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Simulatore epidurale ad alta fedeltà: dal conceptual design all'analisi clinica

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Academic year: 2021

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Scuola di Specializzazione in Anestesia, Rianimazione Terapia Intensiva e

del Dolore

Dipartimento di Patologia Chirurgica, medica, molecolare e di area critica

SIMULATORE EPIDURALE AD ALTA FEDELTA’:

DAL CONCEPTUAL DESIGN ALL’ANALISI CLINICA

Relatori:

Prof. Francesco Forfori Dott.ssa Barbara Pesetti

Dott. De Simone Luigi Candidato:

Mangiacasale Ornella

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1 S

OMMARIO

2 RIASSUNTO ... 3

3 UNA PAGINA DI STORIA… ... 4

4 IL DOLORE DEL PARTO ... 7

5 ANALGESIA NEL TRAVAGLIO DI PARTO ... 11

6 ANATOMIA ... 16

7 TECNICA ... 22

8 COMPLICANZE ... 25

9 IL RUOLO DELLA SIMULAZIONE ... 29

10 SCOPO DELLA TESI ... 37

11 MATERIALI E METODI ... 38

11.1 REALIZZAZIONE DELLE VERTEBRE L2, L3, L4 ... 39

11.2 LEGAMENTI INTERSPINOSI ... 41 11.3 LEGAMENTO GIALLO ... 43 11.4 SACCO DURALE ... 44 11.5 SUPPORTO ... 45 11.6 MUSCOLATURA PARAVERTEBRALE ... 45 11.7 SUPPORTI BASALI ... 46 11.8 STRATO CUTANEO ... 47 12 RISULTATI ... 48 13 DISCUSSIONE ... 60 14 CONCLUSIONI... 63 15 BIBLIOGRAFIA ... 65 16 APPENDICE 1 ... 72 17 APPENDICE 2 ... 75

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2 RIASSUNTO

La peridurale è la tecnica attualmente più diffusa per il controllo del dolore durante il parto, rappresenta un diritto che tutte le donne possono richiedere ed è sancita nei Livelli Minimi di Assistenza (LEA). La peridurale è una procedura dagli elevati standard di sicurezza, tuttavia, essendo una manovra invasiva non è scevra dal rischio di complicanze. Tra i fattori di rischio modificabili vi è l’esperienza dell’anestesista operatore. La simulazione nella formazione medica sta assumendo un peso sempre maggiore, fornisce le skills utili al medico che si approccia a tale manovra e aumenta il profilo di sicurezza sia dei pazienti che ricevono la prestazione che del medico che presta il servizio, riducendo le probabilità di errore, di danno e di ripercussioni medico legali.

A livello locale, nella Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, la collaborazione tra il Centro di Simulazione N.I.N.A., il centro di ricerca Piaggio dell’Università di Pisa e la SOD Anestesia e Rianimazione e Materno infantile e Santa Chiara ha dato inizio alla progettazione di un prototipo che riproducesse un modello dell’anatomia lombare, per la simulazione guidata della tecnica di posizionamento del catetere peridurale.

Dal conceptual design multidisciplinare si è passati alla realizzazione nel centro di ricerca Piaggio del prototipo 1.0, che, immediatamente revisionato, ha portato al prototipo 2.0 il quale è stato oggetto di analisi clinica da parte degli anestesisti della SOD del Santa Chiara.

Gli anestesisti si sono poi espressi sul grado di fedeltà del prototipo attraverso un questionario somministrato subito dopo averlo testato: sono state messe in evidenza le criticità da cui partire per apportare ulteriori modifiche e individuati i punti di forza del prototipo come la perdita di resistenza al momento dell’arrivo nello spazio peridurale.

Nel contesto universitario, dove sono presenti medici in formazione specialistica il modello potrebbe trovare un primo impiego; la formazione sarebbe integrata con una fase pre-clinica e i giovani medici avrebbero modo di verificare le sensazioni percepite e acquisire le competenze basilari ancor prima di eseguire la manovra sui pazienti.

La strada da seguire prevede la creazione di un percorso dedicato con la collaborazione del centro Piaggio per la produzione dei pezzi di ricambio e lo studio di nuove soluzioni per perfezionare il prototipo già esistente.

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3 UNA

PAGINA

DI

STORIA…

Lo spazio peridurale è una regione anatomica all’interno del canale vertebrale, definito come uno “spazio virtuale”. Sebbene abbia da sempre suscitato un grosso interesse medico, la sua descrizione è risultata a lungo scarsa e approssimativa, subordinata alle sole strutture anatomiche che ne rappresentano i limiti. Dalla fine del XIX secolo ha acquisito un’importanza crescente parallelamente allo sviluppo di tecniche che sfruttavano lo spazio peridurale per diversi scopi, come l’anestesia neuroassiale e la terapia del dolore neuropatico.

A partire dallo sviluppo dei primi anestetici locali, nel 1895 fu J.L. Corning, neurologo americano, il pioniere dell’anestesia epidurale. Egli praticò dapprima l’iniezione di cocaina attraverso lo spazio interspinoso dorsale di un cane, poi su un volontario sano, e ne descrisse gli effetti sul New York Medical Journal (Corning, JL 1885). Suppose che l’assorbimento dei farmaci attraverso la ricca rete vascolare permettesse ai farmaci di fissarsi al midollo e di espletare l’azione antalgica e anestetica, equivocando il fatto di essere nello spazio peridurale(Marx 1994). Questa tecnica fu ritenuta priva di fondamento scientifico, ma da lì a poco fiorirono nuovi studi sull’analgesia peridurale. Nel 1901 i francesi A. Sicard e M.F. Cathelin riproposero la procedura con iniezione del farmaco attraverso lo iato sacrale(Cathelin F. 1901)(Sicard JA, 1901)

Nel 1909 per la prima volta il tedesco D. Stoeckel descrisse l’uso dell’anestesia caudale per la partoanalgesia(Stoeckel D. 1909)

Il potenziale utilizzo di queste tecniche anche in altri ambiti della medicina, compreso quello chirurgico, rese necessaria una maggiore comprensione dello spazio peridurale come entità anatomica e funzionale a sé stante. Si venne così a creare un nuovo e vivace interesse verso tutte le strutture del canale vertebrale stesso.

L’approccio vertebrale lombare venne riproposto da F. Pages nel 1921, che suggerì la localizzazione dello spazio peridurale per via tattile oltre il legamento giallo(Pages, 1921)

Un grandissimo contributo alla diffusione di questa tecnica fu dato da un italiano, il Prof. A. M. Dogliotti, che nel 1931 descrisse per la prima volta la tecnica della “perdita di resistenza” (LOR) (Dogliotti 1933) seguito poi nel 1932 da Gutierrez con la tecnica della “goccia pendente”(Gutierrez A., 1932)per il reperimento dello spazio peridurale, tutt’oggi utilizzate nella pratica comune.

Nel 1945 l’anestesista americano E.B. Tuohy lancia sul mercato l’ago che da lui prende il nome, ancora adesso uno dei più usati al mondo ed al 1949 risalgono le prime anestesie epidurali continue,

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5 ad opera di C.E. Flowers, L.M.Hellman e R.Hingson, per il travaglio di parto ed il taglio cesareo (Hingson R., 1947)(Flowers C.E., 1949)

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Bibbia C.E.I. Genesi 3,16: Alla donna disse:

«Moltiplicherò

i tuoi dolori e le tue gravidanze,

con dolore partorirai figli.

Verso tuo marito sarà il tuo istinto,

ma egli ti dominerà».

…un errore di traduzione che ha condizionato la storia…

non dolore, ma fatica!!!

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7

4 IL

DOLORE

DEL

PARTO

Del dolore del parto si trova traccia sin dalle più antiche civiltà, persino la Bibbia, uno dei testi più antichi descrive il dolore del parto come una punizione inflitta alla donna in seguito al peccato originale.

La comunità scientifica ha ignorato e misconosciuto per molto tempo i meccanismi ad esso sottesi. Il dolore del parto è stato a lungo considerato una componente necessaria di un evento fisiologico, definito persino come “prodotto di fattori culturali ed ambientali”(Bonica J.J., 1990)

Il progresso scientifico ha dimostrato che non è così. Il dolore da parto è un’esperienza acuta complessa, le cui caratteristiche si modificano dinamicamente durante tutto il parto. L’intensità può variare da donna a donna, ma confrontato con altri tipi di dolore risulta avere il punteggio più alto secondo la scala di Melzack(Melzack, Taenzer et al. 1981, Melzack 1984).

