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Influenza del movimento dell'acqua intestinale sulla diffusione di nanoparticelle attraverso il muco

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

INFLUENZA DEL MOVIMENTO DELL'ACQUA

INTESTINALE SULLA DIFFUSIONE DI NANOPARTICELLE

ATTRAVERSO IL MUCO

Relatori:

Dott.ssa Fabiano Angela

Dott. Cecchini Marco

Candidata:

Venera Zarbo

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INDICE

1 INTRODUZIONE ... 4

1.1 Via di somministrazione orale ... 5

1.1.1 La mucosa intestinale ... 6

1.1.2 Il muco ... 7

1.1.3 Principali funzioni del muco... 8

1.2 Innovazioni tecnologiche per il superamento della barriera mucosale ... 10

1.2.1 Il chitosano ... 10

1.2.2 Vantaggi del chitosano nelle somministrazioni orali ... 12

1.2.3 Limiti nell’utilizzo del chitosano ... 13

1.2.4 Derivati del chitosano ... 14

1.2.5 Preparazione delle nanoparticelle di chitosano ... 15

1.3 Studio della diffusione di particelle attraverso il muco ... 17

1.3.1 Ruolo dell’acqua nell’assorbimento intestinale ... 19

1.3.2 Nuovi approcci sullo studio della diffusione particellare ... 19

2 PARTE SPERIMENTALE ... 22

2.1 Materiali e Metodi ... 23

2.1.1 Materiali ... 23

2.1.2 Sintesi del derivato ammonio quaternario del Chitosano (QA-Ch) ... 24

2.1.3 Attacco covalente di gruppi tiolici sul derivato QA-Ch ... 25

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2.1.5 Sintesi del derivato QA-Ch-S-protetto ... 26

2.1.6 Determinazione del contenuto di gruppi tiolo e disolfuro nei derivati QA-Ch-SH e QA-Ch-S-protetto ... 27

2.1.7 Quantificazione del ligando aromatico 6-MNA ... 28

2.1.8 Marcatura dei derivati QA-Ch e QA-Ch-S-protetto con fluoresceina isotiocianato (FITC) ... 28

2.1.9 Depolimerizzazione dell’Acido Ialuronico ... 28

2.1.10 Preparazione e caratterizzazione di nanoparticelle a base di QA-Ch-fluoresceinato e QA-Ch-S-pro-QA-Ch-fluoresceinato ... 29

2.1.11 Purificazione del muco intestinale ... 29

2.1.12 Sviluppo del dispositivo microfluidico: Soft Lithography e Replica molding 29 2.1.13 Caratterizzazione del dispositivo microfluidico ... 31

2.1.15 Definizione del modello sperimentale da seguire... 33

2.1.16 Utilizzo del sistema microfluidico per lo studio della diffusione particellare nel muco intestinale... 34

3 RISULTATI E DISCUSSIONI ... 35

3.1 Sintesi dei coniugati QA-Ch ... 35

3.2 Attacco covalente dei gruppi tiolici sul derivato QA-Ch... 35

3.3 Caratterizzazione dei derivati QA-Ch-SH e QA-Ch-S-protetto ... 36

3.4 Caratterizzazione nanoparticelle a base di QA-Ch-fluoresceinato e QA-Ch-S-pro-fluoresceinato ... 37

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3.6 Utilizzo del sistema microfluidico per lo studio della diffusione particellare nel

muco intestinale ... 38

4 CONCLUSIONI ... 41

5 FIGURE E TABELLE ... 43

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1 INTRODUZIONE

Il settore tecnologico farmaceutico ha posto, nel corso degli ultimi anni, una maggiore attenzione sullo sviluppo di metodiche in grado di valutare il comportamento di nuovi e più efficienti sistemi di rilascio di farmaci in funzione delle diverse vie di somministrazione. Sistemi micro e nanoparticellari a base polimerica, nanocapsule, liposomi, sono solo alcune di queste forme farmaceutiche tecnologicamente avanzate e hanno come obiettivo principale quello di raggiungere il target farmacologico in maniera più mirata. Essi vengono definiti sistemi a rilascio controllato poiché è possibile gestire la liberazione del farmaco in funzione di tre fattori ovvero la velocità, il tempo e il sito d’azione. Modificare uno di questi elementi fa sì che si possa aumentare l’efficienza di alcune tipologie di farmaci superando i limiti di natura biologica e fisiologica che influenzano l’assorbimento del principio attivo (PA). Ad esempio, la somministrazione orale di alcuni farmaci, come gli antinfiammatori non steroidei, potrebbe provocare danni a carico della mucosa gastrica, quali emorragie e gastriti erosive; alcuni PA non vengono assorbiti dal tratto gastrointestinale, altri subiscono inattivazione o distruzione da parte degli enzimi del succo gastrico e/o dal pH estremamente acido, come i farmaci peptidici. Inoltre, le forme farmaceutiche a rilascio modificato potrebbero essere vantaggiose nel favorire la somministrazione contemporanea di più PA che in altre condizioni risulterebbero incompatibili da un punto di vista chimico.

I sistemi a rilascio controllato sono in grado di raggiungere il target in modo mirato evitando la distribuzione agli altri tessuti e garantendo il massimo della biodisponibilità.

La progettazione di queste nuove forme farmaceutiche prevede, inoltre, la valutazione della via di somministrazione più ottimale basandosi sia sulla natura del principio attivo (facilmente degradabile a livello gastrico, soggetto ad un rapido metabolismo enteroepatico, non in grado di raggiungere velocemente il sito bersaglio, ecc), sia sul tipo di patologia da

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affrontare al fine di migliorare la compliance del paziente: si pensi ad esempio alla riduzione della frequenza di somministrazione della terapia o alla stretta necessità, per alcuni PA, di utilizzare vie invasive. Sono state prese in considerazione la via orale, oculare, buccale, nasale e vaginale. Ciò che accomuna principalmente queste vie di somministrazione è la presenza di una mucosa a rivestimento dell’epitelio, cosa che ha portato al concetto di bio-mucoadesione come punto di forza per le forme farmaceutiche innovative. La progettazione di nuovi carrier di dimensioni nanometriche ha visto il susseguirsi di diverse tipologie di materiali e tecniche necessari per la realizzazione di sistemi biocompatibili, che avessero caratteristiche mucoadesive adatte al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Ad oggi i sistemi micro e nanoparticellari realizzati a partire da polimeri mucoadesivi hanno stimolato l’interesse di gruppi di ricerca che si sono adoperati per la valutazione del loro comportamento a livello biologico attraverso esperimenti in vitro e in vivo. Sono stati analizzati in particolare i meccanismi in cui le nanoparticelle interagiscono con le mucose e sono stati creati dei modelli in grado di studiare i processi di diffusione delle particelle attraverso il muco.

1.1 Via di somministrazione orale

La via orale è considerata la via di somministrazione d’elezione per l’assunzione di farmaci poiché è facilmente accessibile e non invasiva, quindi utilizzabile nell’automedicazione migliorando la compliance del paziente (in special modo per quel che riguarda i trattamenti terapeutici per patologie croniche), ma principalmente perché una buona parte dei PA riesce ad essere assimilata e assorbita a livello gastrointestinale. Tuttavia esistono alcuni svantaggi nell’utilizzo di questa via di somministrazione quali la comparsa di effetti collaterali gastrolesivi oppure la ridotta biodisponibilità del PA dovuta alla sua metabolizzazione per effetto di primo passaggio a livello epatico.

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In realtà il metabolismo enteroepatico non è l’unica via attraverso cui viene limitato il raggiungimento di una concentrazione plasmatica di farmaco elevata. La biodisponibilità di un farmaco assunto per via orale può essere influenzata, infatti, da parametri fisiologici come la presenza di cibo e il tempo di svuotamento gastrico, la motilità intestinale, la presenza di condizioni patologiche che alterano la funzionalità fisiologica del tratto gastrointestinale (GI), oppure dalle caratteristiche chimico-fisiche dei principi attivi quali la stabilità a determinati valori di pH o la possibilità di subire degradazione enzimatica.

Lo sviluppo di nuovi sistemi di rilascio di farmaci deve tenere conto delle limitazioni connesse alla via di somministrazione orale, superandole per garantire il raggiungimento della massima efficienza nell’assorbimento del PA.

