Ianuensis non nascitur sed fit
Studi per Dino Puncuh
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ISSN 2421-2741 (a stampa) / 2464-9767 (digitale) DOI 10.5281/zenodo.3462504
Una riunione della curia vassallorum del monastero
di Santa Maria in Organo di Verona nel 1260.
Pratiche feudali, lessico ‘comunale’
Gian Maria Varanini
gianmaria.varanini@univr.it
1. Premessa
Ripubblico in questa occasione un documento che diedi in luce moltis-simi anni or sono (nel 1985), quando non ero minimamente in grado di ap-prezzare l’interesse delle formulazioni che il notaio redattore adottò in quella circostanza, e neppure di svolgere quel po’ di analisi della società cittadina che l’elenco di testimoni e di vassalli presenti nell’occasione può consentire 1.
Si tratta del verbale, risalente al 22 agosto 1260, di una riunione della
cu-ria vassallorum di uno dei principali monasteri benedettini di Verona, quello
di S. Maria in Organo. È un ente profondamente radicato nel tessuto urbano (nel castrum, la porzione di città a sinistra dell’Adige ove sorgeva), e da secoli in stretta relazione con le famiglie di milites, denominati collettivamente
cor-tesii de Castello 2, che popolavano le pendici del colle di S. Pietro, oltre che con
i vassalli residenti nelle località del distretto ove il monastero aveva esercitato o ancora esercitava giurisdizione, e deteneva ampi possessi fondiari.
Oltre a consentire qualche approfondimento su una fase cruciale della storia della città – la primissima affermazione dell'egemonia scaligera –, il documento suscita interesse anche per le formule e per il lessico che viene adottato dal notaio: le une e l’altro sono assolutamente tipici dei verbali dei consigli cittadini, espressione di una cultura del ‘consigliare’ squisitamente ———————
* Ringrazio Paola Guglielmotti e Attilio Stella di alcuni importanti suggerimenti. 1 VARANINI 1985, pp. 281-282 (Appendice, n. 5). Vi ho fatto cenno occasionalmente in un altro paio di occasioni: VARANINI 1996, pp. LXVII-LXXV dove svolgo un rapido confronto tra le vicende dei due massimi monasteri cittadini dopo la fine della dominazione di Ezzelino III da Romano, negli anni Sessanta-Ottanta del Duecento; e inoltre VARANINI 2018, pp. 64-65.
2 Si veda al riguardo CASTAGNETTI 2001, pp. 369-370 («Altre qualificazioni collettive nella documentazione: cortesii/curiales de Castello»).
comunale, che si era affermata nell’Italia comunale nei sessanta o set-tant’anni precedenti 3, ma che non è banale ritrovare in una curia
vassallo-rum. Prima di esaminare brevemente questo aspetto, è indispensabile però
una contestualizzazione molto puntuale che consenta di apprezzare nella sua pienezza il documento del 1260.
2. Verona nel 1260: il contesto
Per le città della Marca Trevigiana, il 1260 fu l’annus pacis, l’anno imme-diatamente successivo alla sconfitta e alla morte di Ezzelino III da Romano (28 settembre 1259): si concluse il suo reggimento, estremamente autorita-rio negli ultimi anni, e fu ripristinato l’ordinaautorita-rio funzionamento delle istitu-zioni comunali. Questa ripresa seguì nelle tre città principali (Verona, Vicen-za, Treviso: la ‘liberazione’ di Padova risaliva al 1256) itinerari diversi. Per quanto riguarda Verona, si può parlare di rivoluzione nella continuità, e il protagonista di tali innovazioni fu proprio quel Mastino della Scala che par-tecipò alla curia vassallorum dell’agosto 1260, la prima e l’ultima (come si vedrà) convocata dall’abate Olderico.
Da un anno e mezzo egli era il protagonista della vita politica della città. Nel gennaio 1259 infatti, dopo che Buoso da Dovara aveva rinunciato
curiali-ter et discrete alla rischiosa podescuriali-teria di Verona propostagli da Ezzelino III, la
carica fu affidata (per la prima volta dopo sette anni [1253-1259] di
vacilla-tio regiminis, ove regimen significa la regolare cadenza annuale nella carica) a
un cittadino appartenente a una famiglia di prestigio, il citato Leonardino detto Mastino. Sostituito o affiancato nei convulsi mesi estivi da alcuni vica-ri di Ezzelino III, dopo la morte di costui Mastino è menzionato quattro volte (non poche dunque) nel bimestre novembre/dicembre 1259 come
po-testas populi. In due di queste occasioni agisce come suo delegato, e poi
co-me giudice e console dei co-mercanti tempore Mastini a Scalis potestatis populi
comunis Verone un giudice Alexander/Alexandrinus che lo aveva affiancato
nel gennaio. Il 30 novembre 1259 in quanto potestas populi Verone Mastino – affiancato da un esponente della pars Comitum rientrata in città – stipula la decisiva pace con Mantova, da decenni covo degli estrinseci veronesi. Nei mesi successivi il potestas populi non compare; non è detto, ma non è nep-pure escluso, che la carica abbia avuto immediata continuità. Intanto, come ———————
nelle altre tre città principali della Marca fu un veneziano, Andrea Zeno, a reggere per l’intero anno la podesteria del comune di Verona (dal gennaio 1260), e come potestas mercatorum fu invece eletto un esponente della pars
Comitum rientrato in città, Pietro da Lendinara. Ma il consolidamento
po-litico del popolo non si arrestò: prima dell’aprile 1260, fu compiuta la revi-sione degli statuti di tutte le arti che vennero approvati «salvo et anteposito honore comunis Verone et Domus mercatorum Verone», prevedendo tra l’altro la mobilitazione armata dei corporati (homines misterii) riuniti sotto il vexillum misterii.
