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il cinema dei supereroi, dall'archetipo al postumano

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Academic year: 2021

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Capitolo I

Il supereroe: dall'archetipo a Hollywood

Iron-Man, Captain America, Hulk, Thor, Spider-man, gli X-Men, Dottor Strange, I Fantastici Quattro sono solo alcuni dei supereroi che popolano l'universo della Marvel Comics, anche conosciuta come la Casa Delle Idee. Questi eroi in costume dotati di super-poteri e forza sovrumana, germogliati dalla fantasia di autori come Stan Lee e Jack Kirby quasi sessant'anni fa, nell'ultimo decennio sono tornati alla ribalta nei cinema di tutto il mondo in blockbuster di grande successo. Dal 2000 in poi infatti, il campo di azione del genere supereroistico si è notevolmente allargato e quella che negli anni '70 e '90 era una passione di pochi, quasi elitaria, è diventata parte dell'esperienza di fruizione collettiva di milioni di persone, in Italia come nel resto del mondo. A partire dal primo X-Men di Bryan Singer (2000), fino ad arrivare al terzo film di maggiore incasso della storia del cinema The Avengers (2012), c'è stato un processo di istruzione collettiva per agevolare l'avvicinamento del pubblico di massa al mondo Marvel1. Un mondo complesso, per meglio dire un universo in continua espansione, popolato da eroi, alieni e semidei, le cui storie si intrecciano e sovrappongono per formare il contesto narrativo più complesso della storia della letteratura e una grande mitologia del mondo (post) moderno.

Nel testo di Bertold Brecht, Vita di Galileo, il personaggio di Andrea Sarti esclamava: “Sventurata la terra che non ha eroi!” e per tutta risposta Galileo Galilei ribatteva: “Beato quel popolo che non

ha bisogno di eroi!”. Tralasciando il significato contestuale, trovo che questa citazione fornisca lo

spunto per una domanda strettamente connessa al tema della mia ricerca: quanto può essere beato un popolo che ha bisogno di supereroi? L'esplosione del fenomeno dei cinecomics targati Marvel e DC Comics, ha coinciso con i fatti drammatici del 11 Settembre 2001 e si è protratto fino ad oggi, con una presa sul pubblico direttamente proporzionale all'intensificarsi della crisi globale scatenatasi dopo l'attentato. Questa concomitanza di eventi che non può essere frutto di un semplice caso, sembra dare una parziale risposta alla domanda. Maggiore è la crisi, maggiore è la necessità di eroi, ma oggi i pochi eroi-della-porta-accanto non interessano più, restando nel dietro le quinte del circo mediatico come casi isolati o trasformandosi in veri e propri anti-eroi. Gli unici che sembrano davvero fare breccia nei cuori della massa spettatrice (americana e non) sono ben altri eroi, ripescati 1 M.M. Lupoi, Prefazione a: S. Howe, Marvel Comics, una storia di eroi e supereroi, Panini Books, Modena, 2013, p.

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direttamente dalle pagine dei vecchi comics e che, dopo un accurato restyling, sono approdati sui maxi schermi in una nuova veste sgargiante e iperrealistica. Non è un fatto nuovo. Se pensiamo agli anni in cui sono venuti alla luce i primi superuomini dei fumetti come Superman (Grande Depressione), Captain America (II Guerra Mondiale) e Spider-Man (Guerra Fredda), ci si rende subito conto di una cosa: è la sofferenza umana il vero coagulante dei supereroi, diversamente non avrebbe senso invocarli. Infatti, sin dai loro esordi su carta, i supereroi hanno affrontato demoni ben più grandi dei villain contro cui combattevano: hanno rappresentato l'espressione delle paure, dei desideri e dei sogni della cultura che li ha partoriti, quella degli Stati Uniti d'America. L'attentato alle Torri Gemelle che ha fatto da spartiacque storico in materia di sicurezza globale, ha quindi riacceso una serie di antichi bisogni ben noti alle case di produzione statunitensi che hanno prontamente “scongelato” le vecchie glorie del fumetto. Con super-poteri adattati ai tempi – sempre meno fanta e più scientifici - questi nuovi paladini della sicurezza sbaragliano super minacce globali di natura terrestre e extraterrestre in un tripudio di combattimenti all'ultimo colpo di effetti speciali. Rispetto ai loro antenati comics, questi nuovi supereroi hanno un aspetto più glamour e un look decisamente più curato che li rende molto più accattivanti che in passato. I loro corpi perfetti sono fasciati in costumi ideati in modo tale da evidenziare fasce muscolari e pettorali scolpiti, portandoli ad apparire non solo più forti, ma anche più passionali e d'azione. Le numerose operazioni di retcon e reboot, finalizzate a ri-contestualizzare le vicende, hanno parzialmente cancellato il patrimonio storico originale e privato le nuove generazioni di spettatori di quei riferimenti sociali e culturali che erano il punto forte della narrativa fumettistica di un tempo. Nonostante questi drastici interventi, le storie dei supereroi cinematografici sono accomunate da strutture interne molto simili, presentano cioè sceneggiature che procedono secondo snodi narrativi comuni; eppure ogni film perpetua il successo del precedente e anticipa quello del successivo. Interrogandomi sulle ragioni della popolarità di questa formula narrativa, sono arrivata alla conclusione che uno dei principali motivi del largo consenso di pubblico che il genere supereroistico riscuote, sia da rintracciarsi nella natura archetipica della narrazione, ricollegabile ai topoi del mito e di conseguenza alla figura dell'eroe classico. Attraverso un'analisi dei principali aspetti del monomito, postulato dallo studioso Joseph Campbell, tenterò di dimostrare come i supereroi contemporanei non siano un'invenzione dei primi anni del Novecento, bensì il frutto di una stratificazione culturale che dagli albori della cultura universale si è protratta fino ad oggi.

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Mito antico e Mito cinematografico

Durante la ricerca bibliografica ho vagliato diverse fonti, dalle idee psicanalitiche sull'archetipo di Carl Gustav Jung e Otto Rank, a quelle antropologiche di Claude Lévi-Strauss e Gilbert Durand, per approdare infine alle teorie di Joseph Campbell, professore americano studioso di mitologia e religioni comparate, nonché profondo conoscitore di testi antichi e studioso di antropologia e psicologia analitica. Nella sua opera più importante, L'eroe dai mille volti, Campbell presenta il monomito, un modello che presuppone la possibilità di rintracciare alla base di ogni mitologia - alta (dottrina religiosa) o bassa (mito classico, fiaba popolare) - un minimo comune denominatore narrativo di valenza universale.

Proprio per la sua forte connotazione strutturale, il modello monomitico può essere ed è utilizzato oggi da gran parte degli sceneggiatori americani, come schema di sicuro successo per film di intrattenimento e blockbuster di ogni genere: dalle commedie romantiche, passando per il genere fantasy, fino ai film d'azione e a quelli di animazione che sembrano aver fatto di questo modello un presupposto imprescindibile. Neppure il filone supereroistico contemporaneo sembra immune a questa tendenza e poggia le sue basi sulle teorie dello studioso: tutti i film appartenenti a questo genere prodotti nell'ultimo decennio, sono il risultato di una serie di lievi variazioni sul tema del grande monomito campbelliano (gli stessi fumetti sono un'applicazione reiterata della stessa formula). Il primo regista americano ad applicare alla lettera gli insegnamenti di Campbell è stato George Lucas. E' interessante notare il fatto che i due, regista e studioso, siano stati a lungo legati da un rapporto di amicizia e che il regista si sia rifatto fedelmente al modello monomitico per la struttura narrativa della sua prima saga di successo, Star Wars che è anche il primo grande esempio di media franchise della storia cinema. Del media franchise, della sua storia e delle implicazioni di questo metodo produttivo in relazione al recente filone cinematografico supereroistico - targato Marvel - tratterò in seguito.

Prima di introdurre il modello del monomito di Campbell è necessario fare un passo indietro e definire in primo luogo il filo conduttore che lega eroi classici e supereroi dell'immaginario cinematografico contemporaneo: il mito. Il mito è da sempre oggetto di analisi da parte di filosofi e sociologi che pur riconoscendone l'importanza fondamentale nella vita associativa dell'uomo, ne hanno dato le definizioni più disparate. E' con la nascita della moderna psicanalisi di Freud, Rank e

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Jung e con le ricerche dell'antropologo Levi-Strauss che il mito assume un significato nuovo, rivelandosi un elemento fondamentale nella strutturazione e nel funzionamento della psiche umana e una chiave di lettura comune per culture anche apparentemente opposte.

