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LA FARMACOLOGIA NELLA PRATICA CLINICA, UNA SVOLTA PER IL CAMPO FARMACOLOGICO SPERIMENTALE

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Academic year: 2021

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Università degli studi di Pisa

TESI DEL MASTER IN:

SPERIMENTAZIONE CLINICA DEI FARMACI

TITOLO DELLA TESI:

LA FARMACOGENETICA NELLA PRATICA CLINICA,

una svolta per il campo farmacologico sperimentale

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2 Indice 1 Sommario 4 2 Introduzione 5 1 La farmacogenetica 5 1.1 Generalità 5 1.2 Contesto storico 5

1.3 Importanza della farmacogenetica per la variabilità nella risposta ai farmaci 6

1.4 Reazioni avverse ai farmaci 8

1.5 Base genomica della farmaco genetica 9

1.5.1 Terminologia condizionata dal fenotipo 9

1.5.2 Tipi di varianti genetiche 10

1.5.3 Diversità etnica 12

1.5.4 Selezione dei polimorfismi 13

1.5.5 La risposta alla variabilità nel profilo genetico 14

1.5.6 I geni coinvolti nel metabolismo dei farmaci 15

1.6 Considerazioni sulla progettazione di studi di farmacogenetica 19

1.6.1 Misure farmacogenetiche 19

1.6.2 Raffronto tra l’approccio di tipo “gene candidato” e quello di tipo “genome-wide” 21

1.6.3 Studi funzionali di polimorfismi 22

1.7 Fenotipi farmacogenetici 23

1.7.1 Farmacocinetica 23

1.7.2 Farmacocinetica e bersaglio dei farmaci 24

1.7.3 Polimorfismi in grado di modificare le malattie e risposte ai farmaci 25

3 Fulcro della tesi 1.8 Farmacogenetica e sviluppo dei farmaci 25

1.9 I test di farmacogenetica 27

1.10 Farmacogenetica nella pratica clinica 28

1.11 La farmacogenetica nella clinica psichiatrica 29

1.11.1 Fattori influenzanti la risposta al trattamento farmacologico 29

1.11.2 Fattori genetici influenzanti la risposta al trattamento farmacologico 32

1.11.2.1 Geni CYP 32

1.11.3 Fattori farmacodinamici 33

1.11.3.1 Sistema dopaminergico 33

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1.11.3.3 Sistemi di neurotrasmissione Drug-Targeted 35

1.11.3.4 Geni di sviluppo e regolazione 35

1.11.4 Interazioni genetiche e ambientali influenzanti la risposta ai farmaci psicotropici 36

1.11.5 Test genetici in psichiatria 36

1.12 La farmacogenetica nella pratica oncologica 38

1.12.1 Enzimi che metabolizzano i farmaci 40

1.12.1.2 Tiopurina metiltransferasi e 6-mercaptopurina 40

1.12.1.3 UDP-glucuronosiltransferasi e irinotecano 41

1.12.1.4 Diidropirimidina deidrogenasi e 5-fluorouracile 42

1.12.1.5 CYP2D6 e il tamoxifene 42

1.12.2 Enzimi metabolizza tori del pathway del folato 43

1.12.2.1 Metilentetraidrofolato reduttasi e metotrexato 43

1.12.2.2 Timidilato sintasi e antimetaboliti 44

1.12.2.3 Recettore per il fattore di crescita epidermico e inibitori tirosin chinasici 44

1.13 Applicazione di test farmaco genetici alle terapie contro il cancro 46

1.14 Prospettive future 46

4 Conclusioni 47

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Sommario

La farmacogenetica è lo studio delle basi genetiche della variabilità della risposta ai farmaci. Nel senso ampio del termine la farmacogenetica comprende anche la farmacogenomica, disciplina che utilizza vari mezzi per indagare l’intero genoma alla ricerca dei determinanti multigenici della risposta ai farmaci. La variabilità nella risposta al trattamento farmacologico tra paziente e paziente costituisce da sempre uno dei problemi più rilevanti nella pratica clinica. Le risposte individuali ai farmaci, infatti, variano molto: si possono osservare, in alcuni pazienti rispetto ad altri, effetti terapeutici ridotti o addirittura assenti, reazioni avverse o effetti collaterali, nonostante sia stato somministrato lo stesso farmaco alla stessa posologia. Il destino dei farmaci nell’organismo (farmacocinetica) e i loro effetti terapeutici e tossici (farmacodinamica) sono regolati da processi complessi ai quali partecipano, cooperando, numerose proteine deputate al trasporto e al metabolismo dei farmaci, o coinvolte nel loro meccanismo di azione, a loro volta codificate da geni diversi. Nell’uomo si ritiene che la maggioranza dei geni contenga variazioni casuali della sequenza nucleotidica tra i diversi individui, sviluppatesi nel corso dell’evoluzione.

Test del DNA, che identificano queste variazioni genetiche, possono predire come un paziente risponderà ad un particolare farmaco in base al suo specifico profilo genetico. La ricerca farmacogenetica è fondamentale nelle terapie oncologiche, in cui la variazione tra dose tossica ed efficace è minima. Terapie antitumorali, possono eradicare oltre al tumore anche le cellule normali. E’ importante considerare, a tal proposito, sia le varianti nucleotidiche del genoma dell’ospite che del tumore. Polimorfismi del genoma dell’ospite sono i maggiori determinanti del rischio di tossicità farmaco-mediata. Tessuti tumorali, inoltre, frequentemente presentano mutazioni su oncogeni, che a volte possono conferire sensibilità ai farmaci, come nel caso della mutazione del dominio tirosin-chinasico dell’EGFR e della risposta al gefitinib.

L’inserimento di test farmacogenetici nelle fasi precoci dei trials clinici può fornire importanti informazioni circa i profili farmacogenetici in relazione alla risposta e alla tollerabilità al trattamento. I clinici potranno utilizzare queste informazioni per decidere la terapia ottimale e per personalizzare il dosaggio; i benefici consisteranno in una ridotta incidenza di reazioni avverse, in migliori esiti clinici ed in costi ridotti. Questi test rappresentano il primo passo verso terapie paziente-specifiche.

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Introduzione

1. La farmacogenetica

1.1 Generalità

La farmacogenetica è lo studio delle basi genetiche della variabilità della risposta ai farmaci. Nel senso ampio del termine la farmacogenetica comprende anche la farmacogenomica, che utilizza vari mezzi per indagare l’intero genoma alla ricerca dei determinanti multigenici della risposta ai farmaci. Fino ai progressi tecnici ottenuti dalla genomica negli ultimi anni, la farmacogenetica ha proceduto utilizzando un approccio di genetica diretta, che consiste nel partire dal fenotipo per arrivare al genotipo. Per identificare la base farmacologica della risposta alterata, individui che mostravano una risposta alterata ai farmaci venivano confrontati con individui che mostravano una risposta normale. L’esistenza di una componente ereditaria della risposta veniva dimostrata attraverso studi familiari o attraverso studi di comparazione tra la riproducibilità intra e inter-individuale. Con l’esplosione tecnologica che si è verificata nella genomica, si è reso possibile un approccio di genetica inversa, che consiste nel partire dal genotipo per arrivare al fenotipo, in base al quale i polimorfismi genomici possono servire come punto di partenza per valutare se la variabilità genomica si traduce in variabilità fenotipica.

