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Il ruolo del Presidente della Repubblica in Romania

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Academic year: 2021

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LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI Classe LM-63

TESI IN

GOVERNO REGIONALE E LOCALE NELLO SPAZIO GIURIDICO EUROPEO

IL RUOLO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

IN ROMANIA

Relatore: Elettra Stradella Candidato: Rita Lorenzani

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2 Abstract

L’oggetto di studio di questa tesi è il ruolo del Presidente della Repubblica in Romania, questo perché il caso romeno presenta delle peculiarità e delle ambiguità riguardo alla natura del suo regime politico che hanno fatto nascere in seno alla letteratura scientifica un acceso dibattito. La Romania è formalmente una Repubblica semipresidenziale, ma il dibatto della dottrina si focalizza sia su come definire il Paese, da un punto di vista normativo; sia sul distacco esistente tra forma e sostanza. La maggioranza degli studiosi definiscono la Repubblica romena come semipresidenziale, ma non sono univoche le opinioni in merito “all’intensità” dei poteri presidenziali. La Romania è definita semipresidenzialismo: moderato (A. Iorgovan), accentuato (B. Dima), attenuato (R. Elgie), ascendente o discendente (C. Ionescu). Altri, invece, la ritengono un sistema parlamentare (G. Sartori). Qualificazioni attribuite a seconda di quali variabili vengono considerate preponderanti rispetto ad altre. Guardando alle regole costituzionali, la Romania è un semipresidenzialismo, laddove però il Presidente della Repubblica, non ha un ruolo attivo nella politica nazionale ma è mediatore dei rapporti tra i poteri dello Stato e tra lo Stato e la società. Al contrario, esaminando la prassi politica dal 1989 ad oggi, il ruolo e i poteri del Capo di Stato sono apparsi: ora forti e travalicanti i confini costituzionali, ora rispettosi della legge fondamentale. Questo in funzione degli equilibri di forza esistenti tra Presidente della Repubblica, Governo e Parlamento.

Il background storico che accomuna gli Stati dell’ex blocco Comunista rappresenta un’importante fattore di influenza sull’attuale fisionomia di questi Paesi. Pertanto, oltre ad una premessa storica sulla Romania, è stato fatto riferimento alle vicende accadute ai Paesi dell’Est e agli studi esistenti in materia (M. Duverger, R. Elgie).

Attualmente, la Costituzione romena lascia spazio ad ambiguità che, assieme alle specifiche configurazioni partitiche e il coinvolgimento nei partiti politici di Presidente e Primo Ministro, hanno reso più agevole ai Presidenti interpretare in modo individuale il loro ruolo istituzionale. Per questo motivo, si ritiene necessario per la Romania operare una revisione costituzionale che colmi le lacune esistenti. Al di fuori della dimensione normativa, comunque, il dinamismo mostrato dalla società civile romena, mostra segnali positivi in direzione di un cambiamento verso il consolidamento della democrazia nel Paese.

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INDICE

INTRODUZIONE, Il ruolo del Presidente in Romania ... 6

1 IL PASSATO DELLA ROMANIA, LA BASE PER CAPIRNE IL PRESENTE ... 9

1.1 LA FRAGILE DEMOCRAZIA DEL PERIODO PRE-COMUNISTA ... 12

1.2 IL PERIODO COMUNISTA ... 13

1.2.1 Il Partito Comunista Rumeno ... 14

1.2.2 La fine del regime e la transizione verso la democrazia ... 20

1.3 I LASCITI DEL COMUNISMO PER LA GIOVANE DEMOCRAZIA ... 23

1.4 LA TRANSIZIONE DEMOCRATICA E IL TORTUOSO PERCORSO DI ACCESSO ALL’UNIONE EUROPEA ... 26

2 IL SEMIPRESIDENZIALISMO RUMENO ... 31

2.1 DEFINIRE IL SEMIPRESIDENZIALISMO ... 32

2.2 NATURA GIURIDICA DEL REGIME IN CONFORMITÀ ALLA COSTITUZIONE ... 39

2.2.1 Il semipresidenzialismo romeno, prospettiva normativa ... 42

2.2.2 Il semipresidenzialismo romeno, pratica politica postrivoluzionaria ... 45

2.3 REVISIONE COSTITUZIONALE, UN OBIETTIVO IMPALPABILE? ... 50

2.4 IL RAPPORTO TRA IL SEMIPRESIDENZALISMO RUMENO E LA DEMOCRAZIA ... 56

3 IL PRESIDENTE DELLA ROMANIA, IL RUOLO, LE FUNZIONI, IL MANDATO ... 61

3.1 CENNI STORICI RIGUARDO L’ISTITUZIONE DEL CAPO DELLO STATO IN ROMANIA .... 62

3.2 I CAPI DI STATO IN ROMANIA E LE LORO PERSONALITÀ ... 67

3.2.1 I monarchi ... 67

3.2.2 I Presidenti ... 70

3.3 IL RUOLO E LE FUNZIONI... 73

3.3.1 Immunità e inviolabilità ... 74

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3.4 LE FUNZIONI RIGUARDANTI LA DIFESA E LE SITUAZIONI ECCEZIONALI ... 80

3.5 LE FUNZIONI DI POLITICA ESTERA ... 81

3.6 LE FUNZIONI IN RAPPORTO AL POTERE GIURISDIZIONALE DELLA CORTE COSTITUZIONALE ... 81

3.7 ALTRE FUNZIONI: LA RESPONSABILITÀ POLITICA ... 86

3.8 ELEZIONI E MANDATO DEL PRESIDENTE... 87

3.8.1 Organizzazione e sviluppo delle elezioni ... 87

3.8.2 Condizioni di eleggibilità ... 88

3.8.3 Il mandato e i diritti del Presidente ... 90

3.9 IL REGIME E LA NATURA DEI DECRETI EMESSI DAL PRESIDENTE ... 91

3.9.1 Il decreto di grazia ... 94

4 LA ROMANIA NELLA CORNICE DEI PAESI DELL’EX-BLOCCO COMUNISTA ... 97

5 CONCLUSIONI ... 111

BIBLIOGRAFIA ... 115

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M.F.T Che con amore mi presta le sue ali.

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INTRODUZIONE

Il ruolo del Presidente in Romania

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Romania is peripheral, and the rest of Europe stands to gain little from its presence in the union. Left outside it would be an embarrassment, but hardly a threat. But just this reason Romania is the EU’s true test case. Tony Judt1

«All’indomani della Rivoluzione di velluto a Praga è stata posta una targa per celebrare la fine del socialismo di stato in Europa, una targa che scandisce i tempi delle rivoluzioni nazionali nelle ex democrazie popolari: "Polonia - 10 anni; Ungheria - 10 mesi; Germania Est - 10 settimane; Cecoslovacchia - 10 giorni". Qualche giorno dopo è stata aggiunta un’ultima postilla: “Romania –10 ore”»2.

La fine del dominio turco e la Costituzione monarchica del 1879, l’instaurazione della dittatura comunista e il “divorzio” con l’Unione Sovietica a favore dei Paesi occidentali; la caduta di Ceaușescu, la transizione democratica fino all’accesso nell’UE, sono le principali “tappe” che ha affrontato la Romania in poco più di un secolo. La rivoluzione romena così come la transizione democratica sono state particolari3, facendo della Romania un caso «sui generis»4. È un Paese ribellatosi alla dittatura comunista, ma che è finito per essere guidato dagli stessi esponenti del Partito Comunista riorganizzatosi sotto le vesti del Fronte di Salvezza Nazionale5. Il Fronte, alla cui base vi era l’esperienza e l’apparato organizzativo dell’estinto PCR6, si fece

1 Tony Judt, Reappraisals: Reflections on the forgotten twentieth century, Random House, 2014, p.263.

2 Andrea Vannucci, Da Ceauşescu allo Stato di diritto. Considerazioni sull'evoluzione della forma di governo

romena, 2009, p. 1,

http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=13005&dpath=document&dfile=19052009152254.pdf& content=Da+Ceausescu+allo+stato+di+diritto.+Considerazioni+sull%27evoluzione+sulla+forma+di+governo+r umena++-+unione+europea+-+dottrina+-+. La frase riportata sulla targa è di Timothy Garton Ash.

3 Ibid.

4 Elettra Stradella, L’elezione del Presidente della Repubblica: spunti dall’Europa, prospettive per l’Italia, Pisa

University Press, 2013, p.106.

