• Non ci sono risultati.

Governo dell’impresa e regolazione penale. Appunti per una critica dei paradigmi di incriminazione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Governo dell’impresa e regolazione penale. Appunti per una critica dei paradigmi di incriminazione"

Copied!
191
0
0

Testo completo

(1)

PhD in Law

……../…….. ISBN: XXXXXXXXXXXX

Governo dell’impresa e regolazione penale

Appunti per una critica dei paradigmi di incriminazione

Autore

Giuseppe Di Vetta

Relatore

(2)
(3)

3

INDICE

CAPITOLO I

L’infedeltà nella gestione societaria come tema di regolazione penale

1. Il dibattito scientifico intorno all’incriminazione dell’infedeltà nella gestione societaria.………..……… ………..6 2. Il modello di incriminazione c.d. patrimoniale: la civilizzazione dell’illecito penale………...………...9 3. Procedimentalizzazione dell’amministrazione societaria e smarrimento del paradigma penalistico………...……..13 4. Recupero della selettività modale dell’illecito penale e innovazione del “metodo della tutela”: un percorso di indagine………....18 5. Il movimento criminologico «de-collaring white-collar crime»: ossia l’oggettivizzazione dell’approccio di analisi………...…...21

CAPITOLO II

Impresa post-burocratica e conflitto di interessi

1. I limiti del conflitto di interessi come parametro di lettura penale del fenomeno amministrativo nell’impresa………...…24 2. Appunti di clinica del potere nell’organizzazione-impresa: il modello

formale-burocratico. Suggestioni penalistiche………...34 3. (Segue) Il superamento della burocrazia e la rivelazione del conflitto……...38 4. L’interpretazione dell’organizzazione-impresa come contesto di negoziazione politica. La funzione delle strutture formali e delle regole...43 5. (Segue) La teoria behaviorista dell’impresa: il modello di Cyert e March (1963)………...49 6. Conclusioni provvisorie e spunti per un approccio di regolazione (punitiva) c.d. tangenziale………...……51

CAPITOLO III

La bancarotta fraudolenta patrimoniale nel governo penale della gestione

societaria

1. La disputa sull’oggettività giuridica dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale………...…..54 2. Le teorie c.d. “pubblicistiche”. Reminiscenze della concezione metodologica del bene giuridico………..56 3. La formalizzazione per via pretoria dell’offesa………...62 4. La tutela della garanzia patrimoniale dei creditori: i presupposti teorici e i riflessi sulla struttura oggettiva della fattispecie……….…...70

(4)

4

5. «Per la contraddizion che nol consente». Tipicità e antigiuridicità nella concezione patrimoniale: il paradosso solo apparente della bancarotta………...…….72 6. Una possibile spiegazione alla “tenace vitalità” della tesi che inverte l’onere della prova nell’accertamento della condotta di “distrazione”. Il riflesso probatorio della c.d. concezione normativa………76. 7. «Schuld und Haftung». La preesistenza cronologica della responsabilità

all’insolvenza………...…81. 8. La critica di Pietro Nuvolone e la sua persistente attualità. La delimitazione della

«zona di rischio penale» e il bene giuridico processuale……….….86. 9. Le obiezioni alla tesi della coincidenza della «zona di rischio penale» e «stato di

insolvenza»………...…...93 10. Provvisorie conclusioni sul profilo offensivo del fatto nel prisma

dell’accertamento processuale………..97 11. Analisi critica dell’attuale orientamento giurisprudenziale………....117 12. La qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento: da «condizione di esistenza del reato» ad «elemento normativo interno alla fattispecie»………....126 13. La compatibilità tra condizioni obiettive di punibilità intrinseche e il principio di personalità della responsabilità penale………...…..133 14. «Con ciò sia cosa che li nomi seguitino le nominate cose». Ancora sulla qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento: da «evento del reato» ad «elemento qualificante dell’offesa». Il modello c.d. eziologico………..……143. 15. Il paradigma tipologico del «pericolo concreto». La costruzione della dinamica

oggettiva dell’offesa. La sentenza dichiarativa di fallimento come condizione obiettiva di punibilità estrinseca……….….148

16. La bancarotta c.d. riparata, la funzione sostanziale e condizionante della dichiarazione di fallimento e la non configurabilità del tentativo attenuato ex art. 56 comma 4° c.p………...…..168

(5)
(6)

6

CAPITOLO I

L’infedeltà nella gestione societaria come tema di regolazione penale

SOMMARIO –1.Il dibattito scientifico intorno all’incriminazione dell’infedeltà nella gestione

societaria. – 2. Il modello di incriminazione c.d. patrimoniale: la civilizzazione dell’illecito penale. – 3. Procedimentalizzazione dell’amministrazione societaria e smarrimento del paradigma penalistico. - 4.Recupero della selettività modale dell’illecito penale e innovazione del “metodo della tutela”: un percorso di indagine. – 5. Il movimento criminologico «de-collaring

white-collar crime»: ossia l’oggettivizzazione dell’approccio di analisi.

1. Il dibattito scientifico intorno all’incriminazione dell’infedeltà nella gestione societaria. La necessità di una regolazione penale1 dei modi di esercizio del potere di amministrazione all’interno dell’impresa collettiva è stata tradizionalmente affrontata nella prospettiva di criminalizzare la complessa fenomenologia dei comportamenti gestionali espressivi di una deviazione dall’interesse della società. Il processo di evoluzione delle dinamiche del governo societario ha però reso evidente l’intrinseca «sottigliezza empirica»2 del paradigma penalistico3. In tal

1 Avvertita nitidamente già da G.DELITALA,I reati concernenti le società di commercio e la legge Rocco del 1930, in Riv. dir. comm., 1931, I, spec. p. 183.

2 È la brillante espressione con cui G.FORTI,L’immane concretezza. Metamorfosi del crimine e controllo penale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000, pp. 101 ss., designa una qualità intrinseca della

materia penalistica: «si tratta di maturare – osserva l’Autore – una particolare sensibilità, quasi da rabdomante, nel localizzare i punti in cui la “crosta” normativa del diritto penale è così “sottile” da potersi rompere in qualsiasi momento o comunque da far presentire l’esistenza di sorgenti e giacimenti da cui in qualsiasi momento potrebbero esplodere zampilli di esperienza capaci di inondare e vivificare le costruzioni concettuali edificate dal giurista […]».

3 Lucidamente colto in alcuni studi che si considerano “fondativi” per il tema che è oggetto di

analisi: C.PEDRAZZI,Gli abusi del patrimonio sociale ad opera degli amministratori, in Riv. it. dir. pen.,

1953, pp. 529 ss.; ID.,Interessi economici e tutela penale, in A.M.STILE (a cura di), Bene giuridico e

riforma della parte speciale, Jovene, Napoli, 1985, pp. 285 ss.; ID.,Problemi di tecnica legislativa, in C.

PEDRAZZI,G.S.COCO,Comportamenti economici e legislazione penale. Atti del convegno “Arel” del 17 marzo 1978, Giuffrè, Milano, 1979, pp. 17 ss., ora tutti pubblicati in ID.,Diritto penale. Scritti di diritto penale dell’economia, t. III, Giuffrè, Milano, 2003; G. MARINUCCI,M. ROMANO, Tecniche normative nella repressione penale degli abusi degli amministratori di società per azioni, in AA.VV.,Il diritto penale delle società commerciali, ricerca diretta da P.NUVOLONE, Giuffrè, Milano, 1971, pp. 93 ss.,

dove è espressa limpidamente l’esigenza di prendere atto di un radicale mutamento del modello di impresa di riferimento, sempre più caratterizzata da un processo di dispersione della proprietà azionaria e riallocazione dei poteri di gestione e di controllo, sino al punto di smarrire il «dato contrattualistico» a fondamento dell’assetto societario, con imponenti riflessi in punto di orientamento della politica penale nell’ambito dell’impresa societaria; la stessa sensibilità è espressa da F.STELLA,Criminalità d’impresa: lotta di sumo e lotta di judo, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1998,

pp. 459 ss. e spec. 462 ss.; si veda inoltre, tra i suoi numerosi saggi rilevanti in proposito, F. BRICOLA,Lo statuto penale dell’impresa: profili costituzionali, in Giur. comm., 1985, pp. 709 ss., altresì

pubblicato in A.DI AMATO (diretto da), Trattato di diritto penale dell’impresa, vol. I, Cedam, Padova,

1990, pp. 117 ss. ed ora in ora in ID.,Scritti di diritto penale, Giuffrè, Milano, 1997, pp. 3306 ss. (da

qui le citazioni); si consideri, inoltre, G.MARINUCCI,Gestione d’impresa e pubblica amministrazione: nuovi e vecchi profili penalistici, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988, pp. 424 ss., che propone un modello

(7)

7

senso, appare indicativo come nel dibattito scientifico circa l’opportunità di concepire autonome fattispecie incriminatrici dei fenomeni di mala gestio degli organi societari siano maturate le essenziali coordinate teoriche lungo le quali sono tuttora tematizzati funzione e limite dell’intervento penale nel contesto dell’impresa privata.