1.1.1 La mucosa intestinale

Il transito gastrointestinale prevede il passaggio attraverso diversi distretti in cui possono essere presenti condizioni fisiologiche molto differenti tra loro, un tipico esempio può essere la variabilità nei valori di pH dei vari ambienti o la presenza di enzimi e della flora batterica. Anatomicamente gli organi appartenenti al sistema GI hanno la struttura tipica degli organi cavi, sono costituiti da 4 tonache (o strati) sovrapposte: la tonaca mucosa, strato fondamentale nel processo di assorbimento poiché le sostanze (nutrienti o farmaci) devono riuscire ad attraversarla al fine di poter raggiungere la circolazione sistemica. Questa, a sua volta, presenta una stratificazione: il versante luminale è rappresentato dall’epitelio di

rivestimento, da cui sporgono i dotti delle ghiandole mucipare, subito seguito dalla lamina propria costituita da tessuto connettivo in cui è possibile individuare vasi sanguigni e

ghiandole ed infine vi è la muscolaris mucosae, un sottile strato di muscolatura liscia. Al di là della tonaca mucosa è possibile individuare la tonaca sottomucosa, anch’essa caratterizzata dalla presenza di vasi sanguigni e linfatici; proseguendo troviamo la tonaca

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muscolare costituita da tessuto muscolare liscio ed infine si può osservare la presenza di una tonaca sierosa necessaria per dare una struttura all’organo in questione.

A differenza degli epiteli di rivestimento che si trovano all’esterno del nostro organismo, (si pensi allo strato corneo della pelle) che sono impermeabilizzati dalla cheratina, gli epiteli di rivestimento delle mucose, all’interno degli organi cavi, sono protetti da uno strato di muco che viene costantemente secreto dalle ghiandole caliciformi situate alla base della tonaca mucosa.

Lo stomaco e le diverse porzioni di intestino, pur presentando la stessa suddivisione a livello delle tonache, sono morfologicamente differenti. Il primo presenta un epitelio di rivestimento sollevato in pieghe che ne aumentano la superficie, da cui emergono i dotti secretori delle ghiandole gastriche che secernono HCl, enzimi e muco. A livello gastrico, però, avviene solo una piccola percentuale di assorbimento: la gran parte delle sostanze viene assorbita, infatti, a livello intestinale, in particolare nella prima porzione, l’intestino tenue. Qui l’epitelio di rivestimento mostra un’area superficiale elevatissima grazie alla presenza dei cosiddetti villi e microvilli, estroflessioni digitiformi originate dall’intera superficie mucosale, e la quantità di cellule caliciformi ad attività secretoria è nettamente superiore.

1.1.2 Il muco

La presenza del muco nel nostro organismo è molto importante: i ruoli che riveste questa sostanza viscoelastica non sono pochi e possono variare da un organo ad un altro.

Da un punto di vista strutturale, il muco è costituito da una serie di elementi che contribuiscono biologicamente al mantenimento delle sue caratteristiche di viscoelasticità necessarie per lo svolgimento delle sue funzioni. Sebbene la stragrande maggioranza della sua composizione è rappresentata dall’acqua, strutturalmente le fibre di mucina rappresentano la porzione principale del muco; oltre ad essa sono presenti lipidi, proteine, e

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sali minerali. Tutti i componenti del muco partecipano al mantenimento delle sue caratteristiche reologiche, ma le mucine apportano il contributo maggiore perché costituite da glicoproteine in grado di creare legami inter ed intra-molecolari favorendo la formazione di macromolecole che donano la rigidità necessaria alla struttura. Inoltre la maggior parte delle fibre di mucina ha un elevato contenuto di gruppi acidi sulla superficie dovuti principalmente alla presenza di acido sialico e gruppi solfato, ciò porta ad una carica superficiale negativa fondamentale ai fini della mucoadesione dei sistemi a rilascio controllato [Lai, Samuel K., et al. (2009)].

Nonostante la composizione chimica sia la stessa, il muco può presentare differenze a seconda di quale distretto dell’organismo stia rivestendo. All’interno di organi come l’intestino o il tratto cervico-vaginale, ad esempio, il muco è disposto in un doppio strato con lo scopo di favorire la lubrificazione: quello in intimo contatto con le cellule epiteliali viene definito strato acquoso fisso (unstirred layer) e non subisce nessuna modifica strutturale al passaggio di un corpo (ad esempio durante la peristalsi); nel versante luminale invece vi è uno strato di muco non aderente alle cellule epiteliali che, a differenza del primo, è soggetto a rimescolamento e subisce una deformazione che provoca uno slittamento laterale tra i due strati, come nel caso del passaggio del chilo nel tratto GI. Da ciò si evince che il muco viene costantemente secreto e rinnovato e il rapporto tra secrezione, disgregazione ed eliminazione incide sullo spessore e sull’attività dello strato mucoso nei vari distretti dell’organismo.

1.1.3 Principali funzioni del muco

Tra le aree del corpo in cui è presente un rivestimento di muco possiamo indicare la superficie luminale del tratto gastrointestinale, cervico-vaginale, uretrale, e dei tessuti oculare, respiratorio e buccale. A seconda del tipo di organo è possibile notare una diversificazione nelle funzioni del muco. In alcuni casi viene espletata una funzione

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meccanica, la lubrificazione, necessaria a minimizzare lo sfregamento tra gli organi, o a favorire il passaggio di masse come per la peristalsi. In generale, però, il ruolo più importante è dato dalla creazione di una barriera volta a proteggere aree suscettibili da patogeni, tossine o sostanze estranee all’organismo. Il muco agisce quindi come una membrana semipermeabile, permettendo il passaggio di nutrienti, acqua, gas e intrappolando sostanze “indesiderate” prima che queste riescano a raggiungere l’epitelio di rivestimento.

Il costante rinnovamento dello strato di muco, così come il mantenimento dello strato acquoso fisso o le proprietà reologiche di viscoelasticità, contribuiscono in modo importante al mantenimento della funzione di barriera [Cone, R. A. (2009)]. La velocità con cui lo strato di muco si rinnova impedisce alle sostanze che tentano di attraversarlo controcorrente di raggiungere rapidamente la superficie epiteliale. Inoltre, a seguito di un meccanismo di difesa, la presenza di sostanze esterne tossiche o irritanti fa sì che la frequenza di secrezione di muco aumenti favorendo una più rapida eliminazione delle stesse. La presenza del doppio strato di muco è anch’essa molto importante per l’attività protettiva; lo strato luminale è sottoposto a un costante movimento che non coinvolge lo strato sottostante, questo implica che, per poter essere assorbite, le sostanze devono essere abili nel resistere allo scivolamento del primo strato e nel diffondere nello strato acquoso fisso.

L’intreccio più o meno fitto delle fibre di mucina contribuisce, infine, da un punto di vista sia sterico sia chimico alla funzionalità della barriera protettiva. Particelle più grandi dei pori, originati dalla trama di fibre di mucina, vengono intrappolate come all’interno di un setaccio, impedendone fisicamente il raggiungimento dell’epitelio. Ciò potrebbe far pensare che particelle di dimensioni ridotte possano essere libere di attraversare lo strato di muco, ma a questo livello intervengono i gruppi funzionali presenti sulla superficie delle mucine generando la formazione di legami chimici con le particelle e ostacolandone la diffusione [Cone, R. A. (2009)].

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1.2 Innovazioni tecnologiche per il superamento della barriera mucosale

La barriera generata dalla presenza del muco ha suscitato un notevole interesse per lo studio e lo sviluppo di nuovi sistemi di trasporto farmacologici. Sono nate così due strategie volte al superamento dello strato mucosale: la via muco-penetrante e la via mucoadesiva. I sistemi di trasporto particellari muco-penetranti (MPP) sono caratterizzati dalla capacità di attraversare rapidamente la mucosa fino a raggiungere la regione epiteliale in cui avviene l’assorbimento. I sistemi particellari mucoadesivi (MAP), invece, fondano la loro strategia nell’aumentare il grado di adesione della particella al muco in modo da ottenere un tempo di permanenza in-situ maggiore [Netsomboon, Kesinee et al. (2016)].

Nonostante mostrino proprietà esattamente opposte, sia i sistemi mucopenetranti sia quelli mucoadesivi hanno mostrato un enorme potenziale in numerosi esperimenti in vitro e in vivo, portando ad una efficacia terapeutica locale e sistemica decisamente incrementata.

1.2.1 Il chitosano

Tra i polimeri largamente utilizzati per la realizzazione di nanosistemi mucoadesivi possiamo trovare il chitosano (Figura 1), un polisaccaride caratterizzato da legami β(1 → 4) tra unità di glucosammina e N-acetilglucosammina, ottenuto dalla deacetilazione parziale alcalina della chitina.

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La chitina (Figura 2), a sua volta, è un importante biopolimero presente in natura all’interno degli esoscheletri dei crostacei e come componente delle pareti cellulari di batteri e funghi e presenta legami β (1 → 4) tra unità di N-acetil-D-glucosammina.