1.2 Contesto storico

La farmacogenetica nasce intorno agli anni cinquanta quando i ricercatori cominciarono a pensare che anche la risposta ai farmaci potesse essere regolata, almeno in parte, dai geni e che la variabilità di reazione a un certo principio attivo da parte di individui diversi non fosse altro che il riflesso delle differenze genetiche.

Nell’era pregenomica si era ipotizzato che la frequenza delle variazioni genomiche fosse relativamente bassa e la dimostrazione dell’esistenza di caratteri ereditari di risposta ai farmaci aveva riguardato un numero relativamente piccolo di farmaci e vie metaboliche

(Eichelbaum e Gross, 1990; Evans e Relling, 2004; Johnson e Lima, 2003).

Storicamente, fenotipi eccezionalmente gravi indotti da farmaci sono serviti da stimolo per ricercare e documentare l’esistenza di fenotipi farmacogenetici. Nella prima metà del ventesimo secolo si è

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scoperto che il blocco neuromuscolare prolungato, conseguente alla somministrazione di normali dosi di succinilcolina, la neurotossicità della terapia con isoniazide (Hughes et al.; 1954) e la metaemoglobinemia che si osserva nel deficit di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G6PD) (Halving et al., 1956) hanno una base genetica.

Negli anni settanta e ottanta l’idrossilazione della debrisochina e l’esagerato effetto ipotensivo di questo farmaco furono associati a un deficit ereditario autosomico recessivo dell’isoenzima 2D6 del citocromo P450 (CYP2D6) (Evans e Relling, 2004). Dalla scoperta della base molecolare del polimorfismo fenotipico di CYP2D6 (Gonzalez et al., 1998), sono state identificate le basi molecolari di molti altri caratteri farmacogenetici monogenici (Meyer e Zanger, 1997).

Gli individui differiscono gli uni dagli altri all’incirca ogni 300-1000 nucleotidi e si stima che complessivamente nel genoma siano presenti 3.2 milioni di polimorfismi a singolo nucleotide (single nucleotide polymorphisms o SNP) : sostituzioni di una singola base, si trovano con una frequenza dell’ 1% o maggiore in una popolazione (Sachidanandam et al., 2001; The International SNP Map Working Group, 2001).

Il compito della moderna farmacogenetica consiste nell’identificare quali di queste varianti o combinazioni di varianti hanno conseguenze funzionali sugli effetti dei farmaci.

1.3 Importanza della farmacogenetica per la variabilità nella risposta ai farmaci

La variabilità nella risposta al trattamento farmacologico tra paziente e paziente costituisce da sempre uno dei problemi più rilevanti nella pratica clinica. Le risposte individuali ai farmaci, infatti, variano molto: si possono, infatti, osservare in alcuni pazienti rispetto ad altri, effetti terapeutici ridotti o addirittura assenti, reazioni avverse o effetti collaterali, nonostante sia stato somministrato lo stesso farmaco alla stessa posologia.

Questa variabilità inter-individuale veniva, nel passato, attribuita principalmente all’influenza di fattori non genetici come ad esempio l’età, il sesso, lo stato nutrizionale, quello di funzionalità renale ed epatica, le abitudini di vita con particolare riferimento alla dieta e all’abuso di alcool e fumo, la concomitante assunzione di altri farmaci o la presenza di comorbidità. Attualmente si ritiene che, oltre ai fattori sopra menzionati, giochino un ruolo importante nella risposta individuale ai farmaci anche quelli ereditari.

La risposta a un farmaco è, pertanto, considerata un fenotipo condizionato dai geni attraverso l’ambiente. Ciò significa che la risposta di un individuo a un farmaco dipende da una complessa interazione tra fattori ambientali e fattori genetici. La variabilità nella risposta a un farmaco può

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quindi essere spiegata dalla variabilità nei fattori ambientali e genetici, da soli o in combinazione. Quale percentuale della variabilità nella risposta ai farmaci è con molta probabilità determinata geneticamente? I classici studi familiari forniscono alcune informazioni (Weinshilboum e Wang, 2004). Poiché la stima della frazione di variabilità fenotipica che nella farmacogenetica può essere attribuita ai fattori genetici solitamente necessita della somministrazione di un farmaco a gemelli o a tre membri di una stessa famiglia, i dati sono piuttosto limitati. Gli studi sui gemelli hanno mostrato che il metabolismo dei farmaci presenta elevati valori di ereditabilità; i fattori ereditari, infatti, spiegano la quota maggiore della variabilità nella velocità del metabolismo di molti farmaci (Vesell, 2000). I risultati di uno studio sui gemelli nel quale è stata misurata l’emivita dell’antipirina sono emblematici. L’antipirina, un analgesico pirazolonico, viene eliminata esclusivamente dal metabolismo ed è un substrato di più enzimi detti CYP (trattati in seguito). Per l’emivita dell’antipirina vi è una concordanza significativamente più elevata tra coppie di gemelli monozigotici (identici) che non tra coppie di gemelli dizigoti (fratelli). Il confronto della variabilità tra gemelli appartenenti a una stessa coppia gemellare e gemelli di coppie diverse suggerisce che per i farmaci che vengono eliminati attraverso il metabolismo la variabilità delle emivite farmacocinetiche presenta una ereditabilità di circa il 75-85% (Penno et al., 1981). E’ stato anche proposto che l’ereditabilità possa essere stimata comparando la variabilità intra e inter-individuale nella risposta ai farmaci o la distribuzione del farmaco in individui non imparentati (Kalow et al., 1998), assumendo che un’alta riproducibilità intra-individuale si traduca in un’elevata ereditabilità; la validità di questo metodo nello studio dei fenotipi farmacologici deve essere ancora dimostrata. In ogni caso, tali studi forniscono solo una stima del contributo complessivo dell’eredità al fenotipo; poiché la distribuzione dell’antipirina è influenzata da molti prodotti genici, la maggior parte dei quali presenta meccanismi di variabilità genetica non ancora chiari, la capacità di prevedere la distribuzione dell’antipirina sulla base della variabilità genetica conosciuta è scarsa.

