• Non ci sono risultati.

Editoriale

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Editoriale"

Copied!
180
0
0

Testo completo

(1)
(2)
(3)
(4)

SUDEUROPA

Quadrimestrale di civiltà e cultura europea

Seconda serie – Anno di fondazione 1978 | ISSN 2532-0297 | n. 1 gennaio/aprile 2016

Centro di documentazione europea

Istituto Superiore Europeo di Studi Politici

Rete dei CDE della Commissione europea

(5)

Direttore responsabile

Daniele M. CANANZI

Comitato scientifico

Daniele M. CANANZI (Un. Sapienza, ISESP), Raffaele CANANZI (ISESP), Felice COSTABI-LE (Un. Mediterranea), Gabriella COTTA (Un. Sapienza), Giovanni D’AMICO (Un. Mediter-ranea), Nico D’ASCOLA (Un. MediterMediter-ranea), Massimiliano FERRARA (Un Mediterranea, CRIOS-Bocconi), Attilio GORASSINI (Un. Mediterranea), Marina MANCINI (Un. Mediterra-nea), Francesco MANGANARO (Un. MediterraMediterra-nea), Marco MASCIA (Un. Padova), Francesco MERCADANTE (Un. Sapienza), Antonio PAPISCA (Un. Padova, ISESP), Giuseppe PIZZONIA (Un. Mediterranea), Antonio PUNZI (Un. Luiss di Roma), Carmela SALAZAR (Un. Mediterra-nea), Giuseppe TROPEA (Un. Mediterranea).

Comitato redazionale

Debora BELLOCCO (Un. Mediterranea), Pietro DE PERINI (Un. Padova), Andrea MASTRO-PIETRO (Un. Mediterranea), Roberto MAVILIA (ICRIOS-Un. Bocconi), Maria Giovanna ME-DURI (Un. Mediterranea), Serena MINNELLA (Un. Mediterranea), Patrizia MORELLO (Un. Mediterranea), Claudia PIVIDORI (Un. Padova), Irene SIGISMONDI (Un. Sapienza), Ettore SQUILLACE (Un. Mediterranea), Angelo FERRARO VIGLIANISI (Un. Mediterranea).

Direzione, redazione e amministrazione di SUDEUROPA sono presso l’ISESP – Istituto su-periore europeo di studi politici, proprietario della testata, Via Torrione, 101/F – 89127 Reggio Calabria; email cde@isesp.eu, sito internet www.isesp.eu

La casa editrice Laruffa cura l’edizione, la stampa e la distribuzione.

Registrato presso il Tribunale di Reggio Calabria, n. 7 del 10/11/2016 ISSN 2532-0297

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

La rivista è pubblicata dal Centro di documentazione europea dell’ISESP e fa parte delle pubblicazioni della rete CDE della Commissione europea.

SUDEUROPA viene realizzata anche con il contributo scientifico di

Osservatorio Politiche Pubbliche per le Autonomie

Centro di Ateneo per i Diritti umani

CRIOS. Center for Research Innovation Organization and Strategy

via dei Tre Mulini, 14 89124 Reggio Calabria

tel.: 0965.814954 www.laruffaeditore.it segreteria@laruffaeditore.it

(6)

5

SOMMARIO

7 Editoriale | Daniele M. Cananzi

11 DIRITTI UMANI, OGGI

13 C. Pividori, P. de Perini, Il punto sui diritti umani (novembre 2016)

17 C. Pividori, P. de Perini, Tendenze e prospettive per il «sistema diritti umani»

in Italia: a che punto siamo?

41 ECONOMIE, POLITICHE E SOCIETÀ

43 A. PAPisCA, Per una buona cultura politica

59 LO SCACCHIERE DEL MEDITERRANEO NEL MEDIO ORIENTE

61 M. FerrArA, Conseguenze geopolitiche della Primavera Araba:

cosa viene consegnato alla Storia?

67 OSSERVATORIO SULL’AMMINISTRAZIONE LOCALE

69 d. BelloCCo, La città metropolitana, un’opportunità per competere 77 NORMATIVA, GIURISPRUDENZA E PRASSI INTERNAZIONALE

79 M.G. Meduri, L’operazione EUNAVFOR MED Sophia: un primo bilancio 95 DOSSIER – Scuola di cultura politica

97 G. CAstellAnetA, Vortice mondiale se politica e storia tornano a mescolarsi

109 M. CAPuto, F. Forte, European Union and European monetary Union

as clubs. The unsatisfactory convergence and beyond

151 DIBATTITO – Meridionalismo e Mediterraneo

153 d.M. CAnAnzi, Mediterraneità e politiche dello spazio 175 Criteri editoriali e norme redazionali

(7)
(8)

7

EDITORIALE

Daniele M. Cananzi

L’Europa rappresenta insieme una molteplicità di dimensioni, di sto-rie, di realtà. È un continente geografico, è uno spazio politico, è stato il centro del mondo quando tutto il mondo conosciuto era l’Europa con le sue colonie, è l’insieme di tradizioni, culture e religioni che la animano.

L’Europa è questo e molto altro ancora. Un’unità che non può dirsi che al plurale, sostanzialmente.

Di questo, che rappresenta la specificità europea, l’Unione Europea mi sembra sia emblematica rappresentazione, con tutte le potenzialità che ciò significa, ma anche con tutti i problemi che comporta.

Il quadro generale – così solo sommariamente evocato – acquista un’ancora diverso significato se guardato da Sud, dal Sud di questa Eu-ropa, geografica, politica, culturale e sociale. Ed è proprio questa la pro-spettiva che SUDEUROPA intende assumere. Nata nel 1978 come attività del ‘Centro di documentazione europea’ dell’‘Istituto superiore europeo di studi politici’, SUDEUROPA ha espresso nei suoi primi anni di pubbli-cazione lo spirito di servizio che bene l’allora direttore Antonio Tatti de-scriveva in una lettera aperta di presentazione rivolta ai lettori:

«Convinti che la Comunità dei Nove, destinata a darsi presto un Parla-mento eletto e poi ad ampliarsi con l’ingresso della Grecia, del Portogallo e della Spagna, costituisca il contesto naturale non puramente geografico ma soprattutto socio-economico e politico dello sviluppo della Calabria, ci sembra che uno sforzo prioritario debba essere fatto affinché, a tutti i livelli operativi, sia possibile e diventi abituale il raccordo fra realtà re-gionale e realtà europea. SUDEUROPA vuole costituire il supporto cono-scitivo di questo sforzo».

(9)

8

Tanti anni (e che anni!) sono passati: la Comunità dei Nove è divenu-ta l’Unione dei ventotto (ma, post Brexit, il dato è provvisorio), con il coinvolgimento progressivo di 500 milioni di cittadini, aprendo lo spazio Schengen; si è coniata moneta che è diventata una delle principali valute mondiali; si è pensata una politica regionale di solidarietà per costruire lo spazio socio-economico-politico “naturale” di sviluppo di ciascun Pae se.

Ciò nonostante molto rimane ancora da fare, soprattutto per quel Sud d’Europa che ancora fatica, e non poco, a tenere il passo. Sopratutto per il meridione d’Italia e la Calabria in particolare.

Tanto che non mancano – sia sul livello generale che per quanto at-tiene al territoriale – opportune voci critiche sul modo in cui si sta pro-cedendo e sulla opportunità che si ripensi il progetto, magari ripartendo dalla concreta effettività dei suoi principi costitutivi.

Un cambio di passo potrebbe anche portare a un progetto del tutto nuovo per un’Europa che si strutturi su altre direttrici.

Tutto ciò mi sembra che ampiamente giustifichi questa seconda serie di SUDEUROPA; una rivista tanto nuova quanto legata al suo passato che, conservando immutato lo spirito iniziale, si presenta quale spazio di di-battito, confronto, informazione.

Non più solamente orientata alla costituenda Comunità Europea ma criticamente intenzionata a pensare la realtà dell’Unione Europa e del Sud d’Europa; di quell’Europa continente geografico e geopolitico nel quale il meridionalismo (europeo e non solo italico) non rappresenta solo un problema (e comunque non un problema del solo meridione). A mag-gior ragione se si pensa alla ormai non coincidenza tra Europa geografica e politica e agli assetti internazionali che incidono sulle singole porzioni territoriali.

L’ISESP ha da qualche tempo iniziato in questa direzione un percorso di ricerca sia col suo ‘Centro di documentazione europea’ sia con le tante attività che promuove, ultima l’istituzione della ‘Scuola di cultura poli-tica’.

Un approccio critico ma costruttivo, critico proprio perché costrutti-vo, che trova nella seconda serie di SUDEUROPA un modo ulteriore per svolgere l’approfondimento e la ricerca ma anche la formazione e l’infor-mazione.