Figura 2: Struttura della Chitina

A seconda delle condizioni in cui avviene la reazione di deacetilazione della chitina, è possibile incorrere nella formazione di diversi tipi di chitosano aventi, ad esempio, solubilità diverse. Il polimero ottenuto in condizioni eterogenee risulta insolubile in acqua, sebbene diventi solubile a pH acido; al contrario la reazione in condizioni omogenee produce un chitosano solubile in acqua [Peniche, H., Peniche, C. (2011)].

La notorietà del chitosano come polimero altamente biocompatibile, scarsamente tossico e non allergenico, ha fatto sì che venisse largamente utilizzato per applicazioni farmacologiche o terapeutiche. Inoltre è stato riconosciuto come antimicrobico, antivirale, antitumorale e immuno-adiuvante.

Questo polimero esplica l’attività mucoadesiva attraverso la formazione di interazioni ioniche tra i gruppi amminici carichi positivamente presenti sulla sua superficie e i gruppi funzionali carichi negativamente presenti sulla superficie delle fibre di mucina, ad esempio i residui di acido sialico.

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Grazie alle proprietà mucoadesive del chitosano è possibile ottenere una permanenza prolungata del farmaco in situ che determina un rilascio controllato del principio attivo e l’aumento dell’assorbimento dello stesso, evitando la rapida eliminazione dovuta al costante rinnovamento del muco. In questo modo si potrà avere un aumento della biodisponibilità dei principi attivi.

1.2.2 Vantaggi del chitosano nelle somministrazioni orali

L’abbondanza della chitina in natura così come il basso profilo tossicologico hanno stimolato l’interesse di ricercatori di tutto il mondo che ne hanno valutato i potenziali farmaceutici e le possibili applicazioni farmacologiche.

La scelta dell’utilizzo del chitosano per lo sviluppo di formulazioni orali a rilascio controllato ricade sulle diverse proprietà che questo polimero presenta.

La capacità di mucoadesione è solo una tra le caratteristiche del chitosano che lo rendono il candidato ideale per la somministrazione orale di farmaci. Tra le proprietà che lo contraddistinguono vi sono anche la capacità di aumentare la permeabilità delle cellule epiteliali e quella di favorire l’inibizione enzimatica [Bernkop-Schnürch, A., (2000)]. Il chitosano permette l’assorbimento per via paracellulare di molecole polari attraverso le membrane. Questo processo avviene in modo reversibile, senza danneggiare le cellule epiteliali, grazie alle cariche positive del polimero che interagiscono con la membrana cellulare favorendo una riorganizzazione delle giunzioni strette dell’epitelio.

Un’altra proprietà del chitosano è rappresentata dalla capacità di favorire sia direttamente che indirettamente l’inibizione enzimatica a livello intestinale. I farmaci peptidici, se somministrati oralmente, possono incorrere in una riduzione della biodisponibilità dovuta alla presenza di enzimi proteolitici secreti dal pancres responsabili del loro metabolismo. Le modalità per evitare questo metabolismo presistemico dei farmaci peptidici hanno previsto

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ad esempio l’introduzione del PA in sistemi di rilascio controllato come liposomi o nanoparticelle in modo da veicolare il farmaco direttamente nel colon dove l’attacco enzimatico risulta limitato, oppure la co-somministrazione di inibitori enzimatici immobilizzati su matrici polimeriche. Il chitosano quindi svolge l’attività di inibizione indiretta delle proteasi intestinali grazie alla formazione di legami ammidici con diversi inibitori enzimatici.

Il metabolismo presistemico di farmaci peptidici, però, può essere dovuto anche ad altre categorie di enzimi tra cui le metallo-peptidasi. In questo contesto il chitosano svolge direttamente l’inibizione enzimatica grazie alle sue spiccate proprietà chelanti dovute a diversi fattori, quali l’elevata idrofilicità connessa alla presenza di gruppi -OH sulla sua superficie o la flessibilità della catena polimerica che permette al chitosano di adattarsi alla complessazione con gli ioni metallici. Nonostante ciò, le proprietà chelanti del chitosano sono insufficienti per inibire le metallo-proteasi, quindi spesso viene modificato chimicamente, formando dei derivati con caratteristiche complessanti molto più spiccate (ad esempio il complesso Chitosano-EDTA).

In base a quanto detto, la grande versatilità del chitosano ne ha permesso l’utilizzo sia in ambito farmacologico che biologico, non solo come adiuvante farmaceutico ma anche come composto biologicamente attivo.

1.2.3 Limiti nell’utilizzo del chitosano

Il chitosano è considerato un promotore dell’assorbimento di farmaci attraverso le mucose; è solubile in soluzioni acquose a pH acido e in soluzioni aventi valori di pH inferiori a 6,5: in queste condizioni la carica superficiale positiva è netta e il polimero riesce a generare legami ionici con i residui superficiali carichi negativamente delle sostanze con cui entra in contatto. Il limite a cui si è dovuto far fronte, per favorire un utilizzo ad ampio raggio del

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chitosano, ha riguardato la sua scarsa solubilità in ambiente alcalino e neutro [Singla, A. K., Chawla, M. (2001)]. A questo proposito, nel corso degli anni sono state effettuate delle modifiche chimiche alla struttura del chitosano, che ne hanno migliorato le condizioni di solubilità pur mantenendo salde e immutate le sue caratteristiche di mucoadesione.

1.2.4 Derivati del chitosano

L’efficacia del chitosano come promotore dell’assorbimento di farmaci è severamente limitata dalla sua insolubilità in presenza di pH neutro nella maggior parte degli ambienti fisiologici. Per superare questo ostacolo è stato necessario modificare la struttura del polimero introducendo gruppi ammonici quaternari sulle sue catene. I derivati

ammonio-quaternari del chitosano così ottenuti sono solubili in acqua a qualsiasi valore di pH e la

carica superficiale dei questi polimeri diventa indipendente dal pH. La quaternarizzazione mantiene le proprietà mucoadesive del polimero, potenziando inoltre la capacità di promuovere l’assorbimento di farmaci polari e apolari attraverso i diversi epiteli mucosali. Lo studio della capacità di mucoadesione del chitosano, però, è stato sempre in costante sviluppo, tanto da arrivare alla scoperta, nell’ultimo ventennio, di derivati polimerici biocompatibili più idonei per il rilascio controllato dei farmaci. L’introduzione di gruppi tiolici sui residui amminici primari del polimero ha determinato un notevole incremento nella mucoadesione poiché si vengono a creare legami covalenti tra i residui di cisteina presenti sulle catene laterali delle glicoproteine del muco e i gruppi –SH del polimero, attraverso una reazione di scambio tiolo/disolfuro o tramite un semplice processo di ossidazione. È nata così una nuova generazione di polimeri mucoadesivi detti appunto

tiomeri o polimeri tiolati, per i quali l’incremento delle caratteristiche di mucoadesione ha

portato, di conseguenza, ad un aumento della permanenza degli stessi sul sito target, una promozione dell’assorbimento del farmaco, e infine ad una amplificazione della

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biodisponibilità farmacologica. Tuttavia, le enormi potenzialità dei tiomeri sono limitate dalla loro tendenza ad incorrere in processi di ossidazione quando si trovano in soluzione con valori di pH maggiori di 5 e ciò può ostacolare l’interazione dei polimeri con le mucine vanificando le migliorie apportate.

Questo ha posto in evidenza la necessità di realizzare degli ulteriori derivati del chitosano con cui far fronte alla tendenza all’ossidazione dei polimeri tiolati. Per questo è stata prevista l’introduzione di un gruppo funzionale in grado di proteggere il gruppo –SH: si tratta della 6-mercaptonicotinammide, un residuo capace di generare ponti disolfuro con il polimero tiolato. La nuova modifica ha reso possibile l’utilizzo di questa nuova categoria di polimeri chiamati chitosano-S-protetti con attività mucoadesiva nettamente superiore rispetto al chitosano non modificato.

1.2.5 Preparazione delle nanoparticelle di chitosano

Le nanoparticelle polimeriche, grazie alle loro dimensioni sub-micrometriche, sono state proposte come vettori per la veicolazione sito-specifica e il conseguente rilascio di farmaci. Possono essere prodotte a partire da polimeri di diversa natura, sintetici o di origine naturale, che devono in tutti i casi rispettare le caratteristiche di biocompatibilità e biodegradabilità in modo da essere ben tollerati dall’organismo ed evitare l’insorgenza di effetti tossici.

Esistono diversi metodi per la preparazione delle nanoparticelle e la scelta di un particolare metodo o del polimero adatto dipende dalle proprietà chimico-fisiche del PA, dalla biodegradabilità/biocompatibilità del polimero, dagli obiettivi terapeutici, dalla via di somministrazione ma soprattutto dalla possibilità di ottenere una elevata efficienza di incapsulamento del farmaco.