Le lotte di partito e i bandi ripresero prestissimo, anche se ancora nell’aprile 1261 la rappresentanza istituzionale a un importante atto di poli-tica ‘estera’ (la presa di possesso del castello di Gazzo, al confine con il ter-ritorio di Mantova) fu bipartisan. Questa recrudescenza della lotta politica accelerò la traduzione sul piano istituzionale della preminenza di fatto delle istituzioni popolari veronesi. Dal 1261 compaiono ed operano regolarmente gli anziani delle arti; nel 1262, alla stipula della pace fra le quattro città a Pa-dova, Verona fu rappresentata da un giudice e da un commerciante di le-gname, Vivaldo di Bellando, e non da un magnate. E presto ricomparve con una carica ufficiale Mastino della Scala: dal 1262 al 1265 (o forse dal 1261; nel gennaio 1265 è in quarto regimine della sua podesteria) è lui il potestas
mercato-rum, e forse dal 1262 (ma la circostanza è dubbia, perché la fonte cioè il
con-tinuatore del Chronicon veronense tende a regolarizzare ad annum), ma si-curamente il 13 giugno 1263 è capitano del popolo («capitaneus populi et civitatis Verone de comuni voluntate et consilio populi civitatis eiusdem») 4.
Come subito si vedrà, nell’agosto 1260, proprio Mastino della Scala – men-zionato senza riferimento ad alcuna carica pubblica, come d’altronde il contesto imponeva – svolse un ruolo cruciale in occasione della riunione della curia vassallorum di Santa Maria in Organo.
Ma quali erano le condizioni patrimoniali e politiche del monastero? Durante il periodo di egemonia ezzeliniana recentemente conclusosi, l’ente aveva traversato vicende molto difficili. Come aveva già fatto in precedenza con S. Zeno, negli anni Cinquanta il comune di Verona aveva assunto il controllo diretto del patrimonio del monastero, sin dal 1231 governato dall’abate Bernardo (che nel 1245 il patriarca di Aquileia – cui l’ente era di-sciplinarmente soggetto – aveva privato dell’amministrazione per la mala ———————
gestio del patrimonio, dilapidato e svenduto ai sostenitori di Ezzelino III da
Romano) 5. Ciò non valse all’abate alcuna immunità: nel 1253 anzi la
situa-zione prese una piega drammatica e Bernardo fu catturato (insieme con un aristocratico a lui legato), incarcerato per un mese nel palazzo del comune e morì (sicuramente prima del 1258 ma forse entro il 1255, quando è men-zionato per la prima volta, fuori di Verona, l’abate eletto Olderico) 6. Mette
conto ricordare che artefici della cattura dell’abate Bernardo erano stati, se-condo una testimonianza tarda ma attendibile, «certi homines de Castello, qui vocabantur Albertinus de Iebeto, Benedictus Cavazola cum suis socie-tatibus»: termine quest’ultimo che si presta a diverse interpretazioni ma che rinvia sicuramente ai forti rivolgimenti sociali e politici in atto a Verona in quegli anni, e forse specificamente a forme di aggregazione che preludono al comune popolare, visto che Benedetto Cavazzola fu un notaio profonda-mente implicato nelle vicende politiche veronesi dei primi anni Sessanta 7.
Sta di fatto che Olderico, attivo come abate sin dal 1258 8, prese possesso della
carica solo nel 1260 9 e solo per pochi mesi esercitò la sua autorità, visto che
poco tempo dopo – conformemente ai suoi orientamenti politici – «postea recessit quando pars comitis Sancti Bonifacii exivit de Verona» 10.
Orbene, nell’agosto 1260 l’abate Olderico, in una situazione politica e sociale che si indovina estremamente precaria e tesa, si risolse a compiere il ———————
5 DE SANDRE GASPARINI 1992, p. 436; VARANINI 1985, pp. 131-132, 286, n. 10. 6 DE SANDRE GASPARINI 1992, p. 436 nota 101.
7 Nel 1265 si fece garante di un debito, dovuto dalla comunantia popolare che aveva go-vernato la città tra 1227 e 1230: VARANINI 1984a.
8 ASVr, Santa Maria in Organo, perg. 587. Sino al marzo 1258, agiscono per conto dell’abbazia quattro monaci intrinseci (perg. 586).
9 «Dominus Odoricus intravit in abbatiam millesimo ducentesimo sexagessimo, indictione tertia», riferisce la cronotassi abbaziale (cfr. nota 21); correttamente, si fa riferimento all’in-gresso, non alla (precedente) elezione. È presente nell’abbazia già in gennaio (ASVr, Santa
Maria in Organo, pergg. 592-595), La documentazione dei primi mesi del 1260, non scarsa, lo
mostra attivo nel riprendere il controllo delle chiese soggette (ad esempio Santa Margherita, San Siro e Santa Maria Antica: si veda rispettivamente ibidem, pergg. 596, 604 e 610); né man-ca qualche investitura feudale (ibidem,pergg. 605a, 606, 611, tra 17 marzo e 2 luglio).
