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Il trattamento farmacologico del dolore neuropatico: ruolo della palmitoiletanolamide

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Academic year: 2021

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Sommario

1 INTRODUZIONE ... 3

1.1 Tre tipi di nervi ... 3

1.2 Mononeuropatie ... 3

1.3 Mononeurite multipla ... 4

1.4 Plessite ... 5

2 SINTOMI DI NEUROPATIE ... 5

2.1 Sintomi di danno alle fibre autonome ... 6

3 PANORAMICA SULLE CAUSE DI NEUROPATIA ... 6

3.1 Cause di neuropatie acquisite ... 7

3.2 Cause di neuropatie ereditarie ... 12

4 MECCANISMI PATOGENICI ALLA BASE DELLE NEUROPATIE ... 13

5 IL DOLORE NEUROPATICO ... 18

5.1 Diagnosi ... 19

5.2 Trattamento delle Neuropatie ... 20

5.2.1 Farmaci analgesici non oppioidi ... 21

5.2.2 Farmaci analgesici oppioidi ... 22

5.2.3 Farmaci adiuvanti ... 22

6 CANNABIS E CANNABINOIDI ... 25

6.1 Principi Attivi ... 27

6.2 Recettori e Cannabinoidi endogeni ... 28

6.3 Farmacologia dei recettori cannabinoidi ... 30

7 PALMITOILETANOLAMINA (PEA) ... 39

7.1 Struttura chimica del PEA ... 40

7.2 Biosintesi ed inattivazione ... 41

7.3 Recettore attivato della proliferazione perossisomiale (PPAR-α) ... 42

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7.6 La PEA nella pratica clinica ... 48 CONCLUSIONI... 58 Bibliografia ... 61

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1 INTRODUZIONE

Il sistema nervoso è formato da due componenti: il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso periferico. Il sistema nervoso centrale è costituito da encefalo e midollo spinale mentre il sistema nervoso periferico è costituito da nervi che connettono il sistema nervoso centrale ai muscoli, alla pelle e agli organi interni. Periferico significa "lontano dal centro", proprio ad indicare la funzione che i nervi hanno di collegare il sistema nervoso centrale agli organi periferici. In alcune tipi di patologie in cui viene danneggiato il sistema nervoso periferico la normale trasmissione degli impulsi ,sia di quelli sensitivi che motori,viene compromessa.Con il termine Neuropatia,infatti intendiamo l’insieme delle patologie sviluppate in seguito ad un danno ai nervi periferici.

1.1 Tre tipi di nervi

Si possono classificare tre tipi di nervi ,in base al tipo di fibre che contengono:i nervi motori, sensitivi, e vegetativi o autonomi. I nervi motori sono deputati al controllo dei movimenti volontari mentre i nervi sensitivi ci permettono di percepire il dolore, il tatto, e di conoscere la posizione di parti del nostro corpo nello spazio. I nervi autonomi controllano funzioni involontarie (cioè non sotto il controllo della volontà), come il respiro, il battito cardiaco, la pressione arteriosa, le funzioni digestive e riproduttive. Sebbene molte neuropatie interessino, in grado diverso, tutti tre i tipi di fibre nervose.Si parla di, di neuropatie puramente o prevalentemente motorie, sensitive, o vegetative quando la patologia riguarda una o due tipi di fibre (Macchi G. 2005).

1.2 Mononeuropatie

Con mononeuropatia si intende la malattia di un singolo nervo periferico. Le mononeuropatie colpiscono singoli nervi in areee ben definite e spesso sono conseguenza di una lesione traumatica, di una compressione locale (con "schiacciamento" del nervo) o di processi infiammatori o ischemici.La

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sintomatologia è, pertanto, localizzata e limitata al territorio di innervazione del nervo leso. Esempi di mononeuropatie sono la sindrome del tunnel carpale, e la paralisi di Bell.

La sindrome del tunnel carpale è causata da un’irritazione del nervo mediano al suo passaggio nel tunnel carpale a livello del polso.I sintomi si presentano quando le altre strutture anatomiche presenti nel tunnel,essenzialmente le guaine dei muscoli flessori delle dita ,si trovano in uno stato di infiammazione-degenerazione e/o il legamento trasverso del carpo va incontro a ispessimento ,edema e fibrosi.In questa situazione il nervo è compresso tra le strutture circostanti.Questa sindrome è causata da movimenti ripetitivi del polso ma è favorita nei soggetti affetti da malattie metaboliche (diabete,ipotiroidismo o artrite reumatoide)

La paralisi di Bell è un disturbo del VII nervo cranico (nervo facciale), che contiene fibre motorie che controllano i muscoli mimici della faccia e fibre vegetative. Nella maggior parte dei casi non si conosce la causa di questo disturbo, che si manifesta con asimmetria delle labbra (ci si accorge di avere "la bocca storta") e difficoltà a chiudere l'occhio dallo stesso lato. Possono talora associarsi disturbi dell'udito (iperacusia) e del gusto.Nella maggior parte dei casi il deficit recupera spontaneamente in periodi più o meno lunghi (da uno a 5 o più mesi) a seconda che il danno abbia interessato solo la guaina mielinica (prognosi migliore) o anche l'assone (prognosi meno favorevole).

1.3 Mononeurite multipla

Se i disturbi colpiscono due o più nervi in aree distinte si parla di mononeurite multipla. Ciò si verifica, in genere, in corso di malattie sistemiche, come ad esempio il diabete o malattie reumatologiche.La Polineuropatia è il nome generico sotto cui sono raggruppate la maggioranza delle neuropatie periferiche, dove abbiamo un interessamento bilaterale e simmetrico dei nervi periferici ossia colpisce in maniera simile entrambi i lati del corpo.Generalmente i disturbi

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iniziano alle mani e ai piedi. A seconda che siano colpiti i nervi motori, sensitivi o entrambi, si parla di neuropatia motoria, sensitiva, o mista. Neurite è il nome usato in caso di infiammazione del nervo causata da un'infezione o da alterazioni del sistema immunitario.

1.4 Plessite

Plessite è l'infiammazione di un plesso nervoso. Il plesso è una struttura dove numerosi nervi si riuniscono e interconnettono.Due importanti plessi sono il plesso brachiale, che si trova sotto il cavo ascellare, e il plesso lombosacrale, nella pelvi. Il plesso brachiale contiene nervi diretti al braccio e alla mano. Quando è infiammato, si ha una plessite brachiale, che causa debolezza e dolore al braccio. La plessite lombo-sacrale, invece, causa dolori e debolezza alle gambe.

2 SINTOMI DI NEUROPATIE

Alcune neuropatie esordiscono in maniera improvvisa, altre in maniera graduale nell'arco di anni. I sintomi dipendono dal tipo di fibre nervose interessate (motorie, sensitive, vegetative) e dalla loro localizzazione, ma nella maggior parte dei casi si manifestano con:

- Debolezza alle braccia o alle gambe: la debolezza muscolare e l'astenia sono sintomi dovuti a una compromissione dei nervi motori. Quando sono interessati gli arti inferiori, si possono manifestare affaticabilità e senso di "pesantezza" alle gambe con difficoltà nel salire le scale, nel camminare o correre. Quando, invece sono interessati gli arti superiori, si può provare fatica nel portare la borsa della spesa, nello svitare i coperchi dei barattoli, nell'aprire la porta, o nel pettinarsi.

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- Intorpidimento, formicolìo, dolore: una lesione dei nervi sensitivi può causare sintomi molto diversi. Possono esserci sensazioni spontanee (parestesìe), che includono: intorpidimento, formicolii, sensazione di "spilli" o aghi, prurito, bruciori, freddo, fitte dolorose e profonde e scosse elettriche. Questo disturbi spesso peggiorano di notte. Si possono, inoltre, avere sensazioni spiacevoli scatenate dallo stimolo tattile (disestesie), oppure riduzione (ipoestesia) e scomparsa (anestesia) della sensibilità, che possono far sì che ci si tagli o scotti senza rendersene conto.

- Assenza del senso di posizione: in presenza di questo disturbo, non si è sicuri di dove si trovino esattamente i piedi o ci si può accorgere di camminare in modo diverso portando incoordinazione e insicurezza nel camminare. È possibile "trascinare" i piedi, oppure la marcia si allarga nel tentativo inconscio di mantenere l'equilibrio.

- Sensazione di "guanti" e "calzini": È la sensazione di stare indossando guanti, calzini o ciabatte, quando invece mani e piedi sono completamente nudi.

