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Nuovi copolimeri a blocchi a base julolidinica nanostrutturati: fluorescenti in soluzione e in film vapocromici

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Academic year: 2021

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RIASSUNTO

Sono stati preparati e studiati nuovi copolimeri anfifobici a due blocchi, Sx-b-AFy, costituiti da un primo blocco stirenico (S), idrofobo, ed un secondo blocco di poli(1H,1H,2H,2H-perfluoroesiletil acrilato) (AF), idrofobo e lipofobo. Grazie alla tecnica di polimerizzazione radicalica a trasferimento d’atomo (ATRP) impiegata per la sintesi sono state variate in modo regolare le lunghezze dei due blocchi (x = 37-45-63, y= 2-5-82). In una successiva modifica strutturale sono stati preparati mediante ATRP analoghi copolimeri anfifobici blocchi, Sx-b-(AFy-JCBF) (x = 37-63, y= 25-52), in cui il blocco fluorurato contiene un rotore molecolare fluorescente a base di cianoviniljulolidina (JCBF). Il contenuto di JCBF è stato mantenuto molto basso (<0,15% in moli), in modo che esso venisse introdotto isolato e distribuito in maniera casuale.

Sono stati condotti studi di diffusione dinamica della luce (DLS) delle soluzioni dei copolimeri a blocchi in solventi a diversa selettività. Le soluzioni in cloroformio e tetraidrofurano hanno mostrato fenomeni di aggregazione spontanea al di sopra di una concentrazione micellare critica (CMC) (rispettivamente 0,52 mg/mL e 0,09 mg/mL), per i copolimeri ad alta percentuale di blocco fluorurato in nanostrutture con diametri idrodinamici medi (~54–196 nm), dipendenti dalla lunghezza del blocco stirenico e del solvente. Al contrario, le soluzioni in solventi fluorurati, quali esafluorobenzene e trifluorotoluene, non hanno mostrato alcun tipo di aggregazione. Il fenomeno dell’aggregazione micellare alla CMC è stato indagato anche tramite misure dell’emissione di fluorescenza della sonda JCBF, confinata nel nucleo fluorurato idrofobo delle micelle. I valori di CMC ricavati (0,50 mg/mL in cloroformio e 0,09 mg/mL in tetraidrofurano) sono risultati in ottimo accordo con quelli determinati dalle misure di DLS.

I copolimeri preparati sono stati inoltre testati in fase solida sotto forma di film sottili depositati su supporti di polistirene in modo da massimizzare la stratificazione superficiale del blocco fluorurato, e dunque del rotore molecolare fluorescente. Le misure degli angoli di contatto, con acqua e esadecano, sui film contenenti i copolimeri a blocchi (rispettivamente > 98° e > 64°) hanno evidenziato la natura spiccatamente idrofoba e lipofoba dei film, a seguito dell’arricchimento delle specie fluorurate alla superficie. Le misure di spettroscopia fotoelettronica a raggi X (XPS) hanno confermato l’esistenza di un’alta percentuale atomica di fluoro in superficie (~50%) rispetto ai valori calcolati sull’intera massa (~1%). La presenza del blocco fluorurato in superficie ha fatto sì che il rotore molecolare si trovasse concentrato prevalentemente all’interfaccia esterna polimero-aria. Infine, sono state condotte prove di vapocromismo e termocromismo sui film al fine di valutare gli effetti di minore tempo di risposta e maggiore abbattimento di fluorescenza, che l’introduzione di un blocco fluorurato nel copolimero a blocchi può comportare per l’utilizzo del materiale in un sensore di tipo on/off. La risposta vapocromica di tali film si è dimostrata considerevole, con abbattimenti di fluorescenza perfino dell’80% nei primi 50 secondi per i film esposti ai vapori dei solventi organici più affini chimicamente ai copolimeri a blocchi utilizzati.

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INDICE

RIASSUNTO ... 1

1 INTRODUZIONE ... 7

1.1 Copolimeri ... 7

1.1.1 Morfologie dei copolimeri a blocchi... 7

1.2 Copolimeri a blocchi fluorurati in catena laterale ... 9

1.2.1 Proprietá dei polimeri contenenti unitá fluorurate ... 10

1.3 Copolimeri a blocchi anfifobici ... 11

1.4 Polimerizzazioni radicaliche controllate ... 12

1.4.1 Polimerizzazione radicalica controllata a trasferimento atomico (ATRP) per la sintesi di copolimeri a blocchi ... 13

1.5 Aggregazione spontanea in soluzione ... 15

1.51 Tecniche per misurare la concentrazione micellare critica (CMC) ... 16

1.6 Bagnabilitá e angolo di contatto ... 17

1.6.1 Metodo della goccia sessile e determinazione dell’energia libera superficiale ... 19

1.7 Fluorescenza ... 21

1.7.1 Resa quantica ... 22

1.8 Molecole organiche fluorescenti: ACQ, AIE e rotori molecolari ... 23

1.8.1 Rotori molecolari fluorescenti a base di julolidina ... 27

1.9 Fluorofori in matrici polimeriche ... 28

1.10 Polimeri contenenti fluorofori come indicatori ottici di VOCs ... 30

1.11 Processo di permeazione di composti volatili in matrici polimeriche ... 31

1.11.1 Permeazione di VOCs in matrici polimeriche fluorurate ... 35

2 SCOPO DELLA TESI ... 37

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3.1 Sintesi e caratterizzazione dei polimeri... 39

3.1.2 Copolimeri a blocchi S-b-AF ... 42

3.2 Comportamento termico dei polimeri ... 52

3.2.1 Analisi termogravimetrica (TGA)... 52

3.2.2 Analisi di calorimetria differenziale a scansione (DSC) ... 54

3.3 Studio dell’auto-assemblamento dei copolimeri in solventi organici ... 55

3.3.1 Misure di diffusione dinamica della luce (DLS) ... 55

3.3.2 Analisi di spettroscopia di emissione di fluorescenza dei copolimeri contenenti JCBF ... 59

3.4 Analisi in fase solida... 64

3.4.1 Bagnabilità dei film polimerici e calcolo della tensione superficiale ... 65

3.4.2 Analisi di spettroscopia elettronica ai raggi X (XPS) ... 71

3.4.3 Analisi di emissione di fluorescenza ... 74

3.4.4 Comportamento vapocromico dei film ... 76

3.4.5 Prove di rigenerazione e di riutilizzo ... 78

3.4.6 Prove di sensibilità ... 79

3.4.7 Comportamento termocromico dei film ... 81

4 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ... 83

5 PARTE SPERIMENTALE ... 87

5.1 Solventi e reagenti commerciali ... 87

5.1.1 Anisolo ... 87 5.1.2 Cloroformio... 87 5.1.3 Cloroformio-d ... 87 5.1.4 n-Esadecano ... 87 5.1.5 n-Esano ... 87 5.1.6 Isopropanolo ... 87 5.1.7 Metanolo ... 87

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5 5.1.8 Diclorometano... 87 5.1.9 Dietil etere ... 88 5.1.10 Tetraidrofurano (THF) ... 88 5.1.11 Toluene ... 88 5.1.12 Acqua ... 88 5.1.13 Acetone ... 88 5.1.14 Esafluorobenzene (EFB) ... 88 5.1.15 1,1,2-Tricloro-1,2,2-trifluoroetano ... 88 5.1.16 α,α,α-Trifluorotoluene (TFT) ... 88

5.1.17 Acido acetico glaciale ... 88

5.1.18 Bromuro di rame (I) ... 89

5.1.19 Allumina basica ... 89

5.1.20 2,2’-Bipiridina (Bipy) ... 89

5.1.21 N,N,N′,N′′,N′′-Pentametildietilentriammina (PMDETA) ... 89

5.1.22 Etil α-bromoisobutirrato (EBIB) ... 89

5.1.23 1H,1H,2H,2H-Perfluoroesiletil acrilato (AF) ... 89

5.1.24 Stirene (S) ... 89

5.1.25 [4-Vinil(1,1'-bifenil)-4’-il]-cianoviniljulolidina (JCBF) ... 89

5.1.26 Omopolimero AF ... 90

5.1.27 Poli(stirene) (PS) ... 90

5.2 Sintesi dei macroiniziatori ... 91

5.2.1 Sintesi del macroiniziatore stirenico S37 ... 91

5.2.2 Sintesi del macroiniziatore stirenico S45 ... 93

5.2.3 Sintesi del macroiniziatore stirenico S63 ... 94

5.3 Sintesi dei copolimeri a blocchi ... 96

5.3.1 Sintesi del copolimero S37-b-AF82... 96

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5.3.3 Sintesi dei copolimeri della serie S63-b-AFn ... 101