Le rubriche stabili che compongono la rivista dimostrano come questa ricerca – come ogni ricerca, del resto – si apre, arrivando a coinvolgere tre importanti centri di ricerca e quattro sedi universitarie: il Dipartimento di Giurisprudenza ed Economia dell’Università Mediterranea di Reggio

(10)

9 Calabria, col suo Osservatorio sull’amministrazione locale, il Centro d’A-teneo sui Diritti umani dell’Università di Padova, l’ICrioss dell’Università Bocconi e l’Università LUISS di Roma, con l’intenzione di non marginaliz-zare le questioni e di approfondirle in determinati settori.

– Diritti umani oggi – curata dal ‘Centro d’Ateneo sui Diritti umani’ fon-dato da Antonio Papisca (primo direttore anche dell’Isesp e suo co-fondatore) e oggi diretto da Marco Mascia – medita sul significato non ideologico e non banale del riconoscimento della persona in un mondo nel quale terrorismo, nuove guerre e azioni politiche di-somogenee, fanno ripensare la praticabilità del concetto stesso di diritti umani.

– Economie, politiche e cultura – rubrica curata dalla cattedra di Meto-dologia delle scienze giuridiche dell’Università Luiss di Roma, retta da Antonio Punzi – intende raccogliere saggi di vario argomento che entrino nel merito di punti scottanti della civiltà europea, con-tribuendone anche e non secondariamente a chiarire e delinearne gli orizzonti.

– Lo scacchiere del Mediterraneo nel Medio Oriente – curata dall’‘ICrios. Center for Research Innovation Organization and Strategy’ della Università Bocconi di Milano e coordinata in modo particolare da Massimiliano Ferrara – è la rubrica che apre lo spazio geopolitico europeo sul Mediterraneo e segue lo spostamento che nelle politi-che e nelle azioni internazionali questo comporta.

– Osservatorio sull’amministrazione locale – a cura dall’‘Osservatorio per le autonomie locali’ dell’Università Mediterranea diretto da Fran-cesco Manganaro – intende pensare con approccio critico alcuni aspetti significanti di cosa significa Sud in Italia e in Europa.

– Normativa, giurisprudenza e prassi internazionale – rubrica curata da Marina Mancini internazionalista dell’Università Mediterranea – propone di volta in volta una ragionata esposizione su casi sele-zionati della regolamentazione, della giurisprudenza e della prassi internazionale ed europea.

A queste cinque rubriche stabili seguiranno altre: Dossier e Dibattito sono solo alcune presenti in questo primo fascicolo, che arricchiranno ulteriormente l’offerta di dialogo che SUDEUROPA intende rappresen-tare. Non a caso il Dossier è dedicato in questo numero ad interventi che Giovanni Castellaneta e Francesco Forte hanno tenuto nel primo modulo del corso 2015-2016 della ‘Scuola di cultura politica’; il Dibattito registra

(11)

10

un primo contributo su “Meridionalismo e Mediterraneo”, si tratta si una mia riflessione sull’individuazione dello spazio mediterraneo come luo-go e spirito dal quale pensare politiche per il futuro prossimo.

Consapevole che una rivista, oltre le pie intenzioni e i bei propositi, si debba in fondo presentare da sé numero dopo numero, mi piace termi-nare questo primo editoriale riprendendo nuovamente le parole di Tatti, in quella lettera aperta ai lettori già richiamata (fascicolo n. 5 del 1978), il quale chiudeva formulando l’invito che viene ora confermato e ribadito in questa seconda serie della rivista, in ideale continuità e comunione di intenti:

«Fra i documenti che SUDEUROPA ha segnalato e fra gli argomenti che ha trattato nei primi fascicoli, ce ne sono certamente di Suo interesse. Nel caso non fosse così, ci segnali l’argomento che vorrebbe trattassimo. Ogni numero di SUDEUROPA è il risultato di una necessaria, severa selezio-ne. Lo spazio di cui disponiamo non è molto. La Sua collaborazione, della quale Le siamo grati, ci aiuterebbe a farne l’uso più funzionale».

(12)

11

DIRITTI UMANI, OGGI

a cura del Centro d’Ateneo per i Diritti umani Università di Padova

L’obiettivo della rubrica «Diritti umani oggi», curata dal Centro di Ate-neo per i Diritti Umani dell’Università di Padova, è quello di fornire pe-riodicamente informazioni accurate e approfondimenti scientifici sullo stato di attuazione dei diritti umani e sul funzionamento dei principali sistemi di promozione e protezione degli stessi. Questi contenuti sono sviluppati e proposti alla luce di una prospettiva multi-livello, che tiene in considerazione le problematiche, gli sviluppi e gli attori coinvolti nella promozione e protezione dei diritti umani a livello universale/globale, regionale (con particolare riferimento alle regioni europea e mediterra-nea), nazionale e sub-nazionale/locale, nonché le possibili interazioni tra questi livelli.

Alla luce di queste finalità generali, «Diritti umani oggi» si propone al lettore di Sud Europa attraverso due sezioni diverse eppure complemen-tari. La prima, intitolata «Il punto sui diritti umani», è costituita da un breve articolo di carattere editoriale, finalizzato ad introdurre e proble-matizzare le più significative e recenti novità in materia di diritti uma-ni nell’ambito dei diversi livelli sopra menzionati (uuma-niversale, regionale, nazionale e locale). Oltre a presentare e discutere tali sviluppi, questa prima sezione si pone l’obiettivo di affrontarne le implicazioni per l’a-vanzamento (o l’arretramento) concreto dei diritti umani secondo una prospettiva comprensiva, che consideri non solamente la sfera normati-va e giurisprudenziale, ma anche quella infrastrutturale e delle politiche pubbliche.

La seconda sezione di questa rubrica mira a fornire approfondimen-ti scienapprofondimen-tifici su aspetapprofondimen-ti sia teorici sia empirici relaapprofondimen-tivi alla promozione e protezione dei diritti umani. In ogni numero di Sud Europa, quindi, esper-ti e studiosi provenienesper-ti da diverse esperienze e formazioni disciplinari

(13)

12

(politologia, diritto, sociologia, filosofia, antropologia, economia, ecc.) sono invitati a presentare i risultati delle proprie ricerche sia su aspet-ti specifici relaaspet-tivi alla promozione e protezione diritaspet-ti umani, sia sulle complesse relazioni tra diritti umani ed altri temi centrali per la nostra attualità e per l’attuazione dei diritti umani stessi, quali, ad esempio, pace e disarmo, sviluppo, dialogo interculturale, processi di democratiz-zazione, sicurezza e terrorismo, ecc.

Attraverso queste sezioni, la rubrica «Diritti umani oggi» si presenta, quindi, come un contributo originale alla costruzione e alla diffusione del sapere interdisciplinare dei diritti umani e allo sviluppo di un dibattito informato e aggiornato su questi aspetti fondamentali della vita sociale e politica di ciascuno. Non resta quindi che dare inizio a questa costruzio-ne, introducendo e discutendo alcuni dei più recenti sviluppi in materia.

(14)

13

Il punto sui diritti umani (novembre 2016)

Claudia Pividori e Pietro de Perini*1

A livello universale, con riferimento in particolare al processo di

standard- setting normativo, desta considerevole interesse l’imminente

votazione presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite della Dichia-razione sul diritto alla pace. Con risoluzione del 1° luglio 2016 (A/HRC/ RES/32/28), il Consiglio Diritti Umani ha infatti adottato il testo di questa Dichiarazione, discusso da un Gruppo di lavoro intergovernativo aperto (open-ended working group) nel corso degli ultimi quattro anni, raccoman-dandone l’approvazione da parte dell’Assemblea Generale nel corso della sua 71° sessione ordinaria, in corso a New York da settembre a dicembre 2016.

Durante il lungo periodo di dialogo e negoziato intergovernativo, l’ini-ziale bozza di Dichiarazione sul diritto alla pace, presentata nel 2012 dal Comitato consultivo del Consiglio Diritti Umani, è stata più volte modi-ficata e ridimensionata significativamente in portata ed ambizioni dalla efficace opposizione di alcuni Paesi, per lo più occidentali, fino a snatu-rarne la ragion d’essere e mettere in discussione la conclusione stessa di questo rilevante processo di standard-setting.