Emergeva, in quel contesto, l’aspetto pregiudiziale della legittimazione sostanziale (“politica”) di un’incriminazione innestata nel mezzo della dinamica societaria, nel punto più sensibile della direzione e amministrazione dell’impresa, dove l’esercizio discrezionale del potere di gestione è funzionale a realizzare la costante sintesi degli interessi strutturalmente confliggenti dei molteplici stakeholders4.

Sul versante dell’individuazione dell’asse teleologico lungo il quale dipanare l’ipotizzato assetto sanzionatorio si colgono i momenti più fecondi del dialogo scientifico. Le visioni che sono emerse hanno posto le premesse per una disincantata consapevolezza della (perdurante) crisi della categoria del bene giuridico, nella sua duplice funzione fondativa (della tutela) e critica per la razionalizzazione del sistema e l’interpretazione (anche giudiziaria) della norma incriminatrice5. Il tortuoso processo di elaborazione – peraltro, non ancora

di lettura “duale” dell’esperienza del diritto penale dell’impresa (le due “velocità” del penale societario e del penale del mercato finanziario, per la sua struttura proiettato al futuro) che è ancora, in larga misura, efficace per descrivere la persistente «lentezza» delle strutture del microsistema penale societario: sul punto si tornerà.

4 Cfr. ultra, Cap. I, par. 2.

5 Il tema della crisi, presunta o effettiva, del Rechtsgut accompagna l’elaborazione e il progressivo

sviluppo del concetto, quasi a costituirne la traccia della sua relatività storica; in questa sede, più modestamente, la “crisi” è intesa in una duplice direzione, come già si diceva nel testo: sotto il profilo, in primo luogo, della funzione “critico-ordinamentale” del bene giuridico e cioè come criterio di legittimazione delle opzioni incriminatrici e parametro di orientamento razionale della politica criminale; su questo versante, e con particolare riguardo al settore penale-economico, la categoria del “bene giuridico”, nella sua concezione “liberale”, soffre le note criticità legate ai processi di “idealizzazione” degli oggetti suscettibili di tutela penale, che si esprimono, come noto, sia in termini qualitativi (è la prospettiva dell’emersione di “beni istituzionali”, “funzionali” ) sia quantitativi (l’affermarsi di beni aggregati, superindividuali, idonei a sintetizzare categorie omogenee di interessi). È un dato significativo che il circoscritto ambito della gestione dell’impresa risulti interessato dalle tendenze osservate: sintomo evidente dell’irriducibilità del fenomeno alle consolidate categorie euristiche, ivi compreso il “bene giuridico”. Nella seconda direzione, la crisi della teorica del bene giuridico investe le auspicate “prestazioni” critico-limitative nell’interpretazione della previsione incriminatrice; in questa dimensione, il bene giuridico si salda al principio di offensività. La prassi dimostra, tuttavia, il radicale sovvertimento di quella funzione: il bene giuridico opera, in realtà, come volano di applicazioni analogiche della fattispecie e, più in generale, come utile argomento per giustificare surrettizi processi di criminalizzazione “giurisprudenziale”. La strumentalizzazione argomentativa del bene giuridico si accompagna, peraltro, a derive ancor più profonde e latenti, che investono la sistematica del reato nella sua traduzione operativa: il giudizio di tipicità si polarizza sul versante della lesione del bene giuridico, sicché l’offesa (il momento valutativo) scalza ed esaurisce la valutazione di conformità del fatto storico al tipo legale, quasi riproducendo le cadenze proprie dell’illecito civile di “danno ingiusto”, aliene alla tipicità penale.

Si ritiene che la “compressione” del disvalore modale nella costruzione dell’illecito penale sia in larga parte espressione di questa carsica mitigazione della logica selettiva del tipo penale: sul tema

(8)

8

concluso - della figura dell’infedeltà patrimoniale ha reso evidenti le inevitabili difficoltà di concepire e, poi, declinare un paradigma di incriminazione conforme alla pretesa fondazione empirico-materiale del bene giuridico di riferimento, come tale fenomenicamente offendibile e processualmente verificabile6. Pretesa che è stata tradotta sul piano normativo (artt. 2634 e 2635 c.c.) e ha segnato il rigetto di modelli di incriminazione alternativi che si caratterizzassero come una deviazione da una descrizione lineare del fatto tipico, incentrata sulla funzione tipizzante del nesso di causalità e polarizzata sul disvalore espresso da un evento “individuale” di danno patrimoniale.

si tornerà. Per ora, in un vasto panorama bibliografico, ci si limita a pochi riferimenti essenziali: G.FIANDACA,Sul bene giuridico. Un consuntivo critico, Giappichelli, Torino, 2014, passim; ID.,Note sul principio di offensività e sul ruolo del bene giuridico tra elaborazione dottrinale e prassi giudiziaria, in A.M. STILE (a cura di), Le discrasie tra dottrina e giurisprudenza in diritto penale, Jovene, Napoli, 1991, pp. 61 ss.; F.PALAZZO,Meriti e limiti dell’offensività come principio di ricodificazione, in AA.VV.,Prospettive di riforma del codice penale e valori costituzionali, Giuffrè, Milano, 1996, pp. 73 ss.; G.MARINUCCI,

Fatto e scriminanti. Note dommatiche e politico-criminali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, pp. 1190 ss.; V.

MANES,Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Giappichelli, Torino, 2005, spec. pp. 79 ss.; A.FIORELLA,voce Reato in generale

(diritto penale), in Enc. dir., vol. XXXVIII, Giuffrè, Milano, 1987, pp. 770 ss.; in tema, nella prospettiva penale economica, fondamentale C.PEDRAZZI,Interessi economici e tutela penale, cit., pp.

285 ss.; per un’ampia e approfondita disamina della c.d. «parte generale» del microsistema in esame, R. RAMPIONI, Diritto penale dell’economia e principi informatori del sistema penale, in R.

RAMPIONI (a cura di), Diritto penale dell’economia, Giappichelli, Torino, 2017, pp. 9 ss.; E.M. AMBROSETTI,E.MEZZETTI,M.RONCO,Diritto penale dell’impresa, Zanichelli, Bologna, 2012, pp.

24 ss.; A.FIORELLA,I principi generali del diritto penale dell’impresa, in L.CONTI (a cura di), Il diritto

penale dell’impresa, in F. GALGANO (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico

dell’economia, vol. XXV, Cedam, Padova, 2001, pp. 15 ss.; di recente, ID.,L’economia pubblica e privata quale oggetto dell’offesa e parametro del campo di materia, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2017, pp. 455 ss.;

per una prospettiva radicale, G. FRANCOLINI, Abbandonare il bene giuridico? Una prospettiva

procedurale per la legittimazione del diritto penale, Giappichelli, Torino, 2015.

6 Una pretesa, peraltro, ricorrentemente evocata nel settore in esame, ma fondata su un radicale

equivoco concettuale, come acutamente osservato da F. PALAZZO,I confini della tutela penale: selezione dei beni e criteri di criminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, pp. 481 ss.: «l’esigenza della

concretizzazione non può certo essere intesa con riferimento ad una presunta fisicità del bene o dell’interesse giuridico, posto che non v’è bene – nemmeno il più materiale – che ovviamente non ricavi la sua consistenza da una componente valutativa e storicamente assorbente. Né, d’altra parte, si può pensare che la concretizzazione di cui il bene deve essere suscettibile, importi la necessità che l’offesa ad esso recata s’incorpori interamente e, quindi, si esaurisca, in un substrato fisico-naturalistico […]. La concretizzazione deve dunque essere intesa come un criterio di criminalizzazione che allude piuttosto alla necessità che la “distanza prospettica” tra il comportamento incriminato e l’interesse finale tutelato non sia così ampia da impedire di scorgere quest’ultimo nella concretezza del primo». Dunque, come coordinata tecnica per la formulazione della fattispecie. Alla luce di tale rilievo, sembra che la tendenza ad una (ri)costruzione in chiave meramente patrimoniale delle fattispecie implicate nel contesto del governo societario sia riconducibile anche all’equivoco di fondo cui allude l’Autore poc’anzi richiamato. Più di recente, discute la tesi della consistenza empirica del bene giuridico, M. RONCO,Scritti patavini, t. I, Giappichelli, Torino, 2017, pp. 103 ss.

