione della norma da

applicare (ovvero nelle questioni di diritto) non sarebbe raggiungibile una soluzione

mediana, conciliativa in quanto l’individuazione della corretta attuazione della norma

deve essere certa e non può essere oggetto di accordi e di libere intese. In tale prospettiva,

i sostenitori della non conciliabilità affermano che la conciliazione in tal caso, dovrebbe

essere concepita come pura adesione di una parte al punto di vista dell’altra ritendendo

conciliabili solo le questioni di fatto che concernono la quantificazione della base

imponibile. (20)

Per tentare di superare le criticità sollevate, si potrebbe rilevare che spesso le questioni di

fatto e di diritto sono così strettamente connesse da non poter distinguere le une dalle altre

(21). In tale prospettiva, non pare irragionevole ammettere che attraverso la conciliazione

giudiziale si giunga ad una soluzione concordata in relazione a questioni i cui i profili del

giudizio di fatto e di quello di diritto, pur concettualmente distinguibili, si presentano così

connessi da non poter essere separati.

Nonostante il fatto che in dottrina ci siano posizioni che non ammettono la conciliazione

delle questioni di diritto, il venir meno di ogni limite espresso e l’affermata natura

20 A tale proposito, F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Parte generale, Edizione XI, UTET 2011 21 M. Polano, La conciliazione giudiziale, in Rassegna Tributaria, 2002.

(29)

transattiva della conciliazione presso la dottrina maggioritaria, portano ad ammettere la

possibilità di conciliare le questioni di diritto e, in generale, la definizione di ogni lite

rientrante nella giurisdizione tributaria (22).

Come già anticipato, in attuazione del rafforzamento degli strumenti deflattivi richiesto

dalla legge delega, il nuovo testo dell’art. 48 prevede la possibilità di conciliare anche le

liti che si trovano in appello e non più solo le controversie pendenti nel primo grado di

giudizio: in particolare, nella nuova formulazione, è stato eliminato il riferimento

temporale entro cui la conciliazione può aver luogo (limite che il previgente comma 2

dell’art. 48 individuava nella prima udienza dinanzi la Commissione tributaria

provinciale).

L’unica condizione di ammissibilità della conciliazione è, quindi, la pendenza del

giudizio, e ciò in attuazione di quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il

presupposto della conciliazione è l’esistenza di un rapporto processuale validamente

costituito, per cui nel caso in cui il ricorrente non sia costituito o il ricorso sia

inammissibile, non può darsi luogo alla conciliazione.

22 L’art. 2 del D.Lgs. 546/92, prevede che: “Appartengono alla giurisdizione tributaria:

- tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio; - le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la

figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale. - le controversie attinenti l’imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche

affissioni.

Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento.”

(30)

L’ulteriore estensione riguarda infine la possibilità di conciliare anche le liti soggette a

reclamo/mediazione di cui all’art. 17-bis D.Lgs. n. 546/92, instaurate a seguito del

rigetto del reclamo ovvero della mancata conclusione dell’accordo di mediazione.

Il nuovo testo dell’art. 17-bis rimuove il precedente limite, secondo cui la lite assoggettata

a reclamo non era suscettibile di conciliazione. Questa variazione si dimostra coerente

con il favor conciliationis: se il sistema processuale incentiva una soluzione conciliativa

diversa dalla composizione giudiziale, tanto da consentire la conciliazione anche in

appello, non c’è alcun motivo per mantenere questa limitazione.

2.2.1. Le liti di rimborso

Un altro profilo in relazione al quale si sono generati dubbi riguarda le liti da rimborso.

In passato, il comma 7 dell’art. 48 prevedeva che in caso di conciliazione giudiziale non

potesse darsi restituzione di somme già versate all’ente impositore, negando così la

possibilità di addivenire ad una conciliazione per le controversie aventi ad oggetto la

restituzione di tributi.

Successivamente, per effetto del venir meno della suddetta previsione ad opera dell’ art.

14 del D.Lgs. 218/97, è stata da molti affermata la conciliabilità delle controversie

concernenti l’impugnazione del diniego espresso o tacito di rimborso.

