• Non ci sono risultati.

Il ruolo costituzionale del Presidente della Repubblica.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il ruolo costituzionale del Presidente della Repubblica. "

Copied!
169
0
0

Testo completo

(1)

1

INTRODUZIONE

Con la presente trattazione si intende affrontare la complessa tematica, tuttora oggetto di grande attenzione da parte della dottrina costituzionalistica, della responsabilità del Capo dello Stato e di come essa, oggi, si atteggi in seguito agli sviluppi del quadro istituzionale e della giurisprudenza costituzionale.

In particolare, il contesto istituzionale degli ultimi anni ha messo in netta evidenza i punti deboli dell’ordinamento in relazione all’inquadramento della figura del Presidente della Repubblica nell’arco dei poteri istituzionali. Un vulnus, questo, che non può non ripercuotersi sulla sfera della sua responsabilità, i cui tratti delimitativi risultano ancora oggi non del tutto chiari.

Punto centrale della trattazione sarà costituito dalla questione riguardante l’effettiva capacità flessoria delle maglie all’interno delle quali i Padri Costituenti hanno collocato l’immunità presidenziale rispetto all’azione del giudice. Si cercherà, dunque, di capire quanto in realtà sia spessa la corazza che rende gli atti del Presidente della Repubblica irraggiungibili dal sindacato giurisdizionale.

(2)

2

Si cercherà di approfondire su tale profilo, mettendone a fuoco gli aspetti più controversi attraverso una ricostruzione che inevitabilmente avrà come punto di partenza il ruolo costituzionale del Capo dello Stato e la sua complessa evoluzione dal dato costituzionale al concreto atteggiarsi nell’ordinamento, non trascurando, poi, l’ulteriore problematica della responsabilità politica.

Ripercorrendo il doppio binario tracciato dalla dottrina costituzionalistica e dalla giurisprudenza del Giudice delle Leggi, si arriverà, infine, alla nota sentenza n. 1 del 2013 della Corte Costituzionale, ultima fondamentale tappa del percorso intrapreso nell’intento di ricostruire i caratteri concreti della responsabilità del Capo dello Stato.

(3)

3

CAPITOLO I

Il ruolo costituzionale del Presidente della Repubblica.

1. Una figura complessa

.

Alla luce delle innumerevoli ricostruzioni effettuate da autorevoli esponenti della dottrina costituzionalistica, è il caso di porre fin da subito in evidenza – quale assunto imprescindibile da collocare alla base della presente trattazione – come il ruolo costituzionale del Presidente della Repubblica abbia avuto una propria evoluzione lungo i binari tracciati dalle vicende che hanno contribuito a modellare il quadro politico-istituzionale del nostro Paese dalla nascita della Repubblica fino ai giorni nostri.

Vale la pena di fare un accenno, in via preliminare, al contesto in cui si trovò ad operare l’Assemblea Costituente, i cui lavori sono stati condotti sotto il peso di una notevole confusione concettuale, inesorabilmente dovuta alla varietà delle opinioni sul tipo di parlamentarismo cui aveva dato luogo il progetto di Costituzione e sulla conseguente posizione complessiva che il Capo dello Stato avrebbe assunto nel nuovo assetto

(4)

4

costituzionale1. A dimostrazione di ciò, basti ricordare la netta opposizione tra le due posizioni principali: la prima – sostenuta da Vittorio Emanuele Orlando – fortemente critica di una totale insufficienza e scarsa incisività dei nuovi poteri di attribuzione presidenziale; la seconda – sostenuta dalle file della sinistra – timorata di un’eccessiva ampiezza dei poteri presidenziali, al punto da intravedere il rischio, in futuro, di una deriva presidenzialista del sistema2. Senza ombra di dubbio si tratta di due visioni antitetiche, accomunate però dall’essere entrambe figlie di un eccessivo radicalismo.

Di stampo maggiormente moderato sembra invece la lettura data da Ruini, che, rispondendo ai rilievi di Orlando, quale Presidente del Comitato per la Costituzione, mise in evidenza come le attribuzioni costituzionali fossero perfettamente in grado di permettere al Capo dello Stato di svolgere le proprie funzioni di equilibrio e coordinamento3.

1 F. SACCO, La responsabilità politico-costituzionale del Presidente della Repubblica, Roma, Aracne, 2012, p. 83.

2 F. SACCO, ibidem.

3 Dichiarazione resa in occasione della seduta antimeridiana del 23 ottobre 1947. Il Presidente della Repubblica – continua Ruini – non è il capo del Governo, bensì il

«moderatore supremo fra i poteri dello Stato, in un edificio che basa tutto sulla sovranità popolare».

(5)

5

L’intervento di Ruini non bastò, tuttavia, a porre fine al clima di forte polemica nato dal contrapporsi della paura di un Presidente “troppo forte” a quella di un Presidente “troppo debole”. Un ulteriore tentativo di conciliazione tra queste due visioni opposte fu quello del costituzionalista Tosato, il quale cercò di porre in evidenza la terzietà del Capo dello Stato rispetto al gioco delle parti4, sottoponendo all’Assemblea un’idea del Presidente come titolare di una «funzione neutra», tesa ad

«assicurare che tutti gli organi costituzionali dello Stato […]

funzionino secondo il piano costituzionale».

Emerge qui la percezione che l’area moderata – di cui Tosato faceva parte – ha del Presidente della Repubblica, cioè quella di un soggetto da collocare a distanza rispetto all’orbita del Governo e del Parlamento, in quanto unico strumento – assieme alla Corte Costituzionale – di garanzia atto a scongiurare le degenerazioni del parlamentarismo.

Il problema consisteva sostanzialmente nell’individuazione del giusto equilibrio tra la figura del Capo di Stato e la forma di governo. Il governo parlamentare – che secondo qualcuno era

4 Tosato parla del Capo dello Stato come di un «grande regolatore del gioco costituzionale»

e “tutore e guardiano della Costituzione».

(6)

6

addirittura «l’unico possibile» – per sua stessa natura avrebbe rigettato il dualismo delle monarchie ottocentesche, ma al contempo era inconciliabile con l’idea di governo assembleare puro5 promossa dalle sinistre.

Si pensa dunque ad una via di mezzo, in cui il Presidente della Repubblica conservi intatta la propria funzione rappresentativa dello Stato, ma dotato altresì di una funzione regolatrice – per quanto di carattere «essenziale» – atta ad assicurare il corretto funzionamento del sistema costituzionale.

Ciò che è importante sottolineare è che l’idea di un Presidente che in qualche modo possa contribuire alla determinazione dell’indirizzo di governo oltrepassa l’impostazione pensata dai Costituenti. L’attuale situazione politica – che vede il Capo dello Stato al suo secondo mandato e, addirittura, indicato spesso dalla stampa come “Presidente del Consiglio di fatto” – sembra essere infatti il risultato di una notevole forzatura.

5 Cioè organizzare i ministri come membri di un comitato esecutivo dell’Assemblea legislativa e limitare il Capo dello Stato ad una mera funzione dichiarativa e rappresentativa, senza alcun potere di ingerenza nelle vicende dello Stato.

(7)

7

2. La funzione di mera garanzia.

Proprio il rapporto intercorrente tra le funzioni del Capo dello Stato e le vicende della politica sembrano aver ispirato una prima importante ricostruzione della dottrina, che pone l’esigenza di considerare i due profili in esame in un’ottica di totale dissociazione6. Il Presidente esercita, infatti, principalmente un ruolo di tutela e garanzia dell’interesse generale dello Stato. La Costituzione, in particolare, affida al Capo dello Stato la tutela di interessi «obiettivi, permanenti ed intimamente connessi con l’esistenza dello stato stesso, e perciò sottratti alle cangianti valutazioni della politica»7. Non sembra emergere da queste parole il riconoscimento di alcun rapporto di influenza tra le vicende politiche del Governo e lo svolgimento delle funzioni presidenziali.