5.4 Sintesi dei copolimeri contenenti JCBF ... 105

5.4.1 Sintesi del copolimero S37-b-(AF52-JCBF) ... 105

5.4.2 Sintesi copolimero S63-b-(AF25-JCBF) ... 107

5.5 Preparazioni di film polimerici ... 109

5.5.1 Preparazione di film sottili su vetrini ... 109

5.5.2 Preparazione di film per pressofusione e successiva deposizione per spray-coating ... 110

5.5.3 Preparazione di miscele solide per coprecipitazione e successiva pressofusione... 111

5.6 Caratterizzazioni chimico-fisiche ... 112

5.6.1 Spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR) ... 112

5.6.2 Cromatografia di permeazione sul gel (GPC) ... 112

5.6.3 Misure di diffusione dinamica della luce (DLS) ... 113

5.6.4 Analisi termogravimetriche (TGA)... 113

5.6.5 Analisi calorimetrica differenziale a scansione (DSC) ... 113

5.6.6 Misure di angolo di contatto statico ... 114

5.6.7 Spettroscopia UV-Vis ... 114

5.6.8 Spettroscopia di emissione di fluorescenza ... 114

5.6.9 Misure di spettroscopia fotoelettronica a raggi X (XPS) ... 115

5.6.10 Misure di vapocromismo ... 115

5.6.11 Misure di termocromismo ... 117

5.6.12 Determinazione della resa quantica ... 118

5.6.13 Determinazione del contenuto di JCBF nel copolimero ... 119

5.6.14 Apparato sperimentale per l’individuazione della sensibilità dei dispositivi polimerici contenenti JCBF ... 120

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1 INTRODUZIONE

1.1 Copolimeri

Un copolimero è il prodotto della polimerizzazione simultanea di due o più monomeri in un'unica struttura macromolecolare che differisce da una miscela polimerica in quanto le unità monomeriche diverse (o sequenze di unità diverse) sono legate covalentemente tra loro. A seconda di come viene condotta la polimerizzazione si possono ottenere differenti strutture macromolecolari; ad esempio, ipotizzando di copolimerizzare due monomeri A e B, vale la pena di menzionare:

- copolimeri casuali, quando le unità A e B sono disposte senza un ordine periodico riconoscibile;

- copolimeri alternati, quando le unità sono presenti in sequenza rigorosa AB nella catena polimerica;

- copolimeri ad innesto, quando sequenze di unità di B vengono inserite lateralmente ad una catena lineare di unità A;

- copolimeri a blocchi, dove le macromolecole sono composte da sequenze di catene relativamente lunghe, contenenti esclusivamente un tipo di unità monomerica (A o B), legate covalentemente.1

1.1.1 Morfologie dei copolimeri a blocchi

I copolimeri a blocchi formati da componenti incompatibili tra loro hanno la capacità di segregare in microfasi distinte e di organizzarsi in strutture ordinate (morfologie) che variano principalmente in funzione della composizione dei blocchi.2

Nel caso più semplice dei copolimeri lineari a due blocchi si possono osservare morfologie delle microfasi che variano da impaccamenti cubici compatti di sfere ad impaccamenti esagonali compatti di cilindri, fino a morfologie continue di giroidi e

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8 lamelle (Figura 1.1). Le rispettive strutture inverse si generano quando il rapporto volumetrico fra le fasi si inverte.

Figura 1.1 : Diagramma di fase per un copolimero a due blocchi, le lettere S, C, G, L indicano le diverse morfologie delle fasi ordinate (sfere, cilindri, giroide, lamelle).

Il comportamento delle fasi dei copolimeri a blocchi può essere descritto (Figura1) dal prodotto del parametro di interazione segmento-segmento di Flory–Huggins, χ, con il grado di polimerizzazione medio totale, N, in funzione della composizione volumetrica fA dei componenti minoritari; il prodotto di segregazione Nχ (che

aumenta all’aumentare dell’incompatibilità fra i componenti e all’aumentare della lunghezza delle catene) determina il grado di separazione micrometrica, mentre la frazione volumetrica del componente minoritario determina la particolare morfologia presente nel copolimero. La segregazione può avvenire quindi in tre tipi di regimi: - WSL (Weak Segregation Limit) per Nχ≤10

- ISR (Intermediate Segregation Limit) per 10 <Nχ≤50 - SSL (Strong Segregation Limit) per Nχ→∞

Anche i film sottili di copolimeri a blocchi sono soggetti a segregazione di fase e, oltre ai parametri classici, anche lo spessore dei film e la natura del substrato influiscono sulla morfologia3.

Oltre ai microdomini, nei film è possibile incontrare alcune strutture di scala superiore (mesoscopica) come frutto del complesso processo di dewetting, cioè

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9 rottura del film dovuta a forze dispersive, che porta a fluttuazioni dello spessore. Ad esempio nei copolimeri a blocchi è possibile che uno dei blocchi sia più affine al substrato e quindi ne venga preferenzialmente attratto, facendo sì che la fase ordinata bagni la superficie formando un primo strato, mentre la fase disordinata dello stesso copolimero non aderisca a questo primo strato, formando gocce separate (dewetting autofobico)3.

È noto in letteratura che anche i film di copolimeri fluorurati sono soggetti a queste dinamiche. In particolare è studiato l’effetto che la ricottura, l’esposizione a CO2

supercritica (affine alle componenti fluorurate) o a solventi (solvent annealing) hanno sulla morfologia della superficie.4

1.2 Copolimeri a blocchi fluorurati in catena

laterale

In generale i composti semifluorurati sono molecole che hanno la forma di oligomeri a due blocchi, uno idrocarburico e l’altro fluorocarburico. I numerosi studi strutturali condotti su n-alcani semifluorurati hanno dimostrato che la miscibilità dei due differenti segmenti, idrocarburico e fluorurato, è generalmente bassa e di conseguenza le molecole tendono a dare separazione di fase intramolecolare e ad organizzarsi in una struttura a microdomini di composizione diversa.5,6 Inoltre gli atomi di fluoro creano un segmento fluorocarburico che è sufficientemente rigido e con una forte tendenza ad organizzarsi in una fase microseparata dal segmento idrocarburico, creando una elevata densità locale che conferisce al sistema una bassa energia superficiale con elevata idrofobia.

L’effetto di separazione di fase è ancora più accentuato se la catena fluorocarburica è inserita in un copolimero a blocchi. Questi tipi di materiale trovano potenziale applicazione come modificatori di superficie; ad esempio, miscelando una piccola quantità di copolimero fluorurato con l’omopolimero non fluorurato si possono produrre le proprietà superficiali tipiche del copolimero fluorurato grazie alla segregazione superficiale del blocco a più bassa energia superficiale.7

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1.2.1 Proprietá dei polimeri contenenti unitá fluorurate

È ben noto che la sostituzione di atomi di idrogeno con atomi di fluoro porta a cambiamenti drastici nelle proprietà chimico-fisiche dei materiali, essendo il legame C-F uno dei legami covalenti a più alta energia.

Nei polimeri la struttura chimica delle catene polimeriche determina le forze coesive, la densità dell’impacchettamento e la rigidità delle catene. Queste caratteristiche influenzano le proprietà di massa chimiche, oltre che molte proprietà fisiche. Parametri fondamentali per capire le proprietà di una catena polimerica sono le interazioni all’interno della catena singola (interazioni intracatena) e le interazioni tra più catene (interazioni intercatena).8 Per quanto riguarda la rigidità delle catene, è stato dimostrato che la sostituzione di atomi di idrogeno con atomi di fluoro non cambia sensibilmente la flessibilità delle catene. Tuttavia, vengono ridotte sensibilmente le interazioni intercatena, ovvero sono minori le forze coesive. Quindi, complessivamente, i materiali fluorurati sono caratterizzati da basse interazioni intracatena che conferiscono una certa flessibilità alla catena ed una bassa energia coesiva, che è responsabile delle particolari proprietà superficiali di questi materiali. L’introduzione di catene laterali fluorurate nelle macromolecole risulta quindi una strategia conveniente per lo sviluppo di materiali polimerici a bassa energia superficiale utilizzabili come rivestimenti di superfici.9

I polimeri fluorurati inoltre presentano trasparenza ai raggi UV,10 , 11 resistenza all’ossidazione, una spiccata idrorepellenza ed idrofobia,12 , 13 un basso indice di

rifrazione. Sono resistenti agli attacchi di composti chimici aggressivi in un ampio intervallo di temperatura e sono caratterizzati da eccellente resistenza all’invecchiamento; elevata è anche la resistenza a sollecitazioni dinamiche, come vibrazioni o flessioni. 14

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1.3 Copolimeri a blocchi anfifobici

I polimeri anfifobici sono macromolecole costituite da porzioni idrofobe e da porzioni idrofobe/lipofobe; se immessi in un solvente organico affine ad una delle due porzioni danno luogo a dispersioni colloidali (aggregazioni di macromolecole) a causa della incompleta solubilità della porzione meno affine al solvente.15

Chiaramente all’aumentare della percentuale molare della porzione affine al solvente aumenterà il rigonfiamento delle particelle, fino al punto in cui la macromolecola diventerà completamente solubile perdendo le caratteristiche tipiche di una soluzione colloidale.