(9)

9

2. Il modello di incriminazione c.d. patrimoniale: la civilizzazione dell’illecito penale.

L’iconografia classica del reato7 - orientamento causale del tipo, prevalenza del disvalore di evento, “offendibilità” materiale del bene giuridico - si è imposta anche come reazione alle derive soggettivistiche8 e formalistiche della tipicità e alle spinte verso una “degradazione dell’evento”9, ampiamente sperimentate nel settore del diritto penale dell’economia. In tal senso, la formulazione in chiave “particolaristica” dei reati di infedeltà societaria, votati alla tutela esclusiva del patrimonio sociale, dell’«interesse della compagine sociale all’ottimizzazione, secondo criteri di economicità, della gestione delle proprie risorse patrimoniali»10, ha corrisposto all’esigenza di preservare «le potenzialità ermeneutiche e critiche offerte dalla categoria del bene giuridico nella sua veste classica», valutando «alla stregua dell’interesse patrimoniale della società la lesività o meno del fatto tipizzato dal legislatore) senza indulgere a sempre possibili letture “smaterializzatrici” – in chiave eticizzante o istituzionale – dell’oggetto della tutela»11.

La “privatizzazione” del modulo di tutela12 si è però risolta – come ormai acclarato - nella marginalizzazione di un complesso scenario di interessi esterni

7 In proposito, amplius, M.DONINI,Teoria del reato. Una introduzione, Cedam, Padova, 1996, pp.

147 ss.

8 In tema, G.MARINUCCI,Soggettivismo e oggettivismo nel diritto penale. Uno schizzo dogmatico e politico-criminale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2011, pp. 1 ss.; A.CAVALIERE,Riflessioni intorno ad oggettivismo e soggettivismo nella teoria del reato, in E.DOLCINI,C.E.PALIERO (a cura di), Studi in onore di Giorgio

Marinucci, vol. II, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 1443 ss.

9 Sulla rivalutazione del disvalore di evento nella sistematica del reato e come coordinata per la

formulazione della fattispecie penale, si considerino i fondamentali studi in materia di N. MAZZACUVA,Il disvalore di evento nell’illecito penale. L’illecito commissivo doloso e colposo, Milano, 1983,

passim; D.SANTAMARIA,voce Evento (diritto penale), in Enc. dir., XVI, Giuffrè, Milano, 1967, pp. 118 ss.; l’impostazione tesa, invece, a deprimere la componente oggettiva in parola, sino a proporne la riduzione nella forma della condizione obiettiva di punibilità, è espressa da D. ZIELINSKI, Handlungs und Erfolgsunwert im Unrechtsbegriff: Untersuchungenz. Struktur von

Unrechtsbegründungu. Unrechtsausschluss, Duncker und Humblot, Berlino, 1973, passim.

10 La lucida posizione è espressa da L.FOFFANI,Infedeltà patrimoniale e conflitto d’interessi nella gestione d’impresa. Profili penalistici, Giuffrè, Milano, 1997, p. 43.

11 Così L.FOFFANI,Infedeltà patrimoniale e conflitto d’interessi nella gestione d’impresa. Profili penalistici,

cit., p. 44.

12 In tema, con specifico riguardo alla riforma del diritto penale societario del 2002, ma con

considerazioni invero generalizzabili quale critica a una determinata “modellistica” penale, tra gli altri, A.ALESSANDRI,La riforma dei reati societari: alcune considerazioni provvisorie, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, pp. 993 ss. e spec. pp. 1011 ss.; ID.,Corporate governance nelle società quotate: riflessi

penalistici e nuovi reati societari, in Giur. comm., 2002, pp. 521 ss.; ID.,Il ruolo del danno patrimoniale nei nuovi reati societari, in Le Società, 2002, pp. 797; A.MANNA,La riforma dei reati societari: dal pericolo al danno, in Foro it., 2002, V, pp. 111 ss.; R.ZANNOTTI,Il nuovo diritto penale dell’economia. Reati societari

e reati in materia di mercato finanziario, Giuffrè, Milano, 2008, pp. 103 ss.; le critiche più aspre, come

noto, si appuntarono sulla radicale revisione della fattispecie di false comunicazioni sociali, anch’essa soggetta ad un pervasivo processo di “privatizzazione”: in proposito, G.MARINUCCI,

Falso il bilancio: con la nuova delega avviata una depenalizzazione di fatto, in Guida dir., 2001, 45, pp. 10

(10)

10

all’impresa e, al contempo, nella svalutazione di esigenze di tutela, dotate di autonomo e riconoscibile rilievo, intrinsecamente legate alla dinamica del governo societario e, quindi, “pregiudiziali” rispetto alla conservazione (o gestione ottimale) del patrimonio sociale13.

Si è sostenuto che il modello “patrimoniale” in esame – positivizzato nelle fattispecie di infedeltà – si segnali per il recupero di una tipicità ispirata alle più consolidate matrici tipologiche del diritto penale “codicistico” a tutela del patrimonio individuale. Ed in tal senso rappresenterebbe un paradigma penale fortemente alternativo alle ibridazioni funzionali o regolatorie, sperimentate ad es. nel contesto della disciplina penale del mercato finanziario14; meglio, una sorta di emanazione del Kernstrafrecht in un orizzonte di sistema destinato invece a mutare sotto l’incipiente spinte della c.d. “modernizzazione” delle strutture e dei moduli di criminalizzazione.

Sennonché, più che ad una cittadella antica, capace – si sostiene - di resistere alle tendenze dissolutrici del post-moderno15, il modello penale riflesso in quelle fattispecie appare piuttosto come l’epigono sbiadito di un “idealtipo”, quello codicistico, autenticamente patrimoniale e fondato su presupposti profondamente divergenti da quelli pure invocati per descrivere, sul piano sistematico, il tipo (positivo) dell’infedeltà degli organi societari.

Lo iato tra i paradigmi si coglie vividamente nel dato della sostanziale indifferenza del modello legale alla descrizione “tipologica” delle forme di

PEDRAZZI,In memoria del falso in bilancio, in Riv. soc., 2001, pp. 1369 ss.; D.PULITANÒ,Arretrare sui principi non contribuisce al libero mercato, in Guida dir., 2001, 39, pp. 1 ss.

13 In proposito, con significativi spunti che saranno ripresi nel corso dell’indagine, E.MEZZETTI, L’infedeltà patrimoniale nella nuova dimensione del diritto penale societario. Scritti critici su ratio dell’incriminazione e bene giuridico tutelato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, pp. 193 ss.; più in generale,

con considerazioni analoghe a quelle proposto da E. Mezzetti, si veda D.PULITANÒ,La riforma

del diritto penale societario fra dictum del legislatore e ragioni del diritto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, pp.

934 ss.

14 Su questi moduli di tutela, T.PADOVANI,Il destino sistematico e politico-criminale delle contravvenzioni e le riforme del diritto penale del lavoro in Italia, in AA.VV.,Modelli ed esperienze di riforma del diritto penale complementare (Atti del convegno di Modena, 14-15 dicembre 2001), Giuffrè, Milano, 2003, pp.

155 ss.; ID.,Diritto penale della prevenzione e mercato finanziario, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, pp. 634

ss.; ID.,Tutela di beni e tutela di funzioni nella scelta fra delitto, contravvenzione e illecito amministrativo, in

Cass. pen., 1987, pp. 670 ss.;C.PEDRAZZI, Mercati finanziari (disciplina penale), in Dig. disc. pen., vol. VII, Torino, UTET, 1992, pp. 652 ss., ora in ID.,Diritto penale. Scritti di diritto penale dell’economia,

t. III, Giuffrè, Milano, 2003, pp. 149 ss.; F.BRICOLA,Il diritto penale del mercato finanziario, in Contr. impr., 1992, pp. 682 ss., ora in ID.,Scritti di diritto penale, Giuffrè, Milano, 1997, pp. 3591 ss.; note

le posizioni critiche di S.MOCCIA,Dalla tutela di beni alla tutela di funzioni: tra illusioni post-moderne e riflussi illiberali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, pp. 343 ss.; F.SGUBBI,Il reato come rischio sociale, Il

Mulino, Bologna, 1990, pp. 16 ss.; più in generale, in tema, V.MANES,Il principio di offensività nel

diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, cit., pp. 96 ss. 15 Intesa, la post-modernità, alla maniera di J.LYOTARD,La condition postmoderne, Les Editions de

Minuit, Parigi, 1979, trad. it. La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 2004, pp. 65 ss.., come fine delle grandi narrazioni di sistema (i grands récits).

