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Il Regno di Sicilia in età normanna e sveva. Forme e organizzazioni della cultura e della politica. Premessa. Politica e politiche culturali nell’età normanna e sveva

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Academic year: 2021

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Mondi Mediterranei 6

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Direzione scientifica e Comitato redazionale

La Direzione scientifica di Mondi Mediterranei è composta da un Comi-tato di valutazione scientifica e da un ComiComi-tato internazionale di garanti, i quali valutano e controllano preventivamente la qualità delle pubbli-cazioni.

Del Comitato di valutazione scientifica fanno parte i docenti che compon-gono il Collegio del Dottorato di ricerca in “Storia, Culture e Saperi dell’Europa mediterranea dall’Antichità all’Età contemporanea” del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università della Basilicata: coor-dinatori ne sono Michele Bandini, Fulvio Delle Donne, Maurizio Mar-tirano, Francesco Panarelli.

Il Comitato internazionale di garanti è composto da: Eugenio Amato (Univ. di Nantes); Luciano Canfora (Univ. di Bari); Pietro Corrao (Univ. di Palermo); Antonino De Francesco (Univ. di Milano); Pierre Girard (Univ. Jean Moulin Lyon 3); Benoît Grévin (CNRS-EHESS, Paris); Edoardo Massimilla (Univ. di Napoli Federico II).

Il Comitato redazionale è composto dai dottorandi e dottori di ricerca del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi della Basili-cata: per questo volume è stato coordinato da Cristiano Amendola. Tutti i testi pubblicati sono vagliati, secondo le modalità del “doppio cieco” (double blind peer review), da non meno di due lettori individuati nell’ambito di un’ampia cerchia internazionale di specialisti.

In copertina: Bibliothèque national de France, ms. fr. 12400, c. 2r. Traduzione francese del De arte venandi cum avibus di Federico II, ese-guita per ordine di Jean II signore di Dampierre e di Saint Dizier (sec. XIV in.): particolare del capolettera dell’incipit, che raffigura Federico II. Immagine disponibile per uso non commerciale sul sito della Bi-bliothèque national de France (https://archivesetmanuscrits.bnf.fr).

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Il Regno di Sicilia in età normanna e sveva

Forme e organizzazioni della cultura e della politica

a cura di

Pietro Colletta, Teofilo De Angelis,

Fulvio Delle Donne

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Il Regno di Sicilia in età normanna e sveva: forme e organizza-zioni della cultura e della politica / a cura di Pietro Colletta, Teofilo De Angelis, Fulvio Delle Donne. – Potenza : BUP - Ba-silicata University Press, 2021. – 388 p. ; 24 cm. – (Mondi Medi-terranei ; 6)

ISSN: 2704-7423

ISBN: 978-88-31309-11-0 945.704 CDD-23

© 2021 BUP - Basilicata University Press Università degli Studi della Basilicata Biblioteca Centrale di Ateneo Via Nazario Sauro 85

I - 85100 Potenza https://bup.unibas.it Published in Italy

Prima edizione: maggio 2021

Gli E-Book della BUP sono pubblicati con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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SOMMARIO

Pietro Colletta, Teofilo De Angelis, Fulvio Delle Don-ne, Premessa. Politica e politiche culturali nell’età

nor-manna e sveva 7

Organizzazione e strategie della cultura

Jean-Marie Martin, Culture e tipi di formazione nel

Mez-zogiorno prima dell’Università 17 Fulvio Delle Donne, L’organizzazione dello Studium di

Napoli e la nobiltà del sapere 37 Pietro Colletta, Genesi e tradizione del mito di Guglielmo II

«re buono» (secc. XII-XIV) 49

Teofilo De Angelis, La cultura medica e le acque termali flegree tra XII e XIII secolo: la testimonianza di Pietro

da Eboli 109

Armando Bisanti, Orgoglio poetico e lode del sovrano nei

carmina di Enrico di Avranches per Federico II 125 Clara Fossati, Cronaca di una battaglia mancata: Genova e

Federico II nel carme di Ursone da Sestri 173 Martina Pavoni, «Per agros amoenos et prata

floren-tia». Cultura epistolare e consolazione retorica in Pietro

da Prezza 187

Mirko Vagnoni, Federico II e la messa in scena del corpo

regio in immagine 203

Organizzazione e strategie della politica

Horst Enzensberger, Tra cancelleria e Magna Curia.

