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Bollettino Politiche strutturali per l'agricoltura. N. 27 (2008)

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n u m e r o

27

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numero 27 di Economia Agraria

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27

Attualità

Il ruolo della Politica di Sviluppo Rurale

nella conservazione della biodiversità

Al conseguimento dell'obiettivo di inversione del declino della biodiversità entro il 2010 (Consiglio di Göteborg, 2001) deve contribuire anche la poli-tica di sviluppo rurale. L'articolo descrive l'indica-tore scelto dalla Commissione per misurare tale contributo e il progetto implementato a livello nazionale per la sua quantificazione e riporta una prima analisi del potenziale impatto sulla biodi-versità dei PSR 2007-2013 italiani.

Aree agricole ad alto valore naturale:

tutela della biodiversità e opportunità

per lo sviluppo rurale

L'attività agricola svolge un ruolo di primo piano nella conservazione della biodiversità, per cui la tutela delle aree agricole ad alto valore naturale (AVN) costituisce uno degli obiettivi prioritari delle politiche ambientale e di sviluppo rurale comuni-tarie. L'articolo traccia l'evoluzione del concetto di area agricola AVN dagli anni novanta ad oggi e illustra i diversi approcci utilizzati per quantificare i progressi nella tutela di tali aree, evidenziando-ne le potenzialità e le opportunità per lo sviluppo rurale.

Regioni

L'esperienza della valutazione ex ante

nella programmazione dello sviluppo

rurale 2007-2013 in Basilicata: le

prin-cipali differenze rispetto al ciclo

2000-2006

L'articolo, basato sull'esperienza di valutazione ex ante del Programma di sviluppo rurale della Regione Basilicata, mette in luce le principali novità che tale valutazione ha sperimentato nel ciclo 2007-2013, rispetto al 2000-2006, in funzione dei cambiamenti nella metodologia di program-mazione e nella normativa comunitari in materia.

L'illustrazione delle novità intende anche offrire alcuni spunti di riflessione sull'impostazione futura delle attività di valutazione in itinere dei program-mi di sviluppo rurale.

Spazio giovani

Il lento avvio del fondo per lo sviluppo

dell'imprenditorialità giovanile in

agri-coltura

Il Fondo per lo sviluppo dell'imprenditorialità gio-vanile è stato istituito con la finanziaria del 2007, ma il suo funzionamento è entrato da poco a regi-me. Oltre a illustrarne lo stato di attuazione, quin-di, si procede a descriverne le finalità, i potenziali beneficiari, gli interventi finanziabili e le relative risorse rese disponibili, le modalità di funziona-mento e il ruolo che le Regioni avranno nella sua gestione.

Strumenti per la programmazione

Aste di contratti: un'opportunità nel

futuro delle politiche agroambientali?

Il Reg. (CE) 1698/2005 sul sostegno allo sviluppo rurale per il periodo di programmazione 2007-2013, nell'ambito della misura

agroambientale, introduce la possibilità di attivare il meccanismo delle aste per migliorare l'effi-cienza degli inter-venti. L'articolo, pertanto, ne discute i limiti e le potenzia-lità nel con-tribuire al c o n s e g u i -mento di tale obietti-vo.

Direttore responsabile Francesco Mantino Responsabile di redazione Laura Viganò Comitato di redazione Giuseppe Blasi, Luca Cesaro, Alessandro Monteleone, Roberto Murano, Alessandra Pesce, Andrea Povellato, Raoul Romano, Daniela Storti, Serena Tarangioli, Antonella Trisorio, Laura Viganò, Paolo Zaggia, Catia Zumpano. Progetto grafico Benedetto Venuto

Impaginazione Benedetto Venuto Elaborazioni statistiche Stefano Tomassini Supporto informatico Massimo Perinotto Segreteria Laura Guidarelli

Registrazione Tribunale di Roma n.671/97 del 15/12/1997 Sped. abb. post. art.2 Comma 20/C Legge 662/96 filiale Roma

Stampa Stilgrafica s.r.l. Via I. Pettinengo, 31 - Roma Finito di stampare nel mese di aprile 2008

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numero 27

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Il ruolo della Politica di Sviluppo

Rurale nella conservazione della

biodiversità

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di Patrizia Rossi - LIPU ed Elisabetta de Carli - FaunaViva

Introduzione

Il Consiglio dell'Unione europea tenutosi a Göteborg nel 2001 ha stabilito che i principali stru-menti per conseguire l'obiettivo comunitario di inversione del declino della biodiversità entro il 2010 sono la Rete Natura 2000 e l'integrazione tra le politiche. Il Consiglio ha precisato, inoltre, che la politica agricola comune (PAC) e il suo sviluppo futuro debbano contribuire a tutelare la biodiver-sità2.

In Europa, di 195 specie di uccelli con status di conservazione sfavorevole, 116 sono specie asso-ciate agli habitat agricoli, il cui declino viene imputato ai cambiamenti nell'uso e nella gestione del territorio conseguenti alla specializzazione, all'intensificazione e all'abbandono dell'attività agricola. In particolare, gli uccelli legati agli ambienti agricoli prativi e steppici mostrano gli andamenti più negativi (BirdLife International, 2004). Alla luce di questi dati, che confermano l'importanza dell'agricoltura in tema di conserva-zione della biodiversità, appare sicuramente appropriata la posizione dell’UE, secondo cui pro-prio le politiche agricole devono assicurare un contributo importante alla sua conservazione. Conseguentemente, uno degli obiettivi della politi-ca di sviluppo rurale per il periodo 2007-2013 si identifica con “la protezione e il miglioramento delle risorse naturali e del paesaggio delle zone rurali”; in particolare, tale politica deve contribuire alla conservazione della biodiversità, alla conser-vazione dei sistemi agricoli e forestali di alto valo-re naturalistico, alla tutela delle acque e alla lotta al cambiamento climatico (Commissione europea, 2006). Uno dei quattro obiettivi dell'Asse II del Piano Strategico Nazionale per lo Sviluppo Rurale, pertanto, è la “conservazione della biodiversità e tutela e diffusione di sistemi agro-forestali ad alto valore naturale”.

Chiaramente, anche l'obiettivo di conservazione della biodiversità perseguito in primis dalla politi-ca di sviluppo rurale implipoliti-ca la misurazione del-l'efficacia della stessa nel suo perseguimento. L'azione informativa svolta dallo European Bird Census Council di concerto con BirdLife International3 ha portato l'Unione europea a

foca-lizzare l'attenzione sulle informazioni fornite dagli indicatori “ornitologici”. Gli uccelli, infatti, sono eccellenti “termometri” della salute dell'ambiente e della sostenibilità ambientale delle attività umane, sono presenti in un elevato numero di habitat, sono facilmente osservabili, rispondono velocemente ai cambiamenti ambientali e rispec-chiano i cambiamenti subiti anche da altri Taxa o gruppi di specie selvatiche (altri vertebrati, inver-tebrati, piante, ecc.). In particolare, sugli uccelli sono spesso disponibili dati relativi sia alla situazio-ne attuale che a quella passata, rendendo possi-bile l'analisi delle tendenze demografiche. La rac-colta di dati quantitativi e qualitativi sugli uccelli, inoltre, è relativamente semplice e poco costosa. Gli uccelli, infine, hanno un elevato valore simbo-lico, letterario e culturale e sono il Taxa più cono-sciuto e amato dalla gente. L'introduzione di un indicatore ad essi riferito, pertanto, oltre al rigore scientifico, assicura un ampio consenso dei cittadi-ni.

Il Farmland Bird Index

La Commissione europea ha introdotto, nel Quadro comune di monitoraggio e valutazione della politica di sviluppo rurale 2007-2013 (si veda BPSA, pp. 2-5), l'indicatore Population of farmland birds (Allegato VIII, Reg. (CE) 1974/2006), anche detto Farmland Bird Index (FBI - Avifauna nelle zone agricole), per monitorare il contributo di tale politica all'obiettivo di conservazione della biodi-versità. Per la sua capacità di fornire informazioni concrete sullo stato della biodiversità, questo indi-ce era già stato inserito nella lista di Indicatori di sviluppo sostenibile adottati dall'UE (http://euro-pa.eu.int/comm/eurostat/structuralindicators). L'indice viene calcolato sulla base degli indici di popolazione4di uno specifico insieme di specie di

uccelli nidificanti che dipendono dagli ambienti

1 Questo articolo presenta i primi risultati, in corso di pubblicazione, di uno studio commissionato dall'INEA sugli effetti della politi-ca di sviluppo rurale sulla biodiversità, attraverso l'analisi della variazione del Farmland Bird Index.

2 Per biodiversità si intende la ricchezza in specie animali e vegetali che vivono in un determinato ambiente. Nel caso della poli-tica di sviluppo rurale, si fa riferimento alla diversità sia di specie allevate o coltivate che di specie selvatiche.

3 Rete mondiale di Organizzazioni non governative per la conservazione della biodiversità presente in circa 100 Paesi. Il rappre-sentante in Italia di BirdLife International è la LIPU.