È bene sottolineare che nel testo normativo antecedente la riforma del 2015 era presente

(31)

“sono indicate le somme dovute a titolo d’imposta, di sanzioni e di interessi”) che aveva

portato parte della dottrina a sostenere che la conciliazione non potesse avere luogo nei

casi in cui fosse l’Amministrazione finanziaria a dover corrispondere delle somme al

contribuente.

La nuova formulazione delle norme a seguito della novella apportata dal D.lgs. 156/2015

ha eliminato ogni dubbio in quanto il nuovo testo dell’art. 48 al comma 4 e l’art. 48-bis

comma 4 prevedono che “l’accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme

dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente”: da un lato, dunque, è stato eliminato il riferimento alle somme dovute “a titolo di imposta,

sanzioni e interessi” e, dall’altro, è stata definitivamente sancita la possibilità di conciliare

le controversie aventi ad oggetto rimborsi di imposta.

Attualmente quindi un contribuente, in ragione di un versamento indebito, può presentare

istanza di rimborso e, qualora all’istanza di rimborso faccia seguito il diniego

dell’Amministrazione Finanziaria, il contribuente potrà proporre ricorso avverso il rifiuto

e, dopo essersi presentato in giudizio, presentare una proposta conciliatoria: l’accordo

conciliativo (in caso di conciliazione fuori udienza) o il processo verbale di conciliazione (in caso di conciliazione in udienza) costituiranno titolo per la riscossione.

(32)

 se assumiamo che il processo verbale di conciliazione, quale “titolo per la

riscossione”, possa valere anche come titolo esecutivo (23) a favore del ricorrente,

a seguito dell’inadempimento dell’Amministrazione Finanziaria, il contribuente

ha diritto ad esperire l’esecuzione forzata.

In sostanza, secondo tale interpretazione, si ritiene applicabile l’art. 185 C.p.c.,

secondo cui il processo verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo;

 se invece si presume che il processo verbale di conciliazione non abbia valore di

titolo esecutivo a favore del contribuente, l’inadempimento dell’Amministrazione

Finanziaria comporterebbe la necessità di presentare ricorso al Tribunale per

ottenere un decreto ingiuntivo (24).

L’alternativa più convincente pare essere questa seconda ipotesi. Infatti, mentre l’art. 185

C.p.c., (25) espressamente riconosce al verbale di conciliazione efficacia esecutiva, gli

articoli 48 e 48-bis si limitano a riconoscere (all’accordo o al verbale) efficacia di titolo

per la riscossione. Questa differenza non appare marginale.

23 Il titolo esecutivo è il documento scritto che accerta il diritto del creditore, in base al quale è possibile

iniziare l’esecuzione forzata.

Il diritto che da esso risulti deve essere certo nella sua esistenza, liquido (cioè determinato nel suo ammontare) ed esigibile, ossia non sottoposto né a termine né a condizione (art. 474 del C.p.c.).

I titoli esecutivi sono:

1) le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva; 2) le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali, nonché gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la sua stessa efficacia; 3) gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli.

24 Il decreto ingiuntivo è un provvedimento giudiziale contenente l’ordine dato dal giudice al debitore di

adempiere l’obbligazione assunta (es. pagamento di una somma di denaro o consegna di una cosa mobile determinata) entro un determinato periodo di tempo (normalmente 40 giorni).

Trascorso tale termine, il decreto diventa esecutivo e si può procedere al pignoramento dei beni del debitore. Il decreto ingiuntivo viene emesso su richiesta del creditore, ed ha il vantaggio di essere molto più celere e assai meno oneroso di un procedimento giudiziario ordinario.

(33)

Inoltre, con riferimento all’art. 474, numero 1, C.p.c. per il quale costituiscono titolo

esecutivo “le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge espressamente

riconosce efficacia esecutiva”, il fatto che all’accordo o al verbale non sia espressamente riconosciuta efficacia esecutiva, sembra avvalorare ulteriormente l’assunto della seconda

alternativa.

2.2.2. La conciliazione delle sanzioni

La conciliabilità delle controversie avente ad oggetto la misura delle sanzioni è preclusa

sia che la lite verta solo sul provvedimento di irrogazione, sia che le parti cerchino di

conciliare parzialmente le sanzioni, per proseguire il processo sull’imposta.

