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L'egoismo del gene Discussioni e interpretazioni intorno a Richard Dawkins

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Academic year: 2021

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«Il cristallo, con la sua esatta sfaccettatura e la sua capacità di rifrangere la luce, è il modello di perfezione che ho sempre tenuto come emblema, e questa predilezione è diventata ancor più significativa da quando si sa che certe proprietà della nascita e della crescita dei cristalli somigliano a quelle degli esseri biologici più elementari, costituendo quasi un ponte tra il mondo minerale e la materia vivente.» Lezioni americane, Italo Calvino

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Indice

Introduzione...1

I. Selezione naturale : dall'Origine delle specie alla Sintesi Moderna...6

1.1 Il neodarwinismo e la Sintesi Moderna...9

1.2 La sociobiologia...13

1.3 La teoria degli equilibri punteggiati...15

II. Richard Dawkins e Il gene egoista ...19

2.1 Il gene egoista...22

2.1 Ragioni di un caso editoriale...45

2.3 Dall'etologia a William Hamilton...51

2.4 Il contesto e il Public Understanding of Science...58

III. Il gene egoista : una controversia estesa...65

3.1. Mary Migley e la critica al riduzionismo biologico...71

3.2 In difesa dei geni egoisti...81

3.3 Mary Midgley : Darwinismo sociale e The Solitary Self...88

IV. Dawkins e Stephen J.Gould : prospettive sulla selezione naturale ...98

4.1 Un dialogo tra divergenze e accordi...102

4.2 Stephen J. Gould : Il gene egoista e la sociobiologia. ...116

Bibliografia...123

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Introduzione

La teoria di Richard Dawkins può essere annoverata tra i casi più discussi e controversi della letteratura scientifica britannica degli ultimi decenni. La discussione seguita alla pubblicazione de Il gene egoista, nel 1976, costituisce un esempio significativo dei molteplici effetti che un libro può produrre in un vasto pubblico di lettori. Se molti considerano la sua lettura come un'esperienza in grado di modificare il nostro modo di percepire la realtà e noi stessi, molti altri lettori hanno la percezione di trovarsi di fronte all'ennesima distorsione della teoria darwiniana. Alla stessa stregua dei best-seller della letteratura contemporanea, il libro di Dawkins ha animato un ampio dibattito che ha coinvolto molti dei più illustri studiosi dell'evoluzionismo novecentesco.

L'obiettivo principale di questo lavoro è quello di ricostruire, da un punto di vista storico, la ricezione de Il gene egoista sia nell'ambito accademico sia nel pubblico non specialistico, collocandolo nel contesto specifico della ricerca evoluzionistica dell'epoca. Il libro è stato scritto, infatti, in un periodo nel quale si verificarono importanti modificazioni nell'approccio allo studio dell'evoluzione, in particolare dovute all'integrazione delle conoscenze biologiche con la teoria genetica di Mendel, riscoperta agli inizi del Novecento. Il gene egoista, che propone una lettura del processo evolutivo basata sulla sopravvivenza e replicazione dei geni,

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sembra, in questo senso, una diretta conseguenza della nuova concezione.

Il pensiero di Dawkins, che verrà ulteriormente sviluppato nei suoi libri successivi, approfondisce alcune delle questioni essenziali della biologia evoluzionistica. Il gene è considerato quale unità fondamentale della selezione, in quanto rappresenterebbe quell'unità selezionata nel processo di evoluzione e l'egoismo, cioè la tendenza di ciascun gene a garantirsi la sopravvivenza in un ambiente altamente competitivo, costituirebbe il principio che ha guidato la vita fin dai suoi esordi. In questo modo viene superato l'assunto darwiniano, secondo il quale l'unità selezionata sarebbe l'individuo, per spostare l'attenzione verso le modificazioni a livello genetico che regolerebbero la competizione tra i singoli. Nell'interpretazione di Dawkins, anche lo studio del comportamento sociale subisce delle modificazioni : le varie forme di egoismo e altruismo sarebbero volte a garantire la sopravvivenza delle copie di geni del proprio corredo genetico e, quindi, indirizzati principalmente verso i parenti più stretti.

E' importante ricordare, come si è cercato di sottolineare nelle diverse parti del lavoro, come il pensiero di Dawkins sia strettamente correlato al contesto nel quale si è sviluppato. La discussione sulla sociobiologia1, seguita alla

pubblicazione dell'omonima opera di Edward O.Wilson, nel 1975, ha influito in maniera significativa sulla ricezione della teoria geno-centrica. L'applicazione della teoria darwiniana allo studio del comportamento umano rappresentava ancora un tema controverso e in grado di provocare accesi dibattiti. Nonostante le 1 Con il termine 'sociobiologia' si intende lo studio delle basi biologiche del comportamento sociale, cercando di individuare le cause ecologiche e sociali che ne hanno guidato l'evoluzione. Wilson, nel suo progetto, include anche lo studio biologico del comportamento umano che troverebbe origine, anch'esso, dall'adattamento della specie umana alle condizioni ecologiche circostanti.

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differenze tra le due impostazioni, la figura di Dawkins è stata spesso associata a quella di Wilson nelle polemiche sul comportamento e sull'interpretazione evoluzionistica di quest'ultimo.

L'attenzione rivolta alla dimensione genetica costituisce, come più volte sostenuto da Dawkins, un importante punto di svolta nell'ambito della biologia evoluzionistica e la sua centralità è stata riconosciuta a partire dalla seconda metà del Novecento. Tuttavia, se tale affermazione può essere ritenuta valida per una parte degli evoluzionisti, tale teoria è stata fortemente criticata sia sul versante scientifico sia per le sue possibili implicazioni morali e filosofiche.

Nella parte centrale dell'elaborato verrà analizzata la discussione tra Dawkins e due dei suoi critici più rilevanti : la filosofa inglese Mary Midgley e il paleontologo americano Stephen J.Gould. La critica principale, proveniente da entrambi i fronti, concerne l'accusa di riduzionismo ed estremismo che starebbe alla base de Il gene egoista. La Midgley ha sostenuto, nei suoi articoli su «Philosophy», che non è possibile ridurre il comportamento di ciascun individuo a mere determinazioni biologiche e spiegare il comportamento quale semplice adattamento alle condizioni ecologiche : l'evoluzione del comportamento umano è un fenomeno complesso e determinato dall'interazione di fattori molto diversi. Bisognerebbe riscoprire, afferma la filosofa, il significato che Darwin aveva attribuito agli istinti sociali per offrire una spiegazione più appropriata dell'origine della moralità che, insieme all'intelligenza, distinguono la specie umana dagli altri animali. Una delle critiche è rivolta, inoltre, alla metafora dell'egoismo, usata per indicare la spinta alla sopravvivenza dei geni, che rappresenterebbe un esempio

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dell'erroneo utilizzo di un termine appartenente alla sfera della moralità ad un'entità priva di qualsiasi capacità decisionale.

L'accusa di determinismo può essere riscontrata anche nella critica di Gould che, a differenza della Midgley, si focalizza con maggiore attenzione sui temi più controversi della teoria dell'evoluzione. Il punto di maggiore distanza tra i due autori riguarda la spiegazione del processo di speciazione, cioè della comparsa di nuove specie. Per Dawkins, infatti, il fenomeno può essere spiegato nei termini di un 'gradualismo genetico' (una nuova specie è causata dall'emergere di modificazioni a livello genetico), mentre Gould considera la nascita di una nuova specie sotto il profilo paleontologico, quale evento breve e istantaneo rispetto alla naturale tendenza di stabilità che contraddistinguerebbe ciascuna specie vivente. Il disaccordo verte principalmente sull'unità della selezione, sull'interpretazione di fenomeni quali le estinzioni di massa o l'origine della vita che convergono in una differente concezione della scienza e del ruolo a questa attribuito per conoscere la realtà che ci circonda. Lo scontro può, comunque, essere interpretato quale esempio della vivacità che ancora oggi contraddistingue il dibattito evoluzionistico.