4 L'indice di popolazione è un valore che indica l'ampiezza della popolazione di una data specie rispetto a un valore di confron-to, posto uguale a 100, relativo a un determinato anno o periodo.

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rurali per la riproduzione. Gli indici di popolazione vengono calcolati per ogni singola specie, stan-dardizzati e, quindi, combinati in un indice aggre-gato, l'FBI.

I punti di forza dell'FBI sono costituiti da: la rilevan-za delle informazioni fornite, la semplicità, il rigore statistico, la sensibilità al cambiamento, la facilità di aggiornamento (anche con cadenza annuale) e il basso costo.

A livello europeo sono disponibili i dati di popola-zione degli uccelli che compongono l'FBI grazie al programma di monitoraggio degli uccelli comuni5

nidificanti in Europa (Pan European Common Bird Monitoring). Il programma ha avuto formalmente inizio nel gennaio 2002 e, all'ottobre 2003, erano almeno 20 i Paesi europei i cui dati potevano con-fluire nella creazione di “andamenti di popolazio-ne” comuni, con informazioni pregresse risalenti, in diversi casi, agli inizi degli anni '80. Il program-ma è predisposto dallo European Bird Census

Council (EBCC), un gruppo di lavoro internaziona-le, che raccorda tutte le principali organizzazioni coinvolte nella realizzazione di progetti atlante e di programmi di censimento dell'avifauna in Europa, attivo fin dagli anni '60.

Il cuore del programma Pan European Common Bird Monitoring è lo sviluppo di indicatori di larga scala, ottenuti aggregando i dati delle diverse specie, sulla scorta di un'esperienza simile effettua-ta in Gran Breeffettua-tagna, dove il Governo ha da tempo incluso, tra i 15 principali indicatori di qualità della vita, un “Common bird population index”. La metodologia per lo sviluppo degli indici aggregati a livello europeo è stata condivisa a livello scienti-fico (Gregory et al., 2003; Gregory et al., 2005). Sulla base della selettività ambientale, vengono calcolati tre diversi indici aggregati, relativi, rispettivamente, alle specie degli ambienti agrico-li, a quelle degli ambienti boschivi e, infine, alle rimanenti specie comuni (grafico 1).

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5 Con il termine “comune” (dall'inglese common) si indicano quelle specie che, non concentrandosi in ambiti ristretti (come, per esempio, molte specie acquatiche), sono diffuse nel territorio e, quindi, caratterizzate da concentrazioni non elevate. Tali carat-teristiche ne rendono particolarmente complesso il censimento, dovendo monitorare territori estesi.

Grafico 1 - Indici aggregati relativi ai tre gruppi di specie comuni dell'avifauna europea (in

parentesi il numero di specie prese in considerazione).

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Il progetto italiano di monitoraggio

dell'avifauna comune nidificante in Italia

Riguardo alla situazione del FBI in Italia, nel 2000, il Servizio conservazione natura del Ministero del-l'ambiente e della tutela del territorio, attraverso una convenzione con l'Università degli Studi di Milano Bicocca, ha finanziato la progettazione e l'avvio di un programma di monitoraggio dell'avi-fauna comune nidificante in Italia, denominato MITO2000 (Monitoraggio Italiano Ornitologico). MITO2000, attraverso l'applicazione di un pro-gramma di campionamento randomizzato e di una procedura di rilevamento standardizzata, aveva il principale scopo di partecipare al nascente programma internazionale di monito-raggio delle popolazioni degli uccelli nidificanti in Europa (Pan European Common Bird Monitoring). Il programma MITO2000 ha portato alla costituzio-ne di un coordinamento nazionale presso l'Associazione FaunaViva, in collaborazione con il Centro Italiano Studi Ornitologici, e di diversi coor-dinamenti locali presso i gruppi ornitologici ope-ranti nelle 19 regioni italiane e nelle due province autonome.

Lo schema di campionamento è stato costruito sulla base delle 180 maglie, di 50 km di lato, in cui il territorio italiano è suddiviso, secondo la griglia geografica UTM. Nel 2000, sono state visitate 166 maglie (il 92,2% del totale); dal 2001, invece, sono disponibili dati per tutte le maglie della griglia. Al programma randomizzato è stato affiancato un programma attuato in aree prefissate, quali le Zone a Protezione Speciale (ZPS) o altre aree di interesse, denominate Zone di Interesse Ornitologico (ZIO).

Al momento, è stata completata l'analisi dei dati fino al 2005: i campionamenti puntiformi eseguiti sono complessivamente 30.217, le specie censite 289, le coppie stimate 607.384. La banca dati è costituita, fino a tutto il 2005, da 331.653 record, che indicano ciascuno la presenza di una specie in un punto.

La copertura è ritenuta sufficiente per una ade-guata rappresentazione della distribuzione geo-grafica, con informazioni quantitative, di 103 spe-cie “comuni” dell'avifauna italiana (Fornasari et al., 2004)6.

A partire dal 2001, è stata inserita nel programma la ripetizione dei rilevamenti dell'avifauna in almeno una particella, tra quelle già visitate in precedenza, di ciascuna maglia (nelle particelle

ripetute i rilevamenti devono essere effettuati esat-tamente nelle stazioni dell'anno precedente). I dati relativi alle particelle ripetute e alle ZPS e ZIO rilevate negli anni successivi al 2000 sono stati uti-lizzati per il calcolo degli andamenti delle specie comuni e per la definizione del FBI.

In particolare, le specie di ambiente agricolo (pro-spetto 1) utilizzate per il calcolo dell'FBI in Italia sono state scelte in base al loro “baricentro ambientale”, calcolato sulla base dei dati ambien-tali caratterizzanti le stazioni di rilevamento e delle analisi preliminari svolte da Tellini et al. (2005). Si

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Prospetto 1 - Specie comuni tipiche degli

ambienti agricoli italiani incluse nel FBI

Specie di ambiente agricolo

Poiana Buteo buteo

Gheppio Accipiter nisus Tortora selvatica Streptopelia turtur

Upupa Upupa epops

Cappellaccia Galerida cristata Allodola Alauda arvensis Rondine Hirundo rustica Balestruccio Delichon urbicum Cutrettola Motacilla flava Ballerina bianca Motacilla alba Usignolo Luscinia megarhynchos Saltimpalo Saxicola torquatus Usignolo di fiume Cettia cetti

Beccamoschino Cisticola juncidis Canapino comune Hippolais polyglotta Averla piccola Lanius collurio

Gazza Pica pica

Cornacchia grigia Corvus corone cornix Storno Sturnus vulgaris Passera d'Italia Passer italiae

Passera sarda Passer hispaniolensis Passera mattugia Passer montanus Verzellino Serinus serinus Verdone Carduelis chloris Cardellino Carduelis carduelis Fanello Carduelis cannabina Zigolo nero Emberiza cirlus Strillozzo Emberiza calandra

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tratta di 28 specie comuni che, nel nostro Paese, frequentano abitualmente le zone agricole. L'elenco italiano non corrisponde esattamente a quello europeo. Tale differenza è data essenzial-mente due fattori:

- alcune specie, in Italia, sono troppo localizzate e rare per poter essere utilizzate in modo effica-ce quale bioindicatore (ad es. l'Ortolano in Italia è raro e la Monachella è localizzata solamente nel sud);

- gli habitat maggiormente frequentati da alcu-ne specie cambiano se si prende in considera-zione tutta la UE oppure soltanto l'Italia. Alcune specie, ritenute caratteristiche degli ambienti agricoli in Europa, nel nostro Paese frequentano maggiormente habitat differenti, come, ad esempio, lo Zigolo giallo, che è stato escluso dall'elenco. Viceversa, altre specie, come il Canapino comune e l'Usignolo, che sono stati inclusi nell'elenco, frequentano maggiormente, in Italia, ambienti agricoli e, in Europa, ambien-ti differenambien-ti.

Nel periodo 2000-2005, l'FBI ha mostrato una fles-sione del 9,6% (grafico 2), dovuta a una diminuzio-ne moderata del 43% delle specie (tabella 1). Il 67% delle specie caratterizzate da un andamento decrescente è legato, per la nidificazione o per l'attività trofica, agli ambienti aperti, come prati, pascoli, terreni a riposo e seminativi estensivi. Le altre specie sono legate agli ambienti ecotonali di passaggio tra ambienti aperti e bosco, come siepi e filari, tipici dei paesaggi rurali dove l'agricoltura

è meno intensiva. Questo dato conferma, da un lato, la tendenza europea e, dall'altro, l'importan-za di attivare una politica di sviluppo rurale che sia in grado di conservare e incrementare gli ele-menti naturali e seminaturali caratteristici del pae-saggio agrario tradizionale, i terreni a riposo per la fauna e i prati/pascoli.

Nella tabella 1, sono riportate le specie tipiche degli ambienti agricoli considerate nel calcolo del Farmland Bird Index italiano, la definizione della tendenza in atto, la variazione percentuale media annua e la variazione (∆) percentuale dell'indice di popolazione tra il 2000 e il 2005.