Tutela e garanzia dell’interesse generale dello Stato si traducono nell’attribuzione presidenziale di un potere di controllo, diretto al Governo, che sembra avere una propria fonte

6 Questa interpretazione del ruolo costituzionale del Presidente della Repubblica è stata proposta da Serio Galeotti.

7 S. GALEOTTI, La posizione costituzionale del Presidente della Repubblica, Milano, pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, 1949, p. 36.

(8)

8

legittimante nell’art. 90. Ai sensi del medesimo, in effetti, viene a configurarsi una responsabilità – che qui possiamo qualificare come responsabilità giuridico-penale – del Presidente della Repubblica laddove, nell’esercizio delle proprie funzioni, egli si macchi dei reati di alto tradimento o attentato alla Costituzione.

Ciò che la dottrina riscontra, quale riflesso della norma suddetta, è da un parte l’esistenza di un potere di sindacato, di esame e di controllo; dall’altra – di conseguenza – l’esistenza di un potere-dovere di astensione dall’esercizio delle attribuzioni presidenziali qualora l’atto compiuto integri una delle due fattispecie di reato richiamate dall’art. 90. La non influenza della politica governativa sullo svolgimento delle funzioni presidenziali appare qui chiara: vi è un obbligo giuridico, per il Presidente, di astenersi dall’esercitare la sua competenza ogni qual volta la proposta governativa potrebbe condurre all’adozione di un atto che si sostanzi in uno dei due reati previsti dal suddetto articolo della Costituzione8.

È chiaro come la ricostruzione in esame risenta notevolmente dell’influenza esercitata dal contesto politico all’interno del quale

8 S. GALEOTTI, La posizione costituzionale del Presidente della Repubblica, cit., pp. 36- 37.

(9)

9

vediamo concretizzarsi le prime esperienze presidenziali dell’Italia repubblicana. Ai giorni nostri, infatti, la teoria del ruolo costituzionale del Presidente proposta da Galeotti fornisce un’interpretazione alquanto riduttiva delle funzioni presidenziali.

Non si tratta, in ogni caso, di una ricostruzione da confinare nel limbo della dottrina “d’altri tempi”, anzi costituisce il punto di partenza per lo sviluppo delle interpretazioni a seguire.

3. Il Capo dello Stato come “potere intermedio”.

Prima di esaminare la tappa successiva dell’evoluzione dottrinale, fondamentale – e dunque da non trascurare – è la celebre teoria del potere neutro, di stampo ottocentesco, da cui la prossima ricostruzione che si andrà a trattare pare trarre ispirazione. La teoria del potere neutro prende vita in Francia, in un contesto in cui si pensa ad un fisiologico mutamento della natura del potere regio, ad opera di Benjamin Constant.

Malgrado sia stata concepita con riferimento ad un Capo di Stato-Monarca, la teoria di Constant costituisce ancora oggi la chiave di lettura più adeguata per descrivere la natura giuridica

(10)

10

dei Capi di Stato nelle forme di governo di tipo parlamentare, dove non è previsto che questi ultimi partecipino alla determinazione dell’indirizzo politico. Sulla scia dell’assetto costituzionale dalla Charte del 1814, ciò che sostiene Constant è che il potere del Monarca non è riconducibile a nessuno degli altri poteri statali. Il Monarca è un organo imparziale, spoliticizzato, ma al contempo dotato del potere di dirimere i conflitti che eventualmente insorgano tra gli attori costituzionali, al fine di preservare l’equilibrio e la continuità dell’ordinamento statale9.

Sono due gli strumenti che, a tal proposito, vengono individuati come funzionali a rendere il potere del Monarca neutre e préservateur: il potere di destituzione dei Ministri ed il potere di scioglimento della Camera elettiva. Attraverso questi due strumenti, cioè, il Capo dello Stato è in grado di sanare i contrasti tra potere esecutivo e potere legislativo che è chiamato, in virtù del proprio ruolo di garanzia, a dirimere. Il Re deve dunque essere separato dal Governo come dal Parlamento, reso

9 B. CONSTANT, Principi di politica, trad. it. di Umberto Cerroni, Roma, Editori Internazionali Riuniti, 2013, p. 63 ss.

(11)

11

ineleggibile a qualsiasi altra carica pubblica e godere della totale irresponsabilità sia politica che giuridica10.

Ciò premesso, si avrà modo di comprendere come la teoria del potere neutro costituisca un fondamento imprescindibile della seconda delle dottrine qui in esame. Punto di partenza è, qui, infatti, il problema di definire il ruolo del Capo dello Stato come ruolo autonomo, terzo rispetto ai poteri legislativo ed esecutivo.

Esponente principale di questa nuova dottrina – che prende vita in pieno “centrismo” – è Giuseppe Guarino, che definisce il Presidente della Repubblica come un «quarto potere» autonomo,

«garante del pieno funzionamento degli organi politici», ma estraneo all’indirizzo governativo in quanto, «tenendo presente le esigenze funzionali del sistema, [egli] è il rappresentante non di interessi particolari ma dell’unità», con il compito altresì di

«curare che la funzione governativa si svolga in conformità delle norme costituzionali»11.

Se Constant aveva riscontrato nei poteri di destituzione e di scioglimento l’essenza del ruolo di autorità «superiore e

10 F. SACCO, La responsabilità politico-costituzionale del Presidente della Repubblica,.

cit., p. 51.

11 G. GUARINO, Il Presidente della Repubblica Italiana. Note preliminari, in Riv. Trim.

Dir. Pubbl., 1951, p. 963.

(12)

12

intermediaria»12 del Capo dello Stato, Guarino incanala questo profilo della potestà presidenziale nello strumento della controfirma, ponendo, nella propria ricostruzione, accanto al già richiamato art. 90, l’art. 89 della Costituzione. Dalla lettura combinata dei suddetti articoli, si ricava che l’istituto della controfirma non è stato concepito dai Padri Costituenti quale garanzia dell’irresponsabilità – in questo caso politica – del Presidente.

In verità, tale istituto accentua la separazione tra la responsabilità del Ministro – per fatto proprio – e quella del Presidente, che, al pari dei membri del Governo e del Parlamento, ricopre un proprio ruolo, autonomo, rivestito dai caratteri dell’imparzialità e dell’indipendenza. Se c’è una irresponsabilità, essa non può che avere carattere politico, nella misura in cui la controfirma rappresenta un’espressione dell’attribuzione al Governo – e dunque al Ministro – della titolarità dell’atto di indirizzo politico, rispetto al quale il Presidente è organo estraneo. Non è, invece, il caso di avvalersi del richiamo all’istituto della controfirma come argomento a

12 B. CONSTANT, Principi di politica, cit., p. 64.

(13)

13

sostegno della negazione che il ruolo del Capo dello Stato sia caratterizzato da assoluta autonomia. Lo stesso art. 90 Cost. non lascia adito a dubbi circa il fatto che il Presidente conservi una propria responsabilità giuridica per gli atti che costituiscano oggetto delle proprie attribuzioni.

