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Mogliano Veneto durante la Grande Guerra

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Academic year: 2021

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INDICE

• Introduzione

3

• Capitolo 1 - La Grande Guerra e Caporetto

4

• Capitolo 2 - 1917: Arriva la Terza Armata 10

• Capitolo 3 - Profughi

33

3.1- Mogliano Veneto e i profughi

35

• Capitolo 4 - Donne

41

4.1 - Le donne di Mogliano Veneto

43

• Capitolo 5 - Bambini

51

5.1 - I bambini di Mogliano Veneto

53

• Capitolo 6 - Uomini

70

6.1 - Gli uomini di Mogliano Veneto

71

• Capitolo 7 - L’Ufficio “P” e il giornale

“La Tradotta”

103

7.1 - La Tradotta

106

• Capitolo 8 - Il difficile ritorno alla normalità 110

8.1 - Mogliano Veneto, com’era alla fine

della guerra

113

• Conclusioni

138

(3)

INTRODUZIONE

Questa ricerca ha lo scopo di raccontare la vita di un piccolo, all'epoca, paese di provincia del nord Italia durante la Grande Guerra. Il paese in questione è Mogliano Veneto in provincia di Treviso. Il compito è stato facilitato grazie all'opera di conservazione e catalogazione promosso dal Gruppo Ricerca Storica "Astori".

L'impresa non si presentava delle più semplici, il comune di Mogliano, non aveva mai tentato di mettere in ordine i documenti, quest'ultimi giacevano in grandi scatoloni, abbandonati in una stanza.

Grazie all'opera del Gruppo guidato da Don Polo, i documenti venivano fotocopiati, catalogati e inseriti nell'archivio del Gruppo Ricerca Storica.

Tutte le testimonianze inserite in questa tesi, provengono da questo archivio.

Ma perché raccontare la vita di un piccolo paese?

La nostra convinzione è che il racconto della realtà di Mogliano grazie alle testimonianze raccolte sveli la condizione di molti paesi nell'Italia dell'epoca.

Queste documenti diventano fondamentali per conoscere come viveva la popolazione, i suoi problemi, le sue speranze e le loro inevitabili delusioni.

(4)

Capitolo 1

La Grande Guerra e Caporetto

La Grande Guerra è stata vissuta per l'Italia come una prova tremenda, che coinvolse a fondo una società, che è bene ricordarlo, era da poco unificata e all'inizio di un processo di modernizzazione.

La partecipazione italiana al conflitto non fu una decisione di massa, bensì di un ristretto gruppo dirigente di una élite politica e intellettuale che potremmo definire liberal democratica, usando però metodi che poco hanno a spartire col sistema rappresentativo parlamentare. La stragrande maggioranza della popolazione era favorevole che la Nazione non prendesse parte al conflitto e confidava che la posizione di neutralità resistesse fino alla fine.

L'Italia alla fine entrava in guerra, ma la convinzione generale era che fosse una guerra breve, come la riteneva il generale Cadorna, l'obiettivo di conquistare Trento e Trieste, sembrava all'epoca assai facile; l'Austria, il nemico da sconfiggere era infatti impegnata duramente contro la Russia.(1)

Come sappiamo non fu così, il conflitto che si credeva breve si tramutò ben presto, in una logorante guerra di posizione;il risultato evidente era che i figli, i mariti, i fidanzati non sarebbero tornati dal fronte presto come si credeva; per il mondo contadino questo diventava un grande problema, venivano a mancare le braccia per preparare la terra,(2) con il risultato che il raccolto dell'anno

seguente ne avrebbe risentito. Questo comportava un inevitabile rincaro del costo della vita e le conseguenti lamentele della popolazione tutta.

L'inerzia che si era creata, il sostanziale equilibrio al fronte, venne meno nell'autunno del 1917, quando l'esercito italiano veniva colto impreparato dall'improvvisa offensiva nemica.

1. M.Sacco, A. Monticone, M. Rigoni Stern, Attualità della Grande Guerra, Udine 2005, p.23 . 2. vedi Doc.1

(5)

Aiutato dall'intenso fuoco dell'artiglieria e grazie all'utilizzo di una nuova tattica, che consisteva nell'avanzare in ranghi poco numerosi e dunque difficilmente individuabili, l'esercito austriaco e i suoi alleati, riusciva a penetrare in profondità, senza preoccuparsi di fortificare le posizioni o di fare prigionieri.

Alle 21,00 del 24 ottobre, Cadorna si rendeva conto del disastro, comandava la ritirata dietro l'Isonzo, ma era troppo tardi; il 27 dello stesso mese ripiegava anche la Terza Armata del duca Emanuele Filiberto d'Aosta, egli temeva, non a torto, di rimanere accerchiato.

Udine veniva lasciata in mano agli austro tedeschi, che varcavano il Tagliamento, sembrava che la loro avanzata fosse inarrestabile; tra le file dell'esercito italiano regnava il panico, la situazione sembrava senza via d'uscita, molti soldati convinti che oramai la guerra fosse perduta, si arrendevano al primo tedesco che trovavano per la loro strada. In un comunicato ufficiale Cadorna imputava la responsabilità della sconfitta " alla mancata resistenza di reparti vilmente ritiratesi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico ". (3)

Il 4 novembre veniva comandata la ritirata sul Piave, ultimo baluardo, se crollava anche quest'ultimo fronte il nemico non aveva più ostacoli, si apriva davanti a lui la pianura padana senza alcuna difesa.

Il 9 novembre Cadorna, veniva esonerato dall'incarico, al suo

posto subentrava Armando Diaz (4) che immediatamente si

adoperava per ridare fiducia all'esercito duramente provato per la batosta subita. (5)

Questa ritirata, in ogni caso incideva profondamente nello stato d'animo degli italiani, ancora oggi, a distanza di tanti anni, Caporetto viene nominata per segnalare una disfatta di tutti i generi; economici, politici e sociali.

Una guerra voluta per conquistare delle terre che si trovavano sotto il dominio di un altro Stato, si trasformava in ben altro; si perdeva una grande regione dell'Italia e città che prima non correvano rischi, con gli ultimi eventi, ora erano in forte pericolo come Treviso e Venezia.

3. S.Fazzer, Piave e dintorni, Vittorio Veneto 2011, p.16. 4..vedi Doc. 2 e 3.

(6)

Paesi che all'inizio della guerra venivano considerati lontani dal fronte, ora si trovavano invece in prima linea, soggetti al fuoco dell'artiglieria nemica, come il caso di Mogliano Veneto.

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(10)

Capitolo 2

1917: arriva la Terza Armata

Dall'annuario del 1898 si poteva dedurre che a Mogliano Veneto le attività prevalenti erano l'agricoltura e l'artigianato. Il paese contava all'epoca circa settemila abitanti, l'annuario in questione precisava che tra di loro c'erano: un farmacista; quattro ingegneri; due medici chirurghi; tre mugnai; un albergo, di nome La Fenice; un produttore di vini, il barone Bianchi Silvio; una fabbrica di burro e formaggi; un produttore di semi e bachi e diversi negozi al minuto (6).

E' probabile che la situazione non sia cambiata di molto durante i primi anni del 900.

Quello che è certo è che proprio al momento della disfatta di Caporetto, con l'esercito in rotta, Mogliano si trovava senza sindaco, infatti proprio in quell'anno dava le dimissioni Arcibaldo Trevisan, figlio adottivo del conte Alessandro. Questo sindaco, nato povero, si era fatto ben volere dalla cittadinanza tutta, per il suo carattere incline al compromesso, per i suoi gesti pieni di umanità e sopratutto per la generosità nei confronti dei bisognosi. Le dimissioni erano motivate per le cattive condizioni di salute, nello stesso consiglio comunale mancavano inoltre diversi consiglieri richiamati alle armi. Per rimediare a questo vuoto di potere, il Prefetto di Treviso nominava un Commissario Prefettizio l'avvocato Giovanni Battista

Priuli Bon (7), fu dunque lui a gestire questo momento così delicato

per le sorti dell'Italia, lo troveremo ancora come Commissario Prefettizio alla fine del conflitto.