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Edoardo D’Angelo, Il De rebus circa regni Siciliae

curiam gestis dello pseudo-Ugo Falcando: prosopografia

e politica dell’età normanna 235

Francesco Panarelli, Ancora sullo pseudo Falcando e

l’Epistola ad Petrum 243

Marino Zabbia, Memorie mutevoli. Federico II nelle

crona-che genovesi (secc. XIII-XV) 261

Erasmo Merendino, La politica orientale di Federico II 275 Rodney Lokaj, Clare the Epistolographer against Church

and Empire stupenda paupertas vs stupor mundi 287 Walter Koller, Manfredi e l’arte della guerra 339 Daniela Patti, “Luoghi forti” nel territorio ennese in età

me-dievale. Organizzazione del territorio, strategie difensive e

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Premessa

Politica e politiche culturali nell’età normanna e sveva

Ernst Kantorowicz, nella sua monumentale biografia su Fe-derico II di Svevia, definì il Regno di Sicilia «la terra promessa dell’imperatore» (p. 205 della traduzione italiana, Milano 1988), proprio per sottolineare il particolare legame che unì Federico con il Regnum sin dalla fanciullezza. Esso costituiva una realtà

politico-amministrativa unitaria, ma assai variegata nei suoi mol-teplici tratti etnici, sociali e territoriali, con i quali l’imperatore svevo seppe confrontarsi dando compiuta e piena dimostrazio-ne delle proprie prospettive politiche e dei suoi interessi cultu-rali. Questo è il campo di indagine del presente volume che, in particolare, pone l’attenzione sulle strategie organizzative tanto della cultura quanto della politica nel Regno di Sicilia di età nor-manna e sveva, mettendone in luce i legami e l’evoluzione, gli elementi di continuità e di discontinuità.

Il rapporto tra cultura e politica risulta centrale per com-prendere le dinamiche attraverso le quali il nuovo regno, fonda-to nel 1130, cerca, passo dopo passo, di aufonda-tolegittimarsi. Tale processo, come la storia insegna, spesso avviene, e soprattutto è accelerato, con l’ausilio di una classe di intellettuali e di luoghi di cultura che offrono giustificazione e spessore alle ideologie che assurgono a “insegna di potere”, per usare un concetto caro a Percy Ernst Schramm e recentemente rielaborato da uno dei curatori del volume.

La cultura nel Regnum trova sua massima e compiuta

espres-sione nella fondazione dell’Università di Napoli (1224) da parte di Federico II. Essa è manifestazione di una precisa e ferma vo-lontà politica e di un lungimirante disegno sociale e culturale: se, infatti, non può vantare il primato di essere la più antica in Europa, fu certamente la prima interamente istituita per volontà di un governante laico. Inoltre, contribuì a rideterminare il con-cetto di nobilitas, segnando con una radicale trasformazione il

passaggio cruciale dal modello tradizionale di ‘nobiltà di sangue’ alla definizione di una nuova ‘nobiltà di spirito’ e favorendo, co-sì, la costituzione di un ceto amministrativo competente, non

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8 Premessa

più unicamente proveniente dall’alta nobiltà, come qui rammen-tato da Fulvio Delle Donne. Tale fondazione rappresenta, dun-que, un momento di grande importanza e maturazione. Certa-mente, già in epoca normanna riconosciamo tracce importanti di precedenti centri di formazione, qui messe ben in luce dal compianto Jean-Marie Martin, ma l’insegnamento superiore, pri-ma del 1224, non assume tratti pienamente strutturati e indiriz-zati, sebbene vadano tenute in debito conto le due importanti eccezioni di Montecassino e della scuola medica di Salerno. Proprio quest’ultima realtà, quando sarà riformata da Federico II, evolverà da luogo di trasmissione di insegnamenti “pragma-tici” in vera e propria organizzazione di tipo universitario.