4. La funzione di indirizzo politico costituzionale.

È necessario, ora, porre una fondamentale questione: capire se l’organo presidenziale sia espressione di una funzione garantistica o governativa. Stando ad una affermazione di Serio Galeotti, l’essenza giuridica della funzione del Capo dello Stato corrisponde principalmente al ruolo formale di tutore della Costituzione13. La posizione, occupata dal Presidente, di organo al di sopra delle parti è funzionale allo svolgimento delle attribuzioni costituzionali, che trovano nella salvaguardia della Costituzione il punto di confluenza. Ciò dovrebbe – tornando alla

13 Sosteneva Galeotti, in uno studio del 1949, che «dire che il Presidente della Repubblica è, nel nostro ordinamento “guardiano o tutore della Costituzione”, secondo la terminologia ricorrente nel linguaggio dei nostri costituenti, non è semplicemente esprimere un attributo, con cui si tenti di conferire alla nuova istanza, repubblicana e democratica, una parte almeno di quell’aureola prestigiosa e maiestatica, di che l’immaginazione politica era solita rivestire il Capo dello Stato nelle monarchie; ma è soprattutto rilevare, con termini forse lievemente immaginosi, e pur racchiudendosi in un’indubbia significazione giuridica, la giuridica funzione che si incentra nell’organo».

(14)

14

questione inizialmente posta – orientare la scelta verso una concezione del Capo dello Stato come struttura garantistica, intollerante rispetto all’attribuzione di qualsiasi connotazione di stampo politico.

Le prime esperienze presidenziali sembrano tuttavia non rispettare in pieno la rigidità di quanto appena affermato. Fin dalla prima legislatura «la posizione del Presidente della Repubblica» si configura infatti «come quella di un garante attivo e non solo reattivo» della Costituzione14. È significativa, sotto questo aspetto, la Presidenza Einaudi, in cui si registrano episodi alquanto bizzarri per l’epoca, come la nomina del Presidente del Consiglio – all’epoca Giuseppe Pella – in totale assenza di consultazioni preventive.

Tuttavia, è la Presidenza Gronchi a rivelarsi la vera fonte ispiratrice dell’idea di un Capo dello Stato non mero garante della Costituzione bensì titolare dell’indirizzo politico- costituzionale. Basti pensare alle frequenti sollecitazioni del Presidente Gronchi nei confronti delle forze parlamentari,

14 M. CAVINO, L’irresponsabilità del Capo dello Stato, Milano, Giuffrè, 2008, p. 60.

(15)

15

affinché esse si adoperassero per dare attuazione a talune disposizioni, ancora “congelate”, della Costituzione15.

Secondo questa tesi16, dunque, l’obiettivo dell’attività del Capo dello Stato consiste non solo nel perseguimento dei fini espressamente previsti dalla Costituzione, ma anche di quelli ricavabili in via implicita nonché nel potere-dovere di stimolare un’attività legislativa di attuazione delle norme costituzionali e, in generale, conforme allo spirito della Costituzione stessa17.

È evidente che la tesi di Barile muove dal superamento di quella concezione di mera funzione “notarile”, cui si era fatto coincidere – forse incautamente – il ruolo del Capo dello Stato.

Non sembra azzardato, poi, affermare che l’attivismo presidenziale – allo stato embrionale con Einaudi e, senz’altro, in pieno sviluppo con Gronchi – abbia fondato i presupposti storici per giungere alla conclusione che anche la teoria del potere neutro – seppur di spiccata attualità – dovesse cedere il passo ad una impostazione più al passo con i tempi.

15 Fu Gronchi che, in occasione del proprio discorso di insediamento, tenutosi l’11 maggio 1955, invocò la necessità di un’attività legislativa attuativa di importanti istituti quali la Corte Costituzionale, il Consiglio Superiore della Magistratura, l’ordinamento regionale ed il consiglio dell’economia e del lavoro.

16 Tesi elaborata da Paolo Barile.

17 Barile parlerà di un ruolo – qualora sia necessario – anche «paralizzante, di correzione dell’indirizzo attuato da altri organi costituzionali contitolari della stessa funzione» in P.

BARILE, I poteri del Presidente della Repubblica, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1958.

(16)

16

Si riconosce, pertanto, la sussistenza di una componente politica tra gli elementi costitutivi dell’azione del Presidente18. Componente politica – si badi bene – da non intendere alla stregua di vera e propria funzione di governo, bensì di «funzione di mantenimento dell’indirizzo politico costituzionale», dal carattere oggettivo, connaturato all’equilibrio costituzionale,

«che consente alle forze di volta in volta maggioritarie nel Paese di realizzare il proprio indirizzo politico soggettivo senza pregiudicare l’unità dell’ordinamento»19. Non può che tradursi in questi termini la valenza della connotazione politica dell’attività del Presidente, che viene a costituire il punto di risonanza tra l’unità maggioritaria e l’unità nazionale20.

5. Il Capo dello Stato come struttura governante.

In controtendenza rispetto all’impostazione appena delineata va il pensiero di Carlo Esposito, la cui evidente perplessità viene

18 Scrive Guarino, nel 1951, che «il Presidente è il garante della costituzione, intendendo l’espressione in senso politico».

19 G. MARANINI, La posizione della Corte e dell’autorità giudiziaria in confronto all’indirizzo politico di regime (o costituzionale) e all’indirizzo politico di maggioranza, in G. MARANINI (a cura di), La giustizia costituzionale, Firenze, Vallecchi, 1966, p. 132.

20 Antonio Baldassarre parlerà di “prestazione di unità” con riguardo al ruolo politico del Capo dello Stato.

(17)

17

motivata sulla base di concreti rilevamenti di carattere pratico: il Capo dello Stato, prima di essere tale, è un uomo, un essere pensante dotato, come chiunque altro, di un bagaglio culturale- politico, che costituisce un imprescindibile punto di partenza della propria condotta21.

Viene infatti osservato come la suddetta tesi del Capo dello Stato come organo politico imparziale e super partes

«apparterrebbe al mondo delle ricostruzioni mistiche e non a quello delle definizioni realistiche».

Il Presidente viene dunque visto come capace, in qualche modo, di manifestare un potere politico “sostanziale”, cui può fare seguito l’innalzamento del ruolo presidenziale a vera e propria struttura governante.

Tale potere, secondo Esposito, è tuttavia legittimato a manifestarsi solo ed esclusivamente in ipotesi di crisi di sistema.

21 Sostiene Esposito: «secondo ogni seria ricostruzione realistica, quando si attribuiscono poteri al Capo dello Stato (e in particolare quando si attribuiscono poteri sottratti alla prevalente volontà ministeriale) questi non sono dati alla “Dea ragione”, ma a un uomo con i suoi vizi e le sue virtù, con le sue passioni o con i suoi inevitabili orientamenti, che (particolarmente ove raggiunga il potere attraverso elezioni e sia rieleggibile) nell’esercizio delle sue funzioni sarà animato dal desiderio di attuare e conservare il proprio potere, di far valere e prevalere (sia pure nei limiti segnati dal diritto) il proprio potere, i propri orientamenti, le proprie idee sulle altre. […] La politicità delle funzioni conduce ogni struttura ad essere, o a cercare di essere, governante; né vale sostenere che l’azione del Presidente della Repubblica è rivolta al bene comune, dal momento che la tensione verso di essa caratterizza l’agire di ogni pubblico potere senza tuttavia impedire che il soggetto che ne sia titolare cerchi di imporre una sua visione, del tutto soggettiva, di ciò che il bene comune è».

(18)

18

Per “crisi di sistema” si intende il momento in cui diviene materialmente impossibile il funzionamento degli organi costituzionali.