(11)

11

aggressione dell’interesse patrimoniale16. Questa tipicità amorfa, essenzialmente imperniata sulla causazione di un quantificabile risultato lesivo, contraddice vistosamente la tesi di una trasposizione del nucleo codicistico patrimoniale17 sul versante penale economico.

Si delinea un modello di incriminazione che nel conservare solo apparentemente gli archetipi di matrice codicistica, in realtà si presenta come il risultato di un’ibridazione, anziché l’esito di un processo di (auspicata) ri-codificazione sostanziale, realizzabile attraverso la «gemmazione di tipi delittuosi “moderni” (o modernizzati) dalle più classiche figure di “reato d’azione” (Handlungsdelikt), principalmente contro il patrimonio», come, esemplificando, i «ceppi “classici” della truffa, dell’appropriazione indebita, dell’usura e (laddove esistente: Germania, Francia) dell’infedeltà patrimoniale»18.

Le fattispecie di infedeltà patrimoniale, quanto meno nella versione iniziale coniata dal legislatore, si segnalano per una proclamata adesione ai principi di offensività, sussidiarietà ed extrema ratio: ma si tratta, come si tenterà di dimostrare, di un ossequio piatto19 e, nella sostanza, retorico20.

La declinazione del principio di offensività si rivela, ad un’analisi più profonda, ambigua e inconsistente, nella misura in cui l’istanza garantista ad essa sottesa risulta legata ad alcuni assunti teorici, apparentemente non falsificabili: la

16 Coglie, invece, una continuità delle fattispecie della riforma penale societaria con gli schemi

tradizionali A.ALESSANDRI,La riforma dei reati societari: alcune considerazioni provvisorie, cit., pp. 1004

ss.

17 Sui caratteri identitari o archetipici del modello della tutela penale del patrimonio si considerino

i tre saggi fondamentali di C.PEDRAZZI,Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Giuffrè,

Milano, 1955, spec. pp. 23 ss.: «In seno all’ampia famiglia dei reati patrimoniali è essenzialmente il mezzo a fungere da principium individuationis», dove per «mezzo» si intende «la stessa condotta nella sua attitudine offensiva»; di F.MANTOVANI,Contributo allo studio della condotta nei delitti contro

il patrimonio, Giuffrè, Milano, 1962, spec. pp. 49 ss., che, come noto, argomenta la necessità di

una radicale inversione metodologica alla cui stregua il momento determinante nel procedimento di interpretazione della fattispecie penale (anche sotto il profilo teleologico) è costituito dalla descrizione della condotta nelle sue forme tipologiche; pur riconoscendo la tecnica della tipizzazione delle singole modalità di lesione come espressione di una “penalizzazione” frammentaria e puntiforme, a tutela delle dimensioni di libertà (economica, negoziale) coinvolte nelle relazioni socio-economiche, F.SGUBBI,Uno studio sulla tutela penale del patrimonio: libertà economica, difesa dei rapporti di proprietà e reati contro il patrimonio, Giuffrè, Milano, 1980, spec. pp.

perviene, però, in un’indagine di ampio respiro, a contestare la degradazione dell’evento di danno patrimoniale, nella misura in cui fattispecie prevalentemente orientate al comportamento si prestano a derive soggettivistiche e sintomatiche, rivelatrici della funzione che l’apparato sanzionatorio penale svolge a presidio della stabilità dell’assetto costituito dei rapporti economico-sociali.

18 In questi termini, C.E.PALIERO,L’autunno del patriarca. Rinnovamento o trasmutazione del diritto penale dei codici?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, pp. 1220 ss.

19 Un atteggiamento osservabile nella politica criminale e nell’apriorismo “dei principi” della

dogmatica: l’efficace espressione è formulata in un contesto di riflessione più ampio da G.FORTI,

La riforma del codice penale nella spirale dell’insicurezza: i difficili equilibri tra parte generale e parte speciale,

in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, pp. 67 ss.

20 In tal senso, D.PULITANÒ,La riforma del diritto penale societario fra dictum del legislatore e ragioni del diritto, cit., p. 936.

(12)

12

tesi – solo per esemplificare – secondo la quale la necessaria lesività del fatto possa trovare, nel contesto della gestione societaria, una concretizzazione operativa esclusivamente in un illecito (penale) di danno al patrimonio. Un’impostazione che solleva profonde perplessità: essa conferma, infatti, la carsica tendenza ad una “civilizzazione” dell’illecito penale21 che si realizza disperdendone l’autonoma selettività sul piano dei modi – questi sì, tipici - della lesione. Il giudizio di conformità al tipo finisce, in tal modo, per identificarsi nella logica della c.d. atipicità relativa che caratterizza il fatto illecito22: la selezione non avviene sulla scorta della condotta, in sé neutra, bensì in funzione delle sue conseguenze, rilevanti in quanto lesive di un interesse meritevole di tutela (patrimonio) nell’ottica civile o altrimenti tipico (evento di danno patrimoniale) in quella penale. L’avvicinamento graduale dei due modelli di illecito, osservabile nitidamente nel penale societario - quanto meno in epoca anteriore alle più recenti riforme legislative che, in realtà, sono intervenute proprio sugli elementi “spuri” dell’illecito penale23 – sottende interrogativi di sistema singolarmente impegnativi:

21 Il tema, come noto, è stato magistralmente affrontato, in uno studio ormai classico, da J.C.

COFFEE JR,Paradigms lost: the Blurring of the Criminal and Civil Law Models – And What Can be Done About it, in Yale Law Journal, 1992, 101, pp. 1875 ss.; raccoglie una singolare attenzione nei regulatory studies: cfr. ad es. V.TADROS,Criminalization and Regulation, in R.A.DUFF,L.FARMER, S.E.MARSHALL,M.RENZO,V.TADROS,Boundaries of the Criminal Law, Oxford University Press,

Oxford, 2010, pp. 163 ss.. Il concetto di «civilizzazione» dell’illecito penale, di cui nel testo, allude precisamente all’assimilazione delle strutture descrittive dei due modelli; il tipo penale disperde progressivamente la sua capacità di selezione modale, che ne costituisce il tratto distintivo: coglie questo aspetto, ad es., N.LACEY,Criminalization as Regulation: The Role of Criminal Law, in C.

PARKER, C. SCOTT, N. LACEY, J. BRAITHWAITE, Regulating Law, Oxford University Press,

Oxford, 2004, pp. 155-156, che sembra ricondurre l’attenuazione della “labelling function”, propria del diritto penale, ad un’esigenza di adeguamento agli assetti sociali: l’espressione, quindi, di un atteggiamento regolatorio di tipo “responsiveness”; una prospettiva su cui riflettere. Ma si consideri anche C.WELLS,Corporate crime: opening the eyes of the sentry, in Legal Studies, 2010, 30, pp. 370 ss.,

con riferimento al settore della criminalità economica, di matrice societaria, che coglie una progressiva tendenza alla marginalizzazione del diritto penale, in favore di moduli punitivi ibridi, a forte connotazione civilistica e negoziale. In Italia, la prospettiva dei rapporti tra diritto penale e diritto civile, è stata esplorata – più di recente – soprattutto da A.GARGANI,voce Illecito civile

punitivo, in Enc. dir., Ann. X, 2017, pp. 487 ss., con ampi riferimenti.

22 Appare fortemente significativa la scelta seguita da F.PALAZZO,Corso di diritto penale. Parte generale, Giappichelli, Torino, 2016, pp. 80 ss., di intraprendere la tematizzazione del principio di

tipicità con un raffronto con l’eterogenea struttura dell’illecito civile: «Molto raramente la formula legislativa individua il fatto penalmente illecito per mezzo direttamente del suo contenuto di disvalore, come avviene invece ad esempio per l’illecito civile extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c.», dove «il fatto illecito viene individuato per mezzo dell’indicazione, che assume una portata sostanzialmente esaustiva, del «danno ingiusto»: indicazione, dunque, che assorbe ed esaurisce il contenuto di disvalore del fatto illecito»; diversamente, «nell’attuale diritto penale, l’individuazione del fatto costituente reato avviene attraverso una indicazione legislativa «indiretta» del suo disvalore […]». Sintetizza negli stessi termini la logica della tipicità penale, in rapporto al «delitto civile», argomentando – è questo un aspetto decisivo – dalla policromia modale delle fattispecie incriminatrici a tutela del patrimonio, C.PEDRAZZI,Inganno ed errore nei

delitti contro il patrimonio, cit., pp. 26 ss.