Questa è la situazione che la Terza Armata trovava, quando decideva di fare di Mogliano V.to la sua base. Il Paese si prestava a diventare una piazza forte militare, uno snodo fondamentale per lo

6. AA.VV, Mogliano da Caporetto a Vittorio Veneto, Treviso 2007, p. 7.

(11)

scacchiere del medio e basso Piave.

A capo della Terza Armata si trovava un rappresentante della casa reale il generale Emanuele Filiberto di Savoia duca d'Aosta, che insediava il comando al centro del paese, a villa Stucky e decideva di fare di villa Trevisanato, la sua dimora abituale.

Molte altre ville e case venivano requisite per ospitare ufficiali e truppa (8), con rammarico e viva preoccupazione dei proprietari,

che temevano per il loro bene, spesso con ragione, viste le numerose lamentele dei proprietari non solo per i danni, ma pure per i furti subiti (9). A questa situazione non ci si poteva ribellare, qualche

proprietario, in verità cercava di farlo, alla richiesta di requisizione, non rispondeva, confidando che il tempo avrebbe sistemato tutto, speranza vana, veniva inviata una lettera che dichiarava “non avendo il predetto proprietario aderito fino a questa sera alla richiesta fatta... la requisizione forzata dovrà effettuarsi domattina alle ore 9”(10).

Venivano requisiti pure i mobili, come nel caso, ma non certo l'unico, di villa Volpi, dove gran parte del mobilio veniva trasferito a villa Favier, sede del Comando della Terza Armata (11).

L'esercito ora requisiva case e mobili, ma anni prima, si era all'inizio della guerra, ai contadini veniva chiesto di consegnare gli animali in loro possesso (12), dai loro grassi, infatti, si otteneva la

glicerina, sostanza indispensabile per la fabbricazione degli esplosivi allora in uso. (13)

Non ci si dimenticava nemmeno del foraggio, indispensabile per alimentare il bestiame a seguito dell'esercito, ma l'amministrazione militare non ne possedeva a sufficienza, per ovviare a questo non le restava che ricorrere ancora, all'aiuto degli agricoltori, quest'ultimi lo cedevano, come si poteva immaginare, di malavoglia, nelle loro mani non rimaneva che un foglio di carta che certificava il credito che vantavano (14); attenzione, se il fieno veniva

considerato di pessima qualità “sono stati impartiti ordini di rifiutare generi non buoni” (15).

8.vedi Doc. 5. 9.vedi Doc. 6 e 7. 10.vedi Doc. 8. 11.vedi Doc 9. 12.vedi Doc.10.

13. 1918 L'ultimo anno della grande guerra, a cura di S. Zanandrea, Treviso 2011, p.126. 14.vedi Doc.11.

(12)

Le persone che ritenevano di avere subito una ingiustizia, potevano rivolgersi agli uffici comunali, gli unici autorizzati a contattare i vertici militari, purtroppo, lo ricordiamo, a Mogliano Veneto, il sindaco era stato sostituito dal commissario prefettizio, una persona priva di legami col territorio e probabilmente meno sensibile alle rimostranze dei cittadini, con il risultato di avere una maggiore difficoltà, rispetto ad altre zone in simili condizioni, di ottenere giustizia.

Con la ritirata dell'esercito, e il conseguente arrivo della Terza Armata, tutta la provincia di Treviso veniva dichiarata zona di guerra, tale denominazione comportava diverse limitazioni, oltre a quelle già esistenti (16), per esempio, bisognava fare molta attenzione

a non danneggiare o peggio, distruggere anche solo per negligenza o imprudenza i sistemi utili alla comunicazione, “chiunque, anche per imprudenza o negligenza , fa sorgere in qualsiasi modo il pericolo di danni alle cose …. È punito con la reclusione militare non maggiore

d’anni cinque”(17), inoltre, esigenze di sicurezza obbligavano

chiunque si spostava da un paese ad un altro ad essere sempre identificabili a tale riguardo diventava basilare presentare il passaporto per l'interno (18), non solo, agli esercizi commerciali

veniva imposto un cambiamento degli orari di apertura e chiusura, con le inevitabili rimostranze del proprietario. A tale riguardo è utile segnalare il caso della farmacia, dove il titolare Guido Zacutti si lamentava dell'orario a suo dire troppo lungo, infatti una ordinanza precedente imponeva a tutte le farmacie del distretto di rimanere aperte dalle sette alle ventuno e a turno una doveva essere aperta anche di notte (19). Zacutti ricordava che in farmacia era rimasto solo

lui a svolgere il lavoro, visto che il suo aiutante, sebbene “inabile permanente alle fatiche di guerra”, richiedeva, per potere rispettare l'orario attribuitogli che quest'ultimo venisse esonerato (20).

16.vedi Doc.13. 17.vedi Doc.14. 18.vedi Doc.15. 19.vedi Doc.16. 20.vedi Doc.17.

(13)

La convivenza con i militari, non si presentava delle più facili per i cittadini moglianesi, ma per la verità al di la di piccole intemperanze come nel caso di Vian Ezio, non si registrarono grandi problemi. Il Vian aveva l'abitudine di gridare contro ai soldati e non contento un giorno ne assaliva uno con un sasso ferendolo a un orecchio. Il comandante, nella sua lettera sottolineava che il Vian era malato di mente e per questo non veniva denunciato alle autorità, “perché si ritiene che egli abbia commesso i reati stessi in stato di incoscienza completa e che più che di azioni repressive ha bisogno

di cure”(21). Dunque, non si avevano grandi problemi tra popolazione

e militari, ma preoccupazioni si, alcune fondate, altre meno, come nel caso di quel veneziano proprietario di una villa a Mogliano, occupata da un reparto di Bersaglieri d'assalto, che esprimeva in una lettera indirizzata al segretario comunale, la sua viva preoccupazione per gli alberi e i fiori del giardino e confidava nell'intervento comunale per una soluzione felice per tutti (22).

In realtà alla grande massa dei soldati di prima linea, quando giungevano nelle retrovie, importava solo una cosa: riposare. Le granate, i combattimenti, la tensione per il pericolo che incombeva, portava a lunghi periodi di veglia.

Raccontava Ugo Fabbris (23) che casa sua era stata scelta per

ospitare per un giorno e una notte, un ufficiale, proveniente dal fronte. Si trattava di un ragazzo di nobile famiglia e le donne di casa si misero subito all'opera perché l'ospite non doveva avere nulla da ridire: pulita la camera, biancheria pulita, acqua per lavarsi, tutto doveva essere perfetto. Ma la delusione che provarono fu molta quando, l'ospite tanto atteso, chiese subito un letto e immediatamente, senza togliersi gli stivali si mise a dormire; dormì per tutto il tempo della sua permanenza e ripartì, senza nemmeno toccare cibo.

A Mogliano, vista la vicinanza del fronte, passavano molti soldati e la "casa del soldato" era pronta ad accoglierli. Si trattava di

21.vedi Doc.18. 22.vedi Doc.19.

(14)

una istituzione creata dal cappellano militare capitano Don G. Minozzi, la sua idea era che il soldato aveva la necessità di avere un posto dove rilassarsi, giocare, praticare lo sport, ascoltare la musica, spedire la posta, a tale scopo veniva scelta villa Zanga, l'istituzione ebbe molto successo, grazie anche all'aiuto della popolazione che accorreva quando ce n’era bisogno (24).

Non mancavano nemmeno gli Ospedali da Campo, il primo

veniva insediato nel 1916, dunque prima della sconfitta di Caporetto, nel collegio Astori (25), questo ospedale operava per tutto il corso

della guerra, con denominazioni diverse: Ospedale da Campo 235, Ospedale di Tappa, Ospedale 237, molti documenti lo citavano semplicemente come Ospedale Militare, arrivava a contenere fino a 200 posti letto ed era attrezzato per ospitare i casi più gravi.

