• Non ci sono risultati.

Utilizzo della tecnologia Radar per il monitoraggio del tursiope (Tursiops truncatus) all’interno dell’Area Marina Protetta delle Cinque Terre

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Utilizzo della tecnologia Radar per il monitoraggio del tursiope (Tursiops truncatus) all’interno dell’Area Marina Protetta delle Cinque Terre"

Copied!
78
0
0

Testo completo

(1)

DI PART IME NTO DI BIOLO GIA

CORSO DI LAURE A MAGIST RALE I N BIOLO GI A MARINA

Utilizzo della tecnologia Radar per il monitoraggio del tursiope

(Tursiops truncatus) all’interno dell’Area Marina Protetta delle

Cinque Terre

Relatori Candidato

Prof. Alberto Castelli Matteo Mingozzi

Ing. Francesco Serafino

(2)

INDICE

Riassunto ... 1

1 Introduzione ... 2

1.1 Mar Mediterraneo ... 2

1.2 Il Santuario Pelagos e l’AMP delle Cinque Terre ... 3

1.3 il Tursiope (Tursiops truncatus, Montagu, 1821) ... 7

1.3.1 Alimentazione ... 9

1.3.2 Comunicazione ... 10

1.3.3 Struttura Sociale ... 11

1.3.4 Riproduzione ... 11

1.3.5 Distribuzione ... 12

1.3.6 Rapporto con l’uomo ... 12

1.3.7 Conservazione ... 12

1.4 IBIMET ... 13

1.5 Scopo del lavoro ... 15

2 Materiali e Metodi ... 16

2.1 Area di studio e X-band radar ... 16

2.1.1 Il radar ... 17

2.1.2 Funzionamento ... 18

2.1.3 Proprietà fondamentali del radar ... 20

2.2 IDL ... 23

2.3 Procedura di analisi del dato radar ... 24

2.4 Validazione del dato radar ... 28

2.5 Radar HF per monitoraggio correnti ... 30

2.5.1 Struttura ... 30

2.5.2 Mappe di corrente... 31

3 Risultati ... 33

3.1 Dato attività d’avvistamento ... 33

(3)

3.3 Dato radar HF ... 37

4 Discussione ... 42

4.1 Attività d’avvistamento ... 42

4.2 Radar in banda X ... 44

4.3 Radar HF ... 45

5 Conclusioni ... 47

Appendice I ... 48

Appendice II ... 50

Appendice III ... 56

Ringraziamenti ... 63

Bibliografia ... 64

(4)

1

Riassunto

Il monitoraggio dei mammiferi marini è essenziale per raccogliere dati sulla presenza e l’abbondanza di specie definite di “difficile accesso” a causa delle difficoltà legate al loro tipo di habitat e al loro comportamento (visibilità in mare, apnea, comportamento in superficie). Il radar è uno strumento in grado di individuare l’eco prodotta da segnali elettromagnetici riflessi da ostacoli (boe o altri oggetti fissi) o imbarcazioni. Questi vengono definiti target (bersagli). Uno specifico algoritmo, applicato a questo sistema radar, consente di rilevare da imbarcazioni o piattaforme fisse installate lungo la costa la presenza di target piccoli e lenti, anche in condizioni di mare molto mosso. Lo scopo di questo lavoro di tesi è quello di testare la capacità di un radar in banda x, installato lungo la costa, di individuare e tracciare i cetacei in un’area approssimativa di 2.5 nm (nautical miles) dall’antenna. A tal fine, è stata sfruttata la rete di radar in banda x implementata nell’ambito del progetto RITMARE e che include numerose apparecchiature radar installate lungo la costa italiana. Lo strumento utilizzato nell’ambito di quest’attività di tesi è stato installato nel settembre 2017 a Corniglia e ha permesso di registrare il passaggio dei mammiferi marini nella porzione di mare del Santuario Pelagos compresa all’interno dell’Area Marina Protetta del Parco delle Cinque Terre. Esperienze di studio e attività di ricerca di questo tipo sono state svolte nell’Est Pacifico, nel Nord Atlantico, ma per quanto riguarda l’Italia, e in particolare la Toscana e la Liguria, è la prima volta che questo progetto viene effettivamente applicato.

Nello specifico l’attività si è concentrata sulla specie costiera Tursiops truncatus (Montagu, 1821) e ha previsto una parte di attività sul campo, che si è concretizzata attraverso giornate di monitoraggio condotte nel periodo Maggio-Novembre 2018, e una parte di analisi dati. Il monitoraggio ha avuto lo scopo di affiancare un operatore al sistema radar in modo da confermare la presenza dei target di interesse nell’area e raccogliere dati fotografici per la validazione del dato radar. Nel corso di questa attività 12 giornate hanno avuto esito positivo portando all’avvistamento di circa 70 individui (adulti e piccoli) e alla registrazione di circa 10000 immagini radar. L’analisi dei dati, condotta attraverso programmi in linguaggio IDL, ha permesso l’estrazione delle tracce dei target di interesse grazie alle quali è stato possibile uno studio preliminare atto a studiare il comportamento dell’animale sulla base della durata delle apnee. Ulteriori analisi sono state condotte sulle correnti, misurate attraverso l’uso di un radar HF, per verificare l’eventuale esistenza di un legame fra direzione ed intensità della corrente con presenza/assenza, direzione e comportamento dei tursiopi.

Questo esperimento rappresenta un nuovo campo di studio attraverso cui monitorare la presenza di mammiferi marini nel Mediterraneo andando ad affiancarsi alla raccolta diretta dei dati e a sostenere la riduzione dei costi. I risultati ottenuti sono incoraggianti e dimostrano l’effettiva validità del sistema radar nel riconoscere e distinguere i cetacei da altri bersagli, grazie alla caratteristica altalenante del segnale (apnee), ben diversa da quella di un target fisso. Questo sottolinea la validità dello strumento per la protezione dei cetacei, in particolare per prevenirne collisioni con le imbarcazioni. Anche per questo motivo, quindi, si è iniziato a lavorare ad un algoritmo che consenta al radar di riconoscere e validare in automatico la presenza del target cetaceo senza l’affiancamento di un osservatore. Lo sviluppo di un sistema di riconoscimento radar automatico va al di là di un elaborato di tesi il cui obiettivo è quello di avviare uno studio preliminare per comprendere l’efficacia di questi sistemi nel contribuire alla salvaguardia dei mammiferi marini.

(5)

2

1 Introduzione

1.1 Mar Mediterraneo

Il Mar Mediterraneo (Fig. 1.1), dal latino Mediterraneus che significa “in mezzo alle terre”, copre una superficie di circa 2,969,000 km2 e bagna le coste dell’Africa, dell’Europa e dell’Asia. E’ un bacino semichiuso, perché comunica a Ovest con l’Oceano Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra, a Est con il Mar Nero attraverso lo stretto dei Dardanelli e il Mare di Marmara e a Sud-Est con il Mar Rosso attraverso il canale di Suez. Il Mediterraneo è diviso in bacino orientale (di circa 1.65 milioni di km2) e bacino occidentale (di circa 0.85 milioni di km2) dal canale di Sicilia (Robinson et al., 2001), a livello del quale si raggiungono circa i 400 m di profondità, profondità che in Mediterraneo è estremamente variabile: si passa infatti da zone in cui si raggiungono circa i 5.000 m a zone dove invece la batimetria difficilmente supera i 500 m; in generale però la profondità media del Mediterraneo viene considerata intorno ai 1.500 m (Coll et al., 2010). Il bacino orientale è caratterizzato da un’elevata evaporazione e quindi rispetto all’occidentale, presenta una salinità molto elevata: qui si origina infatti la LIW (corrente levantina intermedia) facilmente riconoscibile dalle altre correnti per un massimo di salinità di 39 parti per mille (Aboukora et al., 1995). Il bacino occidentale invece è caratterizzato da una quantità più elevata di precipitazioni. Nonostante il Mediterraneo sia considerato un bacino oligotrofico (Margalef, 1984,1985; Estrada, 1996; Agostini & Bakun, 2002; Coll et al., 2010) localmente sono presenti zone caratterizzate da un’elevata produttività primaria. Ciò è legato alla presenza di venti freddi come la Tramontana e il Maestrale che determinano il raffreddamento delle acque superficiali e ne provocano lo sprofondamento, dato che le ridotte temperature ne fanno aumentare la densità. Tale movimento causa a sua volta la risalita delle acque profonde più ricche di nutrienti dando origine ad un fenomeno fisico definito up-welling (Smith, 1968; Gill & Clark, 1974). Questo meccanismo avviene prevalentemente in Primavera ed Autunno, ma è soprattutto in primavera, quando l’innalzamento delle temperature è associato alla maggiore disponibilità di luce e nutrienti che si assiste ai cosiddetti blooms fitoplanctonici. L’enorme aumento di biomassa algale rende possibile l’instaurarsi di reti trofiche estremamente complesse ed eterogenee: dagli organismi zooplanctonici che si cibano del fitoplancton, fino alle grandi specie pelagiche che trovano qui abbondanti quantità di cibo. Il Mediterraneo risulta quindi caratterizzato da un’elevata biodiversità tanto da essere definito un Hot spot (Médail & Quézel, 1999; Bianchi & Morri, 2000; Coll et al., 2010). In particolare le aree più produttive sono localizzate a livello del Mar Ligure, del Mar Tirreno settentrionale e del Mare di Corsica, aree che vedono anche un’elevata presenza di cetacei. La grande abbondanza di mammiferi marini a livello del Mediterraneo settentrionale ha portato all’istituzione nel novembre del 1999 di una delle più importanti aree di conservazione e protezione a livello mondiale (Hoyt, 2005): il Santuario Pelagos.

