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IL MAR CINESE MERIDIONALE, RUOLO DELLE MARINE COINVOLTE NEI CONTENZIOSI TRA CINA, THAILANDIA, FILIPPINE, TAIWAN, VIETNAM, MALESIA

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UNIVERSITÀ DI PISA

ACCADEMIA NAVALE

Corso di Laurea Magistrale in Scienze Marittime e Navali

TESI DI LAUREA

IN ELEMENTI DI INTELLIGENCE

IL MAR CINESE MERIDIONALE, RUOLO DELLE MARINE COINVOLTE NEI CONTENZIOSI TRA CINA, THAILANDIA, FILIPPINE, TAIWAN, VIETNAM,

MALESIA LAUREANDO: G.M. Matteo BERTOLINI

RELATORE T.V. Oscar ALTIERO

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Indice

CAPITOLO I: GEOGRAFIA DELLA REGIONE

1.1 Introduzione 1.2 Geografia

1.3 Ambiente Marittimo

CAPITOLO II: ANALISI PMESII

2.1 Struttura e obiettivi dell’analisi PMESII 2.2 Cina 2.3 Thailandia 2.4 Filippine 2.5 Taiwan 2.6 Vietnam 2.7 Malesia

CAPITOLO III: ANALISI SWOT

3.1 Struttura e obiettivi dell’analisi SWOT 3.2 Cina 3.3 Thailandia 3.4 Filippine 3.5 Taiwan 3.6 Vietnam 3.7 Malesia

CAPITOLO IV: MARINE NAZIONALI

4.1 Cina 4.2 Thailandia 4.3 Filippine 4.4 Taiwan 4.5 Vietnam 4.6 Malesia CAPITOLO V: CONCLUSIONI

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CAPITOLO I: SITUAZIONE GEOGRAFICA E STRATEGICA

GEOGRAFIA DELLA REGIONE, PRINCIPALI INTERESSI, CONTESE

TERRITORIALI E SITUAZIONE STRATEGICA 1.1 INTRODUZIONE

1.1.1 Geografia

Figura 1. Geografia del Mar Cinese Meridionale: stati rivieraschi e arcipelaghi compresi nell'area; in rosso sono evidenziati i confini marittimi entro i quali la Cina rivendica la propria egemonia – fonte

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4 Il Mar Cinese Meridionale è la propaggine occidentale dell’Oceano Pacifico e, in base alle delimitazioni poste dall’International Hydrographic Organization1, è delimitato:

- a nord dalle coste cinesi, dalle coste vietnamite del Golfo di Tonkin e dallo Stretto di Luzon;

- a sud dalle coste della Malesia e del Brunei;

- a ovest dalla terra ferma (coste vietnamite), dalle coste della Malesia, da Singapore, dallo Stretto di Malacca e nella zona nord-occidentale dalla parte meridionale del Golfo della Thailandia;

- a est dalle Isole Filippine.

L’estensione totale delle acque è circa 3.700.000 km2.

Il Mar Cinese Meridionale è collegato nella zona settentrionale al Mar Cinese Orientale tramite lo Stretto di Taiwan, nella zona orientale al Mar delle Filippine tramite lo Stretto di Luzon e nella zona meridionale all’Oceano Indiano tramite lo Stretto di Malacca.

Questa ampia zona di mare è costellata di numerose barriere coralline, atolli e piccole isole; i due principali arcipelaghi sono le Isole Paracelso (circa 130 tra piccole isole e scogli emersi) e le Isole Spratly (circa 100 tra isole e atolli). Entrambi gli arcipelaghi sono contesi tra i paesi dell’area a causa della presenza di giacimenti di petrolio e gas naturale.

I paesi che affacciano su questa zona di mare sono, da nord in senso orario: Repubblica Popolare Cinese, Repubblica di Cina (Taiwan), Filippine, Malesia, Brunei, Indonesia, Thailandia, Cambogia, Vietnam.