Una personalità straordinaria che sintetizza nella propria produzione l’impegno tanto politico quanto storico-culturale (con una spiccata predilezione anche per la sfera medica) è quella del poeta Pietro da Eboli, grande sostenitore della dina-stia sveva nel Regnum. Questi, infatti, indagato da Teofilo De

Angelis, fu autore sia del Liber ad honorem Augusti, nel quale

esal-ta la figura di Enrico VI che si scontra con Tancredi, conte di Lecce, per il possesso e controllo del Regno, sia del De Euboicis aquis, probabilmente dedicato sempre all’imperatore Enrico VI,

nel quale esalta le proprietà curative delle terme ubicate nell’a-rea flegnell’a-rea.

Nello sviluppo culturale dell’Italia meridionale, un ruolo de-terminante è svolto dai raffinati ambienti legati alle corti. Quella dei sovrani normanni è caratterizzata in maniera assai suggesti-va dallo pseudo Ugo Falcando, che delinea gli intrighi e le vio-lenze di un mondo che dà un’impressione di malvagità e corru-zione: come mostra Edoardo D’Angelo, identificare e delineare il profilo di alcuni protagonisti è utile alla comprensione di quella temperie politica. Di Falcando, tuttavia, sappiamo assai poco, così come di colui che ha scritto l’epistola a Pietro teso-riere: i due autori spesso sono assimilati, ma – come rileva Francesco Panarelli – un accurato riesame della trasmissione te-stuale e della tradizione degli studi fa vacillare ogni convinzione, aprendo il campo a nuove possibili contestualizzazioni.

È l’ambiente connesso con la corte sveva, però, e in partico-lare quello dominato dall’imponente figura di Federico II, ad aver inciso maggiormente sulla produzione letteraria dell’epoca: oltre alla produzione in volgare della cosiddetta Scuola siciliana, si sviluppa e raggiunge livelli elevatissimi l’ars dictaminis, che

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tro-Premessa 9

va la sua espressione più alta nella epistolografia, la quale, in quel periodo, costituisce il genere più praticato e sublime, atte-stato dalla produzione del celebre Pier della Vigna e di altri im-portanti dictatores della cancelleria sveva, come Pietro da Prezza,

la cui raffinata cultura è analizzata da Martina Pavoni. Le loro epistole furono usate come poderoso strumento di comunica-zione politica, sia per il loro contenuto ideologico che per la lo-ro straordinaria forma stilistica.

In ottica di legittimazione del potere vanno letti anche i car-mina che Enrico di Avranche compose per Federico II, cioè per

un imperatore che la scienza divina aveva messo a guida delle cose umane. A essere esaltate – come mostra Armando Bisanti – sono le virtù dell’allora ancora piuttosto giovane sovrano: es-se non sono confinate esclusivamente nella capacità politica e governativa, ma si allargano alla conoscenza dei segreti, degli

archana della sapienza. Federico rappresenta un unicum: è tanto

abile nella gestione del potere quanto esperto magister di arte e

di cultura. È così che l’imperatore diviene il più potente monar-ca del mondo, al pari del grande e illustre Ottaviano Augusto. In maniera simile all’antico imperatore egli ha coltivato la pace e Dio gli ha concesso addirittura un nome “parlante”: il nome Federico, composto di due parti (Frithe – rich), significa “re

paci-fico” o “pace regia”.

Non deve destare meraviglia che all’immagine di un Federi-co signore e reggitore pacifiFederi-co del mondo Federi-corrisponda, nel quadro più ampio degli scritti religiosi della metà del XIII seco-lo, l’immagine di un Federico II emblema dell’arroganza mon-dana. Particolarmente suggestiva appare la dicotomica immagi-ne – studiata da Rodimmagi-ney Lokaj – che sembra unire il destino dell’imperatore a quello di Agnese di Praga (promessa sposa di Enrico, figlio di Federico II, prima della vocazione), la quale fa della stupenda paupertas il proprio vessillo di vita, nella ferma

vo-lontà di seguire l’insegnamento di Cristo. Insomma, se quest’ul-tima si fa simbolo della discesa sociale quale ascesa spirituale, pa-rallelamente in taluni testi letterari, Federico II è autore di un’a-scesa sociale che diviene diun’a-scesa spirituale.