23 Esemplificando, e in via di prima approssimazione, l’eliminazione del «danno patrimoniale»

(13)

13

ad es. in ordine al rapporto, sempre più intricato e sovente indecifrabile tra le due meccaniche sanzionatorie, quella civile e penale, che, invero, finiscono per contendersi lo stesso campo nel settore della gestione societaria; e, ancor prima, circa il (necessario) coordinamento tra le due discipline, nell’ottica di una sussidiarietà del penale che deve prendere atto dell’intrinseca funzione performativa dello statuto civile e commerciale del fenomeno-impresa, assicurando all’illecito penale uno statuto di relativa autonomia24.

3. Procedimentalizzazione dell’amministrazione societaria e smarrimento del paradigma penalistico.

A tal proposito, il carattere sussidiario della fattispecie di infedeltà, appare quanto mai opinabile. Risulta, infatti, radicalmente carente lo stesso presupposto tecnico perché quell’istanza di sistema possa compiutamente attuarsi: ci si riferisce al mancato coordinamento con la disciplina civilistica del conflitto di interessi (art. 2391 c.c.) e più in generale con la stessa strategia regolatoria che la riforma del diritto societario ha adottato.

Gli esiti di questo scollamento dal preliminare assetto disciplinare, civile e commerciale, sono paradossali: la successiva analisi sarà dedicata anche ad una loro disamina. Ciò che più interessa è tentare una spiegazione del profondo smarrimento del nucleo penalistico nell’orbita della disciplina dell’amministrazione e direzione della società.

L’insipienza di una riforma penale che ha preceduto, anziché seguire, il riassetto disciplinare del sistema societario, non è una spiegazione sufficiente, quanto meno nella sostanza. L’incomunicabilità tra i due versanti disciplinari dello stesso fenomeno è in realtà da ricondurre all’inadeguata comprensione della funzione che una regola di responsabilità ex post25, come la norma penale, può ancora svolgere in un contesto di attività che si è strutturato, anche sulla scorta degli interventi legislativi, secondo un accentuato modello procedimentale di regolazione dei comportamenti in esso rilevanti, in base al quale la prevenzione delle disfunzioni – o meglio delle situazioni che possono generarle - è affidata alla tracciabilità dei processi informativi e gestionali.

puntuale ricognizione, A.ALESSANDRI,Art. 2621 c.c.: False comunicazioni sociali, in A.ALESSANDRI

(a cura di), Reati in materia economica, in F.PALAZZO,C.E.PALIERO (diretto da), Trattato

teorico-pratico di diritto penale, Giappichelli, Torino, 2017, pp. 7 ss.; cfr. infra, nt. 35.

24 Sul punto, inter alios, D.PULITANÒ,L’anticipazione dell’intervento penale in materia economica, in AA.

VV.,Diritto penale, diritto di prevenzione e processo penale nella disciplina del mercato finanziario (Atti del IV

Congresso nazionale di diritto penale), Giappichelli, Torino, 1996, pp. 18 ss., un’interessante critica – tuttora replicabile – ad alcuna visioni esasperatamente autonomistiche dell’illecito penale nel campo di materia della gestione societaria, si considerino G.MARINUCCI,M. ROMANO,

Tecniche normative nella repressione penale degli abusi degli amministratori di società per azioni, cit., pp.

107-108.

25 Sulle regole di responsabilità (ex post) come strategia regolatoria si veda, intanto, l’essenziale

(14)

14

La “procedimentalizzazione”, in tale prospettiva, non è un fenomeno organizzativo che ha un’incidenza esclusivamente sul piano dell’imputazione penale e sul modo di atteggiarsi dei relativi criteri ascrittivi (versante, questo, ampiamente perlustrato in dottrina 26 ). Invero, l’avvento di un assetto procedimentale – si pensi, ancora, alla disciplina del conflitto di interessi, innovata dalla riforma societaria del 2003 – dovrebbe condizionare la modulazione dell’intervento penale ancor prima sotto il profilo della definizione della regola oggettiva di responsabilità.

La sussidiarietà implica, quindi, l’adeguamento del tipo legale ad una prospettiva di regolazione tale per cui il controllo sulla gestione e la risoluzione degli endemici problemi di agency si realizza imponendo la conformità di comportamenti a procedure di disclosure che ne garantiscono – è questo l’aspetto determinante – la verificabilità.

Si assiste difatti al passaggio da una legalità nell’impresa orientata alla conformità della condotta gestionale all’ineffabile interesse societario ad una legalità

procedimentalizzata. L’istanza di adeguamento del modello penalistico agli assetti

procedurali dell’impresa non può essere attuata con moduli sanzionatori formalistici, relegando la sanzione penale a superfluo presidio dell’osservanza degli obblighi derivanti dall’esercizio di una determinata carica; questa tecnica legislativa si è già rivelata fallimentare, sotto plurimi profili27.

L’ipotesi di lavoro è che la sussidiarietà possa realizzarsi orientando il modulo di incriminazione in funzione – in ottica strumentale, quindi – all’esigenza di “controllabilità” dei modi di esercizio del potere di gestione: la sanzione penale o in senso lato punitiva opererebbe effettivamente come ultima ratio in relazione ai soli comportamenti che si rivelino in concreto disfunzionali alla dinamica procedimentale del controllo societario. E così la tutela penale si realizzerebbe a prescindere da un sindacato nel merito delle singole scelte gestionali, la cui discrezionalità risulta, invece, inevitabilmente compromessa da modelli punitivi ancorati alla logica del danno patrimoniale e, quindi, all’accertamento di un nesso di causalità che si rivela, nella sua concretizzazione processuale, incompatibile con la spiegazione del flusso dei fatti economico-aziendali28.

26 Per tutti, F.CENTONZE,Controlli societari e responsabilità penale, Giuffrè, Milano, 2009, passim. 27 Una formalizzazione dei moduli offensivi che si è espressa, sul piano della strutturazione della

fattispecie penale, attraverso il massiccio impiego della tecnica del rinvio: criticamente, F. BRICOLA,Lo statuto penale dell’impresa: profili costituzionali,cit., pp. 3330 ss.; si veda, inoltre, M. DONINI,Teoria del reato. Una introduzione, cit., pp. 230 ss.

28 Che la struttura del giudizio condizionalistico soffra insuperabili limiti, anche di ordine

epistemologico, - soprattutto per l’inevitabile carenza di un adeguato e compatibile patrimonio nomologico - se applicato in relazione alla spiegazione dei «fatti economici» in cui è scandita la gestione aziendale è un dato ormai suffragato dall’esperienza applicativa ad es. delle fattispecie penali fallimentari; del resto, anche il giudizio di pericolosità concreta per la garanzia patrimoniale, che pure risponde ad un latente modulo causale (appunto, la valutazione di probabilità della lesione), si accontenta di valutazioni virtuali e finisce per lo più per appiattirsi su conclusioni di ordine meramente aritmetico: sennonché, la prospettiva della gestione aziendale e la stessa logica di bilancio non sono riducibili a mere semplificazioni contabili. Sul punto si tornerà nel corso dell’indagine.

(15)

15

La prospettiva critica investe, quindi, il tema nodale delle tecniche di descrizione della fattispecie penale nell’ottica di un superamento – anzitutto, sul piano dogmatico – di «monolitici modelli di tutela»29 assuefatti, nel settore in esame, ad una concezione della tipicità disimpegnata sul fronte dell’enucleazione di tipologie di condotta rilevanti perché idonee, in sé considerate, a minare la funzione di controllo, intesa come precondizione di «esistenza» dell’istituzione societaria.

Certo: il fronte cui si allude è impegnativo, nella misura in cui implica uno sforzo significativo di ermeneutica del «mondo dei fatti» (preliminare alla formulazione del tipo), nel tentativo di dominare contesti di attività, come il governo dell’impresa societaria, che si sottraggono alle logiche semplificanti della causazione dolosa di un danno economico o di un nocumento per l’impresa. Un armamentario concettuale che si è rivelato, a più riprese, operativamente inidoneo a comprendere le moderne crisi di complessità30, tra cui si ritiene di annoverare anche le fenomenologie legate all’esercizio discrezionale dei poteri di gestione nell’impresa.