(6)

3 Fig. 1.1 Mar Mediterraneo

1.2 Il Santuario Pelagos e l’Area Marina Protetta Delle Cinque

Terre

Il santuario dei cetacei, meglio conosciuto come Santuario Pelagos è un’importante area di conservazione e protezione nata nel novembre del 1990 in seguito all’accordo fra tre paesi: Francia, Italia e principato di Monaco, poi successivamente ratificata con la legge n. 91/2001. La volontà della sua istituzione nasce in seguito a numerosi studi che avevano dimostrato la presenza nell’area di diverse specie di cetacei (Notarbartolo di Sciara, 1994; Forcada et al., 1995; Scovazzi, 2001; Laran & Drouout-Dulau, 2007; Panigada et al., 2008), presenza, legata alla grande produttività dell’area che si realizza attraverso vari meccanismi fra cui i principali sono: l’up-welling e l’apporto di nutrienti dai corsi d’acqua dolce. Vista la sua grande importanza come area ricca di biodiversità che necessita di essere conservata e preservata, nel 1993 si è arrivati alla firma della “Dichiarazione congiunta relativa all’istituzione di un santuario mediterraneo per i mammiferi marini”. Obiettivo principale di questo accordo è quello di proteggere le numerose specie di mammiferi marini che qui risiedono mediante attività di ricerca e monitoraggio delle diverse (sotto)popolazioni. Questa dichiarazione prevede inoltre una più rigida applicazione delle norme che regolano la pesca e che sono volte a ridurre l’inquinamento in tutte le sue forme (es: acustico, da sostanze, legato ad attività navali ecc.). Altro scopo è quello di regolamentare l’osservazione dei cetacei a fini turistici e di procedere alla divulgazione ed alla sensibilizzazione sia di residenti sia di turisti. Dal 2001 inoltre, il Santuario Pelagos rientra fra le ASPIM (Aree di protezione Speciale di interesse Mediterraneo) come previsto dalla convezione di Barcellona (16/02/1976) e dai suoi successivi aggiornamenti (Azzellino et al., 2012; Trainito & Baldacconi, 2014).

Il Santuario dei Cetacei si trova a livello del bacino Corso-Ligure-Provenzale e comprende un’area di circa 87.500 km2

di cui fanno parte aree di interesse sia costiere (circa 2400 km2 in territorio italiano) sia di mare aperto (in territorio italiano ricoprono circa 26.000 km2 ) fra Sardegna, Toscana e Liguria.

(7)

4 È delimitato (Fig.1.2):

- a Ovest: da una linea che va da Punta Escampobariou (presso Tolone: 43°01’70’’N, 06°05’90’’E) a Capo Falcone sulla costa occidentale della Sardegna (40°58’00’’N, 08°12’00’’E).

- a Est: da una linea che va da Capo Ferro sulla costa nordorientale della Sardegna (41°09’18’’ N; 09°31’18’’E) a Fosso Chiarone sulla costa toscana (42°21’24’’N; 11°31’00’’E).

Fig. 1.2 Santuario Pelagos

Le specie di mammiferi marini che si trovano all’interno dell’area del Santuario Pelagos vengono suddivise generalmente in tre categorie: Specie Residenti, Specie Occasionali e Specie Accidentali (Notarbartolo di Sciara, 2002, 2010):

(8)

5 Le specie residenti (Fig. 1.3) che formano (sotto)popolazioni regolarmente presenti in Mediterraneo sono:

-Balenottera comune (Balaenoptera physalus, Linnaeus, 1758) - Capodoglio (Physeter macrocephalus, Linnaeus, 1758) - Zifio (Ziphius cavirostris, G. Cuvier, 1823)

- Globicefalo (Globicephala melas, Traill, 1809) - Grampo (Grampus griseus, G. Cuvier, 1812) - Tursiope (Tursiops truncatus, Montagu, 1821) - Delfino comune (Delphinus delphis, Linnaeus, 1758) - Stenella striata (Stenella coeruleoalba, Meyen, 1833)

Di queste otto specie sette appartengono all’ordine degli Odontoceti (cetacei caratterizzati dalla presenza di denti) e solo una, la balenottera comune, all’ordine dei Misticeti (cetacei caratterizzati dalla presenza di fanoni, lamine cornee utilizzate dall’animale per filtrare l’acqua e trattenere gli organismi di cui si nutre).

Le specie occasionali extra-mediterranee presenti saltuariamente nel bacino sono: - Balenottera minore (Balaenoptera acutorostrata, Lacépède, 1804 )

- Pseudorca (Pseudorca crassidens, Owen, 1846) - Orca (Orcinus orca, Linnaeus, 1758)

- Steno (Steno bredanensin,G. Cuvier in lesson, 1828)

Le specie accidentali, per lo più Nord-Atlantiche, che sono state osservate eccezionalmente in Mediterraneo sono:

- Balena Franca Boreale (Eubalena glacialis,Müller, 1776) - Balenottera boreale (Balenoptera borealis, Lesson, 1828) - Megattera (Megaptera novaeangliae, Borowski, 1781) - Cogia di Owen (Kogia simus, Owen, 1866)

- Mesoplodonte di Blainville (Mesoplodon densirostris, Blainville, 1817) - Mesoplodonte di Sowerby (Mesoplodon bidens, Sowerby, 1804)

- Iperodonte boreale (Hyperodon ampullatus, Forster, 1770) - Susa indo-pacifica (Sousa chinensis, Osbeck, 1765)

(9)

6 Fig. 1.3 Volantino dell’ OTB che in cui sono riportate le specie di cetacei e tartarughe marine residenti in

Mediterraneo

Per coordinare le numerose attività di ricerca, monitoraggio e intervento effettuate all’interno del Santuario Pelagos, la regione Toscana ha istituito nel 2007 l’O.T.C (Osservatorio Toscano dei Cetacei) sempre con lo scopo di preservare e tutelare le diverse specie di cetacei che qui vivono. I punti informativi OTC sono dislocati lungo tutto il litorale toscano, tra questi a Viareggio, dove dal 2008 il punto informativo è coordinato dal centro CE.TU.S, un’associazione no-profit che svolge attività di ricerca sui mammiferi marini. Dal 2015 le competenze dell’osservatorio sono state ampliate ed estese anche alla tutela e alla salvaguardia dei siti di nidificazione delle tartarughe marine e agli squali. Oggi quindi non si parla più di O.T.C ma di O.T.B (Osservatorio Toscano per la Biodiversità). All’interno del santuario Pelagos si trovano numerose AMP (aree marine protette) fra cui una delle più importanti è quella delle Cinque Terre (Fig. 1.4). L’AMP delle Cinque Terre è stata istituita con il decreto del Ministero dell’Ambiente del 12 Dicembre 1997 e comprende i comuni di Riomaggiore, Vernazza, Monterosso e Levanto. La finalità di questa area marina protetta, che comprende due zone A di riserva integrale, in cui non è permessa nessuna attività navale o di balneazione, e due zone B di riserva generale, in cui sono permesse esclusivamente attività di balneazione e la navigazione di imbarcazioni a vela, a remi o con motori elettrici, è quella di tutelare e valorizzare le caratteristiche naturali, chimiche, fisiche dell’ambiente e della biodiversità marina e costiera, che qui consta di un’elevata quantità di animali e piante, attraverso interventi di recupero ambientale migliorati da una profonda collaborazione con la comunità scientifica. Sono infatti costantemente organizzati programmi di studio, monitoraggio e ricerca volti ad assicurare una conoscenza sistematica dell’area e a promuovere uno sviluppo sostenibile dell’ambiente, valorizzando in particolar modo le attività tradizionali, delle culture locali, e il turismo ecocompatibile.