Freud è il primo a dare una definizione a quel complesso di processi e istinti che compongono il substrato psichico della mente, non rispondenti alle regole della razionalità, racchiudendoli nella parola inconscio. Dapprima egli riferisce il termine a una parte della mente in cui si trovano dei contenuti psichici rimossi, poi, attraverso lo studio dei sogni, passa a indicare come inconscio i contenuti stessi che possono manifestarsi in forma simbolica attraverso, appunto, i sogni. Questi ultimi diventano quindi per lo psicanalista, il materiale prediletto per lo scandaglio della psiche umana. Trattandosi come già detto di manifestazioni simboliche dell'inconscio, i sogni vengono analizzati da Freud attraverso un approccio altrettanto simbolico: vengono cioè raffrontati ai grandi miti dell'antichità. Il padre della psicanalisi utilizza per primo il mito come metafora interpretativa delle pulsioni primarie e postula il celebre complesso di Edipo - che trae la sua origine dall'omonimo mito greco - per descrivere la distribuzione infantile di impulsi erotici (libido) e impulsi di morte (destrudo) in relazione al rapporto con i genitori2. L'analisi freudiana, incentrata in particolar modo sulla componente sessuale, tende a considerare il sogno come un'espressione dell'inconscio del singolo individuo e come tale viene analizzato; è con Jung che si ha una vera e propria evoluzione del pensiero psicanalitico e un'espansione del concetto di inconscio. Jung infatti, sulla scia di Freud, associa sogno e mito sostenendo che entrambi siano manifestazioni di motivi/immagini arcaiche, ma mentre il sogno ha a che vedere con le proiezioni dell'inconscio del singolo individuo, il mito (che potrebbe essere considerato un “sogno a occhi aperti”) interessa la collettività ed è espressione di quello che Jung definisce inconscio collettivo.

“Per Freud l'inconscio, benché almeno metaforicamente compaia già come soggetto attivo, in sostanza non è altro che il punto ove convergono i contenuti rimossi e dimenticati, e deve ad essi soli la sua importanza pratica. Conseguentemente, secondo questo modo di vedere, esso è esclusivamente di natura personale, benché d'altra parte Freud ne abbia riconosciuto la modalità di pensiero arcaico-mitologica. Un certo strato per così dire superficiale dell'inconscio è senza dubbio personale: noi lo chiamiamo “inconscio personale”. Esso poggia però sopra uno strato più profondo che non deriva da esperienze e acquisizioni personale, ma è innato. Questo strato più profondo è il cosiddetto “inconscio collettivo”. Ho

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scelto l'espressione “collettivo” perché questo inconscio non è di natura individuale, ma universale3.”

L'altro punto di svolta della ricerca junghiana è legato alla definizione di archetipo. Secondo lo psicanalista svizzero, l'inconscio collettivo contiene degli archetipi, ovvero dei “resti arcaici” di una memoria collettiva e ancestrale, forme e associazioni mentali la cui presenza non trova spiegazione in fatti o dati concreti dell'esperienza diretta del singolo uomo; di conseguenza, essi sembrano rivelarsi come dati primordiali, innati ed ereditari della mente umana. Jung definisce l'archetipo come la tendenza a formare singole rappresentazioni di un stesso motivo che, pur nelle loro variazioni individuali anche sensibili, continuano a derivare dal medesimo modello fondamentale4: essi si configurano attraverso simboli e narrazioni, come nel caso del mito o della fiaba e continuano a persistere e a rendersi riconoscibili in universi antropologici diversi da quelli in cui hanno avuto origine, anche laddove siano da escludere “contaminazioni” dirette tra culture. Gli archetipi sono quindi i fondamenti della cultura universale e si ripresentano sotto la forma narrativa allo scopo di spiegare gli eventi cruciali della vita del singolo e della collettività (nascita, crescita, morte); mito e fiaba (leggenda, racconto popolare) infatti non vanno considerati come semplici racconti, ma come il “modello” stesso dell'idea di racconto e come organizzazione del caos in una forma comprensibile5. Lo scopo del mito è quindi quello di organizzare/spiegare, fatti e avvenimenti che la mente umana difficilmente riuscirebbe a prefigurare se non in un contesto simbolico e metaforico.

Proprio per la questa componente prefigurativa, il mito può essere considerato come una proiezione, un'immagine dell'inconscio collettivo e in quanto tale ha trovato nel XX secolo la sua consacrazione nel cinematografo. Il cinema, definito spesso una “macchina dei sogni” (definizione che lo avvicina al concetto junghiano di mito come “sogno a occhi aperti”) si e affermato, fin dalle origini, come una nuova e moderna fucina di miti: accanto alle scene di vita quotidiana e ai più moderni miti della velocità e del progresso (il treno soprattutto), il cinema di Méliès6 prima e di Pastrone poi, ha attinto a piene mani dalla tradizione classica greca e romana con qualche riferimento al lontano oriente. Già agli albori della settima arte, la mitologia appare come un repertorio senza fine di storie che si trasformano in sceneggiature senza un eccessivo sforzo creativo e che sono, almeno all'inizio, un mero strumento per esaltare i prodigi tecnologici del nuovo medium. Il cinema degli esordi è infatti 3 C.G. Jung, Gli archetipi e l'inconscio collettivo, Torino, Editore Boringhieri, 1980, p. 3

4 C.G. Jung, L'uomo e i Suoi Simboli, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2013, p. 52 5 Claude Lévi-Strauss, Mito e significato, 1977.

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un cinema di intrattenimento per eccellenza, in cui la componente spettacolare ha la meglio sull'elucubrazione intellettuale: la proiezione si presenta come spettacolo tout court e il concetto di “trama” si afferma solo qualche tempo dopo la nascita del cinematografo. Il mito si presta perfettamente come modello narrativo già pronto per essere filmato. Alcuni esempi di questa precoce attrazione tra cinema e mito sono riscontrabili nelle pellicole di Giovanni Pastrone, come nel caso de La caduta di Troia (1910), Cabiria (1914) e di due film sul forzuto Maciste7 e di Giuseppe De Liguoro, con Edipo re (1910), e L'Odissea (1911).

Le ragioni alla base delle affinità elettive tra mito e cinema si sviluppano su più fronti. Dal punto di vista contenutistico - per le sue caratteristiche intrinseche di vettore dei moti dell'inconscio collettivo - il mito nel cinema ha la capacità di conquistare da subito i grandi pubblici popolari creando fenomeni di identificazione molto forti, poiché attinge direttamente da immagini archetipiche universali. Di conseguenza esso si riveste di una componente politico-ideologica che può essere utilizzata in modo esplicito o implicito, come strumento di scandaglio e denuncia di comportamenti e tensioni caratteristiche di un determinato momento storico, ma anche come strumento di propaganda politica e militare. Non a caso i regimi totalitari hanno investito nel cinema per espandere il proprio bacino ideologico, fondato sulla re-interpretazione dei miti di fondazione (la Roma fascista, la Germania nazista e la Russia post-rivoluzionaria) Dal punto di vista strutturale invece - se inteso nella sua accezione aristotelica - il mythos, racconto/ intreccio, fornisce gli elementi di base costitutivi della trama del racconto cinematografico8. In questo senso i film che rivelano una maggiore affinità con la definizione originaria di mito sono quelli in cui l'aspetto formale ha la priorità sull'aspetto contenutistico: si tratta del cinema di narrazione, impostato su sceneggiature solide e dalla struttura lineare9.

Oltre a raccontare miti pre-esistenti, il cinema è anche una vera e propria macchina mitopoietica che produce miti ex novo che oltre ad affermasi come nuovi miti dell'immaginario contemporaneo -influenzano la dimensione intima del soggetto e delle masse spettatrici, fissandosi come tasselli dell'inconscio collettivo. In questo senso - se consideriamo il mito come base strutturale e identitaria di un popolo in cui l'eroe o gli eroi si fanno fondatori di una civiltà - è evidente come alcune culture abbiano utilizzato il cinema come strumento di scrittura e costituzione delle proprie origini, attraverso l'epica cinematografica. Questo ultimo discorso vale in particolar modo per il cinema 7 Maciste alpino del 1916 e Maciste atleta del 1917.