Il ruolo del Presidente della Repubblica diventa qui quello di reggitore dello Stato e questo avviene «nelle ipotesi in cui i rimedi contro le crisi canonizzati in testi costituzionali non possano trovare attuazione (perché ad esempio, non sia materialmente possibile adunare i parlamenti cui spetta di risolvere o di partecipare alla soluzione)»22. Non si tratterebbe dunque di crisi del sistema per così dire fisiologiche, legate alla conformazione e all’andamento dei rapporti politici tra i partiti e che, conseguentemente, si riflettono sul rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento. La fattispecie verificandosi la quale il Capo dello Stato assurge a reggitore dello Stato, in altri termini, non corrisponderebbe al mero “cattivo funzionamento” bensì al vero e proprio “non funzionamento” del sistema parlamentare.

Emerge dalla tesi in esame una connotazione spiccatamente politica del ruolo del Capo dello Stato, il che fa la differenza rispetto alla precedente ricostruzione, dove – abbiamo avuto

22 C. ESPOSITO, Capo dello Stato, in Diritto costituzionale vivente Capo dello Stato e altri saggi, Milano, Giuffrè, 1992.

(19)

19

modo di specificare – il termine “politico” non assumeva il significato comunemente inteso bensì attestava un potere di intervento a scopo inibitorio rispetto a eventuali condotte politico-governative suscettibili di fuoriuscire dai binari della Costituzione.

La conferma della concezione del Presidente come struttura governante viene individuata da Esposito nello strumento della controfirma. Essa non solo è espressione di una posizione completamente autonoma del Capo dello Stato, ma costituisce un inequivocabile indice dell’espressione del suo potere politico, rispetto al quale essa ha potere limitante, nella misura in cui l’atto presidenziale necessita – ai fini del suo completamento – della collaborazione di esponenti del potere esecutivo23.

Merita un cenno l’odierna tesi sostenuta da Omar Chessa, che sulla questione del Presidente come organo politico trae sicuramente ispirazione dagli scritti di Esposito. Focalizzando sul momento dell’elezione, si parte dal mettere a confronto il Presidente della Repubblica Italiana con il monarca delle

23 Scriverà infatti Esposito che «fino a che nelle costituzioni parlamentari sarà seriamente scritto che in principio gli atti del Capo dello Stato non sono validi o non sono efficaci senza controfirma di ministri responsabili (e non viceversa), è da ritenere ancora viva la vecchia, realistica concezione del Capo dello Stato come di una delle forze politiche dello Stato, delimitato nei poteri proprio per il timore della sua parzialità».

(20)

20

Repubbliche parlamentari europee da un lato e con il Presidente degli Stati Uniti d’America dall’altro. È ovvia l’impossibilità di assimilare il nostro Capo dello Stato ad entrambe le altre due figure: nel primo caso perché l’investitura del Presidente non ha natura dinastica ma trae legittimazione dal momento democratico costituito dall’elezione del Parlamento in seduta comune, integrato dai delegati regionali; nel secondo caso perché la mancanza del carattere diretto dell’elezione del Presidente e del Governo – i quali semplicemente «mutuano “democraticità” dal Parlamento» 24 – rende il nostro sistema parlamentare notevolmente diverso dal regime presidenziale a dualismo netto statunitense.

Ciò che abbiamo detto essere il fattore comune a Governo e Presidente – cioè la mancanza di una diretta investitura popolare – rende la legittimazione democratica del secondo non inferiore a quella del primo. Il che giustifica l’eventuale assunzione, da parte del Capo dello Stato, del ruolo di veto player25 nei confronti dell’attività decisionale del Governo. Questo gioco “ad armi

24 O. CHESSA, Il ruolo presidenziale e la distinzione tra funzioni di garanzia e funzioni d’indirizzo politico, in Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana, 2013.

25 Formula proposta da George Tsebelis in Veto Players. How political institutions work, New York, 2002.

(21)

21

pari” tra i due organi rende il nostro sistema una sorta di “terza via” tra la Repubblica Presidenziale e la Monarchia Parlamentare contemporanea.

Sulla base di questo – aggiunge Chessa – «tutti i poteri del Presidente della Repubblica – per effetto della necessaria controfirma del ministro proponente – sono anche poteri del Governo; e viceversa, tutti i poteri del Governo, avendo essi sempre la forma dell’atto presidenziale, sono sempre “anche”

poteri del Capo dello Stato. Abbiamo quindi organi distinti, con un mandato temporalmente distinto e ciascuno provvisto di una propria distinta legittimazione democratico-parlamentare, i quali condividono le medesime funzioni e che perciò possono legittimamente competere tra loro per piegarne l’esercizio a interessi politici differenti».

6. L’evoluzione del ruolo politico.

Obiezione degna di nota all’affermazione del ruolo politico del Presidente è quella sollevata da Galeotti, la quale individua il punto centrale della questione non nel soggetto, bensì

(22)

22

nell’oggetto dell’attività presidenziale. Dire che il Presidente pone un atto politico equivale a dire che pone un atto libero nel fine26, cosa che mal si concilia con la sua posizione di garante della Costituzione. Essendo, dunque, l’attività del Capo dello Stato svolta nel rispetto di oggettivi criteri costituzionali vincolanti, è da escludere che si possa parlare di attività politica.

Con riguardo a quest’ultima tesi, è stata avanzata una critica:

è la Costituzione a stabilire, in via preventiva, il fine dell’atto politico e – a tempo stesso – il suo fondamento. La Costituzione ha tracciato – evidenzia la critica all’obiezione di Galeotti – due principali livelli di politicità degli atti: un primo livello – quello superiore – riguarda la tenuta complessiva dell’ordinamento; un secondo livello attiene invece alla dinamica particolare delle scelte di governo. Ciò spiega perché l’attività politica del Presidente della Repubblica non può dirsi libera, essendo essa incanalata nel processo di realizzazione di un quadro generale di cui la Costituzione ha già delineato i contorni e le peculiarità27.

26 S. GALEOTTI, Il Presidente della Repubblica: struttura garantistica o struttura governante?, in S. GALEOTTI, Il Presidente della Repubblica garante della Costituzione, Milano, Giuffrè, 1992, p. 239 ss.

27 Sostiene Crisafulli, in V. CRISAFULLI, Le norme programmatiche della Costituzione, in V. CRISAFULLI, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milan, Giuffrè, 1952, p. 69, «le norme costituzionali programmatiche rappresentano la fissazione, nella Costituzione dello Stato, di determinate direttive politiche, che avrebbero potuto anche, in

(23)

23

Questo ragionamento ha dato luogo alla convinzione, diffusa in dottrina, che, più che di responsabilità, si debba parlare di irresponsabilità del Capo dello Stato: se il giudizio di responsabilità politica ha per unità di misura ciò che pare utile nel momento in cui viene condotto, allora non possono che esserne sottratti gli atti politici che attengono alla tenuta complessiva del sistema costituzionale, l’utilità dei quali è stata valutata in via definitiva dal costituente; e se tale utilità risulta dalla prescrizione costituzionale, che precede le singole condotte, essa potrà essere considerata quale criterio per far valere la sola responsabilità giuridica in base ad un giudizio formale della conformità alla norma delle medesime singole condotte28.

ipotesi, essere stabilite di volta in volta dagli organi competenti, ma anche per la loro importanza, sono state sottratte ad ogni eventuale oscillazione e mutamento di criteri degli organi stessi. Sono, cioè un indirizzo politico tradotto in termini di norme costituzionali, quindi istituzionalmente stabilito a premessa ed a limite delle direttive che saranno concretamente adottate dalla maggioranza parlamentare e dal governo da questa promanante».