Un ultimo elemento che può essere messo in evidenza è la ricezione de Il gene egoista nel pubblico non specialistico. Il libro ha avuto un'ampia diffusione grazie, in particolare, all'utilizzo di un linguaggio immediato e semplice e con un titolo, volutamente provocatorio, in grado di catturare l'attenzione del lettore. L'obiettivo principale di Dawkins era, infatti, quello di informare il maggior numero di persone degli assunti fondamentali della teoria dell'evoluzione utilizzando uno

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stile divulgativo e privo di tecnicismi. Il caso de Il gene egoista ben si inseriva, inoltre, nella politica britannica impegnata, a partire dagli anni 70, a massimizzare la conoscenza della scienza ad un pubblico molto vasto e promuovendo l'importanza dell'impegno pubblico degli scienziati. Il fenomeno, definito Public Understanding of Science, ha sicuramente costituito un contesto culturale e politico particolarmente adatto ad accogliere il pensiero di Dawkins e a favorire la variegata discussione seguita alla pubblicazione de Il gene egoista.

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I

Selezione naturale : dall'Origine delle specie

alla Sintesi Moderna

« As this whole volume is one long argument...» The Origin of Species, Charles Darwin

Il 24 Novembre 1859 rappresenta una data significativa nella storia del pensiero occidentale, destinata ad essere celebrata nei decenni a venire. La pubblicazione de L'Origine delle specie di Charles Darwin apre un nuovo capitolo, dando vita ad un fervente dibattito prolungatosi fino ai nostri giorni. La teoria darwiniana ha rivoluzionato la biologia in tutte le sue forme e ha influenzato il modo attraverso il quale l'uomo studia e vede se stesso nel suo rapporto con la natura e con le altre specie. Si deve riconoscere che tale processo è stato lento e graduale e molto spesso contrastato da forze avverse che agirono per limitarne l'affermazione e la diffusione.

Le implicazioni coinvolte nella teoria di Darwin interessano non soltanto l'ambito biologico e scientifico, ma anche la riflessione filosofica e teleologica che ha accompagnato le civiltà umane fin dalle epoche più antiche. La delicata questione del ruolo del meccanismo della selezione naturale nel processo che ha dato origine

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alla specie umana verrà poi più estesamente affrontata ne L'Origine dell'uomo, pubblicato nel 1871. Nonostante altri suoi seguaci lo avessero anticipato nella pubblicazione di opere quali Il posto dell'uomo nella natura di Thomas H. Huxley (1863) o dell'articolo intitolato L'origine delle razze umane e l'antichità dell'uomo dedotte dalla teoria della Selezione Naturale di Alfred R. Wallace (1864), Darwin si dimostra reticente per la diffusione dell'opera e consapevole della portata delle sue tesi.

Da quel momento in poi, la centralità assegnata ai concetti di selezione naturale e di un'unica origine della vita ha portato l'uomo a confrontarsi con la propria dimensione animale. Il confronto con la tradizione precedente, nella quale veniva assegnata una certa aura di superiorità all'uomo rispetto a tutte le altre specie animali, ha sicuramente impegnato per lungo tempo i sostenitori e i promotori della teoria darwiniana.

L'ampiezza delle tematiche coinvolte, dal problema dell'origine della vita all'origine delle singole specie, dal problema dell'età della Terra al problema dell'origine delle facoltà intellettuali e della morale nell'uomo, spiega il fatto che la teoria proposta da Darwin sia stata sottoposta ad una grande varietà di interpretazioni nel corso del tempo, ognuna delle quali era finalizzata a sottolineare un aspetto particolare piuttosto che un altro.

Il meccanismo e la centralità della selezione naturale sono stati dedotti a partire da un'attenta osservazione dell'ambiente naturale e delle specie animali e vegetali che lo costituiscono. Tali osservazioni furono svolte principalmente durante il viaggio del brigantino della Marina inglese “Beagle” dal 1831 al 1836. Darwin vi raccolse

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una mole tale di esemplari che la loro analisi lo tenne impegnato per circa un ventennio dopo il ritorno in Inghilterra. A partire dai suoi studi e dalle sue supposizioni, Darwin sottolineò l'importanza della variazione casuale nel processo di evoluzione delle specie, che si dimostrerà un tema molto controverso a partire dai primi anni del Novecento. La variazione è individuale, onnipresente e casuale ed emerge a ogni generazione in un ambiente principalmente ostile e dominato da quella che viene definita «lotta per l'esistenza».

L'espressione di «lotta per l'esistenza» dovrebbe essere considerata, in un senso strettamente metaforico, come convivenza di più individui in competizione reciproca in un unico ambiente dove le risorse per la sopravvivenza appaiono limitate. E' importante sottolineare tale elemento, in quanto parte delle controversie che si svilupperanno nel XX secolo vedranno contrapporsi un approccio metaforico a un approccio letterale del termine.

Con la diffusione, seppur inizialmente difficoltosa, dell'approccio darwiniano allo studio delle specie viventi si impone anche una concezione anti-finalistica della realtà che si contrappone alla precedente teologia naturale. Quest'ultima segue la classica visione finalistica di derivazione aristotelica, per la quale ogni cosa esistente è tesa ad un fine e ad uno scopo, nello studio delle scienze naturali e della terra. Darwin, al contrario, demolisce tale costruzione mentale per offrire una teoria tesa ad individuare le cause remote e attuali dei fenomeni vegetali, animali e terrestri; cause che non presuppongono alcun tipo di direzionalità o finalismo.

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1.1 Il neodarwinismo e la Sintesi Moderna

Alla morte di Darwin, nel 1882, non si attenuarono le dispute e le contraddizioni tra i diversi fautori dell'evoluzione, anzi nei trent'anni successivi si verificò una sempre maggiore frammentazione delle posizioni in gioco. La distanza tra i diversi approcci non fu causata soltanto da una diversa interpretazione di temi fondamentali. Le modalità di occorrenza della variazione, il ruolo della variazione stessa, il processo di speciazione e la accettazione o confutazione della tesi lamarckiana dell'acquisizione dei caratteri acquisiti, considerata ancora attendibile da Darwin insieme all'uso e al disuso degli organi, costituirono parti integranti del dibattito. La frammentazione dal punto di vista disciplinare costituiva l'ostacolo maggiore, in quanto la discussione comprendeva ambiti quali quelli della biologia, della paleontologia, dei nuovi studi sulla genetica e genetica di popolazione e della tassonomia, i quali offrivano metodi di ricerca molto diversi tra di loro. Ernst Mayr ha enfatizzato tale differenza2, distinguendo i fautori di un approccio di

ispirazione naturalistica da coloro che, invece, tentarono un approccio più sperimentale volto ad un'analisi diretta degli organismi (embriologia, citologia, genetica). I tassonomisti, da una parte, si concentrarono sullo studio della comparsa di nuove specie e della loro classificazione, i paleontologi tentarono di stabilire le tendenze evolutive delle diverse ere geologiche e di individuare l'origine dei taxa superiori e i genetisti si concentrarono esclusivamente sui geni, sui caratteri e su i loro cambiamenti nel corso del tempo.

Si può affermare, inoltre, che il disaccordo divenne più aspro con la riscoperta delle leggi di Mendel all'inizio del 1900, accentuando l'incapacità dei due 2 Mayr E., 1990, pp. 487-489.

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schieramenti di comprendere le rispettive posizioni e di unirsi in una prospettiva comune di ricerca.

Ciò che Julian Huxley definì una «sintesi evoluzionistica» divenne un'opzione reale a partire dagli anni Trenta del '900, in un lasso temporale indicativamente compreso, come individuato da Mayr3, tra il 1936 e il 1947. Un passo avanti di

questa portata fu possibile grazie alla convergenza di una nuova generazione di genetisti da una parte e di naturalisti dall'altra, i quali superarono l'irrigidimento teorico precedente e tentarono di integrare le nuove conoscenze nei due campi di indagine. L'evoluzione come processo graduale che contraddistingueva l'approccio naturalistico fin dai suoi esordi iniziò ad essere descritta come il susseguirsi di piccoli cambiamenti genetici, la cui ricombinazione e i cui errori di copiatura costituiscono le cause della variazione e della sua diffusione. E' stato individuato il fatto che tali cambiamenti genetici possono essere osservati anche nei reperti fossili attraverso la ricostruzione dei meccanismi di cambiamento evolutivo operanti dalle ere geologiche più antiche.