8 Borges il mito fornisce almeno quattrro archetipi (brunetta pag 11, ma cercare testo borges) 9 AAVV, Metamorfosi del mito classico, pp. 9-29

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americano, le cui fondamenta poggiano su di un vero e proprio trapianto delle radici del mito classico, considerato come un giacimento aureo inesauribile su cui costruire la storia nazionale10. Il cinema americano ha fin da subito intuito il potenziale ideologico del medium cinemaotgrafico, inventando una “mitologia su misura” che costituisse una base culturale forte e comune a tutti i cinquanta stati. La mitopoiesi del cinema americano tocca la vetta più alta nella creazione nel

western, un genere che ha mitizzato le origini del popolo americano proponendo e imponendo

all'immaginario collettivo internazionale, una serie di elementi mitologici a metà strada tra la tradizione classica e il made in USA (il mito di fondazione, il mito della corsa alla conquista del West, il mito della frontiera, fino all'eterna lotta tra cowboy e pellerossa11). Ma quello del West, con tutte le sue declinazioni, non è il solo mito made in USA; come sostiene Roberto Campari, docente di Storia e Critica del Cinema all'Università di Parma, dagli anni '30 del Novecento si sviluppa e si afferma a livello mondiale anche il mito americano dell'Est, quello delle metropoli – di New York -che si identifica con eleganza e cultura, lusso e raffinatezza12 e si esprime al cinema nei generi della commedia e soprattuto del musical13. La metropoli, in netto contrasto con le ambientazioni desertiche del western, è il luogo in cui il sogno americano prende vita, è il nuovo Olimpo, abitato da dee e dei incarnati nei volti e nei corpi degli attori di Hollywood. Sempre negli anni '30 nasce e si afferma un altro medium, quello del fumetto supereroistico che - rielaborando in chiave pop i miti classici - si impone come nuovo genere letterario di largo consumo. Dal momento della sua nascita, il mito del supereroe si è diffuso in breve tempo a livello mondiale, presentandosi come la fusione tutta americana tra mito antico e contemporaneo, tra cultura alta e cultura di massa e soprattutto tra mito del West e mito dell'Est. Del racconto western, il fumetto supereroistico riprende infatti la tendenza al lavoro solitario dell'eroe, al di fuori e al di sopra della legge, mentre con i generi della commedia e del musical condivide l'ambientazione metropolitana, con tutte le problematiche connesse al tessuto cittadino e alle psicosi e idiosincrasie dell'uomo del XX secolo. In modo più esplicito, il mito del supereroe si ricollega direttamente al genere cinematografico dei peplum - o

sward and sandals nell'accezione inglese - genere nato in Italia e poi “sottratto” dagli USA che forti

di una maggiore disponibilità economica, lo hanno sfruttato per la produzione di kolossal di ispirazione biblica e mitologica. Tra i titoli più celebri troviamo Ben Hur, Cleopatra, I Dieci

10 AAVV, Metamorfosi del mito classico nel cinema, Bologna, Il Mulino, 2011, p. 15 11 Brunetta p, 16

12 AAVV, Metamorfosi del mito classico nel cinema, Bologna, Il Mulino, 2011, p. 65 13 Le commedie di lubitsch e i musial di minnelli , fred astaire e ginger rogers

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Comandamenti e una pressoché infinita serie di film incentrati sulle figure dei “forzuti”

dell'antichità, come Eracle e Sansone, diretti progenitori degli odierni blockbuster supereroistici. Dagli anni '60 in poi, il sistema di valori che reggeva lo star system americano subisce un lento declino ideologico che si manifesta fino ai nostri giorni, in film che mettono in discussione i miti di fondazione stessi (non è un paese per vecchi, le tre sepolture...). Tuttavia, da circa quindici anni, si è assistito a un ritorno del mito nella filmografia americana e più precisamente, come afferma Ruggero Eugeni, a un ritorno dell'epica cinematografica. Lo studioso e docente di Semiotica dei media presso l'Università cattolica di Milano, ha scritto un interessante saggio dal titolo Il destino

dell'Epos14, nel quale prende in esame il massiccio ritorno del mito all'interno delle narrazioni mediali contemporanee, nella sua forma più tradizionale, quella della narrazione epica. All'interno della vastita di film e serial di materia epica – Eugeni propone di distinguere le forme epiche del cinema contemporaneo in: Epos dell’eroe, Epos della sfida, Epos della scoperta, Epos della

cooperazione e Epos del carattere.

Il primo raggruppamento (epos dell’eroe), riconosce nella figura eroica l’essenza del suo epos. Si tratta della configurazione più facilmente riferibile all'epica classica e comprende una lunga serie di film, prodotti dal 200 a oggi, in cui rientra anche a pieno titolo il filone di film supereroistici, rifiorito dalla metà fine degli anni '80 (con il Batman di Tim Burton). Ma questa categoria comprende molti altri titoli tra cui Il Galdiatore (di Ridley Scotto, 2000), 300 (di Zack Snyder, 2007)... Nel secondo caso, la percezione del carattere epico non deriva dalla presenza di un eroe riconoscibile, ma si da maggior importanza alla struttura narrativa che s’incentra su una contesa tra soggetti differenti; puo trattarsi di una contesa sportiva (come in Rush di Ron Howard) o anche guerresca (come nel serial Game of Thrones). L’epos della scoperta e invece l’equivalente dell’epica del viaggio, uno dei due macrotemi della narrazione mitica che e connesso all’avventura e alla scoperta dell’ignoto (un esempio di questo terzo caso è il serial Lost). Nell’epos della

cooperazione il soggetto epico non è il singolo eroe, bensì un gruppo che collabora per uno scopo

comune (a mio avviso i due film sul gruppo di supereroi Avengers appartengono a questa categoria). Infine l’epos del carattere usa un tono epico per descrivere le grandi imprese di tutti i giorni ed è incentrato sullo sviluppo psicologico e caratteriale dei personaggi; a questo filone appartengono molti telefilm di ambientazione ospedaliera, come Grey's Anatomy, o telefilm che offrono uno spaccato su realtà peculiari, come quella carceraria (è il caso di Orange is the new black).

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I motivi per cui l’epica possiede gli elementi giusti per rinascere proprio oggi, sono da cercare nelle teorie sociologiche che trattano il rapporto tra il pubblico e i media contemporanei, come scrive Henry Jenkins15, ma anche in un periodo storico di forte crisi a partire dagli avvenimenti dell’11 Settembre. Come accadeva con il mito classico, i film di stampo epico di oggi costituiscono una mitologia del contemporaneo e si fanno espressioni di sogni, paure e desideri dell'uomo comune. Come evidenziato da Eugeni, i film di stampo supereroistico riprendono il concetto di epos dell'eroe, un tema archetipico comune a tutte le tipologie di narrazione. Ma che cosa hanno in comune il supereroe e il suo antenato? Entrambi si basano su un modello di mito che si può definire

eroico, poiché sono incentrati sulle vicende di un personaggio principale che ha delle caratteristiche peculiari e che compie un percorso di formazione: l'eroe.

Eroe e Supereroe

Definire l'eroe può sembrare una cosa semplice, in realtà la figura eroica - avendo una storia millenaria - è stata oggetto di molteplici definizioni, in diversi ambiti di ricerca. L'eroe è sicuramente una figura costante della produzione epica: non esiste poema epico senza almeno un eroe; si tratta di un personaggio eccezionale, spesso onorato dalla società in cui vive, altre volte ignorato o disprezzato e si distingue in positivo o in negativo rispetto al resto della massa.

Dal punto di vista letterario, è fondamentale il lavoro del critico Northrop Frye che ha compiuto uno studio sulla definizione dei generi letterari e di conseguenza sulla classificazione della figura eroica per ogni categoria letteraria. Nel suo testo Anatomia della critica, manifesto della ricerca mitico-archetipica, Frye utilizza e amplia la definizione che Aristotele dà all'eroe nella sua Poetica; secondo il filosofo greco le diverse opere letterarie si distinguono in base al differente grado di levatura dei personaggi che le popolano. In alcune i personaggi sono migliori di noi, in altre peggiori e in altre ancora uguali. Questa regola divide e classifica gli eroi in base alle loro capacità di azione rispetto all'uomo comune; non si tratta di una classificazione di tipo moralistico sull'eroe, quanto sulla capacità d'azione dell'eroe stesso in relazione all'ambiente e alla società. Quando l'eroe è superiore come tipo sia agli altri uomini che all'ambiente, è un essere divino e la sua storia rientra nella categoria del mito. Tali storie si inseriscono nel contesto delle grandi mitologie religiose che di

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regola sono al di fuori delle normali categorie letterarie. ESEMPIO

Se l'eroe è superiore in grado agli altri uomini e al suo ambiente, si ha il tipico personaggio del

romance, la cui azioni sono meravigliose ma che è un essere umano. Questo eroe si muove in un

mondo in cui le normali leggi di natura sono incerta misura sospese: magia, foreste incantate, mostri da sconfiggere e prodigi popolano le vicende di questo tipo di eroe. In questo caso passiamo dal mito propriamente detto alla leggenda, al racconto popolare. ESEMPIO

Se superiore in grado agli altri uomini, ma non al suo ambiente naturale, l'eroe è un capo. Possiede autorità, passioni e capacità di espressione molto più grandi delle nostre ma ciò che egli fa è soggetto sia alla critica sociale che All'ordine della natura: l'eroe del modo alto-mimetico di gran parte dell'epica e della tragedia. ESEMPIO

Se non è superiore agli altri uomini né al suo ambiente, l'eroe è uno come noi: siamo sensibili alla sua comune umanità e chiediamo al poeta l'obbedienza agli stessi canoni di probabilità che sono presenti nella nostra esperienza. È l'eroe del basso mimetico, tipico di gran parte delle commedie e della narrativa realistica. Infine c'è la categoria dell'ironico che vede per protagonista un eroe che è inferiore sia al proprio ambiente, sia alla società16.

