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Il difficile ritorno alla normalità

Nel documento Mogliano Veneto durante la Grande Guerra (pagine 110-148)

La Grande Guerra si concludeva con la vittoria dei regimi democratici in Europa, veniva sconfitto il militarismo tedesco e si disfacevano imperi autocratici che duravano da secoli. Nascevano Stati che avevano nella loro costituzione definivano il ruolo centrale del parlamento. Era il trionfo del principio della sovranità popolare e del governo parlamentare.

Purtroppo in molti paresi, le speranze di un futuro migliore si scontravano con la realtà. Era il caso dell'Italia dove si registrava un'esplosione della violenza politica, da una parte avevamo i simpatizzanti della rivoluzione bolscevica, dall'altra l'esasperazione dei nazionalismi nei paesi che si sentivano umiliati per la sconfitta militare, ma analoga esasperazione la si poteva trovare in quei paesi, che pur facendo parte dei vincitori, non avevano, secondo loro, ottenuto tutti quei vantaggi che speravano d'avere.

Dopo tre anni e mezzo di guerra, l'Italia usciva vittoriosa, superava la prova più ardua sostenuta dagli italiani durante i sessant'anni di unità. La soddisfazione della vittoria era destinata a durare poco, ben presto si trasformava in delusione, tale da far apparire l'Italia come un paese sconfitto. Al tavolo delle trattative i governanti italiani non riuscivano a fare valere le richieste del Paese, che otteneva secondo i nazionalisti, molto meno di quanto essi reclamavano. Nasceva il mito della "vittoria mutilata"(106).

Alle elezioni che si tenevano in novembre del 1919 il partito socialista e il partito popolare di ispirazione cattolica fondato da Luigi Sturzo venivano premiati dall'elettorato, due partiti di massa

che rappresentavano la maggioranza degli italiani contrari alla guerra e ampi settori della popolazione rimasti per lungo tempo ostili allo stato liberale.

Alla fine della guerra, l'Italia si trovava in un contesto molto delicato, esisteva in effetti una situazione dove si fronteggiavano due schieramenti opposti, animati, tutti e due da un forte fanatismo politico, che vedevano nell'altro un nemico da distruggere, non solo metaforicamente: da una parte avevamo i reduci che erano stati interventisti e si consideravano i difensori della vittoria, dall'altra i socialisti che avevano condannato la guerra,

deridevano i reduci, disprezzavano gli ideali nazionali e ambivano a una rivoluzione proletaria e internazionalista sull'esempio della rivoluzione di Lenin.

La violenza dilagava, aiutata, dalla difficile situazione economica in cui si trovava l'Italia nel dopoguerra, scioperi, tumulti, rivolte, occupazioni di terre e fabbriche erano frequenti, abituali gli scontri con la forza pubblica.

L'abitudine al combattimento, l'intimità con la morte, lo sprezzo del pericolo, lo spregio per la vita umana, che milioni di uomini avevano acquisito durante la guerra, aveva avuto come risultato quello di aver allentato i freni inibitori all'uso della prepotenza.

Tutta questa violenza, era dovuta, alla pessima congiuntura economica del Paese, durante la guerra, il sistema economico italiano aveva perso i suoi tradizionali mercati di esportazione, per sua fortuna poteva contare su cospicui finanziamenti da parte degli alleati.

Con la fine del conflitto e con il forte deterioramento della posizione politico-diplomatico italiana le sovvenzioni cessavano, il Paese si trovava così nella sgradevole situazione di avere un altissimo debito pubblico e nel contempo doveva provvedere da solo, senza aiuti, alle necessità vitali dell'Italia.

Dal punto di vista alimentare si doveva fronteggiare un improvviso calo della produzione sia di grano che di altre derrate. Tutto questo portava a una prevedibile fiammata inflazionistica che metteva in grave difficoltà la lira (107).

I numerosi scioperi erano la naturale conseguenza di queste difficoltà in cui si dibatteva il Paese; si scioperava per ottenere migliori condizioni di lavoro e salari più alti, a questo si aggiungevano manifestazioni di contenuto politico. I due motivi finivano col mescolarsi e confondersi, si diffondevano idee rivoluzionarie, come le fabbriche agli operai e la terra ai contadini.