Inoltre, venne adottato con maggior frequenza il concetto di popolazione di matrice genetica introducendo una nuova accezione del concetto di specie, quale aggregato di individui riproduttivamente isolato.

Questi cambiamenti di prospettiva si possono identificare come il nucleo centrale della Sintesi Moderna secondo il quale i cambiamenti visibili e macroevolutivi sono il risultato e la manifestazione più evidente di modificazioni genetiche avvenute gradualmente a livello microevolutivo; lo slogan «la macroevoluzione è

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totalmente riconducibile alla microevoluzione»4 rappresenta un esempio di tale

convinzione.

E' possibile, quindi, configurare la sintesi teorica come l'integrazione delle linee fondamentali della teoria darwiniana che continueranno ad essere sviluppate nei decenni seguenti. Le linee guida di questo nuovo approccio sono costituite dalle leggi della genetica e dell'acquisizione dei caratteri di Mendel, dalla nuova prospettiva nello studio delle popolazioni proposta grazie alle nuove scoperte sui geni e dalle analisi svolte nell'ambito paleontologico che permisero di definire in maniera più chiara l'origine e l'evoluzione dei diversi taxa e, in particolare, di quello umano.

All'interno di un simile contesto, la selezione naturale, e il ruolo in essa svolto dalla variazione, dimostra di essere un processo continuo e persistente che permea l'intera realtà naturale e la cui complessità viene resa ancora più evidente con l'avanzamento delle conoscenze, anche a livello genetico e molecolare. Molti dei nuovi ambiti di studio sviluppatisi dopo il 1859 hanno avuto un ruolo fondamentale nel dare valore e nell'offrire prove a sostegno della teoria darwiniana.

Una delle svolte teoriche più significative della Sintesi interessò l'unità della selezione naturale, per la quale si originò un lungo e acceso dibattito. Nella concezione darwiniana la variazione emerge a livello del singolo organismo e se si dimostra favorevole nel migliorare le condizioni di sopravvivenza del singolo, in determinate condizioni ambientali ed ecologiche, può essere trasmessa alle generazioni successive.

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A partire da tale presupposto, i fautori della Sintesi diedero inizio ad un nuovo approccio che prevedeva di estendere il concetto di unità di selezione in due direzioni differenti. Da una parte ci si rivolse ad un livello inferiore rispetto all'organismo prendendo in considerazione il gene come unità di selezione, mentre dall'altra si iniziò ad avanzare l'ipotesi che la selezione potesse agire anche ad un livello superiore rispetto a quello dell'individuo, cioè a livello di un gruppo di individui. Nacque quindi la contrapposizione tra un tipo di selezione microevolutiva che potrebbe essere definita come selezione genica rispetto a un tipo di selezione macroevolutiva che prende il nome di selezione di gruppo. La controversia originatasi negli anni Trenta subì un'importante intensificazione nel corso degli anni Settanta. Questo inasprimento fu dovuto in parte alla pubblicazione nel 1976 della prima opera dell'etologo di Oxford Richard Dawkins intitolata Il gene egoista e in parte alla formulazione, a partire dal 1972, della cosidetta teoria degli equilibri punteggiati ad opera del paleontologo di Harvard Stephen Jay Gould e del suo collega Niles Eldridge. Tale scontro fu non soltanto tra due personalità molto diverse, ma anche tra due concezioni e due metodologie. Esso può essere considerato come il simbolo del fermento e della vivacità accademica dell'epoca e come il risultato del lavoro dei decenni precedenti.

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1.2 La sociobiologia

Il lavoro di Dawkins si inserisce nei dibattiti emergenti dalla Sintesi, ma è anche associato ad un nuovo campo di studio denominato sociobiologia. Uno dei meriti della Sintesi è stato quello di estendere il contributo che la teoria della selezione naturale aveva apportato alla biologia e alle scienze naturali anche ad altre discipline, come ad esempio alle scienze concernenti l'uomo.

Il fondatore e promotore della sociobiologia è tradizionalmente riconosciuto nella figura di Edward O.Wilson. La pubblicazione nel 1975 della sua opera principale intitolata Sociobiology : The New Synthesis diede l'avvio ad una interpretazione evoluzionistica dei comportamenti sociali. Lo stesso Wilson ha affermato la sua aspirazione di riformulare i fondamenti delle scienze sociali in modo da ricondurle all'interno della Sintesi Moderna5. A partire dai suoi studi sulle formiche e sulla

loro struttura sociale, le sue ricerche continuarono a svilupparsi in tale direzione fino a integrarne il comportamento sociale, la biologia e l'evoluzione. L'obiettivo della sociobiologia sta nel comprendere le basi biologiche del comportamento sociale, inteso come fenomeno generale che interessa tutte le specie viventi, in modo tale da poter sviluppare un approccio comparativo tra le diverse tipologie di comportamento6. L'ultimo stadio di estensione della sociobiologia coinciderebbe

con l'inclusione dei comportamenti dei primati e dell'uomo, a partire dallo studio delle modalità adattative di organizzazione delle società primitive contemporanee. La prospettiva sociobiologica di Wilson e dei suoi collaboratori è stata spesso accusata di riduzionismo, in quanto si propone come ultimo scopo quello di unire 5 Naour P., 2009, p. 28.

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le nuove conoscenze della genetica e dell'evoluzione per comprendere tutti i comportamenti del genere umano. Si riconduce la causa di tali comportamenti alla selezione genetica che darebbe forma allo sviluppo dell'intero organismo, incluso il cervello che controlla le disposizioni comportamentali.

La sociobiologia, così come la teoria darwiniana e il suo tentativo moderno di Sintesi, si presenta come un ambito del sapere scientifico dalle origini multidisciplinari. Wilson, soprattutto nelle sue opere successive agli anni Settanta, si focalizzò sempre di più sull'importanza delle informazioni derivanti dall'etologia e dalla genetica per cercare di analizzare, seguendo i metodi e la prospettiva evoluzionistica, le modalità attraverso le quali le società umane si plasmano per adattarsi nella maniera migliore all'ambiente circostante.

L'attenzione comune alle scoperte della genetica, l'importanza dell'analisi dei comportamenti sociali animali per la compresione umana e un panorama interpretativo aperto e ampio, contraddistinsero l'epoca nella quale si sviluppa l'opera di Wilson e sono riscontrabili anche in quella di Dawkins.

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1.3 La teoria degli equilibri punteggiati

La teoria degli equilibri punteggiati emerge dal lavoro di Stephen Jay Gould e Niles Eldredge all'università di Harvard e venne formulata e presentata per la prima volta nel 1972 con un saggio dal titolo Punctuated Equilibra : An alternative to phyletic gradualism. Entrambi, essendo dei paleontologi, concentrarono la propria attenzione sul problema della speciazione e sulle dinamiche evolutive nel lungo periodo. Per quest'ultimo motivo, la loro trattazione si configura come un' indagine di tipo storico che tenta di ricostruire, a partire dall'analisi dei reperti fossili e delle ere geologiche, le dinamiche di speciazione e di adattamento delle molteplici specie viventi.

Con la teoria di Gould l'attenzione si spostò dal sentiero della microevoluzione e della ricerca sui geni, come quello perseguito da Wilson e Dawkins, a quello della macroevoluzione e di una ricerca delle cause remote della selezione naturale operante su vasta scala temporale e spaziale. Fenomeni quali la speciazione, le estinzioni di massa e le linee evolutive dei diversi phyla divennero centrali nella nuova prospettiva di studio evoluzionistica.

La tesi principale della teoria degli equilibri punteggiati desume che lo sviluppo delle diverse specie sia costituito, in relazione all'enormità temporale delle ere geologiche, da momenti di stasi «punteggiati» da episodi di speciazione e di cambiamento evolutivo. Da tale considerazione si può constatare che la speciazione venga considerata come un evento raro e di difficile attuazione poiché quella che viene definita la tendenza evolutiva della specie è quella di mantenere la propria stabilità e perseverare il mantenimento della stasi. Gould e Eldredge

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sostengono che l'immagine di un equilibrio punteggiato sia più adatta a spiegare la storia della vita rispetto alla tradizionale nozione di gradualismo filetico7,

secondo la quale l'evoluzione di nuove specie rappresenterebbe la manifestazione visibile di piccole mutazioni accumulatesi nel corso del tempo.