2.1 Sintomi di danno alle fibre autonome

Una lesione delle fibre autonome può causare senso di instabilità e/o vertigini quando si è in piedi, costipazione, diarrea, disfunzioni sessuali, e assottigliamento della pelle, con facilità a sviluppare lividi e difficoltà nella guarigione delle ferite.(Il manuale Merck.2003.95,96.621-642)

3 PANORAMICA SULLE CAUSE DI NEUROPATIA

Si possono distinguere due grossi gruppi di neuropatie: ereditarie (causate da anomalie genetiche) e acquisite (dovute, cioè, a malattie acquisite nel corso della vita). La maggior parte delle neuropatie sono acquisite, e possono essere dovute a diverse cause. Quando la causa della neuropatia non è nota, si parla di neuropatie "idiopatiche". Di seguito sono segnalate alcune condizioni che possono essere causa di neuropatia.

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3.1 Cause di neuropatie acquisite

 Diabete. É una delle cause più comuni di neuropatia. L’alterazione si manifesta nel corso della malattia, ma talora può essere presente precocemente. Si tratta di una neuropatia prevalentemente sensitiva (parestesie, dolori),a cui possono associarsi disturbi del sistema nervoso autonomo e deficit dei nervi cranici. L’inosservanza della terapia antidiabetica favorisce in maniera determinante lo sviluppo di questa complicanza. La condizione di persistente iperglicemia e anche gli sbalzi di glicemia, legata spesso ad un trattamento poco aderente alla terapia o a libertà alimentari, ne favoriscono lo sviluppo. I sintomi provocati da questa neuropatia sono molto variabili, spesso i primi disturbi compaiono come parestesie, ma spesso possono evolvere in vero e proprio dolore urente e intolleranza al contatto (allodinia). Nella maggior parte dei casi la neuropatia è distale, interessa pertanto mani e piedi secondo la distribuzione a “guanto” e a “calza”, ma con il progredire della gravità può interessare territori più ampi. Questa neuropatia inoltre può essere di tipo motorio, e comportare quindi deficit dei movimenti, o interessare il sistema nervoso autonomo, con conseguenti disturbi neurovegetativi a carico delle funzioni controllate da tale sistema:incontinenza urinaria, disturbi della peristalsi intestinale, disfunzione erettile, anomalie della sudorazione etc..

 Alcool e altre sostanze tossiche. L'abuso di alcool è una causa frequente di neuropatia. Esistono altre sostanze tossiche che possono danneggiare i nervi come: il piombo (neuropatia motoria); arsenico, mercurio (neuropatia sensitiva); solventi organici e insetticidi.

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possono causare polineuropatie con degenerazione assonale. La carenza vitaminica può essere dovuta a un inadeguato regime dietetico o a un problema di malassorbimento a livello gastrico o intestinale. Anche eccessi di vitamina B6 possono causare una neuropatia.

 Neuropatie in corso di malattie sistemiche. Oltre al diabete, numerose condizioni sistemiche possono associarsi a neuropatia. Tra queste, l'insufficienza renale cronica, epatopatie, alterazioni endocrine (per es. ipotiroidismo).

 Neuropatie immuno-mediate. Il ruolo del sistema immunitario è proteggere l'organismo contro agenti infettivi esterni a volte per ragioni sconosciute, il sistema immunitario attacca parti del nostro organismo causando l'insorgenza di malattie autoimmuni. Se ad essere "attaccati" sono i nervi periferici, si possono sviluppare neuropatie immuno-mediate (cioè causate da un'alterazione del sistema immunitario), elencate brevemente di seguito.

a. Sindrome di Guillain-Barrè (GBS): è una poliradicolonevrite acuta, ad esordio rapido, che può evolvere a paralisi totale e insufficienza respiratoria nell'arco di giorni dall'esordio. È spesso preceduta da infezioni o vaccinazioni che sono considerati fattori "scatenanti". La malattia è autolimitante, con recupero spontaneo nell'arco di 6-8 settimane, ma talora permangono degli esiti. È cruciale la precocità dell'intervento terapeutico, che si avvale di immunoglobuline endovena o plasmaferesi. Una variante della GBS è la sindrome di Miller-Fisher, che si manifesta con "caduta" delle palpebre (ptosi palpebrale) e marcia instabile (atassica).

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b. Poliradicolonevrite infiammatoria demielinizzante cronica (CIDP). È considerata la variante cronica della Guillain-Barrè, e può presentarsi con attacchi ripetuti o con un andamento lentamente progressivo.

c. Neuropatie croniche con anticorpi diretti verso i nervi periferici: In alcune neuropatie, si sono identificati anticorpi diretti contro specifici componenti del nervo periferico, tra cui la Glicoproteina Associata alla Mielina (MAG), i gangliosidi (GM1, GD1a, GD1b), i sulfatidi.

d. Neuropatie associate a vasculiti: per vasculite si intende un' infiammazione dei vasi sanguigni che può interessare sia i vasi diretti ai nervi periferici sia quelli diretti ad altri organi. Se il processo infiammatorio interessa i vasi diretti ai nervi periferici può causare piccoli "infarti" dei nervi determinando una neuropatia vasculitica. Diverse malattie reumatologiche, come l'artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico, la panarterite nodosa, o la sindrome di Sjogren sono associate a vasculite generalizzata, che può coinvolgere anche i nervi periferici. La vasculite può causare neuropatie, mononeuriti, o mononeuriti multiple, a seconda della distribuzione e della severità delle lesioni.

e. Neuropatie associate a gammopatie monoclonali: Nelle gammopatie monoclonali, singoli cloni di linfociti B o plasmacellule nel midollo osseo o negli organi linfoidi si espandono a formare tumori, benigni o maligni, che secernono anticorpi. Ogni singolo clone di linfociti B produce un solo tipo (monoclonale) di anticorpi (o gamma-globuline), da cui il nome di gammopatia monoclonale. In alcuni casi gli anticorpi reagiscono contro componenti dei nervi periferici, in altri casi frammenti degli anticorpi si depositano nei tessuti sottoforma di fibrille di amiloide.

 Tumori. Una neuropatia può derivare da un'infiltrazione diretta dei nervi da parte di cellule tumorali o da un effetto indiretto, a distanza, del

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tumore (in quest'ultimo caso si parla di sindrome paraneoplastica e la neuropatia è associata ad anticorpi contro una proteina detta Hu). In pazienti con tumori, una neuropatia può anche essere conseguenza di irradiazione locale o essere causata da farmaci come vincristina e cisplatino. Si parla, in questi casi, di neuropatie iatrogene.

 Amiloidosi. L'amiloide è una sostanza che si deposita nei nervi periferici interferendo con la loro funzione. La malattia si chiama amiloidosi, e se ne distinguono diversi tipi. Nell'amiloidosi primaria (che si associa spesso a gammopatie monoclonali o mieloma) i depositi di amiloide sono costituiti da frammenti di anticorpi monoclonali, mentre nell'amiloidosi familiare (vedi paragrafo sulle Neuropatie Ereditarie) i depositi di amiloide contengono una forma anomala di una proteina detta transtiretina.

 Agenti infettivi. Virus o batteri possono causare neuropatie. Tra i virus che causano neuropatie ricordiamo

- il virus dell'Herpes Zoster, responsabile del fuoco di S. Antonio

- il virus dell'AIDS (HIV-I), che causa diverse forme di neuropatia, tra cui neuropatie sensitive dolorose

-il Citomegalovirus, associato a poliradicolonevriti rapidamente ingravescenti, soprattutto in soggetti immunodepressi

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Tra le infezioni batteriche che causano neuropatie ricordiamo: - la Borreliosi (o malattia di Lyme) causata da una spirocheta - la lebbra che causa una neuropatia sensitiva

- la difterite, che causa una neuropatia paralitica rapidamente invalidante - Tripanosomiasi, causata da un parassita (sono, tuttavia, rare nelle nostre regioni).

 Farmaci. Numerosi farmaci possono indurre neuropatia (iatrogena). Tra questi vincristina e cisplatino, usati nella terapia anti-tumorale; nitrofurantoina, utilizzata in alcune patologie renali croniche; amiodarone, usato nelle aritmie cardiache; disulfiram, usato nell'alcoolismo; e dapsone, utilizzato nella terapia della lebbra.

 Trauma o compressione. Neuropatie localizzate possono derivare da un trauma esterno o da compressione da parte di tendini o di altri tessuti circostanti. Vengono definite anche neuropatie da intrappolamento: sono condizioni in cui un nervo che decorre all’interno di un passaggio anatomico delimitato da ossa e/o tessuti fibrosi, ne risulta cronicamente compresso, di solito a causa di un processo infiammatorio o degenerativo dei tessuti che delimitanio il passaggio. La compressione del nervo provoca inevitabilmente uno stato di infiammazione e un disturbo della conduzione nervosa, che può manifestarsi a livello sensitivo, con parestesie e dolore, oppure motorio con riduzione della forza e della funzionalità. A livello cellulare, nella neuropatia compressiva si riconoscono due principali meccanismi patogenetici: la neuro infiammazione e lo stress ossidativo. Le più note neuropatie compressive

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nervo mediano al polso; le radiculopatie cervicali e lombo-sacrali (quest'ultima nota come sciatica) dovuta alla compressione delle radici dei nervi al loro punto di uscita a livello della colonna vertebrale. Altre zone di frequente compressione dei nervi sono il gomito, l'ascella e il dorso del ginocchio.