28 È esattamente il contrario di ciò che affermava Guicciardi che, non ammettendo la distinzione tra due gradi di politicità degli atti, era dell’avviso che fosse impossibile che

«gli atti politici siano mai illegittimi; asserzione che deve tenersi per vera in quanto ad essa si giunge […] per via di analisi positiva, per la inesistenza di norme e principii giuridici in violazione dei quali l’atto politico possa essere emanato. […] Per ogni atto politico esiste nell’ordinamento una sola norma che lo riguarda: e questa è una norma sulla competenza, che attribuisce all’organo di governo un potere di concorso di determinati presupposti, senza però prescrivere i motivi e le modalità del suo esercizio, sì che tale norma l’atto politico non può violare senza perdere la sua qualità. […] È atto politico, o atto di governo, l’atto posto in essere da un organo di governo che ne è sempre sostanzialmente, spesso anche formalmente l’autore, nell’esercizio di un potere che la legge gli conferisce lasciandolo libero quanto ai motivi della formazione ed al procedimento per la manifestazione della sua volontà. O, più semplicemente, l’atto emanato da un organo di governo in virtù di un potere conferitogli dalla legge, ma il suo uso è giuridicamente irrilevante ed incontrollabile fino a che si mantiene entro i limiti nei quali il conferimento

(24)

24

Proseguendo con l’analisi del ruolo politico del Capo dello Stato, bisogna fare un richiamo al rapporto che intercorre con l’atteggiarsi della forma di governo. In questo ambito larga parte della dottrina ha trovato la corretta chiave di lettura per delineare le giuste proporzioni del potere politico del Presidente della Repubblica. Se consideriamo, infatti, il modello della forma di governo maggioritaria, si giungerebbe alla conclusione che la vigenza di tale modello spingerebbe il ruolo politico del Capo dello Stato verso una posizione alquanto marginale. Il motivo sembra abbastanza chiaro: laddove si formi una maggioranza di governo che è espressione, oltre che – è ovvio – dell’esecutivo, anche di un raccordo con le forze parlamentari, finalizzato alla realizzazione di un preciso disegno politico, che porti con sé pesi e contrappesi, il Capo dello Stato verrebbe qui visto come un soggetto estraneo alla formazione dell’indirizzo politico, da cui sarebbe doverosa la sua astensione. In altre parole, se la politica nazionale viene condotta in termini di realizzazione di un comune progetto politico, basato sul reciproco riconoscimento delle forze politiche che si confrontano, non avrebbe senso

ha valore, oltre i quali l’atto diventa per l’ordinamento illegittimo e sindacabile, ma perde la natura di atto politico».

(25)

25

l’intervento presidenziale finalizzato al riequilibrio tra maggioranza politica ed unità nazionale, che resterebbero due elementi già in naturale equilibrio.

Ciò a cui abbiamo appena fatto riferimento è, tuttavia, un modello, che non ha trovato concreta applicazione nell’esperienza di governo italiana. Il bipolarismo, che ha caratterizzato i rapporti tra le forze politiche, si è sviluppato nel senso della mancata partecipazione di maggioranza ed opposizione ad un unico grande disegno politico: l’alternanza tra di esse non si è tradotta nel reciproco riconoscimento della capacità di governare alternativamente il Paese, quanto piuttosto nel tentativo dell’una coalizione di rallentare – se non impedire – la realizzazione del programma politico dell’altra. Stando così le cose, è ben comprensibile la base attivistica della condotta presidenziale. Come possiamo vedere, la forma maggioritaria

“all’Italiana” – ben lontana dal modello Westminster, cui si ispira il quadro teorico precedentemente delineato – ha finito non per attenuare la componente politica dell’operato del Presidente, bensì per accentuarla. Sintetizzando, si potrebbe affermare che il Capo dello Stato «è sempre tenuto» – per come è venuta a

(26)

26

configurarsi la nostra democrazia parlamentare – «alla sintesi che produce la sua prestazione di unità; questa però in molte circostanze non può avvenire prima che egli stesso abbia formulato l’antitesi rispetto alla tesi costituita dall’indirizzo politico di maggioranza»29.

6.2. La Presidenza Ciampi.

Se ci fosse bisogno di far riferimento ad un caso concreto per avere un’idea più chiara di come si atteggia la figura presidenziale di fronte al contesto politico – o, se vogliamo, partitico – italiano, nessun esempio sarebbe più adatto se non quello della Presidenza Ciampi, primo Capo di Stato ad essere eletto in contesto maggioritario. Il motivo è chiaro se pensiamo al ruolo che il Presidente Ciampi ha avuto in rapporto alle scelte politiche legislative portate avanti dalla maggioranza governante durante larga parte del suo settennato. Certamente il criterio che ha guidato le scelte del Presidente ogni volta che si è avvalso del rinvio alle Camere non risulta quello del dubbio circa la

29 M. CAVINO, L’irresponsabilità del Capo dello Stato, cit., p. 72.

(27)

27

conformità delle leggi a Costituzione. Diciamo meglio: i rinvii operati da Ciampi hanno riguardato leggi affette da vizi piuttosto evidenti di legittimità costituzionale; d’altro canto sono state promulgate leggi non esenti da vizi di pari evidenza, tuttavia non aventi la stessa gravità. Lo stesso Presidente ha svelato, durante una trasferta in Germania per l’inaugurazione dell’ambasciata italiana, la prassi da lui seguita, la quale vuole che il Capo dello Stato rinvii le leggi alle Camere nei soli casi di riscontro di manifesta incostituzionalità30.

Come è stato osservato, lo strada maestra seguita da Ciampi nell’operare i rinvii alle Camere è di difficile tracciamento, il che ha spinto la dottrina a trovare una soluzione indagando su quello che è il rapporto generale tra il Presidente e la funzione di promulgazione. Da qui l’idea che ci si sia trovati di fronte ad una notevole evoluzione della figura del Capo dello Stato nel suo rapporto con le istituzioni.

È stato messo in rilievo come il Presidente Ciampi abbia esercitato i propri poteri di garanzia con una certa fermezza ma,

30 Dichiarazione rilasciata il 26 giugno 2003 alla Humboldt Universität: «secondo la Costituzione la decisione, la valutazione, il giudizio sulla rispondenza alla Costituzione da parte delle leggi compete alla Corte costituzionale. Il Presidente della Repubblica solo in caso di manifesta non costituzionalità delle leggi, rinvia quelle leggi al Parlamento, che può riapprovarle e, in quel caso, il Capo dello Stato è tenuto a promulgarle».

(28)

28

al contempo, con la cautela necessaria a non aprire conflitti con le istituzioni governanti, non interferendo, in effetti, nei meccanismi di formazione dei governi che si sono alternati durante il suo settennato. Tale atteggiamento non può che essersi manifestato anche nell’esercizio del potere di rinvio, in termini di garanzia delle istituzioni e rispetto della Costituzione.

Come parte della dottrina riconosce, «il Presidente, prendendo atto del carattere di democrazia maggioritaria a competizione bipolare assunto dal nostro ordinamento e dell’assenza di un efficace sistema di checks and balances atto a salvaguardare le componenti vitali della democrazia dagli sconfinamenti potestativi della maggioranza, ha mostrato equilibrio e consapevolezza nell’esercizio costante di un ruolo di garanzia attiva: da un lato, articolando la sua funzione di “regolatore ed equilibratore di tutti i poteri dello Stato” (Ruini) attraverso una

“vigilanza mediatica” […] che si è espressa in alcuni settori di policy estremamente delicati, dall’altro, impersonando “l’unità e la continuità nazionale […] al di là delle fuggevoli maggioranze”, si è fatto garante della Costituzione […] anche

(29)

29

attraverso l’opera di pedagogia civile realizzata nel corso del settennato»31.