Il problema fondamentale della speciazione venne affrontato a partire dalla definizione di «speciazione allopatrica» di Ernst Mayr8, maestro di Gould e

Eldredge. Essa sostiene che una nuova specie può formarsi in un determinato contesto ecologico differente da quello della specie iniziale, specialmente quando una parte di tale popolazione iniziale risulta essere isolata nel contesto ambientale sviluppando meccanismi di adattamento diversi rispetto a quelli della specie madre ed interrompendo la possibilità di fecondazione con la specie di partenza. Si possono riscontrare due conseguenze principali dell'impostazione proposta da Mayr9. In primo luogo, il fatto che vengano riconosciuti due ritmi evolutivi agenti

nello stesso lasso di tempo, il ritmo evolutivo più lento della specie madre ed il ritmo accelerato della nuova specie emergente. In secondo luogo, offre una nuova base scientifica ed empirica alla paleontologia così le discontinuità riscontrate nella documentazione fossile non sono più interpretate come un'anomalia o un'imperfezione, ma diventano la testimonianza visibile di ritmi differenti caratterizzanti l'evoluzione delle singole specie. Tale concezione, da cui prende le mosse la teoria degli equilibri punteggiati, pone indubbiamente l'attenzione sugli aspetti ecologici ed ambientali, i quali assumono un nuovo ruolo quali fattori operanti nel processo evolutivo.

7 Eldredge N. e J. Gould S., 1972, p. 84. 8 Pievani T., 2005, pp. 21-22.

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Un altro elemento preso in considerazione dalla teoria degli equilibri punteggiati riguarda eventi evolutivi che interessano notevolmente l'ambito della paleontologia, come il problema delle estinzioni di massa. Le teorie paleontologiche dagli anni Ottanta in poi tendono a scartare l'ipotesi precedente secondo la quale le estinzioni di massa debbano essere considerate degli eventi accidentali della storia evolutiva e sono più propense a considerarle una parte integrante del processo evolutivo. Esse potrebbero svolgere, ad esempio, la funzione di regolatori dello «spazio evolutivo», in quanto attraverso la riduzione della molteplicità delle forme viventi si favorirebbe la comparsa di nuove specie caratterizzate da nuovi tratti adattativi.

Tali fenomeni macroevolutivi su vasta scala temporale come le speciazioni, le estinzioni di massa e gli equilibri punteggiati sembrano, quindi, mettere in crisi l'asserzione dei sostenitori ed eredi della Sintesi secondo i quali i processi evolutivi a livelli superiori sarebbero il prodotto dell'accumulo di lente modificazioni a livello genetico e organico.

Al contrario, da un punto di vista complessivo la prospettiva introdotta da Mayr e sviluppata successivamente da Gould non confuta la teoria della selezione naturale, ma pone l'accento su quei fattori ecologici che non erano stati valorizzati a sufficienza né dall'esposizione darwiniana né dall'interpretazione del neodarwinismo. Si colloca, in ogni modo, in una prospettiva di continuità con il pensiero biologico e naturalistico di Darwin applicando il nucleo centrale della selezione-variazione individuale al livello più elevato delle popolazioni e delle specie.

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Come menzionato precedentemente, sarà proprio la contraddizione teorica tra la teoria degli equilibri punteggiati e l'interpretazione neodarwiniana a porre le basi dello scontro accademico decennale tra Gould e Dawkins.

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II

Richard Dawkins e Il gene egoista

«Be warned that if you wish, as I do, to build a society in which individuals co-operate generously and unselfishly towards a common good, you can except little help from biological nature. Let us try to teach generosity and altruism because we are born selfish.» The selfish gene, Richard Dawkins

La formazione di Richard Dawkins deriva dal contesto dell'etologia, ma nel corso degli anni Settanta egli diventerà uno dei principali esponenti della biologia evoluzionista inglese, celebre, nel contesto accademico e anche al di fuori di esso, grazie alla divulgazione della teoria geno-centrica sviluppata e discussa nell'opera del 1976 e rafforzata nelle opere e negli articoli accademici dei decenni successivi.

La sua capacità divulgativa ha reso possibile la diffusione di tale teoria anche al grande pubblico uscendo dall' ambito accademico nel quale, comunque, le discussioni sono state aspre e numerose.

La sua affermazione professionale non è dipesa solo dalla pubblicazione delle sue opere, ma anche dalla sua ferma fiducia nella scienza e nelle sue possibilità.

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Quella che potrebbe essere definita una «fede» scientifica è stata spesso oggetto di polemiche sia sul fronte scientifico-teorico sia su quello politico-religioso. L'impostazione estremista di Dawkins è, infatti, rivolta verso il trionfo dell'evidenza scientifica come unica verità possibile e come unica modalità di interpretazione della natura e della realtà che ci circonda.

Si comprende come tale percorso possa essere difficilmente integrato con una concezione teista e religiosa. L'opera di Dawkins intitolata L'illusione di Dio pubblicata nel 2006 dimostra la sua ferma convinzione nel rifiutare la possibilità dell'esistenza di Dio e di un qualche agente esterno nel processo di evoluzione. Come recita il sito ufficiale dedicato a Richard Dawkins, questo libro ha come obiettivo quello di «offrire delle argomentazioni contro il teismo e un appello empatico ad abbracciare la ragione e la scienza»10.

La popolarità di Dawkins è, quindi, fortemente legata alla sua personalità e a quella che sembra essere una vera e propria battaglia per l'affermazione della scienza all'interno della società. L'obiettivo delle sue opere è, appunto, quello di divulgare nella maniera più pervasiva possibile la sua interpretazione della teoria darwiniana e la sua veridicità mostrando, attraverso un linguaggio chiaro e non eccessivamente tecnico, le prove a sostegno della selezione naturale. La stessa fondazione istituita da Dawkins nel 2006 si propone di rimuovere l'influenza della religione dall'insegnamento della scienza e di combattere lo stigma che sembra circondare l'ateismo e la non-credenza11.

10 https://richarddawkins.net/richarddawkins/ 11 https://richarddawkins.net/aboutus/

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La convinzione di Dawkins è stata oggetto di critiche e di dibattiti, in quanto spesso valutata come una versione estremista del darwinismo classico e definita in termini di «ultra-darwinismo». La sua preoccupazione, come viene affermato nelle pagine iniziali de Il più grande spettacolo della Terra, è quella di sostenere l'evoluzione non come una teoria da dimostrare, ma di presentarla come un fatto. Quest'ultimo non necessariamente si trova in competizione con una visione teistica della natura, come prova il fatto che «gli uomini e le donne di Chiesa riflessivi e razionali accettano l'evidenza dell'evoluzione»12.

Lo stesso Dawkins non si dimostra un oppositore totale dei rappresentanti delle istituzioni religiose, ma invoca la loro collaborazione ed un loro maggiore sforzo nell'obiettivo di liberare la società dalle false credenze. Il 40% degli americani sembra, infatti, negare che l'uomo sia il prodotto evolutivo di altre specie animali ancestrali13.

Dawkins si impegna, dunque, affinchè il concetto di selezione naturale e la teoria della discendenza comune possano entrare a far parte del panorama culturale contemporaneo, sgretolando quella cortina di dubbio e incertezza che ancora oggi le pervade. Tale condizione può essere, infatti, resa evidente dalla limitazione e dalla continua riluttanza a proposito dell'insegnamento delle teorie evoluzionistiche nelle scuole americane ed europee. Il tono spesso molto polemico con il quale questo obiettivo viene perseguito è stato oggetto di discussione e di attacchi da parte degli esponenti delle istituzioni religiose, ma è possibile comunque riconoscere la legittimità delle intenzioni perseguite.