1.1.2 Interessi: risorse ittiche, giacimenti di idrocarburi, traffici marittimi

Quest’area di mare assume una grandissima importanza economica e strategica, non solo al livello regionale ma anche internazionale. Gli interessi economici principali nell’area riguardano:

- le risorse ittiche delle acque;

- le risorse di idrocarburi contenute nel sottosuolo;

- l’elevatissimo numero di rotte mercantili e scambi commerciali.

In primo luogo nel Mar Cinese Meridionale abita circa un terzo dell’ecosistema marino mondiale e questo rende tali acque particolarmente rilevanti per il settore ittico, grazie alle grandissime risorse marine che vengono sfruttate dai paesi rivieraschi. Il pescato riguarda

1 Limiti stabiliti dall’International Hydrographic Organization nelle pubblicazioni Limits of Oceans and Seas 3rd edition (1953) e Limits of Oceans and Seas 4rd edition (1986)

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5 prevalentemente tonno, gamberi, sgombro, alici e crostacei che vengono sia consumati localmente sia esportati in tutto il mondo.

Inoltre assumono grande rilievo le risorse del sottosuolo, delle quali nell’ultimo decennio numerosi studi hanno scoperto l’esistenza e valutato l’entità, e che hanno generato fortissimi interessi non solo dei paesi bagnati da queste acque ma anche di altre potenze internazionali: negli ultimi anni infatti sono state avviate molte campagne di ricerca di idrocarburi, in particolare petrolio e gas naturale. I più recenti studi hanno stimato che i giacimenti siano nell’ordine di centinaia di milioni di barili di petrolio e miliardi di metri cubi di gas naturale2.

Figura 2. Distribuzione delle risorse petrolifere e di gas naturale stimate ed accertate nel Mar Cinese Meridionale secondo lo studio del U.S. Energy Information and Administration, espresse in milioni di barili

di petrolio equivalenti – fonte U.S. Energy Information Administration

Queste acque sono particolarmente rilevanti anche a causa dei traffici marittimi che vi transitano: costituiscono infatti un passaggio obbligato e uno snodo inaggirabile delle rotte marittime, tanto sotto il profilo commerciale quanto sotto quello militare, in quanto

2 Secondo le stime pubblicate nel 2013 dal U.S. Energy Information Administration si tratterebbe di 11 miliari

di barili di petrolio e 190.000 miliardi di tonnellate di gas naturale; secondo le stime della compagnia di stato cinese, la China National Offshore Oil Company (CNOOC) invece le risorse del sottosuolo ammonterebbero a 125 miliardi di barili di petrolio e 500.000 miliardi di tonnellate di gas naturale, tuttavia questa stima è criticata da molti studiosi. La stima maggiormente riconosciuta è quella formulata dall’agenzia statunitense, anche se probabilmente il sottosuolo del Mar Cinese Meridionale cela ulteriori risorse

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6 rappresentano ingresso e via d’uscita dallo Stretto di Malacca. Da queste acque transita una grossa fetta delle rotte commerciali internazionali, per un valore complessivo di merci stimato in circa 5 miliardi di dollari, un quarto delle quali di proprietà americana.

1.2 Principali interessi

È dunque a causa dei forti interessi riguardo le risorse ittiche, energetiche e l’enorme volume di traffico che quest’area è fortemente contesta tra i paesi rivieraschi. Dal punto di vista di Pechino questa zona di mare appartiene alla Cina, come dimostrato dalla rivendicazione sull’area delimitata dalle “nine dash lines” dichiarate unilateralmente dal governo cinese nel 19473. Per il Dragone il controllo su queste acque riveste un ruolo essenziale in quanto la quasi totalità delle rotte commerciali da e per la Cina vi transitano: è tramite le SLOCs (sea

lines of communication) che attraversano lo Stretto di Malacca e il Mar Cinese Meridionale

che Pechino si assicura l’approvvigionamento di risorse energetiche necessarie per supportare lo sviluppo economico del paese. Secondo le stime del US Department of Defense la Cina ha importato nel 2019 circa 10,1 milioni di barili di petrolio al giorno, per soddisfare circa i 77% del fabbisogno del paese. Allo stesso modo circa il 43% del quantitativo di gas naturale necessario alla nazione è stato importato, di cui circa il 10% via mare. Per la maggior parte Pechino si approvvigiona di queste risorse dalla regione del Golfo Persico, dalla Russia e dalle zone centrali dell’Asia (in particolar modo dal Turkmenistan).