Da un punto di vista più applicativo una macromolecola per essere definita anfifobica deve presentare un’energia superficiale minore di quella dell’acqua e degli olii.15 I polimeri anfifobici possono essere utilizzati per varie applicazioni: come tensioattivi, 16 come agenti schiumogeni o antischiumogeni, emulsionanti, lubrificanti, agenti solubilizzanti, come componenti di vernici o inchiostri.17

I copolimeri anfifobici a blocchi, come tutti i polimeri a blocchi, possono essere sintetizzati e modificati in maniera opportuna per essere performanti per applicazioni specifiche, variando la composizione e il peso molecolare dei due blocchi. Inoltre l’ampia varietà di monomeri idrofobi commercialmente disponibili e polimerizzabili tramite tecniche di sintesi radicaliche controllate consente di ampliare notevolmente il numero di combinazioni possibili di polimeri anfifobici che possono essere preparati rispetto a quelli finora ottenibili tramite polimerizzazione ionica.

Questo tipo di copolimeri mostra aggregati differenti in forma e dimensione in funzione della natura del solvente.18 La morfologia di questi aggregati polimerici,

prevalentemente di forma sferica, è controllata dalla deformazione del blocco idrofobo/lipofobo che costituisce generalmente il nucleo della struttura, dall’interazione repulsiva delle catene idrofobe della corona, ossia il guscio esterno della struttura detta “nucleo-corona” ed infine dalla tensione interfacciale all’interfaccia nucleo-corona.17 Le varie morfologie varieranno anche in funzione

della natura del blocco che costituisce il nucleo e di quello costituente la corona, la composizione del copolimero e la natura del solvente.

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1.4 Polimerizzazioni radicaliche controllate

La polimerizzazione a radicali liberi convenzionale non è più soddisfacente per le applicazioni di avanguardia dei materiali polimerici, in quanto il controllo sulla struttura chimica risulta essere scarso. Per avere risultati soddisfacenti si può oggi ricorrere alla polimerizzazione radicalica controllata/vivente (CRP), grazie alla quale è possibile ottenere polimeri con un peso molecolare medio controllato, distribuzioni abbastanza strette e composizioni ben definite. Le polimerizzazioni CRP più utilizzate sono:

-Polimerizzazione mediata da nitrossido (Nitroxide Mediated Polymerization, NMP)19

-Polimerizzazione per trasferimento reversibile di addizione-frammentazione (Reversible Addition-Fragmentation Transfer, RAFT)20

-Polimerizzazione radicalica per trasferimento atomico (Atom Transfer Radical Polymerization, ATRP)

Queste polimerizzazioni si basano su un equilibrio tra la catena in crescita (attivata) e la catena dormiente (disattivata); lo stesso equilibrio è anche il responsabile sul controllo del peso molecolare medio del polimero. I vantaggi della polimerizzazione vivente derivano dal fatto che le reazioni indesiderate, come le reazioni di terminazione e trasferimento di catena, hanno minore incidenza21. Questo significa che idealmente i terminali delle catene polimeriche in crescita sono attivati in maniera permanente e che si possono formare polimeri con polidispersità di 1,00, anche se tale obiettivo ideale non sembra ancora comunque raggiungibile sperimentalmente. La sintesi ATRP in particolar modo si presta bene per l’ottenimento di polimeri a

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1.4.1 Polimerizzazione radicalica controllata a trasferimento

atomico (ATRP) per la sintesi di copolimeri a blocchi

La polimerizzazione radicalica controllata a trasferimento atomico (ATRP) è una nuova tecnica di polimerizzazione che permette di ottenere polimeri con un basso indice di polidispersione, prossimo all’unità, al contrario della polimerizzazione radicalica classica dove la polidispersità è generalmente maggiore di 2 .

La tecnica di polimerizzazione ATRP è molto utile per la sintesi di copolimeri a blocchi, poiché essendo una polimerizzazione a trasferimento atomico è in grado di mantenere reattiva la parte terminale della catena polimerica; in questo modo è possibile, tramite l’aggiunta di un secondo monomero in una successiva reazione ATRP formare un secondo blocco, il quale sarà nuovamente attivo per un’ulteriore sintesi ATRP in modo da crearne un terzo, e così via.

I componenti necessari ad un sistema ATRP tipico sono: monomero, iniziatore, un complesso metallico e un legante. Per ottenere un basso indice di polidispersione in una ATRP sfruttiamo l’attivazione reversibile della catena polimerica in crescita tramite un catalizzatore metallico. Come mostrato in Figura 1.2, il controllo sulla struttura polimerica avviene mediante l’equilibrio tra la reazione di attivazione della specie dormiente Pn-X e la reazione di disattivazione della specie attiva propagante Pn●. Le reazioni di attivazione/disattivazione vengono catalizzate da un complesso di un metallo con un opportuno legante (L), in grado di passare in maniera reversibile da uno stato di ossidazione minore a uno maggiore attraverso scambio di un elettrone (Mtn/Mtn+1) con simultanea estrazione di un atomo di alogenuro X dalla specie

dormiente.

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14 Ogni monomero possiede una propria costante di equilibrio nel processo di trasferimento atomico per la specie attiva e dormiente. In assenza di reazioni secondarie, oltre quella di termine, la costante di equilibrio (Keq= Kact/Kdeact)

determina la velocità di polimerizzazione.

L’iniziatore è una molecola che contiene un alogenuro mobile (X), attivato da un sostituente come α-carbonile, fenile o vinile. Il compito principale dell’iniziatore è quello di determinare il numero delle catene polimeriche in crescita e conseguentemente il peso molecolare finale del polimero. Nell’ATRP assumono particolare importanza due parametri per la scelta dell’iniziatore: in primo luogo, la fase iniziale del processo deve essere veloce rispetto alla propagazione; in secondo luogo la propagazione di reazioni secondarie deve essere minimizzata. L’attività dell’iniziatore dipende dal grado di sostituzione (primario< secondario< terziario), dal gruppo trasferitore (Cl<Br<I) e dalla stabilizzazione del radicale (-Ph, -COOR << -CN).

Il legante ha lo scopo di favorire la solubilità del catalizzatore metallico nel solvente organico, modificare il potenziale redox in modo da avere un appropriato trasferimento atomico e assicurare che l’equilibrio fra specie dormiente e radicale attivo sia spostato verso la prima specie. Inoltre, la reattività del catalizzatore stesso è altamente influenzata anche dalle proprietà steriche ed elettroniche del legante.22

Molti monomeri sono stati polimerizzati con successo, come acrilati e metacrilati, stireni, acrilammidi e acrilonitrile. A seconda del monomero le condizioni di reazione e il sistema di iniziatore, catalizzatore e legante devono essere ottimizzate per ottenere un buon controllo sulla polimerizzazione.23

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15

1.5 Aggregazione spontanea in soluzione

Quando un copolimero a blocchi viene disciolto in un solvente selettivo che sia termodinamicamente un buon solvente per un componente, e un precipitante per l’altro, le catene possono associarsi reversibilmente in aggregati micellari (Figura 1.3), in corrispondenza con quanto avviene per le molecole anfifiliche a basso peso molecolare.24

È possibile quindi definire e misurare, a quanto in uso per le molecole anfifiliche, una concentrazione micellare critica (CMC) oltre la quale le macromolecole si aggregano. Questa è generalmente più bassa rispetto alla CMC dei tensioattivi a basso peso molecolare, motivando l’uso delle micelle di copolimeri a blocchi come nanocontenitori per il trasporto di farmaci in medicina 25, essendo queste meno sensibili alla diluizione che si incontra per esempio quando un campione viene iniettato nel flusso sanguigno. 26

Figura 1.3: Morfologie delle micelle di copolimeri a blocchi e loro aggregati di ordine superiore.