D’altra parte, in relazione a questi fenomeni, le mutate costanti criminologiche, portato dell’evoluzione del modello economico di impresa e di

management31, impongono di abbandonare impostazioni e orientamenti empirici anacronistici e, in un certo qual senso, consolanti, candidamente espressi in usurate esemplificazioni didascaliche. Si allude all’icastica figura dell’amministratore esecutivo, in conflitto di interessi, che avvantaggia l’impresa della consorte, all’avido bancarottiere che dispone operazioni in assenza di controprestazioni, ossia la forma evoluta della più marchiana distrazione del magazzino. Raffigurazioni degne delle squisite cronache caricaturali dei robber

baron, più che indicative di un formante empirico oramai inattingibile dai modelli

di “lettura” lato sensu appropriativi (ivi comprese le fattispecie di bancarotta) o a struttura bipolare32 (agente-profitto e vittima-danno).

Significativi segnali di un’insofferenza della realtà empirica ai modelli offensivi (o chiavi di lettura), calettati sulla causazione dolosa di un danno patrimoniale, si traggono da altre esperienze ordinamentali, in cui fattispecie di

29 In tal senso, F.PALAZZO,Riflettendo su trasformazioni e proiezioni del diritto penale degli anni novanta,

in S.CANESTRARI (a cura di), Il diritto penale alla svolta di fine millennio (Atti del convegno in ricordo di Franco Bricola, Bologna 18-20 maggio 1995), Giappichelli, Torino, 1998, pp. 115 ss.

30 Così definite da C.E.PALIERO,L’autunno del patriarca. Rinnovamento o trasmutazione del diritto penale dei codici?, cit., p. 1225.

31 Cfr. ultra, Cap. II.

32 A questa semplicistica struttura bipolare si riferisce, in un’acuta indagine, A.ALESSANDRI, Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro. Un’introduzione, in AA.VV.,Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro, Giuffrè, Milano, 2009, p. 41; è agevole supporre, peraltro sulla scorta di una

riflessione dello stesso Autore (ID.,Attività d’impresa e responsabilità penali, in Riv. it. dir. proc. pen.,

2005, pp. 534 ss. e spec. p. 543) che tale struttura sia riconducibile proprio al «modello culturale ancora trasparentemente adottato dalla giurisprudenza [che] è quello della polarità duale (autore vs. vittima)»: una chiave di lettura che nel contesto societario si caratterizza ulteriormente in senso “patrimoniale” o “privatistico”, secondo lo schema, già accennato nel testo, “profitto-danno”.

(16)

16

“infedeltà” dalla forte matrice tradizionale (in particolare, l’Untreue del § 266 StGB), non si rivelano affatto immuni da importanti perturbazioni applicative del loro assetto strutturale, soprattutto sotto il profilo dell’evento di pregiudizio (Nachteil), con incisivi riverberi sul versante teleologico33.

L’oggettività giuridica patrimoniale (Vermögen) è, in tal senso, soggetta ad un graduale processo di “approfondimento” o astrazione34, che si risolve, in buona sostanza, nell’introiettare nell’orbita offensiva della fattispecie interessi qualitativamente eterogenei rispetto al patrimonio, identificabili, in via di prima approssimazione, in nuclei di valore che attengono alla dinamica negoziale del rapporto tra il gestore del patrimonio e il Treugeber. È il caso, esemplificando, della tutela di oggettività dalla struttura “relazionale”, come la facoltà di disposizione dello stesso soggetto fiduciante (la Dispositionsfreiheit) e l’affidamento individuale nel conforme esercizio del potere di gestione (Vertreuen).

È un dato di estremo rilievo, da un punto di vista teorico, come, in queste esperienze, il potenziamento qualitativo della dimensione lesiva del reato si realizzi nell’ottica di un recupero (graduale e per lo più surrettizio) di interessi che rappresentano la proiezione della relazione economica e negoziale entro la quale si svolge la condotta rilevante, che ne costituisce la negazione o, per meglio dire, la modalità tipica di aggressione (Angriffmodalität).

In questa dimensione teleologica si esprimono, in altre parole, esigenze di tutela che ineriscono la stessa struttura della dinamica di scambio – ossia il contesto di inveramento della fattispecie legale -, rappresentandone le precondizioni strumentali di svolgimento.

In un recente studio monografico35, sulla scorta di un’applicazione della metodologia dell’interazione dei sistemi di Niklas Luhmann36 , si è proposta una brillante rilettura della fattispecie di Untreue nell’ottica del riconoscimento di una

33 Con riferimento all’esperienza applicativa dell’abus de biens sociaux, che si caratterizza per una

consistenza anticipazione della tutela, sino a riconoscere rilevanza tipica a mere condotte di esposizione della società ad un indefinito «rischio anormale», si veda, molto di recente, D. DECHENEAUD,L’élément matériel de l’infraction économique, in V.VALETTE-ERCOLE (a cura di), Le

droit pénal économique. Un droit pénal très spécial?, Editions Cujas, Parigi, 2018, pp. 35 ss. ; si consideri,

inoltre, l’analisi comparatistica di A.MANNA,Abuso d’ufficio e conflitto d’interessi nel sistema penale,

Giappichelli, Torino, 2004, pp. 124 ss.

34 In tal senso, tra le più rilevanti, cfr. BGH, Urteil vom 29. August 2008 – 2 StR 587/07, in www.lexetius.com, spec. §§ 46-47: «Die dauerhafte Entziehung der Verfügungsmöglichkeit über die veruntreuten Vermögensteile stellt für den Treugeber daher nicht nur eine (schadensgleiche) Gefährdung des Bestands seines Vermögens dar, sondern einen endgültigen Vermögensverlust, der, wenn er vorsätzlich verursacht wurde, zur Vollendung des Tatbestands der Untreue und zu einem Vermögensnachteil in Höhe der in der verdeckten Kasse vorenthaltenen Mittel führt. Die Verwendung der entzogenen und auf verdeckten Konten geführten Geldmittel ist nur eine Schadensvertiefung; das Erlangen von durch spätere Geschäfte letztlich erzielten Vermögensvorteilen durch den Treugeber ist, nicht anders als eine Rückführung der entzogenen Mittel, allenfalls eine Schadenswiedergutmachung»

35 A.BRÄUNIG,Untreue in der Wirtschaft. Eine funktionale Interpretation des Untreuestrafrechts, Duncker

& Humblot, Berlino, 2011, passim

36 In particolare, N.LUHMANN,Social Systems, Stanford University Press, Stanford, 1995, pp. 12

(17)

17

necessaria osmosi di contesto tra i due sottosistemi dell’economia (Wirtschaft) e del diritto (Recht).

La proposta muove dalla considerazione della complessità che si genera da questa interazione infrasistemica e dall’esigenza di superare impostazioni tendenti a relegare il diritto penale in una dimensione di autoreferenzialità, valorizzandone, invece, le strutturali capacità adattive al contatto con l’ambientazione economica. Nell’ottica di realizzare una riduzione della complessità interattiva tra i due sistemi (Komplexitätsminderung), la norma incriminatrice è soggetta ad un’interpretazione “funzionale” tesa a valorizzare le componenti contestuali della sua dimensione offensiva tipica; con un maggior sforzo esplicativo, la lesione patrimoniale, sottesa al tipo descritto dal § 266 StGB, è interpretata nell’ottica del rapporto economico su cui si innesta, ossia, in termini generali, la gestione “fiduciaria” di un patrimonio altrui.

Tale relazione si caratterizza, con varie intensità, per un tipico fenomeno di “delega” del potere di gestione: questo genera prospettive di rischio specifiche del rapporto, non sovrapponibili alla normale aleatorietà dell’operazione economica ad es. disposta dal gestore del patrimonio (il normale rischio di impresa). Si tratta di rischi connessi alla probabilità di comportamenti opportunistici da parte del gestore (ad es. l’amministratore dotato di poteri esecutivi), che realizzi condotte in conflitto di interessi o, comunque, tali da ledere – per l’appunto – l’affidamento oggettivo del “fiduciante” nella conformità del comportamento al suo interesse. L’ulteriore rischio è invece il portato della strutturale asimmetria informativa che caratterizza questa relazione, che si manifesta con gradi di complessità ben più elevati nel contesto societario, per quel fenomeno – ormai più che consolidato – di separazione tra proprietà e controllo che è il connotato essenziale dell’impresa societaria moderna.