12 Dawkins R., 2011, p. 10. 13 Ibidem.

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2.1 Il gene egoista

Il gene egoista costituisce la prima opera importante pubblicata da Richard Dawkins nel marzo del 1976. Essa fu accolta inizialmente in maniera piuttosto favorevole, fino a quando non furono realmente recepite le implicazioni in essa contenute. Nonostante le varie interpretazioni che seguirono la sua pubblicazione, infatti, lo stesso Dawkins fu deciso nel precisare che il suo scritto non contenesse nessuna implicazione politica o non avesse intenzione di propugnare alcun tipo di norme morali o di offrire un codice di comportamento per le società umane. Il travisamento dell'intenzione dell'opera fu ciò che spinse Dawkins a specificare e a spiegare alcuni problemi nelle poche pagine dell'Introduzione all'edizione del 30° anniversario de Il gene egoista, in primo luogo dando una giustificazione per la scelta del titolo. L'errore, afferma Dawkins14, è quello di porre l'enfasi sul

termine egoista, piuttosto che sul termine gene, il quale è il reale protagonista della trattazione. Ammette che il termine 'egoista' possa essere fuorviante, in quanto sembra rimandare ad una dimensione morale e comportamentale piuttosto che ad un'argomentazione di carattere biologico. Il punto risiede nel fatto che il tema affrontato riguarda ciò che concerne il gene e la sua centralità nella teoria dell'evoluzione per selezione naturale. Dawkins sembra dedicare maggiore importanza all'altruismo e alle motivazioni che spingono le specie alla cooperazione reciproca, piuttosto che infatizzare il comportamento egoista degli individui.

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Il problema fondamentale del libro, e più in generale del neodarwinismo, riguarda l'unità che viene realmente selezionata nel processo di selezione naturale : l'individuo, il gene o la specie? La risposta fornita da Dawkins è finalizzata ad assicurare il primato del gene rispetto alle altre due opzioni. Il tentativo è , appunto, quello di scardinare il principio secondo il quale gli individui di una specie agirebbero per il «bene» e la sopravvivenza della specie stessa. Tale principio fu accolto e sostenuto anche da eminenti zoologi ed etologi, come Konrad Lorenz e Irenäus Eibl-Eibesfeldt, e costituì il fulcro dell'interpretazione darwiniana per tutto l'Ottocento.

Ne Il gene egoista viene, invece, affidato uno statuto speciale al comportamento egoista dei geni, i quali lottano in competizione con altri geni per garantirsi la propria sopravvivenza e la propria discendenza. L'utilizzo della metafora risulta essere quasi inevitabile per rendere comprensibile il concetto ed è lo stesso Dawkins a ribadire, in molti contesti, come tale argomentazione debba essere interpretata come una mera metafora senza trascenderne il significato. E' evidente, infatti, come un gene non sia in grado né di pensare, né di agire né di essere cosciente delle proprie azioni, in quanto il suo unico obiettivo è quello di garantirsi il primato nell'ambiente concerrenziale del pool genetico al quale appartiene.

Richard Dawkins non è, inoltre, il primo ad aver utilizzato questo tipo di personalizzazione che si presenta come la prosecuzione di esempi precedenti. Jacques Monod, Peter Atkins e William D. Hamilton costituiscono tutti degli importanti «ispiratori» per gli studi di Dawkins e per la composizione della sua

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prima opera divulgativa. L'utilizzo di un linguaggio ricco di metafore appartenenti alla sfera umana è sicuramente utile ai fini di aiutare il lettore nella comprensione di argomenti con i quali diffilmente ci si confronta nella nostra esperienza quotidiana.

La teoria geno-centrica, afferma Dawkins nella Prefazione alla seconda edizione15,

costituisce una diretta conseguenza del neodarwinismo e dell'interpretazione moderna della teoria darwiniana, alla luce delle più recenti scoperte genetiche. La dimensione dell'individuo e quella del gene non sono due realtà che si contrappongono l'una all'altra, ma al contrario si integrano a vicenda. Interpretare la teoria darwiniana dalla prospettiva dell'autore significa privilegiare il punto di vista del gene, senza però ignorare il ruolo che l'organismo svolge nel processo di selezione e l'importanza che esso ricopre per la trasmissione del gene stesso. Questo punto, infatti, verrà successivamente esplicitato ulteriormente da Dawkins attraverso la distinzione tra i due concetti di «replicatore» e «veicolo».

«Il mio scopo è quello di esaminare la biologia dell'egoismo e dell'altruismo»16.

Questa è una delle affermazioni che si possono leggere nelle prime pagine de Il gene egoista, nelle quali Dawkins giustifica l'importanza della logica dell'egoismo e dell'altruismo per comprendere il comportamento di tutte le specie animali e non, inclusa quella umana. Esplicita fin da subito il fatto che la moralità non discenda dall'evoluzione e che la spiegazione del comportamento secondo la selezione non possa rivelarsi come base per fondare un sistema di valori. Ciò che è non sempre coincide con ciò che dovrebbe essere o con ciò che riteniamo sia 15 Dawkins R., 1995, p.XVII.

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giusto che sia.

Dal punto di vista dell'individuo Dawkins utilizza definizioni di tipo comportamentale per indicare comportamenti di tipo 'egoista' ed 'altruista'; viene dedicata particolare attenzione all'effetto dell'azione svolta. Per comportamento altruista si intende un'azione svolta da un'entità che aumenta il benessere di un'altra entità, mettendo a rischio o diminuendo il proprio benessere. Mentre per comportamento egoista si intende un'azione esattamente contraria, che mira al proprio benessere a discapito di quello di una o più entità. Nonostante la precisione di tali definizioni, l'analisi di comportamenti reali propone allo studioso delle problematiche concrete per le quali non sempre gli atti che sembrano inizialmente altruistici si rivelano realmente tali. Alcune azioni che sembrano mirare al benessere dell'altro in realtà mirano al miglioramento delle proprie possibilità di sopravvivenza : sono atti di egoismo mascherato dall'altruismo. In altri casi più frequenti, invece, molte specie mettono in atto un comportamento egoistico reale, come il rifiuto di condividere il cibo, il partner sessuale o il proprio territorio.

La tesi sostenuta da Dawkins cerca di dimostrare come i comportamenti che noi osserviamo nelle specie animali possano essere spiegati attraverso «la legge fondamentale che io chiamo egoismo del gene»17. Tale legge cerca di scardinare la

molto diffusa, e secondo Dawkins erronea, interpretazione della selezione naturale come «selezione di gruppo». Quest'ultima sostiene la possibilità che l'individuo, in una realtà in cui le specie sono in competizione tra loro, possa essere sacrificato

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in favore del bene dell'intera specie o dell'intero gruppo. Di conseguenza, un gruppo costituito da individui pronti a sacrificarsi avrà più successo evolutivo di un gruppo rivale formato da individui egoisti. Uno dei motivi che ci spingerebbe a condividere tale teoria è legato al fatto che essa sembra concidere maggiormente con il nostro sistema di valori morali, in quanto siamo più propensi ad ammirare il comportamento di colui che si sacrifica per gli altri, piuttosto che ammirare un individuo egoista. Ciò però non coincide con l'evoluzione della specie : la natura è cieca.

Al contrario, Dawkins sostiene la selezione dell'individuo o, ancor più precisamente, del gene. Essa viene esplicitata per la prima volta in maniera più estesa nell'opera di Dawkins, ma un'importante anticipazione e ispirazione è rappresentata dal libro di George.C. Williams intitolato Adaptation and Natural Selection18. Dall'opera dello stesso Williams, Dawkins attinge per la definizione di

gene utilizzata nel libro : il gene costituisce una qualsiasi porzione del materiale cromosomico che è in grado di sopravvivere per un numero di generazioni sufficiente a servire da unità di selezione. Un gene è potenzialmente indivisibile, in quanto la sua divisione in unità più piccole avviene di rado e ciò consente al gene di essere trasmesso con maggiore efficacia alle generazioni seguenti. Da questo punto di vista, quindi, la stabilità evolutiva del gene è maggiore della stabilità evolutiva mantenuta dall'individuo o dalle popolazioni di individui. Questi ultimi hanno una vita più breve e sono più soggette a divisioni e mescolamenti genetici, per cui non possono essere favoriti così a lungo dalla

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selezione naturale come nel caso del gene. Tali argomentazioni vengono assunte da Dawkins come un punto di forza per sostenere la tesi dell'egoismo del gene. Al gene, o meglio alle molecole di DNA, viene assegnato il ruolo di replicatore, in quanto in grado di produrre delle copie esattamente identiche di se stesso capaci di sopravvivere potenzialmente per un'infinità di generazioni. La capacità di replicazione di una molecola complessa come quella del DNA, che ha reso possibile la propagazione della vita sulla Terra, è altamente fedele, ma può essere soggetta ad errori di copiatura. Sono esattamente tali errori che stanno alla base dell'evoluzione, in quanto producono quelle variazioni e modificazioni genetiche che controllano un determinato tratto fenotipico dell'organismo. Esse possono avere delle conseguenze negative o addirittura non sortire alcun effetto nell'organismo ed essere neutrali, ma nella maggior parte dei casi contribuiscono al miglioramento della possibilità di sopravvivenza dell'organismo in un determinato ambiente. Dawkins sostiene che il replicatore, per sopravvivere abbastanza a lungo da propagarsi, deve essere fornito di tre capacità : longevità adeguata per produrre più copie di se stesso, velocità di replicazione e precisione e fedeltà nel processo di replicazione. Nonostante, infatti, il presupposto del processo evolutivo consista nella comparsa di variazioni a livello individuale, tutti gli organismi viventi, compreso il replicatore, sono orientati a mantenere la propria stabilità nel corso del tempo. La fedeltà risulta essere un fattore essenziale. Nelle parole di Dawkins, «L'evoluzione è qualcosa che succede che lo si voglia o no, nonostante tutti gli sforzi dei replicatori per impedirlo»19.