Il processo di legittimazione del potere, non da ultimo, è veicolato dall’autopresentazione scenica del potere: a tal riguar-do Mirko Vagnoni fa notare come in Federico II di Svevia fosse chiara la volontà di essere presente e visibile nel Regnum grazie,

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10 Premessa

tra l’altro, anche alla diffusione del suo ritratto presente nella statuaria e coniato sulle monete. Sono anche questi i canali utili alla legittimazione dell’autorità regia nei confronti dei sudditi e degli altri poteri, tanto interni quanto esterni al Regno. Così come i castelli e le strutture difensive del Regno, che, come mo-stra Daniela Patti, ubbidiscono a precise mo-strategie non solo sul piano dell’affermazione della presenza regia, ma anche su quel-lo della difesa militare del territorio dalle aggressioni sia interne che esterne.

A tal proposito va sottolineato come e quanto Federico avesse costantemente lavorato anche nella prospettiva della co-struzione di rapporti e alleanze, soprattutto nello scontro con il papato. In questa direzione vanno intesi, ad esempio, i costanti contatti politici (anche di natura matrimoniale) tra il sovrano bi-zantino Vatatzes e Federico, affrontati dal compianto Erasmo Merendino: infatti se il primo ricevette dall’alleanza e dalla pa-rentela con lo Svevo la legittimazione della sua sovranità a Ni-cea e l’opportunità delle sue rivendicazioni su Costantinopoli, anche Federico ebbe dei benefici non indifferenti, quali sussidi finanziari e militari e, soprattutto, la possibilità di costituire un più ampio fronte geopolitico antipapale.

La straordinarietà della figura federiciana, come è qui più vol-te messo in luce, sta anche nel non aver lasciato indifferenti né i coevi né i posteri e nell’essere stato catalizzatore di giudizi anche molto critici e di accesa propaganda antimperiale, i quali hanno tentato di delegittimare la sua figura e il suo ruolo: ne è esempio il De victoria di Ursone da Sestri, indagato da Clara Fossati, nel

quale la ricorrente presenza di toni fortemente provvidenzialistici mette in luce come sia la volontà di Dio a determinare il susse-guirsi delle vicende umane: tra queste, ovviamente, va annoverato anche il conflitto tra i Genovesi e l’imperatore, connotato come eretico e nemico della Chiesa, del papa e di Dio.

Ursone contribuì anche alla compilazione degli Annali geno-vesi, in particolare per il biennio 1241/1242, durante il quale

l’at-tenzione è posta sugli scontri navali che contrapposero la flotta di Genova a quella imperiale. Essi, orientando lo sguardo su Genova, ci trasmettono un’immagine solo lontana e sfocata di Federico II. Rappresentazione non diversa è del resto riscon-trabile pure in altre cronache che rimandano allo stesso ambito geografico, analizzate da Marino Zabbia. Anche Iacopo da Va-razze e Giorgio Stella furono piuttosto svelti nel tratteggiare la

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Premessa 11

figura di un imperatore non meritevole di specifica attenzione, che non era stato particolarmente determinante nello svolgersi delle vicende cittadine.

Se, dunque, è in qualche modo comprensibile che parte dell’annalistica dell’Italia settentrionale testimoni una sorta di disinteresse per l’eccezionale figura di un imperatore che – in-carnazione sia del bene che del male – aveva acceso la fantasia dei contemporanei, è più sorprendente che il ricordo di Federi-co II sia evanescente nelle fonti siciliane della fine del XIII e del secolo successivo: come mostra Pietro Colletta, sembra che già a distanza di pochi decenni si sia andata gradualmente perden-do la memoria della straordinaria personalità dello Svevo, che mantiene solo residue reminiscenze del suo titanico scontro col papato e delle ardite elaborazioni retoriche della sua cancelleria. Al contrario, è più frequente il riferimento a Guglielmo II d’Altavilla, re buono e giusto di un passato lontano e mitica-mente evocato alla stregua di un’età dell’oro ormai irrimedia-bilmente trascorsa. Paradossalmente, era stata proprio la cancel-leria federiciana, ancor più di quella papale, a dare un contribu-to decisivo all’affermazione di questa immagine idealizzata del-l’ultimo sovrano normanno, nella prospettiva di una continuità dichiarata rispetto a quel modello. Svolgendo una non seconda-ria funzione di autolegittimazione, il riferimento a tale immagi-ne ideale divenimmagi-ne ben presto topico e sopravvisse pure al tra-monto della parabola sveva: lo ereditarono e lo riproposero in-fatti, ciascuna a suo modo e con i suoi intenti, anche le succes-sive dinastie angioina e aragonese. Nell’analisi di taluni elementi di continuità politica e del ruolo fondamentale svolto dagli ap-parati amministrativi, del resto, non va dimenticato che alla più antica età normanna si deve l’impegno nella realizzazione di una cancelleria, a Palermo, concepita come indispensabile stru-mento per tenere sotto controllo territori variegati e distanti. Tale esigenza – come mostra Horst Enzensberger – fu resa an-cor più stringente per il fatto che i re normanni preferirono ri-siedere in Sicilia. Ma Palermo, che nel periodo normanno fu se-des regni e sua privilegiata capitale amministrativa, in età