 Idiopatiche. Il termine idiopatico viene usato ogniqualvolta la causa della neuropatia non possa essere identificata. A seconda delle sue manifestazioni, anche la neuropatia idiopatica può essere sensitiva, motoria, o mista.

3.2 Cause di neuropatie ereditarie

Le neuropatie ereditarie sono causate da alterazioni genetiche che vengono trasmesse di generazione in generazione. Per molte di queste il difetto genetico è noto e sono disponibili tests diagnostici.

- HSMN (HereditarySensory Motor Neuropathy) o Malattia di Charcot-Marie-Tooth (CMT). Sono le neuropatie ereditarie più frequenti. Un tempo definite Malattia di Charcot-Marie-Tooth, sono state di recente riclassificate come HSMN (neuropatie ereditarie sensitivo motorie). Se ne distinguono diversi sottotipi in base alle caratteristiche cliniche e alle alterazioni genetiche sottostanti. La HSMN tipo 1 è la più comune. È una neuropatia demielinizzante a lenta evoluzione, spesso associata ad anomalie del piede (piede cavo).

- Neuropatia amiloidotica familiare. La neuropatia amiloidotica familiare si presenta con alterazioni sensitive e del sistema nervoso vegetativo (diarrea, impotenza, etc. ). È dovuta a una mutazione di una proteina detta transtiretina.

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La proteina anomala si deposita sotto forma di amiloide nei nervi periferici, inducendo il danno.

- Neuropatie in corso di porfiria. La porfiria (malattia ereditaria da alterato metabolismo delle porfirine) si associa a neuropatia periferica, prevalentemente motoria(Richard A C Hughes.2002)

4 MECCANISMI PATOGENICI ALLA BASE DELLE

NEUROPATIE

La neuro infiammazione e lo stress ossidativo sono alla base della progressione patologica delle neuropatie.

Da una parte il danno meccanico diretto sul nervo, attiva una risposta di tipo infiammatorio che passa attraverso le molecole tipicamente coinvolte nell’infiammazione: citochine, prostaglandine, NO ( ossido nitrico) che sono quelle più rilevanti.

Dall’altra le compressioni o i deficit ossigenativi, determinano uno stato ischemico del nervo, con conseguente formazione di ROS (reactive oxygen species ), specie reattive dell’ossigeno con un aumento dello stress ossidativo a carico delle cellule nervose, che sono particolarmente sensibili a questo tipo di stress. La Neuroinfiammazione e lo stress ossidativo si autoalimentano a vicenda, e concorrono insieme all’insorgere dei sintomi e all’insorgere della sensazione dolorifica.

Come in altri tessuti, l’infiammazione del tessuto nervoso è mediata da un elevato numero di sostanze che fungono da messaggeri chimici: cruciale è il ruolo degli enzimi che ne regolano la sintesi e dei fattori nucleari di trascrizione, che attivano “al bisogno” la trascrizione di geni codificanti queste proteine regolatrici.

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Alcuni mediatori coinvolti sono:

- Citochine pro infiammatorie, in particolare 1-beta e tumor necrosis factor-α (TNF-factor-α)

- Prostaglandina E2

- Leucotrieni, prodotti dalla lipossigenasi

- Fattori di trascrizione kB che attiva la trascrizione di molti geni pro infiammatori

- Ossido nitrico, che nell’infiammazione è prodotto prevalentemente dalla forma inducibile dell’enzima ossido nitrasi (iNOS)

A livello cellulare le conseguenze della neuro infiammazione sono: - Un aumento dello stress ossidativo

- Fenomeni di degenerazione a livello degli assoni dei neuroni - Fenomeni di degenerazione della guaina mielinica

- Aumento degli stimoli algogeni

Inoltre nel tessuto aumentano la vasodilatazione e la permeabilità dei vasi, con edema (Ru-Rong et.al. 2014; 13:533-548)

La formazione di ROS, invece, avviene normalmente nei mitocondri nel corso della respirazione cellulare è , però, particolarmente elevata in caso di ipossia, ischemia o sovraccarico di glucosio.

I ROS sono specie chimiche altamente instabili in quanto contengono un atomo di ossigeno con un elettrone spaiato, sono infatti radicali liberi, e generano reazioni a catena di di tipo elettronico.

I radicali tendono a passare velocemente dalla forma ridotta, più stabile, e per farlo ossidano le molecole presenti nella cellule alterandone in modo irreversibile la struttura: le conseguenze più dannose si hanno se i danni si hanno

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a livello del DNA (rotture, errori nella duplicazione) o dei fosfolipidi di membrana.

Le specie reattive dell'ossigeno, i ROS, sono i radicali liberi a maggior diffusione. I più importanti ROS sono l'anione

L'anione superossido (O2

-) è prodotto dalla riduzione incompleta di O2 durante la fosforilazione ossidativa, da alcuni enzimi (xantina ossidasi) e dai leucociti. Viene inattivato dalle superossido dismutasi (SOD) che, combinandolo con 2H+ e catalizzando la reazione tramite il suo cofattore metallico (Fe, Mn, Cu, Zn o Ni) lo converte in H2O2 e O2. Se non viene inattivato danneggia i lipidi di membrana, proteine e DNA, può inoltre stimolare la produzione di enzimi nei leucociti. Generalmente ha un raggio d'azione limitato.

Il perossido d'idrogeno (H2O2) è spesso prodotto dalla glutatione perossidasi o da alcune ossidasi contenute nei perossisomi. Viene metabolizzato dalla catalasi dei perossisomi in H2O e O2 che catalizza la reazione tramite il suo gruppo eme e dalla glutatione perossidasi nel citosol e nei mitocondri.

Il radicale ossidrilico (•OH) è generalmente un prodotto dell'idrolisi dell'acqua da parte di radiazioni, oppure è un prodotto della reazione di Fenton a partire dal perossido d'idrogeno (con lo ione ferroso Fe2+ quale catalizzatore). È il ROS più reattivo ed è prodotto dai leucociti a partire dal perossido d'idrogeno per distruggere patogeni, ma se in eccesso provoca danni alla membrana plasmatica, alle proteine e agli acidi nucleici. Viene inattivato per conversione in H2O da parte della glutatione perossidasi.

Oltre alle specie attive dell’ossigeno troviamo le specie reattive derivate dall’azoto RNS quelle di maggior interesse sono l'ossido nitrico(NO) ed ilperossinitrito(ONOO-).

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L'ossido nitrico è prodotto dalle NO sintasi di cui esistono, nell'uomo, tre tipi: NO sintasi neuronale (nNOS), presente nei neuroni e nel muscolo scheletrico, NO sintasi inducibile (iNOS) presente nel sistema cardiovascolare e nelle cellule del sistema immunitario e NO sintasi endoteliale (eNOS), presente nell'endotelio. L'ossido di azoto è un neurotrasmettitore, è coinvolto nella risposta immunitaria, è un potente vasodilatatore.

Il perossinitrito (ONOO-) è formato dalla reazione tra ossido nitrico e ione superossido. Viene convertito in HNO2 dalle perossiredossine presenti nel citosol e nei mitocondri. Può danneggiare lipidi, proteine e DNA

All'interno della cellula i radicali liberi possono essere generati in vari modi.  Le radiazioni ionizzanti idrolizzano l'acqua (H2O) a idrogeno (H) e radicale

ossidrilico (•OH). Fanno parte di questa categoria i raggi ultravioletti, i raggi X e i raggi gamma.

Le infiammazioni sono processi che scatenano la produzione di ROS da parte della NADPH ossidasi dei leucociti al fine di sbarazzarsi di organismi patogeni; talvolta però i radicali liberi prodotti danneggiano anche cellule sane.

Alcuni enzimi come la xantina ossidasi che genera O2-, la NO sintasi che genera NO, la superossido dismutasi che genera H2O2, oppure a partire da enzimi che metabolizzano farmaci o altre sostanze chimiche esogene.

La fosforilazione ossidativa che si verifica durante la respirazione cellulare e che genera piccole quantità di ciascuno dei tre più importanti ROS.

I metalli di transizione fungono da catalizzatori nelle reazioni che portano alla produzione di radicali liberi. Il più comune è il Fe2+ tramite la reazione di Fenton, seguito dal rame (Cu).

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Altri radicali liberi possono concorrere alla formazione di ulteriori radicali liberi, per esempio quando NO e O2- reagiscono per formare il perossinitrito ONOO-.