L’impossibilità di conciliare le sanzioni deriva dalla struttura interna dell’istituto che vede

nella riduzione delle sanzioni un effetto riflesso della conciliazione sulla pretesa

impositiva.

L’opinione contraria alla loro conciliabilità, è supportata sia dal riferimento alla loro

funzione, che ne escluderebbe la negoziabilità in quanto volta a reprimere condotte illecite

sia da quanto previsto all’art. 48-ter che disciplina espressamente la riduzione delle

sanzioni non come oggetto, ma come conseguenza della conciliazione ovvero “in caso di

perfezionamento della conciliazione”. Infatti, un effetto della conciliazione giudiziale consiste proprio nella riduzione premiale delle sanzioni irrogate nei confronti del

(34)

raggiunto l’accordo conciliativo ovvero nella misura del 40% del minimo, se la

conciliazione ha luogo in primo grado, ed al 50%, se perfezionata in grado di appello (26).

L’ipotesi di una conciliazione totalmente adesiva, con cui il contribuente accetta

integralmente la pretesa dell’ufficio per ottenere il beneficio dell’attenuazione delle

sanzioni, è in genere ammessa dalla dottrina (27): si ritiene che non ci siano ostacoli nel

ritenere possibile la conciliazione della lite con il riconoscimento integrale della pretesa

erariale da parte del contribuente in modo da poter conseguire un abbattimento delle

sanzioni e sottrarsi alla condanna delle spese.

A tale proposito anche la CM 18.12.96 n. 291 ha chiarito che è legittimo porre in essere

un accordo conciliativo al solo fine di beneficiare della riduzione delle sanzioni (cd

“conciliazione a zero”): in questo caso, il ricorrente accetterà di versare l’intero importo

della maggiore imposta accertata ma potrà beneficiare del versamento rateale senza

garanzie, nonché della riduzione delle sanzioni.

2.2.3. Le liti soggette a reclamo

Anche le liti che sono già state soggette a reclamo, per le quali tra il contribuente e

Agenzia delle Entrate si è già instaurato un contraddittorio finalizzato ad una mediazione

della controversia, possono essere conciliate in sede giudiziale.

26 Nella precedente versione, la riduzione della sanzione era commisurata non al minimo edittale ma alle

“somme irrogabili in rapporto all’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione medesima”.

(35)

Questo costituisce uno degli elementi di maggiore novità apportati dalla riforma

all’istituto della conciliazione. Infatti, prima del D.Lgs. 156/2015, era espressamente

esclusa la possibilità per le parti di avvalersi della conciliazione se era già stata esperita

la procedura di reclamo e/o l’eventuale mediazione con esito negativo in quanto la

conciliazione era ritenuta una ripetizione dell’attività già infruttuosamente svolta dalle

parti prima della costituzione in giudizio.

Pertanto, se il tentativo di definizione stragiudiziale ha esito negativo, il reclamo, già

presentato dal contribuente, ha gli stessi effetti del ricorso. In questa ipotesi, il processo

seguirà il suo corso, lasciando libere le parti di trovare anche successivamente intese

consensuali deflattive del contenzioso.

2.3. La conciliazione parziale

La conciliazione può essere totale o parziale.

Nella prima ipotesi, la conciliazione ha ad oggetto tutte le questioni afferenti la lite

pendente mentre nella seconda ipotesi, la conciliazione riguarda solo alcuni aspetti della

controversia.

Ne discende che si produrranno effetti diversi in relazione alla tipologia di definizione,

vale a dire:

(36)

 la prosecuzione della lite solo in riferimento alle questioni non conciliate,

in caso di conciliazione parziale.

Ciò significa che se il negoziato riguarda, ad esempio, un accertamento contenente ad

esempio tre recuperi a tassazione, le parti potranno trovare un accordo solo con

riferimento al primo, e la lite proseguirà per gli altri due.

Tuttavia, sul piano processuale occorre precisare che sorge il problema relativo al tipo di

provvedimento che dovrà essere emesso, in quanto nel processo tributario non sono

ammesse sentenze parziali ossia limitate solo ad alcune domande.