Dal punto di vista psico-antropologico l'immagine dell'eroe può essere descritta come il mezzo simbolico attraverso il quale il soggetto, l'Io, si va separando dagli archetipi evocati dalle immagini parentali della prima infanzia. In questo senso il mito dell'eroe costituisce il primo stadio del processo di differenziazione della psiche (del Sé) attraverso il quale l'ego cerca di raggiungere una relativa autonomia rispetto all'originaria condizione di integralità17. Il mito eroico si inserisce quindi nell'archetipo dell'iniziazione. Questo processo non riguarda solo la prima fase della vita - che va dall'infanzia all'età adulta - ma si ripresenta come una costante di ogni parte della vita umana, per sancire un nuovo sviluppo e un nuovo inizio. Ogni passaggio viene quindi inteso come iniziazione a uno stato psico-sociale nuovo. In questo contesto la figura dell'eroe, progenitore del supereroe contemporaneo, diventa la stilizzazione del singolo individuo e la sua vicenda è una metafora della vita stessa, con le sue prove, i suoi successi e i suoi fallimenti e finalizzata al raggiungimento di un obiettivo. Dal punto di vista drammaturgico lo scopo dell'eroe è quello di suscitare nel pubblico un effetto di immediata identificazione: i miti eroici e le grandi tragedie greche, presentano personaggi che innescano un'immediata immedesimazione dello spettatore e rivestono il ruolo di protagonisti di 16 N. Frye, Anatomia della Critica, Torino, Einaudi Editore, 2000, p. 46

17 J. L. Henderson, Miti antichi e uomo moderno in L'uomo e i Suoi Simboli, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2013, p. 129

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vicende che catalizzano le esigenze dell'Io collettivo.

La storia dell'eroe comincia con la sua nascita. Miti e leggende tendono ad attribuire all'eroe, fin dai primi giorni o anche dal momento del concepimento, dei poteri straordinari. La vita dell'eroe viene presentata come un susseguirsi di meraviglie che culminano con la grande avventura del viaggio, in riferimento alla sua condizione di predestinato e non di casuale avventuriero. Sui prodigi e le similitudini riguardanti i natali degli eroi mitologici, lo psicologo Otto Rank ha tratto un interessante saggio, in cui formula il concetto di leggenda mediana18. Secondo lo studioso, le storie di molti eroi mitici sono accomunate da un substrato narrativo ricorrente che si rende evidente soprattutto nella fase della natività: tutte le loro storie sono accomunate da un concepimento travagliato e da una nascita preceduta da difficoltà e ostacolata dall'esterno; per tale ragione spesso il bimbo appena nato viene condannato a morte e per questo abbandonato sulle acque19. È il caso di eroi e profeti come Karna, Sargon e soprattutto Mosè, figura di riferimento della tradizione giudaico-cristiana. L'archetipo dell'abbandono dell'infante si ritrova in molte mitologie e in epoca contemporanea, si riscontra nelle storie dei supereroi. Questo fatto, oltre che a collegarsi con i concetti junghiani degli archetipi dell'inconscio collettivo, ha una ragione più esplicita, direttamente legata all'influenza culturale degli inventori dei primi comics. Jerry Siegel e Joe Shuster, inventori di Superman, erano infatti due ragazzi di origine ebraica di Cleveland; dopo di loro dalla cultura ebraica sono giunte altre figure fondamentali nell'evoluzione del fumetto: Bob Kane e Bill Finger, creatori di Batman, Jack Kirby e Joe Simon, creatori di Captain America e soprattutto Stan Lee, direttore della Marvel Comics e re-inventore del genere supereroistico negli anni '60. Nel caso dell'Uomo d'Acciaio, i punti di contatto con la cultura ebraica sono numerosi e significativi: i kryptoniani sono minacciati di estinzione dalla morte del loro pianeta, così come gli ebrei nel libro dell'Esodo sono costretti a sacrificare i figli maschi per ordine del faraone, per cui la madre di Mosè per salvare il figlio, decide di affidarlo alle acque del Nilo. Come il profeta ebraico, Superman viene abbandonato dai genitori e spedito verso la Terra a bordo di una capsula spaziale. Per entrambi i personaggi, la scoperta delle proprie origini sarà fonte di turbamento e di presa di coscienza di un destino di vita. Un altro personaggio della tradizione biblica che sembra aver ispirato la coppia Siegel-Shuster è il forzuto biblico per eccellenza: Sansone. Questo accostamento, oltre ad accomunare i due eroi nella straordinaria forza fisica, li avvicina anche nella comune debolezza; se

18 O. Rank, Il mito della Nascita dell'Eroe, Carnago (Varese), Sugarco Edizioni, 1994, p. 75 19 Ivi.

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per Sansone il punto debole è il taglio dei capelli, per Superman lo è la Krypronite, un minerale in grado di annientarne i poteri e portarlo alla morte.

In molte favole popolari, il tema dell'esilio in acqua è soppiantato da quello delle umili origini: l'eroe viene ripudiato dal padre, mentre in altri casi è orfano o è l'ultimo figlio e il più indesiderato (come nella celebre favola del brutto anatroccolo). L'infanzia dell'eroe è quindi spesso segnata dalla sofferenza: Gilgamesh viene gettato dall'acropoli dalle guardie del re-padre timoroso di perdere il regno e stessa sorte tocca a Perseo, Telefo e Paride. Allo stesso tempo l'infanzia degli eroi è costellata da continue prove e dimostrazioni precoci di doti straordinarie, come nel caso dell'episodio di Eracle con i serpenti inviati da Era o in quello di Gesù che impartisce lezioni ai saggi del Tempio. Anche i supereroi spesso hanno un'infanzia traumatica, segnata da violenza o da grandi lutti. Il caso più noto è quello di Batman - uomo pipistrello e secondogenito della casa editrice DC Comics dopo Superman – che, giovanissimo, perde entrambi i genitori durante un tentativo di rapina. Tony Stark, alias Iron Man, è orfano di padre, mentre Spiderman, già orfano di entrambi i genitori, perde l'amato zio Ben durante un'aggressione. Dal punto di vista psicoanalitico, sia Freud che Rank spiegano la ragione della sofferenza infantile dell'eroe come un passaggio obbligatorio nel percorso di emancipazione dell'Io dall'infanzia all'età adulta che si rivela possibile solo se vengono meno i legami parentali e l'influsso che essi hanno sulla vita del soggetto. Nei miti in cui compare l'archetipo dell'abbandono sull'acqua, il bambino è esposto a una seconda nascita attraverso l'acqua purificatrice, mentre per l'orfano e il rinnegato, l'assenza delle figure parentali funge da spinta propulsiva verso la scoperta del mondo che coincide con l'inizio dell'avventura, del viaggio iniziatico.

Per quanto riguarda le delle abilità, le figure eroiche possono essere catalogate in base alla dimensione del proprio successo. Nelle mitologie alte, come le religioni, l'atto eroico è prevalentemente di natura morale e i suoi benefici coinvolgono un vasto numero di persone che traggono insegnamenti e modelli di vita. L'eroe dei miti classici e delle fiabe generalmente compie un trionfo “domestico”, per lo più attraverso una prova di forza, o di astuzia, sconfiggendo un singolo avversario o riuscendo in una prova. Solitamente i benefici del suo operato saranno a vantaggio della propria gloria personale o di un ristretto numero di persone. Gli eroi mitologici sono quindi principalmente caratterizzati da doti fisiche come la forza, la velocità o l'astuzia. Eracle, grazie alle sue origini divine ha una forza sovrumana, Achille è sempre apostrofato con l'aggettivo