5 E. Stradella, op. cit. 6 A. Vannucci, op. cit.

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promotore di istanze democratiche e guida verso un nuovo inizio per la Repubblica Democratica della Romania.

In questo elaborato verrà svolta un’analisi sul ruolo, sulle funzioni e sul mandato del Presidente della Repubblica in Romania entro una cornice storica e costituzionale, con l’intento di collocare la figura presidenziale e, più in generale, la forma di governo, nelle categorie delineate dalla dottrina giuspubblicistica e comparatistica.

La storia alle spalle del Paese, è servita ad avere una base di conoscenza essenziale per poter affrontare una dissertazione sulle istituzioni odierne della Repubblica romena. Il passato di una Nazione si riflette nel suo presente, nella sua cultura istituzionale, politica e sociale, dunque gli stessi conflitti politico-istituzionali che si producono ad oggi in Romania, necessitano di essere letti anche alla luce degli eventi passati.

Prima del periodo dittatoriale sotto il Partito Comunista, la Romania era una monarchia nata in seguito alla liberazione dal dominio turco; sebbene la sua Costituzione si basasse su principi liberali e democratici, essa era solo una veste formale: partecipazione politica altamente censitaria e autorità del monarca facevano della Romania un Paese debolmente democratico. Con l’avvento del regime Comunista, l’aspetto autoritario si fece sempre più marcato, sostenuto da una consolidata tradizione del “capo guida”. La forte ideologia servì a creare senso di appartenenza a un’élite, rafforzata dal controllo totale da parte del Partito di ogni aspetto politico, economico e sociale, grazie allo spietato lavoro della polizia segreta, la Securitate. In seguito alla caduta del regime e l’instaurazione della democrazia in Romania non c’è stata un’effettiva indagine sul passato comunista, ostacolata dalla presenza al potere dei partiti eredi della precedente dittatura. L’anno 1989 si è chiuso per la Romania con l’auspicio di una considerevole svolta: la caduta del regime dittatoriale e l’instaurazione di una Repubblica democratica sostenuta, in seguito, dalla Costituzione del 1991. Nonostante ciò, la Romania non ha ancora raggiunto una certa maturità nell’«apprendimento politico», reso più difficoltoso dalla mancanza di un «modello di emulazione pre-comunista»7.

Per quanto concerne il tipo di regime, la scelta è ricaduta sulla repubblica semipresidenziale con elezione diretta del Capo dello Stato; ma in sostanza, le definizioni e le classificazioni che ne derivano dallo studio dei diversi sistemi di governo che stanno a cavallo tra il presidenzialismo e il parlamentarismo, trovano differenti e talvolta discostanti attribuzioni.

7 Sorina C. Soare, Bulgaria e Romania vent’anni dopo: il peso del passato, le sfide del presente in Pietro Grilli Di

Cortona, Tra vecchio e nuovo regime, Il peso del passato nella costruzione della democrazia, Il Mulino, 2011, p. 231.

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Oltre alle differenze formali, costituzionali e non solo, anche la pratica politica incrementa il bagaglio di eterogeneità attribuito ai sistemi cosiddetti semipresidenziali. Tra questi la Romania non fa eccezione.

Il primo capitolo è dedicato alle dinamiche che sottostanno alla nascita della Repubblica democratica romena e della sua debole tradizione democratica, per passare al periodo pre-comunista, fino all’instaurazione del regime dittatoriale e alla rivoluzione del 1989. È fatto, inoltre, un accenno alle vicende che hanno caratterizzato il Paese al momento dell’accesso nell’Unione Europea.

Conclusa la cornice storica, il secondo capitolo si addentra nel concetto di semipresidenzialismo, esponendo il dibattito della dottrina attorno alla definizione di tale forma di governo e dell’inquadramento della Romania al suo interno o meno, rispetto alle differenti opinioni esistenti nella letteratura specialistica.

Successivamente, è esaminata la figura del Presidente della Repubblica in Romania sotto un punto di vista storico e normativo, parlando delle sue funzioni e del suo ruolo, nonché del mandato presidenziale nello sfondo dei precetti costituzionali.

Termino l’elaborato con un capitolo dedicato ad inquadrare il semipresidenzialismo romeno e la figura del Presidente entro le realtà degli altri Paesi dell’ex blocco comunista, sottolineando le peculiarità della Romania rispetto ad essi oltre ai tratti che, invece, li accomunano.

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IL PASSATO DELLA ROMANIA, LA BASE PER CAPIRNE IL

PRESENTE

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No viable democracy can afford to accept amnesia, forgetfulness, and the loss of memory. An authentic democratic community cannot be built on the denial of past crimes, abuses, and atrocities. Vladimir Tismaneanu

Quando ci riferiamo alla Romania, ma anche ai suoi vicini “rossi”, non possiamo additare l’eredità comunista come l’unico fattore ad aver determinato la chiusura, l’effettiva negazione dei diritti e libertà dell’uomo, il declino della qualità della vita a favore della costruzione di uno Stato nazionale nelle mani di un partito unico aspramente intollerante verso ogni forma di dissenso e opposizione. Non è l’unico fattore, ma ne è uno particolarmente determinante. Basti pensare alle osservazioni svolte da Tismaneanu membro della Commissione presidenziale per l’analisi della dittatura Comunista in Romania, il quale ha sottolineato come una democrazia funzionale non possa basarsi sulla menzogna, sulla negazione e sull’amnesia; il risultato dell’uscita della Romania dal Comunismo ha prodotto un regime ibrido, quasi democratico, con gli ex-comunisti – come Ion Iliescu- che hanno mantenuto posizioni influenti e che si sono opposti a una genuina rottura con il passato8.

Così, come viene identificato nella letteratura, l’eredità pre-comunista e comunista si intrecciano. Nel periodo antecedente l’instaurazione del regime Comunista a Bucarest, la Romania si presentava come una monarchia apparentemente sostenuta da una costituzione liberale, con un’economia principalmente agricola e una popolazione esclusa in larga parte dalla vita politica9. Durante il Comunismo, la gestione dell’economia, della politica e della società passò sotto l’egida del Partito Comunista che riuscì a porre le basi di un sistema autoritario fedele ai principi sovietici. La Romania si renderà più indipendente a partire dal 1965 sotto la

8 Vladimir Tismaneanu, “Democracy and memory: Romania confronts its Communist past”, Annals of the

american academy of political and social science, n.617, 2008, p.166-180.

9 Herbert Kitschelt, Zdenka Mansfeldova, Radoslaw Markowski, Gabor Toka, Post-Communist Party Systems,

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guida di Ceaușescu che non decise di indebolire il controllo sulla società, ma al contrario accentrare ancor più severamente il potere e il controllo di ogni aspetto sociale, economico e politico a livello del Partito10. Con la caduta del regime Comunista, la Romania, affrontò una difficoltosa transizione verso la democrazia, affatto indolore e “tranquilla”11: la classe politica

non seppe offrire un’alternativa di fronte ad una società civile fragile12 racchiusa in una cornice economica debolissima13.

Visto l’alto livello di colonizzazione, da parte di membri della famiglia di Nicolae Ceaușescu, nel Partito e nelle istituzioni, si assistette, in parallelo, ad una vera colonizzazione “personale” del potere; qualificazioni che possono far rientrare la Romania nella categoria del comunismo patrimoniale, caratterizzato da una catena verticale di dipendenza personale tra i leader nello Stato, l’apparato del Partito e il loro entourage, sostenuto da un esteso clientelismo. Riferendoci all’idealtipo, nel comunismo patrimoniale, il potere si concentra in una piccola cerchia o in un singolo individuo attorno al quale si crea un culto personalistico. Alla nomina delle cariche sottostà il nepotismo, pertanto il livello di istituzionalizzazione resta basso14. Linz

definisce la Romania di Ceaușescu come una forma estrema di patrimonialismo chiamata da Weber sultanismo15. In esso il regime e lo Stato si sovrappongono e le norme legal-razionali sono messe da parte o distorte; il “sultano” costruisce attorno a sé un culto della personalità senza portar avanti nessun serio progetto ideologico e spesso passa ai suoi parenti più stretti il potere in maniera dinastica. Esso maschera sotto una veste di legittimità popolare ciò che de facto è una dittatura priva di diritti di proprietà, concentrata nelle mani del leader grazie al massiccio uso della corruzione tra i livelli di governo più alti16. Questa descrizione si addice perfettamente alla Romania di Ceaușescu. Dagli anni Cinquanta, nel Paese ci fu un ammorbidimento all’interno del regime che non significò la fine della repressione Comunista per cui bisognerà aspettare all’incirca un trentennio17. Dagli anni Sessanta, Bucarest uscì dalla

propria chiusura nazionale riallacciando i rapporti con l’Occidente18. Sotto la guida di

10 Enciclopedia britannica, http://www.britannica.com/place/Romania/Government-and-society#toc42752. 11 Jonathan Eyal, “Why Romania could not avoid bloodshed”, Spring in winter, ed. Gwyn Prins, Manchester

University press, 1990.