(10)

7 Fig. 1.4 Mappa dell’AMP delle cinque terre

1.3 Il Tursiope

(Tursiops truncatus, Montagu, 1821)

Fig 1.5 Tursiops truncatus

Il Tursiops truncatus (Montagu, 1821) appartiene all’ordine Cetacea, sottordine Odontoceti, famiglia Delphinidae (Fig 1.5). A causa della grande variabilità morfologica ed ampia distribuzione vennero descritte numerose specie e sottospecie e per molto tempo la comunità scientifica ebbe difficoltà a classificare correttamente dal punto di vista tassonomico questo animale (Moller & Beheregaray, 2001). La prima descrizione di questo mammifero venne effettuata nel 1821 ad opera di George Montagu su un esemplare spiaggiato lungo le coste del Devonshire. Egli lo definì Delphinus truncatus a causa del suo rostro visibilmente più tozzo rispetto a quello del delfino comune. Il nome Tursiops

(11)

8 truncatus gli venne assegnato solo nel 1855 dopo che Grey creò il genere Tursio appositamente per queste specie. Appartenente al genere Tursiops, la comunità scientifica identifica anche un’altra specie: Tursipos aduncus (Hershkovitz, 1966; Rice, 1998).

Il T. aduncus (Ehrenberg, 1832) (Fig. 1.6) è più piccolo e slanciato, rispetto al T. truncatus, presenta un muso più lungo e sottile, pinna dorsale bassa e falcata, ventre con caratteristiche macchioline scure (Hale et al., 2000; Notarbartolo di Sciara & Demma, 2004). Questa specie è diffusa soprattutto nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano (Rice, 1998; Notarbartolo di Sciara & Demma, 2004).

Fig. 1.6 Tursiops aduncus

Tursiops truncatus presenta invece una corporatura possente e muscolosa se paragonata a quella più slanciata dell’aduncus, della stenella striata e del delfino comune. Il melone è ben pronunciato separato da un solco ben evidente dal rostro corto e tozzo. Questo animale può raggiungere una lunghezza di 3 metri e un peso di circa 250-300 kg, i maschi sono generalmente più grandi delle femmine. Oltre alla corporatura e alle dimensioni il tursiope è facilmente distinguibile dalla stenella e dal delfino comune anche per la colorazione; mentre questi presentano caratteristiche “pennellate” lungo i fianchi, bianca per la Stenella coeruleoalba e giallo-ocra per il delfino comune, il tursiope è caratterizzato da una colorazione grigia omogenea che può però assumere sfumature diverse (Leatherwood & Reeves, 1982, 2012). Presenta una pinna dorsale alta e falcata in posizione mediana, mentre le pinne pettorali sono corte e sottili. Nonostante questa sua corporatura apparentemente tozza, il tursiope è un cetaceo agilissimo e dai movimenti eleganti ed aggraziati. Può raggiungere notevoli velocità di nuoto (fino a 30 km/h) e spesso si esibisce in alti salti fuori dall’acqua. Fra tutte le specie di mammiferi marini presenti in Mediterraneo il tursiope è l’unico con abitudini prevalentemente costiere (Notarbartolo di Sciara & Demma, 2004; Gannier, 2005; Trainito & Baldaccioni, 2014), questo animale, infatti, predilige soprattutto acque la cui batimetria non supera i 200 m. Nonostante questo però, di questa specie si riconoscono generalmente due ecotipi (Wells et al., 1999; Cañadas et al., 2002; Forcada et al., 2004; Notarbartolo di Sciara & Demma, 2004; Gomez de segura et al., 2004; Bearzi et al., 2008):

(12)

9  Costiero: forme più piccole e solitamente con una colorazione più chiara

 Pelagico: forme più robuste e con colorazione più scura

Anche se generalmente, il tursiope nuota in superficie, a livello dei primi 50 m della colonna d’acqua, dove compie emersioni per respirare ogni 15-20 secondi, si pensa che questo animale sia in grado di immergersi fino a circa 500 m profondità, a cui può rimanere per circa 8-10 minuti (Ridgway, 1986; Mate et al., 1995; Schreer e Kovacs, 1997; Klatsky et al., 2007; Ponganis, 2011).

1.3.1 ALIMENTAZIONE

Nel corso degli anni sono stati condotti numerosi studi sulla dieta di questi animali (Santos et al., 1996; Santos et al., 2001; Ballance, 1992). Il tursiope è un predatore apicale generalista (Ballance, 1992) ed “opportunista” (Barros & Odell, 1990); ben evidente, infatti, è l’interazione con l’attività di pesca dell’uomo che ne facilita l’alimentazione legata sia a pesci di scarto gettati in mare sia a pesci sottratti direttamente dalle reti (Leatherwood, 1975; Schlais, 1984; Goodwin, 1985; Cannas et al., 1994). Elementi principali della dieta del tursiope sono soprattutto pesci e cefalopodi, ma all’occorrenza questo animale si ciba anche di crostacei, soprattutto decapodi, ed altri invertebrati del benthos. Fra i pesci è stato evidenziato che il Merluccius merluccius è la preda principale (Blanco et al., 2001) dei Tursiopi a livello del Mediterraneo Occidentale. Dato che il M. merluccius si ciba principalmente di decapodi si pensa che la loro presenza a livello dello stomaco di questi delfini sia dovuta ad una predazione indiretta del nasello (Blanco et al., 2001). I contenuti stomacali hanno permesso di evidenziare differenze alimentari fra individui adulti che vivono in zone diverse (Francia: Desportes, 1985; Scozia: Santos et al., 2001; Nord Carolina: Gannon & Waples, 2004) e questo perché diverse sono le prede disponibili. Diete diverse sono state riscontrate anche fra adulti e giovani sia a livello di dimensioni sia della tipologia delle prede ingerite (Santos et al., 2007; Blanco et al., 2001) si pensa per una diversa abilità nella caccia, alle maggior dimensioni dello stomaco e ad una maggiore abilità d’immersione. E’ stato inoltre evidenziato che le femmine adulte, soprattutto quando sessualmente mature e/o durante l’allattamento, prediligono prede ricche di grassi come i cefalopodi visto il loro maggiore fabbisogno energetico (Samuel & Worthy, 2004; Gannon & Waples, 2004; Pate, 2008). Essendo animali estremamente sociali i tursiopi cacciano in gruppo (Leatherwood, 1975) attuando vere e proprie coreografie e coordinandosi fra loro utilizzando un complesso sistema di linguaggio. Durante la caccia si è visto che ogni individuo esercita un ruolo ben preciso (Gazda et al., 2005). La tecnica di caccia maggiormente utilizzata è “la Margherita”: i pesci sono spinti da un gruppo di delfini verso un altro gruppo in attesa che poi circonda le prede (Fig. 1.7). A questo punto gli individui compiono salti alternati verso il centro del cerchio per cibarsi (Morozov, 1970; Nuti & Chiericoni, 2001). La dimensione dei gruppi di caccia varia in base a quella che è la disponibilità di cibo, con poco cibo infatti, i gruppi sono generalmente più piccoli e questo si pensa per ridurre la competizione intraspecifica (Shane et al., 1986; Campbell et al., 2002). Un aspetto interessante che riguarda il tursiope è che questo animale occasionalmente può risalire i corsi d’acqua dolce o entrare nelle lagune (Bearzi & Ferretti, 2000) anche se per periodi di tempo limitati. L’elevata

(13)

10 concentrazione di nutrienti di questi ambienti determina la proliferazione di zooplancton e pesci (Moyle & Cech ,1982) il che spiega la tendenza da parte di questi cetacei a raggiungere queste zone (Ball ance, 1992). Caso eccezionale è rappresentato dall’esemplare di questa specie che dal 31 dicembre 2016 al 31 marzo 2017 si era stabilito nel fiume Arno.

Fig. 1.7 fase uno del meccanismo di caccia a margherita

1.3.2 COMUNICAZIONE

Nello specifico, per il tursiope, alcuni studi hanno rivelato che il pattern vocale comprende almeno dieci tipologie diverse di suoni (Herzing, 1996). Di questi, le principali sono:

1. Fischi 2. Scricchiolii 3. Click

I fischi e gli scricchiolii sono suoni prolungati utilizzati soprattutto per la comunicazione intraspecifica (Bastian, 1967). Nel caso specifico dei fischi è stato dimostrato che questi sono specie-specifici (Tyack, 1986; Reiss & McCowan, 1993; Ding et al., 1995) ed appresi (Reiss & McCowan, 1993). I click invece sono suoni emessi ad intermittenza e con una frequenza elevata prevalentemente a scopo di ecolocazione. Questi sono infatti ultrasuoni utilizzati dall’animale durante la caccia per localizzare le prede ed ottenere informazioni sul loro numero, sulle loro dimensioni, la loro velocità di nuoto e la loro distanza; in particolare questa è percepita in base al tempo che trascorre fra l’emissione del suono e l’eco di ritorno (Herman, 1988; Wahlberg et al., 2011). Il gruppo di ricerca di Wahlberg ha inoltre dimostrato che la frequenza dei click è piuttosto simile fra il Tursiops truncatus e il Tursiops aduncus e che individui liberi producono una quantità di click più elevata rispetto a conspecifici cresciuti in cattività (Norris, 1967; Wahlberg et al., 2011).