10 Per quanto sopra si veda VARANINI 2018, pp. 49-73. L’abate Olderico, che apparteneva alla famiglia padovana da Limena, è documentato a Santa Giustina (a Padova) nel 1262, e nel 1264 quando la situazione politica aveva preso una piega ormai irreversibile di fatto rinunciò alle sue prerogative nominando procuratore il monaco Manzeto, che poi resse di fatto l’abbazia (ASVr, Santa Maria in Organo, perg. 663).
difficile tentativo di radunare i propri fideles, per ripristinare le antiche prassi per la composizione delle controversie tra lui, il senior, e i vassalli, ovvero tra i vassalli; e inoltre per sollecitare tutti quanti a mettere nero su bianco (in scriptis) entro il mese di settembre la consistenza dei propri feudi, dei quali non esisteva più memoria scritta. Nella documentazione di Santa Ma-ria in Organo, che per i secoli XII-XIII non è affatto scarsa, è sopravvissuta una sola riunione della curia vassallorum (1182) 11 e una sola precedente lista
di vassalli risalente al 9 maggio 1191 quando – rogante il grande notaio Bo-naguisa, uno dei massimi professionisti cittadini – l’abate Guidotto investì sessantaquattro fideles, a partire dai Capodiponte per passare ai conti da Pa-lazzo ai Flamberti 12. Non consta che per questo monastero sia stato
realiz-zato qualcosa di simile a quella formidabile campagna di redactio in scriptis dei beni detenuti dai vassalli e dei loro obblighi che l’abate di San Zeno e i suoi notai avevano promosso nei primi anni Novanta del secolo XII, e poi ancora negli anni successivi 13. A Santa Maria in Organo nel 1191 forse la
vitalità delle dipendenze personali non era ancora del tutto spenta.
Al riguardo, va tenuto conto del fatto che la vassallità di S. Maria in Organo era per la maggior parte cittadina, i feudi concessi ai vassalli cittadi-ni potevano più facilmente rimanere nella sfera dell’oralità, e vecittadi-nire alla luce in occasione di qualche convocazione occasionale; mentre al contrario i feudi concessi largamente da S. Zeno, monastero extra-urbano, alle élites ru-rali o ai milites ruru-rali assumevano una più specifica funzione di controllo della comunità, sì che si procedette a fine XII secolo a una ricognizione si-stematica 14.
In ogni caso, dal 1191 erano passati settant’anni (e che razza di anni); quel mondo non esisteva più, e il tentativo dell’abate era destinato al falli-———————
11 Nell’occasione fu processato Pescatore, fratello di Albrigeto di Manzo de Castello, per furto di pietre dal portico della chiesa di Santa Maria di Gazzo, con coinvolgimento della
vici-nia di Gazzo (tullit petras ecclesie Gaçi: ASVr, Santa Maria in Organo, perg. 150).
12 Con datazione erronea al 1101, la lista è conservata in un prezioso fascicolo tardo-duecentesco, a sua volta poi inserito nel reg. 11 di ASVr, Santa Maria in Organo, sul quale si veda sotto nota 22 e testo corrispondente.
13 Si veda San Zeno 1996, ove viene pubblicato il registro di copie autentiche (risalente al 1270 circa) di un gran numero di manifestationes feudorum, redatte fra XII e XIII secolo sulla base di cartule precedenti o del patto orale («non habeo cartam»).
mento. Non è questa la sede per analizzare la composizione di questo grup-po (che non a caso colloca il vassallo Mastino al secondo grup-posto, subito do-po Isnardino Cado-po di Ponte) 15: uno spaccato davvero interessante della
so-cietà veronese, cittadina e rurale. Esso presenta naturalmente un saldo radi-camento residenziale nel quartiere del Castello, ove sorgeva Santa Maria in Organo, e nelle località collinari (Santa Sofia di Valpolicella e le vicine Osan e Roverina, Pigozzo, Castagné) e di pianura (Sorgà, ad esempio) che costi-tuivano le basi fondiarie del monastero. Basti dire in generale che le non po-che famiglie dell’élite cittadina qui presenti, tendenzialmente elencate per prime, non sono destinate a particolari fortune durante l’età scaligera, a prova ulteriore del profondo rivolgimento sociale che era in quei decenni in atto a Verona, e che avrebbe portato all’affermazione di un nuovo ceto diri-gente. Ciò vale in buona sostanza anche per una famiglia come gli Aleardi, che pure si mantenne con alterne fortune su uno standard di prestigio non trascurabile 16, ma tanto più per i Capo di Ponte (di tradizione consolare nel
secolo XII), i Visconti, i Superbi 17, i Flamberti (dai quali aveva preso nome
una contrada cittadina posta in questo quartiere, la guaita Flambertorum presto scomparsa), gli Scopati (che finirono, ridotti a semplici proprietari fondiari, nelle loro terre di Baldaria), i da Gazzo. E si può aggiungere che non sono pochissimi i vassalli di Santa Maria in Organo che appartengono a casate rappresentate anche nella curia vassallorum del capitolo della catte-drale, anch’essa profondamente destrutturata e in crisi da decenni, per la ra-pida erosione che la forte dinamica sociale sprigionatasi tra fine XII e inizi XIII secolo ne aveva determinato a Verona 18.
———————
15 Che furono sempre fra i massimi vassalli di S. Maria in Organo; nel 1223 Costantino Capo di Ponte, fratello di Isnardino, fu investito dal vescovo di Verona Norandino dell’im-portantissimo feudo decimale di Gazzo e Roncanova, i più estesi possessi di pianura del mo-nastero (ASVr, Santa Maria in Organo, perg. 354).
16 VARANINI 2018.
17 Per queste tre ultime si veda sia pure per una cronologia un po’ anteriore CASTAGNETTI 1987, pp. 52-54, 18 e sgg., 34 e sgg. rispettivamente. L’intera ricerca di Castagnetti è dedicata alle domus aristocratiche percepite, nella prima età comunale, come latrici di una
Weltan-schauung di violenza e sopraffazione.