Il contesto politico all’interno del quale vengono a spendersi gli anni del mandato di Ciampi è un contesto di temperie istituzionale, in cui il consociativismo dei partiti – che prima caratterizzava le decisioni del Parlamento – lascia un grande spazio alla politica governativa, in nome di una maggior efficienza decisionale. L’azione del Presidente, dunque, non può che essere stata guidata dalla necessità di dare un maggior vigore ai principi indefettibili della Costituzione, al fine di mettere un freno all’esuberanza delle forze politiche, specie di quelle titolari del potere esecutivo32.

L’obiettivo presidenziale sembra dunque essere stato quello di giungere alla «sintesi tra la molteplicità delle forze politiche»

affinché non sussistesse un eccessivo atteggiamento scontroso tra le parti, «attraverso un’azione costante di moderazione e relativizzazione delle contrapposizioni politiche, nonché

31 S. ROSSI, La Presidenza Ciampi nel segno del patriottismo costituzionale, in Forum di Quaderni Costituzionali, www.forumcostituzionale.it, 2006, pp. 5-6.

32 Crisafulli parlò, con riferimento a questo effetto inibitorio dei principi costituzionali, di

“funzione neutralizzatrice della Costituzione”.

(30)

30

proseguendo il superamento dei conflitti politici che impedivano il buon funzionamento del sistema costituzionale»33.

Indubbiamente, decisivi sono stati i trascorsi della persona del Presidente: l’estrazione non politica di Ciampi e la propria carriera, costellata di incarichi di rilievo – quali la Presidenza della Banca d’Italia ed il Ministero del Tesoro – hanno influito non poco a fare di lui una figura assai carismatica e pienamente meritevole della fiducia dei principali organi dell’arco costituzionale.

C’è anche da dire che il settennato di Ciampi è trascorso in un clima di assoluta entropia partitica, dove, cioè, ad un centro- destra – all’epoca maggioranza – che doveva ancora fare i conti con l’esperienza non certo brillante del primo Governo Berlusconi si contrapponeva un centro-sinistra assolutamente privo di compattezza e di un obiettivo ben definito. È chiaro come, in una situazione del genere, costante è stata la ricerca di continui avalli e sostegni presidenziali, consentendo a Ciampi di portare avanti quella che è stata definita una “politica

33 S. ROSSI, ibidem.

(31)

31

comunitaria del Presidente della Repubblica”34. Evidente è, infatti, l’orientamento dell’allora Capo dello Stato verso il compimento di una missione di «costituzionalizzazione ed integrazione dell’Unione Europea», che lo ha portato col tempo ad assumere «un ruolo sussidiario di altre autorità e delle stesse forze politiche sia nei confronti dell’incentivazione del dibattito sui temi europei fra le forze politiche italiane sia per quanto concerne la presenza italiana anche fuori dalle sedi istituzionali»35.

Certo, il rischio è quello che, nel tentativo di unire le parti, il Presidente possa essere suscettibile di assumere un atteggiamento eccedente la propria funzione di “mediatore”. È chiaro che tale funzione debba essere esercitata con rigore, ma soltanto entro – e non oltre – le attribuzioni Costituzionali, che restano pur sempre la garanzia della terzietà del Capo dello Stato rispetto alle manovre condotte dalle varie forze abitanti i palazzi della politica. Se è necessario schierarsi e prendere posizione, tale

34 S. BARTOLE, La politica comunitaria del Presidente della Repubblica, in Forum di Quaderni Costituzionali, www.forumcostituzionale.it, 2002.

35 S. ROSSI, La Presidenza Ciampi nel segno del patriottismo costituzionale, cit., p. 6.

(32)

32

schieramento non potrà che essere sempre e comunque dalla parte della Costituzione.

(33)

33

CAPITOLO II

L’apertura alla responsabilità politica del Capo dello Stato.

1. Oltre l’art. 90: il Presidente come organo capace di condizionare le dinamiche della politica. Le responsabilità istituzionale e diffusa.

La concezione del Presidente come organo totalmente estraneo alle dinamiche politiche comincia ad essere vista con perplessità all’indomani dell’insediamento al Quirinale, nel 1955, di Giovanni Gronchi. Il settennato di Gronchi, in effetti, apre le porte ad una tendenziale ingerenza del Capo dello Stato nella formazione dell’indirizzo politico. Celebri, sotto questo aspetto, rimangono le già ricordate sollecitazioni di Gronchi all’attuazione di istituti fino ad allora esistenti soltanto “sulla carta”, come la Corte Costituzionale, il Consiglio Superiore della Magistratura e l’ordinamento regionale36. Di certo il quadro

36 Esigenze manifestate in occasione del discorso di insediamento pronunciato davanti al Parlamento in seduta comune, l’11 maggio 1955.

(34)

34

appena descritto è sintomo – o, se vogliamo, diretta conseguenza – di un’ulteriore evoluzione del ruolo costituzionale del Presidente della Repubblica, cui la dottrina comincia ad attribuire una «funzione di indirizzo politico generale o costituzionale, finalizzata dunque al perseguimento dei fini espressamente o implicitamente previsti dalla Costituzione e consistente non solo nel potere di stimolarne l’attuazione»37, ma anche – seppur in via indiretta – di predisporre,in un certo senso, il terreno su cui, in seguito, il Legislatore dovrà operare.

È evidente, qui, il superamento della dottrina costituzionalistica in voga nei primissimi anni del centrismo: il ruolo del Presidente della Repubblica non può più andare incontro ad alcuna commisurazione col Capo dello Stato descritto dalla teoria di Constant, venendo ora alla luce ulteriori facoltà presidenziali non esplicitate dalla Carta, ma al contempo non esorbitanti i limiti delle attribuzioni costituzionali. In altre parole, se prima i tratti del ruolo del Presidente erano stati delineati sulla base di un’interpretazione restrittiva delle norme costituzionali – al punto da escludere ogni altra forma di

37 P. BARILE, I poteri del Presidente della Repubblica, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1958, p.

307 ss.

(35)

35

responsabilità che non fosse quella giuridico-penale di cui all’art.

90 – a partire dalla Presidenza Gronchi si insinua il dubbio che la politicizzazione della figura del Presidente della Repubblica non possa dare seguito alla fisiologica attribuzione di una responsabilità sullo stesso piano.

L’idea che alla responsabilità per atti funzionali ex art. 90 Cost. si aggiunga – in via interpretativa – una responsabilità di carattere politico ha provocato qualche scintilla negli ambienti della dottrina. La posizione di chi – fedele alla vecchia impostazione – sostiene la necessità di mantenere viva l’irresponsabilità politica di un Presidente che, in fondo, «non può far male perché non può far niente»38, si scontra con il principio per cui – e qui sta il punto – all’esercizio di un potere deve necessariamente seguire una responsabilità39.

Quanto appena detto pare concretizzarsi durante il settennato di Sandro Pertini, durante il quale il costante ricorso al potere di esternazione – di cui Pertini fu noto utilizzatore – sembra fare strada ad un ampliamento del ruolo del Capo dello Stato, visto

38 F. CUOCOLO, Lezioni di diritto pubblico, Milano, Giuffrè, 2006, p. 328.

39 Si fa riferimento alla frase «con c’è infatti responsabilità senza libertà di autodeterminazione, cioè senza potere» in P. BARILE-E. CHELI-S. GRASSI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, Cedam, 1996, p. 338. Quanto detto sopra se ne ricava in via indiretta.