L’effetto della conformazione delle catene sulla CMC e sulla morfologia delle micelle è una delle principali variabili studiate27. Uno dei casi più esemplificativi è

quello dell’aggregazione in acqua dei copolimeri a blocchi anfifilici A-B contenenti polietilenossido e polipropilenossido28 , 29. Il copolimero a due blocchi forma

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16 comportamento si riscontra anche per i copolimeri a blocchi anfifobici in solventi selettivi per un uno dei due blocchi.

L’aggregazione spontanea di copolimeri a blocchi anfifilici ovviamente è possibile anche in solvente organico. In solvente organico solitamente si distinguono i copolimeri di tipo idrofilo-idrofobo (anfifilici) da quelli di tipo idrofobo/lipofilo-idrofobo/lipofobo (anfifobici). Nel primo caso, se il solvente organico è polare il comportamento è paragonabile a quello delle soluzioni acquose, mentre se il solvente è apolare (e quindi selettivo per la componente idrofoba) si ottengono micelle inverse. Nel secondo caso quando si ottiene l’aggregazione spontanea di copolimeri anfifobici l’effetto del solvente è più marcato sulla struttura e sulle dimensioni degli aggregati.

1.51 Tecniche per misurare la concentrazione micellare critica

(CMC)

La concentrazione micellare critica (CMC) è definita come la concentrazione al di sopra della quale tutte le molecole di tensioattivo aggiunte appaiono con alta probabilità come aggregati micellari.30 Questa definizione può essere estesa anche

per i polimeri anfifilici ed anfifobici 31.

Il valore della CMC può essere determinato dalla variazione delle proprietà fisico-chimiche della soluzione di tensioattivo all'aumentare della concentrazione di tensioattivo stesso.32 Le tecniche più utilizzate per determinare il valore di CMC sono: misura della variazione della tensione superficiale attraverso il metodo dell’anello di Du Nouy, del piatto di Wilhelmy, della goccia pendente e goccia rotante33; misure di conducibilità elettrica in soluzione (nel caso in cui la molecola presenti cariche ioniche)32; misure tramite UV-VIS32; misure dell’intensità di diffusione della luce tramite DLS (dynamic light scattering)34,35 e misure di risonanza magnetica nucleare (utilizzata prevalentemente per molecole fluorurate dove è possibile osservare lo spostamento chimico dei segnali del fluoro)35.

Una delle tecniche non ancora citate riguarda la misurazione dell’emissione di fluorescenza. Questa tecnica è spesso usata per individuare la CMC di molecole o

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17 polimeri anfifilici attraverso l’ausilio di sonde fluorescenti in quanto permette una elevata sensibilità e una risposta rapida. Nel caso di soluzioni acquose viene utilizzato un fluoroforo, ad esempio il perilene, che varia l’intensità di fluorescenza dei picchi relativi ai due stati vibrazionali, quando si trova libero nel mezzo acquoso o confinato in una micella.36

Nel caso di polimeri anfifobici, insolubili in mezzo acquoso, per la misura della CMC è possibile ricorrere a sonde fluorescenti, come ad esempio rotori molecolari. Tali fluorofori, se legati covalentemente al polimero, possono indurre forti aumenti della fluorescenza in funzione dell’aumento della viscosità locale (situazione che si verifica nel nucleo di una micella), con conseguente discontinuità tra l’andamento dell’emissione di fluorescenza prima e dopo la formazione della micella.37,38

1.6 Bagnabilitá e angolo di contatto

Lo studio della bagnabilità di una superficie solida avviene principalmente attraverso la misura dell’angolo di contatto.39Considerando il caso di una goccia di liquido in

equilibrio su una superficie solida orizzontale liscia, l’angolo di contatto (θ) è definito come l’angolo formato dall’intersezione dell’interfaccia solido-liquido e quella liquido-vapore (geometricamente individuata dalla tangente al profilo della goccia che passa per il punto di contatto, come mostrato in Figura 1.4).

Figura 1.4: Angolo di contatto (θ) e rappresentazione della sua variazione in sistemi a diversa bagnabilità.

Un angolo minore di 90° indica che il liquido è in grado di bagnare il solido e si espande su un’area grande; al contrario un angolo superiore a 90° significa che la bagnabilità è sfavorita e il liquido tende ad assumere una forma sferica per minimizzare il contatto con il solido. In caso di angolo di contatto con l’acqua

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18 maggiore di 130-140° si può parlare di superfici superidrofobe, dove il contato con il liquido è praticamente nullo.

Figura 1.5: Goccia di liquido depositata su un substrato solido, con un angolo di contatto (θ) e relative tensioni interfacciali (γ).

Così come descritto da Young40, nel caso di una superficie ideale l’angolo di contatto è definito dall’equilibrio orizzontale delle tre tensioni interfacciali che agiscano sulla goccia di liquido nel sistema trifasico di Figura 1.5:

Equazione 1.1

dove

γ

lv,

γ

Sv e

γ

Sl rappresentano rispettivamente le tensioni delle interfacce liquido-vapore, solido-vapore e solido-liquido, mentre θ è l’angolo di contatto.

Quando viene meno la condizione di superficie ideale si nota però che θ devia rispetto al valore di Young che soddisfa l’equazione 1.1; ciò è dovuto per esempio a una non omogeneità della superficie solida, dove si deposita la goccia, come nel caso di un’elevata rugosità superficiale o di una marcata eterogeneità chimica.

(19)

19

1.6.1 Metodo della goccia sessile e determinazione dell’energia

libera superficiale

Per determinare la tensione superficiale dei liquidi esistono vari metodi diretti 39(tra cui i metodi del piatto di Wilhelmy, del capillare, della goccia pendente), mentre per i solidi vi sono solo metodi indiretti. La misura dell’angolo di contatto della goccia sessile è il metodo più semplice, anche se non esiste un modello univocamente accettato su come calcolare l’energia libera superficiale del solido.41,42

La tensione interfacciale solido-vapore è legata alla tensione intrinseca del solido attraverso la seguente equazione:

Equazione 1.2

dove

γ

S è l’energia libera superficiale del solido e

π

è la pressione di spandimento,43

che rappresenta la diminuzione della tensione superficiale del solido dovuta all’adsorbimento dei vapori ed è nulla o trascurabile in molti casi, ad esempio se l’angolo di contatto è superiore a 10°.

Se

γ

SV è circa

γ

S l’Equazione 1.1 diventa:

Equazione 1.3

che correla l’energia libera superficiale del solido con la tensione superficiale del liquido bagnante

γ

lv , misurabile direttamente, e con l’angolo di contatto di Young.

È necessario però conoscere l’energia interfacciale solido-liquido

γ

sl, che non è

accessibile per misura diretta.

Una serie di metodi più sofisticati discendono dall’ipotesi proposta da Fowkes 44 di

suddividere l’energia superficiale in componenti additive dovute alle specifiche forze intermolecolari che si instaurano all’interfaccia. Ad esempio, la tensione superficiale di un liquido

γ

l può essere considerata composta da due componenti: una polare

γ

lp,

(20)

20 dovuta alla presenza di legami a idrogeno e alle interazioni dipolo-dipolo, e una dispersiva

γ

ld apolare, dovuta alle forze di London:

Equazione 1.4

Secondo il metodo di Owens, Wendt e Kaelble45, a partire da questo presupposto l’energia dell’interfaccia

γ

sl può essere scritta come:

Equazione 1.5

dove

γ

s e

γ

l sono tensioni dell’equazione di Young e gli apici indicano le componenti polari e dispersive.

L’Equazione 1.5 sostituita nella relazione di Young produce l’equazione:

Equazione 1.6

che permette di calcolare le due componenti dell’energia

γ

sd e

γ

sp, che sono le due incognite. Quindi è necessario eseguire misure di angolo di contatto con due liquidi bagnanti, uno polare e l’altro apolare, per poter risolvere il sistema di equazioni. Questa procedura si basa sull’assunzione che la tensione superficiale del solido rimanga costante al variare della natura del liquido in contatto con il solido. I valori di tensione superficiale risultano quindi utili per capire quale componente è maggiormente localizzato alla superficie, ad esempio in una miscela polimerica o in un copolimero a blocchi.

(21)

21

1.7 Fluorescenza

La fluorescenza è un processo di decadimento radiativo, che si osserva quando una molecola viene eccitata con un’opportuna radiazione monocromatica. I processi che possono aver luogo a seguito dell’interazione di una radiazione elettromagnetica con la molecola di interesse sono riassunti nel diagramma di Jablonski (Figura 1.6). Una molecola che si trova inizialmente nello stato fondamentale S0, a seguito

dell’assorbimento di una radiazione elettromagnetica (a), viene eccitata ad uno dei suoi stati elettronici di singoletto come S2. Successivamente la molecola eccitata può

decadere nello stato di minor energia S1, per conversione interna (ovvero senza

emissione di radiazione, IC) processo in cui l’energia viene dissipata sotto forma di calore. La molecola eccitata nello stato S1 può decadere allo stato fondamentale senza

emissione di radiazione, oppure emettendo una radiazione per fluorescenza (f). La molecola eccitata in S1 può sottostare ad un interscambio senza radiazione (ISC),

passando allo stato di tripletto T2. Da questo stato di tripletto, per conversione interna,

passa allo stato di tripletto T1, per decadere allo stato fondamentale S0 con emissione

di energia per fosforescenza (p).