Un altro approccio per la stima del grado di ereditabilità di un fenotipo farmacogenetico si avvale di esperimenti ex vivo su linee cellulari derivate da individui imparentati. Per stimare l’ereditabilità si confrontano la variabilità inter e intra-familiare e si considerano le relazioni tra i membri di una stessa famiglia. Utilizzando questo approccio con cellule linfoblastoidi, si è dimostrato che la citotossicità da agenti chemioterapici è ereditabile e che la variabilità della sensibilità al 5-fluorouracile e al docetaxel presenta un’ereditabilità compresa, a seconda del dosaggio, tra il 20 e il 70% (Water et al., 2004).

Per i caratteri fenotipici “monogenetici” del deficit di G6PD, del metabolismo di CYP2D6 o della tiopurina metiltrasferaasi (TPMT) -trattati più accuratamente nelle pagine successive - è possibile

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prevedere il fenotipo in base al genotipo. Diversi polimorfismi genetici di enzimi che metabolizzano farmaci corrispondono a caratteri monogenetici. In base a uno studio retrospettivo, il 49% delle reazioni avverse ai farmaci è associato a farmaci che sono il substrato di enzimi polimorfici che metabolizzano i farmaci, e questa è una percentuale più elevata di quella stimata per tutti i farmaci (22%) o per i farmaci più venduti (7%) (Phillips et al., 2001) . Molto probabilmente, in futuro la determinazione del genotipo consentirà la prevenzione delle reazioni avverse ai farmaci ( Meyer, 2000).

La definizione del contributo apportato da più geni nella risposta ai farmaci sarà molto più difficile. Per alcuni fenotipi controllati da più geni, come la risposta agli antiipertensivi, il gran numero di geni candidati renderà necessario l’utilizzo di un campione di pazienti di grandi dimensioni per riuscire a ottenere il potere statistico necessario a risolvere il problema “multigenico”.

1.4 Reazioni avverse ai farmaci

Ogni effetto non desiderato, che scaturisce dall’utilizzo di un farmaco a scopo profilattico, diagnostico o terapeutico viene considerato “reazione avversa” (Adverse Drug Reactions, ADR). Le ADR comprendono un’ampia varietà di reazioni farmacologiche di tipo tossico che si verificano durante il trattamento. Qualsiasi farmaco può essere causa di ADR; tali reazioni, in alcuni casi possono portare a morte il paziente. Una stima dell’incidenza di tali reazioni, secondo studi eseguiti negli Stati Uniti, mette in evidenza che il 5% degli adulti sono allergici ad almeno un farmaco, che il 30% dei farmaci utilizzati durante un ricovero provoca una ADR, che il 3% di tutti i ricoveri ospedalieri è provocato da una ADR e che il rischio di una reazione allergica varia approssimativamente dall’1 al 3% per la maggior parte dei farmaci.

L’incidenza di reazioni avverse gravi nei pazienti ricoverati risulta del 6,7%, e del 15,1% quando si considerano anche le reazioni meno gravi. Le reazioni avverse gravi rappresentano la sesta causa di morte, venendo subito dopo i disturbi cardiovascolari, i tumori maligni, i disturbi polmonari e gli incidenti. Gli analgesici sembrano essere i farmaci chiamati maggiormente in causa nel provocare una ADR (29%) seguiti da sedativi (10%), antibiotici (9%) e antipsicotici (7%). Le complicazioni più frequentemente riscontrate sono state le reazioni allergiche, nel 7% dei pazienti, e quelle cardiovascolari, nel 16% dei pazienti. Osservando questi dati, probabilmente sovrapponibili a quelli di altri paesi, la prima riflessione da fare è che le ADR rappresentano vere e proprie “ patologie farmaco-indotte” che pongono un problema di diagnosi differenziale molto impegnativa.

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1.5 Base genomica della farmacogenetica

1.5.1 Terminologia condizionata dal fenotipo

Poiché le prime scoperte nel settore della farmacogenetica sono state ispirate da fenotipi variabili e raggiunte con studi familiari e sui gemelli, per alcuni polimorfismi della farmacogenetica si applica la terminologia genetica classica utilizzata per i caratteri monogenici. Un carattere (per es. “scarso metabolismo” mediato da CYP2D6) viene considerato autosomico recessivo se il gene responsabile è localizzato su un cromosoma autosomico (cioè non legato al sesso) e se solo in presenza di alleli non funzionanti sia sul cromosoma materno che paterno si manifesta un evidente fenotipo. Per molti dei primi polimorfismi farmacogenetici identificati, il fenotipo degli individui eterozigoti e quello degli omozigoti per l’allele wild-type ( selvatico) non differiva abbastanza da consentire di distinguere che gli eterozigoti presentavano un fenotipo intermedio (o codominante) (per es., il metabolismo della debrisochina mediato da CYP2D6). Altri caratteri, come il TPMT, presentano tre fenotipi relativamente distinti e per questo erano considerati codominanti anche in epoca premolecolare. Con i progressi nella caratterizzazione molecolare dei polimorfismi e con un approccio che giunge al fenotipo partendo dal genotipo, si è osservato che anche altri caratteri polimorfici (per es. il metabolismo dei farmaci come la mefenitoina e l’omeprazolo mediato da CYP2C19) presentano un certo grado di codominanza. Alcuni caratteri farmacogenetici, come la sindrome del QT lungo (disordine del sistema elettrico del cuore) è causata da mutazioni in eterozigosi, associate a perdita di funzione di canali ionici. Un intervallo QT allungato viene rilevato all’elettrocardiogramma in condizioni basali o in presenza di alcuni farmaci e l’individuo è predisposto ad aritmie cardiache.

In un’epoca contraddistinta dalla possibilità di effettuare caratterizzazioni molto dettagliate, due sono i fattori principali che complicano la definizione storica dei caratteri recessivi, codominanti e dominanti. In primo luogo, anche all’interno di un singolo gene è possibile una lunga serie di polimorfismi (del promotore, codificanti, non codificanti, completamente inattivanti o lievemente modificanti) che rende difficile la definizione di un allele come “variante” o di ”tipo selvatico”; é necessario per tale definizione un esame completo dei polimorfismi del gene. In secondo luogo, la maggior parte dei caratteri (farmacogenetici e non) è di tipo multigenico e non monogenico. Pertanto, anche se le definizioni di recessivo, codominante e dominante forniscono informazioni importanti per un dato gene, la loro utilità nel descrivere la variabilità genetica che sta alla base

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della variabilità del fenotipo della risposta ai farmaci è ridotta, in quanto la maggior parte della variabilità fenotipica è probabilmente multigenica.

1.5.2 Tipi di varianti genetiche

Il destino dei farmaci nell’organismo (farmacocinetica) e i loro effetti terapeutici e tossici (farmacodinamica) sono regolati da processi complessi ai quali partecipano, cooperando, numerose proteine deputate al trasporto e al metabolismo dei farmaci, o coinvolte nel loro meccanismo di azione, a loro volta codificate da geni diversi. Nell’uomo si ritiene che la maggioranza dei geni contenga variazioni casuali della sequenza nucleotidica tra i diversi individui, sviluppatesi nel corso dell’evoluzione; quando tali variazioni avvengono nella sequenza codificante o regolatoria possono portare all’inserzione di un aminoacido diverso a livello di una specifica posizione nella proteina e conseguentemente a modificazioni della sua funzione o influenzare i meccanismi di trascrizione e traduzione, modulando quindi i livelli di espressione dei prodotti genici (mRNA e proteine).