L’antropologa Karen R. Rosenberg riconosce il dolore del parto come una conseguenza dell’evoluzione della specie umana. Il passaggio alla stazione eretta ha stravolto la forma della pelvi, che è divenuta più stretta e angolata, motivo per il quale il feto deve ruotare prima di uscire. L’evoluzione della specie umana ha portato altresì ad un aumento della massa cerebrale e dei diametri craniali, motivo per il quale la testa del neonato è più grande alla nascita rispetto a quella dei primati e l’attraversamento del canale del parto è forzato e provoca dolore(Rosenberg and Trevathan 2014). Il dolore del parto è il risultato di molte e complesse interazioni fisiologiche e psicologiche, eccitatorie e inibitorie(Parthasarathy, Ravishankar et al. 2016).

La nocicezione inizia dal danno tissutale e dall’infiammazione, che stimolano i meccanocettori, chemocettori e termocettori presenti alle estremità delle fibre nervose A-delta e C, cui segue il rilascio di mediatori che determinano la depolarizzazione della membrana dei neuroni primari afferenti. Essi attraverso il rilascio di neurotrasmettitori eccitatori determinano la trasmissione del segnale lungo le corna dorsali del midollo spinale, poi al tronco e al talamo tramite il tratto spino-talamico e spinoparabrachiale, e infine alla corteccia(Lowe 1996).

La percezione del dolore è un’esperienza complessa della nostra coscienza con componenti affettivo-motivazionali, discriminative, emozionali e comportamentali.

Le aree corticali coinvolte sono la sostanza reticolare (responsabile della risposta motoria e autonomica) la corteccia somatosensoriale (responsabile dell’interpretazione delle sensazioni come il tipo, l’intensità e la localizzazione del dolore) e il sistema limbico (responsabile della risposta emotiva e comportamentale, come attenzione, umore, motivazione)(Lowe 2002).

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8 Il risultato di questa esperienza multidimensionale porta alla modulazione del dolore, modificando gli impulsi che vengono trasmessi nel tratto spinale discendente in senso eccitatorio o inibitorio. In quest’ultimo caso vengono rilasciati neurotrasmettitori che bloccano in maniera più o meno spiccata la trasmissione degli impulsi dolorifici, producendo analgesia₁₅. Tra questi l’ossitocina riveste un ruolo di spicco, i cui livelli crescenti durante il parto concorrono ad aumentare l’euforia materna e a ridurre lo stress(Bell, Erickson et al. 2014).

Figura 1: Fasi del parto

Durante il travaglio possiamo distinguere diverse fasi.

Nel I stadio del travaglio (fase dilatante) inizia e si completa la dilatazione della cervice uterina. In seguito alla contrazione dell’utero si determina un aumento della pressione del liquido amniotico e della parte presentata che raggiungono valori tali (25-50 mmHg) per cui segue uno stiramento del segmento uterino inferiore (SUI) e la graduale dilatazione della cervice uterina, costituita prevalentemente da tessuto connettivo e da fibre muscolari ed elastiche.

Con esso coincide l’inizio del dolore, legato alla pressione e stiramento dell’utero, della cervice e dei suoi annessi (compreso il peritoneo parietale, e le strutture da esso avvolte come vescica, uretra e retto ed altre strutture pelviche sensibili al dolore); può essere esacerbato dalla componente infiammatoria e dall’interessamento di una o più radici del plesso lombosacrale e spasmi riflessi muscolari. In questa fase gli stimoli nocicettivi vengono trasmessi ai gangli delle radici posteriori di T10-L1 attraverso le fibre amieliniche C del sistema nervoso autonomo simpatico che innerva l’utero.

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9 Ne consegue un dolore di tipo viscerale, sordo e poco localizzato, esteso anche ai dermatomeri innervati dai medesimi segmenti spinali e riferito come dolore della parete addominale, della regione lombosacrale, della cresta iliaca, dell’area glutea e delle cosce. Nella fase latente (early), quando la dilatazione cervicale è sui 2-3 cm questo dolore è riferito come un discomfort che interessa i metameri T11-T12. Man mano che la dilatazione cervicale aumenta e le contrazioni uterine divengono regolari e di intensità sostenuta (travaglio attivo), il dolore si fa acuto e crampiforme e si estende ai dermatomeri adiacenti(Rowlands and Permezel 1998) (figura 1).

Nel II stadio, dalla dilatazione cervicale completa al parto (fase espulsiva), la distensione del pavimento pelvico, della vagina da pressione della parte presentata, la tensione della fascia e dei tessuti sottocutanei e la pressione sui muscoli scheletrici del perineo sono nuove fonti di dolore, trasmessi lungo le fibre mieliniche A-delta attraverso i nervi pudendi, femorocutaneo laterale, sacrococcigeo, ileoinguinale e genitofemorale a livello di S2-S4 (fig.2). Il dolore cambia e a quello già presente si aggiunge quello di tipo somatico, acuto e ben localizzato. Lo stimolo nocicettivo si fa più intenso e viene trasportato da fibre nervose di calibro maggiore, rivestite da una guaina mielinica che ricevono una modulazione minore a livello midollare(Shnol, Paul et al. 2014).

Nel II stadio la stimolazione meccanica delle strutture somatiche perineali determina l’attivazione del sistema nervoso autonomo parasimpatico sacrale, che partecipa ad un importante riflesso che porta all’ulteriore rilascio di ossitocina (riflesso di Fergusson)(Rowlands and Permezel 1998).

Fattori fisici che possono influenzare la severità e la durata del dolore includono ‘età, la parità, la relazione tra taglia del neonato e dimensioni del canale del parto, lo stato della cervice all’inizio del travaglio(Iravani, Janghorbani et al. 2015).

Il dolore da parto è uno stimolo respiratorio potentissimo, con aumento del volume tidalico e del volume respiratorio per minuto. Ne consegue ipocapnia e alcalosi. Questa, quando severa, provoca lo

shift a sinistra della curva di dissociazione dell’emoglobina, con ridotta cessione materna

dell’ossigeno ai tessuti (compresi quelli fetali) e vasocostrizione ombelicale(Tomimatsu, Kakigano et al. 2012). Nell’intervallo tra una contrazione il dolore non stimola più la funzione respiratoria e si può verificare un’ipoventilazione con diminuzione della PO₂ fetale e insorgenza di decelerazioni tardive. Il dolore è responsabile dell’incremento della secrezione di catecolamine e del cortisolo, con concomitante decremento del flusso uterino, aumento dell’attività simpatico-adrenergica e del cardiac-output; un aumento della pressione arteriosa con un globale aumento del lavoro cardiaco. In queste condizioni il rilascio di catecolamine porta ad uno switch verso un metabolismo di tipo

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10 lipolitico, aumento del consumo di O2 fino all’acidosi metabolica, che ancora una volta porta a riduzione del flusso ematico uterino.

Il dolore del parto puo’ inoltre condizionare a lungo termine lo stato psico emotivo della donna con ripercussioni importanti su benessere della donna. Molti studi hanno dimostrato che la partoanalgesia può ridurre o eliminare queste alterazioni(Lowe 1996). E’stato dimostrato che la peridurale attraverso meccanismi di blocco vasomotorio aumenta il flusso intervilloso nelle donne con riduzione del flusso e della funzionalità placentare(Jones, Othman et al. 2012).

Il ruolo della partoanalgesia rappresenta un delicato equilibrio che va a eliminare la percezione dolorifica superflua con tutte le sequele neuroendocrine e cardiovascolari ad esso associato, senza influenzare la sequenza fisiologica degli eventi che portano alla nascita del feto.

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5 ANALGESIA

NEL

TRAVAGLIO

DI

PARTO

L’analgesia durante il travaglio di parto si configura come uno dei cardini della pratica ostetrica moderna. Attualmente la richiesta materna costituisce di per se un’indicazione sufficiente per il ricorso alla partoanalgesia, poiché non esistono altre situazioni nelle quali possa essere considerato accettabile che un individuo debba sopportare un dolore di tipo severo , laddove sussiste la possibilità di intervenire con un trattamento medico in grado di alleviarlo, come sottolineato dalla Dichiarazione congiunta dell’American Society of Anesthesiologists (ASA) e dall’American Congress of Obstetricians and Gynecologists (ACOG)(2016) .

La terapia antalgica durante il travaglio di parto può essere intrapresa in qualsiasi momento. Affianco alle tecniche non farmacologiche che pure sono diffuse, ma non sufficientemente efficaci(Koyyalamudi, Sidhu et al. 2016, Smith, Levett et al. 2018) , sono le tecniche mediche quelle più utilizzate per il controllo del dolore. Le opzioni terapeutiche a disposizione sono le seguenti: L’uso di oppioidi per via endovenosa come remifentanil a bassi dosaggi in infusione continua, non scevro da effetti collaterali come sedazione, nausea, prurito(Stourac, Kosinova et al. 2016).

La terapia inalatoria attraverso una miscela di protossido di azoto ed ossigeno (Entonox®), inodore ed incolore, contenuto in una bombola alla quale vi è collegato un erogatore munito di valvola che si apre durante l’inspirazione. Tale metodica ha un rapido onset e viene facilmente eliminato nella fase di espirazione della donna, non è invasiva, ma ha degli effetti collaterali sgradevoli tra cui sedazione e ipoventilazione ed un minimo impatto sul feto; diffonde nell’aria e contamina l’ambiente(Likis, Andrews et al. 2014).