Figura 1.6: Diagramma di Jablonski per una generica molecola.

Il diagramma di Jablonski mostra anche che l’energia dell’emissione di fluorescenza è minore di quella di assorbimento. Se la configurazione dello stato eccitato è simile a quella dello stato fondamentale, ovvero S1 ed S0 presentano livelli vibrazionali con

(22)

22 quello di emissione di fluorescenza, con quest’ultimo verso lunghezze d’onda più alte, questa differenza viene definita come spostamento di Stokes.

La spettrofluorimetria consente di lavorare con soluzioni fino a concentrazioni di circa 10-7 M, ovvero circa due ordini di grandezza inferiori rispetto alla spettrofotometria46.

1.7.1 Resa quantica

La resa quantica è il rapporto tra i fotoni che decadono in maniera radiativa e quelli assorbiti dal fluoroforo. Dal momento che tutti i processi di decadimento hanno una cinetica del primo ordine, la resa quantica può essere descritta secondo l’equazione 1.7:

𝜙 =

𝑘𝑟

𝑘𝑟+𝑘𝑛𝑟

Equazione 1.7

dove kr e knr sono, rispettivamente, le costanti cinetiche dei processi radiativi e quelli

non radiativi. Calcolando in questo modo la resa quantica, una molecola può essere non fluorescente come risultato di una grande velocità di conversione interna (transizione non radiativa tra due stati elettronici) o di un’emissione lenta. La resa quantica è un dato importante per la caratterizzazione di un fluoroforo, anche se essa è comunque condizionata da diversi fattori, come ad esempio, il pH, la forza ionica della soluzione, le interazioni con altre molecole in soluzione o con le molecole di solvente.

La resa quantica è strettamente correlata alla fluorescenza la quale verrà influenzata anche essa dai fattori elencati precedentemente. Il fenomeno di decadimento della fluorescenza può essere di due tipi: nel caso il fenomeno sia reversibile si ha uno spegnimento temporaneo “quenching”, mentre se il fenomeno non è reversibile parliamo di fotodegradazione “photobleaching”. Quest’ultimo fenomeno porta alla

(23)

23 degradazione fotochimica del fluoroforo, dovuta ad esempio ad un’eccessiva intensità di radiazione assorbita.

Nel processo di “quenching” il calo di fluorescenza è dovuto alla diminuzione del tempo di vita medio dello stato eccitato che influisce notevolmente sulla resa quantica. Il quenching può dipendere da diversi fattori e avvenire quindi con diversi meccanismi. Per esempio, all’interno di una soluzione possono essere presenti agenti chimici responsabili dei processi di decadimento non radiativo (quenchers), oppure può avvenire un abbattimento di fluorescenza dovuto al solvente; inoltre l’interazione con il solvente può indurre anche uno spostamento del picco di emissione. Questo accade in genere per i solventi più polari che riescono a stabilizzare lo stato eccitato e non quello fondamentale47,48.

1.8 Molecole organiche fluorescenti: ACQ, AIE

e rotori molecolari

Molecole organiche fluorescenti possono subire modifiche delle loro proprietà ottiche in seguito a variazioni sulla loro mobilità. Generalmente si osserva una diminuzione dell’emissione di fluorescenza in seguito all’aggregazione delle stesse molecole, caratteristica denominata ACQ (Aggregation Caused Quenching). Questo smorzamento della fluorescenza avviene maggiormente all’aumentare della concentrazione fino al completo spegnimento, tipicamente a causa dell’interazione di tipo π-π degli anelli aromatici che caratterizzano questo tipo di molecole fluorescenti. L’abbattimento di fluorescenza dovuto a cambiamenti della mobilità molecolare per le molecole ACQ può essere causato anche dalla presenza di un’analita[1], da un aumento della temperatura49, od anche da uno stimolo meccanico.

Esistono invece altre molecole organiche che, a seguito della loro aggregazione, inducono un’emissione di fluorescenza (Aggregation Induced Emission, AIE)50. Questo tipo di comportamento, opposto a quello osservato per le molecole ACQ, viene definito aggregacromico e può essere ricondotto a restrizioni dei moti intramolecolari (Restriction of Intramolecular Motions, RIM51). Le molecole capaci

(24)

24 di AIE più comuni infatti sono dotate di gruppi con elevata inerzia (come ad esempio sistemi aromatici), legati da legami semplici che permettono di far ruotare le varie porzioni della molecola dissipando conseguentemente energia. Quando i moti intramolecolari vengono ostacolati, la dissipazione dell’energia assorbita precedentemente dai fotoni incidenti, avviene preferenzialmente per via radiativa. In generale, l'effetto AIE deriva da un irrigidimento strutturale che comprende sia la limitazione della rotazione intramolecolare sia la restrizione della vibrazione intramolecolare 52,53.

Una classe particolare di molecole organiche che danno fenomeni di AIE sono i rotori molecolari fluorescenti; questi composti sono caratterizzati dalla presenza di due gruppi: uno elettron attrattore e uno elettron donatore separati da uno spaziatore coniugato, e quindi planare, che consente una migliore circolazione degli elettroni della molecola. In questa configurazione la molecola risponde alla fotoeccitazione con un trasferimento di carica intramolecolare (Intramolecular Charge Transfer ICT) dal gruppo donatore al gruppo accettore. In particolare, in seguito alla fotoeccitazione la molecola assume una conformazione distorta (Twisted Intramolecular Charge Transfer, TICT) per effetto delle forze elettrostatiche date dalla separazione di carica.54,55 ,56,57

(25)

25 La formazione dello stato distorto TICT è fortemente influenzata da tutta una serie di parametri relativi al mezzo in cui è disciolta/dispersa la molecola. L’ingombro sterico della molecola stessa può ridurre il grado di formazione dello stato TICT, dal momento che può essere ostacolato il movimento di distorsione tra i due gruppi carichi e pertanto il fenomeno risulta meno probabile allo stato solido.

Un altro parametro è legato alla natura del solvente, in particolare alla sua costante dielettrica poiché in solventi molto polari si possono avere interazioni con i dipoli delle molecole di solvente che possono favorire o meno la configurazione distorta e quindi la formazione dello stato TICT. La barriera energetica tra LE (“Local excited”) e TICT è fortemente influenzata dall’intorno chimico del fluoroforo che deve stabilizzare la forma eccitata in modo da poter favorire il passaggio allo stato TICT. La barriera energetica tra la forme planare e quella ruotata può essere inoltre alzata anche con l’utilizzo di solventi a viscosità crescente59.

Nei complessi di tipo TICT la formazione dello stato ruotato può essere interpretata come un rilassamento vibrazionale dominante che porta ad un’ulteriore transizione elettronica di energia minore. La velocità con cui questo passaggio avviene deve essere molto elevata, nell’ordine di 10-8 – 10-10 secondi, per prevenire l’emissione del

fotone per fluorescenza60,58. Nello stato fondamentale, la conformazione planare è

energeticamente favorita, mentre la conformazione distorta è preferita nello stato eccitato, la molecola allo stato eccitato assume quindi la configurazione D+ - π - A-.

Subito dopo l'eccitazione, la molecola assume rapidamente la conformazione dello stato distorto a meno che la barriera di energia tra il LE e lo stato TICT non venga alzata da vincoli fisici, come ad esempio la viscosità del mezzo. In quest'ultimo caso, il raggiungimento dello stato TICT è impedito, e la resa quantica di fluorescenza dalla transizione LE è massima61,62.

I rotori molecolari possono essere classificati in base alla loro struttura principale ed al tipo di decadimento che avviene allo stato TICT (Tabella 1.1).