Il chitosano mostra il profilo perfetto per la formulazione di nanoparticelle grazie alle sue innumerevoli caratteristiche come la biocompatibilità e la biodegradabilità. Non è tossico e

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svolge una serie di attività biologiche che lo rendono un buon candidato per la veicolazione di farmaci.

Per la preparazione di nanoparticelle di chitosano, bisogna tenere in considerazione la naturale tendenza delle nanoparticelle all’agglomerazione dovuta alla loro elevata energia libera superficiale. Possono essere preparate in diversi modi tra cui possiamo elencare la

reticolazione ionotropica, la coacervazione, la microemulsione, e la coalescenza di goccioline in emulsione.

 La reticolazione ionotropica è una tecnica che consiste nella formazione di legami ionici tra il chitosano e alcuni contro-ioni come citrato, sodio tripolifosfato o acido ialuronico. Il procedimento viene effettuato in ambiente acquoso e non prevede l’uso di solventi organici: si procede addizionando ad una soluzione diluita di chitosano, una soluzione del contro-ione prescelto (o viceversa), mantenendo il tutto sotto agitazione. In questo caso le dimensioni delle nanoparticelle ottenute dipenderà dalle concentrazioni delle due soluzioni utilizzate. Una limitazione legata a questo metodo può riguardare la bassa stabilità della dispersione colloidale per la quale spesso è necessario addizionare degli stabilizzatori e utilizzare soluzioni molto più diluite, che può essere un problema quando si vogliono preparare grandi quantità di nanoparticelle.

 La coacervazione è un processo fisico di separazione di fase, tipico delle dispersioni polimeriche. La variazione di parametri fisici come il pH o la temperatura, o l’addizione di componenti aggiuntivi alla soluzione polimerica fa sì che si abbia la formazione di due fasi distinte, il coacervato e il solvente. Continuando ad applicare le suddette condizioni si avrà la netta separazione di fase con conseguente precipitazione del polimero. La tecnica della coacervazione rappresenta uno degli approcci più comuni per la preparazione di nanosistemi anche a livello industriale.

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La coacervazione è ottenuta grazie all’interazione tra il polimero poli-ionico e alcuni contro-ioni (o un polimero di carica opposta). Il complesso polimerico ottenuto formerà una barriera insolubile che ricopre le particelle. Le nanoparticelle si ottengono disperdendo il principio attivo in una soluzione del polimero prescelto e inducendo la coacervazione. Il complesso si separerà formando una fase ricca di polimero e una molto diluita.

 La microemulsione si forma sospendendo una soluzione acquosa di chitosano contenente il farmaco in una fase organica costituita da solvente e tensioattivo, sotto continua agitazione, ottenendo un’emulsione acqua/olio. Per ottenere nanoparticelle insolubili viene aggiunto un agente reticolante, dopodiché si ha l’evaporazione del solvente organico e l’allontanamento del tensioattivo dal pellet ottenuto dopo l’evaporazione. Il principale inconveniente della microemulsione riguarda l’uso di solventi organici aggressivi che possono essere tossici possono influire sulla stabilità chimica e l’attività biologica del farmaco incorporato all’interno delle nanoparticelle.  Il metodo della coalescenza di goccioline in emulsione consiste nel preparare un’emulsione acqua/olio stabile di una soluzione di chitosano in olio di paraffina e una simile utilizzando una soluzione di NaOH come fase acquosa. Le due emulsioni vengono unite sotto vigorosa agitazione e in questo modo le goccioline coalescono facendo sì che si abbia la precipitazione di piccole particelle di chitosano. Il peso molecolare del chitosano e il tipo di farmaco da incapsulare influenzano fortemente le dimensioni delle particelle ottenute e l’incapsulamento del farmaco.

1.3 Studio della diffusione di particelle attraverso il muco

Il muco è una delle barriere biologiche che un sistema a rilascio controllato deve attraversare al fine di raggiungere il sito d’azione. Questo gel viscoelastico svolge il ruolo di barriera

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intrappolando le particelle che entrano in contatto con esso, ostacolandone stericamente il passaggio oppure attraverso processi di adesione dovuti alla formazione di interazioni molecolari. In alcuni casi, la mucosa subisce un rapido rinnovamento dello strato di muco, come nel caso del tratto GI, e ciò rappresenta un ulteriore ostacolo per la permeabilità delle particelle che in questo modo vengono velocemente eliminate e spesso non sono nemmeno in grado di raggiungere il sito bersaglio.

Alla luce di quanto appena descritto risulta di primaria importanza lo studio e lo sviluppo di tecniche volte ad una accurata valutazione delle interazioni tra le particelle e il muco in modo da progettare sistemi di rilascio di farmaci molto più efficienti.

Nel corso degli anni sono stati messi in evidenza numerosi metodi analitici orientati alla comprensione del comportamento di nanocarriers all’interno del muco. Le differenze principali tra le diverse tecniche riguardano la tipologia di muco utilizzata per gli esperimenti (come la semplice mucina, il muco artificiale o il muco naturale di maiale o umano, sano o patologico), così come le proprietà fisico-chimiche delle particelle impiegate, ma soprattutto le condizioni sperimentali in cui vengono condotti gli studi sulla diffusione.

Ad oggi sono disponibili diversi metodi per misurare la diffusione di particelle attraverso i sistemi mucosali e alcuni esempi possono essere il multiple particle tracking (MPT), la

tecnica del tubo di silicone rotante o le camere di diffusione. Il MPT è una tecnica che

permette di misurare in modo dinamico e accurato il movimento di singole particelle all’interno di una matrice eterogenea, ad esempio il muco, cosa che contrasta con le tecniche statiche che quantificano il movimento in massa delle particelle. Ciò avviene grazie all’impiego della video microscopia e l’analisi post-acquisizione della traiettoria di particelle in funzione del tempo, attraverso dei particolari software e fornisce informazioni sul modo in cui le particelle interagiscono con il substrato in cui si stanno muovendo. La tecnica del

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nanoparticelle (NP) (ad esempio più o meno mucoadesive) in funzione del loro grado di penetrazione nel muco, mentre le camere di diffusione permettono di quantificare il trasporto e le funzioni di barriera di tessuti freschi rimossi chirurgicamente monitorandone la permeabilità.

1.3.1 Ruolo dell’acqua nell’assorbimento intestinale

I meccanismi fisiologici e biochimici che si trovano alla base del processo di assorbimento intestinale sono complessi. È noto che il ruolo fondamentale dell’intestino è quello di assimilare nutrienti provenienti dal processo digestivo. Il trasporto gastrointestinale delle sostanze è mediato, oltre che dalla peristalsi, anche dalla presenza di una grande quantità di fluidi lungo tutto il tubo digerente. Un uomo adulto secerne ogni giorno ~10 L di acqua nel tratto GI dei quali 9,8 L sono riassorbiti attraverso gli epiteli [Cone, R. A. (1999)]. Il riassorbimento di quest’acqua incrementa il trasporto e l’assorbimento di nutrienti e piccole molecole che possono penetrare nel muco più facilmente. Quindi l’assimilazione attraverso la barriera intestinale non riguarda solo le sostanze nutritive, ma anche acqua e sali minerali allo scopo di bilanciare l’osmolarità del sangue.

Il movimento dell’acqua all’interno del tratto GI avviene in due modi diversi: il flusso longitudinale va dal duodeno al colon mentre quello trasversale dal lume intestinale all’epitelio e viceversa. La presenza dell’acqua nell’intestino, dunque, non è da sottovalutare ai fini dello studio della diffusione particellare, ma i modelli di studio sopracitati non tengono in considerazione questo fattore che potrebbe essere sfruttato per orientarsi verso la progettazione di sistemi di rilascio farmacologici molto più efficienti.

1.3.2 Nuovi approcci sullo studio della diffusione particellare

La diffusione delle sostanze attraverso le mucose è un fenomeno complesso; per valutare ciò che avviene in vivo è necessario scegliere un tipo di muco, da adoperare negli esperimenti

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in vitro, che sia simile in composizione e struttura alle condizioni reali e controllare attentamente i parametri sperimentali da utilizzare [Groo, A., Lagarce, F., (2014)].

Le proprietà del muco e la sua composizione differiscono in funzione della sua collocazione dell’organismo. Questo è un fattore di primaria importanza da tenere in considerazione per la progettazione di sistemi di rilascio di farmaci adeguati.

Oltre al muco, esistono altri elementi fisiologici che possono fare da discriminante per il processo diffusivo, come la quantità di acqua che viene costantemente prodotta e riassorbita nel lume intestinale.