Il blocco neuroassiale, che in assenza di controindicazioni rappresenta il gold standard ed include la tecnica spinale, epidurale o spinale-epidurale combinata (Koyyalamudi, Sidhu et al. 2016).

Correntemente attraverso la peridurale si posiziona un catetere che viene fissato sulla cute che renderà possibili ripetute somministrazioni di farmaco, senza dover ricorrere a ulteriori punture. Questo permette un controllo del dolore durante tutte le fasi del parto. La somministrazione di farmaci anestetici nello spazio epidurale mette a contatto diretto le radici dei nervi spinali con l'anestetico che passa per diffusione attraverso la dura madre e quindi nel liquido cerebrospinale(Hogan 1999, Hogan 2002).

Il blocco avviene in tempi più lunghi rispetto, ad esempio, all'anestesia subaracnoidea e l'intensità del blocco che ne deriva è minore; tuttavia questa tecnica permette un blocco più selettivo e di conseguenza ridotti effetti sistemici e, lasciando in sede il catetere epidurale, è possibile ripetere la

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12 somministrazione di farmaci nel tempo. I farmaci vengono iniettati nello spazio peridurale con diverse modalità. A lungo oggetto di studio è stata la modalità ad infusione continua, ma richiede spesso continui aggiustamenti con boli aggiuntivi da parte del medico (Celleno D., Frigo MG 2008) Rispetto all’infusione peridurale continua la modalità a boli (patient-controlled epidural analgesia, PCEA) si presta meglio al controllo di questo dolore che ha una dinamica eterogenea con picchi e pause di durata e intensità variabile(Delgado, Ciliberto et al. 2018). Tali boli vengono somministrati su richiesta della partoriente. Questa modalità riduce la quantità totale di anestetico locale utilizzato(Halpern and Carvalho 2009). Per evitare l’alternanza ciclica di analgesia e dolore tipica della tecnica a boli su richiesta della partoriente e per un livello di analgesia stabile e continua è stata messa a punto la somministrazione di boli intermittenti programmati ogni 60-90 minuti, la

programmed intermitted epidural anesthetic bolus tecnique (PIEB), che si è dimostrata utile nel

ridurre le fluttuazioni dei livelli di analgesia(Capogna, Camorcia et al. 2011). Al medesimo scopo è stata messa a punto la modalità infusione continua associata a PCEA(Heesen, Bohmer et al. 2015). Di recente sviluppo la PCEA computerizzata integrata, dotata di un algoritmo nella pompa infusionale, capace di aumentare o diminuire l’infusione continua basale in relazione ai boli richiesti dalla partoriente nel tempo precedente, con risparmio dell’anestetico totale richiesto(Sng, Sia et al. 2009) ₂₇. Altra tecnica utilizzata è spinale-peridurale combinata. In questo caso, si ha la possibilità di inserire un ago da spinale attraverso l’ago di Eldor a doppio lume o un ago di Tuohy modificato (ne esistono in commercio diversi kit). L’ago da spinale così inserito fuoriesce nello spazio peridurale e prosegue oltre nello spazio subaracnoideo dove si inietta il farmaco(Sng, Kwok et al. 2015). L’ago da spinale viene poi ritirato e viene inserito il catetere peridurale. L’impiego della combinata spinale-epidurale nel travaglio permette di raggiungere gli obiettivi ricercati dalla partoanalgesia coniugando la rapidità e la specificità degli oppiacei per via intratecale con la possibilità di somministrare anestetico in spinale o in peridurale a concentrazioni minime efficaci sfruttando la sinergia con gli oppioidi. I dati in letteratura confermano che non vi è rispetto alla gestione del travaglio con la sola epidurale alcuna differenza per quel che riguarda l’incidenza di parti operativi, l’influenza sulla mobilizzazione materna, l’incidenza di tagli cesarei e di complicanze per il neonato. Tale tecnica risulta vantaggiosa per il rapido onset d’azione e può risultare utile nel travaglio avanzato(Simmons, Taghizadeh et al. 2012).

Come accennato precedentemente i farmaci utilizzati in peridurale sono anestetici locali, oppioidi, o una miscela dei due. Gli oppioidi sono utili da soli quando il dolore è prevalentemente di tipo viscerale mediato dalle fibre amieliniche di tipo C. Una parte degli oppioidi somministrati in peridurale diffonde e penetra, in base alla sua liposolubilità, nel midollo spinale (un’altra a parte viene riassorbita

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13 in circolo con minimi effetti sistemici). Gli oppioidi si legano a dei recettori propri situati nel sistema nervoso centrale e periferico; agiscono a livello delle sinapsi delle corna dorsali del midollo inibendo il rilascio di sostanza P e nella sostanza gelatinosa modulando la trasmissione dell’impulso dolorifico verso il tronco. E’ vantaggioso utilizzare gli oppioidi perchè non interferiscono sulla conduzione nervosa motoria, non determinano blocco motorio, né simpaticolisi. In fase prodromica sono sufficienti fentanil 50-100 mcg o sufentanil 5-10 mcg in un volume totale di soluzione fisiologica di 5-10 ml. Quando il travaglio procede e la stimolazione dolorifica interessa anche le fibre nervose somatiche A-delta questi ultimi non sono più sufficienti ed è necessario affiancare l’anestetico locale all’oppioide. (Frigo, 2008)

Tra gli anestetici locali a lunga durata d’azione i più utilizzati sono la Ropivacaina e Levobupivacaina, anestetici locali appartenenti alla classe degli amminoamidi con elevata potenza, rapido onset e lunga durata d’azione, ma meno cardiotossici e neurotossici(Sah, Vallejo et al. 2007)₃₀. Il razionale di utilizzo di questi farmaci è quello di dissociare il blocco sensitivo da quello motorio. Questo obiettivo viene raggiunto attraverso la formulazione di soluzioni a bassissime concentrazioni di anestetico. L’utilizzo di levobupivacaina 0.0625% e ropivacaina 0.1% a volumi compresi tra 10-20 ml sono sufficienti a coprire il 1° stadio del travaglio ancor di più se associati ad un oppioide, di cui si sfrutta la sinergia(Camorcia and Capogna 2003, Ngan Kee, Khaw et al. 2014)₃₁. Nella 2° fase del travaglio la conduzione algogena attraverso fibre A-delta richiede l’utilizzo di concentrazioni maggiori di anestetico poiché le fibre nervose hanno diametro maggiore e sono rivestite dalla guaina mielinica. La diffusione dell’anestetico sulla membrana ha luogo nei nodi di Ranvier che sono punti in cui la membrana è sprovvista di mielina. Si ricorre a levobupivacaina 0.125% e ropivacaina 0.2% in volumi di 10-20 ml. La possibilità di utilizzare volumi elevati a basse concentrazioni permette di aumentare l’estensione del blocco su più metameri interessati senza aumentare troppo la quantità totale di farmaco somministrato(Wang, Sun et al. 2017).

Gli effetti benefici della risoluzione del dolore durante il travaglio sono tali che la peridurale antalgica trova indicazione, oltre che su richiesta materna, anche in alcune specifiche situazioni (fig.3).

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Figura 3: Benefici sistemici della partoanalgesia

L’analgesia epidurale è indicata in caso di ipertensione indotta dalla gravidanza, sia che si tratti di semplice ipertensione con o senza proteinuria o edema che di preclampsia conclamata con insufficienza renale. Una buona analgesia previene la risposta ipertensiva al dolore, l’insorgenza di acidosi materna e fetale e il peggioramento degli scambi uteroplacentari. Inoltre l’analgesia epidurale agisce sui recettori alfa₂ adrenergici presenti sulla muscolatura liscia vasale responsabili dell’aumentata responsività vascolare riportandoli a valori simili a quelli che si trovano nelle donne normotese(Okasha, Motaweh et al. 1983). L’unica controindicazione potrebbe essere rappresentata dalle alterazioni della coagulazione che possono accompagnare il quadro clinico.

La partoanalgesia è indicata nelle donne con diabete gestazionale, nelle quali la placenta mostra sempre i segni dell’angiopatia diabetica e il flusso uteroplacentare è sempre ridotto anche senza associazione con l’ipertensione(Pani, Mishra et al. 2010). L’analgesia epidurale ha dei vantaggi anche nel caso in cui la madre sia affetta da patologie respiratorie quali asma e fibrosi cistica e patologie neurologiche, come miastenia gravis e epilessia. L’epilessia subisce un incremento in corso di gravidanza a causa dell’ipocapnia con conseguente riduzione del flusso ematico cerebrale, della ritenzione idroelettrolitica con relativo edema cerebrale, del cambiamento dell’assetto amminoacidico, delle variazioni ormonali e dell’aumento dell’eliminazione di alcuni farmaci utilizzati per il suo trattamento, con necessità di riaggiustare la dose somministrata. La partoanalgesia riduce il numero delle crisi attraverso la riduzione del dolore e il passaggio di una piccola quota di anestetico locale in circolo con attività antiepilettica.