12 Anca Herghea, “Tranziția de la comunism la post-comunism”, Sfera Politicii, n. 129-130, 2008, p. 18-25. 13 Gergana Noutcheva, Dimitar Bechev, “The Successful Laggards: Bulgaria and Romania's Accession to the EU”,

East European Politics and Societies, vol. 22, n. 1, 2008, http://eep.sagepub.com/cgi/content/abstact/22/1/114.

14 Ibidem, p.23.

15 Juan J. Linz, Alfred Stepan, L’Europa post-comunista, Bologna, Il Mulino, 2000.

16 Houchang E. Chehabi, Juan J. Linz, Sultanistic Regimes, USA, The Johns Hopkins University Press, 1998. 17 Enciclopedia brittannica, op. cit.

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Ceaușescu, il regime romeno vide un rafforzamento del ruolo del Partito (in sostanza sotto il controllo del Conducator), accompagnati da una maggiore intromissione nella vita quotidiana e da un controllo sociale19. A livello ideologico fu messo sempre di più l’accento sull’interpretazione dei principi cardine del marxismo-leninismo filtrati dalle numerose pubblicazioni firmate da N. Ceaușescu.

Aprendo le porte alla democrazia, la Romania, si è lasciata alle spalle il Comunismo attraverso la violenza della Rivoluzione (1989), scaturita dalla reazione del popolo rumeno sottoposto a sofferenze a cui voleva porre fine, giungendo alla proclamazione della Repubblica e di una nuova Costituzione (1991)20. La transizione democratica in Romania, pertanto, è stata

differente dagli altri Paesi Comunisti per la modalità con cui è stato abbattuto il regime attraverso tumulti e violenza21. Per quanto riguarda il Partito Comunista, in Romania, sembrava

essere sparito dopo il 1989, ma riapparve con il nome di “Partito socialista del lavoro”, ma ebbe un ruolo marginale nella vita politica del Paese22.

Per quanto concerne l’economia, la riconversione economica verso il mercato capitalistico comportò gravi costi per Bucarest, la cui crescita rallentò notevolmente23.

Dal punto di vista politico-istituzionale, l’introduzione dell’elezione diretta del Capo dello Stato, ha riprodotto un’impalcatura istituzionale ispirata dal modello semipresidenziale francese24. A livello infrastrutturale troviamo un esecutivo bicefalo e un Primo ministro e un governo dipendenti dalla fiducia del legislativo; in riferimento all’estensione dei poteri costituzionali del presidente, la Romania è stata definita come “semipresidenzialismo sostanziale”25. La sua transizione democratica, inoltre, è avvenuta in ritardo26.

19 S. C. Soare in P. Grilli Di Cortona, op. cit, p. 207. 20 Ibid.

21 J. Eyal, op. cit., p. 141. 22 A. Herghea, op. cit..

23 G. Noutcheva, D. Bechev, op. cit..

24 Secondo Rinella, le forme di governo dei Paesi ex-comunisti, non devono essere associate a quella francese della

V Repubblica (in cui De Gaulle voleva rafforzare la figura del Presidente), ma l’elezione diretta del Presidente della Repubblica nei paesi dell’Est, fu frutto del carisma delle personalità che ricoprivano la carica in quel momento che rappresentavano, nell’immaginario collettivo, l’identità nazionale e l’indipendenza del popolo, (A. Rinella, L. Pegoraro, I semipresidenzialismi, Cedam, 1997, p.249).

25 Tanja Cerruti, L’allargamento dell’Unione Europea alla luce dei parametri politici imposti ai nuovi stati membri

per l’adesione, Centro studi sul federalismo, www.csfederalismo.it/attachments/1345_PP_Cerruti_07.pdf.

26 Valerie Bunce, Sharon Wolchik, “International diffusion and postcommunist electoral revolutions”, in

Communist and postcommunist studies, n.3, 2006,

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Ad oggi, in quanto democrazia semi-consolidata27, la Romania ha ancora importanti passi da compiere verso un ulteriore sviluppo della sua economia, verso un rafforzamento dell’integrazione con l’UE (ad esempio rientrare nello spazio Schengen) e, in generale, verso un ammodernamento del Paese28..

1.1 LA FRAGILE DEMOCRAZIA DEL PERIODO PRE-COMUNISTA La Romania ha raggiunto una maturità politica in termini di identità nazionale solamente alla fine dell’Ottocento29 e sebbene abbia esperito un periodo di democrazia nella prima parte del

XX secolo, manca una radicata tradizione democratica. Ciò probabilmente è giustificabile dal limitato arco di tempo su cui essa si è distesa. In seguito alla liberazione dal dominio turco, il Paese divenne una monarchia sostenuta da una struttura liberal costituzionale e redisse nel 1879 una nuova Costituzione.

La Romania si presentava come una società prevalentemente rurale, dove la capitale rappresentava il maggiore centro industriale oltre che fulcro politico e amministrativo30. La sua Costituzione fu emanata nel 1866, in seguito all’unificazione nazionale (1859), avvenuta dopo la rivoluzione del 1848 e l’abbattimento del dominio turco31. Per essa si può parlare di “democrazia mimata32”: la partecipazione politica era fortemente limitata da un sistema di voto

altamente censitario33, oltre al fatto che la formazione del governo era da attribuire alle volontà del monarca piuttosto che dal risultato delle elezioni.

Quindi, sebbene la Costituzione del 1866 si basasse su principi tra i più liberali per quei tempi, la prassi si poneva in contraddizione con essi, con un governo rappresentante più

27 Secondo la classificazione di Freedom House che non valuta i governi di per sé, né classifica i Paesi sulla base

di intenzioni governative o singole legislazioni. La classifica è determinata considerando gli effetti pratici dello Stato e degli attori non governativi sui diritti e libertà individuali. Sulla base del democracy score calcolato annualmente da FH come media di vari indicatori, la Romania è considerata una democrazia semi-consolidata in quanto la sua valutazione per il 2017 è 3.39 (su una scala che va da 1= più democratico a 7=meno democratico), https://freedomhouse.org/report/nations-transit/2017/romania.

28 http://www.presidency.ro.

29 S. C. Soare in P. Grilli Di Cortona, op. cit., p. 205.

30 Nunzio Dell’Erba, Storia della Romania dallo Stato unitario alla nuova costituzione, Roma, Cerdef, 2005. 31 Ibid.

32 Utilizzata da Mattei Dogan nei suoi studi di politica comparata in riferimento agli stati usciti dalla tutela del

totalitarismo Comunista installato nell’Europa Centrale e Orientale, (Mattei Dogan, Comparații și explicații în

știința politică și în sociologie, Iași, Institutul European, 2010).

33 Definito “suffragio universale limitato” dai costituzionalisti del 1866, l’accesso al voto era limitato a quella parte

della società rumena ricca, colta e istruita che si contrapponeva all’altra parte, la classe rurale, povera e scarsamente istruita, con un peso demografico molto maggiore (Alexandru Radu, “Reforma sistemului electoral din România. O istorie analitică”, Sfera Politicii, n. 167, 2012).

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«un’emanazione del palazzo reale» che il risultato delle elezioni34. Alla fine del XIX secolo

nacquero i partiti di quadri e accanto ad essi una nuova tipologia partitica, ispirata al modello del partito di massa: ebbe origine il Partito nazionale contadino (Pnt); parimenti si formarono nuovi partiti dalla scissione del Partito socialdemocratico, che rappresentarono, in seguito, le basi dei futuri partiti comunisti. Mentre l’autorità del re si rafforzava e i principi democratici stentavano a concretizzarsi malgrado gli emendamenti costituzionali, negli anni Trenta, con la crisi economica e l’instabilità politica che caratterizzò parte del mondo, per Bucarest ebbe fine la breve esperienza democratica sostituita da un regime autoritario35.