Il programma MITO2000 ha permesso la messa a punto di un sistema di monitoraggio a scala nazio-nale. Sarebbe opportuno, adesso, che il MiPAAF si attivasse per permettere la continuazione, nei prossimi anni, di tale programma e per indirizzare le amministrazioni regionali e delle province auto-nome verso la corretta quantificazione dell'indica-tore FBI, al fine di garantire uniformità e confronta-bilità a livello nazionale. Per l'ottenimento di un FBI sufficientemente attendibile a livello regionale, inoltre, considerato che le differenze paesaggisti-che esistenti tra le varie regioni determinano popolamenti ornitici molto differenziati, sarebbe necessario verificare sia l'adeguatezza a scala regionale della lista nazionale di specie idonee al calcolo dell'indicatore, sia i piani di campiona-mento per ogni singola regione.

17,9 % 35,7% 42,9% 3,6 % Incr emen to Incr emen to mar c a t o mod era to S tabilità Diminuzione Diminuzione moderat a mar cat a A ndament o non certo

40 60 80 100 120 140 160 _ =- 9,6% 2000 2001 2002 2003 2004 2005 FBI Farmland Bird Index

Italia, 28 specie

ANNO

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Gli interventi per la biodiversità nei PSR

Da una prima lettura dei Programmi di sviluppo rurale (PSR) 2007-2013 italiani7, realizzata, per

conto dell'INEA, nell'ambito di uno studio sugli effetti della politica di sviluppo rurale sulla biodi-versità, emerge un quadro piuttosto differenziato riguardo al contributo che essi potrebbero fornire al conseguimento dell'obiettivo di inversione del declino della biodiversità italiana. E' comunque possibile individuare alcuni aspetti ricorrenti, così

come alcuni esempi particolarmente positivi. E' caratteristica comune a molti PSR la mancata previsione di azioni specificamente mirate alla tutela della biodiversità, se si escludono le Indennità Natura 2000 (peraltro ancora non atti-vabili per la mancanza di piani di gestione e/o misure di conservazione). Frequentemente, le misure appaiono generiche e poco adeguate a produrre risultati misurabili. Ai fini della salva-guardia della biodiversità, sarebbe opportuno, Tabella 1 - Specie incluse nell'FBI, loro andamento, variazione media annua e differenza

dell'indice di popolazione nel periodo considerato.

7 Sono stati analizzati i testi dichiarati ammissibili al negoziato dalla Commissione europea; di conseguenza, i PSR definitivi potrebbero contenere delle differenze.

Specie Andamento Variazione media annua 2000-2005

% %

Poiana non certo -2,0 0,1

Gheppio stabilità -0,1 14,9 Tortora selvatica incremento moderato 3,3 26,9

Upupa non certo 2,1 14,4

Cappellaccia non certo -2,8 -9,7 Allodola diminuzione moderata -3,9 -12,6 Rondine diminuzione moderata -3,8 -13,6 Balestruccio diminuzione moderata -4,4 -14,0 Cutrettola non certo 2,2 -25,6 Ballerina bianca non certo -3,2 -16,2

Usignolo stabilità 2,1 5,7

Saltimpalo diminuzione moderata -5,0 -23,5 Usignolo di fiume stabilità 1,1 4,3 Beccamoschino diminuzione moderata -4,9 -13,5

Canapino non certo 1,0 5,7

Averla piccola non certo -3,2 -16,9

Gazza non certo -1,2 -9,5

Cornacchia grigia stabilità 2,3 15,5 Storno diminuzione moderata -6,8 -33,4 Passera d'Italia diminuzione moderata -6,1 -27,1 Passera sarda diminuzione moderata -11,5 -38,5 Passera mattugia non certo -2,7 -14,8 Verzellino diminuzione moderata -3,4 -10, Verdone diminuzione moderata -3,0 -15,5 Cardellino diminuzione moderata -4,6 -5,0 Fanello diminuzione moderata -8,6 -33,1 Zigolo nero stabilità -1,0 12,1 Strillozzo non certo 1,9 5,1

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invece, attivare delle misure mirate all'ottenimen-to di specifici risultati e, di conseguenza, disegnate in modo tale da affrontare le specifiche priorità ecologiche degli ambienti rurali. La maggior parte delle regioni, infatti, si è limitata a interventi di ripristino e mantenimento dei prati e pascoli, di messa a riposo di terreni agricoli a fini naturalistici e di ripristino delle zone umide, che andrebbe assicurato, in particolare, nelle zone caratterizzate da agricoltura intensiva, dove gli elementi natura-li sono sempre meno presenti. Tuttavia, alcune regioni prevedono misure molto mirate, come, ad esempio, il ritiro dei seminativi dalla produzione per scopi ambientali (Emilia Romagna), il mante-nimento di pratiche estensive specificamente destinate alla conservazione della biodiversità e delle specie animali (Provincia Autonoma di Trento) e gli interventi a favore della biodiversità nelle risaie (Piemonte). In altri casi, le misure previ-ste sono di buona qualità, ma dotate di una scar-sa dotazione finanziaria.

In tema di gestione ecologicamente compatibile, alcuni PSR, soprattutto nell'area centro-meridiona-le, pongono una maggiore attenzione agli ambienti forestali che non a quelli agricoli, per i quali definiscono misure meno adeguate. Ciò con-trasta con i risultati scientifici, che indicano, come gli habitat prioritari da conservare e incrementare per la conservazione della biodiversità siano quel-li agricoquel-li e, in particolare, i prati/pascoquel-li, i terreni a riposo e i seminativi estensivi.

Gran parte degli interventi previsti nell'ambito della misura “sostegno agli investimenti non pro-duttivi” (ad esempio, la realizzazione di siepi e filari o di fasce tampone) è potenzialmente in grado di determinare un impatto positivo sulle specie utiliz-zate per il calcolo dell'indicatore. Tuttavia, la loro efficacia richiede un'attività di gestione e manu-tenzione (ad esempio, l'irrigazione delle piantine nel caso delle siepi o la gestione della vegetazio-ne vegetazio-nel caso delle zovegetazio-ne umide) che, vegetazio-nei passati periodi di programmazione, veniva assicurata dalla durata della misura “pagamenti agroam-bientali”, nell'ambito della quale questi interventi venivano realizzati.

Nell'attuale periodo di programmazione, dove questi interventi sono realizzati attraverso il soste-gno agli investimenti non produttivi, le attività di gestione e manutenzione andrebbero assicurate attivando una corrispondente azione nella misura agroambientale (ad esempio “mantenimento di siepi, filari o fasce tampone”). Ciò eviterebbe di privare gli agricoltori del giusto indennizzo (trami-te la corresponsione di un premio annuale), per compensare sia i costi aggiuntivi derivanti dalle

necessarie attività di gestione degli interventi, sia i mancati redditi, dovuti alla non coltivazione dei terreni agricoli sui quali sono stati realizzati gli interventi.

In molti dei PSR approvati, la misura per gli inve-stimenti non produttivi viene formalmente asso-ciata alla misura agroambientale; tuttavia, è solo nella fase di implementazione dei programmi, in sede di Comitato di Sorveglianza e di definizione dei piani operativi e dei bandi di gara, che si potrà verificare se e come ciascuna Regione rea-lizza operativamente il collegamento tra le due misure.

Un altro elemento ricorrente è la inadeguata attenzione alla definizione della localizzazione e delle priorità territoriali per le misure. Sarebbe stato opportuno, invece, definire le priorità territo-riali addirittura per singola azione, dato che alcu-ne tipologie di misure, come i pagamenti agroam-bientali o il sostegno agli investimenti non produt-tivi, contengono numerose azioni con obiettivi molto differenti. Ad esempio, la realizzazione di siepi o fasce tampone, generalmente non neces-saria nelle aree interne di montagna e collina, sarebbe piuttosto da concentrare nelle zone rurali ecologicamente impoverite, come le aree di pia-nura caratterizzate da agricoltura intensiva, dove tali elementi sono rari. Il permanere di questa situazione potrebbe causare una dispersione degli interventi nel territorio tale da non permettere di raggiungere quella massa critica di habitat di buona qualità, necessaria per l'incremento delle popolazioni selvatiche. A questo riguardo, è apprezzabile che, in alcuni PSR, nell'ambito delle misure potenzialmente efficaci per la salvaguar-dia della biodiversità, venga data priorità alle aziende agricole aderenti ad accordi agroam-bientali o a progetti integrati oppure che sia stata individuata un'adeguata localizzazione e/o siano state definite delle priorità territoriali per azione/misura. In tal modo viene favorita la con-centrazione territoriale degli interventi con un pro-babile effetto “amplificatore” sui risultati.

Per saperne di più

BirdLife International (2004), Birds in Europe: popu-lation estimates, trends and conservation status, BirdLife International Series, n. 12, BirdLife International, Cambridge, UK.

Decisione del Consiglio del 20 febbraio 2006 relati-va agli orientamenti strategici comunitari per lo sviluppo rurale (periodo di programmazione 2007-2013), GUCE, L55, 25.2.2006.