(36)

36

ora come figura rappresentativa ed unificatrice dei valori nazionali. Conseguenza del superamento della iniziale funzione meramente “notarile” del Presidente non può che essere l’apertura di un ulteriore vulnus, a livello di responsabilità politica, tale da determinare l’ampliamento del settore di controllo esercitato dall’opinione pubblica.

Si apre qui un’ulteriore questione, già prospettata in uno dei primissimi studi sul tema della responsabilità del Presidente della Repubblica40. Si mette in evidenza, qui, come il fatto che l’atto presidenziale – fosse anche una semplice esternazione – abbia, certe volte, raggiunto i palazzi della politica non debba portare alla conclusione che vi fosse – oltre alla classica responsabilità per alto tradimento e attentato alla Costituzione –una seconda responsabilità di carattere politico-istituzionale. Non è però neanche il caso di escludere che gli atti del Presidente eventualmente pervasi da un fumus politico non debbano tenere aperta quantomeno la via della responsabilità politica diffusa. Si intende, con tale accezione, l’esposizione del Presidente al fuoco della pubblica critica, che, secondo Rescigno, è più o meno

40 Ossia G. U. RESCIGNO, La responsabilità politica, Milano, Giuffrè, 1967.

(37)

37

accentuata quanto più palese sia l’impronta politica che il Presidente ha dato alla propria condotta istituzionale. Detto in altri termini, «è solo a condizione che il Presidente non eserciti un proprio indirizzo politico o si faccia portavoce di istanze politiche che può affermarsi il mito della imparzialità e della neutralità del Capo dello Stato e la sua conseguente irresponsabilità politica»41.

È indubbio che la responsabilità del Presidente della Repubblica – pur alla luce dell’allargamento degli orizzonti entro i quali viene esercitato il ruolo presidenziale – presenta una qualificazione giuridica laddove si rientri nella fattispecie di cui all’art. 90, dove cioè è il diritto a sancire una precisa forma di responsabilità, per gli atti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni. Più difficile appare l’inquadramento giuridico della responsabilità politica – e di conseguenza della responsabilità diffusa – dal momento che tali forme di responsabilità non sono oggetto di chiare determinazioni normative da parte della legge e – tantomeno – della Costituzione.

41 G.U. RESCIGNO, La responsabilità politica, cit., p. 209.

(38)

38

Il diritto, cioè, non stabilisce i fatti che determinano la responsabilità politica – intesa qui in entrambe le accezioni di responsabilità politico-istituzionale e di responsabilità politico- diffusa – né le conseguenze che possano derivare dal verificarsi di quei fatti. Ne deriva che l’essenza della responsabilità politica non va ricercata lungo le vie del diritto positivo, che conducono invece alla dimora della responsabilità giuridica, a presidio della quale troviamo regole ben precise. La responsabilità politica – e ancor più quella diffusa – costituisce un genere a sé stante, che si sviluppa secondo logiche e meccanismi di stampo squisitamente politico. Il ruolo del diritto è qui marginale: è mero strumento di ricognizione esterna della responsabilità, la cui sostanza, tuttavia, non è qui che trova fondamento.

2. Presidente e potere politico.

Ciò detto, è da mettere in evidenza che le forze politiche, da sempre, hanno manifestato una certa tendenza a non voler dare l’impressione di essere propense al riconoscimento di un fattore politico insito nella condotta del Capo dello Stato. Da qui

(39)

39

l’abitudine di ridurre – secondo alcuni in ossequio a talune convenzioni costituzionali – al minimo le critiche di natura politica nei suoi confronti. Secondo alcuni studiosi, l’accanimento critico nei confronti della condotta presidenziale veniva infatti visto, in passato, come indice del riconoscimento, in capo al Presidente, di una funzione integrativa rispetto al ruolo del Governo e della politica in generale.

In tali circostanze, facile sarebbe stata l’eventualità di uno scenario di scontro aperto tra il Governo ed il Capo dello Stato, che molto probabilmente sarebbe stato alimentato da continui attacchi mossi a quest’ultimo, in quanto ritenuto portatore di un potenziale intrusivo rispetto alla determinazione dell’indirizzo politico.

Da qui la possibile apertura di un allarmante disequilibrio tra i poteri dell’arco costituzionale, contornato da ben probabili episodi di ricorso al conflitto di attribuzioni, come conseguenza dell’addebito, al Presidente, di una responsabilità per

“sconfinamento” rispetto alle proprie funzioni costituzionali.

In verità esiste una seconda chiave di lettura di questa ritrosìa delle forze politiche a muovere critiche al Capo dello Stato. Nello

(40)

40

specifico, la prassi di tenere molto basso il livello delle critiche al Presidente – in verità, oggi non più osservata dai partiti42 – può essere intesa non come un modo per non riconoscerne il ruolo politico, bensì come utile al rafforzamento della sfera di imparzialità e terzietà, mediante il suo minor coinvolgimento possibile nello scontro ideologico dei partiti.

Ad ogni modo, le recenti esperienze – specie durante la Presidenza Ciampi e l’attuale Presidenza Napolitano – dimostrano come la responsabilità politica del Capo dello Stato sia notevolmente emersa e collocata al centro della pubblica critica, alla luce di una totale inversione di tendenza, che al momento è quella di contestare – talvolta poderosamente – il merito delle condotte presidenziali.

Per quanto riguarda la Presidenza attuale, in particolare, la maggior parte delle manifestazioni di disapprovazione dell’opinione pubblica hanno addebitato una condotta gravemente omissiva con riguardo all’opportunità di intervenire per dissuadere l’esecutivo – nella precedente legislatura soprattutto – dal condurre certe politiche legislative quantomeno

42 Si pensi al neonato “Movimento 5 Stelle”, che ha fatto della critica all’operato dell’attuale Presidente della Repubblica un vero e proprio dogma.

(41)

41

discutibili, che in effetti hanno dato seguito spesso e volentieri a provvedimenti legislativi di dubbia legittimità costituzionale nonché, stando alla più recente cronaca politica, di aver addirittura tenuto in piedi governi non legittimati dal voto popolare43.

Quanto appena detto apre, in tema di responsabilità politica, una biforcazione: da una parte l’ipotesi del travalicamento dei confini costituzionali delle proprie attribuzioni, sintetizzabile nella formula “Il Presidente non sarebbe dovuto intervenire su questo ambito!”; dall’altra l’ipotesi in cui, ricorrendo i presupposti di un suo intervento, non abbia esercitato correttamente le funzioni di garante e moderatore del processo politico.

Quanto alla prima ipotesi, vale la pena di mettere in chiaro che la condotta politica del Presidente della Repubblica non potrebbe andare incontro ad un giudizio elaborato negli stessi termini di quello rivolto all’operato del Governo. L’accusa di aver perpetrato scelte cattive e/o inopportune è senza ombra di dubbio legittima se rivolta all’esecutivo – o alle forze politiche in generale – in quanto tale organo opera nel perseguimento di fini

43 Critica ancora una volta mossa dal M5S.

(42)

42

politici liberamente prescelti. Non è, tuttavia, in questa direzione che si muove il ruolo politico del Capo dello Stato, il cui operato andrebbe valutato tenendo conto di fattori giuridico- costituzionali, che dovrebbero – almeno in teoria – muovere qualsiasi scelta o manifestazione di volontà del Presidente.

Il Costituente, infatti, mai avrebbe pensato che il Presidente di una Repubblica parlamentare – dunque con forma di governo non presidenziale – potesse essere investito di funzioni governative e politiche in generale. È evidente che i recenti sviluppi della politica dimostrano una certa non curanza, da parte delle forze parlamentari, del disegno originale tracciato dai Costituenti quale delineazione della “sagoma” costituzionale del Capo dello Stato.