1.2 IL PERIODO COMUNISTA

Bucarest, con il secondo dopoguerra e il riassetto geo-politico mondiale, rientrò sotto la sfera d’influenza dell’Unione Sovietica, divenendo uno stato comunista. Con l’imporsi del Partito Comunista come potere indiscusso, ogni traccia di pluralismo e diritti di libertà venne cancellata, aprendo le porte ad un regime autoritario mascherato da un’apparente democrazia e consenso sociale. Nel Paese, non vi era, tuttavia, un’ampia diffusione territoriale del PCR36; ma attraverso un controllo totale delle istituzioni statali, dell’economia e della società, rafforzato dall’uso di strumenti come la paura e la violenza esercitata dalla polizia segreta37, si venne a

delineare un comunismo patrimoniale38 e monolitico.

Nella primavera del 1945, salirono al potere i Comunisti, nonostante non avessero un gran numero di sostenitori, grazie all’intervento dell’Unione Sovietica che inviò le sue truppe nella capitale e forzò il re Michael ad instaurare un governo pro-comunista39. Con l’imposizione

del Partito, il nuovo governo guidato da Petru Groza e la forzata abdicazione del sovrano, il 30 dicembre 1947 venne proclamatala Repubblica del Popolo Romeno40. In Romania, il Partito

Comunista, dagli anni Settanta, non apparve mai come unico partito alle elezioni, ma, nonostante detenesse un potere di monopolio politico, presentò sempre la sua offerta politica nel quadro di più fronti politici, con candidature multiple. Tutto ciò però, in conformità al modello sovietico, serviva allo scopo di creare l’illusione di una più ampia possibile

34 S. C. Soare in P. Grilli Di Cortona, op. cit. 35 Ivi, p. 205.

36 Ibid. 37 Ibid.

38 H. Kitschelt, , op. cit.

39 Enciclopedia britannica, op. cit. 40 Ibid.

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rappresentanza sociale. Di fatto solamente con le elezioni del novembre 1946, fu presente un’opposizione e la società romena poté, seppur in condizioni particolarmente ostili, esprimersi tra più opzioni politiche. Esse servirono ad espletare una tra le richieste della Conferenza di Yalta, assicurando, attraverso le falsificazione dei risultati, il potere politico Comunista installato con la forza il 6 marzo del 194541.

Con l’incontro tra J. Stalin, W. Churchill e F.D. Roosevelt in Crimea, fu, in sostanza, deciso l’assetto mondiale post-bellico con il proposito di favorire la diffusione della democrazia:

«la creazione dell’ordine in Europa e la ricostruzione della vita economica nazionale devono essere raggiunti attraverso processi che libereranno i popoli e elimineranno le ultime vestigia del nazismo e del fascismo e creeranno istituzioni democratiche secondo la loro volontà42».

Nulla di ufficiale è trapelato sui veri contenuti geo-strategici dal loro confronto riguardo eventuali mutue concessioni in materia di influenza politico-militare sui territori europei occupati, né riguardo la presunta divisione delle sfere d’influenza43; Emanuel Copilaș ritiene

che il presunto abbandono di Churchill dell’Europa dell’Est nel quadro “dell’accordo delle percentuali” (definito in Crimea) che avrebbe accettato lo status quo delle sfere d’influenza, non è che un mito44. Quello che è certo è che in seguito alla riunione dei tre capi di stato, fu definito uno stato di fatto, creatosi in seguito al contributo che ciascuno di essi aveva dato alla lotta contro il nazi-fascismo45.

1.2.1 Il Partito Comunista Rumeno

A partire dalla seconda metà del XX secolo si apre per la Romania un'epoca di «comunismo o socialismo totalitario»46. Numerosi studiosi nel tempo hanno tentato di dare una definizione

41 Rapporto della Commissione per le analisi della dittatura comunista in Romania, op. cit. 42 Testo originale della Conferenza di Yalta, Declaration of Liberated Europe, paragrafo 2. 43 Maurizio Châtel, Progetto Novecento, Didasfera, BBN.

44 Emanuel Copilaș, “De la monarhie la republică populară: România: 1945-1947. O restrospectivă politică”,

Anuarul Institutul de Istorie “George Bariţiu”, serie historica, p. 5, http://www.historica-cluj.ro/suplimente/SuplimentHistorica2013/21.pdf.

45 M. Châtel, op. cit.

46 Il totalitarismo viene attribuito a pochi casi e solitamente in letteratura, i Paesi Comunisti vengono considerati

autoritari, ma esistono pareri discordanti che ritengono tali regimi totalitari (Giuliana Laschi, Memoria d’Europa, riflessioni su dittature, autoritarismo, bonapartismo e svolte democratiche, Milano, Franco Angeli Editore, 2012, p. 140).

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generale di autoritarismo, quella che è generalmente accettata è la descrizione di Juan Linz che definisce come “autoritario” un «sistema politico con pluralismo politico limitato e non responsabile, senza una elaborata ideologia-guida, ma con mentalità caratteristiche, senza mobilitazione politica estesa o intensa, tranne che in alcuni momenti del suo sviluppo, e con un leader o talora un piccolo gruppo che esercita il potere entro limiti formalmente mal definiti ma in realtà abbastanza prevedibili»47. Gli elementi rilevanti emergenti in questa definizione sono dunque cinque: il pluralismo limitato, le mentalità caratteristiche, assente o limitata mobilitazione politica, esercizio del potere da parte di un leader o un piccolo gruppo e limiti formalmente mal definiti48. Il pluralismo limitato fa riferimento agli attori rilevanti nel regime,

i gruppi sociali politicamente attivi che sostengono il regime nella sua fase d’instaurazione e successivamente (definita coalizione dominante) che «partecipano alla gestione governativa del regime […] in quanto occupano posizioni di comando nelle strutture-chiave del regime autoritario»49; negli autoritarismi, inoltre, non è presente una precisa ideologia, il regime è sostenuto sulla base di valori, sui quali diversi attori (con caratteristiche e interessi diversi) trovano un accordo più facilmente, che Moritz Geiger definì «mentalità»50. Il fatto che i limiti dei governanti siano formalmente mal definiti, consente loro, di avere un considerevole margine di discrezionalità nell’esercizio del potere esercitato da un leader, talora carismatico (come fu Ceaușescu), oppure da poche persone presenti negli organi di vertice che detengono le leve del potere51. Il perché e il come si instauri un tale regime è dipeso da numerose variabili: la storia, le tradizioni, la religione, la struttura economica ecc.; oltre che dalla specificità nazionale anche dal contesto internazionale52.

In Romania, il potere si concentrava nelle mani del Partito Comunista, che divenne il centro amministrativo di tutto il Paese, a partire dalla legittimazione costituzionale. Con l’istituzione della Repubblica, l’Assemblea Costituente redasse la nuova Costituzione che entrò in vigore nel 1948. Entrambe ricalcavano il modello della Costituzione sovietica del 1936, prevedendo la costruzione dello Stato in conformità ai principi comunisti e riservando massimi poteri al Partito53.

47 Juan Linz, citato da M. Cotta, D. Della Porta, L. Morlino, Scienza Politica, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 104. 48 Ibid.

49 Ivi, p. 105.

50 Moritz Geiger citato da M. Cotta, D. Della Porta, L. Morlino, op. cit., p.106. 51 Ibid.

52 G. Laschi, op. cit., p. 127. 53 Enciclopedia britannica, op. cit.

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Dalla seconda metà del XX secolo e fino agli anni ’60, il leader comunista preparò le basi di un regime autoritario. Il Partito prendeva ogni tipo di decisione, in sostanza il governo non era altro che il suo apparato amministrativo. Esso si occupava di prendere le decisioni riguardanti l’economia, l’organizzazione delle masse (attraverso creazione di associazioni per i giovani e sindacati operai), controllo delle chiese e delle attività spirituali, il tutto garantito da una dura repressione di ogni forma di opposizione all’ideologia partitica attraverso una «strategia di pressione sotterranea, seguita dal ricorso al terrore e alla repressione»54.