federi-ciana perse gradualmente di centralità e fu relegata su un piano più periferico. Certo, continuò a essere la sede scelta per la se-poltura dell’imperatore Federico e quella dell’incoronazione di Manfredi, ma le tormentate vicende politiche di quegli anni

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12 Premessa

spinsero sempre più i sovrani a trovare nell’Italia peninsulare il palcoscenico delle proprie azioni, soprattutto belliche. Così, come il padre Federico, anche Manfredi, suo successore al Re-gno, non trascorse quasi mai un anno senza guerra, come ci rammenta Walter Koller: dalla terribile esperienza (quando era appena sedicenne) della disastrosa sconfitta subita a Parma (1248) a quel drammatico 26 febbraio 1266, quando perse la vi-ta sul campo di batvi-taglia di Benevento.

Insomma, governo e amministrazione, letteratura e arte, teorizzazione ideologica e rappresentazione legittimante sono le diverse facce di una cultura regia o monarchica che caleidosco-picamente si rifrange in variegate costruzioni organizzative. Il regno dell’Italia meridionale sin dalla sua istituzione, nel 1130, assunse connotazioni ben precise. La giustificazione teologica della propria imprescindibile esistenza – precisamente argo-mentata nel proemio delle federiciane Costituzioni di Melfi del 1231 – permise da un lato l’elaborazione filosofica, retorica e poetica di innovative forme di governo, fondate sostanzialmen-te sul principio della guida virtuosa da parsostanzialmen-te di un sovrano pro-tetto da Dio e su quello, connesso, della fedeltà a lui dovuta da parte dei sudditi. Dall’altro gettò le basi per la predisposizione di strutture che, in maniera più o meno precisa, con program-mazione più o meno coerente, con esiti più o meno duraturi, regolarono la gestione di un territorio vasto e ricco, “ombelico” di un mondo interamente affacciato sul Mediterraneo. Insom-ma, la postulazione del binomio che unisce cultura e politica ri-sulta spesso abusata, ma nelle pagine di questo volume trova la sua più piena e particolareggiata dimostrazione, che ciascuno leggendo, potrà verificare minutamente.

Prima di concludere questa premessa, è opportuna ancora qualche precisazione sui tempi e i modi con cui è venuto alla luce il presente volume. La sua gestazione è stata infatti lunga e ha trovato quattro momenti fondamentali in altrettanti conve-gni internazionali svoltisi negli anni passati, che hanno rappre-sentato occasioni fruttuose, oltre che piacevoli, di confronto, di scambio e di arricchimento reciproco per un certo numero di studiosi di diverse discipline, a vario titolo interessati alle vicen-de vicen-del Regno di Sicilia in età normanna e sveva. Il primo in or-dine cronologico, che si tenne nel marzo del 2015 a Enna, pres-so l’Università “Kore”, con l’organizzazione di Pietro Colletta e Giuliano Gasparri, proponeva il titolo «Scienza, storia e cultura