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Gregory, R.D., Noble, D., Field, R., Marchant, J., Raven, M., Gibbons, D. W. (2003), Using birds as indicators of biodiversity, Ornis Hungarica, n. 12/13, pp. 11-24.

Gregory, R.D., van Strien, A., Vorisek, P., Gmelig Meyling, A.W., Noble, D., Foppen, R., Gibbons, D.W. (2005), Developing indicators for European birds, Phil. Trans. R. Soc. B, n. 360, pp. 269-288. Fornasari, L., de Carli, E., Nuvoli, L., Mingozzi, T., Pedrini, P., La Gioia, G., Ceccarelli, P., Tellini

Florenzano, G., Velatta, F., Caliendo, M.F., Santolini, R., Brichetti, P. (2004), Secondo bollettino del progetto MITO2000: valutazioni metodologiche per il calcolo delle variazioni interannuali, Avocetta, n. 28, pp. 59-76.

Tellini Florenzano, G., Nuvoli, L., Caliendo, M.F., Rizzolli, F. & Fornasari, L. (2005). Definizione dell'e-cologia degli uccelli italiani mediante indici nazio-nali di selezione d'habitat, Avocetta, n.s. 29, pp. 148.

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Aree agricole ad

alto valore naturale:

tutela della

biodiversità e

opportunità per

lo sviluppo rurale

di Antonella Trisorio - INEA

Introduzione

L'evoluzione dei sistemi agricoli associata alla grande varietà delle condizioni ambientali, nel corso del tempo, ha inciso forte-mente sulla struttura del pae-saggio agrario, creando con-temporaneamente habitat spe-cifici per un grande numero di specie (vegetali e animali) e attribuendo così all'attività agri-cola un ruolo di primo piano nella conservazione della biodi-versità.

L'attenzione per le cosiddette aree agricole ad alto valore naturale (AVN), secondo la defi-nizione proposta da Baldock et al. (1993), si è sviluppata a parti-re dagli anni novanta con l'a-pertura di una riflessione, in ter-mini sia teorici che politici, sulla funzione svolta dall'agricoltura a favore della biodiversità. Il con-cetto si è evoluto, nel corso degli ultimi quindici anni, in stretto collegamento con l'obiettivo dell'integrazione dell'ambiente nella Politica Agricola Comunitaria e con il processo di adozione del modello europeo di agricoltura multifunzionale, che enfatizza la produzione di esternalità positive dell'agricol-tura, tra cui i benefici ambienta-li. Attualmente, le aree agricole ad alto valore naturale vengo-no individuate tra quelle aree dove “l'agricoltura rappresenta l'uso del suolo principale (nor-malmente quello prevalente) e mantiene o è associata alla pre-senza di un'elevata numerosità di specie e di habitat, e/o di par-ticolari specie di interesse

comu-nitario”. Queste aree costituisco-no “punti sensibili” per la conser-vazione della biodiversità, e in particolare della diversità delle specie e degli habitat, e sono caratterizzate da un equilibrio maggiormente vulnerabile ai cambiamenti. Ciò che distingue il concetto di area agricola AVN è la dipendenza della biodiver-sità da un habitat agricolo. Non è pertanto sufficiente l'esistenza di un paesaggio agricolo tradi-zionale o l'adozione di una prati-ca agricola ecocompatibile, ma è necessario dimostrare un lega-me tra queste e l'esistenza di specie o habitat di interesse comunitario.

Il concetto di alto valore natura-le non viene associato soltanto a una superficie, ma anche a ele-menti naturali (siepi, filari, fasce inerbite, piccole formazioni fore-stali e manufatti, quali fossi e muretti a secco) e ai sistemi di gestione della pratica agricola, quali fattori determinanti. Sono, infatti, i sistemi agricoli che “gestiscono” e “mantengono” le aree ad alto valore naturale. In Italia, le aree agricole AVN possono essere individuate tra le aree semi-naturali dove è pre-valentemente praticata una agricoltura estensiva (soprattut-to prati permanenti e pascoli), e/o sussistono particolari habitat (es. risaie) o elementi naturali. Queste aree sono minacciate principalmente da due fenome-ni opposti: 1) intensificazione dell'attività agricola; 2) abban-dono legato, tra l'altro, alla scar-sa vitalità economica e allo spo-polamento, cui si aggiunge una forte pressione per i cambia-menti di uso del suolo.

Gli interventi a favore delle

aree agricole ad alto

valore naturale

L'Unione europea riconosce pie-namente all'attività agricola la funzione di conservazione della biodiversità, come dimostrano i diversi interventi di politica a tutela delle aree agricole AVN in atto da quasi dieci anni. Proprio la tutela delle aree agri-cole AVN, in particolare contra-stando i fenomeni sopra indica-ti, costituisce un obiettivo esplici-tamente assegnato alle politiche sia ambientali sia di sviluppo rurale dell'Unione europea, per contribuire al rispetto dell'impe-gno, assunto a Göteborg, di ar-restare il declino della biodiver-sità entro il 2010.

In particolare, la politica di svi-luppo rurale viene individuata quale strumento principale per la tutela e la gestione di questa tipologia di aree agricole. A par-tire dal periodo di programma-zione 2000-2006, “la tutela degli ambienti agricoli ad alto valore naturale” rientra, infatti, tra gli obiettivi da realizzare attraverso le misure di sviluppo rurale, non-ché con le indennità compensa-tive per le zone svantaggiate. Sebbene ciò abbia rappresenta-to un progresso di notevole importanza ai fini dell'integrazio-ne dell'ambiente e, in particola-re, della tutela della biodiversità nelle politica agricola, queste misure si sono rivelate poco effi-caci per le aree agricole AVN, perché scarsamente coerenti con le loro caratteristiche. Tali aree, peraltro, mancavano ancora di una definizione preci-sa che le rendesse ben identifi-cabili sul territorio. L'assenza di una chiara ricognizione non ha sinora fornito, infatti, gli elemen-ti necessari per la definizione di misure appropriate ed efficaci. Per il nuovo periodo di program-mazione l'Unione Europea

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de agli Stati membri di porre ancora maggiore attenzione su queste aree, estendendo il con-cetto di alto valore naturale anche ai sistemi forestali e intro-ducendo esplicitamente la loro conservazione tra gli obiettivi prioritari assegnati allo sviluppo rurale, in particolare all'Asse 2, dedicato al miglioramento del-l'ambiente.

Per quanto attiene agli interven-ti di poliinterven-tica ambientale, l'evolu-zione delle aree agricole AVN viene monitorata nell'ambito dell'implementazione del “Piano d'azione a favore della biodiver-sità in agricoltura” (2004); inol-tre, tra le attività per l'attuazione della “Strategia pan europea per la diversità biologica e del paesaggio”1, è stato stabilito

che, entro il 2006, si sarebbe dovuti pervenire alla completa identificazione delle aree agrico-le ad alto valore naturaagrico-le, affin-ché, entro il 2008, una parte importante di queste aree dive-nisse oggetto di misure

appro-priate per il sostegno della loro vitalità economica ed ecologi-ca, attraverso una adeguata gestione e l'uso sostenibile della biodiversità. Pertanto, la defini-zione, la localizzazione sul terri-torio e la delimitazione delle aree agricole AVN rappresenta-no il primo passo indispensabile non solo per consentire la loro tutela, ma anche per individua-re gli interventi di politica più idonei. Sembra, inoltre, opportu-no che questi ultimi siaopportu-no dise-gnati in modo tale da favorire quei sistemi agricoli che mag-giormente contribuiscono alla creazione e alla conservazione delle aree agricole AVN, da un lato, riducendone la vulnerabi-lità e, dall'altro, aumentandone la resilienza2, con riferimento

agli aspetti sia socio-economici sia ambientali. Le misure da mettere in atto dovrebbero esse-re idonee a contrastaesse-re le princi-pali minacce, quali abbandono, intensificazione e specializzazio-ne dell'agricoltura.

L'individuazione delle aree

agricole ad AVN

La metodologia, sia per la quan-tificazione della superficie sia per la valutazione dello stato di conservazione di queste aree, è attualmente in corso di approfondimento, in particolare da parte dell'Agenzia Europea per l'Ambiente in collaborazione con il Centro di Ricerca della Commissione europea, al fine di supportare il processo di identifi-cazione previsto nella Risoluzione di Kiev. Parallela-mente, nell'ambito delle attività di monitoraggio e valutazione della politica di sviluppo rurale, l'Istituto per la Politica Ambientale Europea (IEEP -Institute for European Environ-mental Policy), per conto della DG Agri, ha recentemente redatto le linee guida per il cal-colo dell'indicatore di impatto relativo alle aree agricole e fore-stali AVN.

1 La strategia, presentata nel 2003 nella Dichiarazione di Maastricht sulla conservazione del patrimonio naturale europeo, rap-presenta la risposta europea a sostegno dell'implementazione della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Diversità biologica. 2 La resilienza è la capacità di un ecosistema di assorbire shock inaspettati e perturbazioni senza collassare, autodistruggersi o

entrare in uno stato indesiderabile, cambiando le relazioni al suo interno. Essa determina la persistenza delle relazioni all'inter-no di un sistema ed è la misura della capacità di un sistema di assorbire i cambiamenti e persistere.