Un polimorfismo è una variazione della sequenza del DNA che in una popolazione è presente a una frequenza allelica dell’1% o maggiore. Alla variabilità del fenotipo umano sono stati associati due tipi principali di variazione di sequenza: i polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) e le inserzioni /delezioni (indel). Nel genoma le indel sono molto meno frequenti delle sostituzioni di singole coppie di basi e hanno una frequenza particolarmente bassa nelle regioni codificanti dei geni (Cargill et al., 1999; Stephen et al., 2001). Sostituzioni di singole coppie di basi che in una popolazione si presentano con frequenze dell’1% o maggiori sono denominate polimorfismi a singolo nucleotide e sono presenti nel genoma umano a una frequenza di circa 1 SNP ogni poche centinaia o migliaia di paia di basi, a seconda della regione genica (Stephens et al., 2001).

Gli SNP localizzati nelle regioni codificanti sono chiamati cSNP. Gli cSNP sono ulteriormente classificati come non sinonimi (o missenso) se la variazione della singola coppia di basi risulta in una sostituzione aminoacidica, o sinonimi (o di senso) se la sostituzione della singola coppia di basi all’interno di un codone non altera l’aminoacido codificato. In un codone di 3 coppie di basi le sostituzioni che riguardano la terza coppia, che occupa la cosiddetta wobble position, solitamente non modificano l’aminoacido codificato, come la sostituzione di una G con una A nella prolina (CCG-CCA). Le sostituzioni di una coppia di basi che portano a un codone di stop sono denominate mutazioni nonsenso. In aggiunta, circa il 10% degli SNP può avere più di due possibili alleli ( per

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es. una C può essere sostituita da una A o una G); lo stesso sito polimorfico, quindi, può essere associato a sostituzioni aminoacidiche in presenza di alcuni alleli ma non di altri.

Polimorfismi delle regioni non codificanti dei geni possono trovarsi nelle regioni non tradotte dell’estremità 3’ e 5’, nelle regioni del promotore e dell’enhancer, nelle regioni introniche o nella ampie regioni tra i geni, ovvero le regioni intergeniche. I polimorfismi rinvenuti negli introni vicino alle giunzioni esone-introne sono spesso considerati come una categoria separata rispetto agli altri polimorfismi intronici perché questi possono compromettere lo splicing e quindi la funzione. Gli SNP non codificanti dei promotori o delle sequenze enhancer possono alterare elementi attivanti in cis o in trans che regolano la trascrizione genica o la stabilità del trascritto. Gli SNP non codificanti degli introni o degli esoni possono creare siti alternativi di splicing e il trascritto alterato può avere esoni in eccesso o in difetto ed essere più corto o più lungo rispetto al trascritto selvatico. L’inserzione o la delezione di sequenze esoniche può causare uno slittamento del registro di lettura nella traduzione della proteina, e quindi modificare la struttura o la funzione della proteina stessa, o risultare in un codone di stop precoce che rende la proteina instabile o non funzionante. Poiché il 95% del genoma è intergenico è improbabile che la maggior parte dei polimorfismi comprometta direttamente i trascritti o le proteine che vengono codificate. Tuttavia, i polimorfismi intergenici possono avere conseguenze biologiche alterando la struttura terziaria del DNA, l’interazione con la cromatina e le topoisomerasi, o la replicazione del DNA. Non si può pertanto ritenere che i polimorfismi intergenici siano privi di importanza farmacogenetica. E’ evidente un notevole grado di diversità tra i tipi di inserzioni/delezioni che vengono tollerate come polimorfismi della linea germinale. Un frequente polimorfismo della linea germinale della glutatione S-trasferasi M1 (GSTM1) è causata da una delezione di 50 chilobasi (Kb) e l’allele nullo ha una frequenza di 0.3-0.5 a seconda della razza e dell’etnia. Studi biochimici indicano che il fegato di individui omozigoti per l’allele nullo possiede solo circa il 50% della capacità di coniugazione del glutatione rispetto a quello dei soggetti con almeno una copia del gene GSTM1 (Townsend e Tew, 2003). Il numero di ripetizioni TA nel promotore di UGT1A1- argomento approfondito successivamente- influenza l’espressione quantitativa di questa glucoroniltrasferasi di importanza cruciale nel fegato; sebbene negli alleli della linea germinale esistano da 4 a 9 ripetizioni TA, gli alleli con 6 o 7 ripetizioni sono quelli più frequenti (Monaghan et al., 1996). La cistationina b-sintasi possiede un polimorfismo frequente, caratterizzato da un’inserzione/delezione di 68 paia di basi, che è stato associato ai livelli di folati (Kraus et al., 1998). Sebbene in molti di questi casi le caratteristiche della sequenza di DNA vicina a queste inserzioni/delezioni suggeriscano fortemente il tipo di meccanismo alla base delle alterazioni genomiche (per es., siti di ricombinazioni omologhe posti alle estremità della

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delezione di GSTM1), l’eredità mendeliana mantiene le frequenze alleliche elevate. Un aplotipo, che è definito come una serie di alleli che risultano legati a un locus su un cromosoma, specifica la variazione di sequenza di DNA in un gene o in una regione genica su di un cromosoma. Per esempio, si considerino due SNP di ABCB1, che codifica per la glicoproteina –P, la proteina che conferisce resistenza a più farmaci. Un SNP consiste in una sostituzione di una T con una A in posizione 3421 e l’altro in una sostituzione di una C con una T in posizione 3435. Gli aplotipi possibili sarebbero T3421, C3435, T3421 T3435, A3421 C3435 e A3421, T3435. Per ogni gene gli individui avranno due aplotipi, uno di origine materna e uno di origine paterna, che possono o non possono essere identici. Gli aplotipi sono importanti perché rappresentano l’unità funzionale del gene. Un aplotipo, cioè, rappresenta la costellazione di varianti che si osservano insieme su un gene su ogni cromosoma. In alcuni casi questa può rivestire un’importanza funzionale maggiore della singola variante o del singolo allele. In altri casi, comunque, una singola mutazione può essere funzionalmente importante, indipendentemente dalle altre varianti a essa legate all’interno dell’aplotipo o degli aplotipi.