I radicali liberi tendono a danneggiare particolarmente tre componenti della cellula: i lipidi, le proteine e gli acidi nucleici.

La perossidazione lipidica, in particolare della membrana plasmatica e delle membrane degli organelli intracellulari è un danno cellulare comune dovuto ai ROS e agli RNS. I radicali liberi, in presenza di ossigeno, reagiscono con i doppi legami dei lipidi di membrana generando dei perossidi lipidici che, essendo reattivi, si propagano determinando un danno esteso alle membrane. Il ROS più temibile in questo caso è •OH. Negli eritrociti possono provocare quindi emolisi. La degradazione dei lipidi operata dai radicali liberi è riscontrabile tramite la presenza di prodotti terminali di lipossilazione avanzata (ALEs, Advanced Lipoxylation End-products) quali il 4-idrossi-nonenale (4) HNE) e la malonil-dialdeide (MDA).

L'ossidazione delle proteine, in particolare i radicali liberi agiscono ossidando i gruppi laterali degli amminoacidi, danneggiando la funzione della proteina, promuovono la formazione di legami crociati come il legame disolfuro, alterandone la struttura o il ripiegamento.

Il danno al DNA, dal momento che i radicali liberi possono determinare mutazioni o danneggiare macroscopicamente lo stesso DNA e alterare la struttura chimica delle basi azotate formandone di nuove come 8-ossiguanina o 5-idrossimetiluracile. Tramite questo tipo di danno sono concausa dell'invecchiamento cellulare e promuovono il cancro(Muller et .al. 2007)

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figura 1:formazione dei radicali liberi

Il tessuto nervoso appare esposto al danno da stress ossidativo, anche in considerazione del fatto che i fosfolipidi delle membrane sono particolarmente sensibili allo stress ossidativo e che la membrana ha un ruolo funzionale cruciale nelle cellule nervose per generare il potenziale d’azione e condurre lo stimolo nervoso.

5 IL DOLORE NEUROPATICO

Il dolore neuropatico in generale ha caratteristiche differenti rispetto al dolore nocicettivo, quello che deriva dall’esperienza, ad esempio di un comune stimolo doloroso come una puntura, una contusione o una sorgente molto calda.

Il dolore nocicettivo segue la stimolazione dei nocicettori tissutali ed è la risposta ad uno stimolo algogeno, ad esempio nei processi infiammatori, alterazioni osteoarticolari, patologie muscolari e traumi.

Il dolore neuropatico è conseguente ad una degenerazione o irritazione delle fibre nervose: da ciò dipende la conduzione di segnali anomali diretti ai centri

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cerebrali di interpretazione del dolore. Non è sempre correlato e proporzionale a una lesione somatica o a uno stimolo intenso nel sito in cui viene avvertito. Comune in questo tipo di dolore è l’iperalgia, cioè la comparsa di dolore anche a stimoli lievi per un soggetto sano, causati da lesioni dei nocicettori o dei nervi del sistema nervoso periferico, oppure dolore di intensità sproporzionata rispetto all’entità dello stimolo.

La severità del dolore neuropatico dipende dalla compromissione del nervo periferico, nelle forme lievi si evidenziano: ipoestesia, parestesia con alterata sensibilità e sensazione di bruciore, caldo-freddo, formicolii e intorpidimento e,allodinia. Nelle forme più gravi si manifesta dolore urente, sordo e lancinante accompagnato da fitte.

5.1 Diagnosi

Una corretta diagnosi inizia da una raccolta dettagliata dei sintomi, delle malattie pregresse e concomitanti del paziente, da una ricerca di possibili fattori causali (esposizione a tossici, farmaci, etc. ). Dopo aver attentamente visitato il paziente, il neurologo consiglia alcuni esami di laboratorio che possono aiutare a identificare la causa della neuropatia. L'elettromiogramma (EMG) e lo studio delle velocità di conduzione delle fibre nervose sono importanti per studiare le proprietà elettriche dei nervi. Queste indagini aiutano a identificare quali nervi sono interessati e la distribuzione del danno. La biopsia di nervo può talora fornire informazioni importanti sul tipo e sulla causa della neuropatia. Si può vedere, infatti, se il nervo presenta segni di vasculite, infiammazione o deposito di amiloide. Una puntura lombare può essere utile per evidenziare la presenza di infezioni o infiammazioni, mentre analisi mirate del sangue e delle urine possono aiutare a identificare malattie sottostanti o difetti genetici che causano la neuropatia.

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5.2 Trattamento delle Neuropatie

Gli obbiettivi del trattamento sono due: eliminare la causa della malattia e ridurre i sintomi

1)Il primo obbiettivo si raggiunge in maniera diversa a seconda della causa della neuropatia. Per esempio, un deficit vitaminico può essere corretto con somministrazione orale o parenterale della vitamina deficitaria. Eventuali infezioni vengono trattate con antibiotici o agenti anti-virali. Malattie autoimmuni spesso rispondono alla plasmaferesi, terapie immunosoppressive o immunomodulanti (corticosteroidi, immunoglobuline endovena, o chemioterapia). Nelle neuropatie paraneoplastiche (che si associano, cioè, e talora precedono la comparsa di un tumore) il trattamento è volto ad eliminare il tumore sottostante. Le neuropatie tossiche o indotte da farmaci vengono trattate rimuovendo l'agente causale. Nel diabete, un attento controllo dell'iperglicemia aiuta a rallentare la progressione della neuropatia. A seconda della causa della neuropatia, la terapia può alleviare, rallentare o guarire la neuropatia. Una volta che il danno è bloccato, il nervo può rigenerare. Il grado di recupero dipende da quanto severo era stato il danno. Minore è stato il danno, migliore è il recupero. È, pertanto, estremamente importante una diagnosi precoce, che permetta un rapido inizio della terapia.

2) Ridurre i sintomi della neuropatia: attraverso diverse classi di farmaci che agiscono sul potenziale d’ azione (PTA) delle fibre nervose, oltre quelli classici (FANS e oppiacei), indipendentemente dal tipo patogenetico del dolore (nocicettivo-tessutale o non nocicettivo neuropatico), possiamo considerare potenzialmente efficaci nel dolore e quindi “analgesici” tutti i farmaci con effetto anti-depolarizzante, polarizzante e combinato anti-depolarizzante e polarizzante. Questo spiega perché in particolari situazioni algologiche possono essere efficaci farmaci come gli antidepressivi, gli anticonvulsivi, gli

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antiaritmici e gli antiipertensivi (talvolta definiti “adiuvanti”) che abitualmente sono usati per indicazioni cliniche diverse dal dolore.

I farmaci analgesici, in grado cioè di indurre analgesia (assenza di dolore in presenza di uno stimolo doloroso), comprendono: • farmaci analgesici non oppioidi, a loro volta distinguibili in analgesici puri e analgesici/antinfiammatori (FANS e inibitori della COX-2)

• farmaci analgesici oppioidi • farmaci adiuvanti

5.2.1 Farmaci analgesici non oppioidi

I farmaci analgesici non oppioidi comprendono il paracetamolo, i FANS tradizionali e gli inibitori della COX-2.

Il paracetamolo è un analgesico efficace nelle forme di dolore in cui la componente infiammatoria non è prevalente (es. cefalea, l’emicrania, la dismenorrea) e nel dolore post-operatorio; è il farmaco di scelta nel trattamento del dolore lieve-moderato.

I FANS o farmaci antinfiammatori non steroidei sono un gruppo eterogeneo di molecole con attività antipiretica, analgesica, antinfiammatoria e antiaggregante piastrinica. Agiscono bloccando l’enzima cicloossigenasi e inibendo la formazione di prostaglandine, prostacicline e trombossani. La cicloossigenasi è presente in due forme, una costitutiva (cicloossigenasi-1 o COX-1) e una indotta (ciclossigenasi-2 o COX-2). I FANS tradizionali inibiscono entrambe le isoforme della cicloossigenasi, mentre gli inibitori della COX-2 mostrano un’azione di inibizione selettiva sulla forma indotta dell’enzima. I FANS e gli inibitori della COX-2 possiedono un’azione analgesica evidente nelle forme di dolore associate ad infiammazione, ma possiedono numerosi effetti collaterali che ne limitano l’uso. Tali effetti si manifestano soprattutto a livello ematico,

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gastrico e renale. I FANS e gli inibitori della COX-2, sebbene con alcune differenze, possono provocare tossicità gastrica fino a formazione di ulcere e sanguinamento; insufficienza renale per inibizione delle prostaglandine ad azione vasodilatante (le prostaglandine sostengono la perfusione renale), broncospasmo, edema, ipertensione, eventi trombotici e insufficienza cardiaca congestizia. Inoltre i FANS presentano numerose interazioni farmacologiche (es. anticoagulanti, antipertensivi, diuretici, ipoglicemizzanti, sulfamidici) e possono inibire le contrazioni uterine durante il travaglio.