Le preoccupazioni della classe politica liberale, allora dominante, erano due: prevenire e contrastare in ogni modo una rivoluzione comunista e fermare le recriminazioni dei nazionalisti.

L'Italia si trovava ad un bivio.

Il governo Giolitti rifiutava di fare intervenire l'esercito e la polizia, era convinto che il movimento non aveva la vita lunga, sperava che gli operai si rendessero conto che queste occupazioni non portavano alcun risultato. Allo stesso tempo, favoriva la trattativa tra i sindacati e gli industriali e convinceva quest'ultimi a concedere ai lavoratori i tanto agognati miglioramenti salariali.

Si poteva quindi affermare che le continue manifestazioni dei salariati avevano raggiunto il loro scopo, all'aumento della busta paga, corrispondeva un sostanziale miglioramento delle condizioni di lavoro, la giornata lavorativa vedeva una forte riduzione, passava, infatti dalle 11 alle 8 ore.

A fronte di questi innegabili successi, bisognava registrare anche degli aspetti negativi; la borghesia rimaneva impaurita, non solo i grandi proprietari di industrie o di terre, ma, e forse in misura maggiore quel ceto medio, i piccoli borghesi che cominciavano a costituire una classe sempre più numerosa.

Il timore di una possibile rivoluzione, con la conseguente paura di perdere tutti i loro averi, li spingeva ad appoggiare una persona destinata a segnare i destini di tutti gli italiani per un ventennio: Benito Mussolini (108).

8.1 - Mogliano Veneto, com'era alla fine della guerra.

Con la fine del conflitto, il paese non accusava gravi danni, le case, le chiese, le strade erano nello stato in cui versavano prima della guerra. Mogliano in effetti non fu mai zona di combattimento, forse per questo la si considerava sicura, come attestava una cartolina postale "La partenza per Mogian per paura del replan" (109),

dove si raccontava il timore degli abitanti della laguna per i bombardamenti austriaci, ed il desiderio di evitarli fuggendo in campagna. In effetti non risultavano bombardamenti a Mogliano, Una sola volta, il giorno di Pasqua del 1918, veniva colpita da quindici granate. Il fatto non veniva citato dalle cronache di guerra, ma due fonti certe ne testimoniavano la veridicità. Il Vescovo di Padova, monsignore Luigi Pelizzo scriveva al Papa il 4 aprile in una lettera riservata: " ...Il giorno di Pasqua però gli Austriaci gettarono le granate su Mogliano Veneto, dove era il comando della Terza Armata: il cannone tuonò forte, benché il bollettino non ne abbia fatto parola: e dal di là del Piave furono lanciate quindici granate durante il giorno santo di Pasqua! Poi quiete quasi assoluta..." (110).

Questo fatto doveva impressionare gli abitanti, probabilmente non abituati a tanta violenza, perché a distanza di tanti anni nel 1968, la signora Maria Giusto, intervistata da alcuni alunni delle elementari, ricordava perfettamente l'evento (111).

La popolazione di Mogliano, dopo la resa del nemico, veniva pubblicamente ringraziata con un telegramma dal Presidente del Consiglio Orlando " ...per la sua incrollabile fede dei destini della patria" (112).

Il paese, come tutto il resto d'Italia, era stanco di guerra e voleva tornare a una vita normale; il collegio salesiano Astori aveva fretta di riprendere la sua naturale funzione: quella di insegnare, a tale riguardo, chiedeva al sindaco la possibilità di essere riaperto e di svolgere regolarmente l'anno scolastico 1919-20 (113).

109. vedi Doc.61.

110. AA.VV. Mogliano da Caporetto a Vittorio Veneto cit., p.38. 111. Ibid.

112. vedi Doc.62. 113. vedi Doc.63.