Tra i primi passi compiuti in direzione del totale controllo, ci fu quello verso l’economia: nazionalizzazione delle grandi industrie, delle banche e delle compagnie assicurative e instaurazione del monopolio governativo sul commercio. Rapida industrializzazione, collettivizzazione forzata dell’agricoltura, forti poteri agli apparati di polizia e di sicurezza, isolamento dai Paesi non appartenenti al blocco sovietico, questi gli obiettivi primari seguiti dal Partito Comunista rumeno in linea con il modello organizzativo e i principi sovietici: pianificazione e direzione rigidamente centralizzate55. Un ulteriore elemento

tipico degli autoritarismi che ritroviamo nel caso analizzato è l’ostilità nei confronti dello Stato (derivante dalla ideologia marxista-leninista), che ha prodotto una progressiva fagocitazione dello Stato attraverso un duplicarsi di uffici amministrativi e centri di decisione del potere (causando confusione nei cittadini che non riescono a individuare la vera fonte dell’autorità):

«In una frenesia maniacale di controllo totale della realtà sociale, […], i comunisti fecero in modo che ogni funzione, competenza, ufficio, agenzia dell’amministrazione statale, organo decisionale trovasse un suo duplicato nell’apparato del patito unico»56.

Il passaggio successivo vide la riorganizzazione sociale, con un profondo impatto sulle popolazioni interne57. Ciò che interessava ai Partiti comunisti del blocco sovietico, era il controllo, molto più delle politiche. In ogni Paese il rispettivo Partito cercò di controllare «ministeri chiave: quello degli Interni, che dava l’autorità sulla polizia e le forze di sicurezza nonché il potere di concedere o meno la licenza di stampare giornali; quello della Giustizia, che

54 Tony Judt, Dopoguerra, come è cambiata l’Europa dal 1945 a oggi, Milano, Mondadori, 2005, p.167. 55 Enciclopedia britannica, op. cit.

56 P. Grilli Di Cortona, Capire la politica, p. 120. 57 Ibid.

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dava il controllo sulle epurazioni, i tribunali e i giudici; quello dell’Agricoltura, che aveva la responsabilità delle riforme e della distribuzione delle terre, con la possibilità di concedere favori e comprare la lealtà di milioni di contadini»58.

In Romania, il Partito Comunista si occupò dell’eliminazione dell’opposizione attraverso una campagna che culminò in processi pubblici, che portarono alla condanna numerosi leader democratici come Iuliu Maniu, leader del Partito Nazionale degli Agricoltori. Inizia la “sovietizzazione” della vita pubblica che portò la Romania a una totale chiusura verso i Paesi occidentali. Venne creata la Securitate, la polizia segreta, il centro di una vasta rete di sicurezza; furono dissolte le organizzazioni private di ogni tipo; vennero create organizzazioni di massa in ogni sfera di attività con l’obiettivo di mobilitare l’opinione pubblica. Le purghe avevano l’obiettivo di creare un élite che coincidesse con il programma del Partito: rivoluzione dell’agricoltura, industrializzazione dell’economia e trasformazione della società. Per realizzare tutto ciò era necessario istituzionalizzare un nuovo sistema comunista. Vennero create sezioni di Commissioni centrali per le donne, i giovani, i contadini, sindacati, il trasporto, i rifornimenti, l’industria e il commercio; tutte con strutture delocalizzate a livello locale.

Primaria importanza fu data alla formazione ideologica volta a rafforzare il senso di appartenenza ad un élite, ma anche a inculcare la fedeltà al Partito e ad isolare i membri da insidiose influenze esterne. Tutto ciò servì a creare un senso di elitismo, a far sentire i membri parte di un gruppo esclusivo e privilegiato in modo da incrementare la coerenza e l’unità nel Partito59. La religione e le istituzioni ecclesiastiche radunavano attorno a loro la benevolenza e l’ascolto di molti cittadini, pertanto, il suo controllo era necessario per il Partito: fu imposta la sottomissione di tutti gli ordini religiosi alla supervisione dello Stato e furono severamente limitate le capacità delle chiese di compiere i loro compiti spirituali ed educativi. La creatività degli artisti e degli scrittori venne subordinata alle direttive del Partito, si parlò di “sovietizzazione” o “russificazione” della cultura60. I traguardi sovietici raggiunti in ogni

campo furono utilizzati come modelli da emulare, vennero fatti inoltre grossi sforzi per imporre il russo come seconda lingua. Questa campagna, volta a far distaccare la Romania dalle simpatie occidentali, fallì e anzi intensificò la tradizionale fobia verso la Russia61. La distruzione dei partiti di opposizione fu seguita dalla liquidazione delle testate e i media andarono sotto il totale

58 Tony Judt, op.cit., p.166.

59 Giacomo Pacini, Il grande terrore, http://cronologia.leonardo.it/mondo24.htm. 60 Enciclopedia britannica, op. cit.

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controllo dello Stato. Le biblioteche e le librerie furono “purificate” dai titoli politicamente incorretti; in Romania, le attività dei giornalisti, degli scrittori, degli artisti e dei musicisti furono portate sotto la sezione Agitprop della Commissione Centrale del Partito62.

1.2.1.1 Il terrore, la polizia, i processi

La definizione di “Grande terrore” nasce inizialmente in riferimento al periodo di brutale violenza esercitato dall’URSS sulla popolazione prima della seconda guerra mondiale. L’obiettivo era quello di “epurare” il Paese da ogni forma di dissidenza dal regime, Stalin che sentiva a livello internazionale di essere circondato da nemici, voleva esser pronto per affrontare la guerra senza “tarli” nel suo territorio. Il principio a cui si attenevano pareva esser quello di “cada pure una testa in più” allo scopo di avere uno Stato fedele. Quindi pochissimo bastava per cadere nelle maglie repressive: aver scontato pene lievi, aver espresso dubbi sul regime, aver partecipato a gruppi di opposizione ecc. Il popolo doveva realmente credere che chi veniva arrestato, fosse colpevole, aldilà della verità, così che la popolazione ritenesse giusta la punizione inflitta; furono avviati processi sommari in cui il processato era costretto, allo stremo, a dichiararsi colpevole; il popolo fu indottrinato su come smascherare una spia63. «Le “grandi purghe” –[…]il motore della società plasmata da Stalin – si sarebbero ripetute da lì a poco non solo in Unione Sovietica, ma anche nei Paesi satellizzati dell’Est europeo e […] avrebbero seguito in tutto e per tutto il copione sperimentato a Mosca»64. Lo strumento utilizzato per queste opere di “pulizia” fu la polizia segreta. Le purghe, le espropriazioni, le espulsioni, le pene carcerarie, le condanne a morte … avevano come scopo ufficiale quello di eliminare i fascisti e criminali di guerra, ma di fatto servirono a trasformare radicalmente la scena politica e sociale65.

In Romania con lo stabilirsi del governo di Groza, tutte le forze dell’ordine vennero totalmente subordinate ai principi cardine del Comunismo. I comitati cittadini furono formati per assistere la polizia, che, in seguito a ordine sovietico, aveva il diritto di controllare i documenti tra le strade; di cercare tra le abitazioni oggetti presumibilmente lasciati dall’URSS durante la guerra o appartenuti a tedeschi o ungheresi e di ispezionare le case in cerca di

62 Ibid.

63 G. Pacini, op.cit.

64 Renzo Foa, Ho visto morire il comunismo, Venezia, Marsilio Editori, 2011, p. 19. 65 T. Judt, op.cit., p. 65.

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rifugiati. In queste ispezioni nelle vite delle persone, non vi era alcuna supervisione legale, così rapidamente la polizia diventò una forza di repressione e si diffuse la paura per le autorità66.

Le purghe servivano a fare in modo che la popolazione, sotto una costante minaccia, diventasse strumento dei Comunisti. Un’ondata di arresti iniziò nel maggio del 1946: fu incolpato un ex ministro degli interni di “complottare contro l’unità dello Stato romeno per la gestione di organizzazioni sovversive all’interno del Movimento di resistenza nazionale”. Il primo passo verso la legalizzazione della repressione si ebbe con un emendamento del Codice penale del 27 febbraio 1948 che prendeva a prestito dei concetti dalla legislazione sovietica utili per consolidare il potere politico Comunista. Fino alla fine dell’anno furono arrestati in 4.500. Con un decreto del 18 agosto venne compiuto un altro passo a favore della repressione integrando la Legge sulla persecuzione e punizione dei colpevoli di crimini di guerra o crimini contro la pace e la sicurezza, introdotto l’anno precedente. Grazie ad esso fu possibile arrestare più di 1000 ufficiali della Siguranța (polizia segreta dal 1940 al 1944) e della Jandarmerie. I loro posti furono presi da incaricati del Partito. Il processo di verifica messo in atto dal Partito Comunista rimosse 192.000 “elementi ostili”, ovviamente ciò incrementò il senso di terrore che già permeava largamente la società rumena67.