1.5.3 Diversità etnica

I polimorfismi presentano frequenze diverse all’interno delle popolazioni umane (Burchard et al., 2003; Rosenberg et al., 2002; Rosenberg et al., 2003). Tra gli SNP delle regioni codificanti, gli SNP sinonimi presentano in media frequenze più alte degli SNP non sinonimi. Così, per la maggior parte dei geni, la diversità nucleotidica , che riflette il numero e la frequenza degli SNP, è più elevata per gli SNP sinonimi che per quelli non sinonimi. Questo fatto riflette la pressione selettiva (denominata selezione negativa o purificante), che agisce per preservare l’attività funzionale delle proteine e quindi la sequenza aminoacidica. Le frequenze di polimorfismi in popolazioni umane di etnie e razze diverse sono state valutate in studi che hanno esaminato l’intero genoma (Cargill et al., 1999; Stephens et al., 2001).

In questi studi i polimorfismi sono stati classificati come cosmopoliti e popolazione (o razza, etnia) specifici. I polimorfismi cosmopoliti sono quelli presenti in tutti i gruppi etnici, anche se le frequenze possono variare da un gruppo etnico all’altro. Di solito i polimorfismi cosmopoliti presentano frequenze alleliche più elevate rispetto a quelle popolazione-specifici. I polimorfismi cosmopoliti, essendo comparsi probabilmente prima delle migrazioni dell’uomo dell’Africa, sono generalmente più antichi di quelli popolazione –specifici.

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La presenza di polimorfismi etnia- e razza-specifici è compatibile con l’isolamento geografico delle popolazioni umane (Xie et al., 2001). Questi polimorfismi probabilmente sono comparsi in popolazioni isolate e successivamente hanno raggiunto una certa frequenza perché erano vantaggiosi (selezione positiva), o più probabilmente perché erano neutri, in quanto non conferivano alcun vantaggio o svantaggio alla popolazione . Studi di sequenziamento su larga scala, effettuati negli Stati Uniti in popolazioni etnicamente diverse, hanno dimostrato che gli afro-americani hanno un numero di polimorfismi popolazione-specifici più elevato rispetto agli americani di origine europea, messicana e asiatica (Leabman et al., 2003; Stephens et al., 2001). Si ritiene che la popolazione africana sia quella più antica e, pertanto, possieda sia polimorfismi popolazione-specifici, comparsi di recente, che polimorfismi comparsi prima delle migrazioni al di fuori dell’Africa.

Si considerino le varianti delle regioni codificanti di due trasportatori di membrana, identificate in 247 campioni di DNA etnicamente diversi. Sono evidenziati gli SNP non sinonimi e sinonimi; per esempio, la proteina associata alla resistenza a più farmaci MRP2 (da multidrug resistance protein) possiede un gran numero di cSNP non sinonimi. Vi sono meno varianti sinonime che non sinonime, ma le frequenze alleliche delle varianti sinonime sono più elevate rispetto a quelle delle varianti non sinonime (Leabman et al., 2003).

In confronto, DAT, la proteina di trasporto della dopamina, possiede numerose varianti sinonime ma nessuna variante non sinonima, il che suggerisce che contro le sostituzioni che comportano modifiche degli aminoacidi abbiano agito pressioni selettive.

In uno studio degli aplotipi delle regioni codificanti di 313 geni differenti, condotto su 80 campioni di DNA etnicamente diversi, si è rivelato che la maggior parte dei geni possiede un numero di aplotipi compreso tra 2 e 53, con un numero medio di aplotipi in un gene pari a 14 ( Stephens et al, 2001). Come gli SNP, gli aplotipi possono essere cosmopoliti o popolazion specifici e circa il 20% degli oltre 4000 aplotipi identificati sono cosmopoliti (Stephens et al, 2001). Se si considerano le frequenze degli aplotipi, quelli cosmopoliti costituiscono in effetti oltre l’80% di tutti gli aplotipi, mentre quelli popolazione-specifici solo l’8%.

1.5.4 Selezione dei polimorfismi

La variazione genetica che conduce a una variazione biologica penetrante e costituzionalmente evidente causa a volte un fenotipo patologico. La fibrosi cistica, l’anemia a cellule falciformi e la sindrome di Crigler –Najjar sono esempi di malattie ereditarie causate da un difetto in un singolo

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gene (Pani et al., 2000). Nel caso della sindrome di Crigler-Najjar, lo stesso gene (UGT1A1), che è colpito da rare mutazioni inattivanti (e associato a una grave malattia), è interessato anche da modesti polimorfismi (e associato a una modesta iperbilirubinemia e a una lieve alterazione dell’eliminazione dei farmaci) (Monaghan et al., 1996). La malattia comporta, nel corso dell’evoluzione, una certa selezione contro questi polimorfismi di un singolo gene.

I polimorfismi in altri geni hanno effetti altamente penetranti in presenza di farmaci ma non in loro assenza, il che è alla base dei caratteri farmacogenetici monogenetici. E’ improbabile che vi sia un pressione selettiva a favore o contro questi polimorfismi (Evans e Relling, 2004; Meyer, 2000; Weilshilboum, 2003). La grande maggioranza dei polimorfismi genetici ha un impatto modesto sui geni alterati, fa parte di una lunga serie di fattori multigenici che influenzano l’effetto dei farmaci o interessa i geni i cui prodotti rivestono un ruolo secondario nell’azione dei farmaci rispetto ai fattori non genetici. Per esempio, l’induzione del metabolismo da parte dei fenobarbital può rappresentare un effetto “ambientale” così forte che, in confronto, i polimorfismi dei geni dei fattori di trascrizione interessati e dei geni coinvolti nel metabolismo dei farmaci hanno effetti modesti.

1.5.5 La risposta alla variabilità nel profilo genetico

Un farmaco, quando entra nell’organismo, si distribuisce al suo interno e a questo punto può essere metabolizzato, attivato, coniugato (cioè legato ad altre molecole) e infine escreto.

Fondamentale, a tal proposito, è il profilo genetico di un individuo, che determina sia le caratteristiche dei bersagli (target) dei farmaci che delle proteine coinvolte nel processo del loro assorbimento e metabolismo. La variazione del nucleotide di un singolo gene può portare alla formazione di una proteina diversa nella struttura e nella funzione e pertanto ad una modifica della capacità dell’organismo umano di utilizzare e metabolizzare i farmaci. Soggetti con un particolare genotipo possono non essere in grado di metabolizzare particolari farmaci e quindi presentare un maggior rischio di reazioni avverse oppure di interazioni con altri farmaci. Altri geni sono in grado di determinare una rapida metabolizzazione di alcuni farmaci, con conseguente loro parziale inefficacia.

Il meccanismo di azione della maggior parte dei farmaci dipende dall’interazione del farmaco con specifiche proteine bersaglio quali recettori, trasportatori e vie di trasmissione cellulare. Molti di questi bersagli farmacologici presentano polimorfismi che possono influenzare la risposta a specifici farmaci. Inoltre, i polimorfismi in vie patologiche note possono predire l’efficacia di uno specifico farmaco.