La partoanalgesia è considerata una vera indicazione terapeutica in fase precoce nelle donne affette da patologie cardiache congenite o acquisite in modo da evitare gli effetti deleteri che il dolore può

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15 avere sul quadro emodinamico della donna durante il travaglio(Shnider, Abboud et al. 1983, Hawkins 2010) .

E’ indicata qualora sia previsto un parto strumentale o operativo, in caso di distocie dinamiche in cui l’iperstimolazione simpatica mantiene la contrattura del collo dell’utero causando un travaglio prolungato e doloroso, nel travaglio indotto con infusione di ossitocina o prostaglandine, nella presentazione di podice, occipito-posteriore e nella gravidanza gemellare(Shnider, Abboud et al. 1983).

L’analgesia epidurale è indicata in caso di prematurità o ritardata crescita fetale in quanto vantaggiosa per via dell’aumento del flusso utero-placentare e della possibilità di evitare farmaci per via parenterale alla madre, ai quali il neonato prematuro risulta più sensibile. In caso di prematurità vi è inoltre il vantaggio di fare in modo che il parto venga espletato senza sforzi espulsivi eccessivi e violenti, che pongono il rischio di emorragia cerebrale nei neonati prematuri, che presentano un a fragilità maggiore della volta cranica e della dura madre. La partoanalgesia è indicata inoltre che nei casi di macrosomia e di morte intrauterina, in quest’ultimo caso per ridurre lo stress da travaglio. Fondamentale è sottolineare che la parto analgesia una volta intrapresa va continuata durante tutte le fasi del parto. Nonostante la letteratura si sia a lungo confrontata ed espressa a riguardo, in un ambiente multidisciplinare come l’ostetricia, si assiste ancora oggi, durante la seconda fase del travaglio, alla richiesta di interrompere la partoanalgesia per favorire le spinte materne. Assecondare questa richiesta, oltre che eticamente opinabile, non sembra essere associato ad un numero più basso di parti operativi, ma quadruplica la possibilità che la donna abbia dolore(Torvaldsen, Roberts et al. 2004).

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6 ANATOMIA

La conoscenza dettagliata dell’anatomia spino-vertebrale è una prerogativa indispensabile per l’anestesista che si approccia alle tecniche locoregionali assiali e verrà di seguito riportata per ribadirne l’importanza e per identificare gli elementi cui si farà riferimento durante lo sviluppo del progetto di tesi.

La colonna vertebrale è un complesso formato da 33 segmenti ossei sovrapposti ed articolati tra di loro, le vertebre. Può essere scomposta in quattro segmenti, cervicale, toracico, lombare e sacrococcigeo. Presenta quattro curvature fisiologiche sul piano sagittale: due a concavità anteriore, primarie (cifosi toracica e sacrale) e due a convessità anteriore, secondarie o di compenso (lordosi cervicale e lombare).

Facendo eccezione per il sacro e per il coccige le vertebre sono costituite da un corpo e da un arco che, insieme, delimitano il foro vertebrale. Il corpo è la parte ventrale della vertebra, la più voluminosa e resistente. Ha la forma quasi cilindrica con due facce superiore e inferiore, e una faccia di contorno chiamata circonferenza. Nella circonferenza si considerano una parte antero-laterale concava, conformata come doccia orizzontale e una porzione posteriore pianeggiante, che delimita anteriormente il foro vertebrale. Tra i corpi di due vertebre contigue si pongono i dischi intervertebrali (figura 4).

L’arco è la parte posteriore della vertebra e insieme con il corpo contribuisce a delimitare il foro vertebrale. Con i suoi processi ossei e legamenti è la parte anatomica di maggior interesse per l’anestesista. Vi si distinguono, dall’avanti all’indietro, due peduncoli, due masse apofisarie, due lamine e un processo spinoso. I peduncoli sono due piccole lamine appiattite dirette sagittalmente, formano i limiti laterali del foro vertebrale e rappresentano un ponte che unisce l’arco al corpo. Ciascun peduncolo ha una faccia interna prospiciente al foro vertebrale, una faccia esterna e due margini che sono concavi rispettivamente in alto e in basso e prendono il nome di incisure vertebrali. Figura 4: vertebre lombari

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17 I margini dei peduncoli di due vertebre contigue delimitano, sovrapponendosi un foro intervertebrale o di coniugazione che da passaggio al nervo spinale. Le masse apofisarie si trovano posteriormente ai peduncoli. Hanno una conformazione alquanto irregolare e in ciascuna di esse si possono notare dei rilievi ossei, il processo articolare superiore, il processo articolare inferiore, il processo trasverso. I processi articolari superiore e inferiore mettono in giunzione gli archi delle vertebre contigue e formano un’articolazione rivestita da una capsula fibrosa con un film di liquido sinoviale al suo interno. Le lamine si dirigono obliquamente dall’alto in basso per convergere sulla linea mediana. Il processo spinoso prende origine nell’angolo di unione delle due lamine e si porta indietro.

Le vertebre lombari hanno dei peduncoli più voluminosi, incisure inferiore più accentuate di quelle superiori. I processi articolari hanno le faccette articolari orientate sul piano sagittale; lamine sono più alte che larghe. I processi spinosi sono robuste lamine quadrilatere dirette verticalmente indietro. Il foro vertebrale si presenta a quest’altezza triangolare e ristretto.

Ai lati dei processi spinosi si notano le docce paravertebrali che accolgono i muscoli propri spinali. Questi sono dei fasci muscolari che si estendono lateralmente fino agli angoli delle coste nei segmenti toracici e ai processi costiformi nei segmenti lombari; vengono separati dalla muscolatura più superficiale (spinocostale e spinoappendicolare) dalla fascia nucale a livello rostrale e dalla fascia lombodorsale nei siti inferiori. Questi fascetti muscolari si orientano rispetto alla colonna in maniera parallela o leggermente obliqua. I fasci più superficiali hanno lunghezza maggiore in quanto originano e terminano su metameri fra loro assai distanti e sono il muscolo splenio della

testa, muscolo splenio del collo e il lombosacrale; più corti i fasci del muscolo trasverso spinale che si inseriscono a distanza di pochi metameri tra di loro, ed infine i fasci più profondi sono i più corti di tutti unendo metameri adiacenti (a questo gruppo appartengono i muscoli interspinosi,

intertrasversari e suboccipitali) (figura 5).A questa distinzione secondo le modalità di inserzione, fa

riscontro una distinzione in strati che, peraltro, non è del tutto apprezzabile in quanto tra i muscoli dei diversi piani non si trovano distinte lamine fasciali di separazione, ma un tessuto connettivo comune unico.

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18 I processi spinosi sono uniti tra di loro dai legamenti interspinosi e sovraspinosi. I primi si fissano su due processi spinosi adiacenti, fondendosi posteriormente con il processo sovraspinoso, che si presenta come un cordone fibroso che si estende per tutta la colonna vertebrale fissandosi all’apice dei processi spinosi aumentando di spessore dall’alto in basso. I legamenti intertrasversari connettono i processi trasversi di vertebre vicine e assumono il massimo sviluppo a livello lombare (figura 6). Le vertebre sono unite tra loro dalle articolazioni zigoapofisarie o intervertebrali, capsulate a livello delle faccette articolari superiore e inferiore dei processi articolari. A livello del corpo vertebrale si interpone il disco tra le superfici articolari adiacenti superiore e inferiore. Oltre a questo, i mezzi di unione intersomatici sono dati dai legamenti longitudinali anteriore e posteriore. Il legamento longitudinale posteriore è una benderella fibrosa a contorno festonato che si trova sulla faccia posteriore dei corpi vertebrali e prospetta verso il canale vertebrale. La sua faccia posteriore si mette in rapporto con la dura madre (Anastasio G. 2010)

Il legamento giallo (LF) è una struttura che ricopre la parete posteriore del canale vertebrale e concorre alla stabilizzazione della colonna vertebrale. E‘ una formazione bifida rettangolare composta da fibre elastiche con diverso orientamento e una minima componente fibrosa di grado variabile. E’ presente per tutto il canale vertebrale da C1-C2 a L4-L5, origina dal margine superiore della lamina inferiore e si inserisce sulla superficie anteroinferiore della lamina superiore. Il margine laterale ha un orientamento verticale e si estende verso il forame intervertebrale; si inserisce sulla capsula fibrosa delle articolazioni zigoapofisarie; entra in contatto con le radici dei nervi spinali che fuoriescono, le meningi che lo rivestono(Losiniecki, Serrone et al. 2013) ₂ e con i muscoli paravertebrali. Sul margine mediale si uniscono con la loro parte controlaterale a livello della radice dell’apofisi spinosa con un angolo di 70°-90°. Talvolta non sono fuse al livello della linea mediana per cui si può incontrare una fessura, nella quale può inserirsi il grasso peridurale. Nell’insieme questi due fasci che si uniscono al centro vanno a separare lo spazio interlaminare dal canale vertebrale. Lo spessore del LF varia lungo i vari segmenti della colonna (3,5 mm a livello lombare)(Safak, Is et al. 2010) ₃. Talvolta il legamento giallo è attraversato lungo la linea mediana da piccoli vasi sanguigni che connettono il plesso vertebrale venoso posteriore interno con l’esterno e concorrono ad aumentare il gap presente al centro(Reina, Lirk et al. 2016).