Alcuni dei modelli finora realizzati analizzano la diffusione particellare da vari punti di vista, senza però tenere in considerazione il flusso d’acqua esistente a livello intestinale, ma attraverso un nuovo metodo sperimentale è stato possibile dimostrare che la presenza dell’acqua è in grado di influenzare positivamente questo processo [Fabiano, A. et al. (2016)].

Dunque è possibile affermare che la ricerca in questo ambito è in continuo avanzamento e a questo proposito ha iniziato a farsi strada l’utilizzo di dispositivi microfluidici.

La microfabbricazione di dispositivi microfluidici rappresenta una nuova frontiera nei campi della biosensoristica e della ricerca di nuovi farmaci. La scelta di adoperare questo genere di sistemi ricade sulla quantità di vantaggi che possono scaturire dal loro impiego, quali l’elevato controllo dei fluidi, altrimenti impossibile con i sistemi fluidici convenzionali, o la possibilità di ricreare, in dimensioni estremamente ridotte, ambienti tridimensionali riconducibili a quelli biologici.

Le attuali applicazioni dei dispositivi microfluidici sono molteplici: le più comuni sono le analisi chimico-biologiche, la sintesi e purificazione di composti chimici, lo dello studio sperimentale della fluidodinamica o la realizzazione dei cosiddetti sistemi lab-on-a-chip. Si tratta di dispositivi miniaturizzati che riescono a integrare in pochi centimetri quadrati tutte

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le funzioni di un vero e proprio laboratorio gestendo reazioni chimiche in volumi estremamente piccoli, nell’ordine dei picolitri. Vengono usati soprattutto nell’ambito della diagnostica medica, ma hanno trovato applicazione anche nel monitoraggio ambientale o nella sintesi di sostanze chimiche o farmaceutiche.

Anche l’ambito della ricerca relativo allo studio della diffusione particellare attraverso il muco intestinale ha usufruito di queste nuove tecnologie. Alcuni sistemi microfluidici, infatti, sono stati utilizzati per analizzare il comportamento di nanoparticelle in presenza di muco intestinale. Gli esperimenti sono stati condotti impiegando le tecniche della video microscopia e i risultati sono stati osservati con tecniche di analisi quantitativa delle immagini [Bhattacharjee, S., et al. (2016)].

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2 PARTE SPERIMENTALE

Nanoparticelle polimeriche mucoadesive (NP) hanno suscitato un grande interesse come veicoli destinati al rilascio di farmaci per via orale grazie alla loro capacità di aumentare la biodisponibilità di farmaci aventi bassa permeabilità mucosale e/o scarsa stabilità chimica nell’ambiente gastrointestinale. Le NP per oltrepassare l’epitelio intestinale e raggiungere la circolazione sistemica devono attraversare lo stagnante strato di muco adiacente alla membrana intestinale. Il muco è un gel viscoelastico e questa caratteristica è fondamentale per le sue proprietà lubrificanti e protettive che lo rendono una barriera capace di influenzare la maggior parte delle particelle somministrata oralmente. Tuttavia, lo strato di muco è attraversato da acqua ed elettroliti che vengono assorbiti dal muco stesso [Hastewell, J. et al. (1991)] generando dei pori che possono essere attraversati dalle NP. Le NP sarebbero così in grado di raggiungere l’epitelio intestinale e attraversarlo mediante transcitosi. In questo contesto è di fondamentale importanza sia la tendenza delle NP di aderire allo strato di muco, sia la presenza di acqua nel lume intestinale. La tendenza delle NP di aderire allo strato di muco da una parte si oppone al transito fisiologico del sistema di rilascio attraverso il tratto GI lontano dal sito di assorbimento, favorendo così l’assorbimento del farmaco, dall’altra, ostacola il trasporto acqua-assistito delle NP dallo strato luminale a quello epiteliale del muco, diminuendo l’assorbimento del farmaco. Nell’intestino ci sono due movimenti di acqua, uno longitudinale, dal duodeno al colon e uno trasversale, dal lume all’epitelio e viceversa, che possono influenzare enormemente la diffusione delle particelle, pertanto, lo scopo della presente tesi è stato quello di progettare un sistema microfluidico capace di simulare il flusso di acqua longitudinale presente a livello intestinale al fine di valutare la diffusione di NP polimeriche mucoadesive attraverso il muco. La presente è articolata nelle seguenti fasi: 1) preparazione di coniugati chitosano-ammonio quaternario a partire da chitosano a basso peso molecolare; 2) introduzione di gruppi tiolici sui suddetti mediante

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formazione di legami ammidici con acido tioglicolico; 3) sintesi del ligando aromatico mercaptonicotinammide; 4) protezione dei gruppi tiolici mediante addizione di 6-mercaptonicotinammide; 5) caratterizzazione dei polimeri ottenuti per contenuto in gruppi tiolici e in ligando aromatico; 6) preparazione e caratterizzazione di nanoparticelle stabili e di adeguate dimensioni, per reticolazione ionotropica con acido ialuronico depolimerizzato; 7) isolamento e purificazione di muco porcino intestinale; 8) sviluppo di un sistema microfluidico; 9) analisi della diffusione delle nanoparticelle attraverso il muco intestinale.

2.1 Materiali e Metodi

2.1.1 Materiali

Sono stati utilizzati i seguenti materiali:

 Chitosano a basso peso molecolare (Ch) (Sigma);  2-dietilamminoetil cloruro (DEAE-Cl) (Fluka);  Tiourea (Sigma);

 Membrane di cellulosa, cut-off 12.5 kDa (Sigma)  6-cloronicotinammide (Sigma);

 Acido tiglicolico (TGA) (Sigma);

 1-etil-3-(3-dimetilamminopropil) carbodimmide cloridrato (EDAC) (Sigma);  Glutatione ridotto (Sigma);

 Fluoresceina isotiocianato (FITC) (Sigma).  Acido Ialuronico (HA)

 Poli(dimetilsilossano) (PDMS)

 Sodio fosfato dibasico dodecaidrato (Na₂HPO₄ · 12 H₂O) (Carlo Erba)  Sodio fosfato monobasico (NaH₂PO₄) (Sigma)

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24  Sodio cloruro (NaCl) (Sigma)

Tutte le soluzioni/dispersioni acquose sono state preparate con acqua deionizzata.

2.1.2 Sintesi del derivato ammonio quaternario del Chitosano (QA-Ch)

Grammi 0.5 di Ch sono stati disciolti in 20 ml di HCl 0.11 M (pH 4.7). Alla soluzione di Ch sono stati aggiunti in sequenza 2 g di DEAE-Cl (2-dietilamminoetil cloruro) e 3 ml di NaOH al 15% sotto vigorosa agitazione ad una temperatura costante di 60° C. In seguito all’aggiunta di NaOH il chitosano solido precipitò come una mucillagine dalla soluzione iniziale. L’agitazione ed il riscaldamento sono stati mantenuti per 2h, nel corso delle quali il pH della miscela di reazione è stato tenuto sotto controllo al valore di 8, mantenendo l’elettrodo di un pH-metro immerso nella miscela di reazione ed aggiungendo NaOH acquoso concentrato quando necessario. La miscela, a completa solubilizzazione della mucillagine e dopo raffreddamento, è stata neutralizzata portando il pH a 7 per aggiunta di HCl 1M e successivamente chiarificata mediante filtrazione, dializzata per 3 giorni contro acqua ed infine liofilizzata. Il derivato così ottenuto viene indicato con la sigla QA-Ch (Figura 3).

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2.1.3 Attacco covalente di gruppi tiolici sul derivato QA-Ch

Sul derivato QA-Ch erano presenti significative frazioni di unità di glucosammina non sostituite potenzialmente disponibili per l’attacco covalente di gruppi tiolici mediante formazione di legami ammidici tra il gruppo amminico primario della glucosammina e il gruppo carbossilico del TGA, catalizzati da EDAC. Durante la purificazione, nella fase ricevente della dialisi fu introdotto NaCl, usato per purificare i polimeri tiolati, allo scopo di facilitare l’allontanamento del TGA anionico non reagito e la sua sostituzione con cloruro come controanione. Nel corso della dialisi è stato mantenuto un pH acido perché l’ossidazione da tiolo a disolfuro è favorita da ambienti neutri/alcalini. Dopo la dialisi, la soluzione di polimero è stata liofilizzata per ottenere il derivato tiolato QA-Ch-SH. Il derivato tiolato liofilizzato è stato poi conservato a -20°C al buio.