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Un numero relativamente piccolo di enzimi farmaco-metabolizzanti (DMEs) è responsabile del metabolismo della maggior parte delle terapie farmacologiche oggi impiegate nell’uso clinico. Esiste un ristretto numero di polimorfismi rilevanti nell’ambito di questi enzimi, e molti di loro danno origine ad un mancato effetto terapeutico o ad un’esagerata risposta clinica al farmaco. Il polimorfismo genetico negli DMEs dà origine alla formazione di quattro sottogruppi di individui che hanno diversità apprezzabili nella loro capacità di metabolizzare i farmaci per ciascun metabolita attivo o inattivo.

1. Metabolizzatori poveri o lenti (Poor Metabolizer-PMs): sono persone con deficienze nel metabolismo (che possiedono quindi una capacità d’attivazione dei farmaci estremamente ridotta o assente). I PM presentano una mutazione in entrambi gli alleli del gene (due alleli non attivi). 2. Metabolizzatori intermedi (Intermediate Metabolizer-IM): presentano un allele normale ed uno attivo del gene e possono richiedere, per un’azione terapeutica ottimale, un dosaggio farmacologico inferiore alla norma.

3. Metabolizzatori estesi (Extensive Metabolizer-EMs): persone dotate di un normale metabolismo farmacologico. Di solito presentano due alleli attivi del gene.

4. Ultra-metabolizzatori (Ultra-Metabolizer-UMs): sono persone con un’aumentata espressione dei geni coinvolti nel metabolismo dei farmaci, a causa della quale possono richiedere, per un’azione terapeutica ottimale, un dosaggio farmacologico superiore alla norma. Gli UM presentano tre o più alleli attivi, a causa di una duplicazione di un allele attivo.

Dosi standard di un farmaco con una curva dose-risposta rapida o un range terapeutico ristretto possono produrre reazioni farmacologiche avverse, tossicità, o diminuita efficacia nei PMs. Dosi standard di farmaco, quando assunte da UMs, possono essere incapaci di produrre l’effetto desiderato.

1.5.6 I geni coinvolti nel metabolismo dei farmaci

Il sistema enzimatico del citocromo P450 svolge un ruolo centrale nel metabolismo ossidativo dei farmaci. Questi citocromi sono molto importanti, in quanto sono responsabili del metabolismo di fase I per molti farmaci di uso corrente e per alcune sostanze endogene (es. ormoni). Questa classe di enzimi è responsabile della maggior parte delle reazioni di ossidazione a livello epatico. La loro funzione è quella di trasformare diverse sostanze endogene o esogene; ogni forma di citocromo ha una sua specificità per quanto riguarda la sostanza da ossidare. I geni che codificano per questi

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enzimi sono chiamati CYP. Nell’uomo sono stati identificati 57 CYP che sono suddivisibili in 18 famiglie e 42 sub-famiglie in base alla percentuale di sequenze aminoacidiche identiche.

Polimorfismi sui geni dei citocromi P-450 possono portare alla sintesi di enzimi con attività diverse, in grado di metabolizzare più o meno velocemente i farmaci (metabolizzatori lenti-PM; metabolizzatori rapidi-UM), portando ad un loro accumulo, nel caso di metabolizzatore lento, oppure alla loro eliminazione troppo rapida dal circolo sanguigno, nel caso di un metabolizzatore rapido.

Lo studio delle varianti genetiche dei CYP è estremamente importante per valutare correttamente la risposta ai farmaci e la loro tossicità, in quanto molti prodotti oggi in commercio sono substrati di questi enzimi. Tali varianti alleliche sono responsabili dell’aumento nella risposta e nella tossicità di farmaci delle classi più disparate (ad es.anticoagulanti, statine, immunosoppressori) o della diminuita risposta di profarmaci, come la codeina (che deve essere metabolizzata a morfina per svolgere la sua azione analgesica) ed altri oppiacei. Di conseguenza, l’attività analgesica dei farmaci è ridotta o assente nei metabolizzatori lenti (PM).

Queste variazioni nella farmacocinetica possono causare effetti secondari indesiderati. Conoscere a priori quale polimorfismo presenta un paziente è utile nella scelta del farmaco oppure nel dosaggio dello stesso, in modo da ottenere il miglior effetto terapeutico, evitando spiacevoli effetti secondari (tabella 1).

Common pharmacogenetic polymorphisms in human drug metabolising enzymes (data from Weber 19974)

Known drug substrates

Gene Phenotype Frequency in different ethnic groups Total No. of drugs Examples Cytochrome P450 (drug oxidation): CYP2D6 Poor metabolizer White 6%, African

American 2%, Oriental 1% >100 Codeine, nortryptiline Ultra-rapid metabolizer Ethiopian 20%, Spanish 7%, Scandinavian 1.5% dextromethorphan CYP2C9 Reduced activity >60 Tolbutamide, diazepam, ibuprofen, warfarin CYP2C19 Poor

metabolizer Oriental 23%, White 4% >50

Mephenytoin, omeprazole, proguanil, citalopram N-Acetyl transferase (acetylation) Poor metabolizer White 60%, African American 60%, Oriental >15 Isoniazid, procainamide, sulphonamides, hydralazines

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17 20%, Inuit 5% Thiopurine methyltransferase (S-methylation) Poor

metabolizer Low in all populations <10

6ӢMercaptopurine, 6Ӣthioguanine, azathioprine

A

Allccuunniiddeeiiffaarrmmaacciiiinnfflluueennzzaattiiddaallll’’aattttiivviittààddeellssiisstteemmaaddeellcciittooccrroommooPP445500((CCYYPP445500))

Farmaco generico (Marca) Geni CYP450 Farmaco generico (Marca) Geni CYP450

Psicoterapici 1A2 2C9 2C19 2D6 Chemioterapici 1A2 2C9 2C19 2D6 Amitriptyline (Elavil®)      Ondansetron (Zofran®)  

Aripiprazole (Abilify®)  Tamoxifen (Nolvadex®)  

Atomoxetine (Strattera®)   Tropisetron  

Citalopram (Celexa®)   Cardiovascolari

Clomipramine (Anafranil®)    alprenolol  

Desipramine (Norpramin®)   amiodarone       

Diazepam (Diazepam Intensol®, Valium®)  atorvastatin    

Escitalopram (Lexapro®)  brofaramine  Fluoxetine (Prozac®)     Carvedilol (Coreg®)    

Fluvoxamine (Luvox®)   cerivastatin   

Haloperidol (Haldol®)   Flecainide (Tambocor®)   

Imipramine (Tofranil®)    Fluvastatin (Lescol®)     

Maprotiline (Ludiomil®)   Irbesartan (Avalide®, Avapro®)  

Nortriptyline (Pamelor®, Aventyl®)   lidocaine 

Paroxetine (Paxil®)   Losartan (Cozaar®, Hyzaar®)  