Ipotesi Ipotesi I p o t e s i

min max INEA

211 - Seminativi in aree non irrigue x

213 - Risaie x x

222 - Frutteti e frutti minori x Oliveti

231 - Prati stabili x x x

242 - Sistemi colturali e particellari permanenti x x 243 - Aree prevalentemente occupate da colture agrarie, x x x

con spazi naturali

244 - Aree agroforestali x x x

321 - Aree a pascolo naturale e praterie d'alta quota x x x

322 - Brughiere e cespuglieti x x x

324 - Aree a vegetazione boschiva e arbustiva in evoluzione x x x

333 - Aree con vegetazione rada x x

411 - Paludi interne x x

Tabella 1 - Classi di uso del suolo CORINE Land Cover utilizzate per la definizione delle

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Queste attività si basano sul lavoro dell'Agenzia Europea per l'Ambiente (2003) che distingue-va le aree agricole AVN in tre tipologie: 1) aree agricole con elevata presenza di vegetazione semi-naturale; 2) aree ad agri-coltura poco intensiva o dove sussistono contemporaneamen-te aree coltivacontemporaneamen-te e seminaturali, insieme a elementi naturali; 3) aree agricole che sostengono specie rare o una elevata nume-rosità di specie. La tipologia 1 e la tipologia 2 venivano identifi-cate attraverso dati di uso/co-pertura del suolo3 e dati

azien-dali, mentre la tipologia 3 attra-verso dati sulla distribuzione

delle specie. E proprio l'uso/co-pertura del suolo, i sistemi agri-coli e le specie costituiscono le tre componenti che, insieme, sono in grado di definire in modo esauriente le aree agrico-le AVN. Tuttavia, difficoltà agrico- lega-te sia alla reperibilità e alla qua-lità dei dati, sia alla metodolo-gia per la combinazione statisti-ca di informazioni di natura diversa non hanno ancora con-sentito di pervenire a una chiara individuazione di queste aree. Le esperienze finora realizzate, infatti, hanno basato l'analisi su una combinazione parziale dei tre criteri, come di seguito illu-strato.

L'approccio

dell'uso/copertura del

suolo e l'approccio delle

specie

Una prima stima dell'Agenzia Europea per l'Ambiente, basata su dati di uso del suolo (CORINE Land Cover) e su dati relativi ai sistemi agricoli (RICA europea), attesta al 20-25% la superficie delle aree agricole AVN in Italia, in linea con la media europea (EU-15), che si aggira intorno al 15-25%.

Per ottenere indicazioni più rispondenti alla realtà italiana, è stata realizzata dall'INEA una stima alternativa, ottenuta dalla combinazione di dati di uso del suolo (CORINE Land Cover) e dati relativi alla diffusione delle specie di vertebrati (Rete Ecologica Nazionale). Vengono posti così in maggiore risalto gli aspetti naturalistici e le condizio-ni ambientali rispetto alle moda-lità di gestione dell'attività agri-cola e al tipo di pressione dell'a-gricoltura.

La stima dell'Agenzia Europea per l'Ambiente è stata adattata, apportando alcune modifiche all'insieme di classi di uso del suolo, per includere nell'analisi tutte le tipologie di habitat “agri-coli” di rilievo per la biodiversità nella realtà italiana. Sono stati, così, contabilizzati i sistemi pro-duttivi misti, le risaie, che costi-tuiscono zone umide importanti ai fini della biodiversità, e gli oli-veti (tabella 1).

Le aree agricole AVN, prelimi-narmente individuate sulla base degli habitat, sono state succes-sivamente suddivise in tre classi, in funzione della numerosità delle specie di vertebrati presen-ti, per tenere conto del fatto che gli habitat sono caratterizzati da

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numero 27

3 Viene realizzata una selezione delle classi di uso/copertura del suolo (CORINE) che, secondo gli esperti, includono con maggiore probabilità aree agricole AVN. Esse sono associate a determinati siti Natura 2000 e siti IBA (Important Bird Areas).

Figura 1 - Ricchezza delle specie di vertebrati nelle aree

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differenti livelli di diversità delle specie (flora e fauna), in termini sia di ricchezza delle specie che di presenza di specie “chiave”, a elevato valore ecologico, che contribuiscono a determinare l'importanza stessa di ciascuna area agricola AVN.

La tabella 2 mostra la percen-tuale regionale di aree agricole AVN e la loro ripartizione per-centuale tra le tre classi di

numerosità di specie vertebrate (si veda anche la figura 1). La limitata disponibilità di informa-zioni omogenee attuale non ha consentito di prendere in consi-derazione anche le specie di flora.

I dati rivelano che circa un terzo (31%) della superficie nazionale è costituita da aree agricole AVN, concentrate per oltre il 44% al Sud e isole. Nelle altre

cir-coscrizioni, la superficie si attesta intorno al 18-19%: si distribuisce in modo piuttosto uniforme tra le regioni del Centro e, al Nord, si concentra soprattutto in Piemonte (10%) e in Emilia Romagna (6,5%). Prendendo in considerazione anche la nume-rosità delle specie di vertebrati, è possibile distinguere ulteriormen-te tra le aree agricole AVN, asse-gnando loro un'importanza

cre-12

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Tabella 2 - Le aree agricole ad alto valore naturale (AVN) e la ricchezza delle specie di

vertebrati

Regioni Totale Distribuzione Quota di Numero di specie di vertebrati area superficie

territoriale

AVN aree AVN ad AVN 0 - 73 74 - 113 114 - 182

Ha % % % di area AVN Piemonte 1.004.010 10,6 39,7 42,1 32,9 24,9 Valle d'Aosta 154.144 1,6 47,6 71,8 19,0 9,2 Lombardia 518.592 5,5 21,8 53,0 22,8 24,2 Trentino - A.A. 486.537 5,1 35,7 61,6 22,4 16,0 Veneto 392.219 4,1 21,3 32,1 39,6 28,3 Friuli V.G. 179.143 1,9 23,0 25,0 38,8 36,3 Liguria 146.818 1,6 27,6 5,7 36,6 57,7 Emilia-Romagna 612.048 6,5 27,6 16,3 31,9 51,8 Toscana 556.813 5,9 24,4 8,2 53,7 38,1 Umbria 258.761 2,7 30,6 4,7 45,9 49,5 Marche 391.923 4,1 40,2 26,5 44,5 29,0 Lazio 590.543 6,2 34,5 10,3 46,1 43,7 Abruzzo 500.933 5,3 46,3 16,2 58,7 25,1 Molise 192.731 2,0 43,2 2,1 38,4 59,5 Campania 441.468 4,7 32,5 15,2 48,4 36,4 Puglia 777.335 8,2 40,0 9,7 83,0 7,3 Basilicata 233.940 2,5 23,2 11,0 36,7 52,2 Calabria 451.373 4,8 29,9 17,3 58,8 23,8 Sicilia 853.461 9,0 33,2 29,9 69,4 0,7 Sardegna 709.778 7,5 29,7 18,7 79,3 1,9 Italia 9.452.570 100,0 31,4 24,6 49,3 26,1 Nord-ovest 1.823.564 19,3 31,6 44,8 29,2 26,0 Nord-est 1.669.947 17,7 26,9 34,1 31,7 34,2 Centro 1.798.040 19,0 30,9 12,4 48,1 39,6 Sud e isole 4.161.019 44,0 33,8 17,3 65,7 17,0

Fonte: Elaborazioni INEA su dati CORINE Land Cover 2000 e Boitani et al. (2002), Rete Ecologica Nazionale, Un approccio alla Conservazione dei Vertebrati Italiani, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio.

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scente all'aumentare del nume-ro di specie. L'analisi rivela una situazione alquanto differenziata tra le regioni, spiegabile con le differenti caratteristiche ambien-tali e le diverse modalità con cui sono avvenuti i processi di antro-pizzazione nel corso del tempo. Le regioni centro-meridionali presentano la maggiore percen-tuale di aree agricole AVN con biodiversità intermedia e alta, a differenza del Nord, dove queste aree sono prevalentemente a bassa biodiversità. Questa distri-buzione è legata al ruolo fonda-mentale della dorsale appenni-nica e, in misura minore, della catena alpina come corridoi ecologici per i vertebrati italiani. Tuttavia, appare opportuno ricordare che la conservazione della biodiversità è importante non solo nelle aree con elevata ricchezza di specie, ma anche in quelle che ospitano specie chia-ve, la cui rilevazione risulta ancora carente.