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Dawkins definisce l'organismo di ogni singolo individuo, dai batteri, ai virus fino agli animali superiori e all'uomo, come «macchine di sopravvivenza» costruite dal replicatore per poter sopravvivere. A partire dalla prima comparsa della vita sulla Terra, esse divennero sempre più sofisticate ed efficaci, in un processo cumulativo e progressivo di miglioramento e rafforzamento. Le molecole di DNA non avrebbero potuto, infatti, sopravvivere a lungo senza il proprio supporto di sopravvivenza in un ambiente altamente competitivo come quello in cui si originò la vita. Si deve necessariamente porre una distinzione tra l'organismo come individuo e le molecole di DNA che lo compongono : l'organismo è destinato ad avere una fine e ad andare incontro ad una morte certa, mentre il gene può potenzialmente essere in grado di essere immortale. Se il gene si identifica con la figura del «replicatore» l'organismo rappresenta il «veicolo» attraverso il quale il gene è in grado di sopravvivere a lungo e di essere trasmesso alle generazioni successive, varcando il limite della singola vita finita di un individuo. Anche se tale distinzione verrà posta da Dawkins soltanto successivamente al 197620, ne Il

gene egoista possono comunque intravedersi i presupposti sui quali si baseranno gli sviluppi successivi della sua teoria.

Dawkins interpreta le molecole di DNA come delle molecole complesse nelle quali sono contenute le informazioni che regolano la costruzione del singolo organismo; anche tali molecole si sono formate ad opera della selezione naturale. I geni controllano le fasi dello sviluppo embrionale dell'organismo e sono responsabili, quindi, delle probabilità di sopravvivenza e di funzionamento

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dell'organismo stesso. Più i geni sono abili nel controllare il processo dell'embrione, più saranno in grado di incrementare l'efficienza che l'organismo raggiungerà nella fase di crescita e nella fase adulta. Dawkins sottolinea il fatto che «i geni esistono»21, ma che in essi non è sottointesa nessuna forma di

finalismo o di progetto.

Inoltre, una delle caratteristiche essenziali del gene è che esso si ritrova costantemente immerso in un ambiente competitivo costituito da altri geni dello stesso tipo, chiamati alleli, o da altri che controllano differenti tratti specifici del genotipo. L'ambiente di riferimento è il cosidetto pool genico, «il cui concetto è centrale per il corpus di nozioni e teorie che viene denominato sintesi neodarwiniana»22. E' proprio il pool genico, cioè l'insieme degli alleli di una

determinata serie di geni, che viene trasformato dalla selezione nel corso degli anni e tramandato con il passare delle generazioni. Nel processo di riproduzione sessuale e di trasmissione, i geni dei due genitori, pur costituendo segmenti di DNA fisicamente contigui, non si fondono tra di loro, ma si mescolano producendo il pool genico che darà vita ad un altro individuo :

«Ciascun cromosoma in uno spermatozoo è infatti un patchwork, un mosaico di geni materni e paterni»23.

Non tutti i geni sono in grado di sopravvivere per un periodo di tempo prolungato, alcuni possono perire dopo una generazione o due, mentre altri sono in grado di

21 Dawkins R., 1995, pp. 26-27. 22 Dawkins R., 2011, p. 28. 23 Dawkins R., 1995, p. 31.

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perpretuarsi per centinaia di generazioni. La differenza si riscontra nella capacità stessa dei geni di costruire macchine di sopravvivenza efficienti e adattate all'ambiente specifico nel quale sono introdotti.

Un altro requisito richiesto per assicurare la sopravvivenza del gene è la capacità di cooperare con gli altri geni che compongono il pool genico. Ogni gene, infatti, svolge un preciso ruolo nel coordinare il processo di sviluppo embrionale, ma questo non sarebbe possibile se non si trovasse a cooperare con altri geni che fanno altrettanto. Tale processo di crescita è molto complesso, in quanto costituisce «un'impresa cooperativa multigenica, che richiede inoltre influenze dell'ambiente esterno»24. Il ruolo svolto dai geni e le influenze provenienti

dall'ambiente sono parti essenziali per cui nessun gene particolare o nessun fattore ambientale specifico possono considerarsi la 'causa' della nascita di una nuova vita. Esistono, certamente, delle differenze tra i singoli individui che hanno un ruolo fondamentale nella «lotta per la sopravvivenza» affermandosi come unità individuali di selezione. La capacità di cooperazione è fondamentale, quindi, in quanto è probabile che gran parte dei geni del pool genico possano far parte del pool genico tramandato alle generazioni successive per cui maggiore sarà l'efficienza di collaborare e maggiore sarà il vantaggio per il singolo gene. Un altro vantaggio deriva dal fatto che un gene per essere 'buono' è necessario che prolunghi la vita dell'organismo fino alla sua età riproduttiva, in quanto solo in questo modo potrà essere trasmesso alla generazione successiva. I geni che non permettono di raggiungere quella soglia vengono definiti geni 'letali' che, nella

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maggior parte dei casi, tenderanno ad essere rimossi dal pool genico.

La conclusione a cui giunge il ragionamento di Dawkins concerne, però, l'egoismo del gene : è questo, insieme alle altre proprietà, che rende il gene l'unità di selezione per eccellenza. «Il gene è l'unità di base dell'egoismo»25: solo i geni

che competono egoisticamente con i propri alleli per assicurarsi il posto sui cromosomi delle generazioni future sarà in grado di sopravvivere a lungo.

L'egoismo dei geni influenza in qualche modo il comportamento del singolo individuo? Dawkins cerca di rispondere a tale interrogativo e utilizza, a questo scopo, due livelli di analisi distinti tra di loro : in primo luogo descrive l'egoismo che contraddistingue i geni a livello del pool genico di appartenenza e, in secondo luogo, cerca di capire ed enunciare se e come tale egoismo possa avere effetto sul comportamento dell'organismo.

I geni hanno il potere di sintetizzare le proteine e questo, spiega Dawkins26, è un

modo piuttosto potente di manipolare il mondo, ma è un modo lento di farlo. Per garantire la sopravvivenza del singolo è necessario un processo più immediato : il comportamento. I geni, dirigendo e prendendo parte allo sviluppo embrionale, agiscono indirettamente anche nel controllo del comportamento cercando di prevedere quali pericoli e ostacoli quel singolo organismo dovrà affrontare nell'ambiente nel quale si ritroverà a vivere. Si tratta di operare una previsione e di fornire al singolo i mezzi più efficaci possibili per far fronte ad eventuali necessità.

25 Dawkins R., 1995, p. 40. 26 Ivi, pp. 60-61.

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«Ogni decisione presa da una macchina di sopravvivenza è un azzardo ed è compito dei geni programmare i cervelli in anticipo, così che, in media, prendano decisioni vantaggiose»27.