Tale atteggiamento ha inevitabilmente prodotto momenti di preoccupante mistura, a livello concettuale, tra il ruolo dei politici e quello proprio del Presidente della Repubblica – cosa di certo non auspicata dai Costituenti – da cui non può che emergere la questione del rapporto tra potere e responsabilità.

Alla luce di questa situazione, capiamo bene che il problema è serio, non essendo la responsabilità politica del Capo dello

(43)

43

Stato rilevabile secondo i moduli propri del diritto. Si giunge qui ad una questione di fondo: le indicazioni normative sulle condizioni e sui presupposti necessari per l’esercizio dei poteri attribuiti al Presidente non si prospettano chiare ed univoche. In tale ambito, infatti, «residuano notevoli spazi “vuoti”, non a caso colmati da un cospicuo numero di regole convenzionali e di correttezza costituzionale che, oltre a non possedere valore giuridico, sono per loro natura alquanto fluide in quanto sottoposte a continui mutamenti ad opera degli stessi soggetti che ne sono destinatari.

Per altro verso – è il caso di ricordare – la funzione di garanzia e tutela della Costituzione svolta dal Presidente non è neanche assimilabile a quella svolta dalla Corte Costituzionale, che infatti esercita il proprio ruolo di controllo sull’operato del Parlamento nelle sole vie che l’ordinamento fa ad essa conoscere, quelle della giurisdizione. Ce ne dà la prova la previsione dello strumento del rinvio alle Camere delle leggi, che ha natura ben diversa rispetto allo strumento della declaratoria di illegittimità costituzionale, proprio della Consulta.

(44)

44

Non solo, la Corte Costituzionale opera il controllo di legittimità sulle leggi in condizioni di assoluta immunità dall’influenza di qualunque criterio di valutazione che non sia legato al confronto col parametro costituzionale. Lo stesso non può dirsi per il Presidente, che, nel perseguimento dell’obiettivo di garantire la tenuta complessiva del sistema, opera il giudizio preliminare alla promulgazione tenendo conto sì l’osservanza delle norme costituzionali, ma facendo anche attenzione che la legge in esame non sia suscettibile di «compromettere o squilibrare – ad un tempo sul piano politico e costituzionale – gli assetti delle istituzioni e dei rapporti governanti-governati»44.

Altro connotato che rende il ruolo del Presidente diverso, dal punto di vista politico, dagli organi cui sono deputati i poteri legislativo ed esecutivo è dato dalla spiccata personalizzazione della propria carica. Il Capo dello Stato, in effetti, attua la propria condotta valutandone personalmente e – soprattutto – in solitudine opportunità, tempi e modalità. Non è di certo, perciò, un organo collegiale.

44 L. PALADIN, Presidente della Repubblica, Enciclopedia del diritto, vol. 35, Milano, Giuffrè, 1986, p. 214.

(45)

45

Gli argomenti richiamati dimostrano inequivocabilmente che il ruolo costituzionale del Presidente non può essere assimilabile a quello degli altri organi costituzionali, ma d’altra parte suggerisce un atteggiamento di perplessità di fronte all’ambiguità che ha caratterizzato le condotte concrete di molti Presidenti.

Capiamo bene, perciò, come il nucleo della questione si trovi a profondità ben lontane rispetto allo strato – superficiale – tracciato dalla lettera degli artt. 89-90 della Costituzione.

È altresì inconcepibile l’idea che gli atti del Presidente possano essere sanzionati – in quanto giuridicamente rilevanti – soltanto negli schemi dell’art. 90, proprio in virtù di quanto appena detto. Se è vero – come è ormai pacifico – che il Presidente può incorrere nella messa in stato di accusa davanti al Parlamento in seduta comune soltanto in seguito a condotte di notevole gravità, il problema diventa perciò quello di trovare la via giuridica alternativa onde far valere la responsabilità presidenziale – ovviamente più blanda – rispetto a condotte di più lieve gravità. Abbiamo però anticipato che l’ordinamento non contempla, circa la responsabilità istituzionale – men che meno

(46)

46

per la responsabilità diffusa – una specifica disciplina che ne delinei la rilevanza a livello sanzionatorio.

Sembra chiaro, ormai, che gli effetti della pubblica critica sull’operato del Presidente della Repubblica investano un ambito – per l’appunto quello dalla responsabilità diffusa – così generico e dai confini così mutevoli che vano sarebbe il tentativo di trovare un allineamento con il diritto costituzionale.

3. La critica “qualificata” all’operato del Presidente.

Quanto detto per la responsabilità diffusa non può valere anche per le ipotesi in cui i rilievi critici verso la condotta del Capo dello Stato provengano da soggetti istituzionalmente qualificati, come, ad esempio, il Parlamento o il Governo. Su tale assunto, si è parlato di una terza via, a livello intermedio tra la responsabilità propriamente istituzionale e la suddetta troppo generica responsabilità diffusa: la responsabilità c.d.

istituzionale-libera. Il carattere libero di questo modello si sostanzia nella non rilevanza del comportamento del Presidente sul piano strettamente giuridico, ma, al contempo, nel prodursi di

(47)

47

conseguenze piuttosto importanti dal punto di vista dei rapporti istituzionali.

Un tipico esempio del concretizzarsi della forma di responsabilità qui in esame potrebbe essere l’ipotesi in cui il Capo dello Stato perda la propria autorevolezza. Ipotesi, questa, dal peso notevole, soprattutto se consideriamo che l’autorevolezza «riposa sul delicato e precario equilibrio» che caratterizza i rapporti istituzionali,«che gli deriva dall’essere comunemente accettato come tale»45.

3.2. I possibili mezzi di censura della responsabilità politica.

Interpellanze ed interrogazioni parlamentari.

Particolare rilevanza assume la prassi – notevolmente diffusa durante i mandati di Pertini e di Cossiga – di avvalersi degli strumenti dell’ordinamento parlamentare, come interpellanze ed interrogazioni, per far valere il dissenso delle forze partitiche nei confronti dell’attività presidenziale. Si è parlato, a questo proposito, di una responsabilità non giuridica, ma fatta valere

45 F. DIMORA, Alla ricerca della responsabilità del Capo dello Stato, Milano, Giuffrè, 1991, pp. 186-187.

Riferimenti

Documenti correlati

Osservazioni sul ruolo del Presidente della Repubblica nella forma di governo parlamentare italiana ed eventuali prospettive di riforma. Incerta qualificazione del ruolo presidenziale

h) i titoli che danno diritto ad usufruire di riserve, precedenze o preferenze. Alla domanda di partecipazione al concorso i concorrenti devono allegare tutte le certificazioni

• A seguito di una sentenza della Corte Costituzionale del 1996, è stata dichiarata illegittima la pratica della reiterazione dei decreti legge, cioè la ripresentazione degli

Il testo malaliano sembra derivare dalla tradizione i riferimenti al regno di Saul e alla prima Olimpiade – che segnano rispettivamente il principio e la fine delle liste

Come già anticipato nell’introduzione, lo scopo è di indagare gli interventi infermieristici appropriati per gestire l’IU e garantire una migliore qualità di vita ai

In questo caso specifico, l’infermiere deve sentire la necessità di rinnovare le proprie conoscenze nel campo dei disturbi del sonno, di vedere quali sono gli elementi

Il dibattito su queste differenze ha portato alla necessità della formulazione di una nuova definizione, che può essere enunciata in questo modo: “Il marketing sociale è

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni, recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni