II. Richard Dawkins e Il gene egoista
2.3 Dall'etologia a William Hamilton
La lettura dell'articolo di William Hamilton dal titolo The evolution of altruistic behaviour pubblicato nel 1963 rappresentò un evento cruciale nella carriera di Richard Dawkins e una delle motivazioni che lo spinse alla stesura de Il gene egoista una decina di anni dopo. L'avvicinamento alla teoria del comportamento di Hamilton e alla sua nozione di 'altruismo' avvenne intorno al 1965, periodo in cui Dawkins ricopriva il ruolo di ricercatore e assistente di Nikolaas Tinbergen nel Dipartimento di Zoologia dell'Università di Oxford. Quest'ultimo, olandese di nascita ma inglese d'adozione, concentrò le proprie ricerche sull'osservazione del comportamento animale in condizioni naturali evidenziando l'importanza, ai fini della sopravvivenza, sia di fattori istintivi sia di comportamenti appresi51. Grazie
alle sue ricerche etologiche nel 1973 vinse il premio Nobel per la Fisiologia o Medicina insieme a Konrad Lorenz e Karl von Frisch.
L'ambito di ricerca di cui si occupò Dawkins nei suoi anni di formazione ad Oxford all'interno del gruppo di ricerca di Tinbergen è, quindi, l'ambito dell'etologia e del comportamento animale. Le sue ricerche si concentrarono sullo studio del comportamento dei pulcini, al quale Dawkins si volse con un atteggiamento che egli stesso definisce 'lorenziano'52.
51 Nikolaas Tinbergen è considerato, insieme al suo collega Konrad Lorenz, uno dei padri fondatori della moderna etologia. Una delle sue opere principali, The Study of Instinct (1951), viene considerata un importante contributo per le scienze comportamentali. Essa propone il concetto di reazione comportamentale istintiva negli animali, la quale deriva dall'adattamento e dagli aspetti evoluzionistici di tali comportamenti. Il problema principale è definire qual è il ruolo degli stimoli interni ed esterni nel controllo del comportamento. Quest'ultimo si configura come una reazione a determinati stimoli esterni, anche se spontanea perchè è dipendente anche da cause interne. Il modello gerarchico di Tinbergen riassume tali principi : il comportamento è un sistema costituito da diversi livelli di complessità degli impulsi motivazionali, nel quale ciascun livello è correlato agli altri e nel quale comportamenti simili sono raggrupati tra di loro.
La domanda teorica a cui Dawkins doveva dare una risposta concerneva l'ontogenesi del comportamento animale : che cosa si intende per comportamento innato e come questo si inserisce nel processo di apprendimento dei giovani animali? Dawkins utilizzò un metodo di ricerca basato sull'esperimento di deprivazione, in accordo con la proposta teorica di Lorenz e Tinbergen. Privando il giovane animale delle coordinate ambientali in cui l'adattamento si era verificato si poteva, infatti, dimostrare che la tendenza all'adattamento fosse innata, anche se il comportamento non lo è.
La componente sperimentale risultava essere fondamentale per le ricerche del gruppo di Tinbergen e questo, secondo Dawkins, aveva lo scopo di dimostrare alcuni principi teorici, come ad esempio avvalorare l'ipotesi che il comportamento animale poteva essere condizionato modificando gli stimoli ambientali di partenza. Si presentava come un lavoro sperimentale che cercava di spiegare come «le cose potrebbero essere» piuttosto che «come sono»53. Dawkins, dai suoi studi
sui pulcini, ha concluso che alcuni comportamenti necessari all'adattamento dei giovani esemplari all'ambiente nel quale sono destinati a vivere potevano essere verificati ed individuati attraverso specifici esperimenti.