Il testo finale adottato dal Consiglio Diritti Umani nell’estate del 2016 è un succinto documento composto di un lungo preambolo e 5 articoli che costituiscono, quantomeno, un accettabile compromesso tra diverse, e spesso opposte, visioni e aspettative circa la natura e i contenuti di di-chiarazione avente come oggetto il riconoscimento e la tutela del diritto alla pace. Il testo è saldamente ancorato al nucleo duro del vigente diritto internazionale dei diritti umani come esplicitato, in particolare, dall’in-cipit del preambolo che, oltre agli obiettivi e i principi della Carta delle Nazioni Unite, fa esplicito riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti umani, al Patto internazionale sui diritti civili e politici, al Patto in-ternazionale sui diritti economici, sociali e culturali e alla Dichiarazione

(15)

14

e al Programma d’Azione della Conferenza sui diritti umani di Vienna del 1993. Nello specifico, l’articolo 1 della Dichiarazione afferma che ognuno ha il diritto di godere della pace in modo tale che tutti i diritti umani sia-no promossi e protetti e che lo sviluppo sia pienamente realizzato. L’arti-colo 2 stabilisce l’obbligo per gli Stati di rispettare, attuare e promuovere l’uguaglianza, la non-discriminazione, la giustizia e lo stato di diritto, e a garantire la libertà dalla paura e dal bisogno come mezzi per costruire la pace all’interno e tra le società. L’articolo 3 sancisce l’obbligo per gli Stati, per le Nazioni Unite e per l’UNESCO di adottare misure appropriate e sostenibili allo scopo di attuare la Dichiarazione, e incoraggia le orga-nizzazioni internazionali, regionali e locali e le orgaorga-nizzazioni di società civile a sostenere ed assistere l’attuazione della Dichiarazione. L’articolo 4 stabilisce l’obbligo di istituire istituzioni nazionali e internazionali di educazione alla pace, sottolineando l’enorme importanza di tale «compi-to universale» da portare avanti mediante un diffuso impegno in attività di insegnamento, ricerca, formazione post-universitaria e disseminazio-ne della conoscenza.

Il testo adottato dal Consiglio rappresenta quindi un minimo comune denominatore tra gli interessi dei vari attori coinvolti in questo proces-so, comunque distante dalle aspettative della società civile per un docu-mento più articolato e sostanziale. Nonostante ciò, come sottolineato in una lettera aperta alla comunità diplomatica predisposta da un gruppo di ONG internazionali, ottenere una ampia maggioranza a sostegno della Dichiarazione sul diritto alla pace in Assemblea Generale, rappresente-rebbe quantomeno un piccolo passo in avanti verso la realizzazione delle promesse solenni fatte dalla comunità internazionale nel 1945.

Un sostegno significativo e costante all’avanzamento dell’intenso pro-cesso di negoziazione di questa Dichiarazione presso il Consiglio Diritti Umani è venuto da numerose campagne di advocacy promosse da reti di organizzazioni della società civile e di enti locali sul piano nazionale e transnazionale. Tra queste, con specifico riferimento all’Italia, un ruo-lo rilevante è stato giocato dalla «Campagna internazionale per il rico-noscimento del diritto umano alla pace», promossa dal Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani, con il suppor-to scientifico del Centro di Ateneo per i Diritti Umani e della Cattedra UNESCO Diritti umani, democrazia e pace dell’Università di Padova. Que-sta campagna ha visto lo sviluppo di una vera propria iniziativa di city

diplomacy nell’ambito della quale centinaia di sindaci e presidenti di enti

(16)

so-15 stegno dell’adozione del documento in discussione presso il Consiglio Diritti Umani e hanno coinvolto, a valanga, i loro corrispettivi in altri Paesi europei ed extraeuropei. Altra iniziativa consistente è la campagna «Peace has your signature», una petizione globale promossa e coordinata dalla Fondazione Paz sin fronteras che ha fatto leva anche sulla visibili-tà garantita dal sostegno espresso all’adozione di questa Dichiarazione da numerose personalità internazionali della musica e del cinema. Que-ste campagne continuano, assieme a nuove iniziative di advocacy, come la menzionata lettera aperta alla comunità diplomatica, per sostenere l’avanzamento di questo processo di standard-setting e la sua attuazione. Avanzamento che passa necessariamente dall’adozione di questa Dichia-razione da parte dell’Assemblea Generale.

A livello regionale europeo destano interesse, unitamente ad una cer-ta preoccupazione, i dati presencer-tati lo scorso maggio dalla Commissione europea nell’ambito del primo Rapporto sulla lotta alla tratta di esseri umani nel territorio dell’UE (COM(2016)264). Il Rapporto, da compilarsi ogni due anni, ha come obiettivo quello di riportare i progressi ottenuti nella prevenzione e il contrasto alla tratta di esseri umani alla luce di quanto disposto dall’omonima direttiva 2011/36/UE.

Secondo quanto riportato, nel periodo 2013-2014 le vittime registrate all’interno del territorio dell’UE sono state 15.846, il 67% nell’ambito del-lo sfruttamento sessuale, il 21% in queldel-lo deldel-lo sfruttamento lavorativo e la restante parte, circa il 12%, in ambiti meno conosciuti ma in for-te crescita come quello delle attività criminali forzafor-te e l’accattonaggio forzato. A conferma di quanto la dimensione di genere sia rilevante, il rapporto rivela che più di tre quarti delle vittime è donna (76%), mentre almeno il 15% delle vittime è minorenne. Dato, quest’ultimo, destinato ad acquisire sempre maggiore rilevanza alla luce del significativo aumen-to di minori, soprattutaumen-to non accompagnati, che stanno raggiungendo il territorio dell’UE.

Quello che dal Rapporto della Commissione emerge abbastanza chia-ramente è come gli sforzi, tanto sul versante della protezione quanto su quello del contrasto, compiuti dagli Stati membri e dalla stessa UE al fine di dare attuazione dalla direttiva 2011/36 siano risultati in larga parte in-sufficienti o comunque inefficaci. Le azioni che prioritariamente gli Stati sono dunque esortati ad adottare riguardano, tra gli altri, la raccolta dati, la pronta identificazione delle vittime, il monitoraggio e la valutazione dei Piani nazionali anti-tratta, l’adozione di una prospettiva di genere e incentrata sul minore.

(17)

16

Tra gli sviluppi recenti a livello nazionale, si segnala l’adozione della legge 21 luglio 2016, n. 45, legge-quadro intesa a disciplinare le modalità di partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali. La novella legi-slativa, da lungo attesa per dare organicità ad una materia finora regola-ta da decreregola-tazione d’urgenza, si distingue in positivo per alcuni slanci di sinergismo tra diritto interno e diritto internazionale.

In primo luogo, per la esplicita e cristallina definizione del quadro normativo entro il quale la partecipazione delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei corpi civili di pace italiani nell’ambito di missioni interna-zionali si può dispiegare. L’articolo 1, primo comma, della legge, infatti, stabilisce che questa è consentita solamente a condizione che avvenga «nel rispetto dei principi di cui all’articolo 11 della Costituzione, del di-ritto internazionale generale, del didi-ritto internazionale dei diritti umani, del diritto internazionale umanitario e del diritto penale internazionale». Altro elemento da sottolineare è l’incardinamento tra i principi gene-rali della legge dell’obiettivo di valorizzare la partecipazione delle donne e l’approccio di genere, così come previsto dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1325 del 2000, e le risoluzioni successi-ve, nonché dal relativo Piano d’azione nazionale 2014-2016.

Da rilevare, infine, quanto previsto dalla legge relativamente alla di-sciplina penale applicabile al personale coinvolto in missioni interna-zionali. Se da un lato, infatti, viene richiamata l’applicabilità del codice penale militare di pace, pur mantenendo la facoltà del Governo di deli-berare l’applicazione delle norme del codice penale militare di guerra, la norma stabilisce che nell’ambito delle missioni internazionali sono sem-pre perseguibili i crimini di competenza della Corte penale internaziona-le ovvero il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e il crimine di aggressione.

L’approfondimento di questo numero di «Diritti umani oggi» è pre-sentato dagli stessi curatori della rubrica per il Centro di Ateneo: Claudia Pividori, Ph.D in Ordine internazionale e diritti umani, e Pietro de Perini, Ph.D in International Politics. L’articolo discute le principali tendenze e prospettive per l’attuazione dei diritti umani in Italia, basandosi sull’a-nalisi comparata dell’azione dell’Italia negli ultimi anni in relazione ad alcune reiterate raccomandazioni indirizzate al Paese dai principali or-ganismi internazionali sui diritti umani delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea.

(18)

17

Tendenze e prospettive per il «sistema diritti umani»

in Italia: a che punto siamo?

Claudia Pividori e Pietro de Perini*

Introduzione

La rilevanza giuridica e politica dei diritti umani è negli ultimi anni cresciuta in modo esponenziale a tutti i livelli della governance, a partire da quello internazionale e regionale, fino a giungere a quello nazionale e sub-nazionale. È maturata infatti la consapevolezza che il rispetto e la promozione dei diritti della persona debbano essere al centro delle poli-tiche pubbliche degli Stati, essendo questi oramai punti ineludibili non solo per la legalità, ma anche per la sostenibilità dell’agenda politica di qualsiasi Paese1.

In questa materia l’Italia, così come la maggior parte dei membri della comunità internazionale, ha volontariamente assunto un articolato com-plesso di obblighi derivanti da fonti di diritto internazionale dei diritti umani, il cui rispetto è monitorato da un altrettanto complesso sistema di monitoraggio2. Sia a livello globale, nell’ambito del sistema universale che si è sviluppato in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite, sia a livello regionale europeo, principalmente attraverso l’azione di monito-raggio dei numerosi meccanismi istituiti dal Consiglio d’Europa (CoE), dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) e dall’Unione Europea (UE), l’Italia ha quindi il dovere di adottare mi-sure sempre più efficaci e specifiche per attuare gli impegni sui diritti umani assunti dinanzi alla comunità internazionale, rendicontandone periodicamente l’avanzamento ai menzionati organismi.