Le restrizioni, che avevano un senso negli anni precedenti, ora venivano sopportate a stento, dovevano rispettare un rigido orario, tutti gli esercizi pubblici, facevano parte di questa categoria anche le stazioni ferroviarie, il decreto diceva che: "potranno aprirsi un'ora prima dalla partenza del primo treno chiudersi un'ora dopo la partenza dell'ultimo treno"(114). Contro questa situazione, prendeva

posizione il capostazione di Mogliano, a circa due anni dalla fine della guerra, scriveva al sindaco e faceva presente che alle 23 arrivava un treno con molti "commessi viaggiatori e più specialmente genitori dei bambini che si trovano nel Collegio dei Salesiani , ai quali avendo ogni esercizio pubblico chiuso, pregano i dirigenti di permettere loro di trattenersi nella sala d'aspetto fino al mattino". Il capostazione sapeva bene l'assoluto divieto di dare ospitalità agli estranei, ma al contempo non se la sentiva di cacciarle fuori. La lettera terminava con un consiglio: " obbligare la ex conduttrice dell'albergo la Fenice che ora ha aperto una locanda con alloggi in prossimità di questa stazione a tenere aperto l'esercizio fino dopo il passaggio di quest'ultimo treno" (115).

Continuavano, nonostante la fine delle ostilità, le requisizioni. Le richieste di locali in effetti era ancora pressante nel 1919 (116).

Questa situazione, cominciava ad esasperare i proprietari e numerose lettere giungevano al sindaco, nella speranza che quest'ultimo riuscisse a far tornare a loro la casa, molti erano lontani dalla loro proprietà da diversi anni e temevano di non ritornarne più in possesso C'era chi raccontava la sua situazione, di sfrattato dal 1917, come quel signore che scriveva da Mestre e aveva fretta di ritornare al suo domicilio a Zerman, la sua casa, dall'inizio della guerra era stata occupata da molti reparti e scriveva "... questo reparto dovrebbe tra qualche giorno lasciare Zerman, per recarsi nella zona di Venezia Giulia; ma io non potrò iniziare i lavori di risarcimento ai numerosi e gravi danni apportati nella casa se non si addiviene alla formale riconsegna della casa stessa del Presidio di Zerman". La lettera continuava e faceva presente la situazione famigliare, "... la mia famiglia è rifugiata sin dal 1 novembre 1917 a Ferrara ed il mobilio è ricoverato in un granaio presso Bologna ed io

114. vedi Doc. 64. 115. vedi Doc. 65. 116. vedi Doc. 66.

devo pagare il fitto dell'alloggio a Ferrara oltre a quello del granaio..."(117). Situazioni come questa dovevano essere frequenti, ce

lo confermava un'altra lettera; anche qui il proprietario essendo venuto a conoscenza della partenza dei militari, la sua casa infatti era stata adibita, per lungo tempo come ospedale da Campo, scriveva " ...ho preso tutte le disposizioni per riabitarla con la famiglia e che si trova a Venezia... prega quindi di prendere in considerazione la presente affinché la sua abitazione non possa più essere requisita" (118).

Avevano fretta a ritornare alla normalità anche gli industriali stanchi di subire una occupazione che consideravano decisamente fuori luogo, oppure, come il titolare della ditta Pietro Motta, temevano che i militari rioccupassero l'azienda, scriveva il titolare della omonima ditta: "Com'Ella Sto arrivando!, in questi giorni sentiamo di riprendere il lavoro, per il quale un considerevole numero di ragazze operaie permarranno sul posto e vi alloggeranno. Tutti i locali attrezzi macchinari sono sistemati per la ripresa sarebbe quindi impossibile utilizzare altro spazio per qualsiasi uso... confidiamo non essere distolti dal lavoro proficuo e ci saranno evitate successive occupazioni militari (119).

A tre mesi dalla fine delle ostilità, i locali occupati a vario titolo dall'esercito erano ancora molti (120).

Bisogna sottolineare che il problema delle requisizioni, coinvolgeva solo una piccola parte della popolazione, quella parte che godeva di una situazione economica che si poteva definire privilegiata. La gran parte della popolazione, aveva un problema sicuramente più impellente, un problema che metteva a rischio la loro stessa sopravvivenza: la fame.