18 Nel 1225 l’arciprete aveva voluto fissare in un registro l’elenco dei suoi vassalli, per-cependo i paurosi scricchiolii del sistema delle relazioni di dipendenza personale; nell’elenco compaiono da Pésina, Visconti, della Scala, Scopati, de Agoreto, esponenti dei quali si ritrova-no a Santa Maria in Orgaritrova-no nel 1260. Si veda VARANINI 2008, pp. 71-84.
Dopo pochi mesi l’abate Olderico, come si è detto, esulò 19; e nelle carte
monastiche compare come reggente di fatto l’abate eletto Manzeto (dal 1265) che respinse nel 1271 un tentativo del da Limena e ottenne la conferma pa-triarcale 20 nel 1278, dopo la riconciliazione tra Verona scaligera e il papato.
Manzeto resse il monastero sino al 1283, non mancando di effettuare nel 1282 l’investitura politicamente cruciale del castello di Gazzo, sul fiume Tartaro, al signore cittadino Alberto I della Scala. Non sorprende il fatto che la comunità monastica e la signoria scaligera – che controllava di fatto tutte le istituzioni della chiesa locale, dall’episcopio al capitolo ai principali monasteri – non ab-biano cessato di prestare attenzione alle investiture feudali, ora destinate ai nuovi potenti, legati al ‘regime’ personale di Alberto della Scala. Un fascicolo pergamenaceo redatto negli anni Novanta, al tempo dell’abate Alberto (eletto nel 1288-1289), ripercorre la storia duecentesca dell’abbazia: redige una cro-notassi abbaziale per gli anni 1192-1288, riporta l’elenco delle “malefatte” commesse dall’abate Bernardo negli anni Quaranta del Duecento 21 e l’elenco
dei vassalli del 1260, aggiunge i vassalli della località di Sorgà, ed elenca infi-ne coloro che furono investiti dall’abate Alberto 22. Non solo: vi si trascrive
anche il testo del giuramento del vassallo (esemplificando con un Capo di Ponte); e certo non per caso senza motivo apparente si giustappone a tale
sacramentum vassallorum, con un ‘passaggio di consegne’ psicologicamente
———————
19 Era ancora presente nel monastero il 30 settembre 1260, insieme con il magister Bar-tolomeo decretalista de Mantua e con Guerra de Limena, suo consanguineo, quando designa un procuratore in curia romana (ASVr, Santa Maria in Organo, perg. 624). Dopo essersi al-lontanato da Verona in data imprecisata, con l’appoggio del patriarca di Aquileia, che tentò una inutile pacificazione (ibidem, pergg. 628, 629) e in Verona dell’abate dei Santi Nazaro e Celso (come consta da ibidem, perg. 630, 13 luglio 1261) tentò almeno una volta (il 19 giugno 1261) di rientrare nel monastero come attesta un documento da lui appositamente fatto com-pilare a Padova qualche mese dopo (ibidem, perg. 627).
20 Santa Maria in Organo era infatti soggetta direttamente al patriarca di Aquileia, ed esente dal controllo episcopale.
21 Si veda sopra nota 5.
22 In questo villaggio, una delle basi patrimoniali di S. Maria in Organo nella bassa pianura, è vassallo – ovviamente per una investitura tutta politica – Tagino Bonacolsi della famiglia dei si-gnori di Mantova, strettissimi alleati degli Scaligeri; e inoltre: le famiglie cittadine da Broilo, Auri-calco e da Sacco, ben note a chi conosce la società veronese agli inizi dell’età scaligera; il notaio vescovile Antonio da Costregnano; il celebre giudice Ubertino de Romano (‘ghibellino’ modene-se trapiantato a Verona, vera eminenza grigia di Alberto I della Scala, il fratello e successore di Mastino che fu signore dal 1277 – quando Mastino fu assassinato – sino al 1301). Si veda, anche per quello che segue, ASVr, Santa Maria in Organo, reg. 11, cc. 153-156.
e culturalmente molto eloquente, il testo del giuramento che cittadini e di-strettuali devono prestare al podestà del comune Princivalle da Mandello (1299) e ai capitani del popolo Alberto e Bartolomeo della Scala.
3. «Concionando consuluit»
Già nei mesi precedenti alla convocazione del 22 agosto 1260 alcuni officiali pubblici avevano appoggiato i tentativi dell’abate Olderico di rientrare in possesso di beni fondiari. Tomeo, viator del comune di Verona, agisce in tal senso in Valpolicella il 13 maggio 1260, e poi in città il 13 e 19 agosto 23.
In quegli stessi giorni (10 agosto), l’abate faceva convocare vassalli et
vassa-lese (uomini e donne dunque) in vari luoghi della città e del territorio 24, alla
riunione della curia. Si intravede dunque una convergenza di interessi, tra il comune e il monastero, nel riassetto patrimoniale, e verosimilmente le in-tenzioni di Olderico erano note. Tuttavia, come si diceva in apertura resta stupefacente l’adozione nel testo del verbale della seduta, da parte del no-taio Bongiovanni da Ognissanti, chiamato a dar conto di una riunione di vassalli di un monastero importante, di un formulario che è assolutamente tipico delle assemblee comunali. Il contrasto è stridente; o forse no, forse la sorpresa è solo nella percezione dell’osservatore contemporaneo.
È l’abate stesso che «arengando proposuit», a mo’ di un podestà, l’ele-zione dei pares curie, segnalando che il diritto e la consuetudine ne prevedeva-no in un numero prevedeva-non predeterminato (due-tre o più), per la ricerca del bonum
et utile. Secondo le formule correnti nel lessico delle verbalizzazioni
comu-nali, egli richiede un consilium sia sulle modalità di elezione che sul numero («quod placeat eis consulere ipsi domino abbati qualiter fieri debeant et quot esse debeant»). Ed è proprio il vassallo Mastino della Scala 25, che pochi mesi
———————
23 Si veda ibidem, pergg. 615 (5 e 19 agosto 1260), 618 e 619 (19 e 26 agosto 1260), ri-spettivamente per i beni dei Balzanelli e di Ezzelino de Musto, ben noti sostenitori della pars
Comitum forse defunti o già fuorusciti un’altra volta. Prende questi provvedimenti il giudice
console del comune Pecorino di S. Paolo, essendo podestà Andrea Zeno. Si veda anche perg. 625 (13 settembre 1260, ma in esecuzione di un provvedimento di maggio).
24 Ibidem, perg. 616b. Ivi anche un giuramento di fedeltà del 27 settembre 1260 («salva fidelitate domini imperatoris»).
25 Che faceva parte legittimamente della curia, in quanto a lui e ai fratelli Alberto e Fe-derico detto Bocca era stato devoluto il feudo originariamente concesso al bisavolo Isnardino; per le vicende di questo feudo si veda DA RE 1918 e SANCASSANI 1975, p. 313.
prima era stato, e forse anche allora era, il campione del popolo organizzato in arti, ad alzarsi e a parlare (concionando consuluit), suggerendo la procedura per
compromissum. L’abate avrebbe pertanto dovuto designare un collegio di
grandi elettori (da sei a otto), che a loro volta eleggessero con lui, a loro di-screzione, i pares curie nel numero ritenuto sufficiente da loro stessi e dall’abate («eligerent quot ipsi domino abbati et eis sufficere videbuntur»). Tocca allora a Zaccaria da Ferrara, l’esperto giudice collaboratore del comune cittadino, facere reformacionem per ordine dell’abate: vale a dire, a dare forma giuridicamente corretta al consilium di Mastino della Scala, con l’approvazione unanime della curia. A conferma della sua posizione dominante, Mastino fece anche parte dei sei prescelti; i suoi cinque colleghi erano tutti residenti nelle vicinanze del monastero 26. Uno di essi, Pietro Mucio Marzi di Castello, si
auto-designò anche come componente della terna di pares curie che immedia-tamente dopo, nel corso della medesima seduta, fu eletta. Gli altri due com-ponenti furono Trentinello di Chiaramonte de Superbiis, appartenente (così come Pietro Mucio) a una delle famiglie aristocratiche residenti alle pendici del castrum, discendenti degli antichi cortesii de Castello 27, e Avanzo da
Pésina, residente a S. Maria Antica, la contrada degli Scaligeri, un abilissimo navigatore politico che collaborò con il regime ezzeliniano (redigendo nel 1253, in quanto procuratore del comune, un registro di beni confiscati ai
proditores) e fu poi assai attivo nelle magistrature comunali ‘di popolo’ nei
primi anni Sessanta 28.
Gli schemi adottati dal notaio verbalizzante Bongiovanni da Ognissan-ti 29, sono piuttosto usuali, basici, e sicuramente non erano ignoti ai notai
———————
26 Si tratta di Isnardino da Capo di Ponte, Pietro Mucio Marzi di Castello, Olderico Vi-sconti e Gabriele de Gaureto o de Agoreto.
27 Per qualche ulteriore notizia si veda VARANINI 2018.
28 Un profilo familiare dei da Pésina, con ampie notizie su Avanzo, VARANINI 1984b, pp. 82-83; a nota 36 il riferimento al «liber procurationis». Avanzo da Pesina nel 1254 aveva giurato come secondo, in posizione dunque eminente nella contrada di S. Maria Antica, nell’occasione della ratifica da parte dei cives veronesi della pace fra Ezzelino III e Uberto Pallavicino, e nel 1263 fece parte dei consciliatores eletti dal capitano del popolo e dagli anziani e gastaldioni delle arti «super facto omnium iurisdictionum civitatis et burgorum Verone» (ibidem).
29 È uno dei notai più attivi in questi anni per Santa Maria in Organo, ma su di lui non sono riuscito a reperire altre informazioni; non sembra possibile individuarlo nel Liber
illo-rum qui reperiuntur esse guadiati in arte notarie, ovvero la matricola del 1268 (FACCIOLI 1953). Per i formulari adottati nei verbali consiliari duecenteschi, basti qui rinviare a TANZINI 2013.
veronesi dei decenni precedenti; non stupisce certo, ad esempio, che le for-mule della interrogazione e della richiesta di consilium da parte del podestà si ritrovino nelle riunioni del consiglio maggiore 30. Ma la permeabilità di un
universo documentario e rituale ‘altro’, come quello delle curie vassallatiche, a queste scelte non solo verbali ma anche concettuali, che implicano l’adesione a un modo di pensare, va ricondotta verosimilmente alla peculia-rità della congiuntura politica, che induce il notaio (e Mastino della Scala, sullo sfondo?) a una forzatura, che prefigura la normalizzazione delle rela-zioni vassallatiche (che rinasceranno nel contesto della ‘corte’ scaligera, qualche decennio dopo, ma in diversa prospettiva e con diverso significa-to) 31. Formalmente, l’autorità dell’abate restava indiscussa, ma in sostanza
furono i vassalli più influenti a condurre il gioco.