In base a ciò, nel caso di conciliazione parziale avvenuta fuori udienza, il Presidente della

Sezione (se la data di trattazione non è stata ancora fissata) o la Commissione (ove si è

già fissata l’udienza), limitatamente alle questioni sulle quali le parti hanno raggiunto un

accordo, dichiarerà, con decreto oppure, nel secondo caso, con ordinanza la parziale

estinzione del giudizio, disponendo per il resto la prosecuzione della causa (art. 48

comma 2).

Per quanto riguarda la conciliazione parziale in udienza, l’art. 48-bis, comma 4, di fatto

non prevede espressamente tale possibilità in quanto prevede solo che la Commissione,

con sentenza, dichiari l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del

(37)

Tuttavia, considerato che l’art. 48-bis, comma 1, espressamente prevede la possibilità

che la conciliazione in udienza sia totale o parziale, si ritiene che una simile omissione

sia una svista del legislatore, anche in conformità a quanto già previsto per la

conciliazione fuori udienza e nel rispetto dell’art. 35 comma 3 del D.Lgs. 546/92. (28)

Il giudice, quindi, non potrà emettere una sentenza non definitiva che dichiari la

cessazione della materia del contendere in relazione ad alcuni punti della controversia ma

dovrà attendere la conclusione del giudizio ed emettere una sentenza contenente la

motivazione in relazione ai punti controversi nonché la constatazione che, in relazione

agli altri aspetti, è cessata la materia del contendere. Se, pertanto, una volta raggiunto

l’accordo parziale, il processo dovesse proseguire, il giudice dovrà redigere il processo

verbale di conciliazione ed attendere la conclusione del giudizio per emettere la sentenza

definitiva.

2.4. Il ruolo del Giudice competente

Il ruolo del giudice tributario nel procedimento conciliativo ha subito un cambiamento

dopo la riforma entrata in vigore dal 1° Gennaio 2016.

Nella precedente formulazione dell’istituto, ai sensi dell’art. 48 comma 2 del D. Lgs

546/92, “il tentativo di conciliazione può essere esperito d’ufficio anche dalla

28 L’art. 35 D.Lgs. 546/92 al comma 3 dispone il divieto di sentenze parziali: “Alle deliberazioni del collegio

si applicano le disposizioni di cui agli articoli 276 e seguenti del codice di procedura civile. Non sono tuttavia ammesse sentenze non definitive o limitate solo ad alcune domande.”

(38)

Commissione”: il giudice entrava come soggetto attivo nella fase processuale perché poteva promuovere, d’ufficio, l’accordo tra le parti nel corso della prima udienza.

Si osserva che detta precisazione, nel testo riformato non è più presente.

Inoltre, ai sensi dell’art. 48 comma 5, il Presidente della Commissione era tenuto ad

accertare, ove la conciliazione fosse avvenuta fuori udienza in base ad una proposta

preventivamente accettata dal contribuente, “la sussistenza dei presupposti e delle

condizioni di ammissibilità della conciliazione”: almeno in apparenza, l’unica condizione espressa dalla legge per l’applicazione dell’istituto consisteva nel rispetto del limite

temporale previsto (non oltre la prima udienza fissata per la trattazione) ovvero nella

valutazione e nell’accertamento che la proposta di conciliazione arrivasse entro la prima

udienza del processo di primo grado.

Secondo l’opinione prevalente quindi, il giudice tributario non interveniva sul contenuto

ed il merito dell’accordo, limitandosi a compiere una valutazione logico-giuridica non

essendo tenuto a sindacare i termini e l’opportunità dell’accordo (29).

In realtà, in passato sono state sostenute tesi (minoritarie,30) volte a valorizzare il ruolo

del giudice, sostenendo che la sua funzione non fosse meramente “notarile” ma che

potesse spingersi nel merito ovvero nella valutazione dell’esistenza di un oggetto

29 G.Petrillo, La conciliazione giudiziale tributaria in Sistema di garanzie e processo tributario a cura di

F. Amatucci e F.M. D’Ippolito, Satura Editrice, 2005,156 ss.

(39)

possibile oppure di vizi così gravi da rendere inefficace e inammissibile il ricorso stesso

(31): in questo senso, il ruolo del giudice tributario non era limitato alla verifica della

legittimità formale della conciliazione, ma avrebbe dovuto verificare anche la ricorrenza

dei presupposti di tipo sostanziale.