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pelide, mentre nel caso di Ulisse è la furbizia l'attributo che lo caratterizza maggiormente. Un altro

tratto immediatamente evidente sta quindi nelle caratteristiche fisiche sovrumane che supereroi e eroi mitologici condividono; la forza del primo super-uomo, Superman, non può non ricordare quella di Eracle, eroe greco per metà dio e per metà uomo: entrambi figli di entità superiori, vengono accolti e allevati da famiglie modeste, rivelando da subito le proprie doti fisiche smisurate, eccessive nel mondo in cui essi si trovano a vivere. Eracle dimostra le proprie virtù sin dai primi giorni di vita e allo stesso modo Superman, già nelle pagine del primo comic book, solleva divani e macchine terrorizzando i poveri genitori adottivi. Entrambi gli eroi, seppur con modalità differenti, sono costretti a celare le proprie doti ai più, vivendo parte della loro esistenza nel tentativo di omologarsi alla normalità altrui. Nell'immaginario collettivo odierno, la forza dei supereroi è attribuita al super-potere. Tra i vari supereroi si possono distinguere quelli dotati di poteri ultra-umani e quelli dotati di normali caratteristiche terrestri, sia pure potenziate al massimo grado20 e per tali si intendono i supereroi che basano le proprie abilità straordinarie su strumenti tecnologici super sofisticati. A loro volta i super-poteri suddividono gli eroi in categorie specifiche, in base alla peculiarità del proprio super-potere. I supereroi Mattone sono quelli che hanno grandissima forza fisica e una stazza gigantesca (Hulk, La Cosa e Superman); Arciere quelli che utilizzano come armi arco e freccia come Occhio di Falco; Marziale quelli che hanno abilità fisiche molto sviluppate ma principalmente umane, come Batman, Captain America e Thor (quando non usa il martello);

Gadgeteer, quelli che utilizzano apparecchiature per sviluppare i superpoteri, come ad esempio

Batman; Corazzato, gedgeteer i cui poteri derivano da una armatura, come Iron Man e War Machine; Speedster, quelli che hanno una super velocità, come Superman e Quicksilver e infine

Mentalista, quelli che hanno poteri psichici come la lettura del pensiero, la psicocinesi o la telepatia,

come Scarlet Witch21. Inoltre un fattore che accomuna eroi antichi e moderni è la tendenza al volo. Da Icaro a Leonardo fino ai nostri giorni, il volo è un'aspirazione dell'uomo, ma mentre per il povero Icaro si tratta di un peccato di hybris, per i supereroi è un attributo ormai onnipresente, seppur sotto varie forme. Se proprio non può librarsi in aria con la naturalezza di Superman, Spider-Man lo fa aggrappandosi ai grattacieli di New York, Batman usufruisce di aerei, funi e rampini, mentre Iron Man, dotato di reattori a propulsione, è in grado di sorvolare l'intera America in pochi minuti. L'elemento del volo per i supereroi moderni si rende necessario in relazione

20 U. Eco, Apocalittici e Integrati, 1964, p. 254 21 F. Santi, Aspettando Superman, pp.182-183

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all'ambientazione delle moderne narrazioni supereroistiche; la città, o meglio la metropoli che per essere sorvegliata e protetta, necessita di eroi in grado di coprirne l'intera ampiezza in poco tempo. I supereroi contemporanei devono perciò saper volare, scalare e/o sollevare un grattacielo, battere un treno in velocità, fermare un’automobile in corsa e spostarsi nello spazio e nel tempo perché è lo stesso loro habitat a richiederlo.

Una volta portato a compimento il proprio destino, l'eroe si assicura un posto nella rosa degli immortali, ciò però non sempre è sinonimo di vita eterna, anzi spesso è con la morte - intesa come iniziazione ultima e sacrificio del Sè - che l'eroe raggiunge il proprio massimo compimento. È il caso della morte del dio greco Dioniso, ucciso e fatto a pezzi dai Titani attraverso un sacrificio rituale. Le sue membra dilaniate vengono arrostite al fuoco (fonte di purificazione) e permettono al dio di liberarsi della parte “umana” ricevuta dalla madre Semele. Dioniso diventa immortale, cioè esistente di per sé, senza più la costrizione delle proprie spoglie mortali. L'immortalità, nel mito classico è quindi intesa come una liberazione del divino dal corpo e prevede, anzi necessita, la morte fisica. L'immortalità dell'eroe non risiede nella carne, ma nella conoscenza del divino e nella continuazione della memoria delle sue gesta ai posteri, attraverso il racconto, il mythos appunto. Il pericolo di morte, tranne alcune eccezioni, sembra invece non riguardare i supereroi, tenuti in vita da evidenti esigenze di mercato: il supereroe deve sopravvivere per essere protagonista di una nuova avventura e per tutte le successive, affinché il fumetto o il film di cui è protagonista possano continuare a essere prodotti e distribuiti. L'aspetto spirituale che caratterizzava l'apoteosi dell'eroe antico oggi si è spostata verso una realizzazione in termini di successo umano. L'eroe compie una missione e riporta un trionfo tutto terreno che non prevede connessioni con il divino.

É interessante notare che fino agli anni '90 del Novecento l'immortalità dei supereroi viene giustificata come un “effetto collaterale” del super-potere che rende li straordinariamente longevi; in seguito, grazie progressi della genetica, i supereroi, pur tornando tra le fila dei mortali, possono risorgere attraverso la clonazione. E' ancora il caso di Superman, che ucciso dai fumettisti nel 1993, risorge l'anno successivo in seguito a un complicato esperimento di clonazione22.

La doppia identità

22 I fumetti sulla morte di Superman e successiva resurrezione sono stati raccolti nella saga The Death and Return of

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Un aspetto fondamentale del supereroe contemporaneo è la presenza, quasi costante, di una doppia identità. Quello del doppio è anch'esso un tema antichissimo di tutti i tempi e di tutte le culture: nella realtà, con il prodigio naturale dei gemelli (dai Dioscuri greci a Esaù e Giacobbe nella Bibbia) e nella fantasia, nella duplice accezione del sosia, cioè di due individui che hanno la stessa immagine e della doppia identità, cioè di un individuo che possiede due personalità.

Se i primi due casi hanno una storia che affonda le radici nel profondo della tradizione letteraria (dalle Metamorfosi di Ovidio, ai doppi delle commedie di Plauto e Terenzio fino a Shakespeare), il tema della doppia identità ha delle origini più recenti che cominciano con la narrativa ottocentesca dei romanzi di R.L. Stevenson (Lo strano caso del Dr Jekill e Mr Hyde), e si propagano in tutta la tradizione novecentesca, da Kafka e Pirandello, fino ai nostri giorni.

In riferimento alle metamorfosi di ovidio, spesso l'eroe cambia forma ma mantiene la propria identità, mentre nel mondo contemporaneo il supereroe possiede due identità distinte che agiscono in maniera spesso contrapposta.

Tutti i supereroi classici (e per classici si intendono quelli nati prima degli anni '60), per tutelare la propria identità di giustizieri, creano un alter ego: alcuni incarnano il tipico american nerd, come Superman o Spiderman, o come Captain America prima di essere sottoposto al siero del super-soldato; altri hanno una doppia vita meno divaricata: Bruce Wayne è un milionario, mentre altri sono degli scienziati come Bruce Banner/Hulk e Tony Stark/Iron Man. Dal punto di vista dell'intreccio, l'alter ego consente al supereroe di proteggere la propria vita, nonché quella degli amici/familiari con i quali condivide la vita quotidiana. Questa doppia identità, negli anni della nascita della moderna psicoanalisi, ha fatto parlare alcuni studiosi di “schizofrenia23”, in ogni caso essa rappresenta la tensione costante tra la natura umana e quella ultra-umana del personaggio. Per Umberto Eco la doppia vita di Superman-Klark Kent rappresenta un riscatto immaginativo della mediocrità uomo-massa24. È proprio a proposito del rapporto di integrazione-dissociazione tra individuo e massa che si concentrano le riflessioni di un altro studioso, Gino Frezza che va oltre le teorie di Eco sostenendo che la figura mitologica dei vari doppi che emergono nei racconti del cinema e del fumetto sembrano esprimere in maniera fantastica una volontà di compensazione della mediocrità dell'uomo moderno a fronte del potere delle tecnologie25.

Nel saggio Doppia identità e mutazione nei fumetti di supereroi, lo studioso compie una 23 P. Favari, Le nuvole parlanti, un secolo di fumetti tra arte e mass media, Dedalo edizioni

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interessante analisi sul significato metaforico della doppia identità e del derivante segreto che il supereroe porta con sé, giustificabile attraverso diversi livelli che ne motivano la funzione e prospettano esiti conseguenti ai suoi fondamenti. Innanzitutto il livello narrativo. Gli autori di fumetti si divertono a giocare intorno allo svelamento dell'identità del supereroe, creando curiosità tra vari personaggi e un effetto di suspense nel lettore: in ogni episodio l'identità segreta viene messa in pericolo, ma puntualmente l'enigma resta irrisolto. Gli autori sfruttano gli espedienti narrativi più disparati: dall'arbitraria suspension of disbelief nel caso di Superman dei primi anni, fino alla straordinaria storia degli anni Ottanta, su come gli occhiali indossati da Clark Kent, distorcano la percezione del suo volto da parte degli amici e dei nemici, salvaguardando la sua apparente differenza con quello di Superman26. Frezza individua successivamente tre livelli pertinenti alla dimensione simbolica e metaforica della doppia identità: mediale, tecnico-politica e esistenziale. Per quanto riguarda la prima, la doppia identità del supereroe contemporaneo, intende rappresentare la condizione di potere del consumatore di media del primo novecento: un uomo-massa qualsiasi che trascende i limiti del proprio corpo e dello spazio-tempo grazie alle virtù agite dai media, in grado di collegare gli individui oltre ogni vincolo di geografia planetaria o cronologia urbana. Questo tipo di metafora si fa oggi più attuale e efficace se si pensa allo sviluppo della realtà virtuale della rete Internet in cui l'utente può “sdoppiarsi” creando identità fittizie e vite virtuali parallele (basti pensare alla possibilità di creare account e profili fasulli sui social network o partecipare a giochi on-line di vita simulata come Second Life27).