L'approccio dei sistemi

agricoli

Oltre all'uso del suolo e alla ric-chezza/presenza di determinate specie, per l'identificazione delle aree AVN, è necessario proce-dere anche a una analisi delle caratteristiche dei sistemi pro-duttivi. Infatti, a parità di uso del suolo, la gestione tecnico-agro-nomica può variare in modo piuttosto consistente, generando impatti negativi, se prevale una conduzione basata sull'impiego intensivo di mezzi tecnici e vice-versa. La gestione tecnica influi-sce non solo sulla superficie agri-cola utilizzabile, ma anche sulla eventuale presenza di elementi seminaturali in ambito azienda-le. Pertanto, è possibile afferma-re che è proprio le gestione delle pratiche agricole che può pro-durre o mantenere il valore naturale, assumendo la

funzio-ne di forza determinante. Le scelte tecnico-economiche dell'imprenditore agricolo posso-no essere effettuate in un'ottica di sostenibilità ambientale, ma possono anche divergere note-volmente se i segnali del merca-to e l'intervenmerca-to pubblico non sono coerenti tra loro. La cono-scenza delle caratteristiche pro-duttive e delle dinamiche strut-turali ed economiche delle aziende agricole può contribuire all'individuazione dei fabbisogni dei sistemi agricoli ad alto valo-re naturale e, quindi, alla formu-lazione di interventi di politica ad essi commisurati.

Su questo tema l'AEA ha comin-ciato a lavorare effettuando una prima distinzione tra aziende AVN e aziende non-AVN, sulla base di alcuni parametri legati alle caratteristiche strutturali e tecnico-agronomiche delle aziende. Per tenere conto delle differenze esistenti tra diverse aree geografiche, i parametri discriminanti e i valori soglia sono stati differenziati tra i paesi del Nord Europa e quelli dell'a-rea Mediterranea. Secondo le prime elaborazioni, basate sui dati della Rete di Informazione Contabile Agricola (RICA), la superficie agricola delle aziende AVN in Europa (EU15) è pari al 35% della SAU totale. Valori quasi sempre superiori vengono attribuiti all'Italia (41%), coeren-temente con quelli emersi relati-vamente a cinque paesi dell'Europa meridionale, in parti-colare a Spagna e Portogallo. Nell'ambito di una ulteriore ela-borazione dei dati RICA, presen-tata più di recente, le aziende sono state classificate in quattro gruppi, caratterizzati da un grado di valore naturale decre-scente: aziende AVN livello minimo, aziende AVN livello massimo, aziende non-AVN estensive, aziende non-AVN intensive. I dati, riferiti soltanto

all'insieme EU15, confermano le elaborazioni realizzate in prece-denza per quanto riguarda la copertura della superficie agrico-la: le aziende AVN (oltre il 30% della superficie europea) risulta-no caratterizzate da una signifi-cativa presenza di prati e pascoli e di allevamenti con vacche nutrici e con ovicaprini (45% del totale), mentre sono meno rap-presentate le produzioni cereali-cole e anche la produzione di latte (15-5%), in quanto seguono modelli produttivi più intensivi.

L'indicatore di impatto

AVN proposto nell'ambito

del Quadro comune di

monitoraggio e valutazione

Per consentire agli Stati membri di adempiere all'obbligo di monitorare e valutare l'efficacia degli interventi di sviluppo rura-le, con particolare riferimento a quelli finalizzati alla “preservazio-ne e sviluppo dell'attività agrico-la e dei sistemi forestali ad ele-vata valenza naturale”, la DG Agri ha proposto, sulla base di uno studio commissionato all'IEEP, la metodologia per il calcolo dell'indicatore di Impatto n. 5 “mantenimento dei sistemi agricoli e forestali ad alto valore naturale”, da misurare come variazione dell'area AVN e da definire in termini sia quantitativi (entità) che qualitativi (condizio-ni). I metodi precedentemente proposti per la misura delle aree agricole AVN, infatti, non sono sufficientemente sensibili per cogliere eventuali variazioni dovute all'impatto della politica di sviluppo rurale nei tempi, rela-tivamente brevi, in cui questa si attua. A questo proposito, si ram-menta che l'impleram-mentazione dell'indicatore va realizzata in occasione della valutazione intermedia (2010) e della valuta-zione ex post (2015) dei pro-grammi di sviluppo rurale.

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Lo studio, inizialmente, fa mag-giore chiarezza sulle diverse interpretazioni e accezioni del concetto di alto valore naturale associato all'agricoltura e speci-fica l'estensione del concetto legato ai sistemi forestali, indivi-duando, quali elementi di inte-resse, le aree agricole, i sistemi forestali e le tipiche configurazio-ni AVN (siepi, ecc.). Successivamente, allo scopo preciso di sviluppare l'indicatore di impatto n. 5, modifica la defi-nizione dell'AEA, per tenere conto anche della scala regio-nale e/o locale, ovvero della scala a cui operano i program-mi di sviluppo rurale. “Le aree AVN comprendono”, pertanto, “quelle aree in Europa in cui l'a-gricoltura rappresenta l'uso del suolo principale (generalmente il prevalente) e dove questa mantiene o è associata a una grande varietà di specie e habi-tat o alla presenza di specie di interesse europeo, nazionale e/o locale, o a entrambe”. Una volta definito l'oggetto della misura-zione, lo studio propone la meto-dologia di calcolo, che si basa sull'approccio definito dei “siste-mi AVN”, molto vicino a quello dell'uso del suolo sopra descritto. Questo approccio tiene conto sia dello “stato” delle aree AVN, sia delle “forze determinanti”, quali le pratiche agricole a esso associate. Di conseguenza, l'indi-catore sarà composto da para-metri relativi sia all'intensità e alla diversità dell'uso del suolo, sia alle pratiche agricole e pre-senterà differenze riguardanti le diverse categorie di uso del suolo appositamente individua-te nello studio (pascoli semi-naturali, seminativi e prati colti-vati, colture permanenti, confi-gurazione ad AVN, foreste). Per misurare la variazione di superfi-cie, vengono individuati due indicatori: uno relativo all'inten-sità d'uso del suolo e l'altro alla

presenza di configurazioni semi-naturali. A questi indicatori, in particolari circostanze, ne va aggiunto un altro relativo alla “presenza di un uso del suolo a mosaico”. Per misurare la varia-zione delle condizioni ecologi-che o della qualità delle aree AVN, viene proposto, invece, l'indicatore “abbondanza di spe-cie di interesse”. Un valore più elevato viene assegnato alle specie di interesse comunitario. Gli indicatori sopra illustrati forni-scono una metodologia comu-ne, che consente di rilevare le variazioni nella dimensione e nella qualità delle aree AVN, nella consapevolezza che que-ste possono essere determinate da diversi fattori e da decisioni di diversi attori. Spetterà poi al valutatore stabilire il grado in cui queste variazioni possono essere attribuite agli interventi della politica di sviluppo rurale.

Considerazioni conclusive

Le analisi realizzate sui dati di uso del suolo, sulla diffusione spaziale della biodiversità e sulla valenza ambientale dei sistemi produttivi agricoli con-sentono di pervenire a una più precisa individuazione delle aree agricole AVN. Tuttavia, appare opportuno un ulteriore approfondimento metodologico sui criteri di indagine, per per-venire a un grado di accuratez-za tale da consentire interventi di politica più mirati.

La maggior parte delle aree agricole AVN sono gestite diret-tamente dagli imprenditori agri-coli, che devono coniugare l'o-biettivo economico con la con-servazione delle risorse naturali e della biodiversità, in particola-re. La dimensione geografica (uso del suolo) resta essenziale per capire il grado di diffusione di queste aree ma, senza una adeguata conoscenza dei

mec-canismi economici e sociali che guidano l'azione degli agricolto-ri, non è possibile comprendere i rapporti di causa-effetto tra attività agricola e conservazio-ne delle risorse naturali. La conoscenza dei sistemi agricoli che maggiormente sono in grado di favorire le aree agrico-le AVN, quindi, è indispensabiagrico-le per definire interventi di politica realmente efficaci, superando la tendenza a favorire tutti i sistemi produttivi eco sostenibili in modo indifferenziato.