Figura 3. Principali rotte per il trasporto di gas naturale attraverso il Mar Cinese Meridionale – fonte U.S. Energy Information Administration 2016

3 All’epoca della creazione della Repubblica Popolare quando vennero proclamate erano undici linee che

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Figura 4. Principali rotte per il trasporto di petrolio attraverso il Mar Cinese Meridionale – fonte U.S. Energy Information Administration 2016

Consapevoli della dipendenza del paese dalle importazioni di idrocarburi, il governo di Pechino sta investendo notevoli risorse per diversificare le reti di comunicazione per l’approvvigionamento e renderle meno vulnerabili, riducendo la dipendenza dai

chockepoints come lo Stretto di Malacca. Tuttavia si tratta di un progetto di notevoli

dimensioni e a lungo termine, per cui si rende necessario proteggere le SLOCs tramite l’impiego della Marina dell’Esercito di Liberazione Nazionale. È proprio su quest’ultima che si stanno concentrando le risorse finanziarie per dotarla di nuove unità e estendere il proprio raggi d’azione.

Oltre al trasporto di idrocarburi le acque del Mar Cinese Meridionale sono trafficate da navi che trasportano qualsiasi genere di merce, dal settore tessile a quello tecnologico, passando per quello alimentare e di minerali. Il volume dei traffici di import – export è notevolmente aumentato sia lungo le rotte oceaniche che collegano la Cina ai paesi europei, alla costa occidentale del Nordamerica, ai paesi Asean e a quelli dell’Oceano Indiano, al Sudamerica e all’Australia, sia lungo le rotte tra i paesi del Sud Est Asiatico stessi, sia tra questi ultimi e Giappone e USA.

1.3 Dispute territoriali e situazione strategica

L’area del Mar Cinese Meridionale è il fulcro delle dispute tra i paesi rivieraschi, oltre che a causa alla grande rilevanza economica esaminata in precedenza, anche per quanto riguarda la sovranità territoriale e i rapporti di forza tra le grandi potenze, quali Cina, India e Giappone. Dai rapporti tra le potenze maggiori conseguono le strategie dei paesi minori, i quali hanno tutto l’interesse di sfruttare le competizioni dei paesi più importanti per aspirare

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8 ad un ruolo più rilevante. Tra le grandi potenze che hanno interessi e influenza nell’area, oltre ai paesi del Sud Est Asiatico, non è possibile non considerare gli Stati Uniti. Gli USA perseguono un grande impegno, soprattutto marittimo con la Settima Flotta del Pacifico, in nome della “libertà di navigazione”, al fine di mantenere l’indipendenza dei paesi del Sud Est Asiatico dalle strategie di Pechino. Ma l’impegno Washington riguarda principalmente la salvaguardia dei propri interessi economici e strategici, nonché la difesa della propria supremazia navale e dell’impero navale a stelle e strisce.

Le contese territoriali hanno origine a causa delle rivendicazioni cinesi sul controllo all’interno della zona compresa nelle “nine dash lines”. Quest’area di mare (circa il 95% dell’intero Mar Cinese Meridionale), che comprende tra l’altro le Isole Spratly e le Isole del Paracelso contese tra il Dragone, Brunei, Filippine, Malesia e Vietnam, si sovrappone alle zone economiche esclusive e alle acque territoriali degli altri paesi rivieraschi. Secondo quando contenuto in una nota verbale di Pechino all’Assemblea delle Nazioni Unite, emanata a seguito delle rivendicazioni del Vietnam della sovranità sulle acque, la Cina possiede la “indiscutibile sovranità sulle isole nel Mar Cinese Meridionale e nelle acque

adiacenti, nonché gode di diritti sovrani e giurisdizione sulle acque pertinenti, così come sul fondo marino e sul sottosuolo della stessa"4.