La seconda metafora in un certo senso generalizza quella mediale: la potenza del supereroe è una forma mitica con cui l'uomo occidentale si rappresenta l'incorporazione dei poteri tecnologici nell'ambiente della civiltà industriale e le sue proiezioni verso il futuro. In questo senso l'avanzamento tecnologico si fa trasposizione realistica del super-potere e il fumetto supereroistico diventa la rappresentazione di una realtà futuribile.

La terza metafora, quella esistenziale, si propone come lato oscuro delle prime due: essa riguarda il sofferto rovescio del potere tecnologico-mediale (i rischi per l'uomo, la natura e l'ambiente) che impongono superiori livelli di responsabilità28.

Il supereroe è quindi scisso tra una vita normale, al limite della mediocrità ed una straordinaria;

26 G. Frezza, Doppia identità e mutazione nei fumetti dei supereroi, in Del segreto, n°5, Besa Editrice, Lecce, 2005, p. 154

27 https://it.wikipedia.org/wiki/Second_Life 28 G. Frezza, op. cit., p. 155

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questo equilibrio, che con Superman è sbilanciato più dal lato “super”, è invece più tendente all'”umano” nel caso di altri supereroi, come Batman, Spiderman e più in generale i “figli” di casa Marvel: personaggi inclini alla tragedia e in bilico tra nevrosi e psicosi, debolezza e coraggio, infanzia e maturità, abbandono di sé e responsabilità. La compresenza dell'identità normale e di quella in costume comporta un approfondimento della prima, attraverso una maggiore caratterizzazione psicologica dei personaggi e del peso che il super-potere esercita nelle loro vite. La vita di Spider-man/Peter Parker è esemplare di questo fenomeno: adolescente gravato dai sensi di colpa per non essere adeguato ai doveri imposti dal crescere, si ritrova improvvisamente dotato di poteri fuori dal comune. Nessun istinto di giustizia innato guida le sue imprese, ma è attraverso l'esperienza umana che egli trova uno scopo ai propri super-poteri e un impiego di essi per una nobile causa. E' un modello di self made hero, che costruisce la propria doppia identità attraversando dubbi etici e tribolazioni esistenziali, fino ad approdare ad un' alta consapevolezza di sé e del proprio ruolo nel mondo, poiché da un grande potere derivano grandi responsabilità.

Il viaggio dell'eroe

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parte dal presupposto che tutte le culture siano accomunate da un repertorio di miti e leggende che condividono una struttura narrativa che ha come filo conduttore l'avventura eroica. Secondo Campbell, sia che essa venga descritta nelle ampie e oceaniche immagini orientali, nelle vigorose narrazioni greche, nelle solenni leggende bibliche, o nelle odierne narrazioni cinematografiche, l'avventura eroica segue sempre un preciso percorso, di tipo circolare: l'eroe si separa dal mondo, penetra sino a qualche fonte di potere, affronta un pericolo e ritorna alla vita. Campbell schematizza la vicenda iniziatica dell'eroe in tre punti: separazione, iniziazione e ritorno29. Ognuna di queste fasi contiene delle sotto-fasi intermedie che tendono a differenziarsi per ogni mito, rendendolo a suo modo originale (Tab.1).

Tabella del modello monomitico di Joseph Campbell.

Separazione Iniziazione Ritorno

Appello Prove Rifiuto del ritorno

Rifiuto dell'appello Incontro con la dea/la donna come tentatrice

Fuga magica

Aiuto soprannaturale Riconciliazione con il padre Aiuto dall'esterno

Varco della prima soglia Apoteosi Varco della soglia dei due

mondi

Nel ventre della balena Ultimo dono Libero di vivere

La maggior parte dei racconti mitici si ambienta in un mondo fuori dall'ordinario, un mondo che per l'eroe appare misterioso e alieno. E' necessario quindi, al fine di evidenziare un effetto di contrasto, introdurre innanzitutto l'eroe nel proprio contesto originario, nel proprio mondo ordinario. Molti miti e leggende cominciano introducendo il protagonista all'interno del proprio ambiente, familiare o sociale, per poi proiettarlo in un universo straordinario attraverso l'espediente dell'errore30 che rivelando un mondo insospettato, mette l'individuo a contatto con forze di cui non sa interpretare la natura e il valore. ESEMPIO DI LEGGENDA O MITO.

Il tema dell'errore nella narrazione supereroistica è spesso trasposto in incidente; nella tradizione dei primi comics di solito è di natura tragica, come la morte dei genitori nel caso di Batman, mentre nell'era “atomica” del fumetto fino ai giorni nostri, l'incidente è di natura nucleare. Sono noti i casi di mutazione degli X-Men che a causa di un fascio di raggi sonici diventano eroi-mutanti, quello di 29 J. Campbell, L'eroe dai mille volti, Parma, Guanda, 2007, p. 41

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Bruce Banner spazzato via da una bomba gamma e poi risorto come Hulk, o quello di Spider-Man, morso da un ragno radioattivo del quale prende le abilità.

Dopo l'errore, il primo grande stadio dell'avventura eroica avviene al momento della separazione, anticipata da quello che viene definito appello31, ovvero la chiamata dell'eroe al suo destino. In alcuni casi l'eroe risponde spontaneamente, in altri è spinto a farlo da agenti maligni o benigni. Nel primo caso si può citare la vicenda di Teseo che si imbarca nell'avventura contro il Minotauro per propria volontà, il secondo caso è quello di Ulisse che di ritorno verso Itaca viene trascinato in luoghi lontani, sballottato da Poseidone tra coste e isole del Mediterraneo. Nel caso dei supereroi vale lo stesso discorso. Ci sono supereroi come Superman che prendendo consapevolezza dei propri poteri, sono immediatamente spinti a rispondere alle chiamate di aiuto, o come Captain America che “nasce” con lo scopo di difendere l'America dalle truppe naziste. In alcuni casi invece l'appello viene ignorato e la chiamata al dovere di eroe viene posticipata fino a un evento decisivo. Questo tipo di modello archetipico, del rifiuto dell'appello è riscontrabile nel caso di Spiderman: egli si ritrova improvvisamente dei poteri che inizialmente sfrutta allo scopo di arricchirsi; ma la chiamata del destino si fa sentire una seconda volta e dopo la morte dello zio, Peter comprende qual è la sua missione, risponde all'appello e aderisce definitivamente al ruolo di supereroe.

Campbell riporta anche un caso particolare, la disobbedienza reiterata all'appello e cita il caso di Minosse, re di Creta che rivendica il trono, chiedendo a Poseidone come prova del proprio merito di sovrano di far uscire un toro dal mare, con la promessa di sacrificarlo una volta divenuto re. Ma il toro è talmente bello che Minosse decide di tenerlo per sé e ne sacrifica un altro, simile, credendo di poter ingannare il dio. Minosse rifiuta la propria chiamata come nuovo re e disobbedisce ai doveri imposti dalla sua nuova dignità. Ciò porta a delle note conseguenze: la moglie si invaghisce del toro e dopo aver giaciuto con lui, dà alla luce il Minotauro, un essere metà uomo e metà toro che viene rinchiuso nel labirinto fino all'arrivo di Teseo. Secondo Campbell il rifiuto ostinato dell'appello dell'eroe porta a una trasformazione dell'avventura eroica positiva nel suo contrario negativo. Tradito il proprio destino, l'eroe perde la capacità di svolgere un'azione positiva e diviene a sua volta una vittima da salvare. In questo caso Minosse non riesce a sbarazzarsi del Minotauro e necessita dell'aiuto di un altro eroe - che al contrario ha risposto all'appello - per poter riportare il benessere a se stesso e alla comunità. Il mito di Minosse che può essere considerato il mito del sovrano-tiranno, fa da base per le vicende di molti villain del mondo supereroistico: angeli caduti 31 J. Campbell, L'eroe dai mille volti, Parma, Guanda, 2007, p. 73

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che hanno preferito alla sottomissione alla propria società e al volere degli dei, un vantaggio economico e potere personale.