5.2.2 Farmaci analgesici oppioidi

I farmaci oppioidi sono sostanze con effetti simili alla morfina, uno dei principali alcaloidi estratti dall’oppio (gli altri alcaloidi sono la codeina, la tebaina e la papaverina). Gli analgesici oppioidi, di cui la morfina è il capostipite e il farmaco più utilizzato, agiscono sulla nocicezione attraverso l’interazione con recettori specifici (μ, κ, δ, σ) localizzati in diverse aree del sistema nervoso centrale (ogni tipo recettoriale presenta diverse sottoclassi). I recettori μ sono responsabili dell’analgesia sottospinale e sono coinvolti in alcuni effetti collaterali degli oppioidi quali depressione del respiro, ritenzione urinaria, costipazione, ipotensione ortostatica, nausea e vomito, miosi, inibizione secrezione vasopressina, dipendenza fisica.

I recettori κ sono responsabili dell’analgesia spinale e della sedazione. I recettori δ sono responsabili dell’analgesia sovraspinale e sono coinvolti nell’induzione della nausea e del vomito e della miosi. I recettori σ sono coinvolti nell’attivazione vasomotoria e respiratoria propria degli oppioidi e negli effetti collaterali di natura disforica e allucinatoria. Sussistono controindicazioni all’uso dei farmaci oppioidi che comprendono: insufficienza renale, malattie polmonari ostruttive, malattie del fegato, encefalopatie e demenze.

5.2.3 Farmaci adiuvanti

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effetto analgesico, ma che in determinate condizione possono favorire l’azione farmacologica dei farmaci analgesici (azione sinergica) oppure contrastarne gli effetti collaterali

I principali farmaci adiuvanti comprendono: antidepressivi, anticonvulsivanti, corticosteroidi, bifosfonati, psicotropi e miorilassanti muscolari.

Gli antidepressivi triciclici sono in genere utilizzati nel dolore cronico associato a tumore in presenza di depressione e/o insonnia e nel dolore neuropatico di origine oncologica. L’azione analgesica è ottenuta attraverso la modulazione della trasmissione del dolore lungo le vie discendenti (inibizione della ricaptazione dei neurotrasmettitori serotonina e noradrenalina) ed è raggiunta con dosaggi (fino al 50%) e tempi (4-7 giorni) inferiori a quelli necessari per indurre l’azione antidepressiva (azione analgesica intrinseca degli antidepressivi).

Gli antidepressivi utilizzati nella terapia del dolore sono: amitriptilina, clomipramina, imipramina; desipramina, nortriptilina; maprotilina, trazodone . Gli anticonvulsivanti sono impiegati nel trattamento del dolore neuropatico. Per alcuni questa indicazione rientra fra quelle autorizzate (carmapazepinapina, fenitoina,gabapentin, pregabalin), per altri si tratta di un uso off label (acido valproico, clonazepam, lamotrigina). Gli anticonvulsivanti agiscono come stabilizzatori di membrana attraverso l’inibizione dei canali del sodio.

I corticosteroidi sono farmaci antinfiammatori immunomodulanti; sono utilizzati in caso di dolore da metastasi ossee, dolore neuropatico da infiltrazione o compressione nervosa, cefalea da ipertensione endocranica, compressione acuta del midollo spinale, sindrome della vena cava superiore, linfedema sintomatico e distensione della capsula epatica, infiltrazioni di tessuti molli (tumori della testa e del collo, tumori addominali e pelvici). I principali farmaci corticosteroidi utilizzati sono desametasone, metilprednisone e prednisone.

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I bifosfonati sono utilizzati in caso di metastasi ossee e ipercalcemia tumorale. Agiscono per inibizione dell’attività degli osteoclasti, cellule deputate al riassorbimento del tessuto osseo. I principali bifosfonati utilizzati sono il clodronato, il pamidronato e lo zoledronato.

I farmaci psicotropi comprendono le benzodiazepine (farmaci ansiolitici, miorilassanti) e i neurolettici (farmaci ansiolitici e sedativi). Le benzodiazepine permettono di interrompere il circolo vizioso in base al quale il dolore crea ansia che a sua volta abbassa la soglia del dolore e ne favorisce la manifestazione. I neurolettici possono trovare impiego nella terapia del dolore perchè intervengono nella trasmissione del dolore a livello delle aree di integrazione del sistema nervoso centrale quali la sostanza reticolare e il sistema limbico. Sono utilizzati per gli effetti antipsicotici e antiemetici.

I farmaci miorilassanti muscolari sono un gruppo di sostanza eterogenee con meccanismi d’azione differenti, utilizzati per il controllo degli spasmi muscolari. Possono avere azione centrale (baclofene, tizanidina) o periferica (tiocolchicoside,pridinolo).

Nel trattamento del dolore, come farmaci adiuvanti, sono stati utilizzati anche l’idrossizina (Atarax), farmaco antistaminico che agisce per inibizione dei recettori H1 dell’istamina, per i suoi effetti sedativi, anticolinergici e antiemetici; i farmaci antiadrenergici per gli effetti di inibizione sulle strutture periferiche del sistema nervoso simpatico e sui mediatori spinali; la clonidina per gli effetti sedativi e di potenziamento dell’azione analgesica degli oppioidi; la capsaicina nel dolore miofasciale; la somatostatina, per l’analgesia spinale. Nel trattamento del dolore neuropatico refrattario è stata utilizzata la mexiletina, un anestetico locale somministrato per bocca (ULSS 12 veneziana ,2012)

Nonostante il gran numero delle sostanze che possono essere utilizzate l’approccio terapeutico del dolore neuropatico resta un significativo problema,

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in quanto questo dolore risponde scarsamente alle terapie correnti. Nei trial clinici randomizzati, non più della metà dei pazienti risponde in maniera significativa alla farmacoterapia, considerando che viene definito un successo il sollievo parziale dal dolore , inoltre gli effetti collaterali possono limitarne il dosaggio e contribuire a una riduzione inadeguata del sintomo dolorifico. Sempre più si stanno cercando sostanza in grado di modulare i segnali nocicettivi .Fra le sostanze che possono essere utilizzate nella terapia del dolore, recentemente sono stati inseriti in Italia (tabella delle sostanze psicotrope e stupefacenti della Farmacopea Ufficiale) due principi attivi estratti dalla cannabis, il delta-9-tetraidrocannabinolo e il trans-delta-9-tetraidrocannabinolo (drobinol), e un cannabinoide di sintesi, il nabilone (DM 18 aprile 2007).

6 CANNABIS E CANNABINOIDI

La canapa, in latino “Cannabis sativa” è una pianta che appartiene all'ordine Urticales, famiglia delle Cannabaceae. Il nome deriverebbe dall'assiro qunnubu o qunnabu (Morgante a. 2004). I botanici hanno stabilito che esiste una sola specie di Cannabis, non essendo state rilevate variazione decisive tra i vari tipi, e così eliminando dalla classificazione la Cannabis indica, varietà che contiene in maggiore quantità di principi attivi. In Europa, la diffusione della Cannabis risale all'Ottocento, in occasione delle campagne militari di Napoleone in Egitto (Russo EB. 2007)

I primi studi risalgono al 1839 in irlanda:il medico O'Shaughnessy,, somministrava la cannabis a soggetti affetti da diverse patologie, dall'epilessia ai reumatismi, riscontrando un'efficacia anticonvulsivante, analgesica, antiemetica. Durante il IXX secolo e nei primi decenni del XX, la cannabis fu un medicinale di uso comune nella pratica clinica, anche italiana, finché non si resero

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disponibili altri tipi di trattamenti (non erano stati ancora scoperti i principi attivi e non potevano esserci standardizzazioni della droga base né degli estratti) e,”in maniera importante, la pressione sociopolitica, non che al suo declino (Crestani F. 2014)

Negli anni trenta, infatti ci fu un rinnovato interesse per gli usi industriali della canapa: vennero studiati nuovi materiali ad alto contenuto di fibra, materie plastiche, cellulosa e carta di canapa. Con l'olio si producevano già in grande quantità vernici e carburante per auto. In quegli anni il magnate dell'automobile Henry Ford costruì un prototipo di automobile (la cosiddetta Ford Hemp Body Car) in cui parte della carrozzeria era realizzata in fibra di canapa rendendo l'auto molto più leggera della media delle auto allora diffuse. Inoltre il motore funzionava a etanolo di canapa. Negli anni trenta la tecnologia eco-sostenibile della canapa appariva quindi in grado di fornire materie prime a numerosi settori dell'industria.Tali presupposti non furono però confermati, si sarebbero invece costituiti interessi che si contrapponevano all'uso industriale della canapa. In particolare, la carta di giornale della catena Hearst era fabbricata a partire dal legno degli alberi con processi che richiedevano grandi quantità di solventi chimici a base di petrolio, forniti dalla industria chimica DuPont .LaDu Pont e la catena di giornali Hearst si sarebbero quindi coalizzate e con una campagna di stampa durata anni la cannabis, da allora chiamata con il nome di "marijuana", venne additata come causa di delitti efferati riportati dalla cronaca del tempo. Il nome messicano "marijuana" era stato probabilmente scelto al fine di mettere la canapa in cattiva luce, dato che il Messico era allora un paese "nemico" contro il quale gli Stati Uniti avevano appena combattuto una guerra di confine. "Marijuana" era un termine sconosciuto negli USA, l'opinione pubblica non sarebbe stata adeguatamente informata del fatto che il farmaco dalle proprietà rilassanti chiamato "cannabis" corrispondesse alla "marijuana". Nel 1937 venne quindi approvata una legge che proibiva la coltivazione di

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qualsiasi tipo di canapa, incluso a scopo industriale o medica mentale(Arnao G.Cannabis .,2005)

Nel 1964, il gruppo israeliano guidato da R. Mechoulam isolava il principio attivo più importante della pianta, ponendo le premesse per una sua rivalutazione scientifica.