* Università degli Studi di Padova.

1 A. Papisca, M. Mascia, Le relazioni internazionali nell’era dell’interdipendenza e dei

di-ritti umani, Padova, 20124.

2 C. Zanghì, La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Torino, 20133; O. De

Shutter, International Human Rights Law. Cases, Materials, Commentary, Cambridge, 2010; D.L. Shelton, P.G. Carozza, Regional Protection of Human Rights, New York, 20132.

(19)

18

Questo articolo intende fornire una valutazione circa lo stato genera-le di adeguamento e la coerenza del «sistema diritti umani» italiano ri-spetto ai menzionati standard internazionali sulla base dell’osservazione empirica della più recente azione del Paese. Con «sistema diritti umani» si intende l’insieme della normativa, delle politiche pubbliche e dei mec-canismi di attuazione e monitoraggio che un Paese sviluppa al fine di garantire a tutte le persone sotto la sua giurisdizione la tutela dei diritti umani fondamentali internazionalmente riconosciuti. In questa prospet-tiva, l’articolo sostiene che il «sistema Italia» è ancora significativamen-te lontano dagli impegni assunti sul piano insignificativamen-ternazionale. Se da un lato l’impegno del Paese per la tutela dei diritti umani presenta esteriormen-te una parabola di sostanziale crescita nel esteriormen-tempo, dotandosi anche di ele-menti di originalità, dall’altro permangono lacune fondamentali. Inoltre, molti dei promettenti sviluppi presentati dalle autorità nazionali negli anni recenti rispondono più ad una logica di urgenza che ad una ben più necessaria pianificazione strutturale volta allo sviluppo di un sistema na-zionale per i diritti umani organico, coerente ed efficace.

Nelle quattro sezioni di cui si compone, l’articolo affronta le principali luci ed ombre dell’Italia attraverso l’analisi degli standard internazionali in materia di diritti umani, delle raccomandazioni indirizzate al Paese dai principali organismi di monitoraggio in materia (Nazioni Unite, Consi-glio d’Europa, OSCE e Unione Europea), e della relativa azione dello Stato nelle diverse dimensioni in cui questa può svilupparsi. Nello specifico, la prima sezione affronta la dimensione infrastrutturale, vale a dire la crea-zione e il funzionamento di organismi e istituzioni per la promocrea-zione e tutela di diritti umani; la seconda sezione si occupa del piano normativo analizzando lo stato di ratifica da parte dell’Italia degli strumenti giuri-dici internazionali sui diritti umani e gli interventi legislativi adottatati o da adottarsi al fine di darvi attuazione; la terza sezione analizza la pia-nificazione, attuazione e valutazione delle politiche pubbliche sui diritti umani; la quarta sezione, infine, presenta alcuni profili emersi sul piano giurisprudenziale, con particolare riguardo al dialogo instauratosi tra le corti italiane e le corti europee, in primis la Corte europea dei diritti umani (CtEDU). Evidentemente, sebbene l’articolo si sforzi di separare, per necessità analitiche e di chiarezza espositiva, le quattro dimensio-ni dell’azione dello Stato elencate sopra, i diritti umadimensio-ni rappresentano un elemento trasversale ai diversi aspetti della vita pubblica e sociale, e la loro attuazione prevede l’interazione di tutte queste dimensioni. In questa prospettiva, le conclusioni dell’articolo offrono una valutazione

(20)

19 complessiva circa il «sistema diritti umani» in Italia affrontando, secon-do una prospettiva sistemica, i progressi e le criticità evidenziate nelle precedenti sezioni.

1. Il piano infrastrutturale: le difficoltà croniche

con le istituzioni nazionali e l’apporto unico degli enti locali Sotto il profilo infrastrutturale, il quadro italiano presenta caratteri-stiche che sono al contempo di ritardo in alcuni settori e di originale anti-cipazione in altri. Una criticità ricorrente riguarda la mancata creazione di una Istituzione internazionale per i diritti umani (Commissione nazio-nale dei diritti umani e/o Difensore civico nazionazio-nale) conformemente ai «Principi di Parigi» raccomandati dalle Nazioni Unite nel 19933. La crea-zione di almeno una Istitucrea-zione nazionale, generalmente con specifico riferimento alla Commissione, è un punto fermo tra le raccomandazioni pervenute all’Italia da una molteplicità di organismi di monitoraggio dei diritti umani. Ad esempio, 25 raccomandazioni a tale proposito sono sta-te sottopossta-te al Governo italiano nell’ambito dell’Esame periodico uni-versale (UPR), avvenuto nell’ottobre del 2014 dinanzi al Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite. La creazione di una Istituzione nazionale per i diritti umani è stata, in quella occasione, la seconda area tematica per numero di raccomandazioni ricevute dal Paese. Nel corso del precedente ciclo di UPR (2010), le richieste rivolte all’Italia su questo tema erano sta-te 16, ponendo la richiesta per la creazione di una Istituzione nazionale al quinto posto per numero di raccomandazioni ricevute4. La creazione di tale Istituzione rappresenta quindi in misura sempre maggiore una priorità, sia per l’importanza operativa e strategica che una Istituzione di questo tipo riveste per sostenere in modo coerente ed efficace l’agenda politica del Paese, sia per colmare la fondamentale lacuna che vede l’Ita-lia tra i pochi Paesi europei a non disporne ancora. L’obiettivo è in effetti considerato una priorità da una certa retorica politica, ma il suo effettivo raggiungimento è stato puntualmente ostacolato. Ad oggi, il Parlamento italiano non è mai stato in grado di finalizzare l’iter parlamentare dei pur numerosi progetti di legge in materia depositati nel corso degli anni. 3 Principi relativi allo status delle istituzioni nazionali per i diritti umani (Principi di

Parigi), annesso alla Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 48/134 del 20 dicembre 1993.

4 Annuario italiano dei diritti umani 2015, a cura di A. Cofelice, P. de Perini, P. De Stefani,

(21)

20

Solo nel 2014 e nel 2015 sono stati presentati 4 d.d.l. diversi che, tuttavia, o sono rimasti in sospeso o sono stati abbandonati dalle Camere5.

In materia specifica di difesa civica, si sono registrate lodevoli inizia-tive sul piano nazionale, senza tuttavia giungere alla presentazione di nuove proposte legislative per l’istituzione di un Ombudsman nazionale. Il 5 novembre 2014, ad esempio, il Parlamento ha approvato l’ordine del giorno n. 9/2681/127 presentato dall’on. Bruno Tabacci, che ha impegna-to il Governo ad affiancare le iniziative di riforma della giustizia civile con specifiche iniziative volte a valorizzare l’istituto della difesa civica, rafforzandone funzioni, poteri e ambiti di cognizione. Su iniziativa del Coordinamento nazionale dei Difensori civici, inoltre, è stato recente-mente istituito un Ufficio nazionale di difesa civica che ha messo in atto numerose iniziative sul piano nazionale, inclusa la recente proposta di un testo di legge per l’istituzione dell’Ombudsman6. La proposta, tuttavia, non ha ancora avuto alcun seguito in Parlamento.

Il ritardo nella creazione di Istituzioni nazionali per i diritti umani non può, peraltro, trovare giustificazione nel fatto che in Italia sono co-munque presenti organi, di emanazione sia governativa sia parlamenta-re, specificamente dedicati alla tutela dei diritti umani: si pensi in par-ticolare al Comitato interministeriale per i diritti umani (CIDU) istituito presso il Ministero degli Affari Esteri, all’Ufficio nazionale antidiscrimi-nazioni razziali (UNAR) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, o ancora alla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica. Nessuno di tali organi, infatti, possiede le caratteristiche strutturali e funzionali e di indipendenza di un’istituzione nazionale conforme ai menzionati «Principi di Parigi».

Se la creazione di una Commissione nazionale indipendente o di un

Ombudsman nazionale restano cronicamente indietro, è tuttavia

oppor-tuno sottolineare che l’impegno dell’Italia per la creazione di istituzio-ni nazionali per i diritti umaistituzio-ni non è comunque venuto completamen-te meno. Nel 2011 e nel 2013, infatti, sono stati rispettivamencompletamen-te istituiti

5 D.d.l. C.2424, Scagliusi, Istituzione della Commissione nazionale indipendente per

la promozione e la tutela dei diritti umani fondamentali; d.d.l. C.2529 Marazziti, Istitu-zione della Commissione nazionale per la promoIstitu-zione e proteIstitu-zione dei diritti umani; d.d.l. S.1908 Manconi, Istituzione del Garante nazionale dei diritti umani; d.d.l. S.1939 Morra, Commissione nazionale indipendente per la promozione e la protezione dei di-ritti umani e libertà fondamentali.