2.1.4 Sintesi del ligando aromatico 6-mercaptonicotinammide (6-MNA)

La 6-mercaptonicotinammide (6-MNA) non è commercialmente disponibile, dunque è stato necessario sintetizzarla seguendo la procedura riportata da Forrest e Walker (1948) (Figura

4). Brevemente, 6-cloronicotinammide e tiourea (1:1) sono state sospese in etanolo assoluto

e reflusse per 6h sotto atmosfera inerte. La miscela di reazione è stata poi raffreddata e agitata per 12h a temperatura ambiente. Il risultante sale S-(5-carbamil-2-piridil)-tiouronio cloridrato è stato separato per filtrazione ed essiccato. Quest’ultimo è stato successivamente decomposto attraverso l’addizione di una soluzione alcalina, e agitato per 45min a temperatura ambiente, dopodiché il pH è stato portato a 4 con acido acetico glaciale. La risultante 6-MNA è stata isolata per filtrazione, lavata con acqua ed essiccata. Per evitare l’ossidazione della 6-MNA, è stato sintetizzato il dimero 6,6’-ditionicotinammide (6,6’-DTNA). La 6-MNA è stata sospesa in acqua e il pH è stato portato a 7 prima dell’addizione di H2O2, la miscela è stata poi agitata per 1h a temperatura ambiente. La 6,6’-DTNA ottenuta

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Figura 4: 1) Sintesi del ligando aromatico 6-MNA; 2) Formazione del dimero 6,6’DTNA.

2.1.5 Sintesi del derivato QA-Ch-S-protetto

Il ligando aromatico 6-MNA è stato legato in modo covalente al derivato QA-Ch-SH attraverso la formazione di legami disolfuro tra la 6-MNA e i gruppi tiolici liberi del derivato QA-CH-SH. 200 mg di QA-Ch-SH sono stati disciolti in 50 mL di una miscela acqua/dimetilsolfossido (DMSO) (3:7) sotto agitazione. Per evitare la precipitazione del ligando aromatico, dovuta alla sua insolubilità in acqua, 50 mg di 6,6’-DTNA sono stati disciolti in 50 mL di DMSO e aggiunti alla soluzione polimerica. La miscela è stata poi portata a pH 6.2, agitata per 6h a temperatura ambiente, chiarificata per filtrazione, dializzata 7 volte contro acqua e infine liofilizzata previa centrifugazione per allontanare la 6,6’-DTNA non reagita che precipitava durante la dialisi. Il derivato così ottenuto viene indicato con la sigla QA-Ch-S-pro (Figura 5).

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Figura 5: Addizione della 6-MNA al derivato tiolato del Chitosano con formazione del polimero S-protetto.

2.1.6 Determinazione del contenuto di gruppi tiolo e disolfuro nei derivati QA-Ch-SH e QA-Ch-S-protetto

Per determinare i gruppi tiolici, i polimeri QA-Ch-SH e QA-Ch-S-pro (15 mg) sono stati sciolti in 10 mL di acqua, è stata aggiunta una soluzione acquosa all’1% di salda d’amido (1 mL), il pH è stato aggiustato a 3 con HCl 1 M e le soluzioni sono state titolate con una soluzione acquosa di Iodio 1 mM fino ad una permanente colorazione azzurra [Kast and Bernkop-Schünrch (2001)].

Per determinare i gruppi disolfuro, questi sono stati ridotti a tioli aggiungendo 8 mL di sodio boroidruro acquoso al 10% a una soluzione di 15 mg di polimero in 2 mL di acqua e agitando per 1 ora. Quindi l’eccesso di sodio boroidruro è stato distrutto portando la soluzione a pH 3 con HCl 1 M ed il contenuto di tioli è stato determinato mediante titolazione iodometrica descritta precedentemente.

Il contenuto in disolfuro è stato ottenuto per differenza tra i contenuti in tiolo dei derivati QA-Ch-SH e QA-Ch-S-pro ridotti e non ridotti. I contenuti in tiolo libero e disolfuro sono stati espressi come μmol per g di polimero.

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2.1.7 Quantificazione del ligando aromatico 6-MNA

Per determinare il contenuto in ligando aromatico, a soluzioni del derivato QA-Ch-S-pro allo 0.02% è stata aggiunta una soluzione di glutatione ridotto (GSH) allo 0.1%. In queste condizioni, il ligando aromatico viene scambiato e la quantificazione del monomero rilasciato viene determinata spettrofotometricamente a λ=307 nm con riferimento alla retta di calibrazione ottenuta a concentrazioni crescenti di 6-MNA.

2.1.8 Marcatura dei derivati QA-Ch e QA-Ch-S-protetto con fluoresceina isotiocianato (FITC)

Una soluzione FITC in DMSO (1 mL, 2mg/mL) è stata aggiunta ad una soluzione acquosa dei polimeri QA-Ch e QA-Ch-S-pro (20 mL, 2mg/mL) e la miscela è stata incubata a 4°C per 8h. Successivamente la soluzione è stata fatta passare attraverso una colonna di Sephadex G15 per liberare il polimero marcato da FITC non reagita e quindi liofilizzata. In nessun caso la colonna di Sephadex G15 trattenne fluorescenza e questo ha indicato l’assenza di FITC non reagita e quindi la completa marcatura dei polimeri. Quindi il legame fluoroforo legato al polimero è stato calcolati ed è risultato essere il 5% della massa totale. [Di Colo, G., et al. (2009)].

2.1.9 Depolimerizzazione dell’Acido Ialuronico

Acido ialuronico (HA) a basso peso molecolare (rHA) è stato ottenuto per degradazione acida di HA commerciale secondo la procedura descritta da Shu et al., (2002). 1 g di HA è stato solubilizzato in 100 mL di acqua, la soluzione è stata portata a pH 0.5 con acido cloridrico concentrato e mantenuta per 24 ore a 37°C. Per aggiunta di NaOH 1M è stata poi portata a pH 7 e quindi dializzata contro acqua per 3 giorni. Infine, la soluzione è stata chiarificata per filtrazione e liofilizzata.

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2.1.10 Preparazione e caratterizzazione di nanoparticelle a base di QA-Ch-fluoresceinato e QA-Ch-S-pro-QA-Ch-fluoresceinato

Le nanoparticelle (NP) a base di QA-Ch e QA-Ch-S-pro marcati con FITC si sono formate spontaneamente sotto graduale aggiunta di porzioni da 100 μL di una soluzione di un volume rispettivamente di 600 μL o di 300 μL di rHA (0.25 mg/mL) in tampone fosfato pH 7.4, 0.13M (PB), a 5 mL di una soluzione di QA-Ch o QA-Ch-S-pro marcati con FITC 1 mg/mL in PB.

Le NP così formate sono state caratterizzate per dimensioni mediante light-scattering (Coulter N4 plus) e per potenziale zeta (ZP) (Litesizer™, Anton Paar).

2.1.11 Purificazione del muco intestinale

Il muco porcino è stato prelevato dall’intestino tenue di un maiale macellato di fresco. Il muco è stato purificato e omogeneizzato mediante addizione di 5 mL di NaCl 0.1 M per grammo di muco, seguita da agitazione per 1h a 10 °C. Successivamente, la miscela è stata centrifugata (9000 rpm, 4°C, 2h), il surnatante allontanato ed il muco separato dal materiale granulare.

2.1.12 Sviluppo del dispositivo microfluidico: Soft Lithography e Replica molding I microcanali in PDMS vengono creati per mezzo di una tecnica, la Soft Lithography (Figura

6), articolata in diverse fasi. Innanzitutto viene progettata la struttura del microcanale

desiderato tramite un software grafico; questa, successivamente, viene riprodotta su un supporto (film o quarzo) che servirà da fotomaschera per generare un master. Il master viene prodotto a partire da un wafer di silicio che viene ricoperto (spin coated) con un sottile strato di photoresist (da scegliere ad esempio tra le SU-8 series in funzione delle caratteristiche di viscosità). A questo punto il photoresist viene irradiato con luce UV attraverso la fotomaschera, il polimero non esposto alla luce UV viene dissolto per mezzo di particolari

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reagenti e la risultante struttura in bassorilievo costituirà il master per la fabbricazione delle repliche in PDMS.

Nel nostro caso il master era già stato creato e ci si è limitati a mettere in pratica il processo di “replica molding”. Il polidimetilsilossano (PDMS) liquido è stato preparato unendo in proporzione 10:1 la base polimero e l’agente curante. Dopo un’accurata miscelazione, il PDMS ottenuto è stato centrifugato per favorire l’eliminazione totale delle bolle, versato sul master e fatto riposare per una notte, dopodichè la mold è stata trattata per almeno un’ora a 70°C. Una volta estratto dal forno e fatto raffreddare, lo stampo è stato intagliato e staccato dal master, rendendo quest’ultimo libero per una successiva replica della mold [Sia, S. K., Whitesides, G. M. (2003)].