Il Consiglio comunale, informato dalla trasformazione del collegio Astori in ospedale ordinava l'abbattimento di sei alberi che si trovavano nel cimitero per fare posto alle inevitabili sepolture, inoltre, ogni tomba doveva avere un cippo con nome e cognome, data di nascita e di morte, lo scopo era che i parenti non dovevano avere difficoltà nell'individuare il congiunto. Con il prolungarsi della attività bellica, altri ospedali venivano a insediarsi a Mogliano Veneto, uno nella scuola elementare del centro, con la denominazione di Ospedale da Campo 017, un altro lo si trovava in via Marochessa presso villa Frisotti, anche il Pellagrosario diventava sede di un Ospedale, a Campocroce se ne potevano trovare altri due, uno nella Filanda Motta l'altro nella vicina scuola, non mancava nemmeno l'Ospedale della Repubblica di San Marino che si stabiliva

prima a Zerman e successivamente nella villa Volpi di Marocco (26).

24. AA.VV. Mogliano da Caporetto a Vittorio Veneto cit., p.53. 25.vedi Doc. 20.

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Capitolo 3

Profughi

Con il proseguo della guerra il fronte austro-italiano diventava sempre più cruento, gli scontri tra i due eserciti spingeva verso le zone interne dei paesi sempre più persone.

Questo lo si doveva al cambiamento della strategia bellica. A differenza del passato, quando una singola battaglia decideva il risultato di una guerra, in questa, si affermavano nelle menti degli strateghi, la tecnica dello sfondamento prima, e quella del logoramento poi. Il comando concentrava le forze in un preciso settore del fronte, sfruttava tutto il peso dell'artiglieria, successivamente mandava all'assalto la fanteria, non curandosi del numero di soldati destinati a perire. Il risultato di tutto questo sforzo spesso risultava nullo. Si passava quindi alla seconda tecnica: si sottoponeva il nemico a continui getti di fuoco e aggressioni umane, lo scopo era di logorare la capacità di resistere. Anche questa tecnica alla fine non portava ai risultati sperati, al contrario, rischiava di logorare chi la praticava (27). Ma quello che interessava al di la delle

considerazioni strategiche, era che l'impiego prolungato degli eserciti nelle zone di guerra costringeva inevitabilmente chi in quelle zone ci abitava, ad abbandonarle; le lasciavano in balia agli eserciti belligeranti. Tutto questo era destinato ad aggravarsi con la sconfitta di Caporetto dell'esercito italiano e il conseguente ritiro sulla linea del Piave. Questa tragedia, portava a un precipitoso esodo che coinvolgeva migliaia di persone, interi paesi venivano privati, prima ancora che delle loro bellezze architettoniche e artistiche, dei loro cittadini. Fuggiva il sindaco, l'assessore, il consigliere comunale,

(34)

scappava l'impiegato pubblico, il medico di famiglia e il maestro elementare, figure che godevano di alto prestigio tra la popolazione. Quest'ultima vedeva la classe dirigente che fuggiva e decideva in gran parte di seguirla seppure, lo si poteva immaginare con mille preoccupazioni. La loro fuga all'inizio era assai disordinata, si cercava rifugio presso parenti, amici, oppure semplici conoscenti; si cercava inoltre di non allontanarsi troppo dalla propria casa, dai poderi, dalle proprietà. Qualcuno rimaneva, ma erano in gran parte anziani che non volevano lasciare in nessun caso i loro beni in balia del nemico; questo nel caso di possibilità di scelta, ma nella maggioranza dei casi l'esercito ordinava l'abbandono delle case.

Di fronte a un esodo così imponente, dove spesso le autorità non avevano brillato per altruismo e organizzazione, anche se ci furono lodevoli eccezioni, rimanevano però al loro posto le autorità religiose, il problema per molti parroci non si poneva nemmeno, in assenza di direttive chiare, i religiosi applicavano il loro diritto canonico, che li obbligava a rimanere anche nel caso che nella parrocchia fossero rimaste poche persone (28).

Lo sconforto dei profughi era grande e a questo si doveva aggiungere la generale freddezza con cui venivano accolti dalla popolazione, la loro condizione si dimostrava molto dura e non solo dal punto di vista economico, essi venivano considerati spesso dei traditori, delle spie austriache, insomma, non godevano di buona fama.

Le autorità non sapevano come comportarsi con queste persone, spesso restie ad allontanarsi troppo dal loro paese di origine, ad un certo punto veniva accarezzata l'idea di creare dei campi di concentramento, idea abbandonata per l'eccessivo dispendio di risorse necessarie per la loro realizzazione. Alla fine si decideva di distribuire questi sfollati nelle varie città e paesi d'Italia. Questa soluzione comportava diversi problemi, molti comuni vedevano la popolazione raddoppiata in poco tempo, l'ordine pubblico diventava a rischio, mancava il cibo e l'assistenza sanitaria(29), la cosa più grave era che profughi dello stesso comune

(35)

28. S. Zanandrea, 1918 l'ultimo anno della Grande Guerra , Treviso 2011, p.78. 29. Ibid., p.117.

rischiavano di accasarsi in varie località spesso molto distanti tra di

loro, con la conseguente disgregazione della comunità.(30)

Tutto questo portava alla richiesta da parte di molti profughi ad un trasferimento in quelle zone, dove maggiore era la presenza di paesani; nascevano, come conseguenza episodi di malcontento con accuse reciproche tra sfollati e autorità civili.

All'inizio Treviso veniva scelta come centro di raccolta dei profughi, si creavano degli appositi uffici che avevano come scopo quello di assistere le famiglie, spesso ridotte a veri e propri spezzoni: figli senza genitori, spose senza marito e vecchi lasciati soli durante la fuga. Successivamente il posto di Treviso lo prendeva la città di Bologna e con l'aumentare del flussi altre città furono interessate,

come Modena e Ravenna (31). Questi sfollati venivano per la

maggior parte caricati nei treni, per essere portati nelle località a loro destinate, compito del Prefetto era quello di avvisare le autorità interessate del passaggio e la destinazione del treno (32).

3.1 - Mogliano Veneto e i profughi.

Anche Mogliano veniva coinvolta nell'assistenza di questi infelici, un documento certificava che le famiglie di profughi, residenti nel comune erano 85 per un totale di 316 persone, di cui 136 di sesso maschile e 180 di sesso femminile, con 6 bambini di età inferiore ad un anno, tutti arrivati nel periodo che andava dal

Novembre 1917 a fine Maggio 1918 (33). Il medesimo documento

sottolineava che queste persone non avevano creato mai nessuno problema, che avevano provveduto da soli a trovarsi una abitazione,

30.Sacco, Monticone, Rigoni Stern, Attualità della Grande Guerra cit., p.101. 31. Tazzer, Piave e dintorni cit,.p.25.

(36)

33. vedi Doc.22.

che molti lavoravano e dunque il sussidio che veniva loro dato non superava i Cent. 90 per persona. Nulla si sa della loro provenienza, il documento in questione si limitava a dire che venivano da quei Comuni sgomberati a causa dei bombardamenti che rendevano difficile il "normale svolgimento della vita civile". Di norma le famiglie che arrivavano erano molto numerose, spesso mancava il marito e con la presenza di numerosissima prole, per rendersene

conto è sufficiente dare uno sguardo a qualche documento, (34) non

era raro imbattersi infatti, in famiglie con sette, otto o più bambini. Il soggiorno a Mogliano non doveva essere problematico per i profughi, lo si poteva riscontrare dall'assenza di documenti che riguardavano il rapporto tra i locali e i nuovi venuti, nessun caso di maltrattamento o di abuso veniva segnalato. Un dato di fatto rimaneva comunque certo, queste persone avevano bisogno di tutto, avevano lasciato tutti i loro beni, anche se pochi, nei territori invasi, con la quasi certezza di non ritrovarli, se mai avessero fatto ritorno.