Alla fine degli anni Novanta, uno dei padri della terapia del dolore, Patrick Wall, scriveva: “Si tratta di un altro rimedio vegetale con una pessima reputazione. Ma oggi sta subendo un’incredibile rivalutazione come analgesico terapeutico che ripete a distanza di venti anni la storia del passaggio degli oppiacei da droghe considerate un pericolo sociale a strumenti terapeutici con un fondamento scientifico”(Wall.P,.1999).

6.1 Principi Attivi

La pianta Cannabis sativa contiene centinaia di sostanze a varia struttura chimica. Di queste, fino a oggi, sono stati identificati circa 66 composti appartenenti alla famiglia dei cannabinoidi, accomunati da una particolare struttura di 21 atomi di carbonio,20 raggruppati in una classe chimica, quella dei terpenoidi, idrocarburi aromatici contenenti ossigeno, non polari e con bassa solubilità in acqua. Il delta 9-tetraidrocannabinolo, ''∆9-THC '' è stato isolato, come principio attivo della Cannabis nel 1964 .

La ricerca sul suo potenziale utilizzo nel campo medico l'ha riconosciuto come responsabile principale delle proprietà farmacologiche della pianta, sebbene altri composti contribuiscano ad alcuni di questi effetti, in particolare il cannabidiolo, privo di effetti psicoattivi, ma dotato di attività antipsicotica, analgesica e antiinfiammatoria. Quando il THC è somministrato insieme al CBD vi è una

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riduzione degli effetti ansiogeni, disforici e dei potenziali effetti sulla memoria (Crestani F.2014)

figura 2:Principi attivi della cannabis

6.2 Recettori e Cannabinoidi endogeni

Il recettore cerebrale per i cannabinoidi, denominato CB1, si trova distribuito prevalentemente, nel sistema nervoso centrale e periferico, in parallelo con le strutture cerebrali, la cui messa in opera giustifica molti degli effetti propri dei cannabinoidi.

E’ presente anche in alcuni organi e tessuti, tra cui ghiandole endocrine, apparato riproduttivo, urinario, gastrointestinale. Successivamente, è stato identificato il recettore CB2 sulle cellule immunocompetenti. La sua distribuzione è centrale e periferica, in particolare nelle cellule dell'intestino, del fegato, della milza, nelle tonsille, nei linfociti e nei monociti e in particolare nelle mastcellule(Guindon J,2009)

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CB1 e CB2 sono recettori a sette segmenti di transmembrana accoppiati a proteine G aventi un dominio N terminale extracellulare glicosilato e un dominio C terminale intracellulare (Devane et al.,1992) Si pensa che le proteine G siano di tipo Gi/o accoppiate negativamente all’adenilatociclasi e positivamente alla proteina chinasimitogeno attivata (MAPK). Tramite l’accoppiamento di tipo Gi/o il CB1 regola l’attività di molte proteine della membrana plasmatica e vie di trasduzione del segnale. Ad esempio l’attivazione dei recettori CB1 presinaptici inibisce i canali del calcio di tipo N e stimola i canali rettificanti del potassio riducendo così la trasmissione sinaptica . Per i CB1 possono verificarsi anche accoppiamenti tramite Gs che portano all’attivazione dell’adenilatociclasi. I due recettori hanno il 44% di identità a livello della sequenza proteica, il CB1 è formato da 472 amminoacidi mentre il CB2 da 360amminoacidi (Guidon J,2009).

Alla scoperta di tali recettori ha fatto seguito, nel 1992, l'identificazione delle sostanze endogene ''leganti'' a questi recettori, denominate endocannabinoidi. Tale termine identifica una nuova classe di neuromediatori accomunati dalla capacità di interagire con i recettori cannabinoidi. Questi endocannabinoidi sono derivati dall'acido arachidonico, acido grasso polinsaturo di membrana. Gli endocanna-binoidi sino a ora identificati sono sette, dei quali i più importanti sono

 l'anandamide (N-arachidonoiletanolamide ''AEA'') che deve il suo nome alla parola sanscrita ''Ananda'', che significa “stato di grazia”(Devane WA et.al.1992)

 il 2-arachidonoil glicerolo ''2-AG''( Piomelli D.2003)

 O-arachidoniletanolamina (virodamina) (Porter Ace t.al.,2002)  l’ n-arachidonoildopamina (NADA)

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Gli endocannabinoidi, al contrario di altri mediatori chimici, non sono prodotti e immagazzinati nelle micro vescicole, ma vengono prodotti nel momento del bisogno dai loro predecessori e quindi rilasciati dal loro sito di deposito per agire sui i recettori. Dopo il loro rilascio, vengono rapidamente disattivati per captazione ''reuptake'' nelle cellule e metabolizzati (Crestani F.,2014)

L’'attivazione dei recettori CB1 porta ad un rilascio di istamina, serotonina, glutammato, acetilcolina, dopamina, GABA, colecistochinina, D-aspartato, glicina e noradrenalina. Queste complesse interazioni spiegano non solo il gran numero di azioni fisiologiche dei cannabinoidi, ma anche gli effetti farmacologici delle preparazioni di cannabis.(Russo EB,2008)

IL recettore CB2 si trova prevalentemente nelle cellule del sistema immunitario dove regola il rilascio di citochine e la migrazione delle cellule immunitarie. In particolare si osserva nei leucociti quest’ordine di espressione: cellule B > “natural killer” (NK) >> monociti / macrofagi > neutrofili > cellule T CD8+ > cellule T CD4+ , ma anche nella milza e nelle tonsille. L’attivazione del recettore CB2 porta ad un aumento di attività di Erk e ciò determina la migrazione delle cellule immunitarie e il cambiamento di espressione genica. Si è osservata la presenza del CB2 anche nel sistema nervoso centrale ad esempio nelle cellule della microglia.(Romero-Sandoval A,2007)

6.3 Farmacologia dei recettori cannabinoidi

Le nostre prime conoscenze sul sistema del dolore sono derivate dalla ricerca su sostanze analgesiche derivate da piante, cioè l’oppio (Papaversomniferum) per quel che riguarda la morfina, il peperoncino (Capsicumannuum, C. frutescens, C. chinensis) per la capsaicina, il salice (Salixspp.) per l’acido salicilico, e la cannabis per THC, CBD e gli altri cannabinoidi.

Le aree del SNC deputate al controllo del dolore sono molto ricche di recettori per i cannabinoidi e la stimolazione di questi recettori attiva un circuito che

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riduce il dolore. I recettori CB1 sono stati identificati su tre strutture: neuroni afferenti primari sia sulle fibre di tipo C che su quelle di tipo αß/δ, gangli della radice dorsale, neuroni intrinseci spinali e terminali (nel funicolo dorsolaterale, nel corno dorsale e a livello della lamina X'), e neuroni che proiettano al cervello (midollo rostrale ventro-mediale, sostanza grigia periacqueduttale, amigdala e talamo). L'antinocicezione indotta dai cannabinoidi agisce sui vari livelli della via sensitiva del dolore attivando le vie antinocicettive.(Crestani F 2014)

A livello spinale, l' effetto analgesico dei cannabinoidi sembra ottenuto dall' attivazione dei recettore k degli oppioidi. Infatti, l'effetto analgesico viene annullato sia dalla somministrazione intratecale di un antagonista del recettore k sia dall'antisiero per il recettore k. Sempre a livello spinale, i cannabinoidi bloccano l’'espressione del c-fos in risposta a stimoli nocivi (Iversen L,et al., 2002), agiscono sui meccanismi di wind-up (Stragman NM et al.,1999)e riducono l’'iperalgesia attraverso l’'inibizione del calcitonin gene-related peptide (Richarson JD et al.,1999)

La sostanza grigia periacqueduttale PAG è una delle aree più fortemente coinvolte nella mediazione dell'analgesia dei cannabinoidi. Ciò può essere dovuto in parte all'inibizione diretta del rilascio del GABA nel PAG e nel midollo, in parte può essere correlata all'inibizione del rilascio di glutammato. Infatti, l'iperalgesia indotta dall'antagonista CB1 viene attenuata dalla somministrazione di antagonisti del recettore NMDA (Vaughan CM et al.,2000) Nel nucleo ventrale-postero-laterale del talamo i cannabinoidi sono dieci volte più attivi della morfina sui neuroni wide-dynamicrange, coinvolti nel dolore (Martin WJ et al.,1996); il sistema dei recettori CB1 è attivo tonicamente e la sua attività aumenta in risposta a stimoli nocivi (Martin WJ et al.,1996). E' stata dimostrata l'esistenza di un circuito mesencefalico attivato dai cannabinoidi per ridurre la sensazione dolorifica nel midollo rostro ventromediale (RVM). Infatti, l'inattivazione di questa regione previene l'analgesia da cannabinoidi.

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essere correlata, almeno in parte, al rilascio di noradrenalina. Un altro meccanismo analgesico indotto dai cannabinoidi è mediato dall'azione della dopamina sui recettori D2 essendo potenziata da agonisti e attenuata da antagonisti selettivi( Carta G et al.,1999).

Il sistema endocannabinoide è coinvolto anche nell’analgesia da stress. In più, sistema cannabinoide e oppioide mostrano un sinergismo mediato dai recettori a livello spinale e sovraspinale. A livello sovraspinale il sinergismo avviene per attivazione dei recettore µ, indicando che l'analgesia da morfina, che viene mediata prevalentemente da recettore µ, può essere aumentata dai cannabinoidi attraverso l'attivazione dei recettori k. E' stato dimostrato che l'utilizzo dei cannabinoidi riduce la necessità della morfina. Il THC è in grado di ridurre la dose minima efficace (ED50) della morfina del 55%, del metadone del 75% e della codeina del 96%.57 I recettori CB1 sono 10 volte più frequenti nel SNC dei più studiati recettori coinvolti nel dolore, i recettori oppioidi µ. Un vantaggio dei cannabinoidi è che i loro specifici recettori, a differenza di quelli della morfina, sono assenti nelle zone del cervello che controllano il respiro, per cui non vi è rischio di depressione respiratoria (Crestani F 2014).

I cannabinoidi sono altresì coinvolti nel sistema delle risposte immunitarie e infiammatorie, le quali possono agire sulla infiammazione neurogena inibendo la secrezione della sostanza P e attivando il recettore vanilloide (VP1) dei terminali delle fibre afferenti sia centrali che periferiche. Gli endocannabinoidi sono anche in relazione con il sistema della cicloossigenasi; anandamide e 2-acil glicerolo vengono infatti metabolizzati dalla COX-2 per dar origine a prostanoidi pro-infiammatori, anche se la via di metabolizzazione predominante è quella della Fatty Acid Amide Hydrolase (FAAH). In corso di infiammazione vi è un aumento dell'attività della COX-2, che quindi può determinare una riduzione del tono endocannabinoide, e gli inibitori della COX-2 potrebbero ridurre il dolore anche grazie alla riduzione della trasformazione degli endocannabinoidiantinocicettivi nei prostanoidi nocicettivi. Il sistema

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endocannabinoide è attivo anche in periferia, ove la stimolazione dei CB1 riduce il dolore, l'’infiammazione e l'’iperalgesia (Richardson JD et al., 1998).

Recentemente è stato visto che i cannabinoidi hanno un maggior effetto sul dolore neuropatico. In modelli animali di dolore neuropatico vi è una up-regulation dei recettori CB1 aumentando così gli effetti analgesici degli agonisti dei recettori cannabinoidi. L'’up-regulation dei recettori centrali CB1 dopo lesione nervosa indica un ruolo di questi in tali patologie e spiega anche gli effetti degli agonisti per i recettori cannabinoidi sul dolore cronico neuropatico (Mao J et al.,2000). Si ipotizza che nel dolore neuropatico siano più coinvolte le fibre Ad, che sono mieliniche, di piccolo calibro, connesse ai meccanocettori coinvolti nella trasmissione della sensazione tattile alla pressione e presenti solamente nella cute. Sulle fibre Ad vi è una predominanza di recettori per i cannabinoidi rispetto a quelli per gli oppioidi prevalenti nelle fibre C. Questo potrebbe spiegare in parte la maggior potenza dei cannabinoidi nel trattamento del dolore neuropatico (Mao J et al.,2000). Inoltre le vie utilizzate nell’'analgesia mediata da recettori cannabinoidi a livello della zona superficiale delle radici dorsali sono diverse da quelle caratterizzate dall'’analgesia mediata dai recettori oppiodi µ, e questo potrebbe spiegare perché gli agonisti dei recettori cannabinoidi restano efficaci, al contrario della morfina.

I cannabinoidi hanno dimostrato un potenziale terapeutico maggiore rispetto agli oppioidi nel trattare la neuropatia diabetica.

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figura 3:azione agonisti dei cannabinoidi

Sempre più studi si stanno concentrando su recettori non CB1/CB2.Uno dei recettori su cui si stanno concentrando gli studi è il recettore GPR55

Il GPR55 è stato classificato come un terzo recettore cannabinoide,accoppiato a proteine g (Derek M.et al. 2015)che potrebbe avere un ruolo importante nella modulazione della sensazione dolorifica.

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Il GPR55 è stato trovato altamente espresso nel sistema nervoso centrale,nelle ghiandole surrenali, del tratto gastrointestinale, nel polmone, nel fegato, utero, vescica, reni,e sembra essere implicato in diverse patologie che coinvolgono questi organi(Derek M.et al 2015.).

All’inizio è stato de-orfanizzato come recettore cannabinoide ma in seguito è emerso che se da una parte questo recettore lega molti ligandi tipici dei recettori dei cannabinoidi,come il delta-9-tetraidrocannabinolo,dall altra parte venga attivato da sostanze non attivanti i recettori cannabinoidi.

Questa sua caratteristica potrebbe spiegare molti effetti fisiologici non mediati da questi recettori.

Questo recettore appartiene alla classe delle protine g :GPCRs classe A a cui appartiene la rodopsina.Presenta solo un’ omologia del 13,5% con il recettore CB1 e un’ omologia del 14,4% con il recettore CB2( Derek M.et al. 2015) .

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figura 6:agonist non cannabinoidi del recettore GPR55

Il GPR55 è accoppiato a proteine G ( Gαq, Gα12, Gα13) ,la sua attivazione porta all’attivazione di PCL,RhoA,ROcK e porta ad un rilascio di calcio dal reticolo endoplasmatico con attivazione di fattori di trascrizione (Derek M.et al. 2015).

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figura 7:azione del recettore GPR55

Il GPR55 è stato trovato altamente espresso nell’uomo nel sistema nervoso centrale(caudato,putamen,e striato) nel polmone, nel fegato, utero, vescica e reni.Nei ratti inoltre sembra localizzato in differenti regioni del tratto gastro intestinale (esofago,stomaco,digiuno,e colon),nella sottomucosa , nel plesso mesenterico e nelle isole langerhans .Abbondanti quantità di mRNA del Gpr55 sono stati identificati nel tessuto adiposo e nel tessuto osseo (osteoblasti e osteoclasti).

In base alla sua localizzazione e agli studi effettuati il GPR55 può essere implicato: nella regolazione e nell’utilizzo dell’energia e nelle patologie ad essa collegate come il diabete e l’obesità.Esperimenti in vivo (McKillop et al. 2013) mostrano che il GPR55 è un forte attivatore della secrezione di insulina con una diminuizione dei livelli di glucosio nel plasma(Derek M.et al. 2015).

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suoi antagonisti potrebbero essere utilizzati nel trattamento dell’osteoporosi( Haleli S et al.,2010).

 Ad oggi tre diversi studi(Andradas et al.,2011;Ford et al.,2010;Pineiro et al.,2011 hanno evidenziato che il GPR55 potrebbe avere un’azione pro-cancerogena,al contrario Huang et al.,2011 hanno evidenziato come questo recettore abbia un ‘attività anti cancerogena.In entrambi i casi sia utilizzando un’agonista che un’antagonista del GPR55 potrebbe essere utilizzato nella terapia antitumorale(Pingwei Z. et al. 2013)

 Per verificare l’azione del recettore GPR55 nella neuro infiammazione e nel dolore neuropatico Staton et al. (2006) dopo iniezione del FCA o parziale legatura del nervo sciatico, svilupparono una linea di topi GPR55-/-. .I risultati furono che negli animali GPR55-/- sia il dolore neuropatico che la neuro infiammazione furono completamenti assenti (Brown A. 2007).