Va sottolineato che fu solo con numerose ondate di terrore, attraverso lo sterminio fisico delle élites non comuniste (gran parte di questi assassini furono velati) e la brutale vittimizzazione di interi gruppi sociali, che permisero il consolidamento del regime autoritario comunista68. Con i decenni a venire, le infrastrutture repressive del regime rimasero intatte e spietatamente utilizzate. Tutti i leader dei gruppi dei diritti umani furono uccisi e i più fortunati restarono a lungo in prigione69. Fu istituito l’organismo della polizia segreta, la cui azione si espletava in forma riservata sotto il comando del Partito Comunista, attraverso la violenza.

In Romania fu il Departamentul Securității Statului o semplicemente Securitate (Sicurezza) a essere l’organo segreto di polizia dal 1948 alla caduta del regime di Ceaușescu nel 1989. Se messa in proporzione alla popolazione, essa è stata una delle più grandi e brutali polizie segrete del blocco orientale. Nel 1956 essa contava 25.468 addetti70, cioè più di una

66 Pare che solo in due mesi del governo Groza furono arrestati 90.000 rumeni, anche se non ci sono dati attendibili

a confermarlo (Dennis Deletant, Communist terror in Romania, 1999, C.Hurst & co. Ltd, p. 74).

67 Ibid. 68 Ibid.

69 D.Sharlanov, V. I. Ganev, op. cit.

70 Eastern Europe struggles to purge security services, New York Times,

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persona ogni 1000 abitanti71 con Ceaușescu gli agenti erano quasi 11.000 e gli informatori circa mezzo milione72 cioè ogni 1000 abitanti, 21 persone collaboravano con il regime (escludendo chi era formalmente un agente della polizia segreta)73.

Le tattiche utilizzate erano prive di scrupoli e di ogni morale, negli anni ottanta lanciò una campagna massiccia contro i dissidenti attraverso la quale manipolò la popolazione con macchinazioni, false prove, denunce pubbliche, pubblica umiliazione dei dissidenti, inasprirono la censura e la repressione oltre che aizzare l’odio tra le classi sociali. I dissidenti con un’istruzione superiore (scrittori, universitari, scienziati ecc.) vennero spesso etichettati come “intellettuali” e duramente repressi74. La Securitate fece anche degli assassini uno strumento da

loro utilizzato per soffocare il dissenso. Non mancarono intrusioni coercitive nelle abitazioni e uffici, dove installarono talvolta microfoni, con l’obiettivo di intercettare ogni tipo di comunicazione ed estrapolare più informazioni possibili dalla popolazione. Si sospetta, però, che essa, seppur stata molto fedele al governo, sia stata implicata nella sua stessa caduta, per la presenza, al suo interno, di un forte movimento anti-Ceaușescu75. «Le epurazioni e i processi

ebbero quindi un chiaro significato politico»76, esse erano impregnate di vendetta e calcolo politico, l’obiettivo di Stalin e delle autorità di occupazioni sovietiche dei territori controllati dall’Armata rossa, era chiaramente quello di «ripulire il panorama sociale e politico locale da ogni possibile ostacolo al dominio comunista»77.

1.2.2 La fine del regime e la transizione verso la democrazia

Con la morte di Stalin nel 1953 e l’inaugurazione del “nuovo corso” nel Paese ci fu un ammorbidimento all’interno del regime, ma questo cambiamento non significò che la

71 La popolazione rumena nel 1956 era di 17.489.450 abitanti, dati:

http://data.un.org/Data.aspx?d=POP&f=tableCode%3A22; dunque (17.489.450 / 25.468) * 1000 = 1.46%.

72 Eastern Europe struggles to purge security services, NYT, op. cit..

73 Ho calcolato questo dato prendendo in considerazione la popolazione del 1989, cioè ultimo anno del regime

secondo i dati: https://data.worldbank.org/indicator/SP.POP.TOTL?locations=RO. Dunque (500.000 / 23.161.458) * 1000 = 21.59%.

74 D. Deletant, op. cit.

75 Nel 2009 è nata la European Network of Official Authorities in Charge of the Secret Police Files, con l’obiettivo

di rendere disponibili i documenti riguardanti gli organi di polizia segreti operanti durante regimi dittatoriali comunisti. Alla seconda edizione del 2014 hanno collaborato la Bulgaria, la Germania, la Polonia, la Romania, la Repubblica ceca, l’Ungheria e Slovacchia. Pertanto numerosi documenti sono adesso disponibili ai cittadini presso gli archivi di stato (Cristian Troncota, “Securitatea: Începuturile”, Magazin Istoric, 1998, http://www.itcnet.ro/history/archive/mi1998/current10/mi24.htm).

76 T. Judt, op.cit., p. 64. 77 Ivi, p.65.

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repressione comunista era giunta al termine. Solo dopo circa un trentennio, la popolazione rumena iniziò ad agire di fronte alla miseria e agli stenti cui erano stati e avrebbero continuato ad essere sottoposti. Dagli anni Sessanta, la Romania, uscì dalla propria chiusura nazionale, Bucarest avviò legami con l’Occidente. L’apertura rumena, avvenne in seguito al laceramento dei rapporti con l’URSS e fu seguita dall’instaurazione della dittatura di Ceaușescu. La gestione personale del potere e l’assenza di alternative a livello della società spiegano, almeno in parte, la violenza che segnò la fine del suo “progetto”.

È dagli anni Sessanta in poi che la nazione uscì dall’isolamento aprendosi a rapporti commerciali e culturali con l’estero quando la Romania riallacciò i contatti con i Paesi europei e gli Stati Uniti d’America, segnale della fine della “russificazione”. L’apertura nei confronti dell’Occidente, fu dovuta a delle frizioni nate con l’Unione sovietica in seguito all’insistenza di Chruščëv, nei confronti di Gheorghiu-Dej, di far abbandonare alla Romania i progetti di industrializzazione, mantenendo invece la posizione di fornitore di prodotti agricoli e materie prime ai “poteri industriali” del Comecon; richiesta che fu considerata inaccettabile e offensiva al leader romeno. Le tensioni raggiunsero il culmine nel 1964, con la “dichiarazione d’indipendenza” del Partito Comunista Romeno. Con la morte di Gheorghiu-Dej nel 1965, il suo successore Nicolae Ceaușescu aumentò gli sforzi per diminuire la dipendenza dall’URSS. Egli cercò di espandere le relazioni economiche con l’Occidente e giocò abilmente sui sentimenti anti-sovietici che erano ben diffusi nella popolazione per mobilizzare supporto al Partito romeno. Con Ceaușescu e le sue tesi di luglio del 1971, ci fu un ritorno ad una rigida ortodossia ideologica e riaffermazione del massimo ruolo dirigenziale del Partito. In quasi vent’anni di “neo-stalinismo” che seguirono, il Partito Comunista intensificò il suo controllo con le organizzazioni di massa e s’intromise più profondamente che mai nella vita quotidiana dei cittadini78. La posizione del Partito resta con il tempo ugualmente debole, nonostante l’aumento degli iscritti, caratteristica che traspare soprattutto davanti alla «passività con cui esso si piegava di fronte alla colonizzazione personale di Ceaușescu»79.

Con la fine degli anni Ottanta, Ceaușescu trasformò la Romania in uno Stato di polizia80. Le istituzioni, le organizzazioni e anche il Partito Comunista divennero meri strumenti a

78 Enciclopedia britannica, op. cit.

79 S. C. Soare in P. Grilli Di Cortona, op. cit., p. 207.

80 Tipo di Stato che nell’Europa del XVIII secolo rappresenta la più compiuta evoluzione dei regimi assolutistici

nel quale il benessere dei sudditi, la prosperità dello Stato e l’ordine pubblico non erano assicurati dalla libera dinamica delle forze sociali, bensì da un rigoroso controllo amministrativo di carattere autoritario, verticistico e paternalistico. Allora la polizia non era associata alla sicurezza e ordine pubblico, ma al potere discrezionale del sovrano sottratto a qualunque limite formale e controllo giurisdizionale. Nel regime autoritario Comunista romeno,

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servizio della sua volontà. Fu principalmente la polizia segreta, la Securitate, ad appoggiarlo. Gli stenti e la disperazione che schiacciavano la popolazione la spinsero a mettere fine a tale condizione cosicché i fermenti sfociarono nella Rivoluzione del 1989, che nel giro di una settimana portò alla caduta del regime81. Ad assumere la direzione del popolo rumeno fu il Fronte Nazionale di Salvezza, il 20 giugno 1990, con Ion Iliescu82. L’8 dicembre 1991, fu approvata con un referendum la nuova Costituzione che fondava una Repubblica democratica con promesse di stabilità politica83.