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Premessa 13

nell’epoca di Federico II». Il secondo convegno, «Ad scientiarum haustum et seminarium doctrinarum. Federico II, l’Università, la

cul-tura di corte», fu organizzato nel settembre del 2017 da Fulvio Delle Donne presso l’Università di Napoli “Federico II”. Il ter-zo incontro di studi, «Federico II: culture, tradizioni, immagini», fu realizzato nel maggio del 2018 per iniziativa di Pietro Collet-ta, Fulvio Delle Donne e Daniela Patti e beneficiò di un soste-gno economico da parte dell’ERSU di Enna (all’interno di un progetto più ampio dal titolo «Luoghi, tradizioni, identità») e da parte della Casa d’Europa presieduta da Cettina Rosso, associa-zione culturale organizzatrice, da più di un decennio, della Set-timana Federiciana ennese, nonché della collaborazione col Centro Studi “Federico II” di Enna, presieduto da Paola Rubi-no. Infine, la collaborazione fattiva e amichevole di un gruppo di studiosi dell’Università “Kore” (oltre a Colletta, Gasparri e Patti, questa volta tra gli organizzatori figurano anche Rodney J. Lokaj e Anna Sereni) con la Settimana Federiciana e con il Cen-tro Studi “Federico II” si è riproposta anche nel maggio del 2019, in occasione del convegno «Il Regno di Sicilia tra Nor-manni e Svevi. Edizioni di fonti e prospettive di ricerca», svol-tosi col patrocinio dell’ateneo ennese.

Se questi sono stati i momenti di avvio, non si può tralascia-re di ricordatralascia-re che quello conclusivo è stato possibile grazie alla direzione e al comitato di valutazione scientifica della collana «Mondi Mediterranei» della Basilicata University Press (BUP), che ha accolto con favore e consentito la pubblicazione del pre-sente volume.

Va precisato però che i sedici contributi qui raccolti non so-no tutti legati alle occasioni congressuali prima ricordate: alcuni sono stati pensati successivamente e scritti appositamente per questo volume. E del resto, anche sugli altri la lunga gestazione ha dato agio agli autori di intervenire con ampliamenti, revisioni o modifiche, in alcuni casi anche di un certo peso, sulla base di suggestioni e nuove prospettive emerse sia in occasione di que-gli incontri, sia, più in generale, nel progresso deque-gli studi deque-gli ultimi anni.

La pubblicazione di questo volume cade casualmente in prossimità della Pasqua che, se ogni anno ci sollecita a riflettere sul senso dell’esistenza, sull’eterno ciclo della vita, della morte e della rinascita, ancor più lo fa in questo mese di aprile del 2021,

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14 Premessa

a distanza di poco più di un anno dalla comparsa della pande-mia che ha colpito duramente l’umanità, che ha minato certezze e costretto tutti a cambiare abitudini e comportamenti, modifi-cando, se non sconvolgendo, le nostre vite e infliggendo pro-fonde ferite nella coscienza di ciascuno di noi. In questo mo-mento il ricordo di quelle occasioni congressuali, con quelle modalità fatte di incontri anche fisici, di strette di mano, di ab-bracci, di condivisione di momenti conviviali e non solo di schermi, ha il sapore dolceamaro della normalità quotidiana perduta, ormai da più di un anno preclusa. Il ricordo si vena ancor più di malinconia, peraltro, perché oggi purtroppo non sono più fra noi, seppure per altre cause, non legate alla pan-demia, due degli autori che erano presenti come relatori a quei convegni. Jean-Marie Martin è riuscito a correggere le bozze del suo contributo prima che la sua malattia, nel gennaio scorso, prendesse il sopravvento. Erasmo Merendino, la cui ultima par-tecipazione a un convegno era stata quella all’incontro ennese del 2015, ci aveva lasciato nel giugno del 2019. A questo volu-me è toccato quindi il gravoso onore di accogliere due fra i loro ultimi scritti e, seppure in minima parte, di contribuire così, nel-l’auspicio dei curatori, a conservare e mantenere viva la memo-ria del loro lungo e apprezzato impegno culturale e scientifico, aggiungendo un piccolo tassello anche ai ricordi personali che di questi due studiosi hanno quelli di noi che li hanno conosciu-ti e frequentaconosciu-ti e che all’uno e/o all’altro sono staconosciu-ti legaconosciu-ti da sin-ceri rapporti di stima e di affetto. Pertanto questo volume non può che essere dedicato alla memoria di Jean-Marie Martin (1938-2021) e di Erasmo (o, più affettuosamente, Ninni) Me-rendino (1946-2019).

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