6 Coordinamento nazionale dei difensori civici, Relazione 2014-2015. La difesa

(22)

21 l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e il Garante nazionale dei diritti delle persone private della loro libertà. Quest’ultimo, effetti-vamente operativo dal 2016, opera anche con la funzione di Meccanismo nazionale di prevenzione così come previsto dal Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite, ratificato dall’Italia nel 2013. L’assunzione di questa importante funzione da parte del Garan-te non solleva peraltro l’Italia da un’altra fondamentale lacuna del suo «sistema diritti umani», vale a dire la mancata introduzione del reato di tortura nel codice penale, tema questo che sarà affrontato in modo più dettagliato nella prossima sezione.

A fronte della perdurante inadempienza dell’Italia rispetto alle fon-dazioni dell’infrastruttura per i diritti umani a livello nazionale, un dato che è per molti aspetti unico nel panorama mondiale per originalità di contenuti e radicamento territoriale riguarda la variegata infrastruttura degli enti di governo locale e regionale. A livello comunale, provinciale e regionale, infatti, sono attivi in Italia consulte, assessorati, dipartimenti, uffici e centri per i diritti umani, la pace, le pari opportunità, la coope-razione allo sviluppo e la solidarietà internazionale7. Questo significati-vo impegno e il conseguente sviluppo infrastrutturale si radica in buona misura nella ampia diffusione, negli statuti di centinaia di enti locali e territoriali italiani, della cosiddetta norma «pace diritti umani», una di-sposizione in cui l’ente sancisce il riconoscimento del diritto internazio-nale dei diritti umani e della pace quali paradigmi normativi e valoriali di riferimento, e afferma il proprio impegno attivo per la loro attuazione8. La recente «Campagna internazionale per il riconoscimento del diritto umano alla pace», volta all’adozione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sul diritto alla pace, rappresenta una delle iniziative più recenti e originali della capacità di organizzazione e azione degli enti locali italiani su questi temi9.

In diverse questioni rilevanti per la tutela dei diritti umani, inoltre, l’infrastruttura creata a livello locale ha sovente sostenuto, spesso orga-nizzandosi in ampie reti territoriali, la creazione di istituzioni nazionali, e

7 M. Mazzucchelli, Pace e diritti umani nei Comuni, nelle Province e nelle Regioni.

L’infra-struttura normativa e istituzionale, Padova, 2011.

8 A. Papisca, La norma «pace diritti umani» nello statuto dell’ente locale: significato ed

implicazioni attuative, in M. Mascia, A. Papisca, Pace Diritti Umani Agenda Politica. Idee e proposte sulla via istituzionale alla pace, Padova, 2011, pp. 201-212.

9 Cfr. il sito del Coordinamento nazionale enti locali per la pace e i diritti umani: http://

(23)

22

svolgendo in alcuni casi una vera e propria funzione sostitutiva ad interim. È sicuramente il caso dei Difensori civici regionali e territoriali (la figu-ra del difensore civico locale è stata soppressa con la legge finanziaria per il 2010) che, ad oggi, attraverso il già menzionato Coordinamento, assicurano di fatto la sopravvivenza di questo istituto nel Paese, e co-stituiscono il punto di riferimento nazionale per il Mediatore europeo. È anche il caso dei Pubblici Tutori dei minori regionali e dei Garanti dei diritti delle persone ristrette nella loro libertà personale. Nello specifico, la Conferenza dei Tutori e dei Garanti dell’infanzia e dell’adolescenza si è riunita a partire dal 2010 per coordinare e promuovere iniziative e buone pratiche sul territorio nazionale ben prima che, con legge 12 luglio 2011, n. 112 e successive misure attuative, venisse istituita l’Autorità garante nazionale, il cui titolare riveste oggi anche il ruolo di Presidente di tale Conferenza. Un discorso simile si applica anche al Coordinamento dei Garanti territoriali per i diritti dei detenuti, aperto a tutti i Garanti no-minati dagli enti, e finalizzato ad intraprendere azioni comuni sui temi della detenzione, nonché a trovare risposte condivise alle principali cri-ticità incontrate dai singoli Garanti in Italia. Il Coordinamento ha svolto per diversi anni il difficile compito di uniformare le diverse realtà locali in attesa dell’istituzione, fortemente sostenuta dallo stesso, del Garante nazionale dei diritti delle persone private della loro libertà, del quale è oggi un valido strumento consultivo.

2. Il piano normativo: la concreta attuazione degli obblighi internazionali passa anche da qui

Sotto il profilo normativo, si rileva come l’Italia abbia ratificato la mag-gior parte delle fonti convenzionali in materia di diritti umani a livello universale (Nazioni Unite) e regionale (Consiglio d’Europa), alcune nel corso dell’ultimo biennio. Tra gli strumenti a cui l’Italia si è più di recente obbligata si possono menzionare la Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate, la Convenzione delle Nazioni Unite sulla riduzione dell’apolidia e il Protocollo facoltativo alla Convenzione sui diritti del bambino per istituire una procedura di comunicazione individuale. Unico tra i cosiddetti core treaties delle Nazio-ni UNazio-nite non ratificato dall’Italia, peraltro sulla scorta di una posizione di fatto condivisa a livello europeo, risulta essere la Convenzione sui lavo-ratori migranti e i membri delle loro famiglie del 1990. Nello specifico, la mancata ratifica di questo strumento viene argomentata dalle autorità

(24)

23 italiane affermando che i diritti umani di migranti regolari e irregolari sono già garantiti dalla legislazione nazionale, in particolare attraverso l’attuazione delle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del la-voro no. 143 e 189 (rispettivamente sui lavoratori migranti e i lavoratori domestici)10. Non solo, quindi, la Convenzione non risulta ancora oggetto di alcuna iniziativa di accettazione da parte dell’Italia, ma non è previ-sto neppure alcun avanzamento all’orizzonte. Un’ulteriore questione che vale la pena menzionare è la singolare posizione dell’Italia in relazione alla Convenzione di Oviedo su «diritti umani e biomedicina» del 1997. In questo caso la legge di ratifica ed esecuzione è stata adottata dal Parla-mento italiano già nel 2001 (l. 145/2001), ma le autorità non hanno mai proceduto al deposito dello strumento di ratifica presso il Segretariato del Consiglio d’Europa. L’Italia non risulta quindi parte contraente della Convenzione mentre la delega al Governo, prevista dalla medesima legge di ratifica per l’adozione dei decreti attuativi contenenti le necessarie di-sposizioni per l’adattamento dell’ordinamento giuridico italiano ai prin-cipi e alle norme della Convenzione, è stata sempre lasciata decadere.

Accanto alla formale adesione alle fonti pattizie, ciò che risulta cru-ciale nell’azione di ogni Stato per la garanzia dei diritti fondamentali è il processo di attuazione degli obblighi assunti, ovvero la fase in cui attraverso misure legislative, amministrative e di policy gli impegni internazionali devono trovare effettiva traduzione a livello interno. In questo senso, in ragione della pertinenza con il tema dei diritti umani di un numero crescente di atti normativi dell’Unione Europea, si pensi solo alle direttive in materia di protezione internazionale, tratta di es-seri umani, tutela delle vittime di reato, anche la capacità di pronto e pieno adeguamento dell’ordinamento italiano all’ordinamento europeo assume una sempre maggiore rilevanza. In questo ambito, uno sviluppo positivo è avvenuto con l’adozione della l. 24 dicembre 2012, n. 234 che ha introdotto una riforma organica della disciplina della partecipazione dell’Italia alla formazione e al recepimento del diritto e delle politiche dell’UE. Limitatamente alle infrazioni aperte dalla Commissione europea a carico dell’Italia è infatti possibile osservare come il loro numero, già in costante diminuzione dal 2007, abbia raggiunto il minimo storico di 72 10 Cfr., ad esempio, Human Rights Council, Report of the Working Group on the

Uni-versal Periodic Review – Italy – Addendum – Views on conclusions and/or recommendations, voluntary commitments and replies presented by the State under review, A/HRC/14/4/Add.1, 31 maggio 2010, p. 2.

(25)

24

nel mese di settembre 201611, a parziale conferma della maggior efficacia dei due nuovi strumenti di adeguamento all’ordinamento UE (Legge eu-ropea e Legge di delegazione eueu-ropea).

Sempre in tema di adeguamento normativo alle fonti internazionali pattizie e dell’UE, tra le aree oggetto di significativi progressi nel corso degli anni più recenti emerge senz’altro quello riguardante la violenza contro le donne. Avendo a mente gli obblighi derivanti dalla Convenzio-ne del Consiglio d’Europa contro la violenza Convenzio-nei confronti delle donConvenzio-ne (adottata nel 2011 e ratificata dall’Italia nel 2013), ma anche dalla diret-tiva 2012/29/UE sulle norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, e dalla direttiva 2004/80/CE relativa all’indennizzo delle vittime di reato, il legislatore italiano è infatti più volte intervenuto per migliorare l’efficacia dei dispositivi e degli stru-menti utilizzabili nelle circostanze in cui la violenza viene esercitata.