Nonostante questo, le decisioni dovranno essere prese in un ambiente imprevedibile. Per questa ragione, i singoli sono stati dotati di una capacità molto particolare, la capacità di apprendere, che li metterà nelle condizioni di fronteggiare i cambiamenti dell'ambiente e optare per il comportamento più vantaggioso possibile per la propria sopravvivenza. Se, quindi, i geni dirigono la «composizione» della macchina da sopravvivenza e del suo sistema nervoso, nella situazione concreta è il cervello che decide, in poche frazioni di secondo, il comportamento da eseguire. I geni forniscono indirettamente un'istruzione generale, cioè quella di prolungare la vita il più a lungo possibile per riprodursi, anche se poi il comportamento si trova sotto il controllo diretto del cervello e delle reazioni motorie dell'organismo ai possibili pericoli.

La comunicazione, per esempio, è un altro espediente utilizzato dal singolo per garantirsi la sopravvivenza. Tradizionalmente, essa veniva interpretata dagli etologi come una capacità sviluppatasi per garantire il «bene della specie» in quanto i segnali ingannatori rivolti verso membri di altre specie venivano interpretati come un modo per raggiungere un beneficio comune per i membri di una stessa specie. In realtà, successivamente, si è messo in luce come la comunicazione ingannevole costituisca una parte integrante sia della relazione tra individui appartenenti a specie diverse, sia tra individui appartententi alla stessa specie. Questo costituirebbe, secondo Dawkins, l'ennesima prova a favore della 27 Dawkins R., 1995, p. 61.

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propria teoria e a discapito della teoria della selezione di gruppo.

A partire dall'Ottocento, il comportamento animale è stato studiato da diversi punti di vista. La teoria che viene presa in considerazione da Dawkins ne Il gene egoista è la teoria proposta da Ronald A.Fisher negli anni 30 e poi successivamente sviluppata da John Maynard Smith nel corso degli anni 70. Essa è denominata Teoria evoluzionistica dei giochi, in quanto applica la teoria matematica dei giochi allo studio dei processi evoluzionistici, in particolare nell'ambito del comportamento e della competitività sessuale. Nel 1972 Maynard Smith definisce il concetto di strategia evolutivamente stabile nel suo articolo

Game Theory and the Evolution of Fighting28. Una strategia, per essere evolutivamente stabile, deve consistere in un comportamento che, se adottato dalla maggior parte dei membri di una data popolazione, non può essere invaso con successo da chi, all'interno della stessa popolazione di riferimento, adotta una nuova strategia. E', quindi, una strategia vincente che non può essere facilmente sostituita da una strategia di comportamento migliore. Una volta che una strategia diventa stabile dal punto di vista evolutivo, la selezione tende a penalizzare ogni strategia che devia da quella adottata dalla maggioranza.

Il concetto sviluppato da Maynard Smith viene utilizzato da Dawkins per spiegare ulteriormente il carattere egoista dei geni. All'interno di un pool genico, infatti, la selezione tende a far sopravvivere quei geni che si dimostrano essere buoni. Ma che cosa rende un gene buono? Esso è buono in quanto è in grado di costruire organismi in grado di sopravvivere abbastanza a lungo per riprodursi, ma è buono 28 Stanford Encyclopedia of Philosophy , voce Evolutionary Game Theory, First published Mon

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anche quando riesce a cooperare con gli altri geni e a far sì che il pool genico, nel linguaggio di Maynard Smith, sia composto da una serie evolutivamente stabile di geni. Un pool genico è stabile quando non può essere invaso da nessun nuovo gene. La difficoltà si riscontra nel fatto che il pool genico non rappresenta un'unità all'interno di un singolo individuo, in quanto le interazioni che avvengono tra i geni sono distribuite in organismi diversi appartenenti ad una determinata popolazione. Il pool genico rimane stabile fin quando non viene invaso da un nuovo gene perchè la selezione naturale tende a penalizzare la diffusione del gene mutante. E' possibile, però, che un nuovo gene riesca a invadere la serie di geni stabile e a diffondersi nel pool genico : ciò dà luogo ad un periodo di instabilità che si conclude con l'affermazione di una nuova strategia evolutivamente stabile e con un passo avanti nell'evoluzione del pool genico. La stabilità raggiunta dal pool genico è impossibile da avvertire da un osservatore esterno in quanto tali interazioni avvengono nelle cellule del sistema in via di sviluppo, ma i suoi effetti possono essere efficacemente dedotti dal singolo organismo. Ognuno di essi costituisce, in conclusione, il risultato del lavoro di cooperazione tra serie di geni egoisti ed evolutivamente stabili.

Il pool genico, d'altronde, non costituisce solamente la mappa di sviluppo di ciascun individuo, ma viene condiviso da un gruppo più o meno ampio di individui. Più esso si dimostra essere evolutivamente stabile nel corso del tempo, più è in grado di sopravvivere inalterato e di espandersi all'interno di una popolazione. Questa condizione crea quel fraintendimento circa il concetto di egoismo ed altruismo dei geni sostenuto dal nostro autore. Il punto da tenere

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presente, infatti, è che un gene potrebbe essere in grado di favorire la propria replicazione anche in altri individui. Questa tendenza che potrebbe apparire altruistica, in quanto favorisce la sopravvivenza di altri singoli, maschera la tendenza esclusivamente egoistica del gene. Ma in che modo può riuscire un singolo gene a riconoscere copie di se stesso in altri individui? Autori come Fisher, Haldane e Hamilton, prima di Dawkins, hanno spiegato tale capacità del gene in termini di parentela. La tendenza del gene a garantire la sopravvivenza altrui è specialmente rivolta ad individui che condividono tratti simili di DNA : l'esempio più frequente riguarda le cure parentali rivolte dai genitori verso la prole. Lo stesso concetto di parentela, spiega Dawkins in una nota al testo29,

risulta essere ingannevole e difficile da spiegare. Due membri qualsiasi di una stessa specie, infatti, posseggono circa il 90% dei geni in comune; nel caso di individui imparentati, di quel 90% che tutti hanno in comune, ½ (nel caso dei fratelli) e 1/8 (nel caso dei cugini) dei geni si aggiungono a quelli già in comune a partire dalla specie di appartenenza. Ci sarebbe, quindi, una sorta di 'parentela di base' condivisa tra tutti i membri di una stessa specie. Il comportamento altruista, però, è rivolto principalmente verso quegli individui la cui parentela supera questa linea di base, in quanto è più probabile che in essi siano presenti copie dello stesso gene. Geneticamente parlando, quindi, non sussiste nessuna differenza tra il rapporto genitore/figlio e il legame fraterno, in quanto in entrambi i casi è presente la stessa possibilità che gli individui condividano gli stessi geni.

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In termini matematici e razionali, la spiegazione dei comportamenti altruistici verso i parenti sembra convincente. E' possibile che tali calcoli vengano effettuati anche dai singoli individui nel frangente di pochi secondi che hanno a disposizione per prendere una decisione, agire e salvare la vita ad un altro individuo? Ovviamente, questi calcoli non vengono effettuati realmente, ma il pool genico 'programma' il corpo della macchina da sopravvivenza affinchè agisca come se tali calcoli vengano eseguiti. Nella vita concreta delle singole specie, inoltre, possono insorgere cambiamenti o spostamenti, per cui risulta difficile continuare a stabilire chi siano gli individui con i quali si possiedono legami di parentela. In questo caso, può essere stimato soltanto il grado di parentela medio, anche se i geni che sono sopravvissuti nel tempo tendono a prendere decisioni che favoriscano la loro replicazione.

L'egoismo del gene viene confermato, quindi, anche a partire dall'analisi del comportamento di quegli individui che sembrano attuare un comportamento altruistico nei confronti di altri individui. La diffusione della tendenza egoistica piuttosto che altruistica del gene è, inoltre, fondata sulla maggiore certezza dell'identità individuale. Il rapporto di parentela genitore/figlio, ad esempio, è geneticamente più certo rispetto a quello fratello/sorella nonostante il legame di parentela, in termini matematici, sia identico. Questo spiega il fatto che mediamente si tragga un maggiore vantaggio dall'accudire la propria prole per garantirne la sopravvivenza, piuttosto che garantire la sopravvivenza dei propri fratelli.