Tuttavia, l’acclarata impossibilità del giudice tributario di sindacare il merito dell’accordo

e la congruità delle imposte da versare su cui l’Ufficio finanziario ed il contribuente si

sono accordati, ha fatto dubitare della legittimità costituzionale dell’art. 48 del D. Lgs.

546/92: secondo l’ordinanza di rimessione pronunciata il 28 Giugno 1999 dalla

Commissione tributaria provinciale di Firenze, l’assoluta discrezionalità di cui

l’Amministrazione dispone nel procedimento conciliativo, che consente di operare

“sconti senza limiti rispetto ai valori accertati e sostenuti con la costituzione in giudizio”,

in assenza di “qualunque parametro di riferimento”, colliderebbe non solo con il

principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., ma anche con l’art. 53 Cost., considerato

che, a fronte di “conciliazioni prive di controlli, si realizzano discriminazioni inevitabili,

anche senza ipotizzare comportamenti illeciti”. Secondo la citata ordinanza, sarebbe altresì leso il principio di indipendenza della magistratura sancito dall’art. 104 Cost.,

atteso che “il controllo sulla conciliazione proposta è meramente formale e non sulla

congruità degli imponibili e, dunque, delle imposte concordate”.

31 Ad esempio, nel caso in cui ci sia un ricorso palesemente infondato o un atto emesso

(40)

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 433 del 12-10-2000 ha però dichiarato non

fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 48 del D. Lgs. 546/1992 in

relazione alle norme costituzionali richiamate, osservando l’estraneità degli articoli 97 e

53 Cost. alla tematica della funzione giurisdizionale, e, con riguardo al principio

costituzionale di indipendenza del giudice, l’insuscettibilità dell’art. 48 citato a

vulnerarlo, stante che attraverso la medesima norma “è lo stesso legislatore a definire i

limiti della cognizione riservata all’organo giudicante, affidando ad esso, in vista di una più rapida definizione delle controversie tributarie, il compito di accertare se la conciliazione era ammissibile, se rientrava nei casi consentiti e se la relativa procedura è stata correttamente espletata”.

Oggi, con la nuova disciplina, è pressoché condiviso in dottrina e in giurisprudenza che

il controllo del giudice non possa riguardare il contenuto e il merito dell’accordo, ma deve

limitarsi ai soli profili formali di ammissibilità.

Pertanto viene limitata l’ingerenza del giudice nell’accordo di conciliazione e si accentua

la concezione sostanzialmente “notarile” del suo intervento in quanto attualmente, ai sensi

dell’art. 48 comma 2, si deve limitare ad accertare “le condizioni di ammissibilità” della

conciliazione, quali, ad esempio, la tempestività del ricorso e del suo deposito,

l’attribuzione al difensore del potere di conciliare la controversia attraverso un’apposita

(41)

2.5. Il procedimento di conciliazione fuori udienza

Sotto il profilo procedurale, si distingue la conciliazione in udienza da quella fuori

udienza.

Si tratta di una distinzione già presente nel testo del precedente art. 48 D.Lgs. n. 546/92,

che viene oggi meglio delineata attraverso le previsioni di due articoli di legge.

In particolare, il nuovo art. 48 è dedicato alla conciliazione fuori udienza.

L’art. 48 comma 1 prevede che “se in pendenza di giudizio le parti raggiungono un

accordo conciliativo, presentano istanza congiunta sottoscritta personalmente o dai difensori per la definizione totale o parziale della controversia”.