Figura 6: legamento longitudinale e legamento giallo

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19 Nel canale vertebrale è alloggiato il midollo spinale che rappresenta la regione più caudale del nevrasse, da cui si dipartono i nervi periferici. Nell’adulto termina a livello di L1-L2 per continuarsi con il filamento terminale. Il midollo è protetto dalle meningi spinali. Trattasi di involucri connettivali membranosi concentrici denominati dura madre, aracnoide e pia madre. La dura madre ha un’origine embriologica diversa per cui è detta pachimeninge, è formata da tessuto connettivo ed elastico mentre le leptomeningi aracnoide e pia sono costituite da tessuto connettivo lasso. Gli spazi che li separano sono detti spazi intermeningei, e sono lo spazio subaracnoideo tra aracnoide e pia madre dove circola il liquido cefalorachidiano (LCS) in cui galleggia il midollo spinale rivestito dalla pia madre e lo spazio sottodurale (o infradurale) tra dura e aracnoide. L’LCS è un ultrafiltrato del plasma costituito da acqua per il 99%, da sostanze organiche e sali, e sono inoltre presenti piccole quantità di glucosio ed elementi cellulari. La sua quantità totale corrisponde a 100-130 ml e aumenta nell’età avanzata. La pressione nel liquor è di circa 6-20 cmH₂O. Viene prodotto dai plessi corioidei a livello encefalico ad una velocità di 0,35 ml/min equivalenti a 500 ml circa al giorno. Il suo riassorbimento è opera dei capillari presenti a livello subaracnoideo e attraverso le granulazioni del Pacchioni nei seni della dura madre, che riveste tutto il sistema nervoso centrale. All’esterno della dura madre, tra questa e la superficie ossea si trova lo spazio epidurale che lo riveste a manicotto. Questo si estende dalla base del cranio allo iato sacrale, è delimitato superiormente dal forame occipitale, inferiormente dalla membrana sacrococcigea, anteriormente dal legamento longitudinale posteriore, internamente dalla dura madre e posteriormente dal legamento giallo e dalla sottile membrana di natura mesenchimale denominata membrana peridurale(Ansari, Heavner et al. 2012). Non è uno spazio chiuso, ma comunica con lo spazio paravertebrale attraverso i forami intervertebrali. Viene distinto in due componenti una anteriore e una dorsolaterale. Anteriormente questo spazio è compartimentalizzato fino a livello di L4-L5 poichè il legamento longitudinale posteriore è fortemente adeso alla dura madre con la faccia posteriore e all’anulus fibroso sul versante anteriore. E’ stata dimostrata la presenza di compartimentalizzazione parziale anche nella regione epidurale dorsolaterale, meno spiccata di quella anteriore, legata alla presenza di tralci fibrosi e legamenti meningovertebrali sia laterali₅, che posteriori (la plica mediana dorsalis)(Jiang, Shi et al. 2015, Ginosar and Davidson 2016) ₆. Lo spazio peridurale è costituito da grasso e tessuto areolare connettivale tra la dura e il canale vertebrale. Il tessuto adiposo non è distribuito in maniera uniforme e l’accumulo di grasso nella regione mediana a volte può mimare una compartimentalizzazione al pari della plica mediana dorsalis ₇, che può ostacolare la diffusione e assorbimento dei farmaci iniettati in questo spazio(Hogan 1991, Reina, Franco et al. 2009). Lateralmente la componente del tessuto adiposo è minima, per cui il legamento giallo entra in contatto diretto con la dura madre che riveste i nervi emergenti. Nel tessuto adiposo epidurale decorrono plessi venosi e linfatici perlopiù concentrati nella regione laterale.

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20 Posteriormente lo spazio peridurale è in rapporto con il legamento giallo per interposizione di una sottilissima membrana denominata membrana peridurale che ha una funzione protettiva(Ansari, Heavner et al. 2012)₉. La pressione all’interno dello spazio peridurale è definita negativa, anche se alcuni studi dimostrano che non è così(Moon, Lee et al. 2010). Solo alcuni pazienti presentano una pressione negativa, negli altri casi l’impressione che abbiamo quando la goccia pendente viene aspirata dall’ago nello spazio peridurale dopo il passaggio attraverso il legamento giallo è stato supposto essere il frutto della tensione della membrana durale o dalla retrazione del legamento giallo quando l’ago, spinto in avanti, vince la resistenza e vi passa attraverso.

In sezione trasversale lo spazio peridurale si presenta di forma triangolare con uno spessore maggiore a livello mediano (figura 7). La distanza dello spazio epidurale dalla cute è variabile in base alle vertebre in esame, allo spessore dei tessuti per la presenza di un pannicolo adiposo più o meno

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21 sviluppato e alla ritenzione idrica dei tessuti lassi; nella popolazione ostetrica questa distanza varia da 2,5 a 9 cm ed i valori nella media si aggirano intorno ai 4-5 cm. Queste misurazioni godono di una certa variabilità, ma vanno sempre considerate dal momento che, di prassi, la ricerca dello spazio peridurale, allo stato attuale, non si avvale di mezzi di visione diretta, ma ci si muove “alla cieca” in una struttura tridimensionale che ogni anestesista ha nella propria mente quando avanza con l’ago.

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7 TECNICA

La tecnica di posizionamento del catetere peridurale viene effettuata tramite un ago, solitamente l’ago di Tuohy con diametro tra i 16 e i 18 Gauge, che possiede una punta arrotondata verso l’alto e poco tagliente per facilitare la direzione di uscita del catetere e ridurre il rischio di lesione della dura. Il catetere peridurale ha una punta chiusa che termina con più fori laterali disposti in modo elicoidale per permettere una più ampia diffusione dell'anestetico locale all'interno dello spazio epidurale e ridurre la possibilità di blocco unilaterale, che si verificava più frequentemente con la vecchia generazione di cateteri a singolo foro terminale. Esistono in commercio appositi kit forniti, oltre che da ago e catetere, di connettore e filtro antibatterico (da applicare al catetere) ed una siringa a bassa resistenza per la ricerca dello spazio.

La corretta posizione della paziente è un fattore di fondamentale importanza per il successo della manovra. La paziente viene posizionata seduta o sul fianco sinistro (in tal caso può essere utile posizionare un sostegno a livello del busto per compensare il dislivello rispetto al bacino e allineare le vertebre, facilitando il passaggio dell’ago). Per aumentare lo spazio tra i processi spinosi si chiede alla paziente di assumere una posizione che vada ad allungare la colonna e ridurre la normale lordosi lombare, con la schiena e la testa flesse anteriormente, le spalle rilassate e le gambe addotte al tronco (una posizione che richiama quella fetale, da cui prende il nome)(Silva and Halpern 2010).

Figura 8: punti di repere per il posizionamento della peridurale

Qualora la paziente presenti uno strato sottocutaneo non troppo spesso o edematoso si possono apprezzare alla pressione palpatoria gli apici dei processi spinosi, importanti punti di repere per l’accesso mediano. Poiché i metameri di interesse per la copertura antalgica vanno indicativamente da T10 a S4 si sceglie lo spazio L2-L3 o L3-L4 come punto di ingresso dell’ago. Ci si orienta partendo dall’apice del processo spinoso di L4 che viene intercettato dalla linea immaginaria che congiunge il

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23 limite superiore delle creste iliache, detta linea di Tuffier (fig.8)(Van Gessel, Forster et al. 1993). Questo repere anatomico possiede una certa variabilità, soprattutto nella fase finale della gravidanza per l’iperlordosi lombare che compensa il peso anteriore. Diversi studi hanno dimostrato che in più casi la linea di Tuffier attraversa il processo spinoso di L3 per cui sarebbero necessari nuovi sistemi per l’identificazione precisa del punto d’ingresso(Lee, Ranasinghe et al. 2011). L’ecografia rappresenta uno di questi(Elsharkawy, Sonny et al. 2017).