(26)

26 Tabella 1.1: Principali classi di rotori molecolari.

Fluorofori Esempio Picco emissione LE (nm) Benzonitrili 4,4’-dimetilamminobenzonitrile (DMABN) 342 Benzildene malononitrili 9-(2,2-dicianovinil) julolidina (DCVJ) 496

Stilbeni p-(dimetilammino) stilbene

(p-DASPMI) 560

Coloranti

arilmetinici Cristal violet 630

Nel caso della 9-(2,2-dicianovinil) julolidina (DCVJ), il salto energetico S1-S0 dello

stato TICT è tre volte più piccolo del salto che ci sarebbe con lo stato LE, rendendo tale rilassamento non radiativo. Se invece il salto energetico S1-S0 dello stato TICT

fosse energicamente paragonabile a quello dello stato LE, si potrebbero osservare due bande di emissione, quella caratteristica dello stato LE e quella a più bassa energia dello stato TICT. Grazie a queste proprietà ottiche i rotori molecolari trovano largo impiego nelle tecniche analitiche basate su misure di fluorescenza 63-64-65, le quali

grazie alla loro elevata sensibilità, bassi costi, tempi di risposta brevi e facilità di applicazione risultano oggi molto utilizzate. Ad esempio, le applicazioni di maggior interesse dei rotori molecolari risultano essere nella determinazione delle variazioni dei parametri dei fluidi biologici e nello studio delle cinetiche di polimerizzazione. Infatti è possibile controllare il grado di avanzamento di una polimerizzazione dal momento che la resa quantica è legata in maniera dinamica ai cambiamenti di volume libero che dipende dal peso molecolare del polimero52, 66 , 67 , 68. Durante la polimerizzazione la mobilità dei rotori molecolari è progressivamente impedita man mano che si formano strutture polimeriche sempre più lunghe, con conseguente diminuzione del volume libero.

Un altro esempio pratico in cui il controllo della viscosità può essere utile è quello della biomeccanica delle cellule. La viscosità difatti influenza l’attività delle proteine di membrana e quindi la viscosità cellulare può comportare modifiche fisiologiche che possono portare anche a stati patogeni (diabete, morbo di Alzheimer, malignità

(27)

27 delle cellule)69. L’utilizzo di molecole fluorescenti, che presentano abbattimento di

fluorescenza in risposta a stimoli esterni permette quindi lo sviluppo di nuovi metodi per valutare le proprietà fisiche e chimiche che precedentemente erano determinabili solo con metodi costosi, invasivi e spesso distruttivi.

1.8.1 Rotori molecolari fluorescenti a base di julolidina

Una classe di rotori molto studiata e tra le più promettenti per l’applicazione nella sensoristica è quella dei derivati della julolidina. In questa classe le due molecole organiche che hanno avuto maggior successo, anche in campo biomedico, sono la (dicianovinil)julolidina (DCVJ) e la (carbossicianovinil)julolidina (CCVJ) (Figura 1.8).

Figura 1.8: I rotori molecolari fluorescenti dicianoviniljulolidina (DCVJ, a sinistra) e carbossicianoviniljulolidina (CCVJ, a destra)

La conformazione (donatore-accettore) in queste molecole è garantita dalla presenza dell’azoto julolidinico, donatore, e dal gruppo nitrilico, accettore. La presenza di un gruppo con un elevato ingombro sterico contribuisce all’aumento della barriera energetica tra lo stato eccitato LE e quello TICT, dal momento che la rotazione è molto impedita. Rotori di questo tipo hanno una sola banda di emissione di fluorescenza dovuta al decadimento radiativo dallo stato LE, mentre quando si forma lo stato TICT il decadimento diventa non radiativo con l’energia dissipata sotto forma di calore dovuto a moti rotazionali e vibrazionali.

Da studi computazionali è stato dimostrato come lo stato TICT venga raggiunto tramite una rotazione intramolecolare attorno al doppio legame vinilico70; infatti allo stato eccitato il doppio legame vinilico, a causa delle strutture di risonanza dovute al

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28 trasferimento di carica intramolecolare, assume il carattere di un legame singolo permettendo la rotazione71. Se tali rotazioni sono ostacolate dalla riduzione del

volume libero molecolare (corrispondente ad ambienti ad alta viscosità), la rotazione viene impedita aumentando quindi l’emissione dallo stato LE e la resa quantica di fluorescenza del composto72,73.

Di particolare importanza nella famiglia dei rotori molecolari a base di julolidina è la CCVJ dove la presenza del gruppo carbossilico consente di ottenere ciano-julolidine funzionalizzate con catene laterali anche a polarità molto diverse come polarità, ma con caratteristiche di ingombro chimico tali da garantire inalterate le proprietà viscocromiche della molecola 74,75,76,77.

1.9 Fluorofori in matrici polimeriche

I fluorofori a base julolidinica possono essere sfruttati in matrici polimeriche al fine di investigare le proprietà di quest’ultime tramite risposte di tipo ottico. Questi fluorofori sono in grado di modulare la loro emissione in funzione del tipo di sollecitazione esterna, ad esempio, sollecitazioni meccaniche, termiche o chimiche permettendo così l’individuazione dello stress subito dal materiale78.

Questi fluorofori possono essere dispersi o legati covalentemente alle matrici polimeriche anche in basse concentrazioni (< 0.1% in peso) in modo da creare materiali versatili, plastici e a basso costo. Infatti i polimeri di largo consumo detti “commodities” hanno bassi costi ed hanno interessanti proprietà meccaniche e termiche, ma mancano di qualsiasi risposta ottica.

Per la realizzazione di tali materiali ci sono due metodi distinti che portano vantaggi e svantaggi79:

• disperdere il fluoroforo a livello molecolare all’interno del polimero; • legare covalentemente il fluoroforo al polimero.

Il primo approccio si basa sul mescolamento di un fluoroforo in una matrice polimerica; le macromolecole rimangono strutturalmente inalterate ed il sistema è

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29 generalmente bifasico, a meno che i coloranti non siano completamente solubili nel polimero. Il metodo della dispersione viene ampiamente applicato a materiali plastici ed è di base il metodo convenzionale usato per i materiali pigmentati.

Un altro approccio per combinare i polimeri con i coloranti è quello di legare covalentemente le due specie copolimerizzandole, oppure innestando il colorante sulle catene polimeriche preformate. In figura 1.9 sono riportate alcune possibili combinazioni per legare covalentemente il polimero al fluoroforo.

Figura 1.9: Schema di strategie per legare un colorante organico ad una matrice polimerica. Le spiegazioni dettagliate di ogni singolo metodo vengono riportate di seguito

Nella prima tecnica il fluoroforo contiene già porzioni di molecole capaci di omopolimerizzare (Figura 1.9 A), mentre nel secondo caso il fluoroforo copolimerizza con altri monomeri non fluorescenti (Figura 1.9 B). Nel terzo caso (Figura 1.9 C) i precursori AIE inattivi possono polimerizzare e generare catene di rotori molecolari. I fluorofori possono anche essere fissati sul polimero come catene laterali, per esempio possono essere vincolati a un monomero polimerizzabile, che poi subisce omo o copolimerizzazione per formare polimeri con catene lineari con appese unità di fluorofori (Figura 1.9 D ed E). Un altro approccio interessante è quello di utilizzare fluorofori contenenti iniziatori di polimerizzazione in grado di ottenere polimeri lineari aventi un fluoroforo in catena (Figura 1.9 F).

Oltre ad utilizzare meccanismi di polimerizzazione diretta, è possibile modificare polimeri già esistenti con l’aggiunta di molecole fluorescenti attraverso processi di post-funzionalizzazione. Un metodo è quello di collegare direttamente i fluorofori ai polimeri tramite l’utilizzo di particolari gruppi funzionali presenti sia nel polimero

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30 che nel fluoroforo (Figura 1.9 G). Un modo alternativo è quello di costruire nuovi polimeri attraverso reazioni di polimerizzazione tra polimeri inattivi e piccoli precursori molecolari (Figura 1.9 H). È anche possibile che i polimeri non fluorescenti diventino altamente emissivi per reazione con composti ingombranti (Figura 1.9 I). Inoltre, se il polimero ha gruppi funzionali terminali, può reagire con fluorofori con uno o due siti di reazione per permettere la realizzazione di polimeri con unità fluorescenti terminali o centrali (Figura 1.9 L e M).

Materiali polimerici contenenti rotori molecolari fluorescenti possono essere utilizzati, ad esempio, per la determinazione di tutti quei fattori, interni o esterni alla matrice, capaci di variare la viscosità e la mobilità delle catene macromolecolari. In questi ultimi anni ci sono stati numerosi studi in cui tali sistemi sono stati esposti a vapori di solventi o sostanze volatili. Questi possono generare un forte cambiamento della viscosità del materiale a livello locale e produrre quindi un cambiamento delle proprietà ottiche64.