A darne notizia è sempre il titolare della ditta Motta; nel giugno del 1919 stilava una lettera indirizzata al sindaco, questa missiva ricordava all'autorità che già "dallo scorso mese di gennaio la Ditta sottoscritta pregava la S.V. volersi compiacere far assegnare, dall'Autorità competente, quintali 30 di granoturco, indispensabili per il vettovagliamento del numeroso personale dipendente dell'Azienda stessa. Presentemente la Ditta scrivente ha quasi

117. vedi Doc. 67. 118. vedi Doc. 68. 119. vedi Doc .69. 120. vedi Doc. 70.

completamente esaurita la scorta di sua produzione e proprietà, prega quindi la S.V. far sollecitare il più possibile l'assegnazione, se non in tutto almeno in parte per ora, del quantitativo di granoturco richiesto (121). La situazione non doveva migliorare se passato più di

un anno il titolare della ditta scriveva ancora alle autorità rammaricandosi della sospensione "dell'assegno del pane che quotidianamente si ritira presso il forno del signor Vendramin".

Dalla lettera si veniva a conoscenza che era compito della ditta fornire l'alloggio alle 35 operaie residenti lontano da casa, inoltre, si impegnava a fornire loro il pane. Questa situazione metteva "la Ditta in serio imbarazzo, in conseguenza di tale provvedimento, né sapendo in quale modo poter rimediare alla difficile situazione cui si verrà a trovare rispetto anche le operaie, prega vivamente la S.V. ill/ma di compiacersi voler prendere interessamento presso le competenti autorità ed ottenere che il provvedimento venga revocato

(122).

La situazione doveva essere grave se il sindaco prendeva la decisione di scrivere all'Onorevole Girolamo Marcello, (123).

La lettera lo ragguagliava sulla situazione "estremamente penosa per ciò che riguarda l'alimentazione... e se non si rimedia con la massima urgenza ne deriveranno conseguenze oltremodo serie". Il sindaco passava ad analizzare i motivi della scarsità del cibo, dovuti a una concomitanza di sfortunati eventi: " Alle grandini devastatrici dell'anno 1918, che colpirono in special modo le frazioni di Zerman e Bonisiolo, le più produttive di grano. Le grandinate che nella stessa zona anche quest'anno devastarono il frumento ed altri raccolti... Lo sbagliato calcolo delle quantità occorrenti alle rispettive famiglie, all'atto della denunzia alle commissioni. Il ritorno di soldati alle rispettive famiglie. Il ritorno di numerose

121. vedi Doc. 71. 122. vedi Doc. 72.

123. Girolamo Marcello nato a Venezia il 12 giugno del 1860, militare e politico italiano, eletto deputato per tre legislature sottosegretario al ministero delle Poste e Telegrafi per tutta la durata del governo Salandra (1914-1916), all'epoca dei fatti Deputato alla Camera. Nel 1924 diventava Senatore del Regno. Moriva a Venezia nel 1960.in www. camera dei deputati-portale storico.

famiglie già profughe". La situazione era critica, "il fabbisogno per agosto corrente è di almeno 850 quintali e di questi soltanto 250 possono essere forniti dal Commissario Provinciale di Approvvigionamento di Treviso, avendo quindi una deficienza di ben 600 quintali che il comune trovasi impotente da fronteggiare...Nelle previsioni di tali tristi condizioni il 29 luglio ho d'accordo col Prefetto di Treviso telegrafato al Sottosegretario del Ministero degli approvvigionamenti e consumi... Fino ad ora non ho avuto risposta e siccome io non posso assumermi di lasciare una popolazione di circa 15000 abitanti sprovvista del principale dei suoi alimenti e prevedendo anzi che l'ordine non potrà ulteriormente essere mantenuto, vivamente La prego di voler interporre il valido di Lei interessamento...e mi si dia modo di soddisfare alle richieste di grano e di provvedere alla mia difesa, dimostrando di nulla aver trascurato in proposito.

Lo scritto terminava," il Regio Governo non può certo pretendere ch'io assuma la responsabilità degli inevitabili turbamenti dell'ordine pubblico del quale non posso rendermi garante se mi si rifiutasse i mezzi di sfamare la popolazione" (124).

L'estate del 1919 doveva essere particolarmente drammatica, se, nello stesso mese della lettera sopra citata, il prefetto vietava l'esportazione di generi di largo consumo come: "polli, uova, frutta, verdura, vino, ecc."(125).