L’operazione di contestualizzazione ermeneutica della norma consente di evidenziare quei profili in senso lato teleologici, come l’affidamento dell’operatore economico e l’autonomia privata, che, come già si accennava, rappresentano le condizioni di “esistenza” e di operatività della transazione economica. In tal senso, la norma incriminatrice si alimenta dei “fatti”, in una sorta di osmosi ermeneutica il cui riconoscimento consente di “qualificare”, contestualizzare e, in buona sostanza, specificare la direzione teleologica dell’offesa tipica, che, tuttavia, rimane saldamente ancorata all’integrità del patrimonio: non un potenziamento

quantitativo dell’oggettività giuridica, bensì la valorizzazione del suo orientamento.

L’affidamento e l’autonomia negoziale sono Spezifika, cioè elementi di specializzazione dell’asse della tutela, destinati ad operare come criteri di interpretazione teleologica della previsione incriminatrice, in funzione ulteriormente selettiva del suo ambito di previsione. Sicché, solo un comportamento che, oltre a produrre un pregiudizio patrimoniale alla società, integri anche la “lesione” di questo “affidamento oggettivo” assume rilevanza tipica ai sensi del § 266StGB, interpretato in questa chiave funzionale.

La tesi è suggestiva e teoricamente importante: si espone, certo, a molteplici obiezioni, in relazione, ad esempio, alla necessità di definire con

(18)

18

esattezza natura e contenuto di questo “affidamento oggettivo”, cui si pretende di attribuire una funzione di chiarificazione (selettiva) della previsione incriminatrice. Peraltro, si tratta, come intuibile, di un’interpretazione difficilmente generalizzabile ad altri modelli positivi di infedeltà, in considerazione del fatto che essa appare fortemente coerente con la morfologia modale dell’Untreue, scandito su due significativi “disvalori-mezzo” che agevolmente possono costituire, sul piano strutturale, elementi capaci di illuminare l’orientamento “funzionale” (o teleologico) dell’offesa patrimoniale. Ma non è tanto il merito – forse, opinabile - di questa ricostruzione ad interessare in questa indagine: piuttosto, è l’approccio 37 adottato a rappresentare un’originale coordinata metodologica che consente di porre in luce un aspetto teorico decisivo. Riguardati nell’ottica dell’interazione dei sottosistemi sociali (economia e diritto), i moduli punitivi orientati in chiave patrimoniale e bipolare non sono più in grado di sintetizzare quel complesso di interessi obiettivabili nella stessa dinamica economica in cui le fenomenologie disfunzionali del governo societario si esprimono.

4. Recupero della selettività modale dell’illecito penale e innovazione del “metodo della tutela”: un percorso di indagine.

L’apertura del paradigma penale a referenti di tutela ulteriori può compiersi in varie forme: in termini espressi, tramite interventi legislativi che innovino la scelta di incriminazione, in un’operazione di rilegittimazione sostanziale della fattispecie38; o sul piano interpretativo (come per la proposta poc’anzi sintetizzata) e dogmatico, ragionando criticamente sui “metodi della tutela” e sui temi fondativi della sistematica dell’illecito penale, rivalutando la dialettica costitutiva tra disvalore di azione e disvalore di evento39, fuori, però, da stanchi e sbiaditi

37 Il metodo dell’interazione comunicativa dei sistemi implica la necessità di valutare i significati

provenienti dal sotto-sistema economico pur sempre in funzione dei meccanismi autopoietici del sistema sociale ricevente, per l’appunto il diritto: In particolare, N.LUHMANN,Social Systems,

cit., pp. 210 ss.

38 Un processo di rilegittimazione sostanziale – su cui occorrerà spendere ulteriori considerazioni

nel corso dell’indagine – ha interessato la fattispecie di «corruzione tra privati» (art. 2635 c.c.), da ultimo attraverso l’espunzione, per effetto del d.lgs. n. 38/2017, del requisito (appunto, “spurio”, come si diceva nel testo) del «nocumento»: da un modello patrimonialistico, portato della riforma del diritto penale societario del 2002, si sarebbe trascorsi ad un (rinnovato) impianto c.d. lealistico. In tema, si veda l’approfondita indagine di E.LA ROSA,Corruzione privata e diritto penale. Uno studio sulla concorrenza come bene giuridico, Giappichelli, Torino, 2018, spec. pp. 320 ss.

39 In tal senso potrebbe essere letta la sentenza del Bundesverfassungsgericht (cfr. BVerfG, Beschl. v.

23.6.2010 – 2 BvR 2559/08, 2 BvR 105/ 09, 2 BvR 491/09 Abgedruckt in NJW 2010, 3209), in cui la Corte, nel valutare la conformità della fattispecie di cui al § 266StGB al principio di determinatezza, circoscrive la dimensione offensiva alla sola oggettività patrimoniale, “sterilizzando” l’incidenza delle modalità tipiche di aggressione sul piano dell’individuazione di ulteriori referenti di tutela, come l’affidamento individuale nella regolare gestione del patrimonio altrui o l’autonomia negoziale del soggetto fiduciante. Tali modalità avrebbero, dunque, una mera funzione di descrizione dell’Unrechtsgehalt.

(19)

19

schematismi descrittivi (bene strumentale-disvalore mezzo; bene finale-disvalore di evento). E, infine, anche sul piano dell’applicazione (rectius, dell’interpretazione) giudiziale – come testimoniano le esperienze tedesca e francese – dove le dilatazioni del tipo legale pongono in forte tensione il principio di legalità-tassatività. A tal proposito, è oramai riduttivo meditare sui movimenti espansivi della prassi, denunciandone il carattere schiettamente analogico; appare più fecondo indagare le tendenze espansive per cogliere in esse le tracce riconoscibili di queste incontenibili istanze di “riadattamenti” ermeneutici del tipo legale e di mutamenti radicali del paradigma normativo di sintesi del dato empirico.

Le sensibilità teoriche40 che sospingono verso un recupero dell’originaria morfologia modale del Tatbestand si sono più di recente espresse con riferimento ai delitti di riciclaggio, di impiego e, più in particolare, di autoriciclaggio (artt.

648-bis e ss. c.p.): moduli repressivi, come noto, trasversali e dalle forti capacità

“adattive” in svariati contesti empirici.

È significativo, in via preliminare, come l’evoluzione legislativa e interpretativa di tali fattispecie si sia caratterizzata per un graduale processo di emancipazione dalla dimensione meramente patrimoniale nel cui alveo erano state inizialmente concepite41; e che tale processo si sia compiuto attraverso la graduale rivalutazione delle componenti oggettive della condotta, la cui necessaria capacità decettiva è assurta, infine, a preminente criterio teleologico di perimetrazione dello spettro applicativo.

La “modernizzazione” della fisionomia dell’incriminazione si è espressa, in tal caso, in termini profondamente antitetici rispetto alle tendenze che invece sono state osservate con riguardo a talune fattispecie del “penale” economico, dove è invece prevalsa - per le ragioni sinora solo abbozzate - l’opzione di deprimere i caratteri della condotta tipica in favore di una costruzione causale del tipo. In altre parole, rispetto a queste fattispecie, la matrice codicistica “patrimoniale” è stata conservata nel suo nucleo archetipico.

Nell’articolato dibattito intorno alla possibilità di configurare una responsabilità della persona giuridica in relazione al delitto di autoriciclaggio (art. 25-octies, d.lgs. n. 231/2001), anche nel caso in cui il reato-fonte risulti estraneo al catalogo del d.lgs. n. 231/2001, si distinguono opzioni teoriche che individuano nello spessore obiettivo e, quindi, nella connotazione modale della condotta individuale l’argomento per affermare l’autonoma “riconoscibilità” del fatto di autoriciclaggio nell’ottica dell’autoregolamentazione preventiva dell’ente: un rischio-reato identificabile e tracciabile, quindi, a prescindere dall’identità del reato generatore delle utilità reinvestite42; individuabile, si precisa, appunto alla stregua delle sue

40 Rivitalizza il tema, in ottica dogmatica, lo studio di M.MANTOVANI,Contributo ad uno studio sul disvalore di azione nel sistema penale, Bononia University Press, 2014, passim.

41 In tema, amplius, G.MORGANTE,Il reato come elemento del reato. Analisi e classificazione del concetto di reato richiamato nella fattispecie penale, Giappichelli, Torino, 2013, spec. pp. 85 ss.

42 Opzioni riconducibili, in particolare, agli studi di F.MUCCIARELLI,Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2015, pp. 108 ss.; E.BASILE,L’autoriciclaggio nel sistema penalistico di contrasto al money laundering e il nodo gordiano del concorso di persone, in Cass. pen., 2017, pp.

(20)

20

modalità realizzative, concretamente decettive rispetto alla funzione di accertamento della provenienza illecita.