1.10 Polimeri contenenti fluorofori come

indicatori ottici di VOCs

I VOCs sono sostanze organiche che hanno tensioni di vapore significative a temperatura ambiente. La legislazione italiana definisce composti organici volatili quei composti organici che, alla temperatura di 293,15 K (20 °C), abbiano una tensione di vapore di 0,01 kPa o superiore.

I composti organici volatili possono essere generati sia da attività antropiche che di origine naturale e hanno un ruolo di notevole importanza per la chimica dell’atmosfera terrestre; essi infatti contribuiscono in maniera significativa all’effetto serra e all’assottigliamento dello strato di ozono (ad esempio VOCs alogenati). Diventano quindi di fondamentale importanza la rilevazione ed il controllo di queste sostanze in modo tale da impedire ripercussioni sull’ambiente e sull’uomo 80,81,82.

La difficoltà nel realizzare dispositivi ottici per la determinazione dei VOCs sta nel congegnare un sistema che sia selettivo per certi composti, che sia attivo anche per

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31 bassissime concentrazioni (ppb/ppm) e che dia una risposta accurata e semplice. Una tecnologia particolarmente efficace risulta essere basata su film sottili a base polimerica contenenti fluorofori per creare dei sistemi in grado di riconoscere un’ampia gamma di composti volatili anche per concentrazioni dell’ordine di pochi mg/L83. Questi film sottili possono essere posizionati su differenti superfici; inoltre i VOCs sono in grado di penetrare all’interno del film e quindi interagire con i fluorofori dispersi o legati all’interno dal momento che questi presentano un elevato effetto vapocromico che li rende interessanti come indicatori ottici di tipo on/off. In particolare, l’utilizzo di una catena perfluorurata, dove sia legato covalentemente il fluoroforo, potrebbe consentire alla molecola di localizzarsi maggiormente presso l’interfaccia polimero-aria. In questo modo sarà quindi possibile rilevare segnali in fluorescenza più intensi rispetto ad una dispersione semplice del fluoroforo nella matrice polimerica e di avere una risposta più veloce quando esposto ai VOCs.

1.11 Processo di permeazione di composti

volatili in matrici polimeriche

Quando i vapori di VOCs sono in grado di interagire con la matrice polimerica essi entrano in contatto con la superficie dove avviene il fenomeno dell’adsorbimento, seguito poi dall’attraversamento dell’interfaccia della molecola di solvente verso il bulk del polimero. La forza motrice di questo processo è la differenza di concentrazione tra le due facce del film, tale da indurre la formazione di un potenziale chimico diverso da zero84. Quest’ultimo passaggio può essere più o meno ostacolato dalla natura del solvente, della matrice e della loro compatibilità. Ad esempio, solventi lineari o comunque a catena corta penetrano maggiormente all’interno delle matrici, mentre molecole di dimensioni superiori e con strutture complesse hanno maggiori difficoltà85. Dal punto di vista macroscopico l’interazione solvente-matrice porta a quei processi che vengono definiti rigonfiamento o gelificazione. Dal punto di vista microscopico le catene polimeriche vengono solvatate, aumentando la loro mobilità e il volume libero compreso tra esse generando così un processo con retroazione positivo. Questo processo può essere riassunto secondo la legge di

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32 diffusione di Fick86 che descrive il rapporto tra trasporto di massa e gradiente di

concentrazione. Tale legge combinata con la legge di Henry, che descrive il rapporto tra la solubilità e pressione, origina l’equazione della permeazione (Equazione 1.8):

𝐽 =

𝐷∗𝑆(𝑃2−𝑃1)

Equazione 1.8

dove J è il flusso, D è il coefficiente di diffusione, S il coefficiente di solubilità, h lo spessore del film, P1 e P2 sono le due pressioni all’estremità dei film. Il prodotto del

coefficiente di diffusione (D) per il coefficiente di solubilità (S) è anche definito coefficiente di permeabilità (P). Un grande coefficiente di solubilità comporterà un flusso maggiore attraverso un film di spessore h in quanto, oltre al fenomeno diffusivo, si ha un rilassamento delle catene polimeriche dovuto alle interazioni con il solvente che fa aumentare il volume libero. La struttura polimerica ha quindi una notevole influenza sul meccanismo di trasporto dei VOCs che dipende dal volume libero (Figura 1.10) all'interno del polimero e dalla mobilità delle catene polimeriche stesse. Quest’ultima a sua volta dipende dal grado di insaturazione, di reticolazione, di cristallinità e dalla natura di eventuali sostituenti del polimero87.

Figura 1.10: Illustrazione rappresentativa del “volume libero” (cerchiato in rosso) di un materiale polimerico

(33)

33 Un'altra importante proprietà che influenza il volume libero di un polimero, quindi la facilità di permeazione, è la temperatura di transizione vetrosa (Tg). Difatti nei

polimeri con bassa Tg la mobilità delle catene è maggiore così come il volume libero

e la permeazione. Al contrario nei polimeri vetrosi ad alta Tg, (caratterizzati da

durezza e fragilità) i processi di permeazione risultano sfavoriti a causa della bassa mobilità delle catene84.

Esistono altri fattori che possono contribuire ai processi di trasporto:

• Peso molecolare del polimero: all'aumentare del peso molecolare del polimero, il numero di estremità della catena diminuisce. Le estremità della catena rappresentano una discontinuità nel sistema e possono formare siti per le molecole di solvente. È stato osservato come la diffusività di una gamma di VOC in polistirene vetroso sia ridotta di un ordine di grandezza quando il peso molecolare sia aumentato da 10.000 a 300.000 g/mol88.

• Presenza di reticolazioni: le reticolazioni aumentano la rigidità del polimero con conseguente diminuzione del volume libero. Barrer89 osservò, ad esempio, come la diffusività di alcuni alcani diminuiva con l’aumentare del grado di reticolazione. • Grado di cristallinità: visto il grande ordine che è presente in queste fasi il volume libero al suo interno è molto modesto e per questo motivo la permeazione delle molecole esterne diventa molto più difficile90.

• Presenza di cariche: se le cariche riempitive interagiscono con le catene del polimero e quindi sono ben disperse a livello molecolare andranno ad occupare il volume libero creando così dei percorsi tortuosi di permeazione che aumenteranno l’impermeabilità ai VOCs. Se al contrario la carica non è compatibile col polimero si creano degli spazi vuoti all’interfaccia con aumento del volume libero e della permeabilità86.

• La temperatura: i coefficienti di solubilità (S) e diffusività (D) e quindi di permeabilità (P) variano con la temperatura secondo l’equazione di van’t Hoff (Eq 1.9) e di Arrhenius (Eq 1.10 – 1.11) 91:

(34)

34

𝑆 = 𝑆

0

𝑒

−𝛥𝐻𝑠⁄𝑅𝑇 Equazione 1.9

𝐷 = 𝐷

0

𝑒

−𝐸𝐷⁄𝑅𝑇

Equazione 1.10

𝑃 = 𝑃

0

𝑒

−𝐸𝑃⁄𝑅𝑇

Equazione 1.11

dove ED e EP sono, rispettivamente, le energie di attivazione di diffusione e

permeazione, ΔHs è il calore di solubilità del penetrante nel polimero, e D0, S0 e E0

sono i fattori pre-esponenziali e quindi valori alla temperatura standard.

• Effetto dei plastificanti: un plastificante aumenta la mobilità delle catene polimeriche incrementando la capacità di trasporto. Si definiscono plastificanti tutti quei composti che, in una matrice polimerica, sono in grado di aumentare la mobilità delle macromolecole del sistema riducendo la viscosità. L’aggiunta di tali sostanze influisce notevolmente sulla natura del polimero tanto da provocare uno spostamento della Tg a valori più bassi, favorendo così la permeazione delle molecole di solvente. L'effetto dei plastificanti e dell’umidità sono stati accuratamente studiati da Stannet e Yasuda86,92.

• Natura del permeante: la dimensione e la forma della molecola penetrante influenzerà la sua velocità di trasporto all'interno della matrice polimerica. È stato osservato come ad una diminuzione della diffusività corrisponda un aumento della grandezza della molecola permeante. Anche la forma è un fattore influente: per esempio, molecole anisotrope o allungate hanno coefficienti di diffusione superiori rispetto a molecole sferiche93. Tuttavia, deve essere anche considerata l’interazione che il sovente ha con la matrice polimerica. Nel caso in cui si considerano vapori di un buon solvente per il polimero, infatti, il processo di permeazione è accompagnato dal processo di dissoluzione a causa delle interazioni tra il vapore e la matrice. Ciò avviene se il vapore di solvente non viene desorbito e allontanato dopo un breve tempo di induzione. Lo spessore del film diventa quindi un altro parametro importante da prendere in considerazione per la definizione del processo.