Sotto il profilo dell'analisi dei sistemi agricoli, appare neces-sario ampliare la rilevazione di dati statistici aziendali riguar-danti l'uso del suolo e la gestio-ne delle pratiche agricole; la georeferenziazione dei dati aziendali, inoltre, potrebbe con-sentire un confronto più diretto con la dimensione geografico-ambientale dei fenomeni ana-lizzati, che sono strettamente connessi al territorio. La propo-sta dell'IEEP mette, ora, gli Stati membri in condizione di iniziare le attività necessarie di verifica della disponibilità dei dati e/o di predisposizione dei sistemi di reperimento per l'implementa-zione degli indicatori proposti. I programmi di sviluppo rurale per il periodo 2007-2013 sconta-no un quadro metodologico ancora non ben definito e una sostanziale carenza di dati. Sebbene tutti i programmi abbiano dovuto includere una quantificazione delle aree agri-cole AVN, infatti, solo pochissi-me Regioni sono riuscite a consi-derare, tra i criteri per l'indivi-duazione di queste aree, ele-menti di natura ecologica. L'attuale quadro di programma-zione per lo sviluppo rurale potrebbe scontare, pertanto, il difetto metodologico e informa-tivo, prevedendo la realizzazio-ne di interventi poco efficaci. Tuttavia, la recente proposta

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dell'IEEP offre un quadro definito che, una volta realizzato, potrebbe fornire gli elementi necessari per eventuali modifi-che e adattamenti degli inter-venti inizialmente implementati. In prospettiva, andranno indivi-duate le concrete opportunità che possono crearsi per gli agri-coltori. Se le aree AVN ospitano particolari habitat, creati da un certo tipo di attività agricola che garantisce la biodiversità, è importante che venga ricono-sciuta questa funzione ai model-li di agricoltura meno intensivi e più sostenibili. L'evoluzione tec-nologica e le tendenze di mer-cato portano a favorire i modelli produttivi intensivi e specializza-ti, per cui la conservazione di aree agricole AVN da parte di alcune tipologie aziendali si configura sempre più come l'a-dozione di pratiche colturali che vanno oltre la gestione ordina-ria. Risulta giustificata, quindi, una richiesta di compensazione per i maggiori costi e i mancati redditi che gli agricoltori devono affrontare per garantire la sal-vaguardia di queste aree. Malgrado esistano carenze informative, come sopra accen-nato, nella nuova fase di

grammazione 2007-2013, i pro-grammi di sviluppo rurale hanno gradualmente introdotto questo nuovo approccio nella definizione degli interventi. Sotto questo profilo, è importante evi-tare che le aree AVN diventino un nuovo strumento di regola-mentazione che imponga agli agricoltori nuove limitazioni all'esercizio dell'attività agricola. La gestione di queste aree dovrebbe restare su base volon-taria e, per ottenere buoni risul-tati, è necessario fornire infor-mazione e consulenza agli agri-coltori per confrontare la scenza scientifica con la cono-scenza "locale", da cui hanno avuto origine gran parte di que-ste aree.

Per saperne di più

Andersen, E., Baldock, D., Bennet, H., Beaufoy, G., Bignal, E., Brower, F., Elbersen, B., Eiden, G., Godeschalk, F., Jones, G., McCracken, D.I., Nieuwen-huizen, W., van Eupen, M., Hennekes, S., Zervas, G., (2003), Developing a high nature value indicator, Report for the European Environment Agency, Copenhagen.

Baldock, D., Beaufoy, G., Bennett, G., Clark, J., (1993), Nature conservation and new directions in the EC Common Agricultural Policy, Institute for European Environmental Policy (IEEP), London.

CEC (Commission of the European Communities) (2006) Halting the loss of biodiversity by 2010 and beyond: sustaining ecosystem services for human well-being, Communication from the Commission: COM (2006) 216 final, 22.05.2006, Brussels.

European Environment Agency (2004), High nature value farm-land. Characteristics, trends and policy challenges, EEA Report n. 1, Copenhagen.

IIEP, (2007), Final report for the study on HNV indicators for eva-luation Report prepared by the Institute for European Environmental Policy for DG Agriculture, Copenhagen. UN-CEC, (2003), Kyiv Resolution on biodiversity, United Nations, Economic Commission for Europe, Fifth Ministerial Conference Environment for Europe, 21-23 May 2003, ECE/CEP/108.

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numero 27

L'esperienza della valutazione ex

ante nella programmazione dello

sviluppo rurale 2007-2013 in

Basilicata: le principali differenze

rispetto al ciclo 2000-2006

di Riccardo Achilli - Nucleo di valutazione Regione Basilicata

Introduzione

Come nel precedente ciclo di programmazione, la Commissione europea stabilisce che i nuovi pro-grammi di sviluppo rurale siano sottoposti a una valutazione ex ante, così come a un processo di valutazione in itinere, che porterà alla realizzazio-ne della valutaziorealizzazio-ne intermedia e di quella ex post. In particolare, gli articoli 16, 84 e 85 del Reg. (CE) 1698/2005 (da ora in poi, semplicemente “il Regolamento”) ne rappresentano il quadro giuridi-co.

Rispetto al ciclo 2000-2006, non vengono identifi-cate le tematiche trasversali sulle quali focalizzare la valutazione ex ante, ma il valutatore dovrà verificare la coerenza e il contributo del program-ma rispetto alle priorità strategiche comunitarie, che individuano, per ciascun Asse, gli obiettivi prioritari, e a quelle identificate dal Piano Strategico Nazionale per lo Sviluppo Rurale (PSN). La sola priorità trasversale specificatamente indi-viduata è costituita dalle pari opportunità, mentre le Linee guida per la valutazione ex ante si limita-no a suggerire, in via del tutto orientativa, la presa in considerazione di tematiche trasversali quali la crescita, l'occupazione e la sostenibilità. Per la prima volta, si stabilisce di sottoporre il pro-gramma a una valutazione ambientale strategica (VAS) distinta dalla valutazione ex ante, ma con questa strettamente connessa e coerente. La novità dell'obbligo di una VAS deriva dal fatto che la relativa Direttiva 2001/42/CE è stata ema-nata dopo la stesura dei programmi 2000-2006, per cui non poteva applicarsi a questi ultimi. Come anticipato, sia il Regolamento che le Linee guida impongono una stretta correlazione fra valutazione ex ante e VAS, senza tuttavia chiarire in modo definitivo come tale correlazione debba essere assicurata. Secondo le linee guida, infatti, “la valutazione ambientale prevista dalla direttiva dovrà essere integrata direttamente nelle

valuta-zioni ex ante dei programmi di sviluppo rurale” e lo Stato membro dovrà “effettuare una valutazio-ne ambientale globale, per il nuovo periodo di programmazione 2007-2013, nell'ambito della valutazione ex ante”. Tali espressioni, quindi, non chiariscono appieno neppure quale debba essere il rapporto di collaborazione, anche futuro, fra valutatore ex ante e valutatore VAS, posto che, in alcune realtà regionali come la Basilicata, valuta-zione ex ante e VAS sono state svolte da strutture diverse (nuclei di valutazione degli investimenti per la prima e Autorità Ambientali per la secon-da).

Nel caso specifico della Basilicata, lo scambio di esperienze valutative e la collaborazione fra i due valutatori non sono stati continuativi, limitandosi a quei momenti che necessariamente richiedevano una stretta cooperazione fra le due tipologie di attività e di professionalità1.

In simili casi, quindi, l'interazione fra i due organi-smi valutatori, nel futuro, dovrebbe essere raffor-zata, prevedendo spazi di lavoro comuni, attra-verso, ad esempio, la partecipazione del valutato-re ex ante alle consultazioni, pvalutato-reviste dalle proce-dure per la realizzazione della VAS, o la redazio-ne, da parte del valutatore VAS, di alcune parti del rapporto di valutazione ex ante, come quella relativa alla verifica della coerenza esterna del programma con le priorità di Göteborg.

Le differenze nell'impostazione

metodologica

Rispetto al 2000-2006, nell'attuale periodo di pro-grammazione, la valutazione ex ante ha speri-mentato alcune differenze di tipo metodologico, legate sia alla nuova impostazione comunitaria delle politiche di sviluppo rurale, sia alle scelte operative effettuate a livello di Stato membro. Da un punto di vista strettamente procedurale, in alcuni casi, come in Basilicata, l'incarico per la realizzazione della valutazione ex ante, diversa-mente dal periodo di programmazione 2000-2006 in cui il valutatore era esterno, è stato affidato al Nucleo di Valutazione e Verifica degli Investimenti Pubblici della Regione. In linea di principio, infatti, il requisito di indipendenza, necessario per l'affidamento di tale incarico, vale sia per strutture consulenziali esterne all'ammini-strazione che per i Nuclei di Valutazione, costituiti

1 In particolare, la collaborazione è stata molto stretta in fase di quantificazione dei valori-target degli indicatori comuni di impat-to a carattere “ambientale”, come l'inversione del declino della biodiversità, il mantenimenimpat-to delle zone agricole e silvicole ad elevata valenza naturale, il miglioramento della qualità delle acque e il contributo alla lotta contro i cambiamenti climatici.

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in ogni Regione e Amministrazione centrale in base alla Legge 144/992.

In questa sede, non è possibile fornire una eviden-za conclusiva su quale delle due modalità (affida-mento a un valutatore esterno o a un valutatore interno, purché, ovviamente, indipendente) sia più efficace, in termini di qualità e incisività del processo valutativo ex ante. In linea generale, è possibile affermare che entrambe le scelte hanno vantaggi e svantaggi specifici. Conley Tyler (2005) cerca di giudicare i vantaggi comparati di una valutazione “interna” e di una “esterna”, con riferimento ad alcuni criteri (costi, conoscenza del programma e del contesto, abilità nella raccolta delle informazioni di base, obiettività, professiona-lità specialistica richiesta, ecc.), senza però giun-gere a una conclusione generale definitiva, in ter-mini di preferenza per l'uno o l'altro dei due modelli, sottolineando come la decisione finale dipenda dallo specifico contesto in cui tale scelta si effettua.