Il ruolo di questo recettore nella modulazione della sensazione dolorifica è ancora molto controverso considerando il fatto che la palmitoiletanolamina è un agonista del recettore GPR55 ed è una molto attiva sia come sostanza neuro infiammatoria che neuro protettiva.

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7 PALMITOILETANOLAMINA (PEA)

Il PEA è l’ammide dell’acido palmitico, appartenente alla famiglia delle aciletanolamine, una classe di neuromodulatori lipidici, sintetizzata a partire da un precursore fosfolipidico di membrana.

Palmitoiletanolamide (PEA) è un componente del cibo conosciuto sin dal 1957. PEA viene sintetizzato a metabolizzato nelle cellule animali attraverso enzimi e esercita una moltitudine di funzioni fisiologiche collegate all' omeostasi metabolica. Le ricerche su PEA sono state condotte per più di 50 anni e su PubMed sono stati riportati più di di 350 documenti che descrivevano le proprietà fisiologiche di questo modulatore endogeno e i suoi profili farmacologici e terapeutici . Il centro della ricerca su PEA, fin dal lavoro del Premio Nobel Levi-Montalcini nel 1993, si è basato sul dolore neuropatico e la modulazione dell’infiammazione. Seguenti ricerche hanno evidenziato il ruolo della PEA come terapia contro l’influenza e il raffreddore comune. Questo fu fatto prima della chiarificazione di Levi-Montalcini sui meccanismi d'azione di P EA, analizzando il suo ruolo come un’ agente anti-infiammatorio (J.M. Keppel,2013)

Il PEA risulta essere una grande promessa per il trattamento di un diverso numero di disordini (auto) immuni, incluse le malattie infiammatorie croniche intestinali e malattie infiammatorie del SNC.

Venne identificato per la prima volta nel tuorlo d’uovo, come responsabile dell’azione antipiretica osservata in bambini con febbre reumatica, nell’olio di arachidi e nella lecitina di soia (J.M. Keppel,2013).

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7.1 Struttura chimica del PEA

Gli effetti protettivi e antinfiammatori di PEA possono addirittura essere ritrovati nella letteratura del 1939. I batteriologi americani Coburn e Moore dimostrarono in quegli anni che l' alimentazione,basata sul tuorlo d'uovo essiccato,di cui si nutrivano i bambini che vivevano nella parte povera della città di New York, prevenivano l’insorgenza della febbre reumatica nonostante i ripetuti attacchi da infezioni emolitiche di streptococchi.

Tuttavia, l’interesse per questo composto gradualmente si smorzò per rinvigorirsi con la scoperta del sistema degli endocannabinoidi (ECS). In seguito a stimoli lesivi, la PEA viene rilasciata al fine di inibire le reazioni infiammatorie o di prevenire la propagazione dello stimolo doloroso. Questo è stato dimostrato nei leucociti(Bisogno et al.,1998), nei macrofagi (Di marzo V et al.1996), nelle cellule epidermiche di topo, in seguito a vari tipi di stress, in neuroni corticali come risposta all’aumento della concentrazione intracellulare di calcio(Cadas H et al.,1996) e nella corteccia cerebrale di topo in seguito ad ischemia focale(Franklin A et al.,2003) . Aumentati livelli di PEA sono stati inoltre riscontrati nel plasma di soggetti affetti da lombalgia in seguito a manipolazioni osteopatiche e nelle biopsie di pazienti con colite ulcerosa(Darmani NA et al.,2005). Nel plasma è presente in concentrazioni dosabili, che variano seguendo un ritmo circadiano(Balvers MG et al.,2013) .

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7.2 Biosintesi ed inattivazione

La biosintesi della PEA avviene in due passaggi:

1- Il trasferimento cAMP-calciodipendente dell’ acido palmitico dalla fosfatidilcolina (PC) alla fosfatidiletanolamide (PE), ad opera della N-acil-transferasi (NAT), con formazione dell’Nacilfosfatidiletanolamina (NAPE) 2- La formazione della PEA intracellulare a partire dal NAPE attraverso una specifica NAPE-fosfolipasi. Al contrario di altri mediatori chimici cerebrali, le aciletanolamidi non sono prodotte e immagazzinate in vescicole secretorie per poi esser rilasciate all'occorrenza ma sintetizzate “a richiesta” (su stimolo specifico solo quando necessario) ad opera precursori fosfolipidici per azione di fosfolipasi di membrana. Portata a termine la loro funzione, viene rapidamente disattivata attraverso un meccanismo comprendente vari passaggi:

• processo di ricaptazione che sembrerebbe mediato da un trasportatore di membrana (AMT) non ancora individuato.

• idrolisi della PEA intracellulare da parte d’ idrolasi lipidiche. In particolare, l’enzima deputato a questa funzione è la fatty acid amide hydrolase (FAAH)(Ueda N et al.,2002) , una serina idrolasi legata al lato intracellulare del doppio strato fosfolipidico. La sua caratteristica strutturale ne garantisce l’accesso dal lato citosolico della cellula (Bracey M.H. et al.2002,Fezza Fet al.,2005), ed è in grado di idrolizzare la PEA in acido palmitico ed etano lamina (Puffenbarger RA et al.,2005).Inoltre è stato identificato un secondo enzima, la PEA- preferring acid amidase (PAA), che sarebbe coinvolta nel processo d’idrolisi della PEA (Ueda N et al.,2001).

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figura 8:attivazione e metabolismo del PEA

7.3 Recettore attivato della proliferazione perossisomiale (PPAR-α)

Recentemente si è giunti all’identificazione della PEA come agonista endogeno del recettore della proliferazione perossisomiale PPAR-α(Lo Verme J et al.,2005) ; inoltre, la scomparsa degli effetti analgesici negli animali knock-out per il recettore PPAR-α, in seguito al trattamento con la PEA(Lo Verme J et al.2005,D’agostino Get al.,2007) , supporta fortemente la teoria che tale sostanza medii i suoi effetti tramite questo recettore. I PPARs appartengono alla famiglia dei recettori nucleari a cui fanno parte i recettori steroidei, tiroidei e

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retinoici(Desvergne B. and Wahli W.,1999). Ad oggi sono stati identificati tre diversi sottotipi recettoriali del PPAR (α, β/δ e γ), le cui azioni si risolvono in una vasta e differenziata gamma di effetti biologici dipendenti dalla localizzazione tissutale e dal profilo chimico del ligando coinvolto nell’attivazione (Kliewer SA et al.,1994;Forman BM et al.,1997).

In presenza del ligando, i PPAR sono in grado di legare direttamente una specifica sequenza di DNA, regolando l’espressione genica attraverso co-attivatori trascrizionali(Nolte RT et al. 1998;Berger J and Moller DE 2002;Castrillo A and Tontonoz p 2004) . La PEA interagisce con questo recettore, esplicando i suoi effetti antiinfiammatori, con una potenza simile a quella dell’ agonista sintetico WY14-643. Si tratta inoltre di un’azione selettiva, essendo la PEA incapace di attivare le isoforme recettoriali β/δ o PPAR-γ (Lo Verme J et al.,2005). Per quanto concerne i recettori PPAR-α e PPAR-PPAR-γ, è riportato un loro ruolo chiave nella regolazione della risposta infiammatoria, con prove sperimentali sia in vivo che in vitro (Devchand PR et al.,1996;Delerive P et al.,2001;Kostantinova R et al.,2005) . I farmaci in grado di attivare tali recettori, quali i tiazolidindioni e i fibrati, modulando il metabolismo lipidico e glucidico, costituiscono una valida terapia per pazienti affetti da dislipidemie, diabete di tipo II, aterosclerosi e malattie cardiovascolari. La distribuzione tissutale del PPAR-α è piuttosto varia. La sua localizzazione nel SNC è stata ampiamente dimostrata, a livello cerebrale(Moreno S et al.,2004), spinale (Benani A et al.,2004;Moreno S et al.,2004,D’Agostino G et al .,2007) e gangliare (Lo Verme J et al.,2005;D’agostino G et al.,2007). Il PPAR-á è espresso nel fegato, nel rene, nel cuore e nel tessuto adiposo bruno. I primi studi negli anni ’90 hanno evidenziato la sua importanza nella regolazione dei geni coinvolti nei processi metabolici cellulari. La prima indicazione di un possibile ruolo del PPAR nella modulazione dell’infiammazione si è avuta con la dimostrazione che il leucotriene B4 (LTB4), un potente eicosanoideproinfiammatorio chemiotattico, lega il recettore PPAR-α, attivando

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