Appare di speciale interesse, peraltro, come la dottrina incline a riconoscere come determinante la componente modale degli illeciti in parola ne colga la dimensione offensiva tipica nella tutela dell’ordine economico, che sintetizza, in realtà, una prospettiva teleologica irriducibile alla consueta categoria del “bene giuridico”, per assumere, invece, una portata strumentale, nel senso di garantire le precondizioni per l’attuazione di un sistema economico e di un mercato immune da forme di consolidamento di ricchezze illecite43 e dai correlati riverberi negativi sul piano concorrenziale44.

Nell’esperienza dei delitti lato sensu di riciclaggio, la ricostruzione del profilo tipologico dell’incriminazione si è mossa nel senso di “liberare” (rivalutare) nuclei di disvalore, come quello obiettivo di azione, altrimenti compressi nella logica del disvalore-mezzo ovvero della esclusiva lesione di beni “strumentali”. Ciò ha lasciato emergere la proiezione “strumentale” della fattispecie rispetto ad un più vasto obiettivo di tutela dell’integrità della complessiva dinamica economica, tramite la repressione delle sole condotte concretamente idonee ad innescare i successivi processi di integrazione delle risorse di provenienza illecita nel tessuto economico-legale.

Sulla scorta di tali rilievi, si può già avanzare l’ipotesi che sussista una relazione tra il recupero di una dimensione “visuale” dell’illecito penale, concentrata sul disvalore oggettivo di azione, ed il riconoscimento di una prospettiva teleologica qualitativamente alternativa, fondata sul paradigma della tutela di “precondizioni”, secondo la visione proposta da Giovannangelo De Francesco45. Occorrerà verificare, quindi, se l’innovazione del “metodo della tutela”, nel settore di interesse, possa realizzarsi selezionando riconoscibili tipologie comportamentali rilevanti in quanto disfunzionali rispetto all’obiettivo di conservare le “condizioni di esistenza” dell’aggregato societario.

43 Per un’analisi dell’incidenza macroeconomica dei fenomeni di money laundering, un essenziale riferimento, in una letteratura singolarmente articolata, è P.J.QUIRCK, Macroeconomic Implications

of Money Laundering, in International Monetary Fund , Whashington D.C., 1996, passim; si veda inoltre,

tra i molteplici contributi dell’Autore, D. MASCIANDARO,Economia del riciclaggio e della politica antiriciclaggio, in Giornale degli economisti. Annali dell’economia, 1995, 54, pp. 211 ss..

44 In tal senso, nel contesto di una più profonda riflessione di ordine metodologico, i cui esiti

saranno ripresi oltre, si consideri G.A.DE FRANCESCO, Programmi di tutela e ruolo dell’intervento

penale, Giappichelli, Torino, 2004, pp. 62 ss., quando osserva «come il fenomeno del riciclaggio

evochi, ancora una volta, in forma emblematica proprio quel ruolo di fattispecie “strumentale” di base destinata a fondare e a legittimare la scelta di fare ricorso all’opzione sanzionatoria penale. L’insieme degli interventi volti a contrastare la diffusione e il “radicamento” di determinate pratiche ed attività illegali rischierebbe di risultare fragile e precario, in assenza di un intervento repressivo incentrato su quello che è andato sempre più rivelandosi, in ultima analisi, come il motore e il fulcro di irradiazione di iniziative volte ad incidere sull’andamento dei mercati e dei conseguenti riverberi lato sensu “disfunzionali” rispetto alle logiche distributive proprie di un contesto di rapporti economico-sociali ormai proiettato verso le sfide indotte dai processi di globalizzazione».

(21)

21

Comportamenti, cioè, idonei a minare, all’infuori di spesso ineffabili distinctiones (pericolo astratto o concreto, tutela di beni finali o strumentali), la verificabilità dei processi decisionali interni all’impresa e, quindi, nell’ottica strumentale di garantire l’attuazione degli assetti giuridici di riferimento e degli strumenti (regolatori) di corporate governance.

5. Il movimento criminologico «de-collaring white-collar crime»: ossia l’oggettivizzazione dell’approccio di analisi.

Si colloca coerentemente lungo il percorso di indagine, sinora tracciato, l’indirizzo criminologico che prospetta un netto superamento dell’approccio

offender-based che, sulla scorta degli accreditati studi di Sutherland, caratterizza

tuttora la white-collar criminology, con esiti, come noto, difficilmente tematizzabili sul versante della politica criminale, in considerazione della forte connotazione soggettiva e sociologica (“cetuale”) della definizione di riferimento (si allude alla ben nota «The white collar criminal is definend as a person of high socioeconomic status who violates the laws designed to regulate his occupational activities»46). La revisione teorica muove dall’avvertita esigenza di emancipare la definizione di

white-collar crime da valutazioni che attengono alla posizione socio-economica del

soggetto agente, all’appartenenza di classe o al riconoscimento sociale (status) di cui gode nel contesto in senso lato professionale; tale approccio definitorio, infatti, «had created an imprisoning framework for contemporary scholarship,

46 Cfr. E.H.SUTHERLAND,The White Collar Criminal, in V.C.BRANHAM,S.B.KUTASH (a cura

di), Encyclopedia of Criminology, Philophical Library, New York, 1949, p. 511; ID., White-Collar Criminality, in American Sociological Review, 1940, p. 4, dove osserva che «white-collar as used in this

paper means “respected”, “socially accepted and approved”, “looked up to”. Some people in this class may not be well-dressed or well-educated, nor have high incomes, althought the “upper” usually exceed the “lower” classes in these respects as well as in social status»; in generale, sull’opera di Sutherland, in un vasto panorama bibliografico, rimangono riferimenti essenziali: G.GEIS,White-Collar Crime: What Is It?, in K.SCHLEGEL,D.WEISBURD (a cura di), White-Collar

Crime Reconsidered, Northeastern University Press, Boston, 1992, pp. 31 ss.; S. WHEELER,D. KAHAN,White-Collar Crime: History of an Idea, in J.DRESSLER (a cura di), Encyclopedia of Crime &

Justice, Macmillan, New York, 2002, 4, c. 1672; per una recente rilettura “antologica” dell’Autore,

nel contesto dell’animato dibattito metodologico che attraversa il versante degli studi criminologici in esame, si veda G.GEIS,The Roots and Variant Definitions of the concept of

“White-Collar Crime”, in S.R.VAN SLYKE,M.L.BENSON,F.T.CULLEN,The Oxford Handbook of White-Collar Crime, Oxford University Press, Oxford, 2016, pp. 25 ss., che pur riconoscendo i limiti

intrinseci e le criticità della definizione originaria, ritiene comunque «its essential focus on the abuse of power by elites in the course of their occupation stands out as an exceedingly important public policy issue that demands the keen attention of the public, policymakers and research scholars». Sviluppando alcuni elementi essenziali della definizione di Sutherland e conservandone l’approccio offender-based, si è proposto di definire i white-collar crimes come «violations of the law to which penalties are attached that involve the use of the violator’s position of significant power, influence or trust in the legitimate economic or political institutional order for the purpose of illegal gain, or to commit an illegal act for personal or organizational gain»: così A.J.REISS,A.D.BIDERMANN,Data Sources on White-Collar Lawbreaking,

Riferimenti

Documenti correlati

successive analoghe decisioni 71 e fatta propria anche dalla Corte di Giustizia europea 72 , sottolineò come per l’individuazione della natura penale di una sanzione non si debba

nell’ambito delle cause di non punibilità: quello della estensibilità o meno ai parteci- pi nelle ipotesi di concorso di persone nel reato. Prima facie, i secondi elementi, quelli

Come si legge nella motivazione della sentenza, la causa di non punibilità oggetto di analisi, poi, presenta dei tratti di affinità con alcune cause di estinzione del reato,

7.. individuare gli elementi fattuali dotati di tipicità; e di dare contenuto tangibile alle espressioni vaghe che spesso compaiono nelle formule legali. Da quanto precede emerge

391 ter c.p., nonostante sia una norma di parte speciale, ha conseguenze anche sulla pena in generale, giacché disciplina indirettamente un aspetto del contenuto della

“sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto” (art. Si tratta di istituti che, pur connotati da significative differenze rispetto alla non punibilità

Inquadramento dommatico, profili politico-criminali e problemi applicativi del nuovo articolo 131-bis (prima parte), in Studium Iuris, 2015, n. Il provvedimento di

In verità, tale tesi distingue le cause di non punibilità ascrivibili direttamente all’area dell’antigiuridicità del fatto 5 (ad es. il § 158 StGB tedesco che prevede la