Questo excursus aiuta ad avere un’idea circa il bagaglio storico-istituzionale della Nazione, utile ad affrontare un’analisi delle attuali istituzioni.

Tabella 1.1 Tappe succedutesi dall’instaurazione del regime comunista alla democrazia.

Fonte: elaborazione personale.

Ceaușescu determinava gli interessi della popolazione, promettendo di occuparsi della promozione del benessere dei suoi cittadini, avvalendosi delle forze di polizia dotate di estesi poteri (Enciclopedia Treccani, dizionario di Storia, 2011, www.treccani.it/enciclopedia/stato-di-polizia_(Dizionario-di-Storia)/).

81 Dopo che il 25 dicembre Ceaușescu e la moglie Elena furono frettolosamente processati e giudicati colpevoli di

omicidio di massa e altri crimini da uno speciale tribunale militare. Lo stesso giorno furono giustiziati.

82 Enciclopedia britannica, op. cit. 83 Ibid.

1945 •Vittoria del Partito Comunista che va al potere.

1947

•Proclamazione della Repubblica del Popolo Romeno.

1947

•Entra in vigore la nuova Costituzione su modello di quella sovietica.

•Avviata la sovietizzazione e affermato il regime totalitario.

1953

•Ammorbidimento del regime in seguito alla morte di Stalin.

anni '60 •Uscita dall'isolamento e apertura commerciale.

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1.3 I LASCITI DEL COMUNISMO PER LA GIOVANE DEMOCRAZIA Gli ex-membri del Partito Comunista rumeno, hanno avuto un ruolo centrale nella formazione e organizzazione dei nuovi stati democratici. Le opposizioni esistevano, ma la capillarità e l’esperienza degli ex-comunisti prevaleva nettamente e a nulla valsero manifestazioni e disordini. In Romania, solo alla fine degli anni Novanta l’opposizione anticomunista ebbe il suo primo mandato. Impegnata nella riorganizzazione statale, nacquero dibattiti incentrati sulla struttura del Parlamento. Subito dopo la caduta del Comunismo, nella società rumena, si mantenne una forte ideologia nazionalista che poi scemò nell’ultimo decennio.

In Romania l’opposizione anticomunista si presentò piuttosto debole, quindi qui, tale situazione di fragilità permise ai personaggi del precedente regime, gli eredi dei partiti comunisti, di imporsi sulla nuova scena politica con le prime elezioni libere del dopoguerra84. Ne emerse una condizione di instabilità caratterizzata da disordini e violenza di piazza, ma solo nel 1996 l’opposizione anticomunista ebbe il suo primo mandato (Convenzione Democratica Romena o CDR). Il passaggio alla repubblica democratica significò per il Paese ripresa e stabilità: il nuovo governo rumeno (che vinse le elezioni per le sue promesse di repressione della corruzione e rilancio dell’economia)85 fu colpito da scandali politici e accuse di

corruzione86.

Per i Paesi post-comunisti la ricostruzione dello stato seguì a quella dei partiti, essi occupandosi della ricostruzione delle istituzioni democratiche e del passaggio all’economia capitalista, modellarono, di fatto, il nuovo Stato «a loro immagine e somiglianza», facendo parlare di “cattura dello stato” in riferimento alla costruzione di istituzioni statali deboli poste sotto l’influenza partitica87. Tutto ciò fu facilitato dal fatto che non esistesse alcun riferimento

a un passato pre-comunista su cui poggiarsi per ricostruire lo Stato, se non una tradizione accentratrice. Questi elementi aggiunti alla debolezza dell’opposizione, all’esperienza e al mantenimento del potere degli eredi del Partito Comunista, permisero ai socialisti di avere un sostanziale vantaggio sulla scena politica88.

84 Ivi, p. 209.

85 John Hickman, Chris Little, "Seat/Vote Proportionality in Romanian and Spanish Parliamentary Elections",

Journal of Southern Europe and the Balkans, vol. 2, n.2, 2000, www.researchgate.net.

86 S. C. Soare in P. Grilli Di Cortona, op. cit. 87 Ivi, p. 218.

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La Romania ha vissuto un regime autoritario in cui il pieno potere era nelle mani del PCR, ciò avrebbe permesso, secondo Linz e Stepan89, di ereditare più facilmente un sistema caratterizzato da clientelismo senza esser contrastato da rilevanti resistenze. La riorganizzazione delle forme di governo degli anni Novanta vide scontri e accordi che confluirono in un assetto in parte legato al passato, in parte innovativo. Il dibattito rumeno, si incentrò sulla strutturazione del Parlamento, tra l’opzione unicamerale (ritenuta dalla maggioranza come sinonimo di efficienza) o bicamerale (voluta dai partiti storici per mantenere un legame con il passato pre-comunista), giungendo a scegliere, poi, un bicameralismo simmetrico. Secondo Sartori, la Romania nonostante ufficialmente sia un sistema semipresidenziale, è nella pratica un sistema parlamentare con elementi di Quinta repubblica francese90. Egli è l’unico autore (ad eccezione, nella dottrina romena, di Ioan Vida) a ritenere

che il regime politico romeno sia parlamentare, asserendo ciò sulla base delle previsioni costituzionali:

▪ La funzione di mediazione del Presidente è tipica dei regimi parlamentari mentre nei sistemi presidenziali e semipresidenziali, il Capo dello Stato svolge un ruolo attivo tra gli attori politici.

▪ Il Presidente non può nominare il Primo Ministro, se non attraverso una consultazione con il Parlamento.

▪ Il Presidente può consultare il Governo riguardo a questioni urgenti e di una certa rilevanza e può partecipare, in determinate circostanze, al Consiglio dei ministri. Queste, spiega Sartori, sono prerogative tipiche di un Capo di Stato in un regime semipresidenziale, ma l’utilizzo del verbo “potere” indebolisce la sua figura.

▪ Lo scioglimento del Parlamento da parte del Presidente è possibile solo a seguito della consultazione con l’Assemblea. Ciò è caratteristica tipica dei sistemi parlamentari.

▪ Il Presidente può indire referendum, ma consultandosi con il Parlamento. Questa funzione è tipica dei regimi presidenziali, ma Sartori ritiene che la sola esistenza di essa non possa portare automaticamente e definire un sistema politico come

89 Linz, Stepan, 1996, citato da S. C. Soare, op.cit., p. 218.

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presidenziale; solo in base a come essa è applicata, è possibile giungere ad una conclusione riguardo alla natura del regime91.

Il rinnovamento in seno all’organizzazione statale e tra i partiti non ha comunque portato alla società l’efficienza e la stabilità politica economica auspicata. Aldilà del largo numero di membri del partito socialdemocratico rumeno, che riecheggia il “fascino dei grandi numeri” del Comunismo, in esso (e in generale nel sistema partitico) non vi è una forza qualitativa o ideologica92. Ciò rappresenta un tassello del puzzle di carenze democratiche caratterizzanti lo Stato in esame.

Altro elemento di continuità rispetto al passato, nell’immediato post-comunismo, si è rilevato nella presenza di partiti e ideologie nazionaliste. Con il Partito dell’unità nazionale dei rumeni e il Partito della Grande Romania guadagnarono approvazione due messaggi anti-sistemici, anti-magiari con tratti di razzismo, antisemitismo e antioccidentalismo. Ma dopo l’iniziale successo dei partiti nazionalisti, dal 2008, l’appoggio al nazional-populismo in Romania è parso scemare93. In sostanza, sono emersi i “nostalgici” del vecchio regime sostenitori di un passato, spesso mitizzato.

Un altro importante aspetto da considerare riguarda il “come” è avvenuta la decomunistizzazione: è chiaro che essa sia stata essenziale per la concretizzazione della democrazia, ma affatto semplice per i Paesi post-comunisti che hanno dovuto confrontarsi con l’aspro compito della “lustrazione”. In Romania, già dopo il 1990, numerosi ex-ufficiali hanno potuto svolgere ruoli di rilievo in politica; il superamento del Comunismo avvenne mantenendo un alto grado di continuità politica e sociale con le strutture del vecchio regime. Ciò non significa che non venne posta resistenza, le istanze volte a smascherare la polizia politica, per annullare le condanne inflitte per motivi politici, per il rinnovamento della classe dirigente, esistevano, eppure le richieste dei gruppi di opposizione non furono ascoltate. Solamente in seguito alla vittoria della coalizione della Convenzione Democratica alla fine del 1996, «i temi

91 Giovanni Sartori, “Sul sistema costituzionale romeno”, Studia Politica. Romanian Political Science Review,

vol. II, n. 1, 2002, citato da, Radu Carp, “On the nature of the Romanian political regime: reflections on the recent jurisprudence of the constitutional court”, Studia Politica: Romanian Political Science Review n.13, 2013, p. 411-425.