Previa rigorosa asepsi si esegue infiltrazione dei tessuti sottocutanei e dei legamenti interspinosi con anestetico locale. Dopo di che si inserisce l’ago nello spazio interspinoso (se si sceglie l’approccio mediano). Gli strati che l’ago deve attraversare sono cute, sottocute, legamento sovraspinoso, interspinoso e legamento giallo; e infine bisogna penetrare lo spazio epidurale facendo attenzione a non attraversare completamente quest’ultimo rischiando una puntura delle meningi. Alternativamente si può scegliere di pungere 2 cm lateralmente alla linea mediana eseguendo un approccio paramediano. In questo caso l’ago deve attraversare l’aponevrosi lombare e i muscoli paravetebrali prima di raggiungere il legamento giallo; inoltre deve seguire una traiettoria sul piano trasverso in direzione mediale. Tale approccio può risultare utile quando i processi spinosi sono più vicini tra loro, ma può risultare più indaginoso e doloroso per cui non è di norma usato.

Per l’identificazione dello spazio peridurale esistono due tecniche: la “perdita di resistenza” (LOR, Loss Of Resistence) con siringa a colonna d’aria o d’acqua e la “goccia pendente”. Nella tecnica LOR con la siringa, una volta raggiunti i legamenti interspinosi si sfila il mandrino dell’ago di Tuohy, si connette all’ago con la siringa a bassa resistenza piena d’aria o di soluzione fisiologica e si fa procedere l’ago mantenendo una pressione costante (nel caso della siringa con fisiologica) o intermittente (nel caso della siringa con aria); l’operatore in questo modo può apprezzare una marcata resistenza all’iniezione quando la punta dell’ago si trova nel legamento giallo, ed un’improvvisa perdita di resistenza quando supera il legamento ed entra nello spazio peridurale. Sebbene non vi siano dati certi su quale sia il metodo più sicuro la tecnica del mandrino gassoso, essendo una tecnica di tipo intermittente, è stata associata ad una maggior incidenza di puntura accidentale della dura per cui alcuni autori consigliano la tecnica LOR con mandrino liquido rispetto a quella con mandrino ad aria, anche per evitare complicanze come lo pneumoencefalo e la mal distribuzione dell’anestetico(Segal and Arendt 2010).

La tecnica a goccia pendente, invece, si basa sulla presenza di una pressione negativa all’interno dello spazio peridurale dovuta alla messa in tensione della dura madre da parte della punta dell’ago; la tecnica consiste nel procedere con l’ago riempito di soluzione fisiologica fino a notare l’aspirazione

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24 di una piccola quantità di liquido. A volte però può risultare falsata nei casi in cui ci sia un aumento della pressione addominale del paziente, come nel caso della donna in gravidanza (Celleno D. , 2008) Una volta individuato lo spazio, viene posizionato il catetere peridurale tra i 3 e i 5 cm all’interno dello spazio e vengono eseguiti un test di aspirazione (con una siringa collegata al catetere subito dopo il posizionamento viene applicata una pressione negativa continua per almeno 30 secondi, per identificare eventuale presenza di liquor o sangue) e una dose test con anestetico locale per verificare il corretto posizionamento, con attenta osservazione ai possibili segni di mal posizionamento (ad esempio blocco plegico degli arti inferiori in caso di posizionamento subdurale, sintomi neurologici in caso di incannulamento di un vaso peridurale e conseguente somministrazione sistemica di anestetico locale).

Esistono tuttavia delle controindicazioni al posizionamento della peridurale. Sono da considerarsi controindicazioni assolute le coagulopatie (sia qualitative che quantitative)(Choi and Brull 2009), una conta piastrinica < a 80000/ml(Estcourt, Ingram et al. 2015) o terapie farmacologiche che alterano il profilo coagulativo (ed in caso è necessaria la sospensione periprocedurale delle stesse per le quali sono state pubblicate le linee guida dell’American Society of Regional Anesthesia)(Horlocker, Vandermeuelen et al. 2018); sono controindicazioni lo stato settico e le infezioni locali sulla cute (che potrebbero essere trasferite dall’ago nello spazio epidurale con rischio di complicanze come meningite o ascesso epidurale), ma non la semplice piressia(American Society of Anesthesiologists Task Force on infectious complications associated with neuraxial 2010); infine l’aumento di pressione endocranica (che determinerebbe un’erniazione del ponte in caso di puntura durale accidentale), e una marcata ipovolemia (in quanto la vasodilatazione da blocco del simpatico può far precipitare un paziente già emodinamicamente instabile).(Kaye, 2012)

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8 COMPLICANZE

Esistono dei rischi intrinseci al posizionamento della peridurale che possono determinare delle complicanze. Si tratta di eventi rari, ma le complicanze vanno conosciute e riconosciute per praticare un opportuno trattamento qualora si verifichino(Ruppen, Derry et al. 2006).

Nel suo posizionamento il catetere potrebbe incannulare un vaso venoso, evento facilmente riconoscibile dalla presenza del sangue che refluisce dal catetere alla prova di aspirazione. In questi casi il catetere va ritirato finché l’aspirazione non diventi negativa e, in alternativa, riposizionato. Il mancato riconoscimento porta all’iniezione di anestetico locale nel circolo sistemico con effetti tossici sul miocardio e sul sistema nervoso centrale, che hanno come più grave espressione l’arresto cardiaco o l’insorgenza di una crisi epilettica e vanno trattati come intossicazione da anestetici locali, con lipidi e benzodiazepine endovenose(Picard, Ward et al. 2009), seguendo le linee guida ACLS(Pollard 2002).

Il catetere può anche posizionarsi nello spazio subdurale, tra dura madre ed aracnoide. Trattasi di un evento raro (nella sua ampia casistica Paech riporta un’incidenza dello 0,07% ma egli stesso afferma che molto probabilmente è sottostimata)(Martino, Grimaldi et al. 1990) che può determinare, anche in presenza di una prova di aspirazione negativa, un blocco tardivo motorio che si estende ai metameri superiori in seguito a ripetute somministrazioni di anestetico locale. In presenza di un blocco sensitivo molto alto e blocco motorio profondo, ipotensione esagerata e difficoltà respiratorie va sospettato e posto in diagnosi differenziale con iniezione subaracnoidea accidentale(Agarwal, Mohta et al. 2010). Il blocco antalgico a volte può risultare inadeguato o incompleto. Questo può essere dovuto al mancato reperimento dello spazio epidurale. Avviene nelle gravide, che hanno una maggiore ritenzione di liquidi, che la sensazione di perdita di resistenza non sia così netta come descritto, e la perdita di liquido durante il tragitto determini un falso positivo. In tal caso la paziente non riferirà alcun beneficio antalgico in seguito alla somministrazione dell’anestetico locale. Qualora riferisca beneficio antalgico monolaterale o nella regione di un solo dermatomero si potrebbe sospettare una migrazione laterale del catetere che ha preso la via di uno spazio intervertebrale, o la presenza di setti di tessuto connettivo che ostacolano un’omogenea distribuzione del farmaco. In tal caso si può ovviare ritirando di qualche centimetro il catetere e somministrando una nuova dose di farmaco. Tra le altre cause di fallimento dell’analgesia vi sono la presenza di patologie vertebrali o discali croniche che possono limitare la diffusione del farmaco nello spazio epidurale, il BMI > 30 e il dislocamento del catetere per trazione esterna, motivo per il quale bisogna porre molta attenzione ai mezzi con cui

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26 si fissa il catetere alla cute. Il fissaggio con sistema di lock-it aiuta a ridurre l’incidenza di questa eventualità(Sharma, Parasa et al. 2016).