Questa tipologia di conciliazione di realizza con il deposito in giudizio – di primo o di

secondo grado- di una “istanza congiunta”, ossia di una proposta di conciliazione alla

quale l’altra parte abbia preventivamente aderito. Il deposito può avvenire su iniziativa di

ciascuna delle parti. (32)

La circolare n. 38/E/2015 dell’Agenzia delle Entrate ricorda che l’istanza deve

contenere:

 l’indicazione della Commissione tributaria adita;

(42)

 i dati identificativi della causa, anche con riferimento all’Ufficio dell’Agenzia e

al contribuente parti in giudizio;

 la manifestazione della volontà di conciliare con l’indicazione degli elementi

oggetto della proposta conciliativa ed i relativi termini economici (accordo

conciliativo);

 la liquidazione delle somme dovute in base alla conciliazione (33);

 la motivazione delle ragioni che sorreggono la conciliazione;

 l’accettazione incondizionata del ricorrente di tutti gli elementi della proposta

nonché delle somme liquidate;

 la data, la sottoscrizione del titolare dell’Ufficio e la sottoscrizione del

contribuente o, nei casi in cui vi sia obbligo di assistenza tecnica, anche del suo

difensore. (34)

Sotto il profilo strettamente processuale, la nuova disposizione non fissa un termine per

il deposito dell’accordo conciliativo (35): appare ragionevole ritenere che per il deposito

dell’istanza non occorre rispettare il termine previsto per i documenti ex art. 32 del

33 Nel caso di conciliazioni di controversie aventi ad oggetto operazioni catastali, dovranno essere indicati

gli elementi che individuano esattamente i termini dell’accordo conciliativo, quali l’indicazione del classamento o della rendita catastale rideterminati.

34 In presenza di difensore, deve essere espressamente conferito nella procura il potere di conciliare e

transigere la controversia.

(43)

D. Lgs. 546/92 (36) in quanto non vi è la necessità di preservare il contraddittorio dato che

il documento è bilaterale.

Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 38/E/2015, ha ritenuto che un limite

temporale sia rappresentato dal momento in cui la causa è trattenuta in decisione ovvero

il momento della discussione, momento superato il quale “apparirebbe vanificato lo

scopo deflattivo del contenzioso a cui è preordinata la conciliazione” in quanto dopo la delibera del Collegio, diviene inutile ogni altra attività processuale.

Pertanto, il deposito della proposta preconcordata deve avvenire non oltre l’ultima

udienza di trattazione, in camera di consiglio o in pubblica udienza, del giudizio di

primo o di secondo grado.

Non è chiaro se le parti possano revocare il consenso prestato alla proposta di

conciliazione cui avessero aderito in precedenza.

Secondo una certa dottrina, sarebbe possibile per entrambe le parti revocare il consenso

“prima della firma del giudice” (37); la fattispecie presuppone un ripensamento prima

dell’intervento del giudice mentre dopo l’intervento del giudice si potrà al massimo

discutere dell’impugnabilità della conciliazione.

36 Art. 32 D.Lgs. 546/92, rubricato “Deposito di documenti e memorie” al comma 1 prevede: “Le parti

possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione [..]”

37 G.Antico, Conciliazione giudiziale; qual è il termine ultimo per ritirare l’atto conciliativo? in Il Fisco,

(44)

Da una parte potrebbe sostenersi, in prospettiva negoziale, che l’atto vincoli le parti e

quindi che l’Amministrazione e il contribuente non possono far altro che proporre la

conciliazione al giudice; dall’altra, in prospettiva strettamente processuale, si potrebbe

evidenziare come l’effetto tipico della conciliazione sia raggiunto solo presupponendo

una volontà chiaramente dimostrata dalle parti. È proprio questa seconda interpretazione

che sembrerebbe quella prevalente perché maggiormente rispettosa della relazione tra

fattispecie ed effetto: così le parti potranno revocare il proprio consenso sino al momento

in cui il Presidente deposita il decreto di estinzione e, per la conciliazione post-fissazione,

sino all’udienza.

L’effetto processuale della conciliazione è la cessazione della materia del contendere

e, a tale proposito, i commi 2 e 3 dell’art. 48 prevedono la tipologia dei provvedimenti

che possono essere adottati dal giudice per dichiarare “cessata” la materia del contendere.

Il comma 2 dispone che “se la data di trattazione è già fissata e sussistono le condizioni

di ammissibilità, la commissione pronuncia sentenza di cessazione della materia del contendere. Se l’accordo conciliativo è parziale, la commissione dichiara con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere e procede alla ulteriore trattazione della causa.”

Il comma 3 dispone che “se la data di trattazione non è fissata, provvede con decreto il

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