Ma non erano tutti uguali, qualcuno aveva perso di più di altri, era il caso di quella mamma, che durante la ritirata di Caporetto, “affidò i suoi due bambini ad un gruppo di artiglieri (probabilmente treno)che si dirigeva verso Pordenone con una carretta. Gli artiglieri promettevano di condurre i bambini, a Pordenone fu occupata dal nemico negli stessi giorni. La madre condotta nel Regno, in breve tempo è impazzita, fortunatamente ha potuto dire i nomi dei bambini… Le ricerche fatte, per mezzo della Croce Rossa Austriaca non ebbero effetto. Liberata Pordenone, s’è chiesto a quell’ospedale, ma pare che i bambini non ci siano e non ne sappiano nulla”.

Ad oggi non abbiamo nessun riscontro e si ignora come la faccenda si sia conclusa (35).

34.vedi Doc.23. 35.vedi Doc. 24.

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Capitolo 4

Donne

La Grande Guerra è sempre stata ricordata come una storia dove la figura maschile regnava esclusiva. I libri che raccontano la prima guerra mondiale sia quelli destinati al grande pubblico, sia quelli più tecnici, narrano di generali, di condottieri pronti a tutto, di eroi, di disertori, di vigliacchi, tutti però rigorosamente maschi.

Le poche donne che comparivano, escluse le infermiere, erano viste come eccezioni, che il fato voleva fossero la in quel preciso istante. Come quei personaggi destinati ad avere solo una piccola parte nella commedia, poco importanti per il racconto, la parte principale era solo ed esclusivamente del maschio.

Le donne in quegli anni davano invece, un contributo grandissimo, furono loro che, oltre ai propri doveri familiari si vedevano costrette a sostituire gli uomini, impegnati in guerra, nei posti di lavoro che rimanevano vacanti, svolgevano lavori che richiedevano forza, intelligenza e abilità che prima della guerra non pensavano minimamente di intraprendere, accettavano questi lavori, non solo per patriottismo, che pure esisteva, ma sopratutto per bisogno.

Si trattava di un momento molto importante per la vita sociale del Paese, per la prima volta la donna, passava da "angelo del focolare" a membro attivo dell'economia e della società collettiva.

Molte di loro, per la verità, erano già abituate a lavorare nei campi, o nel tessile, per quanto riguarda l'industria. Ma adesso il loro numero aumentava considerevolmente e venivano impiegate in settori del tutto nuovi, come la metallurgia, la meccanica, i trasporti, oppure nelle mansioni di tipo amministrativo.

Questo processo così repentino, non si presentava del tutto indolore. Le donne venivano obbligate a compiere gli stessi lavori dei loro colleghi maschi, anche quelli più pesanti. Nei campi spostavano i covoni di fieno o i sacchi di grano, accudivano il

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bestiame e utilizzavano tutte le macchine agricole. All'interno delle fabbriche dovevano sollevare pesi non indifferenti e compivano gesti ripetitivi e meccanici (36).

L'attività più importante era l'industria delle munizioni molte donne si ammalavano, perché costrette a maneggiare sostanze molto pericolose, come l'acido picrico. Le fabbriche di esplosivi e i depositi costruiti anche vicino a centri abitati erano una continua minaccia, un incidente poteva nascere in qualsiasi momento.

Per incrementare al massimo la produzione venivano praticamente cancellate le poche norme di sicurezza che esistevano e le operaie militarizzate e ridotte quasi in schiavitù.

Per motivi di propaganda, le notizie di incidenti, venivano censurate in maniera talmente efficace che, a parte gli episodi più eclatanti, quelli dove il danno era talmente evidente e quindi impossibile da nascondere, ancora oggi è difficile trovare notizie a riguardo (37).

L'unica testimonianza sugli incidenti nelle fabbriche italiane, la dobbiamo al famoso scrittore Ernest Hemingway, all'epoca volontario della Croce Rossa Americana, giunto da poco a Milano prendeva immediatamente servizio a causa del disastro che aveva coinvolto la fabbrica di polvere da sparo Sutter & Thevenot di Castellazzo di Bollate dove un' esplosione aveva provocato la morte di 35 persone, in gran parte donne, oltre a numerosi feriti (38).

La guerra che durava molto più del previsto, richiedeva la presenza e l'impegno di molte donne, per curare i feriti e assistere gli ammalati e non era raro trovarle anche al fronte. Le infermiere infatti seguivano con gli ospedali da campo, le truppe destinate a combattere, molti soldati avrebbero rischiato di morire senza la dedizione e il coraggio di queste donne.

Pochi sanno che durante la prima guerra mondiale esistevano donne che prestavano servizio come medici, correndo gli stessi rischi, le stesse privazioni dei loro colleghi uomini, svolgendo un ottimo lavoro sia al fronte sia nelle retrovie.

36. A. Gibelli, La Grande Guerra degli Italiani, Milano 2009, p.193. 37. AA.VV., Donne nella Grande Guerra, Gorizia 2012, p.70. 38. Ibid. , p.72

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Il servizio sanitario era condotto in larga misura da donne, spesso, direttamente sul campo, non era raro vedere quest'ultime che prestavano i primi soccorsi sotto il fuoco delle artiglierie nemiche. Questo duro lavoro quasi sempre condotto sotto condizioni proibitive, con turni di lavoro massacranti, a contatto con ammalati, indeboliva in molti casi la loro resistenza fisica e molte pagavano con la vita la loro dedizione.

Per quanto riguarda il nostro Paese, la Croce Rossa istituiva all'inizio del secolo dei corsi per la formazione di infermiere. Veniva così creato il Corpo delle Infermiere Volontarie che nel 1915 contava 4000 appartenenti. Durante il conflitto si avevano, sotto la guida della duchessa d'Aosta circa 8000 infermiere che venivano impiegate nei posti di primo soccorso al fronte, nei già citati ospedali da campo e negli ospedali di tutta Italia (39).

4.1 - Le donne di Mogliano Veneto

A Mogliano, come nel resto del Paese la vita delle donne era molto dura. I mariti si trovavano al fronte e la loro lontananza dalla campagna spesso portava all'abbandono parziale e qualche volta totale dei campi. Le donne che nel frattempo erano diventate capo famiglia si ponevano dunque più di una domanda: come sfamare i bambini e i vecchi? Come trovare qualcosa da spedire al marito o al fratello in trincea, se prigionieri riuscire a far arrivare a loro qualcosa per alleviare le loro sofferenze?

Bisognava trovare un impiego.

Le donne di Mogliano Veneto potevano ritenersi fortunate, l'arrivo della Terza Armata con i soldati e ufficiali al suo seguito, portava inevitabilmente del lavoro, le sarte per esempio erano molto richieste, come le lavandaie, molte trovavano lavoro nelle mense come cuoche, oppure negli ospedali da campo come inservienti, la retribuzione per questi lavori era poca cosa, ma il dovuto certo, le

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contrattazioni, infatti, avvenivano attraverso i buoni uffici del Comune (40). Per la prima volta nella loro vita le donne si trovavano

a gestire dei soldi e spesso con ottimi risultati.

Era evidente che le donne di Mogliano Veneto non mancavano di iniziativa, qualcuna a dire la verità andava oltre, violando la legge, come la proprietaria del bar " Venezia " Cazzagon Anna, accusata di avere aumentato arbitrariamente i prezzi, per tale comportamento il locale veniva chiuso, una successiva domanda di grazia concedeva la riapertura, “la esercente predetta fu diffidata da chi scrive ad attenersi scrupolosamente alle tariffe, che deve tenere esposte al pubblico doppoichè, in caso di nuovi fondati reclami a suo carico, le verrebbe la licenza, ed il bar sarebbe fatto chiudere senz’altro e definitivamente” (41).

Che a Mogliano le donne erano dotate di un carattere forte lo si poteva dedurre dal comportamento avuto nel Febbraio del 1917 e riportato in un articolo del Gazzettino che qui riportiamo integralmente:

Verso le 16.30 di ieri, una cinquantina di donne che fin dal mezzogiorno stazionavano in via Olme diedero l'assalto ad un carretto di latte del co.