(14)

11 1.3.3 STRUTTURA SOCIALE

L’habitat costiero di questi delfini ha permesso di ottenere una grossa quantità di informazioni riguardo a quella che è la loro struttura sociale. Le società formate dal tursiope vengono definite come “Fission-fusion” (Würsig & Würsig, 1977, 1979; Smolker et al., 1992; Connor et al., 2000; Lusseau et al., 2003; Lopez & Shirai, 2007) poiché sono strutture dinamiche basate su un gruppo di individui che compie rotture temporanee (Fission) della composizione originaria e successiva formazione di nuovi sottogruppi (Fusion). In generale si riconoscono 4 modelli strutturali diversi (Pryor & Norris, 1991):

1) Coppia madre-piccolo 2) Gruppi misti di giovani

3) Gruppi di femmine con neonati 4) Maschi adulti solitari o in coppie

L’unità sociale fondamentale è costituita da 5-10 femmine che vivono in associazione con i loro piccoli non ancora svezzati (Rogers et al., 2004). Una volta raggiunta la maturità i piccoli di entrambi i sessi si separano da questa unità familiare per andare a formare un gruppo misto di giovani. Con la maturità sessuale le femmine vanno a raggiungere un’unità familiare (probabilmente quella di nascita) dove rimangono per tutta la vita. I maschi, invece, una volta raggiunta la maturità sessuale tendono a stringere un legame duraturo con un altro maschio e in coppia raggiungeranno il gruppo di femmine con il quale rimarranno solo nel contesto riproduttivo. Questo comportamento rende i maschi importanti vettori per lo scambio di geni fra comunità diverse (Pryor & Norris, 1991).

1.3.4 RIPRODUZIONE

La stagione riproduttiva del tursiope non è ben definita (Urian et al., 1996), anche se in generale accoppiamenti e nascite avvengono fra la tarda primavera e l’autunno (Ross, 1977; Mead & Potter, 1990). La gestazione dura circa 12 mesi (Schroeder, 1990) e i piccoli, che alla nascita hanno una lunghezza di circa 1 m, rimangono in stretto contatto con la madre fino allo svezzamento, che avviene verso la fine del secondo anno di vita, ma comunque sempre prima della nascita del piccolo successivo che avviene di solito con un intervallo di 3-4 anni (Mann et al., 2000). Nel tursiope in particolare è stato osservato il babysitting: piccoli di femmine diverse sono accuditi da un’unica femmina mentre le altre sono alla ricerca di cibo (Fertl, 1994; Maze & Wursig, 2002). La maturità sessuale si ha tra i 9 e i 10 anni nelle femmine e fra i 10 e i 13 anni nei maschi (Sergeant et al., 1973; Perrin & Reilly, 1984).

(15)

12 1.3.5 DISTRIBUZIONE

In base alla sua distribuzione si potrebbe definire il tursiope come cosmopolita (Fury & Harrison, 2008; W ells & Scott, 2009); esso è infatti presente quasi ovunque fatta eccezione per le fredde acque polari, mentre nelle regioni costiere esso è solitamente la specie più abbondante se non l’unica presente. Nel caso specifico del Mediterraneo si può dire che questa è la specie più diffusa sotto costa. La sua distribuzione va infatti dalla riviera ligure fino al Mar Nero. La sua densità è abbastanza elevata soprattutto in corrispondenza dell’Arcipelago toscano (Notarbartolo di Sciara et al., 1993). Nel 2011 è stato pubblicato un lavoro il cui scopo era quello di stimare l’abbondanza dei tursiopi a livello del Santuario Pelagos utilizzando le informazioni provenienti da un database che raccoglieva le stime degli anni precedenti. Come dato più significativo è stato considerato quello del 2006, perché rappresentativo di un maggior numero di aree. Secondo questa stima, il numero di tursiopi presenti nel Santuario dei Cetacei ammonterebbe a circa 1023 individui (Gnone et al., 2011).

1.3.6 RAPPORTO CON L’UOMO

Nei confronti dell’uomo, questo animale si dimostra estremamente curioso e non sono rari gli episodi in cui gruppi di tursiopi si avventurano sotto costa per osservare i bagnanti, o si avvicinano alle imbarcazioni delle quali a volte, sfruttano l’onda prodotta dalla prua per il nuoto (SimÕes-Lopes,1991). Nonostante questo però, il rapporto fra tursiope ed uomo non si può definire esattamente “amichevole”: la tendenza di questi animali a sottrarre pesci dalle reti porta solitamente ad un danneggiamento di questi strumenti e all’attività di pesca. 1.3.7 CONSERVAZIONE

Essendo di abitudini costiere, il tursiope ha notevoli abilità nel destreggiarsi in acque basse e questo fa sì che spiaggiamenti di massa siano estremamente rari. Dal punto di vista conservazionistico, un impatto molto marcato su questa specie, è dato dalle degradazione degli habitat costieri in seguito all’elevata attività antropica e presenza di opere urbanistiche (Davenport & Davenport, 2006; Marley et al., 2016) che contribuiscono a rendere questi animali molto più soggetti all’inquinamento (Gomez de Segura et al., 2006). Molti sono stati i casi registrati di intossicazione cronica o di morte per malattia legata ad esempio a morbillivirus (Tsur et al.,1997; Van de Bildt et al., 2001; Sierra et al., 2014). Anche l’elevato traffico navale è fonte di pericolo per questi cetacei sia per le collisioni fra animali ed imbarcazioni (Panigada et al., 2006), sia per il rumore prodotto dai motori, che può provocarne il disorientamento (Nowacek et al., 2001; Jahoda et al., 2003; Mattson et al., 2005; Notarbatolo di Sciara et al., 2008; Parsons, 2012). L’intensa attività di pesca inoltre contribuisce alla degradazione di stock ittici determinando una grande riduzione della disponibilità di prede (Tudela, 2004). Reti galleggianti o “fantasma” perse accidentalmente o volontariamente tagliate costituiscono un’altra grande minaccia per i cetacei che spesso vi restano intrappolati (Perrin et al., 1994; Thompson & Wilson, 1999). Sebbene questo sia un pericolo maggiore per le specie demersali, che vivono in un ambiente generalmente privo di ostacoli, non è raro trovare anche esemplari di tursiope, seppur abituati ad un habitat costiero caratterizzato dalla presenza di numerosi ostacoli,

(16)

13 impigliati in queste reti. Non è ancora chiaro quali siano le motivazioni che portano questi animali ad avvicinarsi alle reti flottanti anche se si pensa possa essere dovuto alla curiosità, alla loro mancata identificazione o a fattori sociali come per esempio piccoli od altri individui del gruppo rimasti intrappolati (Di Natale & Notarbartolo di Sciara, 1994; Berta & Sumich, 1999). L’attività dell’uomo inoltre, comporta effetti negativi molto marcati soprattutto sulle specie di animali caratterizzate da un’elevata socialità. In particolare questi effetti si riscontrano: sulla fitness (Silk, 2007), sul successo riproduttivo (Sterck, 1998; Bejder et al., 2006) e sulla trasmissione e l’apprendimento di specifici comportamenti o elementi culturali (Whitehead, 2010). Nonostante questo, ad oggi il tursiope non sembra essere una specie in pericolo, anche se nel corso degli anni si sono registrate leggere diminuzioni di abbondanza in diverse aree del mondo. Nella Red-list della IUCN (International Union for Conservation of Nature) questo animale viene elencato fra le specie il cui status è definito “Least concern” (Hammond et al., 2012).

1.4 IBIMET

Le attività umane soprattutto industriali, ma anche agricole, e un sempre maggiore utilizzo di combustibili fossili hanno portato nel tempo ad un aumento dell’emissione di gas serra: all’anidride carbonica, la cui produzione è molto aumentata causando squilibri al ciclo naturale del carbonio, si sono aggiunti altri gas come il metano e gli ossidi di azoto che sono andati ad alterare la normale composizione dell’atmosfera. Il sempre crescente numero di rifiuti prodotti ha determinato seri rischi per l’ambiente e la salute umana: il loro accumulo ha infatti portato al rilascio nel terreno di molecole di sintesi di cui spesso non si conoscono nell’immediato gli eventuali pericoli per la salute dell’uomo, delle piante o degli animali. A questo scenario vanno aggiunti poi i numerosi cambiamenti climatici che agiscono su scala globale (es: riscaldamento globale, acidificazione delle acque ecc.) e che nella maggior parte dei casi sono diretta conseguenza di questo modello economico volto a massimizzare la produzione senza preoccuparsi se le tecniche utilizzate sono adeguate o meno. Per far fronte a questa situazione la comunità scientifica dovrebbe compiere una riflessione approfondita a tutto tondo su questi aspetti, in modo da potere individuare le scelte migliori da attuare in futuro.