Nel 2013, in particolare, con il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito in l. 15 ottobre 2013, n. 119, sono state introdotte une serie di misure nel settore del diritto sostanziale penale e processuale volte, da un lato, a rafforzare la capacità repressiva dello Stato nei confronti degli autori di condotte lesive la dignità e i diritti della donna, dall’altro a garantire for-me di protezione alle vittifor-me di violenza12. Pur nella condivisibile aspira-zione di ridefinire il sistema di proteaspira-zione delle donne vittime di violen-za, deve essere tuttavia rilevato come la novella legislativa del 2013 abbia privilegiato il versante della repressione penale piuttosto che tendere ad una riforma organica della materia che fosse in grado di ri-orientare l’azione regolativa dello Stato secondo un approccio culturale in grado di interpretare il fenomeno della violenza contro le donne come scollegato da mere questioni di ordine e sicurezza pubblica13.

Più nel dettaglio, tra le novità di diritto penale sostanziale introdotte dalla l. 119/2013 significativa è la rilevanza data alla relazione affettiva nel contesto dell’applicazione di aggravanti o di misure di prevenzione, anche qualora questa non sia accompagnata dalla convivenza o dal vin-colo matrimoniale. Nell’area delle aggravanti, si segnala invece l’introdu-11 Cfr. EUR-Infra, Banca dati delle procedure di infrazione aperte, http://eurinfra.

politichecomunitarie.it/ElencoAreaLibera.aspx, visitato il 10 novembre 2016.

12 A. Merli, Violenza di genere e femminicidio. Le norme penali di contrasto e la legge n. 119

del 2013 (cosiddetta legge sul femminicidio), Napoli, 2015.

13 P. Degani, R. Della Rocca, Verso la fine del silenzio. Recenti sviluppi in tema di violenza

(26)

25 zione di quella relativa alla violenza sessuale consumata nei confronti di una donna in stato di gravidanza, nonché la modifica dell’aggravante del reato di maltrattamenti nella parte in cui si mette in rilevo il disvalore della c.d. violenza «assistita».

Per quanto concerne gli interventi di diritto processuale, la l. 119/2013 ha introdotto alcune misure volte ad aumentare i poteri a disposizione della polizia giudiziaria quando questa interviene in occasione di un rea-to in danno di persona della famiglia commesso in flagranza, in partico-lare in materia di arresto e allontanamento. Di assoluto rilievo anche le diverse previsioni in materia di obblighi di comunicazione alla vittima circa la situazione cautelare dell’autore del reato e circa l’esito delle in-dagini preliminari, nonché quelle volte ad estendere l’applicabilità delle modalità protette di audizione. A tutela delle vittime di reati espressione della violenza maschile contro le donne, infine, la l. 119/2013 prevede anche l’ammissione al gratuito patrocinio e, in caso di vittima non resi-dente, il rilascio di uno speciale permesso di soggiorno.

Di recente adozione, si segnalano per la loro rilevanza in materia di violenza contro le donne anche il d.lgs. 15 dicembre 2015 che ha amplia-to in termini generali i poteri della persona offesa di reaamplia-to nell’ambi-to del processo penale (misure peraltro in parte già anticipate con la l. 119/2013), la legge europea 2015-2016 che introduce nuove norme per l’indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, nonché l’art. 24 del d.lgs. 80/2015 sul congedo indennizzato per le donne vittime di violenza di genere.

Un altro intervento normativo lungamente atteso e conclusosi di re-cente riguarda la disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e delle convivenze. L’inerzia legislativa in questa delicata materia, infatti, non era stata messa in evidenza solamente dalla Corte Costituzio-nale con le sentenze 138/2010 e 170/2014, ma anche dalla CtEDU che, in occasione del caso Oliari (ricorsi nn. 18766/11 e 36030/11), nel 2015 aveva ritenuto violato il diritto dei ricorrenti ad avere la propria relazione af-fettiva una qualunque forma di riconoscimento giuridico14.

Entrata in vigore il 5 giugno 2016, la l. 20 maggio 2016 n. 76 introduce nell’ordinamento italiano due istituti distinti: il primo, quello delle unio-ni civili tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione; il secondo, quello delle

con-14 D. Rudan, L’obbligo di disporre il riconoscimento giuridico delle coppie dello stesso sesso: il

(27)

26

vivenze di fatto aperte sia alle coppie omosessuali sia alle coppie etero-sessuali.

Di converso, come precedentemente menzionato, uno degli interventi legislativi richiesti all’Italia da più istanze internazionali, eppure ancora incompiuto, riguarda introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano così come espressamente previsto dall’art. 4 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, ratificata dall’Italia nel 1989. Negli anni, infatti, le autorità italiane hanno sostanzialmente riget-tato le reiterate richieste degli organismi internazionali di monitorag-gio sui diritti umani di adempiere a tale obbligo, ritenendo che il quadro costituzionale e legislativo nazionale fosse idoneo a punire le condotte criminali a cui si riferisce la Convenzione del 1984. Diverse proposte legi-slative sono state avanzate nel corso di più legislature, ma mai portate a compimento per diverse ragioni, riconducibili ad una sostanziale caren-za di volontà politica.

Il tema della mancata introduzione del reato di tortura e le relati-ve problematiche sono tornati all’attenzione delle autorità italiane e dell’opinione pubblica sia a seguito di fatti di cronaca, sia per l’ampia risonanza mediatica di alcune sentenze della CtEDU (Cestaro, Hirsi Jamaa,

Torreggiani) e delle raccomandazioni del Comitato per la prevenzione

della tortura del Consiglio d’Europa15. In questi ambiti, l’adeguatezza dell’impianto normativo nazionale è stata messa significativamente in discussione, e il Paese frequentemente invitato a farvi fronte senza ul-teriori indugi. La risposta delle autorità ha dimostrato in primo tempo una maggiore sensibilità al tema su vari campi, in particolare con rife-rimento ai diritti delle persone detenute e alla questione del sovraffol-lamento delle carceri16. Al termine del secondo ciclo di UPR nel 2014, ad esempio, l’Italia ha mostrato un cambio di atteggiamento sulle questioni in esame rispetto al passato, accettando pienamente le raccomandazioni 15 Cfr. in particolare i rapporti del Comitato in questione sulla visita in Italia del 2012

(CPT/Inf(2013)32) e del 2010 (CPT/Inf(2013)30).

16 A partire dal 2013 l’Italia ha adottato un certo numero di provvedimenti in

mate-ria di politica penale e di organizzazione penitenziamate-ria volti a incidere sulle cause del sovraffollamento carcerario e, parallelamente, ha riformato la legge sull’ordinamento penitenziario creando un nuovo ricorso interno di natura preventiva che permette alle persone detenute di lamentare dinanzi al magistrato di sorveglianza le condizioni ma-teriali di detenzione, nonché un rimedio di tipo compensativo che prevede una ripara-zione per le persone che hanno già subito una detenripara-zione contraria agli standard CtEDU (d.l. 146/2013 e 92/2014).

(28)

27 di Australia e Francia relative, rispettivamente, alla necessità di adottare misure interne efficaci per garantire che tutti gli atti di tortura siano considerati reati ai sensi del codice penale e di prevedere ulteriori dispo-sizioni per prevenire tutte le forme di trattamento crudele, inumano e/o degradante delle persone detenute.

La sentenza adottata nel 2015 dalla CtEDU sul caso Cestaro c. Italia (ri-corso n. 6884/11) ha dato ulteriore impulso a tale processo. Tale senten-za ha infatti condannato l’Italia per violazione del divieto di tortura in relazione ai fatti di Genova del 2001, in particolare le azioni repressive compiute nei riguardi dei dimostranti alloggiati presso la scuola Diaz. Secondo la CtEDU, l’inadeguatezza delle disposizioni del codice penale utilizzabili per sanzionare i comportamenti della polizia in tali circostan-ze non solamente ha impedito agli organismi inquirenti e giudicanti di perseguire efficacemente gli atti di tortura commessi, ma ha altresì con-tribuito a creare un esito di sostanziale impunità per quanti hanno preso parte alle violenze. A seguito della pubblicazione della sentenza, l’iter legislativo del più recente progetto di legge in materia – il d.d.l. 10 del 2013 (Introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano) ha visto un rapido impulso. Nel 2015 una versione della proposta di legge sensibilmente migliorata rispetto alla prima bozza è stata approvata dal-la Camera (atto C.2168) ed è oggi al vaglio del Senato17. Come nel caso del-la Commissione nazionale, anche del-la conclusione di questo fondamentale iter legislativo resta quindi ferma a un passo dal traguardo. Continua a mancare la capacità (o volontà) di compierlo, sebbene un input definitivo a questo proposito potrebbe giungere dalla neo insediata Autorità Garan-te sui diritti delle persone deGaran-tenuGaran-te.