(35)

35

1.11.1 Permeazione di VOCs in matrici polimeriche fluorurate

I polimeri fluorurati, come notato in precedenza, possiedono una bassa energia superficiale ed un basso volume libero tra le catene stesse. Quest’ultima caratteristica, unita al fatto che questi polimeri sono in grado di migrare sulla superficie creando delle micro separazioni di fase, fa sì che i processi di permeazione e diffusione siano ostacolati. Infatti, quando lo spessore dello strato fluorurato sia sufficientemente elevato esso potrà fungere da barriera impedendo il passaggio dei composti volatili.94Questa caratteristica di barriera può essere vista come un punto di forza per i sistemi vapocromici in quanto la permeazione di VOCs diventerà più selettiva rispetto ad altre classi di composti. Ad esempio vapori di solventi fluorurati, avendo una maggiore affinità con il polimero fluorurato, riusciranno a penetrare più efficacemente e in minor tempo, portando ad abbattimenti di fluorescenza più marcati rispetto a composti organici che risentono maggiormente dell’effetto barriera del polimero. In questo modo è possibile progettare, in funzione dello spessore dello strato fluorurato, un sistema selettivo che fornisca una risposta diversa alle varie classi di VOCs, in modo da portare un avanzamento rispetto ai sensori finora studiati di tipo on/off.

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(37)

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2 SCOPO DELLA TESI

I polimeri fluorurati presentano peculiari caratteristiche, tra le quali sono di particolare rilievo il basso indice di rifrazione, la bassa costante dielettrica, l’eccellente stabilità termica e chimica e la spiccata idrofobia e lipofobia, con la conseguente bassa energia superficiale. Quest’ultime particolari caratteristiche rendono i polimeri fluorurati ottimi candidati per lo sviluppo di materiali anti-macchia, anti-ghiaccio e anti-vegetativi per vari settori tecnologici avanzati, quali ad esempio quelli della sensoristica ambientale e biomedica. Legando covalentemente un polimero con comportamento idrofobo/lipofobo (ad esempio un polimero fluorurato) con un polimero avente un comportamento idrofobo/lipofilo (ad esempio un polimero idrocarburico) in un copolimero a due blocchi si possono generare nuovi materiali speciali, a volte denominati anfifobici.

L’interesse principale di questo lavoro di tesi è stato volto alla sintesi e lo studio, in soluzione e in massa, di nuovi copolimeri anfifobici a blocchi in grado di nanostrutturarsi, in solventi organici, mediante processi di organizzazione spontanea promossi dalla duplice natura idrofoba/lipofoba dei blocchi costituenti, la loro composizione e la lunghezza relativa nel copolimero. A tale scopo è stato progettato un nuovo tipo di copolimeri costituiti da un blocco di polistirene (S) ed un blocco di poli(1H,1H,2H,2H-perfluoroesiletil acrilato) (AF), prescelti per impartire simultaneamente idrofobia e lipofobia al sistema in soluzione di solventi organici in virtù della modulazione controllata e sistematica dalla natura chimica (x e y) dei blocchi (Figura 2.1).

Figura 2.1. Struttura chimica dei copolimeri a blocchi Sx-b-AFy e dei copolimeri Sx-b-(AFy-JCBF) di questo lavoro di tesi.

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38 I fenomeni di auto-assemblaggio sono stati studiati tramite analisi di diffusione dinamica della luce, valutando i diametri idrodinamici dei nanoaggregati e le concentrazioni micellari critiche, in differenti solventi e in funzione della temperatura. Inoltre, sono stati sintetizzati copolimeri a blocchi della stessa natura, ma incorporando nel blocco fluorurato anche un monomero a base di cianoviniljulolidina (JCBF), in basse percentuali molari, in modo da poter indagare i fenomeni di aggregazione dei copolimeri a blocchi anche tramite analisi dell’emissione di fluorescenza del rotore molecolare isolato e confinato in un compartimento microviscoso, sia in una soluzione organica al di sopra della concentrazione micellare critica sia alla superficie segregata in fase solida di un film sottile.

Un altro obiettivo non secondario del lavoro è stato lo studio dei copolimeri anfifobici a blocchi preparati per l’impiego come additivi modificatori della superficie dei film di nuovi dispositivi polimerici per indicatori ottici e sensori dei vapori di composti organici volatili (VOC) potenzialmente dannosi per l’uomo e per l’ambiente. Di questi film abbiamo indagato la bagnabilità con alcuni liquidi con differente polarità in modo da dimostrare la loro natura contemporaneamente idrofoba e lipofoba, dovuta alla preferenziale e selettiva migrazione del blocco fluorurato all’interfaccia polimero-aria. Inoltre è stata avviata un’analisi della variazione dell’emissione di fluorescenza dei film dei copolimeri a blocchi contenenti il rotore molecolare a seguito dell’esposizione ai vapori organici volatili, sia idrocarburici sia fluorocarburici. In tal modo abbiamo inteso valutare l’utilità dell’ausilio della componente fluorurata nell’indurre accorciamenti dei tempi di risposta e abbattimenti dell’intensità di fluorescenza di sensori vapocromici di tipo on/off. Infine abbiamo iniziato uno studio volto a verificare le potenzialità di risposta di tali sistemi anche a variazioni termiche per valutare la loro eventuale applicazione anche come indicatori e sensori termocromici.

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3 RISULTATI E DISCUSSIONE

In questo lavoro l’interesse è stato incentrato su nuovi materiali polimerici fluorurati, con proprietà anfifobiche, al fine di studiarne il comportamento in soluzione e in fase solida. Ci siamo serviti inoltre di un rotore molecolare, legato covalentemente alla catena polimerica principale, per investigare le proprietà di aggregazione in soluzione tramite misure di emissione di fluorescenza. Inoltre, è stata investigata la capacità responsiva di film polimerici ai vapori di solventi organici volatili e alla temperatura per potenziali applicazioni in campo sensoristico. A tal fine abbiamo progettato e sintetizzato copolimeri a blocchi fluorurati di diversa composizione.

3.1

Sintesi e caratterizzazione dei polimeri

I polimeri con proprietà anfifobiche sono stati sintetizzati a partire da due monomeri commerciali, quali lo stirene (S) e l’1H,1H,2H,2H-perfluoroesiletil acrilato (AF) (Figura 3.1).

Figura 3.1: Struttura dei monomeri utilizzati per le sintesi dei copolimeri.

Questo secondo monomero, possedendo una catena perfluorurata relativamente lunga, è capace di segregarsi dalla parte stirenica con cui viene legato, stratificarsi in superficie ed impartire caratteristiche di bassa energia superficiale. Inoltre il monomero fluorurato è il responsabile dell’anfifobia del polimero di sintesi finale, essendo intrinsecamente sia idrofobo sia lipofobo.

D’altra parte lo stirene può essere sfruttato utilmente per la produzione di copolimeri con proprietà modulate su base chimica, grazie alla sua versatilità di polimerizzazione

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40 e alla sua reperibilità commerciale a basso costo. Inoltre, questo componente può favorire specifiche interazioni stirene-stirene tra il copolimero di sintesi e il supporto stirenico usato per le prove vapocromiche.

Nella sintesi di un’altra classe di copolimeri è stato, infine, utilizzato anche un altro monomero la [4-vinil(1,1'-bifenil)-4’-il]-cianoviniljulolidina (JCBF), che può fungere da rotore molecolare in grado di conferire al polimero proprietà di assorbimento ed emissione di fluorescenza che variano in risposta a specifici stimoli esterni (Figura 3.2).

Figura 3.2: Struttura del rotore molecolare JCBF.

Infatti, questa particolare molecola introdotta covalentemente nei copolimeri di sintesi e utilizzata come sonda fluorescente in fase solida può risultare vantaggiosa in applicazioni vapocromiche, in termini di sensibilità e prontezza di risposta, grazie al suo confinamento in superficie.

Il monomero JCBF, già disponibile in laboratorio come prodotto di sintesi 96, in soluzione di cloroformio mostra un picco caratteristico a circa 407 nm (ε = 21500 M–1cm–1), (Figura 3.3 e 3.4), tipico dei derivati dicianovinil julolidinici95 ed un secondo picco di assorbimento a circa 290 nm, dovuto alle transizioni elettroniche π→π* delle unità bifeniliche. Il massimo di emissione in fluorescenza è stato registrato a circa 500 nm (λecc = 410 nm) (Figura 3.3) con un valore di resa quantica

trascurabile (Φ = 2,1110-3), tipico del rotore che si trova in mezzi a bassa viscosità dove la formazione dello stato eccitato TICT (Twisted Intramolecular Charge

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