Con riferimento alla specifica esperienza della Regione Basilicata, è indubbio che il valutatore esterno relativo al periodo 2000-2006 abbia messo in campo competenze ed expertise, in materia di metodologia valutativa, consolidate e di alto livel-lo. Tuttavia, nell'attuale ciclo, il Nucleo di valuta-zione regionale ha potuto disporre di una più profonda conoscenza del contesto socio-economi-co, ambientale e produttivo nel quale gli interven-ti del PSR si andavano a inserire, nonché della macchina amministrativa regionale e del sistema delle politiche regionali connesse alla tematiche del PSR. Tale conoscenza ha velocizzato i tempi di entrata a regime del rapporto di interlocuzione con il programmatore, saltando la fase prelimina-re di acquisizione di informazioni sul contesto. Un'altra novità rilevante consiste nel fatto che l'at-tuale ciclo di programmazione ha posto maggior-mente l'accento, rispetto al passato, sull'utilizzo di dati quantitativi e statistici nella valutazione ex ante, a supporto della identificazione di realizza-zioni, risultati e impatti. Benché, già nel ciclo 2000-2006, si prevedesse l'utilizzo di strumenti quantitati-vi a supporto delle elaborazioni valutative, tale possibilità era ancora sfumata e considerata di secondaria importanza. L'art. 41 del Reg.(CE) 1260/99, infatti, stabilisce che la valutazione ex ante verifica l'impatto atteso delle priorità di azio-ne previste dal programma “quantificandoazio-ne, se

la loro natura lo consente, gli obiettivi specifici rispetto alla situazione di partenza”. Nell'attuale quadro programmatorio, invece, si stabilisce (Reg. (CE) 1698/05, art. 85) che la valutazione ex ante “identifica e valuta (…) gli obiettivi quantificati, segnatamente in termini di impatto rispetto alla situazione di partenza”. In altri termini, la quantifi-cazione di risultati e impatti attesi è divenuta cogente e non più lasciata, come in passato, alla discrezionalità metodologica del valutatore. Con riguardo al piano di sviluppo rurale della Basilicata 2000-2006, tale discrezionalità ha porta-to all'adozione di un approccio valutativo preva-lentemente qualitativo, dove la quantificazione degli impatti e dei risultati attesi veniva rinviata a un momento successivo, ovvero quando fosse stato possibile coordinare gli indicatori proposti con quelli del POR. Tale momento, poi, non è mai arrivato, in quanto anche la valutazione ex ante del POR e quella intermedia si sono basate su metodi qualitativi per determinare risultati e impatti (interviste, focus group, tecniche multicrite-riali).

Per il 2007-2013, pertanto, la Commissione euro-pea non solo ha sottolineato l'esigenza di stimare quantitativamente i risultati e gli impatti attesi, ma ha anche proposto una base statistica omogenea per tutti gli Stati membri, utilizzata come supporto alla programmazione e alla valutazione ex ante, basate in larga misura, quindi, su strumenti stati-stici.

In particolare, il Reg. (CE) 1698/2005 prevede, all'art. 80, la costruzione di una cornice di riferi-mento per le attività concernenti il monitoraggio e la valutazione, il Quadro Comune di Monitoraggio, per cui è stato predisposto l'Handbook on Common Monitoring and Evaluation. Le indicazioni hanno poi trovato una sistematizzazione nell'ambito del Reg. (CE) 1974/2006 del Consiglio, che descrive gli indicatori da prendere obbligatoriamente in considerazione all'interno dei PSR.

Agli indicatori obbligatori è possibile aggiungerne altri (indicatori “supplementari”), a livello sia nazio-nale che regionazio-nale, utili a monitorare e a valutare i programmi soprattutto in riferimento a problema-tiche specifiche. In particolare, gli indicatori indivi-duati dalla Commissione sono suddivisi come segue:

2 I Nuclei di valutazione, infatti, presentano tutti i requisiti formali e sostanziali di indipendenza rispetto alle Amministrazioni in cui sono incardinati e possiedono competenze tecniche e professionali specifiche in ambito di valutazione di programmi comunita-ri. Possono inoltre appoggiarsi a una struttura reticolare di valutazione ramificata in tutta l'Amministrazione pubblica italiana e facente capo all'UVAL, che fornisce supporto tecnico e metodologico alle singole attività valutative.

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- indicatori di prodotto, suddivisi per Asse e Misura, diretti a misurare le attività (le c.d. “rea-lizzazioni”) direttamente connesse all'attuazione delle Misure. Il loro popolamento è responsabi-lità dell'Autorità di Gestione del Programma; - indicatori di risultato, suddivisi per Asse, atti a

catturare gli effetti diretti e immediati che l'at-tuazione delle Misure prevedibilmente genererà a favore dei destinatari diretti degli interventi. Il loro popolamento è responsabilità dell'Autorità di Gestione del Programma;

- indicatori comuni di impatto, sette in tutto, volti a misurare gli effetti globali sull'intero sistema socio-economico e sull'assetto ambientale com-plessivo del territorio, che l'attuazione del pro-gramma prevedibilmente potrà indurre;

- indicatori baseline, anche questi proposti come una batteria comune e obbligatoria, soggetta ad ampliamenti da parte del programmatore, per meglio cogliere le specificità iniziali. Tali indicatori, a differenza dei precedenti, hanno una finalità di tipo descrittivo e costituiscono una base statistica utile per misurare on going i progressi conseguiti in direzione dei target ini-ziali del programma. Gli indicatori baseline sono di due tipi, ossia di obiettivo e di contesto. I primi forniscono l'informazione rilevante sulla situazione iniziale dei parametri sui quali il pro-gramma intende agire per poter raggiungere i suoi obiettivi, mentre i secondi rappresentano la batteria “minima” e comune di variabili statisti-che statisti-che dovrebbero essere utilizzate nel capito-lo di analisi del contesto del PSR, finalizzata alla predisposizione della SWOT.

Peraltro, l'approccio territoriale, di cui la Commissione ha richiesto l'adozione nell'ambito del PSN nazionale e dei PSR regionali (un'altra rile-vante novità nella metodologia programmatoria rispetto al 2000-2006), ha comportato l'utilizzo di batterie di indicatori e metodi statistici (in partico-lare, il metodo OCSE di mappatura del territorio, comunque modificato per tenere conto delle spe-cificità territoriali italiane), per definire e caratteriz-zare, in sede di analisi di contesto, le aree territo-riali di applicazione delle misure dei programmi. A differenza del precedente ciclo di programma-zione, inoltre,il valutatore ex ante ha dovuto espli-citamente effettuare una valutazione del “valore aggiunto comunitario”, definito come “l'effetto aggiuntivo fornito dalle politiche comunitarie rispetto a quanto sarebbe stato possibile assicura-re, in termini di sviluppo locale, dalle Autorità nazionali e regionali e dal settore privato” (Commissione europea - DG Regio, 2002). La

valu-tazione dell'effetto aggiuntivo, al fine di analizzare correttamente l'effetto di addizionalità, in alcuni casi (come, ad esempio, Basilicata e Campania), si è basata su stime quantitative di scenari alter-nativi “con” e “senza” intervento (scenario contro-fattuale), definiti tramite gli indicatori comuni di impatto di cui sopra. Nel caso della Basilicata, tali stime si sono basate su elaborazioni derivanti dalla matrice SAM regionale, per lo scenario fat-tuale, e da proiezioni di trend storici di variabili statistiche, per lo scenario controfattuale.

Pertanto, nel presente ciclo di programmazione, la Commissione europea richiede, al valutatore ex ante e al programmatore, una competenza stati-stico-quantitativa specifica. L'attività di valutazio-ne ex ante, infatti, deve essere affrontata secondo schemi e metodi tipici della statistica territoriale. Il suo compito, in particolare, è quello di effettuare una valutazione degli indicatori proposti, per misurare il successo dei relativi programmi di svi-luppo rurale, e della coerenza tra questi indicatori e gli obiettivi del programma e di accertare che gli indicatori siano idonei a misurare determinati fenomeni in quel particolare contesto e siano quantificati in maniera corretta, in modo da costi-tuire una base utile per il monitoraggio e la valu-tazione.

Nel complesso, si reputa che l'approccio metodo-logico alla programmazione e alla valutazione basato su strumenti statistici rappresenti un indub-bio progresso e abbia un impatto soprattutto in termini “didattici”. Si auspica, infatti, che program-matori e stakeholder apprendano un metodo di programmazione che parta da fabbisogni ed esi-genze il più possibile “oggettivi” (anche se la stati-stica, di per sé, non rappresenta una misurazione “oggettiva” dei fenomeni, meno che mai la sua interpretazione a fini di politica di sviluppo) e col-gano l'importanza di alcuni concetti-chiave per le politiche di sviluppo locale (e della relativa atti-vità di valutazione dei suoi effetti), quali l'accoun-tability dei risultati e la trasparenza nella valuta-zione degli effetti degli interventi, a beneficio del-l'opinione pubblica. Sul versante di chi effettua la valutazione ex ante, quindi, non si può che saluta-re con favosaluta-re una simile impostazione metodologi-ca.

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