Gli eroi che hanno risposto all'appello trovano sulla loro strada un protettore, spesso una vecchiarella che ha lo scopo di agevolare l'avventura. In tal proposito Campbell cita una leggenda degli indiani d'America in cui compare la figura della Donna Ragno, un'anziana signora che salva la vita di due dei Gemelli consegnando un amuleto32. Nella cultura greca, tornando al mito del Minotauro è sempre una figura femminile incaricata di aiutare l'eroe Teseo. E' infatti Arianna che consegna all'eroe greco il filo (la conoscenza) per poter affrontare il labirinto. La stessa Venere appare spesso come dea intercettatrice a favore degli eroi in difficoltà: nel libro l'Asino d'oro di Apuleio, la dea segue le disavventure del protagonista intervenendo con discrezione; mentre nel poema epico I Lusiadi, di Luìs Vaz de Camões, Venere intercede a favore della flotta portoghese affinché possa ritrovare la via del ritorno in Portogallo dopo l'odissea in mare aperto. Un altro esempio di donna aiutante è l'incontro tra Dante e Beatrice alle porte del Paradiso. Figura femminile per eccellenza della tradizione cristiana è invece la Vergine che intercede per ottenere la benevolenza del Padre. Nel filone supereroistico alle figure femminili viene conferito spesso il ruolo di aiutante che - letto in questi termini - riconferma la fedele adesione di questo genere contemporaneo a strutture archetipiche tradizionali. Nei film, i supereroi vengono spesso soccorsi da interventi femminili. Le donne del genere supereroistico, a parte alcuni casi, sono sprovviste di superpoteri, ma non per questo sono meno provvidenziali: nel caso di Superman l'aiuto arriva da Lois Lane, nel caso di Iron Man da Pepper Potts, nel caso di Thor da Jane e così via.

Più di frequente il soccorritore è di sesso maschile e può essere una creatura fantastica o un giovane aiutante.

Nelle favole è talvolta un nanetto, un mago, un eremita, un pastore, un fabbro che compare all'improvviso e fornisce all'eroe gli amuleti e i consigli di cui ha bisogno. Tutte le mitologie maggiori presentano la solenne figura della guida, del maestro, del traghettatore, del condottiero. Nel mito classico è Hermes-Mercurio, in quell'egiziano è solitamente Thoth, in quello cristiano è lo Spirito Santo. Nel poema di Dante questo ruolo è sostenuto da Virgilio.33

Nel caso dei supereroi si tratta del sidekick, giovane assistente che aiuta il supereroe di turno; il più

32 J. Campbell, L'eroe dai mille volti, Parma, Guanda, 2007, p. 73 33 J. Campbell, L'eroe dai mille volti, Parma, Guanda, 2007, p. 90

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famoso è Robin, storico aiutante di Batman.

Con l'aiuto del protettore, l'eroe procede nell'avventura finché non incontra il guardiano della

soglia. Questi guardiani segnano i confini della sfera del mondo ordinario e proteggono l'ingresso

nel mondo straordinario. Aldilà di essi vi sono le tenebre, l'ignoto, il pericolo, così come per il bambino il pericolo è la dove non giunge la protezione dei genitori e per il membro della tribù là dove non giunge la protezione della società34. L'uscita dai confini protetti e sicuri della comunità originaria sancisce l'inizio vero e proprio del viaggio. Nella Divina Commedia sono le porte dell'inferno a spalancarsi davanti a Dante, protette da Cerbero, mentre nell'opera già citata di Camões, il gigante Adamastor (identificato nei monti di Capo di Buona Speranza) protegge i confini del mare conosciuto che si aprono su un oceano ancora inesplorato. La figura del guardiano è prevalentemente una figura di protettore: meglio non disobbedire al guardiano dei confini stabiliti e tuttavia è superando questi confini e costringendo il guardiano a presentarsi nel suo aspetto distruttivo che l'individuo entra vivo o morto in una nuova sfera di esperienza35. Nel genere

supereroistico l'esempio più lampante è quello del guardiano delle porte del regno di Asgard che segnano il confine tra il regno e gli altri mondi; più in generale il superamento della prima soglia può essere visto come il passaggio vero e proprio tra il mondo dell'ordinario e quello straordinario. Il concetto che fa del varco della magica soglia un ulteriore passaggio iniziatico, ha il proprio simbolo nell'immagine - diffusa in tutto il mondo - del ventre della balena. L'eroe, anziché sgominare o ingraziarsi i guardiani della soglia, viene inghiottito nell'ignoto e viene ritenuto morto. Oltre alla nota vicenda biblica di Giona, molte leggende popolari narrano di eroi inghiottiti da gigantesche creature come balene, mostri marini e draghi. Campbell cita alcuni esempi appartenenti a culture apparentemente distanti, tra cui la leggenda eschimese che ha per protagonista un eroe burlone di nome che un giorno, travestitosi da corvo, volò fin dentro le fauci di una balena che lo inghiottì e venne creduto morto per molto tempo36. Allo stesso modo una leggenda zulù racconta di una donna che si ritrovò dentro la pancia di un elefante alla ricerca dei propri figli scomparsi. Dal punto di vista simbolico, il varco della soglia è una sorta di auto-annientamento, poiché l'eroe per intraprendere il proprio cammino deve rinunciare a se stesso, all'Io e dedicarsi esclusivamente alla propria missione. Anche quando non è presente un vero e proprio mostro fagocitante, la balena è trasposta in situazioni similari: nel mito di Teseo, la balena è rappresentata dall'ingresso dell'eroe 34 J. Campbell, p.

35 J. Campbell, L'eroe dai mille volti, Parma, Guanda, 2007, p. 100 36

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nel labirinto del Minotauro. Nella cinematografia supereroistica questo è evidente in molti film: in Captain America la balena è rappresentata dal laboratorio sotterraneo in cui viene condotto l'esperimento di potenziamento del super soldato, Steve Rogers “muore” e al suo posto appare il nuovo soldato potenziato; nel film Thor invece la balena è costituita dalla temporanea prigionia dell'eroe in una cella di isolamento, in cui si rende conto di aver perso i propri poteri ed essere divenuto un mortale. L'aspetto della mortificazione carnale è strettamente correlato al passaggio nel ventre della balena e si lega al concetto di annientamento che l'eroe subisce durante questo stadio. La perdita di una parte del proprio corpo innesca una nuova rinascita a uno stadio superiore di consapevolezza ed è un elemento necessario affinché essa avvenga. In tutta la narrativa popolare, il corpo dell'eroe viene a volte smembrato, dilaniato, disperso sulla terra e sul mare, come nel mito egizio di Osiride che viene rinchiuso in un sarcofago e gettato nel Nilo dal fratello Set, e che, ritornato dal regno dei morti viene nuovamente ucciso dal fratello37. L'ego, incarnato nelle membra mortali, viene quindi dissolto e l'eroe può proseguire il suo cammino.

Dal momento in cui l'eroe raggiunge un nuovo stadio di consapevolezza, inizia ad affrontare una serie di prove e può incontrare nuove figure, benevole o malevole sul proprio cammino.

Lo stadio delle prove coincide con la metà esatta del percorso di formazione. In questa fase avviene ciò che Campbell chiama l'incontro con la divinità ed è un momento di espiazione che ha a che fare con il padre, o comunque il momento culminante (Apotheosis). Durante la prova centrale l'eroe si trova faccia a faccia con le sue più grandi paure o con il fallimento dell'impresa. Dopo questa fase niente sarà mai più lo stesso. È il momento più profondo della discesa prima di risalire, dove l'ombra si rivela (sia essa un nemico o un rivale, o la paura stessa dell'eroe, le sue qualità rifiutate e proiettate in altri, i suoi demoni). Nel mito questo significa la morte dell'io, quando l'eroe diventa parte del cosmo, non ha più la stessa visione delle cose e rinasce con una nuova consapevolezza, ovvero sposta il centro dall'Io al Sé (diventando, in qualche modo, il proprio maestro).

Nel paragrafo riguardante l'aiutante ho introdotto la figura femminile come consolatrice e portatrice di speranza, come l'esempio della Donna Ragno e di Beatrice. Queste figure secondo la teoria di Campbell - direttamente ispirata agli studi analitici di Freud e Jung - sono trasposizioni della figura materna che ha in sé queste caratteristiche: consolatrice-protettrice. La figura paterna invece gioca un ruolo apparentemente negativo e viene definito come il padre-orco.