Il contesto nel quale avvenne la formazione di Dawkins come etologo era molto stimolante, in grado di porre ciascun ricercatore nella condizione di confrontarsi con importanti studiosi, come lo stesso Tinbergen, e di sviluppare individuali modalità sperimentali volte alla risoluzione di problemi teorici. Questa condizione rafforzava, inoltre, la tendenza alla spiegazione di fenomeni biologici complessi
che Dawkins aveva sviluppato durante i suoi anni di studi ad Oxford.
Le ricerche di Dawkins ad Oxford continuarono fino al 1967 quando George Barlow, nuovo rappresentante dell'etologia americana, gli offrì un posto di ricercatore nel Dipartimento di Zoologia all'Università della California, a Berkeley, dove Dawkins si stabilì nei due anni successivi per poi fare ritorno in Inghilterra. Fu proprio nell'anno immediatamente precedente al trasferimento in California che Dawkins su consiglio di Mike Cullen, suo collega e amico ad Oxford che diventerà una delle figure più influenti per lo sviluppo dell'etologia inglese, si interessò allo studio sul comportamento altruistico di Hamilton. Cullen e Hamilton condividevano un approccio di tipo quantitativo con l'intento di matematizzare lo studio evoluzionistico del comportamento sociale.
Dawkins venne conquistato a tal punto dalla teoria di Hamilton da assumerla come punto di riferimento per le proprie lezioni sul comportamento sociale all'Università della California e, successivamente, ad Oxford. Si può affermare, perciò, che gli studenti dell'epoca furono tra i primi recettori dell'approccio allo studio dell'evoluzione fondato sul gene che acquisterà centralità nel corso di tutto il decennio successivo.
L'interrogativo che animava, nei primi anni '60 del Novecento, la ricerca di William D. Hamilton riguardava l'evoluzione del comportamento sociale di tipo altruistico. Come è possibile spiegare, in termini genetici e matematici, l'evoluzione dell'altruismo se questo sembra avere degli effetti svantaggiosi sull'individuo? Come hanno fatto gli altruisti a non estinguersi? Hamilton cercò di dare una risposta a questi quesiti e, sebbene non fosse l'unico, fu sicuramente il
solo in grado di offrire una spiegazione rigorosa54. Il punto di riferimento di
Hamilton per lo svolgimento delle sue ricerche, alla Field Station dell'Imperial College, erano i lavori dei «padri fondatori della genetica di popolazione» e principalmente The Genetical Theory of Natural Selection di Ronald Fisher. Hamilton, sulla scia dei propri predecessori, riteneva inutile studiare il processo evolutivo dal punto di vista della specie, in quanto «se si vuole capire quanto un allele sia vantaggioso (o meno), bisogna guardare all'organismo che lo possiede e non alla specie»55.
Hamilton, studiando le leggi della genetica e applicandovi un procedimento di tipo matematico, arrivò alla conclusione che gli altruisti siano in grado di sopravvivere solo in quanto sfruttano qualsiasi parente e, in particolare, le copie dei propri geni presenti in essi. L'articolo di Hamilton riuscì a dimostrare che l'allele dell'altruismo può essere ereditato dalle generazioni successive anche se inizialmente poco diffuso e che l'altruismo può evolversi anche in una popolazione molto numerosa, al contrario di ciò che aveva affermato John B. Haldane nei suoi studi pubblicati nel 1932.
Riprendendo la teoria di Haldane e Fisher, Hamilton ricorda che per comprendere se un gene sia vantaggioso o meno per l'individuo bisogna valutare il rapporto tra costi e benefici derivanti dall'azione svolta. Da un punto di vista genetico se chi riceve il beneficio è imparentato con chi si sacrifica per aiutarlo allora il costo dell'azione svolta sarà minore in quanto è più probabile che i propri geni siano presenti in un parente piuttosto che in un estraneo. In questo caso è anche più 54 Coco E., 2008, p. 22.
probabile che tale gene si propaghi all'interno della popolazione.