L’istituto di Biometeorologia (IBIMET), Fig. 1.8, del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) nasce proprio con l’obiettivo di trovare una soluzione a questi problemi. Viene fondato alla fine degli anni ’70 a Firenze ed oggi conta oltre a questa altre tre sedi a Bologna, Sassari e Roma ed una sede di lavoro a Livorno. Le principali linee di ricerca riguardano:

 La Gestione del territorio: la gestione di risorse fisiche e territoriali richiede adeguate metodologie di monitoraggio e controllo in modo da poter rilevare e fornire informazioni relative allo stato e all’evoluzione di fenomeni e processi in atto sul territorio, siano questi impatti di origine antropica (colture, deforestazione) o naturale (frane, alluvioni).

 Climatologia e Biometeo: la biometeorologia nasce come disciplina rivolta alla ricerca e allo studio delle interazioni tra parametri ambientali ed organismi in

(17)

14 generale, in termini di analisi di dinamiche di popolazione. Comprende anche la linea di ricerca che si occupa di studiare gli effetti dei raggi ultravioletti sulla salute umana.

 Agricoltura ed Ambiente: Va ad indagare le interazioni fra fattori meteorologici/climatici e la vegetazione anche per avere un’idea dei meccanismi fisiologici di risposta allo stress e di adattamento nei confronti dei cambiamenti climatici.

 Sviluppo Rurale: il ruolo dell’agricoltura è radicalmente cambiato nel corso degli anni. Oggi essa non è più vista solo come una via di produzione ma anche come un’attività che può avere un ruolo nella protezione dell’ambiente, nella tutela del paesaggio ecc.

 Recentemente si è aggiunta una nuova linea di ricerca relativa all’analisi dei dati radar in banda X per la misura di onde e correnti superficiali e per la ricostruzione della batimetria del fondale.

IBIMET gestisce e dirige il centro regionale di formazione dell’organizzazione mondiale per la meteorologia (Regional Training Center of the World Meteorological Organization: RTC-WMO) ed ha inoltre promosso, in collaborazione con enti locali, una rete scientifica di centri di studio e consulenza tra i quali il consorzio LaMMA: Laboratorio di Monitoraggio e Modellistica Ambientale per lo sviluppo sostenibile.

(18)

15

1.5 Scopo Del Lavoro

L’interesse della comunità scientifica nei confronti dei cetacei ha portato nel corso degli anni ad una ricca serie di studi condotti su questi animali, sia a scopo di raccolta dati sia per la loro salvaguardia e protezione. La problematica principale che tuttavia si incontra nella ricerca sui mammiferi marini è che per lo studio di questi animali nel loro ambiente naturale è necessaria l’organizzazione di campagne di monitoraggio in mare che richiedono un notevole sforzo economico ed impiego di tempo. Nel quinquennio 2012-2016 il progetto bandiera RITMARE ha portato all’implementazione della rete di radar costieri in banda X e HF per il monitoraggio delle onde e delle correnti superficiali e questa attività di tesi, svolta nel periodo fra Maggio e Novembre 2018, ha voluto sfruttare la presenza di uno di questi radar in banda X a Corniglia, nel pieno dell’Area Marina Protetta delle Cinque Terre, con lo scopo di registrare il passaggio dei cetacei ad una distanza massima di circa 2.5 nm (miglia nautiche) dalla costa. La raccolta dati si è concentrata sulla specie Tursiops truncatus, specie molto abbondante nell’area ed unica specie di cetacei residente nel Santuario Pelagos ad avere abitudini costiere. Lo scopo principale del lavoro è quello di dimostrare la capacità dello strumento radar di riconoscere e distinguere il target “cetaceo” dai target standard come navi, traghetti, etc. e la possibilità di estrapolare, grazie all’analisi delle tracce, dati di natura biologica, come ad esempio il comportamento degli animali. Dimostrare la validità di questo strumento per la raccolta dati consentirebbe di aprire nuove frontiere nell’ambito della ricerca sui mammiferi marini sostenendo la riduzione dei costi e garantendo notevoli risparmi di tempo. Inoltre, questo lavoro di tesi ha lo scopo di gettare le basi per la creazione di un algoritmo che consenta al radar di rilevare e distinguere, in modo completamente automatico, i cetacei da altri bersagli mobili. Ciò permetterebbe molteplici applicazioni di questo strumento soprattutto per la protezione e la salvaguardia di questi animali.

(19)

16

2 Materiali e Metodi

2.1 Area di studio e X-band Radar

L’area in cui sono state svolte le attività di ricerca è localizzata nel Golfo di Genova nel pieno del Parco Naturale delle Cinque Terre (Fig. 2.1). Comprende la zona costiera che si estende da Riomaggiore fino a Monterosso e la porzione di mare antistante la costa per una distanza di circa 2.5 nm (miglia nautiche). L’attività è stata svolta in due diverse modalità complementari e contemporanee: la prima volta all’individuazione e al tracciamento dei cetacei attraverso l’uso di un radar, l’altra di avvistamento tramite strumenti ottici per la validazione delle misure radar. L’attività di avvistamento è stata condotta dalla terrazza panoramica Santa Maria di Corniglia (Fig. 2.2): importante posizione strategica in quanto estremamente vicina al sito di installazione del radar e perché la posizione sopraelevata (circa 90 metri s.l.m.) permette all’osservatore di monitorare una porzione di mare piuttosto ampia (dal promontorio antistante a Manarola fino a Monterosso). L’attività sul campo è stata svolta alla mattina, nella fascia oraria compresa fra le 08:00 e le 14:00. Questa zona è caratterizzata da un traffico navale piuttosto intenso, dato soprattutto da traghetti per turisti e imbarcazioni da diporto; inoltre è molto abbondante anche l’attività di pesca anche se sottocosta questa è condotta principalmente da piccole imbarcazioni; secondo le leggi vigenti infatti, i pescherecci cono reti a strascico non possono esercitare la loro attività al di sotto delle 1,5 nm e dove il fondale non supera i 50 m di profondità.

(20)

17 Fig. 2.2 terrazza panoramica Santa Maria di Corniglia da cui è stata condotta l’attività di avvistamento ottico

Per svolgere l’attività di avvistamento ottico sono state utilizzate varie apparecchiature:  Binocolo: binocolo Segel fernglas 7x50/10x50 con bussola retroilluminata e scala

metrica di rifermento e binocolo Olympus 8-16x40.

 Apparecchiatura fotografica: macchina fotografica Nikon D7000 con teleobiettivo 30-300mm e macchina fotografica Nikon D3400 con teleobiettivo 70-300mm (digitali).

 Bussola

 Telecamera: Telecamera Go Pro Hero 4 Silver

2.1.1 IL RADAR

Con il termine radar, Radio Detection and ranging, si indicano tutti quegli strumenti elettronici in grado di rilevare la presenza e misurare la posizione degli oggetti (target). Il primo radiolocalizzatore venne brevettato nel 1904 ad opera dell’ingegnere tedesco Christian Hülsmeyer con lo scopo di evitare le collisioni fra imbarcazioni durante la navigazione. Nel corso degli anni e soprattutto a causa delle due guerre mondiali nel campo della strumentazione radar vennero fatti enormi passi avanti. Negli anni trenta gli inglesi costruirono una versione estremamente avanzata di questi strumenti che installarono sia sulle imbarcazioni sia lungo la costa e che risultarono determinanti come tecnologia antiaerea, facilitando la rilevazione degli aerei tedeschi ed impedendone quindi la conquista dei cieli britannici. La grande importanza di queste apparecchiature, soprattutto in campo militare, emerse in maniera consistente solo nella seconda metà del conflitto: queste apparecchiature contribuirono infatti alla crescente superiorità della flotta americana su quella giapponese.

(21)

18 2.1.2 FUNZIONAMENTO

Il funzionamento di un radar si basa su un meccanismo piuttosto semplice: un’antenna, generalmente rotante, trasmette un segnale e ne riceve l’eco derivato dalla riflessione dei “bersagli” (Skolnik, 1970; Kuo & Hwang, 2014). Il segnale trasmesso dal radar non è altro che una serie di impulsi con andamento sinusoidale e ad alta frequenza (Fig. 2.3). La frequenza con cui sono ripetuti gli impulsi dipende da quella che è la distanza dell’oggetto dall’antenna. Ogni volta che il radar trasmette un impulso, questo deve poi aspettare un tempo sufficientemente lungo per permettere all’eco del segnale di ritornare prima di emettere un nuovo segnale (Fig. 2.3).