Bianchi guidato dal colono Giovanni Michelin che era incaricato di spedirlo alla nostra città, e a qualunque costo volevano impossessassi del prezioso liquido per nutrire i loro teneri bambini e i loro cari ammalati. La cosa chissà come sarebbe andata a finire data la resistenza del garzone. Non fossero prontamente intervenuti il nostro solerte maresciallo dei carabinieri ed il nostro egregio segretario prof. Da Monte Gioacchino, i quali con buone maniere calmarono le furie delle figlie di Eva e consigliarono il colonoa lasciare loro il latte occorrente. Certo la cosa è per se stessa incresciosa, ma non possiamo fare a meno di

deplorare il fatto che, pure essendovi qui una enorme

produzione di latte, la città di Mogliano, per ingordigia di maggior guadagno dei produttori, ne è sempre sprovvista.

40. AA.VV. Mogliano da Caporetto a Vittorio Veneto cit., p.45. 41. vedi Doc.25.

(45)

Anziché aspettare a provocare simili disgustose scenate, per le vie di una civile cittadina come la nostra, perché non si è pensato finora a provvedere? Vogliamo almeno sperarlo ora!(42)

Un’altra prova del carattere, privo di paura delle donne moglianesi, la si poteva riscontrare dal comportamento delle due maestre elementari della scuola sita a Marocco, una località di Mogliano. Le due insegnanti, scrivevano alle autorità dopo l'ordine ricevuto di riaprire la scuola, ma questo per loro era impossibile, visto lo stato " veramente indecente" in cui versava l'istituto. In quali aule dovremmo fare lezione? chiedevano in maniera provocatoria le due maestre: i muri erano sporchi, mancavano i vetri alle finestre, le imposte rotte ed inoltre "mancava la cattedra, l'attaccapanni, l'armadio, il tavolino e il ritratto del Re" tutto requisito dai militari e ne richiedevano l’immediato ritorno (43).

Un lavoro importante, anche se poco conosciuto, praticato dalle donne, consisteva nell'intrecciare dei vimini, che venivano usati nelle trincee, quest’ultime, scavate nella terra, rischiavano di trasformarsi, quando cadeva la pioggia, in veri e propri stagni fangosi, per evitarne la caduta, si consolidavano le pareti e per questo scopo si usavano, proprio i vimini.

Probabilmente si riferiva proprio a questo lavoro il comandante del Genio, quando, rispondendo alla lettera del Commissario Prefettizio di Mogliano, acconsentiva all'assunzione di un numero imprecisato di operaie, da impiegare nei lavori in corso sul fiume Zero (44).

Con la fine della guerra, la situazione delle donne, rimaneva, comunque critica, specialmente per quelle che vedevano tornare il marito invalido e quindi impossibilitato a trovare lavoro. Le donne, invece, i cui mariti figuravano dispersi, potevano, dopo tre anni di attesa, richiedere la dichiarazione di morte presunta, che dava loro diritto ad una pensione da vedova (45).

42. Il Gazzettino, Domenica 11.02.1917. 43. vedi Doc.26.

44.vedi Doc 27.

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Da questa esperienza che si poteva definire tragica, le donne uscivano, comunque con una maggiore fiducia in sé stesse e allo stesso tempo con la convinzione che nulla sarebbe stato come prima. La strada però, verso l'emancipazione doveva essere ancora lunga.

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Capitolo 5

Bambini

La Grande Guerra cambiava radicalmente la vita dei bambini, la chiamata alle armi che per la prima volta diventava totalitaria, non risparmiava nessuno, nemmeno i bambini o le bambine tanto meno gli adolescenti.

Bambini e adolescenti venivano coinvolti nella guerra in vario modo, come lavoratori sulle cui spalle pesavano ora responsabilità e fatiche in passato delegate agli adulti, oppure venivano usati come messaggi propagandistici indirizzati alle famiglie.

Dal punto di vista lavorativo l'apporto che i bambini di tutte le età davano all'industria bellica era assai rilevante, nessuno appariva troppo piccolo di età, troppo basso di statura o scarso di torace, nessuno appariva troppo stupido, maldestro o inetto, per non essere utile alla patria, in guerra. Il mercato del lavoro, fortemente condizionato dalla guerra, dava numerose opportunità e spingeva migliaia di adolescenti ad anticipare il loro ingresso nel mondo lavorativo; si sottolinea che l'erogazione del sussidio familiare che veniva riconosciuto ai figli degli uomini chiamati a combattere,

veniva a cessare al compimento del loro dodicesimo anno di età (46).

Molti assumevano il ruolo di capofamiglia, in molti casi, il guadagno dei più giovani non rappresentava più una semplice integrazione al reddito totale e dal nucleo familiare, ma una risorsa economica indispensabile alla sopravvivenza della famiglia stessa.

Decine di ragazzi, non ancora chiamati alle armi, venivano impiegati nelle industrie che lavoravano per l'esercito, provenivano in larga misura dall'agricoltura, o da quelle attività, che in periodo di guerra non erano particolarmente richieste. La maggior parte di questi adolescenti veniva utilizzata, per lo meno all'inizio, in piccoli o medi stabilimenti industriali, adibiti alle lavorazioni secondarie del

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munizionamento, per esempio: alle casse usate per lo spostamento dei proiettili. Andavano a sostituire quegli adulti che si spostavano in massa verso le grandi industrie più importanti nel periodo bellico, con la segreta speranza di evitare la chiamata alle armi. Oltre a questo, le industrie medio piccole non avevano grandi capitali da investire, erano, quindi, incapaci di introdurre nuovi metodi di lavorazione e l’incapacità di fare concorrenza alle industrie più moderne e con maggiori capitali. La sopravvivenza di queste fabbriche si basava, alla fine, sullo sfruttamento di manodopera poco o per niente qualificata, questi adolescenti e come abbiamo già visto con le donne, erano costretti a mansioni faticose e insalubri, l'orario lungo era la norma, turni che comprendevano le feste e l'orario notturno, ritmi serrati all'interno di una condizione aggravata da una rigida disciplina militare (47). Questa situazione comportava la fuga

dal posto di lavoro di molti ragazzi e chi non fuggiva spesso si ribellava, nonostante le misure repressive messe in atto dagli organi di sorveglianza, che potevano comprendere: una multa, la minaccia di deferimento al tribunale militare, fino ad arrivare al licenziamento. Le assemblee erano molto frequentate, la protesta vivace e decisa, il malcontento diventava sempre più visibile. Da questa dura realtà, si formava lentamente, la nuova classe operaia e i ragazzi assumevano un ruolo autonomo e al contempo centrale nel quadro sociale ed economico della società in guerra, riuscivano con il loro lavoro, a conquistarsi una maggiore visibilità e una dimensione sociale che sfuggiva al rigido controllo familiare, questo diventava però uno dei motivi per il quale la figura di questi giovani operai, suscitava forti timori nell'opinione pubblica(48).

Per quanto riguardava le condizioni di vita dei bambini e degli adolescenti, che avevano la sfortuna di trovarsi in quei territori invasi dalle truppe austriache e tedesche, erano a dir poco pessime. I bisogni delle popolazioni, come era inevitabile, in questi casi, passavano in secondo piano, rispetto alle priorità dell'esercito occupante. I generi alimentari che in origine dovevano andare ai civili, venivano razionati, ma più spesso requisiti, stessa identica fine la facevano gli animali e foraggi, anche le lenzuola e i suppellettili conoscevano il medesimo destino. Nel marzo del 1918 i comandi

47.Ibid. 48.Ibid.

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dell'esercito occupante ordinavano alle autorità di redigere una lista di tutte le persone sia uomini che donne in età tra i 15 e i 60 anni, chi rientrava in questo elenco era destinato ad essere reclutato come manodopera per i lavori più immediati lungo le retrovie austro tedesche; inevitabile che più di qualcuno, davanti a un simile ordine cercava di fuggire, questo comportava una vera e propria caccia di bambini, donne e ragazzi da parte dell'esercito occupante; veniva incaricata per scovare i disubbidienti, la gendarmeria, quest'ultima entrava di sorpresa nelle case o erigendo dei cordoni sulle strade. Si sottolineava in precedenza, che i più colpiti erano le donne e i ragazzi di tutte le età, perché era evidente che gli uomini validi erano tutti mobilitati, oppure, anche se in misura minore, fuggiti (49).

Il precoce impatto con la violenza e la morte, la presenza delle truppe d'invasione, quel sentimento di paura misto a curiosità, le sofferenze dovute alla fame, la mancanza della figura maschile adulta, in precedenza punto di riferimento, oppure lo spettacolo improvviso di un cadavere, erano destinati ad incidere profondamente nella vita di questi bambini e adolescenti, lasciando un segno indelebile per tutta la loro vita.

5.1 - I bambini di Mogliano Veneto

Anche a Mogliano, la guerra faceva sentire i suoi effetti. Fino a Caporetto le scuole avevano funzionato regolarmente, ma dopo, con l'arretramento del fronte, gli edifici scolastici venivano trasformati in ospedali, in caserme, oppure in uffici militari; i ragazzi che prima frequentavano la scuola si trovavano all'improvviso senza nulla da fare.

A casa mancava l'autorità paterna, la mamma spesso assente, a causa dei lunghi turni di lavoro, il risultato fu che i bambini

49. M. Ermacora, Cantieri di guerra.Il lavoro dei civili nelle retrovie del fronte italiano

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vivevano in strada, senza nessuno che poteva accudirli.

Le stesse autorità militari si rendevano conto dei rischi che potevano incorrere questi bambini, tanto che il ten. col. Smaniotto aveva pensato di creare una specie di ricreatorio - scuola.

Nella lettera indirizzata al Comune di Mogliano, il Ten.Col. sottolineava la situazione di disagio della popolazione giovanile, dovuto alla chiusura delle scuole, scriveva nella sua missiva: " il crescente analfabetismo, l'abbandono dei bambini lasciati a se stessi e alle influenze deleterie e ai pericoli materiali della strada, con rammarico dei padri soldati e delle madri che il lavoro intenso sottrae ai naturali uffici e doveri, è venuto nella determinazione di creare un tipo speciale e provvisorio d'istruzione tra la scuola all'aperto e il ricreatorio..."

I bambini, divisi per fasce di età, dovevano studiare la storia, la geografia e l'economia del paese, imparare ad eseguire calcoli mentali, invogliati a fare buone letture, grazie a libri dati in prestito ed esporre per iscritto i loro pensieri (50).

Non tutti i bambini passavano il loro tempo a bighellonare per il paese, qualcuno, per sua fortuna, aveva trovato una occupazione, il compito che gli veniva affidato era di mantenere in buono stato le strade di Mogliano. L'arrivo della Terza Armata, comportava un grande aumento del traffico, la presenza di mezzi per il trasporto delle truppe, carri, ambulanze, che andavano su e giù per il paese tutto, portava ad una inevitabile usura del manto stradale, questo richiedeva una costante manutenzione, e qui entravano in gioco i ragazzi aiutati da una donna o più spesso da un anziano, uno con il badile, l'altro con un barattolo d'acqua attinta dal fosso, livellavano continuamente il manto stradale, il risultato doveva essere lusinghiero, visto che a detta di molti, le strade a Mogliano in tempo di guerra erano tenute meglio che in tempo di pace (51).

Il problema dell'istruzione dei ragazzi e il loro controllo, si presentava anche alla fine della guerra e purtroppo tale problema era destinato a durare nel tempo; a Mogliano dopo le attività belliche l'esigenza di scuole ed asili era molto sentita.

50. vedi Doc. 28.

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Un documento, indirizzato al segretario comunale, faceva capire come la condizione dei bambini fosse triste, la lettera sollecitava l'apertura di un asilo infantile a Zerman, località di Mogliano, per "... raccogliere gli orfani di guerra, i figli dei richiamati e bambini profughi" inoltre per dare "un briciolo di affetto paterno a chi la perduto per sempre".

Si sottolineava che questi bambini vivevano per strada, senza nessuno che gli accudiva, la lettera si concludeva con un appello alla generosità ma sopratutto ad un appoggio del segretario, durante il consiglio comunale (52).

Questa richiesta era destinata ad andare a buon fine, in un altro documento infatti, si avevano i ringraziamenti del parroco per "aver deliberato per una piazza pro asilo di Zerman" (53).

Con un altro documento, redatto sempre nello stesso periodo si decideva di "attivare" due asili a Mogliano, in totale dovevano accogliere duecento bambini, ai quali veniva dato: latte, pane e carne, compito del comune era quello di individuare i bambini che necessitavano di tale servizio (54).

Altro grande problema era quello degli orfani, (55) che si

trovavano in condizioni di vera e propria miseria, le madri non erano in grado di garantire nulla ai figli. Un documento scritto a distanza di due anni dalla fine della guerra, dimostrava in maniera lampante la condizione di forte indigenza di molte famiglie moglianesi. Il Commissario per l'assistenza degli orfani di morti in guerra, infatti, scriveva di nuclei famigliari che non possedevano più nulla, nemmeno il vestiario per i loro bambini; sottolineava a tale riguardo la situazione di una donna con quattro figli, tre dei quali ricoverati in istituto e chiedeva se “era possibile dare una maglia di lana e una camicia all'unico bambino rimasto” (56).

Oltre a questo esisteva il problema della salute, non dimentichiamo che siamo alla vigilia di una pandemia la cosiddetta

52. vedi Doc. 29. 53. vedi Doc.30. 54. vedi Doc.31. 55. vedi Doc 32. 56. vedi Doc.33.

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febbre spagnola, che in poco tempo si diffuse in tutto il mondo, causando milioni di morti, si va dai 21 milioni accertati ai 100 milioni con almeno un miliardo di contagiati. Anche l'Italia veniva colpita da questo misterioso morbo, in solo sei mesi tra la fine di ottobre 1918 e l'aprile 1919 morivano migliaia di persone, anche qui non sappiamo con esattezza la cifra esatta dei decessi, chi dice 375.000 chi si spinge fino a 650.000. Va tenuto presente che a quel tempo gli antibiotici non esistevano (57) e che inizialmente non venne

capita la gravità e l'origine della malattia (58).

Era in questo clima che venivano spediti in breve successione due comunicati: il primo datato 25 ottobre chiedeva di vigilare "in continuazione" sulla salute pubblica (59); ben più incisivo si

presentava il secondo comunicato, un fonogramma a mano urgente spedito solo quattro giorni dopo, esso ordinava "la immediata chiusura delle scuole per bambini" (60).

Altro pericolo, che incombeva sulla popolazione, ma sopratutto sui bambini, vista la loro naturale curiosità e incoscienza era quello dovuto alle varie bombe, proiettili, o altro ancora inesplosi. A tale proposito veniva richiesto a tutti i sindaci della zona di vigilare sulla popolazione " ...che non conoscendo i vari artifizi (bombe a mano, proiettili a gas asfissiante, ecc.) li raccoglie e maneggiandoli ne determina l'esplosione, pregasi vivamente a tutti gli amministrati, affinché vogliano segnalare ai dirigenti l'amministrazione comunale, dove si trovano tali ordigni pericolosi abbandonati sul terreno oppure giacenti in quantità sulle case, in baracche, in caverne o in depositi sotterranei scavati negli argini o nelle trincee ed in altre località." (61).

In conclusione, si poteva affermare che la guerra cambiava in modo radicale il destino di molti bambini: alcuni, una minoranza, si vedevano privati di entrambi i genitori, altri, i più, di uno solo, di

57. La penicillina veniva scoperta solo nel 1928 da Alexander Fleming. 58. M Sapienza, La febbre spagnola in " e-Storia" 1 (2012), p.27. 59. vedi Doc.34.