Nell’immediato, il comune si prestò a fare da ‘braccio secolare’ al recu-pero patrimoniale dell’ente: ad esempio, l’11 settembre 1260 Tomeo, viator – si badi! – comunis Verone, agisce «auctoritate comissionis sibi facte» da Pietro Mucio Marzi, Avanzo da Pesina e Trentinello Superbi, «paribus sive iudicibus curie vasalorum» del monastero, e pone il monaco Çucha in pos-sesso («tamquam de feudo devoluto») delle terre di un feudo di Rodolfino di Ariano, «qui fuit vasalus monasterii et mortuus est sine filiis masculis» 32.
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30 Senza risalire al 1201, quando il podestà Salinguerra Torelli «petiit consilium a comu-nitate consilii … voluntate vero omnium consiliatorum super hoc singilatim inquisita» (SIMEONI 1960, pp. 124-125), ricordo ad esempio un verbale del 1238, nel quale il podestà «contionando dixit … quod volebat scire ab hominibus qui in dicta contione aderant …» (ACVr, perg. I.18.4v, 1238 maggio 9 e 10).
31 Solo parzialmente paragonabile è il caso delle affollate curie dei vassalli estensi, con-vocati peraltro al suono della campana: TROMBETTI BUDRIESI 1980, p. 64 e sgg.
32 ASVr, Santa Mara in Organo, perg. 623, anche nei giorni successivi (12 e 13 settem-bre) in altre località. Il recupero dei beni proseguì, nelle stesse forme, anche dopo l’allon-tanamento dell’abate Olderico (ibidem, pergg. 626 del 23 luglio 1261; 636 del 13 marzo 1262 e giorni seguenti, quando è console del nuovo podestà Marco Zeno uno dei testimoni all’atto del 22 agosto, Atisio de Trufaldo, per beni dei Bonfanti, residente in guaita Flambertorum;
Appendice
La curia dei vassalli del monastero di S. Maria in Organo di Verona eleg-ge i pares curie incaricati di dirimere le vertenze tra i vassalli e l’abate; gli ot-tantuno vassalli presenti dettano il proprio nome al notaio rogante.
Archivio di Stato di Verona, Santa Maria in Organo, perg. 622 [Pergamene spianate]: origi-nale [A], in mediocre stato di conservazione, con alcuni fori e con inchiostro dilavato nella parte superiore, che compromettono in alcuni punti la lettura.
Sul verso, antica segnatura d’archivio [«C. 7 M. 2 n° 3»] e datazione [erronea, perché non tiene conto della consuetudo bononiensis: «10 agosto 1260»] che coprono una scritta for-se trecentesca, della quale si legge comunque «Carta curie [...] vasali de suis feudis»; una scritta analoga anche sul margine inferiore del verso.
Archivio di Stato di Verona, Santa Maria in Organo, perg. 622 [busta VIII]: copia semplice [B], introdotta da «exemplum ex autentico relevatum», ma priva di autenticazione notarile, in discreto stato di conservazione; alcuni strappi sul lato destro, in alto e in basso, non impediscono la lettura. Sul margine superiore del recto, di mano quattrocentesca, «1260 augusti, fine».
Sul verso, di mano quattrocentesca: «Instrumentum electionis iudicum facte per reveren-dum abbatem Sancte Marie in Organis in causis vassalorum et monasterii cum eorum iuramen-to»; di mano cinquecentesca, sul margine superiore, l’indicazione archivistica «Calto 8, mazo 6». E d i z i o n e: BIANCOLINI 1761, pp. 22-26 (con numerosi errori soprattutto nella tra-scrizione dei nomi); VARANINI 1985, pp. 281-282.
L’edizione è condotta su [A], integrando in alcuni punti grazie a [B] che è molto fedele, salvo varianti grafiche ininfluenti (ç per z, e simili). Non segnalo tali integrazioni. Ho intro-dotto alcuni a capo.
In nomine domini Dei nostri Iesu Christi. Anno eiusdem nativitatis millesimo ducentesimo sexagesimo, indictione tercia, die dominico decimo exeunte augusto, Verone in choro ecclesie Sancte Marie in Organo, presen-tibus dominis Zacharia de Ferraria, Martino de Ianne de Padua causidicis, Bonazunta de Bonfantibus, Atisio quondam domini [Tealdini de Trufaldo], Iacobo notario quondam Negri, et alliis.
In plena curia vassallorum monasterii Sancte Marie in Organo congregata ad vocem viatorum dicti monasterii sicut solitum est vassallorum curias congre-gare, dominus Oldericus Dei gratia dicti monasterii abbas, vice et nomine dicti monasterii et conventus eius, arengando proposuit quod ius et consuetudo erat quod per dominos et curias vassallorum eligebantur pares curie qui cognosce-bant de diversis questionibus videlicet controversiis seu litibus emergentibus su-per feudis inter dominos vassallos, et secundum quod erat ratio et consuetudo videbatur ei bonum et utile et pro ipso monasterio et conventu et eciam pro
vas-sallis eius monasterii ut per ipsum abbatem et curiam ipsam eligantur boni et di-screti viri duo vel tres aut [quattu]or sive plures sicut eis melius videbitur qui sint pares curie et congnoscant et determinent super causis, questionibus, con-troversiis seu litibus emergentibus seu que in posterum emergerent super feudis [inter] ipsum abbatem et fratres eius pro dicto monasterio et vasallos monaste-rii; et quod ipse abbas pro eo monasterio volebat et sic placebat ei cum ipsa curia et eius autoritate et voluntate ordinare quod super questionibus, causis, contro-versiis aut litibus feudorum emergentibus aut que in futurum emergerent inter ipsum dominum abbatem et fratres eius pro dicto monasterio et vassallos mona-sterii cognoscant ac eas debeant mediante iusticia terminare, et quod placeat eis consulere ipsi domino abbati qualiter fieri debeant et quot esse debeant.