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La tendenza di molte specie animali a prendersi cura della propria prole e ad aiutare altri individui in difficoltà è, inoltre, connessa con la tendenza a vivere in gruppo. Indubbiamente, per molte specie, la vita di gruppo fornisce dei vantaggi evidenti che nella maggior parte dei casi consistono nel migliorare le tecniche utili a procacciarsi il cibo o nel migliorare le probabilità di difendersi dai predatori. La vita di gruppo consiste in tutta una serie di interazioni cooperative, in quanto nella vita reale ci sono casi in cui sembra che i membri agiscano per salvare la vita di un altro membro dello stesso gruppo dai predatori. Uno degli esempi più tipici per fornire una spiegazione della cooperazione all'interno del regno animale è quello degli insetti sociali (formiche, api, termiti), in particolare utilizzato negli studi condotti, all'interno dell'ambito della sociobiologia, da Wilson e Hamilton.

Esempi di cooperazione possono essere riscontrati anche tra individui di specie diverse. In quest'ultimo caso si utilizza il termine simbiosi con il quale ci si riferisce ad una relazione dalla quale membri di specie diverse traggono un vantaggio reciproco. Molto diffusi sono i rapporti simbiotici tra specie animali e vegetali. Ma, afferma Dawkins30, non c'è ragione nel ritenere il rapporto

simbiotico tra specie diverse dissimile rispetto al comportamento cooperativo che viene messo in atto tra membri di una stessa specie. In entrambi i casi, si parla di relazioni reciprocamente vantaggiose quando ciascun individuo ha un vantaggio maggiore rispetto alle risorse utilizzate per garantire la cooperazione. Il problema principale, nelle specie animali, sorge quando il vantaggio ottenuto dalla relazione non è immediato; quando trascorre un certo lasso di tempo dall'azione compiuta

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rispetto alla sua restituzione, è necessario che l'individuo sia in grado di ricordare e riconoscere gli altri individui.

Dawkins, per approfondire la natura delle relazioni di cooperazione, tra gli individui di una stessa specie o di specie diverse, si serve della nozione di 'altruismo reciproco'31 introdotta dal biologo evoluzionista Robert Trivers nel

1971. La teoria di Trivers, come in seguito quella di Dawkins, si inserisce nell'ambito della sociobiologia e segue dalle ricerche proposte da Hamilton sulla

selezione di parentela (kin selection). Il comportamento altruistico viene definito

da Trivers come un «comportamento che favorisce un altro organismo, non strettamente imparentato, mentre è apparentemente dannoso per l'organismo che attua il comportamento stesso»32. Il modello teorico proposto da Trivers ha il fine

di mostrare che certe classi di comportamento definito 'altruistico' possono affermarsi attraverso il processo di selezione naturale anche quando il ricevente (colui che beneficia dell'aiuto) è lontanamente imparentato con l'organismo che compie l'atto altruistico. Sotto certe condizioni, infatti, la selezione naturale favorisce il comportamento altruistico, in quanto nel lungo periodo può apportare benefici all'organismo che lo esegue. Inoltre, l'idea di base che contraddistingue la tesi di Trivers, ragionamento esemplificato da Dawkins con l'esempio degli 'ingenui', dei 'truffatori' e dei 'permalosi', suggerisce che per un dato individuo potrebbe esserci un beneficio nell'aiutare un altro individuo se c'è una qualche possibilità che tale favore possa essere restituito in futuro33.

31 Trivers R.L., 1971, pp. 35-57. 32 Ibidem.

33 Stanford Encyclopedia of Philosophy , voce Biological Altruism, First published Tue Jun 3,

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Il nocciolo teorico dell'altruismo reciproco, esemplificato da Dawkins con l'espressione «Tu mi gratti la schiena e io ti salto in groppa»34, asserisce che le

risorse impiegate da un individuo per aiutare un altro possono essere controbilanciate dalla possibilità che il ricevente possa comportarsi ugualmente utilizzando le proprie risorse per aiutare colui che lo aveva aiutato in un più o meno lontano passato. Affinchè una situazione di questo tipo possa verificarsi, è necessario, quindi, che gli individui coinvolti interagiscano tra di loro più di una volta durante la loro esistenza perchè interagendo solo una volta verrebbero azzerate tutte le possibilità di restituire il favore e tutte le possibilità che quel comportamento altruistico possa evolversi.

L'evoluzione di un comportamento altruistico all'interno di una data popolazione vi sarà, quindi, quando esso introduce un certo vantaggio nell'evoluzione della linea genetica di un dato organismo. Quella strategia di comportamento che apporta dei benefici e migliora le condizioni di sopravvivenza sarà quella che si affermerà e diffonderà a discapito delle altre strategie di comportamento. Quando, cioè, si rivelerà una strategia evolutivamente stabile nel tempo. Tale strategia deve continuare ad avere successo anche quando diventa numerosa all'interno dell'ambito delle strategie di comportamento possibili. La tendenza ad assumere o meno un determinato comportamento risulta essere, quindi, un tratto che accomuna tutti gli individui geneticamente imparentati tra di loro. I membri di una data popolazione, più o meno estesa, saranno simili non soltanto per i tratti fenotipici, ma anche in base alle tendenze comportamentali, assumendo che ci

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possa essere un particolare gene egoista 'per' un determinato comportamento. I geni vengono effettivamente selezionati in base all'effetto che producono sulla struttura dell'organismo, in quanto sono i tratti fenotipici (esteriori, osservabili) che svolgono un ruolo effettivo nella vita imprevedibile del singolo individuo. All'interno del pool genico, perciò, ciascun gene combatte con il proprio allele per ottenere il primato di manipolare un determinato tratto dell'organismo. Dawkins sostiene, inoltre, attraverso la teoria del fenotipo esteso, che gli effetti fenotipici di un gene devono essere estesi a tutti gli effetti che esso ha nel mondo circostante e che tali geni possono avere effetti anche sul corpo di un altro organismo. «E' come se i geni agissero al di fuori del «proprio» corpo e manipolassero il mondo esterno»35. Dawkins offre, per sostenere la sua teoria, alcuni esempi derivanti dal

mondo animale, come la simbiosi tra le lumache e il loro guscio, la relazione tra il granchio e un tipo particolare di parassita castrante e l'azione che molti parassiti, conosciuti ormai da tempo, esercitano sui loro ospiti. Il mondo naturale, continua Dawkins36, è ricco di esempi di animali e piante che manipolano individui della

stessa o di altre specie; dal punto di vista del gene, un gene manipolatore esemplifica uno dei modi possibili per influenzare l'ambiente circostante e assicurarsi la propria propagazione.

Dawkins riassume la sua teoria con quello che egli definisce 'il teorema centrale del fenotipo esteso' :

35 Dawkins R., 1995, p. 258. 36 Dawkins R., 1995, p. 271.

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«Il comportamento di un animale tende a massimizzare la sopravvivenza dei geni 'di' quel particolare comportamento, indipendentemente dal fatto che i geni si trovino nel corpo di quell'animale particolare che ha quel comportamento»37.

In questo caso ci si riferisce genericamente soltanto al comportamento assunto da un individuo, ma la teoria del fenotipo esteso può essere certamente estesa a tutti i tratti che possono caratterizzare un organismo (colore, forma, dimensioni, ecc...). La maggior parte della trattazione de Il gene egoista si svolge principalmente su due piani di analisi, quello del gene e quello dell'organismo nel suo complesso. In quest'ultimo caso, la maggior parte degli esempi e delle argomentazioni coinvolgono le specie animali più disparate, ma raramente sono presenti riferimenti diretti all'uomo. L'unica eccezione è costituita dal capitolo 11, nel quale Dawkins avanza un tentativo di applicare i principi della teoria del gene egoista per spiegare l'evoluzione della cultura umana. Questo tentativo si inserisce, ancora una volta, nel quadro della tradizione della sociobiologia novecentesca. Fu Edward O.Wilson il primo a offrire, nel 1981, in Genes, Mind

and Culture una teoria con l'intenzione di fondare una sociobiologia umana e per

spiegare la coevoluzione del gene e della cultura38. Wilson sostiene una posizione

da molti definita 'riduzionista', applicata anche al lavoro di Dawkins, in quanto suggerisce un diretto legame causale tra la selezione genetica e il funzionamento dell'intero organismo. La selezione dei geni provvederebbe a programmare anche il cervello predisponendo l'individuo per una gamma molto varia di comportamenti. La coevoluzione tra geni e cultura è descritta come «una 37 Dawkins R., 1995, p. 271.

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