92 S. C. Soare in P. Grilli Di Cortona, op. cit., p. 225.

93 Il partito ottenne subito il 9% alle elezioni politiche del 2005 e 21 deputati alle Presidenziali del 2006, posizione

ridimensionata con le elezioni europee del 2009 ma mantenendo comunque un ampio sostegno (Gian Antonio Stella, Negri, froci, giudei & co.: L'eterna guerra contro l'altro, Milano, Rizzoli, 2009).

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della lustrazione politica e della ricerca della “verità personale” attraverso l’accesso da parte dei cittadini al proprio dossier tornarono di attualità»94.

In breve, in Romania non c’è stata un’effettiva indagine sul passato comunista, ostacolata dalla presenza al potere dei partiti eredi della precedente dittatura; non è stata ancora raggiunta una maturità nell’«apprendimento politico» reso più difficoltoso dalla mancanza di un «modello di emulazione pre-comunista»95.

1.4 LA TRANSIZIONE DEMOCRATICA E IL TORTUOSO PERCORSO DI ACCESSO ALL’UNIONE EUROPEA

Dal modello di “democrazia popolare” «con la centralità del Partito Comunista, assenza di pluralismo politico, il controllo rigoroso sulla società civile […], economia di comando […], l’obbedienza all’URSS»96 la Romania ha esperito il passaggio verso la democrazia. La

transizione è avvenuta dal basso97, scaturita da una rivoluzione. L’assestamento al nuovo regime, tuttavia, è avvenuto in un quadro di mancanza di alternative politiche valide di fronte ad una società civile fragile e inattiva98.

Le caratteristiche del processo di transizione dei Paesi post-comunisti possono essere spiegate in gran parte guardando all’impatto che i movimenti avvenuti nella società e l’aderenza che i discorsi degli intellettuali hanno avuto nel rapporto tra l’élite e la massa. Ma laddove non c’è stata un’esperienza revisionista prima del 1989 o comunque dove le tendenze di riforma del sistema sono state fortemente limitate, la nascita di correnti intellettuali alternative è stata molto più difficile:

«le chances di successo per il cambiamento del regime sono maggiori laddove ha funzionato una società civile prima del regime autoritario, dove si è formata una cultura politica (anche se limitata)»99.

94 Stefano Bottoni, “Memorie negate, verità di stato. Lustrazione e commissioni storiche nella Romania

post-comunista”, Quaderni Storici, Il Mulino, vol. 2, 2008, www.academia.edu.

95 S. C. Soare in P. Grilli Di Cortona, op. cit., p. 231. 96 A. Herghea, op.cit.

97 Ibid.

98 Florian Trauner, “Post-accession compliance with EU law in Bulgaria and Romania: a comparative

perspective”, in European Integration online Papers (EIoP), vol. 13, n. 2, art. 21, 2009, http://eiop.or.at/eiop/texte/2009-021a.htm.

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Per il caso in esame, è accaduto proprio questo: «la società civile è stata sottosviluppata o fragile, le élite comuniste sono state incapaci di offrire alternative alla loro politica disastrosa, per cui la transizione è stata significativamente differente in questi Paesi»100. In Romania, la transizione non è avvenuta in maniera “tranquilla”, scrive Jonathan Eyal: «per la prima volta nella storia un regime comunista è stato rimosso con successo, in modo violento»101. Anca Herghea ritiene che la rivoluzione, non sia stata programmata da qualcuno sotto il quadro di interessi politici come alcuni hanno ipotizzato, ma sia stata una violenta rivolta nata dalla disperazione contro un uomo (Ceaușescu) e il suo sistema, a cui è poi rapidamente seguita una presa al potere probabilmente pianificata. Numerosi storici ritengono, contrariamente, che ci sia stato un colpo di stato organizzato e che la rivoluzione non sia stata totalmente il frutto della volontà popolare, Radu Portocală, scriveva nella dedica al suo libro “Autopsie du coup d’etat roumain – au pays du mensogne trionphant”:

«in memoria a tutti coloro la cui vita è stata sacrificata per farci credere che il colpo di stato sia stato una rivoluzione popolare e spontanea …»102.

Per quanto riguarda il Partito Comunista, ho già detto che in Romania il PCR sembrava esser sparito dopo il 1989, ma riapparve sotto il nome di “Partito socialista del lavoro” che ebbe, però, un ruolo marginale e periferico nella vita politica103. Un’altra variabile che analizza Herghea è la “direzione della transizione” sostenendo che per i casi analizzati sia stata “bottom up” ovvero dal basso, avvenuta con violenza nel caso rumeno, che lascia l’impressione di esser avvenuta spontaneamente, in assenza di una società civile articolata e seguita da un processo di conquista del potere.

Con il passaggio al regime democratico, fu poi avviata la conversione dall’economia statalizzata a un’economia di mercato, anche qui, il passaggio non è stato indolore: per la Romania la crescita rallentò notevolmente104. Fra le cause che sono state identificate in

100 Vladimir Tismăneanu, Reinventarea politicului. Europa Răsăriteană de la Stalin la Havel, 1999, Polirom, p.

193, citato da A. Herghea, op. cit.

101 J. Eyal, op.cit, p. 141.

102 Radu Portocală, Autopsie du coup d’etat roumain – au pays du mensogne trionphant, Parigi, Calmann-Levy,

1990.

103 A. Herghea, op. cit.

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riferimento alla caduta del regime Ceaușescu, lo stato dell’economia è stato un elemento molto importante. Con lo scioglimento del Comecon, il Paese crollò; era verso di esso che andavano la maggioranza delle esportazioni e non furono in grado di trovare altri mercati in Occidente, ciò ebbe conseguenze catastrofiche per un’economia già indebolita da decenni d’inefficienze e mal gestione sotto Ceaușescu. A partire dal XXI secolo l’economia romena iniziò a dare segni di miglioramento (dopo un’iperinflazione, scioperi e disordini sfociati in seguito alle dure condizioni sociali) e fu registrato un incremento del Pil, una diminuzione dell’inflazione e un’accelerazione della privatizzazione. Nel 2004 entrò a far parte della NATO e tre anni dopo dell’UE105.

L’entrata nell’Unione Europea della Romania (e della Bulgaria) è stata più complessa rispetto agli altri membri, il Paese ha dovuto far fronte e rispettare rigide regole di accesso non applicate in precedenza. Oltre a ciò, per la prima volta, «la Commissione si è avvalsa del diritto di invocare misure di salvaguardia fino a tre anni dopo l’accesso, se si fossero osservate serie deficienze nelle aree dell’acquis comunitario, quali settori economico (art 36), del mercato interno (art 37) e della giustizia e affari interni (art 38)»106. Il 21 giugno 2005 nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea venne pubblicato il Trattato di Accesso della Repubblica di Bulgaria e Romania. Il primo documento che vi appariva era il parere della Commissione europea del 22 febbraio 2005, in cui ben si specificava che l’ingresso delle due Repubbliche alla Comunità doveva essere subordinato al previo raggiungimento di criteri politici ed economici. L’acquisizione dei primi era finalizzata al conseguimento della stabilità delle istituzioni «che garantiscono la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani e il rispetto e la tutela delle minoranze; […] di principi costituzionali sanciti dal trattato sull’Unione Europea e ribaditi nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea»107; mentre la realizzazione e il consolidamento di un’economia di mercato funzionante in grado di fronteggiare la concorrenza interna venne considerato rilevante al fine del raggiungimento dei criteri economici. Il 1° gennaio 2007 venne scelta come data per l’ammissione dei due Paesi all’UE, vincolata però al raggiungimento dei criteri imposti loro. Fu previsto, infatti, il rinvio dell’accesso in caso di verificata non idoneità dei richiedenti (non acquisizione dei criteri minimi richiesti con particolare riguardo a settori chiave come la riforma giudiziaria e la lotta

105 Ibid.

106 F. Trauner, op.cit.

107 Parere della Commissione europea del 22 febbraio 2005, punto 3, sulle domande di adesione all’Unione europea

presentate dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Romania, Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea L157, edizione in lingua italiana.

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