Un’altra complicanza è la puntura accidentale della dura (ADP) quando con l’ago di Tuohy si oltrepassa la membrana aracnoidea. Si tratta di una complicanza che ha un’incidenza variabile dallo 0.2% al 6.6%(Heesen, Klohr et al. 2013). Circa questa evenienza l’esperienza dell’operatore rappresenta un fattore di rischio modificabile(Bezov, Ashina et al. 2010, Michaan, Lotan et al. 2016). La diagnosi di ADP si pone al momento del posizionamento del catetere, quando retraendo il mandrino dall’ago di Tuohy si evidenzia flusso continuo di liquor attraverso l’ago in quantità superiore alla soluzione fisiologica iniettata per l’esecuzione della procedura o dopo il posizionamento del catetere, per positività al test di aspirazione o ancora per la comparsa di anestesia neuroassiale dopo la somministrazione della dose test di anestetico locale(Baysinger 2014). La presenza di una soluzione di continuo generata dall’ago di Tuohy che ha un grosso calibro può determinare la comparsa di cefalea post-puntura durale (PDPH) con un’incidenza del 50-75%(Bezov, Lipton et al. 2010). L’esatto meccanismo della cefalea è incerto; si ritiene, comunque, che la probabile genesi sia da ricollegare ad una soluzione di continuo della dura madre, dopo l’estrazione dell’ago, a seguito della quale si genera una persistente perdita di liquor che determina una riduzione del volume e della pressione del liquido cefalorachidiano. Durante l’assunzione della posizione ortostatica si verifica, un richiamo gravitario di liquido a livello del sacco durale spinale e un conseguente stiramento e trazione delle strutture algogene (vasi, nervi e meningi) dell’encefalo che favorisce la percezione del dolore(Grande 2005). Una ulteriore teoria si basa sull’ipotesi di Monro-Kellie: poiché il volume totale intracranico deve rimanere costante la perdita di fluido cefalo rachidiano viene compensata da una vasodilatazione cerebrale sia sul versante arterioso che venoso. La maggiore suscettibilità della popolazione ostetrica a sviluppare PDPH è legata allo stress del travaglio e del parto, alla disidratazione, alla maggiore pressione del liquido cefalorachidiano (LCR) che aumenta la quota di liquor che si perde durante ADP e alla giovane età (il volume e la pressione del LCR sono inversamente proporzionali all’età) e a fattori ormonali(Choi, Galinski et al. 2003). La PDPH viene diagnosticata in presenza di cefalea che compare entro 15 minuti dopo l’assunzione della posizione ortostatica o seduta e che recede entro 15 minuti dopo l’assunzione della posizione clinostatica; il dolore può essere severo, localizzato tipicamente a livello frontale e occipitale, esacerbato dall’attività fisica e dai cambiamenti posizionali del capo e può essere associato a rachialgia, vertigini, tinnito, paralisi dei nervi cranici, diplopia, nausea, fotofobia e fonofobia. Circa il 90% delle cefalee inizia entro 72 ore e il 66% entro 48 ore da una puntura della dura(Headache Classification Subcommittee of the International Headache 2004). Le vie nervose coinvolte nell’insorgenza della PDPH sono molteplici e includono la branca oftalmica del trigemino, responsabile del dolore frontale, i nervi

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27 cranici IX e X, responsabili del dolore nella regione occipitale e i nervi cervicali C1-C3, correlati all’irradiazione alla regione al rachide cervicale e alle spalle. La nausea è attribuibile alla stimolazione vagale, i sintomi uditivi e vestibolari sono secondari alla diretta comunicazione tra il liquor e la perilinfa tramite l’acquedotto cocleare, con decremento della pressione perilinfatica nell’orecchio interno e perdita dell’equilibrio tre endolinfa e perilinfa(Bezov, Lipton et al. 2010). Nonostante il suo carattere benigno ed autolimitantesi la PDPH è un’evenienza invalidante, che richiede prosecuzione delle cure e monitoraggio ospedaliero, al fine di valutare il decorso clinico, attuare una terapia medica per limitare l’insorgenza e l’intensità della cefalea ed escludere l’insorgenza di altre forme morbose(Bezov, Ashina et al. 2010). Il trattamento conservativo è appropriato per la maggior parte delle pazienti e consiste nel riposo a letto, associato ad adeguata idratazione e può prevedere l’approccio medico farmacologico con analgesici (tachipirina, FANS), antiemetici, idrocortisone e pregabalin, tutti con funzione sintomatica(Basurto Ona, Osorio et al. 2015). Normalmente la remissione dei sintomi avviene entro 2 settimane. L’approccio medico invasivo con l’uso del blood

patch è riservato nei casi in cui il quadro sintomatologico non regredisca e tutte le altre strategie

terapeutiche siano risultate inefficaci(Kaddoum, Motlani et al. 2014).

Le altre complicanze neurologiche sono estremamente rare con un’incidenza dallo 0 allo 0.08% a seconda delle casistiche considerate, anche se la raccolta dei dati epidemiologici è difficoltosa e per questioni medico legali e il dato rilevato potrebbe essere una sottostima della realtà(Moen and Irestedt 2008, Cook, Counsell et al. 2009).

Il danno diretto al midollo spinale può portare a paralisi o a danno neurologico diretto, ma è molto raro, e nella maggior parte dei casi si tratta di una radicolopatia transitoria che può essere legata anche ad altri fattori ostetrici indipendenti dall’anestesia. La pressione della parte presentata sulle strutture nervose e vascolari della pelvi o la posizione litotomica eccessiva possono rendersi responsabili di parestesie e ipostenia degli arti inferiori per interessamento di singole radici o nervi (come il cutaneo-laterale della coscia, otturatorio, femorale, peroneo comune). Le complicanze infettive, anch’esse rare, sono la meningite, l’ascesso epidurale che si possono verificare se un’infezione sulla cute, o che diffonde per via ematogena, infetta il catetere peridurale. L’aracnoidite è un disturbo di natura infiammatoria la cui eziologia rimane ancora sconosciuta. Alcuni conservanti degli anestetici locali come il sodio bisolfito e disinfettanti della cute sembrerebbero in grado di determinare un insulto chimico. Una complicanza estremamente rara la cui incidenza è stimata su meno di 1 caso su 150000 procedure peridurali e meno di 1 su 220000 anestesie spinali(Horlocker and Wedel 1998) è l’ematoma peridurale, che può formarsi per traumatismo vascolare durante il passaggio dell’ago, soprattutto se la paziente presenta un deficit coagulativo misconosciuto(Choi and Brull 2009); la massa di sangue

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28 può comprimere le radici nervose, provocando deficit sensitivo e motorio. Il pronto riconoscimento dei sintomi e la decompressione chirurgica dell’ematoma preservano dall’instaurarsi di sequele neurologiche permanenti(Yao, Li et al. 2018).

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29

9 IL

RUOLO

DELLA

SIMULAZIONE

Di fronte allo sviluppo di nuove tecnologie mediche la possibilità di garantire accuratezza nel risultato, la massima protezione del paziente e dell’operatore sanitario, è un bisogno che si è reso evidente sin dalle epoche passate. A titolo di esempio, dopo la scoperta dei raggi X, furono evidenti i benefici che questi potevano apportare alla medicina, sintetizzati dalla radiografia della mano della moglie del Prof. W. Roentgen. Ciò nonostante, gli effetti dannosi di alte dosi di radiazioni erano così visibili (eritemi e desquamazioni della cute) che risultò non facile, oltre che non etico, trovare dei volontari disposti ad esporsi a dosi di radiazioni per la sperimentazione di nuovi dispositivi. Per rispondere a questa carenza furono inventati dei “simulatori” di paziente, i phantom.

Nell’ambito della bioingegneria, un phantom (in italiano fantoccio, anche se l’uso del termine inglese è invalso) può essere definito come oggetto fatto ad imitazione della figura umana, o di una parte, utilizzando materiali non viventi per simulare una sua particolare proprietà fisica e o chimica, per lo sviluppo, la verifica di sicurezza, la calibrazione, e la formazione all’uso di dispositivi, diagnostici, terapeutici o con altro scopo, che entrano in contatto con l’essere umano. (Vozzi G., De Maria C., 2015)

I phantom costituiscono quindi un immediato banco di prova, garantendo ripetitività e riproducibilità. Inoltre, venendo meno qualunque problema etico, trovano largo uso nella formazione, costituendo un notevole vantaggio per quanto concerne la sicurezza del paziente. Il phantom permette di eseguire manovre invasive che, al pari delle discipline chirurgiche, richiedono capacità manuali che si consolidano con l’esperienza. Non solo acquisire, ma anche mantenere questa manualità attraverso la simulazione è un obiettivo sempre più richiesto.

Naturalmente, come in tutti i modelli di un sistema fisico complesso come il corpo umano, l’accuratezza delle informazioni che si possono ottenere simulando è limitata ed è strettamente connessa sia con la conoscenza sul sistema da emulare sia con le caratteristiche costruttive del phantom stesso. Cionondimeno, ad oggi i phantom, sia fisici che virtuali sono oggetto di interesse e di sviluppo e stanno acquisendo un ruolo sempre più significativo nella pratica clinica. Infatti, esiste uno stretto legame tra gli errori commessi durante la procedura e i danni recati al paziente, che ha fatto accrescere l’attenzione della comunità scientifica sulle tecniche di apprendimento dei medici in formazione.

Per tale motivo nelle ultime tre decadi la formazione medica ha visto il passaggio da un apprendistato sul campo, attraverso l’imitazione speculare delle azioni eseguite dal medico istruttore, facendo

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30 affidamento sulle proprie valutazioni soggettive, ad un metodo più oggettivo, basato sulle conoscenze e le competenze delle tecniche su cui ci si va ad approcciare.