60. vedi Doc.35. 61. vedi Doc.36.

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gran lunga il padre. Altri diventavano, con il loro salario, indispensabili al sostentamento della famiglia, ma tutti perdevano per non ritrovarla più, quella caratteristica comune in tutti i bambini del mondo: l'innocenza.

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Capitolo 6

Uomini

L'Italia si trovava nel 1914-1915 in una situazione singolare, in teoria continuava ad essere alleata con l'Austria-Ungheria e la Germania, però non interveniva al loro fianco, con la scusa che l'attentato di Sarajevo non veniva considerato una aggressione anti austriaca da parte della Serbia (62).

Veniva così dichiarata una neutralità che durò nove mesi, durante questo periodo la stragrande maggioranza della popolazione era ben lieta che l'Italia non partecipasse a nessuna guerra, la loro speranza era che questa condizione di non belligeranza durasse fino alla fine.

Il periodo che la nazione passava, dal punto di vista sociale non era dei più felici, nel mondo operaio e contadino non mancavano i problemi, che spesso sfociavano in veri e propri conflitti, scioperi e manifestazioni sindacali si dichiaravano nel centro nord del Paese.

Nel Mezzogiorno si sentivano ancora gli effetti relativi alla guerra in Libia del 1911-12, oltre a questo era ancora viva nella memoria delle persone, il disastroso terremoto di Messina del dicembre del 1908, che aveva distrutto la città e provocato oltre sessantamila morti, tutto questo contribuiva ad accrescere il sentimento di forte contrarietà all'intervento dell'Italia in guerra (63).

Con la discesa in campo dell'Italia il 24 maggio 1915 e le conseguenti disavventure belliche, che facevano allontanare la speranza di una guerra di breve durata, iniziavano a diffondersi le lamentele, per il rincaro del costo della vita, che i giornali dell'epoca riferivano, badando bene, comunque, di non provocare la censura.

La stampa attraverso la cronaca locale pubblicava le notizie sui funerali dei caduti e le restrizioni dovute alla guerra.

62. Sacco, Monticone, Rigoni Stern, Attualità della Grande Guerra cit.,p.16. 63. Ibid., pp.23-24.

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Tutto questo contribuiva a prendere coscienza del grande sacrificio richiesto alla popolazione e più di qualcuno si chiedeva se ne valeva la pena.

Durante i tre anni di guerra, venivano mobilitati 4 milioni di uomini, i morti saranno 600 mila, il totale di feriti ed invalidi raggiungeva la cifra di un milione e 500 mila (64).

6.1 - Gli uomini di Mogliano Veneto

Anche Mogliano Veneto, vedeva la partenza verso il fronte di numerosi uomini. Non tutti partivano, il medico condotto godeva di una dispensa, la legge stabiliva che ci doveva essere un medico ogni 5000 abitanti, l'ordine dei medici a tale riguardo poneva la questione ai comuni e pregava le autorità di avvisare il Ministro della Guerra per ottenere la dispensa, il rischio consisteva che la chiamata alle armi arrivasse prima, con la conseguente partenza del medico privando il comune dell'assistenza sanitaria (65). Questo eventualità

probabilmente era più frequente di quanto si credeva, abbiamo infatti un documento del Ministero dell'Interno che sollecitava i Prefetti a vigilare affinché il personale medico non fosse richiamato, "questo Ministero", diceva il documento " non può non preoccuparsi della assoluta necessità di evitare che alla organizzazione dei servizi di assistenza sanitaria e farmaceutica vengano, in conseguenza dei richiami dei quali si tratta, inflitte diminuzioni che ne compromettano quella sicura efficienza..."(66).

Altri facevano di tutto per non partire, accampavano come pretesto, l'assoluta importanza per la popolazione, del loro lavoro. Era il caso del gestore del mulino,che scriveva al sindaco pregando quest'ultimo

64. dati raccolti dal sito ufficiale dell'esercito italiano, www.esercito.difesa.it 65.vedi Doc.37.

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di fare le "opportune pratiche... in considerazione dei buoni servizi che detto mulino rende in tutto quel circondario..."(67).

La partenza dei mariti, dei figli in ogni caso rendeva problematica la vita di numerose famiglie, la Deputazione Provinciale di Treviso, elargiva alle famiglie povere dei richiamati sotto le armi la somma di 102.000 lire per l'intera provincia, la quota veniva divisa a seconda del numero di abitanti. A Mogliano Veneto toccavano 1.345 lire, e grazie a questo documento vediamo che all'inizio della guerra la popolazione contava 9635 abitanti (68).

Si sapeva che all'epoca la stragrande maggioranza della forza lavoro a Mogliano Veneto veniva impiegata nell'agricoltura, si poteva facilmente immaginare, la difficoltà di chi rimaneva, a gestire i campi, le domande per una licenza, dunque, sicuramente non mancavano. Il Prefetto con un telegramma, indirizzato al comune, faceva presente che esistevano dei moduli in vendita nella tipografia del paese, che debitamente compilati, davano la possibilità di godere di alcuni giorni, in questo caso per la semina, di licenza (69).

La situazione era grave, molte persone si trovavano in difficoltà, per cercarle di lenirle, nascevano diversi comitati e associazioni, spesso presieduti da donne, appartenenti a ceti agiati, queste persone sentivano il dovere di aiutare chi più era obbligato a contribuire col proprio sacrificio fisico ed economico alla guerra, valeva a dire, i soldati e le loro famiglie.

Il Comitato Provinciale di Soccorso per le famiglie dei maestri che periranno nella Guerra d'Italia, scriveva al sindaco di Mogliano per ricordargli che gli insegnanti del suo comune " si sono spontaneamente obbligati a rilasciare ogni mese fino al termine della guerra le somme corrispondenti all'uno per cento dello stipendio netto; di devolvere i tre quarti di tale somma alla Preparazione Civile del Comune ed un quarto a questo Comitato..."(70).

Il Comitato di Assistenza Civile di Mogliano riceveva i ringraziamenti dall'esercito per "la generosa offerta che ha permesso,

67. vedi Doc.39. 68.vedi Doc.40. 69.vedi Doc.41. 70.vedi Doc.42.

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di acquistare oggetti di grande utilità", oltre ai soldi il Comitato spediva anche 255 paia di calze di cotone e 24 di lana "pure molto utili"(71).

Il più caratteristico, senza dubbio, era il Comitato Nazionale pei Sigari ai Soldati Combattenti, il compito che si era dato era quello di "inviare ai soldati combattenti sigari e trinciati e per prendere tutte quelle iniziative che possono praticamente facilitare e sviluppare tale nobilissimo slancio...", per riuscire in questo si chiedeva l'aiuto di tutti i "Sindaci d'Italia sicuro che l'appoggio e l'aiuto loro non verrà a mancargli e rivolge pertanto ai primi cittadini della Patria il nobile appello"(72).

La società Dante Alighieri invece chiedeva ai propri soci "quando non debbano servire la patria coll'armi, sian pronti a darle in altre forme la loro attività, nel momento del bisogno; questo Comitato sarebbe fiero se tutti gli iscritti non vincolati al servizio militare figurassero nei quadri della preparazione civile"(73). Il

Comitato Trevigiano di Preparazione Civile chiedeva ai cittadini la loro collaborazione "allo scopo di assicurare continuità e regolarità di svolgimento a tutte le attività civili ed industriali del nostro Comune contribuendo così all'efficacia dell'azione militare..." e concludeva "voglia scegliere fra i vari servizi elencati nell'unita scheda quello che Ella giudica più adatto alle proprie attitudini e favorisca inviare la scheda stessa firmata e completata..."(74).

La guerra nel frattempo continuava e cominciavano ad arrivare le lettere che annunciavano i primi caduti e dispersi, era il caso di un certo Bellio, il comandante scriveva che di lui non si sapeva più niente, che risultava "irreperibile e deve presumersi morto"(75).

Le famiglie dei militari caduti, se bisognose potevano sperare di ottenere un piccolo contributo come la famiglia Bergamo che riceveva da una apposita Commissione, un sussidio di 200 lire (76).

71.vedi Doc.43. 72. vedi Doc. 44. 73. vedi Doc. 45. 74. vedi Doc. 46. 75. vedi Doc. 47. 76. vedi Doc. 48.

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I lutti erano frequenti in questi anni di guerra, molte famiglie di Mogliano si vedevano recapitare lettere che annunciavano la perdita del figlio o del marito. Ma probabilmente nessuna raggiungeva il triste record della famiglia Carraro; il padre aveva visto partire uno alla volta i suoi cinque figli, di questi tre erano morti e scriveva al distretto di Treviso pregando "codesto Comando di disporre gli sia immantinente esonerato dai servizi di prima linea uno dei due rimasti e cioè Augusto della classe 1898..." il padre rispondeva a una precedente richiesta fatta dal Comando, che le chiedeva quale dei due figli voleva allontanare dal fronte, infatti la lettera continuava " dal sottoscritto designato in risposta al telegramma di codesto Distretto N° 16882 su ordine del Comando Supremo"(77).

Chi non moriva spesso veniva fatto prigioniero, era il caso di Capelesso Francesco, le autorità militari avvisavano che il soldato si trovava in un campo di prigionia in Austria e di avvisare la famiglia(78). Nel corso della guerra, specialmente dopo la rotta di

Caporetto, molti soldati subivano il medesimo destino.

La guerra che si pensava breve, continuava e dal fronte giungevano notizie assai lusinghiere per il comportamento in battaglia dei soldati moglianesi. Non è facile oggi conoscere il numero dei decorati nella Grande Guerra, nei mesi o addirittura negli anni successivi venivano consegnate nuove onorificenze che rimediavano ad un torto subito, oppure servivano ad assecondare opportunità politiche (79).

Di sicuro due Medaglie d'Argento venivano assegnate al fante dei reparti d'assalto Attilio Novello (80). Altra Medaglia d'Argento al

soldato Miatto Giuseppe (81). Al soldato Segato Giuseppe, invece le

veniva consegnata una Croce al Merito (82).

In totale, ma il bilancio, non è certo, a Mogliano si contavano alla fine della guerra: sette Medaglie d'Argento, sei Medaglie di Bronzo e una decina di Croci al Merito (83). Tanti erano inoltre i

riconoscimenti minori, come quello in denaro consegnato alla

77. vedi Doc. 49. 78. vedi Doc. 50.

79. AA.VV, Mogliano da Caporetto a Vittorio Veneto, cit.,p.51. 80. vedi Doc.51.

81. vedi Doc.52. 82. vedi Doc.53.

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famiglia del soldato Callegaro Giulio dalla Croce Rossa americana "...non solo a titolo di fraterna solidarietà ma in omaggio anche alla ferma e patriottica condotta del congiunto alla fronte ove dà quotidiana prova di assolvere con fedeltà il più alto dovere civico nel quale si sommano le virtù del disinteresse e del sacrificio" (84).

Se esisteva chi nei campi di battaglia si faceva onore, è altresì vero che esistevano persone che da quei campi tentavano di fuggire in tutti i modi. I documenti in nostro possesso ci dicevano che anche a Mogliano ci furono dei disertori. Sono proprio le autorità militari a confermarlo, quando scrivevano al sindaco che il "militare Carraro Federico per diserzione venne condannato dal Tribunale di guerra all'ergastolo...egli gode di ottima salute, può scrivere una volta ogni quattro mesi..." (85). Altro militare condannato all'ergastolo per

diserzione era Brugnaro Fortunato, il documento che lo riguardava ci dice anche che "è stato dimesso dalla casa penale di Castiadas in seguito ad amnistia e munito di foglio di via obbligatorio..." (86).

Vicende, queste, che finivano bene, molti soldati non avevano avuto la medesima fortuna di un regolare processo, le esecuzioni sommarie in quel periodo erano molto frequenti, specialmente se incontravano sulla propria strada il generale Andrea Graziani (87).

Non mancavano i risvolti comici, dovuti probabilmente alla situazione di totale confusione generale, dopo la ritirata di Caporetto; come nel caso di Speronello Carlo, portaferiti dell'Ospedaletto da Campo n° 308, durante un "ripiegamento sulla

84. vedi Doc.54. 85. vedi Doc.55. 86. vedi Doc.56.

87.Andrea Graziani (1864-1931), generale, proveniente dai bersaglieri, comandò diverse

brigate e divisioni. Il suo compito alla fine dell'anno 1917 era quello, in origine, di ricomporre in unità organiche gli sbandati e i dispersi e per centrare la consegna si affidava alla paura e al terrore, come quella volta che ordinava di fucilare un artigliere, reo, a suo dire di averlo guardato con un atteggiamento di sfida e di avere il sigaro in bocca. Accusato di ferocia, Graziani si giustificava che occorrevano mezzi straordinari per salvare la patria in circostanze così gravi come quella provocata dalla disfatta di Caporetto.

Nel 1919 il generale Graziani veniva collocato a riposo d'autorità.

Moriva nel1931, cadendo dal treno in corsa. La sua morte rimaneva avvolta dal mistero, ma l'inchiesta per appurare fatti e circostanze, nonché eventuali responsabilità, si chiudeva in fretta e furia, senza nulla di fatto. Ma i dubbi restavano: si era davvero trattato di

incidente oppure di una vendetta a distanza di anni? Qualcuno poteva avere avuto un movente per uccidere? Domande che, ancora nei giorni nostri, sono senza risposta.Tratto dal libro Piave e dintorni cit.,p.36.

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destra del Piave. Che dopo tale fatto egli scomparve e non venne riconosciuto tra i militari dei quali legalmente accertata la morte o che risultarono essere prigionieri. Che perciò è irreperibile e deve presumersi morto il 26 ottobre 1917" (88). Il Commissario prefettizio

di ricevuta la comunicazione rispondeva "informo che il soldato Speronello Carlo di Taddeo, appartiene all'artiglieria da Campagna, servizio di guardia al Santuario di Bergamo, gode ottima salute ed ora trovasi a Mogliano in licenza ordinaria" (89).

Con la sconfitta a Caporetto, la situazione dell'Italia si faceva critica, veniva chiamata così alle armi la classe del 1899. Da una ricerca del Cap. Filippo Castagnoli, effettuata presso l'Archivio di Stato, sui "ragazzi del 99" di Mogliano, si riscontrava che furono 104 gli arruolati, di questi, 87 rimanevano soldati semplici, 10 venivano promossi caporali, 2 caporalmaggiori, 1 sergente, 1 aspirante allievo ufficiale e ben 3 sottotenenti.

Il 74% era alfabetizzato contro il 26% che non sapeva ne leggere ne scrivere.

In maggioranza, ben 60 facevano i contadini, 16 i carrettieri, 3 studiavano, 2 erano allievi, 2 i fuochisti, 2 i calzolai, 2 i fornai, 2 gli impiegati e 1 ciascuno lavorava come agronomo, automobilista, barcaiolo, bracciante, cameriere, fabbro, falegname, ferroviere, giardiniere, manovratore ferroviario, meccanico, muratore, panettiere, pittore edile, pizzicagnolo, sarto e sellaio. Nei registri di leva, ne risultavano iscritti altri 18 ma, per molteplici motivi come, inidoneità fisica o perché espatriati oppure renitenti, non venivano arruolati (90).

Di questi ragazzi 5 non sarebbero più tornati a casa, 3 riportavano gravi ferite e 3 cadevano prigionieri.

Alla fine della guerra, il contributo in vite umane di Mogliano diventava considerevole, si contavano 260 deceduti e numerosi

88. vedi Doc 57. 89. vedi Doc.58.

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Invalidi di guerra (91) non pochi con menomazioni gravi, per loro si

profilava un futuro irto di difficoltà.

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