Un mese dopo veniva emesso un Decreto che obbligava gli "agricoltori della provincia (di Treviso) di coltivare nell'anno agrario 1919-1920 almeno due terzi del terreno arativo della propria azienda a frumento o granoturco... Devono, non più tardi del 30 settembre, denunciare al sindaco del comune dove l'azienda è situata, la superficie del loro podere, l'estensione del terreno arativo che s'impegnano a investire in frumento e granoturco, tenuto calcolo delle esigenze alimentari della Nazione... Qualora il complesso delle superfici così impegnato non sia dalla Commissione Provinciale d'Agricoltura ritenuto adeguato ai bisogni del Paese...potrà farsi luogo a provvedimenti coattivi a sensi di legge. Il presente Decreto è immediatamente esecutivo.

124. vedi Doc. 73. 125. vedi Doc. 74.

I contravventori alle disposizioni... sono puniti con l'ammenda da lire 50 a lire 1000 per ciascun ettaro di terreno non coperto con la coltivazione prescritta"(126).

Anche l'acqua doveva essere un problema in quel triste dopoguerra, leggiamo infatti dei ringraziamenti della popolazione di Zerman, al sindaco di Mogliano per l'interessamento che questi ha avuto per fare arrivare "l'acqua necessaria, specialmente al centro del paese". Gli abitanti della frazione temevano però, che insieme con la messa in opera della fontana, si realizzasse "quella indecente vasca con quei quattro antiestetici paracarri. Sarebbe così rotta l'estetica della piazzetta l'unica che con l'artistico Tempio abbellisca il paese"(127).

Il problema di un regolare rifornimento idrico, doveva rimanere tale, per diversi anni, se ancora nel 1920, Mogliano si vedeva costretta a stipulare una convenzione col comune vicino di Mestre. L'accordo che prevedeva "la fornitura di metri cubi dieci giornalieri di acqua potabile....avrà la durata di dieci anni"(128).

Tutta questa situazione, la mancanza di cibo, la scarsità d'acqua, il duro impatto con la realtà, dopo una guerra tanto dispendiosa, erano gli ingredienti ideali per un malcontento generalizzato che si temeva sfociasse in pericolosi tumulti contro le autorità. Il pretesto poteva nascere in qualsiasi momento, come si evince dalla preoccupazione che il sacerdote di Bonisiolo, frazione di Mogliano, scrive al sindaco"L'avverto che domenica ricorrendo la solennità del nome di Maria, in località Madonnetta, avrà luogo la consueta sagra, temo qualche disordine, prego di tener conto"(129).

Dai documenti in nostro possesso si poteva dedurre che la situazione di Mogliano non fosse diversa dal resto del Paese.

126. vedi Doc. 75. 127. vedi Doc. 76. 128. vedi Doc. 77. 129. vedi Doc. 78.

CONCLUSIONI

I documenti citati nella tesi, a mio avviso sono molto utili per tracciare uno spaccato di Mogliano durante la Grande Guerra. Una realtà che doveva essere simile a molti paesi dell'Italia. Alcune notizie ricavate confermano quello che già si sapeva, per esempio, per quanto riguarda i caduti, ma i documenti fanno luce sui tanti drammi che una chiamata alle armi aveva in una famiglia; penso al a quel padre che perdeva nella guerra ben tre dei suoi cinque figli e chiedeva un aiuto per almeno uno dei due ancora in vita. Drammi famigliari che non trovano mai spazio nei libri di storia.

I documenti ci aiutano a capire come cambiava la vita di un paese quando arrivava l'esercito, le occupazioni, quasi sempre forzate, le numerose liti scatenate da questa convivenza,

ma anche le opportunità che questa massa di soldati dava alla popolazione più intraprendente.

Ma la notizia più sorprendente, che questi documenti danno è relativo alla fine della guerra, quando il sindaco di Mogliano scrive a un parlamentare mettendolo al corrente della situazione drammatica in cui versa la popolazione, una popolazione senza cibo, dove i raccolti non sono sufficienti per tutti. Una realtà, che sono sicuro, molti attuali abitanti sono ben lontani dall'immaginare.

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Nel documento Mogliano Veneto durante la Grande Guerra (pagine 110-148)

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