Un ulteriore atto legislativo rilevante per lo stato di salute dei diritti umani in Italia, ma rimasto in sospeso riguarda gli annunciati cambia-menti circa le previsioni normative in materia di ingiuria e diffamazione e, in particolare, le disposizioni del codice penale italiano che prevedono una pena detentiva per i giornalisti e gli editori colpevoli di tale illecito nella sua forma aggravata18. L’impegno del Parlamento per l’adozione del cosiddetto «d.d.l. diffamazione» (atto C. – 925) è stato menzionato in ri-sposta a precedenti raccomandazioni ricevute durante il primo UPR del

17 Secondo il portale «openparlamento», gli ultimi interventi sul d.d.l. sono

avve-nuti nel luglio del 2016, http://parlamento17.openpolis.it/atto/index/id/2181/sf_ highlight/tortura, visitato il 10 novembre 2016.

(29)

28

2010, nel rapporto nazionale presentato dal Governo italiano nell’ambito del secondo ciclo di tale Esame periodico nel 2014. Il d.d.l. in questione, tuttavia, continua a rimbalzare tra le due Camere del Parlamento. Pre-sentato e approvato alla Camera nel 2013, è stato modificato al Senato nell’ottobre del 2014, ulteriormente modificato e approvato dalla Camera nel giugno del 2015. Attualmente, il progetto di legge si trova al vaglio della Commissione II «Giustizia» del Senato per la sua approvazione fi-nale. Non sono stati, tuttavia, registrati nuovi interventi sul progetto di legge dal 9 settembre 201519.

Al di là delle opportune critiche per lo stato di sostanziale sospensio-ne (o abbandono) di questo disegno di legge dopo 3 anni di discussioni e modifiche in Parlamento, è da sottolineare che la sua eventuale adozione rappresenta un passaggio significativo, ma non definitivo, nel processo di adeguamento della normativa italiana agli standard internazionali in materia di diffamazione. Infatti, nonostante il d.d.l. 925 (attualmente de-nominato atto S-1119-B) sia stato considerato in modo sostanzialmente positivo da parte dei principali organismi internazionali di monitorag-gio che si occupano di tali tematiche20, poiché prevede la sostituzione della pena detentiva per reati di diffamazione con la comminazione di ammende, l’attuale testo all’esame del Parlamento non pare rispondere pienamente a quanto auspicato e raccomandato in sede europea e inter-nazionale, vale a dire la totale depenalizzazione di questo tipo di reati21. 3. Le politiche pubbliche: più organicità, monitoraggio

e risorse per i piani d’azione sui diritti umani

Sono evidentemente numerose le politiche pubbliche a livello nazio-nale e locale che hanno attinenza con la promozione e protezione dei di-ritti umani: dalle politiche sanitarie, a quelle educative e lavorative, pas-sando per quelle sull’alloggio e l’accoglienza. Un punto di osservazione molto specifico, ma particolarmente efficace circa l’impegno del Governo 19 Cfr. http://parlamento17.openpolis.it/atto/index/id/4042/sf_highlight/diffamazione,

visitato il 10 novembre 2016.

20 Cfr., ad esempio, il parere della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa del

2013 (CDL-AD(2013)038) e le comunicazioni del 2013 e del 2014 della Rappresentante sulla libertà dei media dell’OSCE.

21 UNESCO, World Trend in Freedom of Expression and Media Development. Regional

Over-view of Regional and Eastern Europe, Parigi, 2014; Ending the Chilling Effect – Working to Repeal Criminal Libel and Insult Laws, a cura di A. Karlsreiter e H. Vuokko, Vienna, 2014.

(30)

29 rispetto a questa dimensione della sua azione, è rappresentato dall’ana-lisi dei cosiddetti «piani d’azione sui diritti umani». Questi ultimi, la cui adozione e attuazione è spesso richiesta tra le misure di follow-up previ-ste dai vari strumenti internazionali sui diritti umani, costituiscono degli elementi fondamentali «per configurare una vera e propria governance multi-livello delle politiche sui diritti umani in Italia»22. L’adozione, l’ag-giornamento e l’attuazione puntuale di questi piani d’azione rappresenta quindi un significativo indicatore del livello di pianificazione sistemica delle politiche nazionali in materia dei diritti umani, della rilevanza asse-gnata a questi temi, nonché della coerenza dell’azione italiana a riguardo.

Negli ultimi anni, l’Italia ha gradualmente aumentato il numero di piani d’azione adottati tra quelli richiesti dai vari strumenti internazio-nali ratificati dal Paese. I piani di più recente adozione sono il IV Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva (2016), il Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento (2016), il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (2015), e Piano nazionale d’azione contro il razzismo, la xenofobia e l’intolleranza per il periodo 2013-2015 (quest’ultimo, tuttavia, è stato adottato in ritardo nel 2015, solo al termi-ne, quindi, del periodo di riferimento del piano stesso). Nel 2016, inoltre, il CIDU ha aperto una consultazione pubblica online della bozza del Piano d’Azione Nazionale su impresa e diritti umani 2016-2021. Si tratta di una prassi partecipativa, già sperimentata con il Piano sulla violenza contro le donne, che lascia ben sperare per un sempre maggior coinvolgimen-to della società civile all’attuazione degli obblighi internazionali assun-ti dall’Italia in materia. È stato inoltre presentato e discusso a Firenze, nell’ambito della V Conferenza Nazionale sulle politiche in materia di di-sabilità, il nuovo Programma biennale d’azione sulla didi-sabilità, elaborato dall’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, la cui adozione da parte del Governo è prevista entro la fine del 2016.

Non si segnalano invece progressi in merito ad altri due strumenti programmatici su temi particolarmente strategici per il futuro del Pae-se, quali il Piano d’azione relativo alla situazione dei diritti umani nelle strutture di detenzione, e il Programma nazionale relativo alla educa-zione alla cittadinanza democratica e alla educaeduca-zione e formaeduca-zione dei diritti umani, quest’ultimo particolarmente rilevante per rafforzare l’at-tuazione della disciplina introdotta con decreto-legge 1 settembre 2008,

(31)

30

n. 137, art.1: «Cittadinanza e Costituzione», che prevede l’insegnamento, nelle scuole di ogni ordine e grado, di un nuovo percorso formativo rela-tivo all’educazione ai valori democratici a fondamento della Costituzione italiana.

Similmente a quanto osservato con riferimento alla ratifica dei prin-cipali strumenti giuridici sui diritti umani, anche nel caso della predi-sposizione e attuazione dei piani nazionali in materia, l’azione dell’Italia ha quindi visto un miglioramento graduale del proprio impegno. Nono-stante questo dato positivo, tuttavia, persiste un significativo elemento di criticità, rappresentato dall’assenza di un’azione sistematica di mo-nitoraggio circa il loro stato di attuazione. In mancanza di un processo di valutazione, infatti, non solo non è possibile misurare l’impatto delle azioni adottate, ma diventa impossibile programmare interventi corret-tivi e/o miglioracorret-tivi dell’azione pubblica.

Un esempio emblematico di questa diffusa carenza riguarda la pia-nificazione degli interventi pubblici con riferimento alle persone rom e sinti. La discriminazione nei confronti degli appartenenti a queste comu-nità, di fatto una problematica che l’Italia condivide con gran parte dei Paesi europei23, è stata a lungo causa di significativa preoccupazione per diversi meccanismi di monitoraggio dei diritti umani a livello di Nazioni Unite, Consiglio d’Europa e Unione Europea24. In particolare, veniva criti-cata in quegli anni l’attuazione di una serie di «patti per la sicurezza» tra Governo e Regioni che, ai sensi dell’art. 1(439) della legge finanziaria per il 2007 (l. 296/2006), consentivano la realizzazione di programmi straor-dinari di incremento dei servizi di polizia, di soccorso tecnico urgente e per la sicurezza dei cittadini. Questi patti, assieme ai successivi decreti sulla cosiddetta «emergenza nomadi» (ritenuti poi illegittimi dal Consi-glio di Stato nel 2011) e al «pacchetto sicurezza» 2008 (l.125/2009), hanno di fatto costituito le basi normative che hanno legittimato forme di trat-tamento discriminatorio nei confronti di rom, sinti (inclusi i censimenti degli insediamenti e la pratica degli «sgomberi forzati») e di altri gruppi 23 Cfr., ad esempio, le raccomandazioni di politica generale della Commissione

con-tro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa n. 3 e 13 o i rapporti dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’UE sulla condizione dei Rom in 11 Stati membri dell’UE pubblicati nel 2014, http://fra.europa.eu/en/theme/roma/publications, visitato il 10 novembre 2016.

24 In particolare dai vari treaty bodies delle Nazioni Unite, dal Commissario per i diritti

umani, dal Comitato europeo dei diritti sociali e dalla Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa.

(32)

31 sociali, quali migranti, richiedenti asilo e altre minoranze linguistiche e religiose.