Fig. 2.3 esempio che spiega in modo schematico il meccanismo di emissione dell’impulso e ricezione dell’eco di ritorno ad opera dello strumento radar

Le componenti principali di un tipico sistema radar sono (Fig. 2.4):

(22)

19 La componente principale è il Trasmettitore che si avvale di un oscillatore, magnetrone, per generare un segnale con la frequenza radar (FR) desiderata.

Il sistema si aziona a partire da un Sincronizzatore anche definito generatore di impulsi che vengono convogliati da un Modulatore al trasmettitore attivandolo. Il tipo di radiazioni emesse dai radar si trovano all’interno del campo delle microonde; tuttavia a seconda del tipo di banda radar la frequenza e la lunghezza d’onda degli impulsi emessi variano; più nello specifico il radar in banda X produce onde elettromagnetiche con una frequenza compresa fra i 5.75-10.9 GHz e una lunghezza compresa fra i 5.2-2.8 cm.

Una volta generato, l’impulso viaggia lungo la linea di trasmissione fino a raggiungere l’antenna da cui viene poi irradiato nello spazio.

Come accennato in precedenza spesso il sistema radar utilizza una sola antenna che ha sia la funzione di trasmettere il segnale sia di ricevere l’eco (Bruderer, 1997). In questo caso si parla di Trasmettitore-Ricevitore e ci si avvale dell’utilizzo di un Commutatore che va a disconnettere il ricevitore durante la trasmissione e il trasmettitore durante la ricezione. Se gli impulsi trasmessi non incontrano nessun oggetto allora non ritornano indietro ma, nel momento in cui colpiscono un target si genera un’onda riflessa sottoforma di eco; questa ritorna quindi la trasmittente dove viene captata dal ricevitore (Fig. 2.5).

Fig. 2.5 Trasmissione e Ricezione di un segnale in presenza di un target

Una volta rilevata dal ricevitore, l’onda viene convertita in un formato attraverso cui è possibile rilevare la presenza, la posizione del target nonché la potenza dell’onda riflessa. Infine, il segnale viene amplificato da un Amplificatore Video ad un livello adeguato per l’Unità di presentazione.

(23)

20 2.1.3 PROPRIETA’ FONDAMNETALI DEL RADAR

Il corretto funzionamento di questi strumenti si basa su alcune proprietà fondamentali:

1. Sensibilità: permette al radar di percepire il segnale riflesso dai bersagli, anche da quelli più deboli.

2. Misurazione: questi strumenti sono in grado di misurare la posizione di un target nello spazio tridimensionale, la direzione angolare e il suo vettore velocità. Sistemi più sofisticati sono in grado di ottenere queste informazioni anche in presenza di Clutter o rumore di fondo. Inoltre, i recenti progressi tecnologici hanno permesso di realizzare sistemi in grado di misurare la forma, l’estensione e la classificazione del target (es: nave, uccello etc.).

3. Risoluzione: permette al radar di distinguere due target. Questa proprietà presenta tuttavia delle limitazioni legate a quelle che sono le caratteristiche del segnale e dell’antenna.

L’obiettivo di questo tirocinio è stato quello di utilizzare un dispositivo radar per la ricerca e il monitoraggio dei mammiferi marini nell’area di mare antistante le cinque terre per aprire nuove frontiere sulle metodologie di studio, di raccolta dati e di analisi del comportamento di questi animali.

Il radar utilizzato nell’attività di ricerca è un Radar in banda X Consilium modello SRT da 25 KW con antenna da 9”, circa 2,74 m di lunghezza. Tale radar è stato acquistato dall’istituto IREA del CNR nell’ambito del progetto bandiera RITMARE (www.ritmare.it) e trasferito, successivamente, all’Istituto IBIMET di Firenze. RITMARE è il principale Progetto di Ricerca nazionale sul mare per il quinquennio 2012-2016 e prevede un finanziamento MIUR di 250 milioni di euro. E’ coordinato dal CNR e riunisce in uno sforzo integrato la comunità scientifica italiana coinvolta in attività di ricerca su temi marini e marittimi, oltre ad una significativa rappresentanza degli operatori privati del settore. Una delle attività del progetto ha riguardato l’implementazione di una rete integrata di radar in banda X e in banda HF per il monitoraggio costiero di onde e correnti superficiali. Il radar di Corniglia rappresenta un nodo della rete di radar costieri; la stessa area è coperta anche da un radar in banda HF.

Il radar, vedi figura 2.6, è installato sul tetto del depuratore di Corniglia dal quale è possibile monitorare un’ampia area di mare in un raggio di circa 2.5 nm, come mostrato nella figura 2.7. Nella Tabella I sono riportati i parametri principali di configurazione del radar.

(24)

21 TABELLA I

PARAMETRI DI CONFIGURAZIONE DEL RADAR

Parameter Data set

Radar Rotation period (Dt) 2.4 sec

Radar Image sampling (Dx) 9m

Minimum Range 200 m

Maximum range 4600m

Actual angular sector 190°

Antenna Height over sea level 40 m

Fig. 2.6 Antenna del radar banda X installato sul tetto del depuratore di Corniglia nell’ambito del progetto bandiera RITMARE

(25)

22 Fig. 2.7 area interessata dal segnale radar. La potenza dello strumento ha permesso di raccogliere dati fino ad una

distanza massima di circa 2.5 miglia nautiche dalla costa

L’utilizzo di questa tipologia di radar per lo studio sui mammiferi marini è totalmente sperimentale. Le potenzialità sono molto elevate in quanto questo strumento è indipendente dalla luce e permette il rilevamento dei target anche in caso di scarsa o assente visibilità. Limiti oggettivi sull’applicazione ai cetacei

 Stato del mare: in presenza di onda con altezza superiore agli 80 cm/1 m (scala Beaufort >3) il rumore di fondo non permette l’identificazione di target di piccole dimensioni (Fig. 2.8).

 Distanza dalla costa: maggiore è la distanza di un target dalla costa, minore è la definizione con cui viene visto dal radar e ciò ne limita la corretta identificazione.  Risoluzione: due target molto vicini (distanza reciproca <6 m) vengono visti dallo

(26)

23 Fig. 2.8 immagine radar relativa ad una giornata di avvistamento con onda superiore agli 80 cm. L’onda

alta non permette la corretta identificazione di target di piccole dimensioni

2.2 IDL

Per l’analisi dei dati radar si è scelto di utilizzare il linguaggio Interactive Data Language, anche noto con la sigla IDL, che è un linguaggio di programmazione specializzato nell’analisi di dati scientifici. E’ commercializzato dalla ITT Visual Information Solution. I vantaggi principali sono la semplicità dell’ambiente di programmazione, la disponibilità di estese librerie integrate e la portabilità del codice.

IDL è un linguaggio interpretato e questo fa sì che un programma, scritto con questo linguaggio, venga letto ed eseguito un’istruzione alla volta da un “interprete”. L’interprete IDL è inserito in un ambiente di sviluppo denominato IDLDE (IDL Development Enviroment) dotato di funzioni di editing.

L’ambiente di sviluppo è un MDI (Multiple Document Interface), costituito da una serie di menù di comandi con sottomenù, delle toolbars, un editor di programmi (che permette di gestire diversi documenti contemporaneamente), una finestra di output, una riga (prompt) per l’immissione dei comandi IDL e dalla barra di stato.

Nell’ambito di questa attività di tirocinio sono stati creati, utilizzando il linguaggio IDL, due programmi (Appendice I):

1. “Leggi dato”: questo programma ha la funzione di caricare su una matrice tridimensionale di dimensioni 1024x1024xn una sequenza di n immagini radar consecutive all’interno delle quali sono contenute le informazioni sui bersagli. La

(27)

24 figura 2.9 mostra un esempio di immagine (1024x1024 campioni) acquisita dal radar e visualizzata tramite il programma Leggi Dato.

2. “Elabora dato”: questo programma rappresenta il cuore dell’analisi dei dati radar. Esso prende in input la matrice generata dal programma “leggi dato”, estrae le tracce radar associate ai bersagli, e le analizza, attraverso delle funzioni sviluppate ad hoc nell’ambito dell’attività di tesi, per determinare se si tratti di cetacei o di imbarcazioni.

Fig. 2.9 esempio di immagine video originata dal programma IDL “Leggi dato”

2.3 Procedura di analisi del dato radar

L’analisi dei dati radar ha lo scopo di individuare e riconoscere i cetacei presenti nell’area spazzata dal radar attraverso dei criteri basati sulla conoscenza del loro comportamento (immersione ed emersione) che li differenzia, dal punto di vista del segnale radar, dagli altri bersagli (navi, imbarcazioni, volatili, etc…).

La figura 2.10 mostra il diagramma a blocchi in cui è illustrata la procedura di analisi dei dati.

(28)

25 Fig. 2.10 diagramma a blocchi che illustra le fasi principali della procedura di analisi del dato radar Questa procedura ha permesso di identificare all’interno delle immagini radar i target di interesse, T. truncatus, e di determinarne il comportamento dall’analisi delle tracce registrate. Il primo passo di questa procedura è dato dal Partitioning: in questo blocco vengono estratte le sequenze temporali relative a sub-aree delle immagini radar precedentemente selezionate manualmente e contenenti i bersagli che si intende classificare. In figura 2.11 viene mostrata una sequenza di immagini consecutive relative alla sub-area estratta dalla spazzata radar e contenete il bersaglio rappresentato da una nuvola di punti di colore verde-rosso; l’area in blu rappresenta il rumore di fondo del segnale radar e proveniente dalla superficie del mare.

Fig. 2.11 successione di istanti temporali all’interno dei quali è possibile osservare il movimento di un tursiope (nuvola di punti che compare e scompare con regolarità) isolato attraverso il Partioning

(29)

26 Una volta estratte le sequenze temporali contenenti i bersagli, su ciascuna finestra temporale viene applicato uno Smoothing Spaziale (Eq. 2.1). La sua applicazione si rende necessaria per pulire l’immagine dalla presenza di eventuali disturbi radar (spikes) che potrebbero inficiare la ricerca dei cetacei; questo procedimento permette, infatti, di ridurre e/o eliminare la maggior parte delle interferenze o disturbi radar.

Eq. 2.1 formula matematica per l’applicazione dello Smoothing spaziale

Il passaggio successivo della procedura consiste nella Max Extraction. Questa fase, che viene effettuata sempre su tutte le finestre temporali, permette di ricercare ed estrarre per ciascuna immagine della sequenza della sub-area il valore massimo di intensità. L’estrazione del massimo è un’operazione fondamentale per evidenziare il movimento di un target e la frequenza dell’alternanza emersione/immersione che caratterizza il tipico nuoto del tursiope. Il grafico 2.1 mostra un esempio di quello che restituisce questa operazione. Questo grafico in particolare corrisponde alla Max Extraction effettuata sulla sequenza di finestre temporali mostrate nella figura 2.10. Ad ogni picco corrisponde un massimo di intensità legato alla presenza del target (delfino in emersione) fatta eccezione per i picchi delle immagini 15 e 18 (contrassegnati da un pallino rosso) dove il valore massimo registrato è dovuto alla presenza di un altro target, molto probabilmente un gabbiano perché molto veloce e con una capacità riflessiva più bassa di quella del tursiope, che attraversa la sequenza di finestre temporali.

Graph. 2.1 Max extraction eseguita sulla serie di istanti temporali riportati nella figura 2.10 che ha portato all’estrazione della traccia di un tursiope

L’alternanza di periodi di immersione ed emersione rende ben distinguibile la traccia di tursiope da quella lasciata da altri bersagli in movimento come imbarcazioni a vela e/o a motore e gabbiani. Come mostrato dal grafico 2.2, infatti, in presenza di un’imbarcazione,

(30)

27 la traccia rimane fissa durante la successione di immagini esibendo solo qualche lieve fluttuazione dovuta ad oscillazioni del segnale radar. La traccia ha un andamento piuttosto uniforme perché, contrariamente a quanto accade per il tursiope, in tutte le immagini è sempre presente il valore massimo di intensità legato alla presenza costante dell’imbarcazione a vela.

Graph. 2.2 Max extraction da una serie di istanti temporali che ha permesso l’estrazione della traccia di un’imbarcazione a vela in movimento

La traccia lasciata dai target, evidenziati nelle finestre temporali, permette quindi di identificare i bersagli di interesse e di separarli invece da altri oggetti in movimento.

Basandoci su questo principio che distingue il comportamento “radar” dei cetacei dal resto dei bersagli è stata implementata una tecnica di analisi atta a misurare la deviazione standard di tali grafici rispetto ad una soglia standard che corrisponde a circa il 10% del valore massimo di quantizzazione dei bit registrato. I cetacei, con il loro comportamento di immersione/emersione continua saranno caratterizzati da una deviazione standard della sequenza temporale del massimo elevata (vedi grafico 2.1) mentre i target standard (vedi grafico 2.2) avranno una deviazione standard più bassa. Oltre a questo, per le tracce relative ai target delfini è stata calcolata la frequenza con cui si presentano i picchi per poter avanzare ipotesi sul comportamento esibito dall’animale in quel dato momento. Queste frequenze sono state calcolate dal rapporto fra numero di picchi presenti nella traccia e il totale delle immagini da cui era composta la sottosequenza di riferimento; questo risultato è poi stato normalizzato per il Δt= 2.4” che indica il tempo impiegato dal radar per registrare due immagini consecutive.

Il passaggio finale previsto dalla procedura di analisi dei dati riguarda l’identificazione del comportamento esibito dal target in quella precisa finestra temporale sulla base della frequenza di immersione/emersione. Quello che ci si aspetta è che un target che non esibisca un comportamento specifico, ma che sia solamente di passaggio nell’area monitorata, mostri dei cicli di emersione/immersione frequenti e regolari, mentre per un target intento a cacciare ci si aspetta una frequenza molto minore di emersione/immersione per una maggiore quantità di tempo che l’animale passa in immersione.

(31)

28 Oltre a ciò le tracce sono state utilizzate anche per calcolare i tempi di respirazione dei target da poter utilizzare sempre in merito all’analisi del comportamento dei delfini.

2.4 Validazione del dato Radar

Come specificato in precedenza, il sistema radar restituisce un’immagine in cui tutti i target sono rappresentati come nuvole di punti. Analizzare le tracce lasciate dai singoli target si rivela essere un modo efficace per distinguerli fra loro; allo scopo di dimostrare l’efficacia della tecnica di analisi dei dati radar sviluppata durante il periodo della tesi è stata effettuata una validazione per falsi positivi. La validazione del dato radar si basa sul confronto fra l’immagine elaborata dallo strumento, e le immagini fotografiche raccolte durante l’attività di avvistamento; si è infatti partiti da quest’ultime per ritrovare nell’immagine radar il corrispondente target cetaceo. Le fotografie sono uno strumento estremamente utile perché, oltre a contenere informazioni temporali, come l’orario in cui sono state realizzate, possono contenere anche riferimenti spaziali (come boe o imbarcazioni) che facilitano e rendono certa l’individuazione del target di interesse (Fig. 2.12). L’immagine fotografica consente, inoltre, di identificare il bersaglio sia esso un cetaceo o un’imbarcazione. Di seguito è mostrato un esempio di validazione. L’immagine di sinistra mostra una fotografia scattata il giorno 20/07/2018 alle ore 09:35 e mostra la presenza contemporanea di una barca a vela, di un delfino e della scia lasciata da un traghetto. La figura in basso mostra la corrispondente immagine radar dell’area mostrata in foto e che presenta tre diversi target: uno, quello più in basso a sinistra, più intenso associato alla barca a vela, uno in basso a destra con la tipica forma a “V” della scia di una nave e l’ultimo, in alto a sinistra, meno intenso a causa della bassa riflessione causata dalla superficie organica, e dovuto alla presenza del delfino mostrato nella foto di destra.

Fig. 2.12 esempio di validazione del dato radar tramite confronto con immagine fotografica per il tursiope identificato come TT6

(32)

29 Altri esempi di validazione del dato radar sono riportati nelle figure 2.13, 2.14 e 2.15.

Fig. 2.13 esempio di validazione fotografica del dato radar per il tursiope identificato con il nome di TT8

(33)

30 Fig. 2.15 esempio di validazione fotografica del dato radar per il tursiope identificato come TT14

La presenza di un osservatore si è rivelata molto importante, non solo per la raccolta di immagini fotografiche, ma anche per il rilevamento della posizione e della direzione di movimento dei target con la bussola, operazione che ne ha reso possibile l’identificazione sull’immagine radar laddove le fotografie (come mostrato negli esempi precedenti) risultavano prive e/o povere di punti di riferimento spaziali.

2.5 Radar HF per monitoraggio correnti

Il Costal Ocean Dynimics Application Radar, meglio conosciuto come CODAR, è un tipo di radar ad alta frequenza (HF) sviluppato tra il 1973 e il 1983 presso il Wave Propagation Laboratory della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) in Colorado. Questo sistema non invasivo permette di misurare e mappare le correnti marine superficiali nella porzione di acque costiere (Kohut & Glenn, 2003).