Gli stampi in PDMS sono stati forati in corrispondenza dell’entrata e dell’uscita del microcanale con un puncher di 0,75 mm di diametro, per permettere il collegamento di tubicini tramite cui veicolare il fluido, e al centro della camera con un puncher da 5 mm di diametro in modo da favorire l’inserimento di un pozzetto di muco (Figura 7).

Infine lo stampo è stato unito irreversibilmente ad un vetrino grazie al trattamento con Plasma Ossigeno che garantisce la formazione di legami covalenti tra le due superfici, in modo da ottenere il microcanale vero e proprio.

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Figura 6: Processo di fabbricazione di dispositivi microfluidici [Ma, Y., et al. (2013)].

Figura 7: Struttura del microcanale. Sono visibili i fori di in e out e la cavità destinata a contenere il muco.

2.1.13 Caratterizzazione del dispositivo microfluidico

La caratterizzazione del microcanale è stata effettuata facendo fluire al suo interno delle particelle fluorescenti (beads) di ~500 nm, e se n’è osservato il movimento tramite un microscopio a epifluorescenza collegato ad una fotocamera, con cui è stato possibile registrare dei video che hanno permesso l’estrapolazione delle linee di flusso (streamlines). Ci si è focalizzati sulla zona adiacente alla cavità destinata all’inserimento del muco, di questa sono state selezionate tre aree principali (Figura 8) per ognuna delle quali sono stati

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registrati alcuni video relativi ai flussi particellari. Per generare dei flussi costanti e precisi ci si è serviti di una Syringe Pump corredata di una siringa da 1 ml di capacità e 4mm di diametro interno. Dai video sono state estrapolate le linee di flusso e i campi di velocità tramite la tecnica PIV (micro Particle Image Velocimetry), che agisce tramite correlazione dei vari frame del video acquisito. Questo è servito per ricavare l’andamento delle velocità in funzione del flusso imposto tramite la syringe pump ed ottenere quindi l’equazione corrispondente su cui basare gli esperimenti veri e propri, considerando che, in base a quanto espresso in letteratura, il flusso di perfusione intestinale è di 12 ml/h per cm2 di intestino e la relativa velocità è di 33,3 µm/s [Fagerholm, U., et al. (1996)].

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2.1.15 Definizione del modello sperimentale da seguire

In questa fase sono stati condotti dei test preliminari volti alla determinazione del modello sperimentale con cui condurre esperimenti sulla diffusione particellare.

Tramite l’utilizzo di coloranti è stato possibile definire il volume di campione da utilizzare negli esperimenti e il valore del flusso con cui impostare la Syringe Pump (Figura 9); inoltre, al fine di minimizzare il riversamento del muco intestinale porcino dal pozzetto alla camera del microcanale, il foro iniziale di 5 mm di diametro, presente all’interfaccia con la parete laterale del microcanale, è stato sostituito da tre fori di diametro crescente intersecati tra loro (d1 = 0,75 mm, d2 = 2 mm e d3 = 5 mm). (Figura 10)

a. b.

Figura 9: a. Test con utilizzo di coloranti; b. Syringe Pump

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2.1.16 Utilizzo del sistema microfluidico per lo studio della diffusione particellare nel muco intestinale

Gli esperimenti sono stati eseguiti utilizzando i polimeri QA-Ch-fluoresceinato e QA-Ch-S-pro-fluoresceinato e le rispettive NP. Dopo l’inserimento del muco intestinale porcino nel pozzetto del dispositivo microfluidico, sulla parte superiore di quest’ultimo è stato saldato covalentemente un vetrino per evitare che il campione da analizzare, incontrando meno resistenza, fuoriuscisse dal microcanale attraverso il foro contenente il muco (Figura 11). 60µL di una soluzione 1 mg/mL dei suddetti polimeri sono stati addizionati a 60µL di tampone fosfato a pH 6.8 0,13M (per simulare l’acqua presente all’interno dell’intestino) e inseriti all’interno di una siringa da 1 mL. Una volta posizionata la siringa sul rispettivo alloggio a livello della Syringe Pump, è stato impostato il flusso a 0,03 mL/h. Gli esperimenti avevano una durata di circa 3h e 30min e sono stati realizzati osservandone l’andamento tramite un microscopio ad epifluorescenza munito di fotocamera. Nel corso delle prove sono stati registrati dei video con 0,016 frame per secondo (fps) inquadrando il foro all’interfaccia con la parete laterale del microcanale, in modo da osservare il comportamento dei campioni in presenza del muco. Al termine degli esperimenti è stata misurata l’intensità di fluorescenza delle dispersioni nanoparticellari in uscita dal microcanale.

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3 RISULTATI E DISCUSSIONI

3.1 Sintesi dei coniugati QA-Ch

La reazione di Ch commerciale (Mw = 590 kDa) con DEAE-Cl è stata studiata in passato da

Zambito et al. (2006, 2008). L’analisi NMR basata su mappe bidimensionali mostrò che i risultanti derivati avevano la struttura di coniugati QA-Ch, precisamente, N,O-[N,N-dietilamminometil(dietildimetilene ammonio)n] metilchitosani (Figura 3), contenenti

piccole catene pendenti costituite da un piccolo numero di gruppi ammonici quaternari adiacenti, parzialmente sostituiti sulle unità di ripetizione di Ch (Zambito et al., 2006). Il grado di sostituzione (GS) e il numero medio di gruppi ammonici quaternari in ogni piccola catena (n) dipendeva fortemente dal pH della miscela di reazione, che doveva essere strettamente controllato al valore di 8 affinché la reazione di sintesi fosse riproducibile (Zambito et al., 2008). Nella presente tesi la reazione è stata effettuata a partire da Ch (Mw=524 kDa). Il coniugato ottenuto portava la media di una carica positiva per unità di ripetizione che è forse la massima disponibile per questo tipo di polimeri. I rispettivi valori di GS e n sono riportati nella Tabella 5.1.

3.2 Attacco covalente dei gruppi tiolici sul derivato QA-Ch

Dai valori di GS e di acetilazione riportati in Tabella 5.1 risulta che sul derivato QA-Ch erano presenti significative frazioni di unità di glucosammina non sostituite potenzialmente disponibili per l’attacco covalente di gruppi tiolici tramite la formazione di legami ammidici tra il gruppo amminico primario della glucosammina ed il gruppo carbossilico del TGA. La nostra analisi ha infatti dimostrato la presenza di gruppi tiolo e disolfuro legati in modo covalente, le cui frazioni nei prodotti QA-Ch-SH si trovano nella Tabella 5.2. Nella fase ricevente della dialisi usata per purificare i polimeri tiolati è stato introdotto NaCl, allo scopo

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di facilitare l’allontanamento del TGA anionico non reagito e la sua sostituzione con cloruro come controanione. Nel corso della dialisi fu mantenuto un pH acido perché l’ossidazione del tiolo a disolfuro è favorita da ambienti neutri/alcalini. Nonostante tutto, la maggior parte dei tioli subì ossidazione, come appare dal confronto tra contenuto di disolfuro e tioli.

3.3 Caratterizzazione dei derivati QA-Ch-SH e QA-Ch-S-protetto

Il contenuto in gruppi tiolo e disolfuro dei due derivati del chitosano è stato determinato mediante titolazione iodometrica come descritto nel paragrafo 2.1.6 ed è riportato nella

Tabella 5.2. I risultati indicano che la formazione dei legami disolfuro tra i gruppi tiolici del

derivato QA-Ch-SH e il ligando aromatico 6,6’-DTNA è stata ottenuta. La struttura piridinica è stata covalentemente attaccata al tiomero e può essere rilasciata mediante addizione di agenti riducenti o composti contenenti gruppi tiolici. Per determinare il contenuto in ligando aromatico, glutatione ridotto è stato aggiunto alla soluzione del polimero QA-Ch-S-pro per il rilascio di 6-MNA come descritto nel paragrafo 2.1.7. Il risultante derivato QA-Ch-S- pro aveva 66.3 μmol di 6-MNA per grammo di tiomero. Polimeri titolati senza aggiungere previamente GSH mostravano di contenere una quantità̀ di 6-MNA non significativa. Confrontando il contenuto in disolfuro del campione QA-Ch-SH con il campione QA-Ch-S-pro si osserva che il valore relativo al primo è circa la metà del secondo, indicando che tutti i gruppi tiolici presenti in QA-Ch-SH risultano completamente protetti. Infatti nella titolazione del derivato S-protetto dopo riduzione dei ponti disolfuro andremo a titolare gli -SH del polimero e quelli di 6-MNA.