Nel febbraio del 2012, tuttavia, in attuazione della ulteriore solleci-tazione avvenuta da parte della Commissione europea con la Comuni-cazione n. 173 del 4 aprile 2011, «Un quadro dell’Unione europea per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020», il Consiglio dei Ministri ha adottato la «Strategia Nazionale d’inclusione dei rom, dei sinti e dei caminanti (2012-2020)». La Strategia è stata elaborata se-guendo un approccio inclusivo e partecipativo, profondamente diverso dall’azione meramente emergenziale e orientata alla sicurezza che aveva contraddistinto le politiche precedentemente portate avanti dal Governo nei confronti di queste comunità. Nel metterlo in atto, l’Italia ha quindi mostrato una volontà di cambiare rotta, la quale ha inizialmente soddi-sfatto le reiterate richieste e raccomandazioni dei menzionati organismi internazionali di monitoraggio e di buona parte della società civile.

Ad ogni modo, nonostante questi aspetti di significativa rottura col passato, ivi inclusa compresa la implicita promessa di una pianificazione sistemica in una tra le aree di principale criticità per la situazione dei di-ritti umani in Italia, l’impegno per l’attuazione e il monitoraggio di que-sta strategia non ha dato vita, ad oggi, a chiari e significativi follow- up. Dall’UNAR, l’Ufficio a cui il Governo ha affidato l’attuazione e il moni-toraggio della Strategia sono emersi alcuni aggiornamenti circa l’avan-zamento dei vari tavoli di lavoro previsti dalla stessa, in particolare in materia di alloggio, e dello status giuridico dei rom apolidi, ma nulla di organico. Dati sintetici sono reperibili, in una prospettiva comparata con gli altri Paesi europei, nelle relazioni predisposte periodicamente dalla Commissione europea circa l’attuazione del Quadro UE per l’inclusione dei rom25.

Come spesso accade in Italia, tuttavia, sono state le organizzazioni della società a civile a farsi carico del completo monitoraggio e della va-lutazione della Strategia, colmando di fatto le inadempienze del Gover-no. L’Associazione 21 luglio, in particolare, oltre a fornire periodicamen-te aggiornamenti circa la situazione di rom e sinti in Italia, ha coordinato una coalizione di ONG nella redazione e pubblicazione del rapporto «La 25 Cfr. Relazione sull’attuazione del Quadro dell’UE per le strategie nazionali di

in-tegrazione dei Rom – 2015. Comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Re-gioni, COM (2015) 299, 17 giugno 2015.

(33)

32

tela di Penelope. Monitoraggio della società civile sull’attuazione della Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti».

Il rapporto, pur riconoscendo l’estrema novità dell’indirizzo e degli orientamenti sviluppato dal Governo attraverso la Strategia, ha denun-ciato una serie di ritardi nell’attivazione degli organi preposti alla sua attuazione, nonché notevoli criticità riguardo agli effetti concreti per la vita delle popolazioni rom in Italia delle politiche italiane, in particola-re nei confronti di quelle persone che si trovano in condizioni di estparticola-re- estre-mo degrado e vulnerabilità. In assenza di un estre-monitoraggio da parte del Governo, il rapporto, pubblicato nel 2014, rappresenta di fatto l’unico documento esistente che affronta in modo completo l’avanzamento del-le varie misure previste dalla Strategia, fornendo raccomandazioni per migliorarne l’attuazione negli anni a venire. A due anni dall’uscita del rapporto, tuttavia, non sembra che le autorità italiane abbiano recepito questa sollecitazione della società civile, mantenendo indefinito e ap-prossimativo il proprio impegno per l’attuazione e il monitoraggio delle misure previste per favorire l’inclusione nel tessuto sociale italiano degli appartenenti a queste comunità.

Se le criticità discusse per la Strategia sui rom rappresentano uno de-gli esempi di quella che si configura come una negativa prassi operativa dell’azione dell’Italia nell’attuazione delle politiche pubbliche sui diritti umani, un’eccezione virtuosa che fa ben sperare per un possibile cambio di rotta è il progress report presentato nel 2015 dal Governo ad un anno dall’adozione del Piano d’azione nazionale su «Donne, pace e sicurezza» (2014-2016).

Resta, inoltre, da sottolineare come la formulazione e l’attuazione dei diversi piani d’azione sembri risentire e in un certo qual modo rispecchi la compartimentalizzazione che caratterizza l’apparato statale italiano, in particolare in ragione dell’assenza di un dialogo sistematico e di un coor dinamento operativo tra i vari attori – a livello nazionale, locale e della società civile – a diverso titolo coinvolti nella loro attuazione. Ele-mento questo che va decisamente a discapito della sistematicità e dell’or-ganicità che al contrario dovrebbero innervare la produzione di policies in materia di diritti umani.

4. La giurisprudenza:

sviluppare il dialogo tra corti italiane e corti internazionali Un’altra componente fondamentale del grado di attuazione degli ob-blighi internazionali in materia di diritti umani di un Paese è data dalla

(34)

33 sua capacità di adeguarsi agli standard internazionali per come questi vengono intesi e applicati dalla giurisprudenza delle corti internazionali, tra cui, in primis per l’Italia, la Corte europea dei diritti umani e la Corte di giustizia dell’UE.

Per quanto riguarda il dialogo tra corti italiane e corti internazionali, nel corso degli ultimi anni si è rilevata la positiva tendenza dei giudici na-zionali, a cominciare dalla Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione, ad utilizzare in modo esteso e consapevole le fonti dell’Unione Europea e del diritto internazionale in materia di diritti umani tra cui, segnata-mente per l’Italia, la Convenzione europea dei diritti umani (CEDU), la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989 e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006.

Tra i più recenti esempi di una positiva convergenza con la giurispru-denza CtEDU si segnala la sentenza 95/2015 con la quale, richiamando il caso Costa e Pavan c. Italia, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegit-time le disposizioni della l. 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) nella parte in cui non consentivano anche alle coppie fertili portatrici di patologie geneticamente trasmissibili il ri-corso alle tecniche di fecondazione assistita. Esemplare ricettività de-gli orientamenti giurisprudenziali sovranazionali si ravvisa anche nelle recenti pronunce della Corte costituzionale (ex plurimis: sent. 109/2015, 97/2014, 135/2014) con cui i giudici delle leggi hanno dichiarato l’incosti-tuzionalità di quelle disposizioni del codice di procedura penale, più vol-te oggetto di censura europea, che non prevedevano la forma pubblica nell’ambito di procedimenti aventi significative ripercussioni sulla sfera sia personale sia patrimoniale dell’individuo. O ancora, nell’ambito della sentenza 278/2013 con cui la Corte costituzionale, mettendo in atto un vero e proprio revirement giurisprudenziale, ha recepito l’orientamento espresso dalla CtEDU nel caso Godelli in tema di diritto del figlio adottato a conoscere le proprie origini familiari a fronte della richiesta di anoni-mato esercitata al momento della nascita dalla madre biologica.

A fronte della moltiplicazione degli esempi di osmosi positiva tra or-dinamenti permangono, tuttavia, con riferimento ad alcune specifiche questioni, fronti di contrasto tra orientamenti espressi dalla giurispru-denza italiana e consolidate posizioni della Corte di Strasburgo.

Continua in questo senso a manifestarsi una diversità di approccio tra la prassi della CtEDU e una certa giurisprudenza nazionale in ma-terie quali la compatibilità con gli standard di equo processo di alcuni

Figura

TABLE 1. THE PARAMETERS TO ASSESS EEU AND WEU CLUBS CONVERGENCE
FIGURE 1. PATTERNS OF GDP GROWTH RATES EEU AND WEU CLUB 2003-2013
FIGURE 2.  PATTERNS OF DIVERGENCE INDEX
FIGURE 3.  PATTERNS OF DIVERGENCE INDEX
+7

Riferimenti

Documenti correlati

Per questo motivo i genitori sono tenuti ad avvisare immediatamente la Scuola che si rapporterà, attraverso canali diretti, con gli operatori del Gruppo Scuola addetti

Per rinforzare la propria identità e la consapevolezza di appartenere ad un gruppo che condivide diritti ma anche regole da rispettare, ogni bambino ha ricostruito la propria

 Qualora il numero delle domande di iscrizione sia superiore al numero dei posti complessivamente disponibili, hanno precedenza le domande relative a coloro che compiono tre anni

Per l’iscrizione alle sezioni di Scuola dell’Infanzia e alle classi Prime di Scuola Primaria e Scuola Secondaria di 1° grado i genitori (o chi esercita la

o eventuali richieste e proposte delle scuole che comportino investimenti non sostenibili da parte del CSV e delle organizzazioni verranno co-progettate e

Le iscrizioni alla prima classe della scuola secondaria di primo grado degli alunni che abbiano conseguito o prevedano di conseguire l’ammissione o l’idoneità a

Il concorso, indetto nell'ambito di una campagna di sensibilizzazione alla prevenzione dei tumori toracici e, in particolare, del tumore del polmone, promossa

In considerazione della possibilità che, in base ai criteri di precedenza deliberati dal Consiglio di istituto, si verifichi eccedenza di domande rispetto ai posti