Lo studioso americano riporta l'esempio dei fanciulli della tribù Murngin che durante il rituale 37

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iniziatico vengono spaventati e indotti a cercare rifugio presso la madre perché il grande padre

serpente reclama il loro prepuzio. Si tratta di un rituale di circoncisione in cui le donne svolgono il

ruolo di protettrici dei fanciulli e quindi della loro infanzia. Quando gli uomini vengono a prendere i fanciulli per il rituale di circoncisione le donne afferrano delle lance e fingono di combattere, piangono e si lamentano perché i ragazzi stanno per essere portati via e mangiati. Questa lunga serie di rituali culmina nella liberazione del pene del fanciullo dalla protezione del prepuzio per mezzo della circoncisione ad opera del padre stesso che è colui che separa il figlio dalla madre. Il prepuzio e che viene asportato dal fanciullo è in realtà la madre38. Dopo il distaccamento dalla madre, si ha lo stadio della riconciliazione con il padre. Nella tradizione cinematografica questo si ritrova – in maniera molto semplificata - nella riconciliazione tra eroe e padre, spesso una figura molto potente e autoritaria: esempio lampante è quello di Thor che si riconcilia con il padre Odino dopo aver dimostrato di essere degno di succedere al trono di Asgaard.

Una volta superate le prove e avvenuta la riconciliazione con il padre, l'eroe si trova in uno stato di grazia tale da essere simile a un dio; è finalmente privo dell'Io che lo costringeva alla sua forma mortale. Dolore e piacere non lo circoscrivono più ma sono da lui circoscritti con profonda calma. Ciò che l'eroe cerca di ottenere una volta entrato in contatto con il divino è la grazia degli dei, ovvero il potere della loro sostanza sostenitrice.

Conclusa la propria ricerca con la penetrazione nella fonte, o per grazia di qualche aiuto personificato in figure femminili o maschili, l'eroe deve far ritorno nella propria comunità con il suo trofeo rinnovatore della vita. Tuttavia accade che egli non accetti questa nuova responsabilità. In maniera speculare al rifiuto dell'appello, l'eroe nuovamente rifiuta o rimanda il compimento del proprio destino: non vuole tornare al mondo ordinario e restare in quello straordinario. In questa fase le forze opposte, ancora piu agguerrite, impongono una seconda prova suprema.

Questa ultima fase del viaggio può essere segnata da una fuga magica: qualcosa dal quale l'eroe deve scappare e può implicare il fatto che l'eroe semini degli ostacoli alle proprie spalle per far perdere tempo agli inseguitori, come nel caso di Giasone e Medea che fanno a pezzi il fratello di lei e lasciano il corpo in mare per far perdere tempo al padre che li sta inseguendo.

Una volta superati gli ultimi ostacoli avviene il passaggio dell'ultima soglia, quella che riporta l'eroe nella comunità originaria, ovvero nel mondo ordinario, dove egli rientra da signore dei due mondi.

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Analisi del film: Iron Man e il modello monomitico

Per chiarire meglio i passaggi del monomito di Joseph Campbell tenterò di applicare il modello a un film del Marvel Cinematic Universe che rispetta fedelmente la scansione proposta dallo studioso americano: Iron Man. Iron Man è un film del 2008 diretto da Jon Favreau ed è il primo film prodotto dalla Marvel Studios, una divisione della Marvel Enterteinment adibita alla realizzazione e alla produzione di film basati sui supereroi del gruppo omonimo. Iron Man viene prodotto in collaborazione con la Fairview Enterteinment e distribuito dalla Paramount Pictures; il progetto è molto ambizioso, soprattutto per il massiccio utilizzo di effetti speciali all'avanguardia, per cui si rendono necessarie collaborazioni su più livelli con diverse case di produzione. Produttore esecutivo del progetto è lo stesso Stan Lee, storico disegnatore e direttore emerito della Marvel che compare nel film e in un cammeo. Per gli effetti speciali viene ingaggiata la Industriale Light and Magic, la major di effetti speciali creata da George Lucas negli anni '70.

Per la scrittura del film vengono contattati una trentina di sceneggiatori, ma alla fine la scelta cade su Mark Fergus e Hawk Ostby (I Figli degli uomini, Cowboys & Aliens) che riscrivono la storia del supereroe imprenditore contestualizzandola nell'America odierna e sottoponendo la nascita dell'esoscheletro Iron Man a un'operazione di retcon (retroactive continuity, espediente narrativo

per mantenere o creare una storyline coerente). Nonostante le operazioni di adattamento e ri-contestualizzazione, lo scheletro narrativo del film (e dell'intera trilogia) fa riferimento alla formula dell'avventura eroica postulata da Campbell.

Mondo ordinario/Appello.

Le prime scene del film si aprono in una sala convegni di NewYork, durante la cerimonia degli Apogee Awards. Tony Stark è chiamato su un palco a ritirare un premio e contemporaneamente viene eletto capo delle Stark Industries, le industrie di famiglia, eccellenti nel campo della ricerca scientifica e della produzione di armi.

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Tony però non si presenta alla cerimonia, impegnato com'è a sperperare il proprio patrimonio al casinò dell'albergo in cui si sta svolgendo la premiazione. Al suo posto è Obadiah Stane a ritirare il premio, spendendo parole di ammirazione per il figlio del grande amico Edward Stark. Il Tony Stark presentato nei primi minuti e interpretato dall'attore Robert Downey Jr, non appare una persona facile. Già dalle prime inquadrature viene dipinto come un personaggio dall'ego smisurato e dalla passione per i vizi: il gioco, l'alcol e le donne. È un uomo molto immaturo che approfitta della sua condizione privilegiata per delegare agli altri le proprie responsabilità. Facendo riferimento alla teoria letteraria di Frye si potrebbe definire Stark un personaggio tipico del romance, poiché si trova in una posizione di superiorità sia all'ambiente che alla società che lo circonda.

Errore/Varco della prima soglia.

Il giorno dopo la premiazione Stark parte per l'Afghanistan per presentare alle truppe americane nuove armi ultra-tecnologiche da lui stesso ideate, ma non fa in tempo ad arrivare al campo base che la carovana di jeep che gli fanno da scorta viene colta alla sprovvista da un attacco ad opera di una gruppo militare estremista chiamato I Dieci Anelli. Tony viene colpito dalle schegge di una bomba delle Stark Industries, resta ferito al petto e perde conoscenza.

Nel ventre della balena/Incontro con l'aiutante.

Stark si risveglia in una grotta e comprende, grazie all'incontro con un altro prigioniero (il dottor Yinsen) il motivo del suo rapimento: I Dieci Anelli vogliono che Tony costruisca per loro un prototipo del missile Jericho - lo stesso missile che Stark avrebbe dovuto presentare al campo americano - per utilizzarlo contro i militari americani. Inoltre Stark scopre di aver subito un intervento di rimozione del cuore, danneggiato dalle schegge della bomba esplosa e sostituito da un rudimentale congegno chiamato Reattore Arc, un artefatto alimentato a palladio (un elemento artificiale altamente tossico). Nonostante lo shock per la situazione di prigioniero e per la perdita del cuore, Tony inizia a lavorare notte e giorno sulla costruzione del missile. Almeno in apparenza, in realtà costruisce il primo esoscheletro meccanico - il primo Iron Man – grazie all'aiuto di Yinsen.

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Prima prova.

Stark completa la costruzione di Iron Man e attacca I Dieci Anelli, sbaragliandoli e riuscendo a fuggire. Il dottor Yinsen si offre come scudo umano e si sacrifica per lui, dando prova di lealtà e amicizia mai sperimentate prima da Tony.

Fuga/Primo ritorno.

Stark vola nel deserto, disseminando parti dell'esoscheletro Iron Man per poter aumentare la velocità e seminare i nemici. Dopo alcuni giorni passati a vagare viene recuperato da un elicottero americano e riportato in patria. Al rientro in America Tony Stark è un uomo diverso. Durante la conferenza stampa organizzata da Obadiah, Stark annuncia il suo ritiro dall'industria bellica e dichiara chiusa la divisione armi delle Strak Industries. D'ora in poi si dedicherà esclusivamente alla ricerca nel campo del progresso medico e scientifico. La notizia del ritiro non viene ben accolta da Stane che si rivela la mente dietro il sequestro in Afhanistan. Stane infatti aspira alla direzione delle Stark Industries e vuole eliminare Tony per ottenerne il pieno controllo su queste ultime.

Mondo ordinario e nuovi aiutanti.

Tony Stark vive in una casa ultra-tecnologica da lui stesso progettata all'ultimo piano del grattacielo delle industrie Stark. Il suo maggiordomo è un sistema operativo di nome Jarvis che ha un intelletto molto sviluppato e si occupa della gestione della casa, ma Tony ha anche un'assistente in carne ed ossa, la signorina Pepper Potts, segretaria personale e assistente tuttofare che si occupa di accrescere il prestigio del patrimonio dello scienziato attraverso l'acquisto di opere d'arte. Stark ha inoltre un caro amico, il militare James Rhodes che in seguito diventerà anch'egli un supereroe con il nome di War Machine.

Nuovo appello/ventre della balena/nuove prove.

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