Qua proposicione facta per ipsum dominum abbatem, dominus Mastinus de Scala vassallus dicti monasterii in dicta curia vassallorum coram dicto do-mino abbate concionando consuluit quod sibi bonum et utile videbatur pro monasterio et vassallos mo[nast]erii ut per ipsum dominum abbatem et ipsam curiam vassallorum pares curie fierent, iuxta id quod per ipsum dominum ab-batem arengatum et propositum fuerat ut superius continetur, et quod ipse dominus abbas eligeret usque ad sex vel octo de vassallis curie qui cum ipso domino abbate pares curie eligerent quot ipsi domino abbati et eis sufficere videbuntur. Et facta reformacione in ipsa curia vassallorum ad mandatum ip-sius domini abbatis per dominum Zacariam de Ferraria causidicum super pre-dicto consilio dato per ipsum dominum Mastinum, tota curia vassallorum nemine contradicente laudavit ratificavit et sibi placere dixit predictum consi-lium datum per ipsum dominum Mastinum, et sic fieri decrevit et ordinavit ut per ipsum dominum Mastinum consultum fuerat. Quo facto ipse dominus abbas elegit dominos Isnardinum de Capite Pontis, Mastinum de Scala, Pe-trum Mucium de Marciis de Castello, Olredicum de Vicecomitibus, Nicho-laum filium quondam domini Sigefredi de Gazo et Gabrielem de Gaureto vas-sallos dicti monasterii qui esse debent pro vassallis et ipsa curia ad eligendum pares curie cum ipso domino abbate, et incontinenti ad ipsius domini abbatis mandatum nomina predictorum sex electorum lecta fuerint et publicata coram predicta curia vassallorum. Et nominibus eorum lectis et divulgatis curia tota ipsam electionem laudavit et approbavit, et tam ipse dominus abbas quam cu-ria ipsa dederunt eis electoribus plenam autoritatem et forciam eligendi pares ipsius curie et ipsos quos eligent approbaverint et ratificaverint, et pares ipsius curie fecerunt et ordinaverunt ad cognoscendum et terminandum omnes cau-sas, questiones, lites et controversias feudorum inter ipsos dominum abbatem et fratres eius pro dicto monasterio et vassallos dicti monasterii. Qui electores comuniter et concorditer cum ipso domino abbate elegerunt dominos Petrum
Mucium de Marciis de Castello, Avancium de Pesena de Sancta Maria Antiqua et Trintinellum de Cleramonte in pares ipsius curie vassallorum dicti mona-sterii, et statim fuerunt nomina eorum lecta et divulgata coram dicto domino abbate et tota curia predicta. Et ipse dominus abbas et tota curia predicta iam-dictos dominos Petrum, Avancium et Trintinellum in pares ipsius curie elege-runt et constitueelege-runt et ordinaveelege-runt ad cognoscendum et terminandum omnes causas, questiones, controversias seu lites feudorum inter ipsum dominum abbatem et fratres eius pro dicto monasterio et vassallos dicti monasterii.
Quo facto predicti domini Petrus Mucius, Avancius et Trintinellus pares curie coram dicto domino abbate et coram predicta curia vassallorum corporali-ter ad sancta Dei evangelia iuraverunt bona fide sine fraude, remotis odio, amo-re, timoamo-re, precio, precibus, speciali proficuo aut dampno seu detrimento suo vel alicuius alterius persone, omnes et singulas causas, questiones, controversias ac lites feudorum que coram eis movebuntur inter dictum dominum abbatem et fratres eius pro dicto monasterio et vassallos dicti monasterii seu aliquem vel aliquos vassallorum, et eciam causas, questiones, controversias seu lites que forent inter ipsos vassallos si per ipsum dominum abbatem sibi comisse fuerint secundum iusticiam cognoscere et terminare, non respiciendo in hoc ad potenciam ipsius monasterii et abbatis nec alicuius vassalli vel alicuius alte-rius nec ad aliquid aliud nisi ad iusticiam; et quod dolo, fraude, malicia, pigricia seu aliqua alia non iusta causa non evitabunt nec recusabunt venire et congregare se pro istis vicibus, et quod causas illas, questiones, controversias seu lites que coram eis movebuntur quam citius poterunt mediante iustitia terminabunt.