Perphenazine (Trilafon®)   lovastatin   

Phenytoin (Dilantin®)  nicardipine  

Risperidone (Risperdal®)  Metoprolol (Lopressor®, Toprol XL®)  

Sertraline (Zoloft®)     Mexiletine (Mexitil®)    

Thioridazine (Mellaril®)    nicardipine   

Trimipramine (Surmontil®)     nifedipine  Venlafaxine (Effexor®)  Propafenone (Rythmol®)   

Zuclopenthixol (Clopixol®)   propranolol     

Antibiotici quinidine    

ciprofloxacin  simvastatin     

enoxacin  Timolol (Betimol®, Timoptic®,

Blocadren®, Istalol®)

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grepafloxacin  verapamil   

norfloxacin  Warfarin (Coumadin®)  

ofloxacin  Analgesici / Anti-infiammatori rifampin  acetaminophen   

sparfloxacin  Celecoxib (Celebrex®)    

Antiepilettici Codeine  

carbamazepine   diclofenac    

Diazepam (Valium®)  flurbiprofen  

felbamate  hydrocodone  

mephenytoin  ketoprofen   phenobarbitone  Ibuprofen (Advil®, Motrin®)  

Phenytoin (Dilantin®)    indomethacin  

topiramate  meloxicam  

Anti-Diabetici methadone     

Glimepiride (Amaryl®)   Naproxen (Aleve®, Naprosyn®)   

Glipizide (Glucotrol®)  perhexiline  

Glyburide (Diabeta®, Micronase®,

Glynase®)   phenacetin      nateglinide  piroxicam   Pioglitazone (Actos®)  propranolol  

Rosiglitazone (Avandia®)  suprofen  

Tolbutamide    Oxycodone (Oxycontin®)  

Chemioterapici Tramadol (Ultram®)  

Ondansetron (Zofran®)  Anti-acidi

Tamoxifen (Nolvadex®)  Esomeprazole (Nexium®)   

Tropisetron  Lansoprazole (Prevacid®)   

Antistaminici Omeprazole (Prilosec®)     

Astemizole  Pantoprazole (Protonix®) 

Azelastine  Rabepranole (Aciphex®) 

chlorpheniramine  Antivirali HIV diphenhydramine  amprenavir      

hydroxyzine  delavirdine       

loratadine {Alavert®, Claritin®}  efavirenz       

terfenadine  indinavir  

nelfinavir   

ritonavir      

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1.6 Considerazioni sulla progettazione di studi di farmacogenetica

1.6.1 Misure farmacogenetiche

Un carattere farmacogenetico è un qualsiasi carattere misurabile o percepibile associato a un farmaco. Così, l’attività enzimatica, i livelli di un farmaco o di un metabolita nel plasma o nelle urine, l’abbassamento provocato da un farmaco della pressione arteriosa o dei livelli dei lipidi nel sangue e i pattern di espressione genica indotti da un farmaco sono esempi di caratteri farmacogenetici. La misurazione diretta di un carattere (per es. l’attività di un enzima) ha il vantaggio che l’ effetto netto dei contributi di tutti i geni che influenzano il carattere si riflette nella misura fenotipica. Essa, tuttavia , ha anche lo svantaggio di riflettere le influenze non genetiche ( per es. la dieta, le interazioni tra farmaci, le fluttuazioni diurne o ormonali) e pertanto può essere” instabile”. Nel caso del CYP2D6, se a un paziente viene somministrata una dose orale di destrometorfano e viene misurato il rapporto tra il farmaco e il suo metabolita, il fenotipo, riflette il genotipo di CYP2D6 (Meyer e Zanger, 1997). Tuttavia, se il destrometorfano viene somministrato insieme alla chinidina, un potente inibitore di CYP2D6, il fenotipo può essere sovrapponibile a quello di un genotipo associato a uno scarso metabolismo, anche se il soggetto è portatore di alleli selvatici di CYP2D6. In questo caso la somministrazione di chinidina comporta un’aploinsufficienza farmaco-indotta, e in assenza di chinidina l’assegnazione del fenotipo “scarso metabolizzatore” relativamente a CYP2D6 non sarebbe corretta per quel soggetto. Se in un soggetto una misura del fenotipo, come il test del respiro (breath test) con eritromicina (per CYP3A), non è stabile, significa che il fenotipo è fortemente influenzato da fattori non genetici e che può esistere un effetto multigenico o un effetto debolmente penetrante di un carattere monogenico. Poiché la maggior parte dei caratterei farmacogenetici è multigenica e non monogenica, si stanno compiendo notevoli sforzi per identificare i geni importanti e i loro polimorfismi che influenzano la variabilità della risposta ai farmaci.

La maggior parte dei metodi di genotipizzazione utilizza DNA della linea germinale, ovvero DNA estratto da una qualsiasi cellula somatica diploide, solitamente globuli bianchi o cellule del cavo orale (grazie alla loro facile accessibilità). Il DNA è estremamente stabile se estratto e conservato in maniera appropriata e, a differenza di molti test di laboratorio, la genotipizzazione va effettuata una

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sola volta poiché la sequenza del DNA rimane essenzialmente la stessa durante tutta la vita di un individuo. Sebbene le tecniche di biologia molecolare per la determinazione dei genotipi abbiano compiuto enormi progressi, di routine ne vengono utilizzate relativamente poche per la cura dei pazienti. Test di genotipizzazione possono essere effettuati per ogni specifico sito polimorfico noto, utilizzando una varietà di strategie che generalmente dipendono in una certa misura dalla specificità e avidità del legame di almeno un oligonucleotide nei confronti di una regione di DNA fiancheggiante o sovrapposta al sito polimorfico (Koch, 2004). Poiché la variabilità genomica è così comune (con siti polimorfici ogni poche centinaia di nucleotidi), polimorfismi “criptici” o non noti possono interferire con il legame (annealing) oligonucleotidico, portando quindi all’attribuzione di genotipi falsi positivi e falsi negativi. La completa integrazione della genotipizzazione nella pratica terapeutica avrà bisogno di elevati standard della tecnologia di genotipizzazione e, forse, dell’utilizzo di più metodi per ogni sito polimorfico.

Un metodo per valutare l’attendibilità delle determinazioni del genotipo in un gruppo di individui consiste nell’accertare se il numero relativo di omozigoti rispetto a quello degli eterozigoti sia compatibile con la frequenza allelica totale a ogni sito polimorfico.

L’equilibrio di Hardy-Weinberg è mantenuto quando gli accoppiamenti all’interno di una popolazione avvengono casualmente e sulla variante non agisce alcun effetto di selezione naturale. Questi presupposti sono descritti matematicamente quando la proporzione osservata di popolazione omozigote per il genotipo variante (q al quadrato), omozigote per il genotipo selvatico (p al quadrato) ed eterozigote ( 2*p*q) non differisce in maniera significativa da quella prevista in base alle frequenze alleliche totali (p=frequenza dell’allele selvatico; q=frequenza dell’allele variante) nella popolazione. Se le proporzioni osservate dei tre genotipi la cui somma deve essere pari a 1, differiscono significativamente da quelle previste, significa che può esservi un errore nella genotipizzazione.