A partire da questo ragionamento, Hamilton dimostra che l'allele dell'altruismo può evolversi alla condizione fondamentale che gli individui coinvolti nella dinamica evolutiva siano imparentati tra di loro. Se un individuo altruista sacrifica i propri geni per aiutare un individuo con cui è imparentato aumentano le possibilità che entrambi gli individui condividano l'allele dell'altruismo, indipendentemente dal comportamento messo in atto dagli altri. Infatti, anche chi mette in atto un comportamento egoista può conservare l'allele per l'altruismo nel proprio corredo genetico e, di conseguenza, avere la possibilità di trasmetterlo alla prole. Il ragionamento di Hamilton può essere così formulato : «Aiuto chi, pur non comportandosi da altruista, potrebbe avere un allele altruista»56.
Un altro merito del modello proposto da Hamilton è quello di aver introdotto il concetto di inclusive fitness, nonostante il suo significato sia stato molto spesso travisato nei decenni successivi. Il termine trova le radici nel concetto genetico di fitness introdotto da Haldane, con il quale si designa la capacità media dell'individuo di riprodursi in base alle proprie caratteristiche fisiche e comportamentali e rispetto al numero di figli degli altri individui. Con inclusive fitness, invece, Hamilton intende l'effetto prodotto da un determinato allele sia sugli alleli dei parenti sia sugli alleli che si trovano in soggetti estranei. Hamilton ammette che un ipotetico allele altruista eserciti un determinato effetto sia sui geni in comune con altri individui sia su quelli che non sono comuni modificando la fitness individuale degli altri appartenenti alla popolazione. Essa «misura solo il
contributo che l'allele del soggetto elargisce all'ambiente sociale»57.
Il tentativo di Dawkins di sviluppare una teoria centrata sul gene a partire dal modello matematico proposto da Hamilton venne appoggiato con estremo entusiasmo da Mike Cullen. Nel 1969, anno del suo rientro ad Oxford, Dawkins si dedicò all'attività di insegnamento nel Dipartimento di Zoologia. Quest'attività venne integrata, negli anni seguenti, con la passione per la programmazione di software. Il cosiddetto 'Dawkins Organ', ad esempio, era in grado di registrare il comportamento animale su una tastiera per computer permettendo di analizzare statisticamente il ripetersi di determinati schemi comportamentali in specifiche specie animali. Il metodo si rivelò utile per le sue ricerche dei primi anni '70 rivolte allo studio dei processi decisionali in grado di influenzare il comportamento animale e che raggiunsero una conclusione intorno al 1975, poco prima della pubblicazione de Il gene egoista.
In realtà, Dawkins aveva iniziato a scrivere il suo libro nel 1972 durante un breve periodo di interruzioni dell'energia elettrica causate da dispute industriali che gli impedì di continuare le proprie ricerche in laboratorio. Il suo intento era quello di scrivere un libro che sostenesse una lettura della teoria darwiniana affine a quella proposta da Hamilton e sulla scia di libri che, secondo Dawkins, promuovevano inconsapevolmente il concetto errato di selezione di gruppo, come nel caso di Konrad Lorenz. Lo stesso Dawkins in un'intervista alla rivista online Edge afferma che il principale motivo che lo spinse alla scrittura de Il gene egoista fu quello di esporre i primi principi del neo-darwinismo mantenendo viva la
prospettiva dal punto di vista del gene58.
Quando Dawkins riprese la stesura del testo, nel 1975, la teoria di Hamilton era stata ampliata dalle teorie di Maynard Smith e di Trivers che ben si erano inserite nel dibattito imperante all'epoca sulla sociobiologia. La sua composizione ha impegnato intensamente Dawkins per un anno e la sua ricezione fu abbastanza favorevole. Una recensione positiva giunse, con grande soddisfazione di Dawkins, proprio dallo stesso Hamilton che negli anni seguenti, dopo essere stato un grande mentore, sarebbe diventato suo amico e collega ad Oxford.