2.5.1 STRUTTURA

Il CODAR è costituito principalmente da un’antenna compatta caratterizzata dalla presenza di anelli incrociati e due fruste: una per la trasmissione degli impulsi radio ed una per la ricezione (Fig. 2.16). Le dimensioni ridotte delle antenne permettono l’utilizzo di questo sistema anche in aree costiere rocciose e/o altamente popolate. Dato che però il segnale viene attenuato dalla terra per poter ottenere dati ottimali, l’antenna deve essere installata il più vicino possibile all’acqua. La frequenza operativa di questa apparecchiatura è compresa fra i 3 e i 50 MHz (Paduan & Washburn, 2013; Liu et al., 2014). L’antenna è collegata al segmento elettronico dove è contenuto l’hardware a livello del quale le informazioni sono raccolte ed archiviate.

(34)

31 Fig. 2.16 antenna dell’apparecchiatura CODAR (radar HF) installato a Monterosso per il monitoraggio delle

correnti costiere superficiali

2.5.2 MAPPE CORRENTE

Il progetto RITMARE, che ha previsto fra le altre cose l’implementazione della rete radar HF, ha permesso l’installazione a Monterosso nel settembre 2017 di un sistema CODAR. Questo specifico radar misura e mappa le correnti superficiali costiere nella zona di mare delle cinque terre (Fig. 2.17). Per mappa di corrente si intende una rappresentazione della direzione e velocità della corrente principale, rappresentate da vettori (Ullman et al., 2006), e della sua intensità, indicata con un’apposita scala di colore. Tutte le mappe di corrente elaborate a partire dalle informazioni ottenute da questa apparecchiatura sono raccolte ed archiviate all’interno di uno specifico database (http://ritmare.artov.isac.cnr.it). L’accesso a questo archivio, mette a disposizione dell’utente tutte le mappe di corrente create da tutti i radar HF presenti lungo le coste italiane. Diversi studi hanno evidenziato che correnti di marea intense influenzano in maniera significativa alcuni comportamenti dei delfini come ad esempio la caccia (Hanson & Defrag, 1993; Harzen, 1998; Mendes et al. 2002), la tendenza ad avvicinarsi agli estuari (Fury & Harrison, 2011) e la direzione di movimento anche se negli anni sono emersi pareri molto contrastanti al riguardo: alcuni studiosi suggerivano infatti che i tursiopi tendessero a seguire la direzione della corrente (True, 1885; Gunter, 1942; Irvine & Wells, 1972; Würsig & Würsig, 1979; Irvine et al., 1981), altri che in presenza di corrente intensa i delfini tendano a muoversi prevalentemente contro corrente (Norris & Prescott, 1961; Hussenot, 1980; Shane, 1977,1980), oppure che l’intensità della corrente non avesse alcun effetto sulla direzione degli animali

(35)

32 (Leatherwood, 1979; Wilson et al., 1997). Nell’ambito di questa attività di tesi le mappe di corrente sono state utilizzate proprio con lo scopo di indagare, anche per l’Area Marina Protetta delle Cinque terre, l’eventuale esistenza di un legame, di un’influenza da parte di correnti costiere superficiali intense sul comportamento dei tursiopi, ed in particolare evidenziare se questi animali tendono a muoversi secondo o contro corrente. Le mappe prese in considerazione sono state quelle generate dal radar installato a Monterosso relativamente a tutte le giornate di monitoraggio in cui i tursiopi sono stati avvistati.

Fig. 2.17 Mappa di corrente per l’area di mare delle Cinque Terre ottenuta attraverso il radar HF installato a Monterosso

(36)

33

3 Risultati

3.1 Dato Attività d’Avvistamento

Nel periodo compreso fra Maggio e Novembre 2018 ho svolto un’attività di avvistamento dalla terrazza panoramica di Corniglia con l’obiettivo di monitorare visivamente il passaggio di cetacei nella porzione di mare antistante la costa e di registrare la loro presenza attraverso un’apparecchiatura radar in banda X fino ad una distanza di circa 2,5 nm. Oltre all’avvistamento ottico, il mio ruolo di operatore associato al radar prevedeva l’attivazione dello strumento, la raccolta di immagini fotografiche e il rilevamento della posizione dei target con la bussola, tutti passaggi indispensabili per la validazione del dato raccolto. Nell’ambito di questa attività di tesi ci si è concentrati, in particolare, sullo studio della specie Tursiops truncatus essendo questa l’unica con abitudini prevalentemente costiere. Nello specifico sono state condotte 30 giornate di attività sul campo (circa 150 ore totali), di cui 12 hanno avuto esito positivo portando all’avvistamento di circa 70 individui (adulti e giovani). Gli avvistamenti si sono concentrati prevalentemente fra le 08:00 e le 10:00 ed hanno permesso la registrazione di circa 10000 immagini radar come mostrato nella Tabella II.

TABELLA II

(37)

34 Come mostrato nella tabella II, durante la giornata del 13/09 sono stati avvistati due gruppi di animali in due diverse fasce orarie. Questa è anche l’unica giornata in cui i tursiopi sono stati osservati in associazione con i pescherecci (comportamento di trawling).

3.2 Dato radar in banda X

Per poter analizzare le immagini registrate dallo strumento radar è stato necessario apprendere alcune delle basi della programmazione, attraverso cui mi è stato possibile elaborare una tecnica il cui scopo fosse l’individuazione e il tracciamento del target delfino dal resto dei bersagli presenti nelle immagini. Questa tecnica ha previsto la scrittura di due programmi in linguaggio IDL (linguaggio di programmazione solitamente utilizzato per lavorare sul dato radar) che hanno permesso di lavorare direttamente sulle singole finestre temporali all’interno delle quali sono stati individuati ed estratti manualmente (vedi l’esempio della figura 2.10 della sezione Materiali e Metodi), i target cetacei. L’analisi delle immagini radar ha portato all’individuazione certa di 12 tursiopi (Fig. 3.1 e Appendice II). Le immagini radar hanno subito evidenziato una marcata differenza fra i mammiferi marini e bersagli standard: mentre i bersagli standard come traghetti, imbarcazioni e/o boe sono presenti in ogni immagine della finestra temporale della sequenza di dati, i cetacei a causa del loro comportamento, che prevede l’alternanza di emersione/immersione, compaiono e scompaiono durante la sequenza temporale di immagini radar.

(38)

35 Dalla successione della finestra temporale è stata estrapolata la traccia lasciata dal movimento del target evidenziando la potenzialità e la capacità dello strumento radar di riconoscere e tracciare i mammiferi marini la cui impronta risulta molto diversa da quella lasciata da altri bersagli mobili come barche a vela, da pesca e/o traghetti (Fig. 3.2-3.3 e Appendice III).

Fig. 3.2 esempio di traccia lasciata da un target delfino

Fig. 3.3 esempio di traccia lasciata da un target standard, in questo caso una barca a vela

I grafici mostrano chiaramente come la traccia del target cetaceo (nuvola di punti celeste-giallo-rosso) sia caratterizzata da un’alternanza di picchi legati al tipico comportamento di questi animali che prevede l’alternanza delle apnee. Molti studi hanno infatti dimostrato che i tursiopi possono compiere emersioni per respirare in un tempo compreso fra i 2 e i 15/20 secondi alternate a periodi di immersione di un massimo di circa 10 minuti (Schreer & Kovacs, 1997; Klatsky et al., 2007; Ponganis, 2011). Il comportamento di questi animali, quindi, fa sì che la traccia registrata dal radar sia ben distinguibile da quella lasciata da altri bersagli, che risulta invece essere molto più uniforme e dove le fluttuazioni presenti sono legate esclusivamente ad oscillazioni dello strumento e non alla scomparsa del target dall’immagine.

Riferimenti

Documenti correlati

Prestazioni parametri vitali Monitoraggio Codice colore Età Presenza caregiver 1 Dipendente Incontinente Allettato e/o lesioni da decubito CVC Drenaggi NIV Deficit visivi

I predatori, e tra questi in particolare i rapaci (Rodriguez-Estrella et al., 1998; Ritchie et al., 2009), sono considerati tra le specie indicatrici della qualità degli

c1) la posizione secondo la quale i significati privati, non vengono appresi, come gli altri all’interno di una dimensione pubblica, ma privatamente costruiti mediante delle

The magnitude of the correlations observed between polyphenols in urine and food intake depends on various factors, including the reliability of the dietary intake measurements,

The upregulation of folate cycle enzymes in ovarian carcinoma cells (6), including this cDDP-resistant line (44) and the deficient SSAT expression previously reported (46)

24 Le fasi principali della teoria in merito al processo decisionale troviamo: l’individuazione delle risorse e competenze distintive dell’azienda, ricerca del

Reidenberg et Laitman (1987) affermano: “Il tratto respiratorio più craniale degli odontoceti si è evoluto a partire da un modello respiratorio di base per tutti i mammiferi.

In order to anticipate and incorporate human values early on and throughout the design process of an O4.0 and provide clear guidelines for companies that want to