I passaggi fondamentali che precedono l’incontro col paziente sono:

- La conoscenza teorica dell’argomento di interesse, delle indicazioni e controindicazioni alla procedura così come dei vari passaggi e dei materiali che vengono utilizzati per eseguirla - Istruzioni e consigli circa le capacità tecniche da utilizzare durante lo svolgimento di una

procedura da parte degli istruttori

- La possibilità di eseguire le procedure in diverse situazioni così come avviene durante le simulazioni

Un approccio di questo tipo è stato proposto per uniformare e ottimizzare l’apprendimento che ancora non possiede un metodo universalmente riconosciuto e applicato(Grantcharov and Reznick 2008). Sicuramente la disponibilità di materiale necessario da parte della struttura che ospita il medico in corso di formazione così come i tempi ristretti che il medico istruttore ha a disposizione potrebbero limitare la diffusione di certi protocolli. Esiste una discreta evidenza che talvolta l’inesperienza rappresenti un ostacolo alla pratica del medico novello; ma con la dovuta preparazione, anche attraverso la simulazione su manichino, possono essere eseguite correttamente molte procedure invasive senza compromettere la sicurezza del paziente. Non solo il paziente, ma anche il medico che forma potrà giovare della simulazione essendo in grado di capire in anticipo gli errori da correggere e valutare la manualità del discente(Schwarz, Stourac et al. 2013). In definitiva tutto questo contribuirà a formare dei medici più consapevoli e preparati che affronteranno con più sicurezza e professionalità gli scenari clinici che gli si pareranno al letto del paziente.

Al fine di orientarsi meglio nella vasta gamma di simulatori può essere utile classificare i phantom in uso. In linea generale quelli utilizzati per la simulazione possono essere classificati in base alla loro forma come:

- Antropomorfi: qualora riproducano sia le proprietà che forma di organi e tessuti. Oggi, grazie allo sviluppo di tecnologie di prototipazione rapida di fabbricazione additiva, accoppiate con scansioni tomografiche del corpo umano, è possibile realizzare accurati modelli fisici tridimensionali con un costo relativamente contenuto. Parallelamente, l’accresciuta capacità dei calcolatori nel gestire file di grandi dimensioni consente la costruzione di modelli virtuali del corpo umano estremamente realistici.

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31 - Non antropomorfi: qualora riproducano le sole proprietà chimiche e fisiche di organi e tessuti senza rispettare la reale forma (ad esempio tutti gli strati dello spazio peridurale racchiusi in un parallelepipedo).

Un’ulteriore classificazione vede i phantom suddivisi in:

- Fisici: ossia modelli del corpo umano su cui effettuare test e misure utilizzando direttamente la strumentazione medica.

- Virtuali: ossia modelli al computer del corpo umano, su cui è possibile agire attraverso le periferiche del computer stesso.

La simulazione è definita come “una tecnica per riprodurre o amplificare esperienze reali con esperienze controllate, che evocano o replicano sostanziali aspetti del mondo reale in maniera totalmente interattiva” e come già sottolineato in precedenza, è fondamentale per praticare, imparare, ripetere la procedura e sviluppare competenze professionali(Agha and Fowler 2015).

All’interno della disciplina anestesiologica, e più precisamente nell’ambito dell’anestesia locoregionale, la simulazione si avvale di diversi strumenti. I simulatori epidurali testati e in commercio sono molteplici e sono principalmente di due tipologie: simulatori passivi (basati su manichini precedentemente descritti) e simulatori attivi (basati su computer).

I manichini sono simulatori in plastica e gomma, non sono guidati da computer e non hanno al loro interno componenti elettroniche e/o tecnologiche. L’obiettivo è quello di ricreare al tatto la stessa percezione anatomica. I manichini hanno il vantaggio di essere verosimili, facili da usare e relativamente economici; la fedeltà più o meno alta riguarda la riproduzione di tutte le strutture anatomiche necessarie. I simulatori dovrebbero accuratamente rappresentare lo spessore, la profondità e le forze di reazione di ogni strato. Ci sono degli studi che riportano lo spessore del legamento giallo, dello spazio epidurale e del legamento interspinoso. Ci sono inoltre degli studi che riportano le forze richieste da un ago per penetrare i legamenti nei cadaveri di cavie porcine(Brett, Harrison et al. 2000, Naemura, Uchino et al. 2007).

Uno dei primi modelli è stato proposto nel 1980 formato da uno strato di pane (che avrebbe dovuto rappresentare la pelle), uno strato di banana (che avrebbe dovuto rappresentare sottocute e legamenti fino al giallo) e un palloncino, che avrebbe dovuto simulare al suo scoppio il contatto con la dura. Questo è il modello “Greengrocer model” o manichino del fruttivendolo, un modello a bassa fedeltà (figura 9.a). Più recentemente diversi simulatori antropomorfi sono stati sviluppati, dotati di strutture rigide interne simulanti le vertebre e una copertura con pelle sintetica artificiale che solitamente è riproducibile con varie densità così come nella realtà è variabile nei diversi pazienti(Vaughan, Dubey

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32 et al. 2013). Solitamente il canale midollare è di gomma riempito con del liquido a simulare il liquido cefalorachidiano. Se punto emette un ‘pop’ e fuoriesce liquido come avviene in vivo. Esempi disponibili in commercio sono:

Thoracic & Lumbar Epidural Anaesthesia Simulator (Limbs and Things Ltd., Bristol, UK), che

permette di sentire al tatto le vertebre da T7 a L5, emette un pop al passaggio dell’ago (figura 9.b)

Lumbar Epidural Injection and Lumbar Puncture Trainer, il modello può essere scomposto per

verificare la posizione dell’ago, simula la perdita i liquor (figura 9.c)

Figura 9: Simulatori epidurali passivi A) greengrocer model; B)Thoracic & lumbar epidural Anaesthesia simulator; C) Lumbar epidural injection and lumbar puncture trainer

Life/form®Spinal Injection Simulator ha tubi intercambiabili che possono essere riempiti e la pelle

può essere sostituita (figura 10.a)

M43B Lumbar Puncture Simulator-II può simulare un paziente normale, obeso o magro, sostituendo

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33 Figura 10: Simulatori epidurali passivi: A) Life/form spinal injection simulator; B)M43B lumbar puncture simulation-II

Blue Phantom Lumbar Puncture and Spinal Epidural è creato con una particolare enfasi sulla possibilità di eseguire scansioni ecografiche altamente fedeli utili per identificare l’anatomia spinale prima di eseguire la manovra (figura 11. a, b, c)

Figura 11: simulatore Blue Phantom Lumbar puncture and spinal epidural

Genesis Epidural-Spinal Injection Simulator in commercio dal 2014 consiste di una base in sezione

contenente le creste iliache e un nucleo con le vertebre e i legamenti e una sezione centrale tubulare con liquido pressurizzato (figura 12)(Broom, Milne et al. 2018).

In confronto a M43B sembra avere una più alta fedeltà. Tale manichino è molto costoso. Nonostante i progressi i molti clinici non sono ancora soddisfatti e i nuovi manichini non si sono dimostrati superiori al primo modello fatto di frutta(Pedersen, Meuli et al. 2017).

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34 Figura 12: Epidural spinal injection simulator Genesis

I simulatori epidurali attivi sono i simulatori computerizzati. Sono presenti in commercio dal 1996 e sono costituiti non solo da componenti meccaniche ma anche elettroniche; inoltre spesso includono controlli tramite computer, dispositivi di realtà virtuale e interfacce aptiche, che forniscono quel feddback che il clinico cerca durante la manovra quando, spingendo sul pistone dell’ago, in base all’angolazione, alla forza impressa e alla resistenza incontrata, cerca di capire in quale tessuto si trovi. Attraverso queste interfacce con la simulazione si migliora cognizione visuospaziale dell’anatomia spinale e delle sensazioni percepite durante la manovra prima ancora di testarlo sul paziente.

Tra i simulatori virtuali più diffusi sul mercato ci sono:

Epidural Injection Simulator (EIS) in commercio dal 2003 combina un’interfaccia fisica con un

display virtuale che permette di seguire l’avanzamento dell’ago. Il vantaggio consiste nel continuo feedback che permette di controllare la propria direzione e nella possibilità di variare le caratteristiche dei tessuti come profondità e densità; tuttavia è molto costoso (fig. 13.a)

Mediseus®epidural simulator dal 2006 possiede un’interfaccia virtuale dell’intero corpo umano, con

la possibilità di rotazione e zoom. E’ possibile in ogni momento stimare la profondità e la forza impressa. Un box portatile simula l’anatomia umana, all’interno del quale si muove la siringa. Questo permette di eseguire tentativi in situazioni diverse tra loro, ma non ha raggiunto un alto grado di fedeltà. (fig.12.b)

Figura 13: Simulatori epidurali attivi: A) Epidural injection simulator; B) Mediseus epidural simulator

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35 Entrambe queste tipologie di manichini possiedono dei punti di forza e dei punti di debolezza.

Esistono poi i modelli ibridi, ovvero dei manichini con delle componenti elettroniche dei quali sta aumentando la richiesta. Unendo il dettaglio anatomico di un manichino antropomorfo con le componenti aptiche elettroniche che son fornite dai dispositivi di realtà virtuale si possono progettare simulatori di livello superiore. Esistono in commercio diversi modelli, che sono attualmente molto costosi. In fase di sviluppo il simulatore ibrido del gruppo di ricerca per simulatori chirurgici Linz (RESSL) all’interno del programma Innovative Upper-Austria 2020. (fig. 14)

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