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37

3.4 Caratterizzazione nanoparticelle a base di QA-Ch-fluoresceinato e

QA-Ch-S-pro-fluoresceinato

Nella Tabella 5.3 sono riportate le dimensioni medie delle NP preparate a base di QA-Ch-fluoresceinato e QA-Ch-S-pro-QA-Ch-fluoresceinato e i valori di potenziale zeta (ZP). Le dimensioni medie di entrambi i tipi di NP, determinate immediatamente dopo la loro preparazione erano nell’intervallo 300-370 nm. I valori di ZP erano positivi, in accordo con la presenza di gruppi ammonici quaternari sulla loro superficie.

3.5 Caratterizzazione del dispositivo microfluidico

La caratterizzazione del dispositivo microfluidico è stata necessaria per determinare l’andamento delle velocità in funzione dei flussi osservati, in modo da stabilire la velocità ideale con cui effettuare i test successivi, come definito nella sezione 2.1.13.

Sono stati registrati dei video relativi a flussi particellari aventi velocità diverse, focalizzando l’attenzione su tre aree principali del microcanale. L’analisi dei video è stata effettuata utilizzando dei programmi per l’elaborazione digitale delle immagini, Imagej® e Prana®. Osservando i risultati ottenuti per ogni area si può notare che, impostando lo stesso flusso sulla syringe pump, la velocità delle nanoparticelle ha un andamento costante in tutte le aree. Infatti analizzando, ad esempio, la velocità media ottenuta impostando la syringe pump a 0,05 mL/h si ricava un valore di 31,62 µm/s ± 2,264, mentre con un flusso di 0,10 mL/h la velocità media ottenuta è di 65,73 µm/s ± 6,128. L’andamento di questi risultati si riflette per tutti gli altri flussi e viene evidenziato in Figura 5.1, Figura 5.2 e Figura 5.3: dai grafici si nota infatti che il rapporto tra il flusso e la rispettiva velocità presenta un andamento lineare. Considerando che la velocità relativa al flusso di perfusione intestinale era di circa 33,3 µm/s, la velocità con cui condurre gli esperimenti successivi è stata determinata

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38

utilizzando la retta di calibrazione generata al momento della caratterizzazione del microcanale. Per gli esperimenti è stato utilizzato un valore di 30 L/h.

Le linee di flusso delle particelle, generate attraverso il software Imagej®, mostrano traiettorie rettilinee riconducibili a un flusso di tipo laminare caratteristico del regime microfluidico, nel quale sono assenti turbolenze. È stato generato un flusso che aveva un andamento quasi perfettamente parallelo al muco, condizione necessaria per la simulazione del movimento di tipo longitudinale dell’acqua all’interno dell’intestino, condizione studiata qui per la prima volta.

3.6 Utilizzo del sistema microfluidico per lo studio della diffusione

particellare nel muco intestinale

Le prove sulla diffusione particellare nel muco intestinale sono state effettuate per i polimeri QA-Ch-fluoresceinato e QA-Ch-S-pro-fluoresceinato, e per le relative NP. L’analisi dei video registrati durante ogni esperimento è stata effettuata utilizzando il software Imagej®. Per ogni video sono state selezionate delle regioni di interesse (ROI) all’interno del punch contenente il muco, aventi la stessa area e situate alla stessa distanza tra loro (Figura 5.4). Per ogni ROI è stato misurato il mean gray value, cioè il valore medio della scala di grigi dei pixel contenuti all’interno di quelle aree, a vari frame del video in base al quale stabilire l’andamento dell’intensità del polimero in funzione del tempo. Mettendo in relazione il tempo intercorso per il raggiungimento del picco massimo di intensità per ogni ROI con la distanza presente tra una ROI e un’altra, sono state calcolate le velocità con cui i polimeri riuscivano a diffondere attraverso il muco. Per il polimero QA-Ch-S-pro fluoresceinato la velocità di penetrazione delle particelle all’interno del muco era di 14,287 µm/min ± 1,067 corrispondenti a 0,238 µm/s ± 0,017; le NP di QA-Ch fluoresceinato mostravano una velocità di 17,294 µm/min ± 6,536 corrispondenti a 0,288 µm/s ± 0,109.

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I dati ottenuti sono stati paragonati a quelli espressi in letteratura [Mert, O., et al. (2012); Lai, S. K., et al. (2009)]: da alcuni studi sulla diffusione particellare attraverso il muco, effettuati con la tecnica del multiple particle tracking, sono stati ricavati i valori del mean

square displacement (MSD), ovvero la misura dello spostamento di una particella rispetto

ad una posizione d’origine nel tempo, e da questi sono stati estrapolati i valori relativi alla velocità di diffusione delle particelle. Si è visto che le velocità espresse in letteratura rientravano in un range tra 0,252 e 0,398 µm/s e le velocità ottenute attraverso il nostro studio erano di circa 0,238 µm/s per il polimero Ch-S-pro e 0,288 µm/s per le NP QA-Ch. La differenza nelle velocità ottenute può essere riconducibile alle diverse caratteristiche di mucoadesione dei due polimeri, infatti il polimero S-protetto essendo più mucoadesivo presenta una velocità di penetrazione nel muco minore rispetto alle NP di QA-Ch.

Tra tutti gli esperimenti realizzati è stato possibile effettuare questa analisi solo nei due casi sopra citati (QA-Ch-S-protetto fluoresceinato e NP QA-Ch fluoresceinato) (Figure 5.5 e

5.6). Negli altri casi il muco tendeva a non rimanere stabilmente confinato all’interno del

punch. Ciò è probabilmente imputabile alle dimensioni troppo ampie della superficie di contatto tra il muco intestinale e il flusso, risolvibile in prospettiva con la fabbricazione di un dispositivo in cui la superficie di separazione tra il muco e il fluido sia controllata tramite apposite microstrutture.

La diffusione particellare attraverso il muco intestinale è stata valutata anche fluorimetricamente (fluorimetro Cary Eclipse) misurando l’intensità di fluorescenza delle dispersioni particellari in uscita dal microcanale (lunghezze d’onda utilizzate: eccitazione ʎ = 485 nm; emissione ʎ = 530 nm). Per confronto sono stati effettuati esperimenti analoghi a quello descritto, inserendo nel micronocanale tampone fosfato pH 6.8. Dai dati riportati in

Figura 5.7 si vede come le NP QA-Ch-S-pro, risultavano più mucoadesive rispetto alle NP

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gruppi tiolici previene la loro ossidazione e consente una reazione di scambio tra gruppi tiolici protetti e i residui di cisteina dello strato di muco, portando alla formazione di ponti disolfuro tra NP e muco che si traduce in una forte interazione con il muco stesso.

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4 CONCLUSIONI

Questo progetto di tesi ha portato allo sviluppo di un innovativo dispositivo microfluidico tramite il quale è stato possibile studiare per la prima volta la diffusione di NP attraverso il muco intestinale tenendo conto dell’influenza del movimento longitudinale dell’acqua. Nanoparticelle di adeguate dimensioni sono state ottenute mediante reticolazione ionotropica dei derivati del chitosano QA-Ch e QA-Ch-S-pro. Le dimensioni medie dei due tipi di NP erano comprese nell’intervallo 300-370 nm e il loro ZP era positivo, in accordo con la presenza di gruppi ammonici quaternari sulla loro superficie con nessuna differenza significativa tra i due tipi di NP.

Gli studi sulla diffusione dei polimeri e delle NP attraverso il muco intestinale sono stati effettuati grazie allo sviluppo di un dispositivo microfluidico all’avanguardia e hanno condotto a risultati promettenti: è stato possibile ricreare all’interno del microcanale un tipo di flusso che rispecchiasse il movimento dell’acqua longitudinale esistente all’interno dell’intestino; inoltre è stata determinata la velocità di perfusione dei polimeri all’interno del muco e i risultati ottenuti sono stati paragonabili a quanto espresso in letteratura; infine è stato possibile valutare il comportamento dei polimeri in presenza del muco, analizzando sia le velocità di perfusione sia i dati relativi alla concentrazione delle dispersioni particellari in uscita dal microcanale, confermando le aspettative relative alle loro caratteristiche di mucoadesione.

Per rendere il sistema ancora più efficiente ed agevolare gli studi sulla determinazione dell’influenza del movimento dell’acqua intestinale, in futuro potrebbero essere effettuate delle migliorie al chip microfluidico. La fabbricazione di un dispositivo in cui la superficie di separazione tra il muco e il fluido sia controllata tramite apposite microstrutture oppure l’implementazione del flusso trasversale dell’acqua permetterebbero, infatti, di ampliare e

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migliorare l’acquisizione dei dati sullo studio della diffusione particellare attraverso il muco intestinale, i quali potrebbero essere sfruttati per orientarsi verso la progettazione di sistemi di rilascio farmacologici molto più efficienti.

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