Dato che i polimorfismi sono così comuni, anche l’aplotipo (la struttura allelica che indica se i polimorfismi all’interno di un gene sono sullo stesso o su differenti alleli) può essere importante. Finora i metodi sperimentali per confermare senza ambiguità che i polimorfismi sono allelici sono risultati applicabili, ma tecnicamente molto impegnativi (McDonald et al ., 2002). La maggior parte dei ricercatori utilizza la probabilità statistica per assegnare aplotipi presunti o dedotti; per esempio, poiché i due SNP più comuni di TPMT (in posizione 460 e 719) sono spesso allelici, il risultato di una genotipizzazione che mostri un’eterozigosità a entrambi gli SNP avrà una probabilità maggiore del 95% di riflettere un allele selvatico e un allele variante in entrambe le posizioni dello SNP ( risultante in un genotipo eterozigote per TPMT). Comunque, in teoria esiste anche la remota

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possibilità che ognuno dei due alleli porti un singolo SNP variante, che quindi comporta la presenza di una variante in omozigosi e la comparsa di un fenotipo deficitario.

1.6.2 Raffronto tra l’approccio di tipo “gene candidato” e quello di tipo “genome-wide “

Giacchè le vie coinvolte nelle risposte ai farmaci sono spesso note o almeno parzialmente note, per gli studi di farmacogenetica possono essere molto utili gli studi di associazione di geni candidati. Dopo l’identificazione di geni coinvolti nelle vie di risposta ai farmaci, il passaggio successivo nel progetto di uno studio farmacogenetico di associazione di geni candidati consiste nell’identificare i polimorfismi genetici che probabilmente influiscono sulle risposte terapeutiche o avverse al farmaco. Esistono diversi database contenenti informazioni sui polimorfismi e sulle mutazioni dei geni umani, che consentono al ricercatore di ricercare per ogni gene i polimorfismi che sono stati descritti. Alcuni database, come i “Pharmacogenetics e Pharmacogenomics Knowledge Base” (PharmGKB), contengono dati sia sul fenotipo che sul genotipo.

Poiché attualmente in uno studio di associazione di un gene candidato non è comodo analizzare tutti i polimorfismi, è importante selezionare i polimorfismi che sono probabilmente associati al fenotipo di risposta al farmaco. A questo scopo è possibile identificare due gruppi di polimorfismi. Al primo appartengono i polimorfismi che non alterano di per se stessi la funzione della proteina che viene espressa ( per es. un enzima che metabolizza il farmaco o il recettore del farmaco). Piuttosto, questi polimorfismi sono legati all’allele variante che produce la funzione alterata. Tali polimorfismi fungono da marcatori biologici del fenotipo di risposta ai farmaci. Comunque, il loro difetto principale è che essi, a meno che non siano in linkage con il polimorfismo causale nel 100% dei casi, non sono i marker migliori del fenotipo di risposta ai farmaci.

Al secondo gruppo appartengono i polimorfismi causali, che provocano direttamente il fenotipo. Per esempio, un SNP causale può modificare un residuo aminoacidico in un sito che è altamente conservato nel corso dell’evoluzione. Questa sostituzione può condurre alla sintesi di una proteina non funzionale o con una ridotta funzionalità. Quando possibile, è consigliabile selezionare per gli studi di farmacogenetica i polimorfismi che hanno maggiori probabilità di essere causali (Tabor et al., 2002). Se le informazioni biologiche a disposizione, ottenute per esempio mediante saggi cellulari di varianti non sinonime, indicano che un particolare polimorfismo altera la funzione, questo polimorfismo è un eccellente candidato da usare in uno studio di associazione.

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1.6.3 Studi funzionali di polimorfismi

Per la maggior parte dei polimorfismi non sono disponibili informazioni funzionali. Pertanto, per selezionare polimorfismi che sono probabilmente causali, è importante prevedere se un polimorfismo può determinare un cambiamento della funzione, della stabilità o della localizzazione subcellulare della proteina. Una via attraverso la quale è possibile comprendere gli effetti funzionali di vari tipi di variazioni genomiche consiste nell’esaminare le mutazioni che sono state associate alle malattie mendeliane umane. Il numero più elevato di variazioni del DNA associate a malattie o caratteri sono mutazioni missenso e nonsenso, seguite dalle delezioni. Ulteriori studi hanno suggerito che vi sarebbe una grande rappresentanza di sostituzioni aminoacidiche associate a malattie umane in corrispondenza di residui che per la maggior parte risultano conservati nel corso dell’evoluzione (Miller e Kumar, 2001; Ng e Henikoff, 2003). Questi dati sono stati integrati in un grande studio sulla variazione genetica dei trasportatori di membrana importanti per la risposta ai farmaci (Leabman et al., 2003). Questo studio ha dimostrato che gli SNP non sinonimi, che alterano gli aminoacidi conservati nel corso dell’evoluzione, presentano in media frequenze alleliche più basse rispetto a quelli che alterano i residui che non sono conservati attraverso la specie. Questo suggerisce che gli SNP che alterano i residui conservati nel corso dell’evoluzione siano più deleteri. La natura della modifica chimica di una sostituzione aminoacidica determina l’effetto funzionale di una variante aminoacidica. Modifiche più radicali degli aminoacidi sono associate a malattia con una probabilità maggiore rispetto alle modifiche più conservative. Per esempio, la sostituzione di un aminoacido carico elettricamente (Arg) con uno non polare, non carico (Cys) compromette la funzione con una probabilità maggiore rispetto alle sostituzioni di residui che sono più simili dal punto di vista chimico ( per es. Arg con Lys).

Con l’aumento del numero di SNP identificati nei progetti di scoperta di SNP su larga scala, è divenuto chiaro che per prevedere le conseguenze funzionali degli SNP sono necessari metodi computazionali. A questo scopo sono stati sviluppati degli algoritmi predittivi per identificare sostituzioni aminoacidiche potenzialmente pericolose. Questi metodi possono essere classificati in due gruppi. Il primo gruppo si basa soltanto sul confronto di sequenze per identificare le sostituzioni e assegnare loro un punteggio in base al grado di conservazione tra varie specie; per il punteggio sono state usate diverse matrici (per es. BLOSUM62 e SIFT) (Henikoff e Henikoff ,1992; Ng e Henikoff, 2003). Il secondo gruppo di metodi, in aggiunta al confronto di sequenze, si basa sul mappaggio degli SNP sulle strutture proteiche (Mirkovic et al., 2004). Per esempio sono stati sviluppati criteri che classificano gli SNP in base al loro impatto sul ripiegamento e sulla stabilità

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