Ad hec dictus dominus abbas in plena predicta curia vassallorum districte precepit per sacramentum fidelitatis omnibus vassallis qui ab eo domino abbate de suis feudis investituram receperunt ut de hinc per totum mensem septembris proxime venturum dare debeant quilibet eorum feuda sua que tenent ab ipso monasterio in scriptis cum coherentiis, quantitatibus camporum et locis ubi ia-cent feuda et condicionibus feudorum; et illis qui nondum ab abbate predicto investituras receperunt districte precepit ut usque ad dictum tempus investituras suorum feudorum recipiant et ipsa feuda dent in scriptis usque ad dictum tem-pus modo et ordine supradicto. Preterea dictus abbas post hec omnia in dicta curia vassallorum, volens quod de vassallis qui predicte curie affuerunt in poste-rum plena certitudo et noticia habeatur, precepit districte ut omnes vassalli qui ad predictam curiam venerunt et predictis gestis in dicta curia interfuerunt face-rent nomina sua scribi et se coram ipso domino abbate et suis notariis presenta-re. Et ibi incontinenti in predicta curia vassallorum coram dicto domino abbate omnes infrascripti dicentes et affirmantes se esse vassallos dicti monasterii se scribi fecerunt, quorum nomina sunt hec: dominus Isnardinus filius quondam
domini Aleardini de Capite Pontis, dominus Mastinus de Scala, dominus Carus filius quondam domini Petri de Vicecomitibus et dominus Oldoricus filius quondam domini Achilicis de Vicecomitibus et dominus Petrus Mucius de Mar-ciis de Castello, dominus Adhelardus filius quondam domini Herec de Aleardis, dominus Nicholaus filius quondam domini Sigifredi de Gazo, Zenellus filius quondam domini Nicholai de Scopatis, Ciprianus filius quondam Nasimbene de Sancta Sophia, Tholomeus sartor quondam Manoaldi, Bavosius de Bonefixio procuratorio nomine pro Aldo filio quondam Gracioli de Bonefixio, Gralantus filius quondam domini Trasmundi de Sancta Sophia, Gabriel dictus Mucius filius quondam Omneboni de Beroardo, dominus Avancius de Pesena, Bonsegnorus filius quondam Batifolli de Sancta Maria in Organo, Florius filius quondam Manfredini pistoris, Canapus filius olim Nicholai de Canapo de Sancta Maria in Organo, Bonacausa de Aquatraversa, Bucaduxo filius quondam domini Martini de Flambertis, Veronesius filius quondam Gerardi de Guizardo, Bonaventura fi-lius quondam Gerardi de Sancta Sophia, Daniel et Nicholaus fratres filii quon-dam magistri Jacobi calzolerii de ora Sancte Marie in Organo, Bonzenus filius quondam Falconeti quondam Naxeti de Sorgada, Bellamante et Albertinus fra-tres filii quondam Iacobini paduani de Sorgada, Dominicus filius domine Ca-stellane filie quondam domini Uberti de Sorgada, dominus Bertholameus et dominus Trintinellus fratres de Cleramonte de Superbiis, Daniel filius quondam Guarnerii de Sancto Nazario, Gabriel eius frater, Gauncinus filius quondam Na-sonis de Caprino de guaita Pigne, Iacobus filius quondam Presti notari<i> de Sancta Eufemia, Daniel eius frater, Carlaxarius filius quondam domini Pasii de Ribaldo, Bonsegnorus eius frater, Bonus de Sotaqua de Sancta Anastaxia, Bona-ventura a Rota quondam domini Zavarisii, Brunacius filius quondam Olderici de Sancto Vitali, Oldoricus eius frater, Leonardus eorum frater, Bartholomeus eo-rum frater, Nassimbene Corati de Sancto Iohanne in Valle, Bernerius filius quondam Bonaventure de Bernerio, Taurellus nepos domini Taurelli de Insulo, Guillielmus de Guerrisiis, Iacobus et Bonacursius nepotes dicti domini Guiliel-mi, Iacobinus de Gozio, Runcus Petri de Oxano de Sancto Petro ad Cargna-num, Iacobus notarius condam Zugni de Broilo, Capucius et Bonominus fratres diti Iacobi, Henricus filius quondam Iacobini de Agoreto, Gabriel eius frater, Thomasius domini Vallariani de Nogaria, Nassimbene filius quondam domini Hengeloti de Abbate de guaita Sancti Faustini, Bonaventura quondam Pascalis de ora Sancti Iohannis in Valle, Bonaventura filius quondam Guarnerii, Ugo fer-rarius de guaita Sancti Benedicti, Ungarinus Tholberti notarii de Roverina, La-franchinus Marcii de Sancta Sophia, Guacetus de Sancta Sophia, Benevenutus quondam Bonaventure Presbiteri de Pigocio, Marxilius filius quondam Gabrielis notarii, Oldericus quondam Omneboni de Castagneto, Ravegnanus quondam
domini Montenarii, Iohannes, Bartholomeus, Agnellus fratres filii quondam Ugonis de Bagnolo, Costantinus filius quondam Tholberti de Sancta Sophia, Iohannes filius Acordini de Sancta Sophia, Benevenutus, Iacobinus quondam Bonaventure de Cipriana fratres, Orad[eus] quondam Zeni de Oxano, dominus Albertus de Roveclaria procuratorio nomine pro filiabus quondam domini Adelardi de Fafo, Bonencuntrus Balbi de Roverina, Iacobinus de Sancto Vito pro sua uxore Boatera quondam Fanzani de Sancto Vito, Gandulfinus Pantane de Roverina, Ventura Viviani de Roverina, Bennaxutus filius Melii barberii qui fuit de Pontepossero.
(ST) Ego Boniohannes de Omnibus Sanctis domini Frederici impera-toris notarius interfui et rogatus hec scripsi.
FONTI ARCHIVIODI STATODI VERONA (ASVr)
Santa Maria in Organo, Pergamene, 150, 354, 586, 587, 592-595, 623, 624, 663; reg. 11.
ARCHIVIO CAPITOLARE DI VERONA (ACVr)
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Sommario e parole significative - Abstract and keywords
Edizione e commento del verbale della riunione dei vassalli del monastero di S. Maria in Organo in Verona. Nel verbale si adotta, sorprendentemente, il formulario in uso per le se-dute dei consigli comunali. Ha un ruolo significativo nella vicenda Mastino, iniziatore dell’egemonia della famiglia della Scala sulla città di Verona.
Parole significative: Verona, secolo XIII, monasteri, vassalli, notai, Mastino della Scala.
The purpose of this paper is to publish and comment on the minutes of the meeting of the vassals of the monastery of S. Maria in Organo in Verona. In the minutes, the form used for municipal council meetings is surprisingly adopted. Mastino, initiator of the hegemony of the Scala family on the city of Verona, plays a significant role in the affair.
Presentazione pag. 5
Tabula gratulatoria » 7
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finito di stampare dicembre 2019 Status S.r.l. - Genova