Nel 2013 le Filippine si sono appellate alla Corte Permanente di Arbitrato con sede a L'Aja, la quale nel 2016 ha stabilito che qualsiasi rivendicazione di Pechino in nome dei diritti storici all'interno dell'area delle nine dash lines non poteva superare i diritti nazionali entro le 200 miglia, come stabilito dalla Convenzione sulla Legge del Mare. La Cina però non ha partecipato all'arbitrato, e pertanto ha pubblicamente espresso opposizione definendo la sentenza “nulla, invalida e non vincolante”.

4 Nella nota verbale del governo cinese indirizzata al Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki – Moon

emanata il 7 maggio 2009, Pechino ribadisce il proprio diritto di sovranità sulle acque del Mar Cinese Meridionale in risposta alle rivendicazioni del governo vietnamita riguardo la sovranità sulle acque entro 200 miglia dalle proprie coste

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Figura 5. Dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale: la linea rossa rappresenta le “nine dash lines” all’interno delle quali la Cina rivendica il proprio dominio, le altre linee rappresentano le ZEE dagli altri paesi: in verde della Malesia, in blu del Vietnam, in giallo delle Filippine. Sono rappresentate anche gli

arcipelaghi contesi, che si trovano proprio al confine tra le varie ZEE: le Isole Spratly, le Isole del Paracelso, le Isole Scarborough – fonte Harvard Asia Quartely

Nel corso dell’estate 2020 il clima tra Pechino e gli altri paesi del Sud Est Asiatico si è fatto decisamente più teso, in particolar modo tra Cina e Vietnam a causa degli interessi petroliferi. Dal primo al 5 luglio 2020 infatti la marina dell’Esercito cinese ha tenuto un’esercitazione nelle acque prospicenti le isole Paracelso dove le rivendicazioni di sovranità del Dragone si sovrappongono a quelle del Vietnam e di Taiwan, e a nulla è valsa la nota del governo di Hanoi, sostenuta dal governo filippino che ha ritenuto le esercitazioni un oltraggio, nella quale ha sostenuto la violazione della propria sovranità territoriale. A causa dei conflitti con Pechino e dell’esercitazione cinese, il governo vietnamita si è visto costretto a terminare i contratti di collaborazione per trivellazioni e progetti con le compagnie Repsol, Mubadala e Noble Corporation, le quali esigono d il rimborso di circa 1 miliardo di dollari per le risorse investite.

A fianco dei paesi del Sud Est Asiatico ed in particola modo del Vietnam si sono schierati ufficialmente gli Stati Uniti. Il 13 luglio 2020 il segretario di stato Mike Pompeo ha rilasciato una dichiarazione5 a favore dei paesi partner e alleati nel Mar Cinese Meridionale di Washington, condannando le rivendicazioni di sovranità cinesi su tali acque: secondo quanto riportato “Beijing’s claims to offshore resources across most of the South China Sea are

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completely unlawful, as is its campaign of bullying to control them”6. Secondo Washington, mai come oggi, la minaccia cinese verso gli interessi condivisi degli americani e dei loro alleati nell’area sarebbe elevata: la Repubblica Popolare, facendo ricorso a atti intimidatori, starebbe cercando di compromettere la sovranità degli stati costieri, di appropriarsi delle risorse energetiche degli altri paesi, di instaurare il monopolio sull’area e sostituire le leggi internazionali con la logica del “might makes right”7

Nella nota il Segretario prosegue sostenendo che l’impegno statunitense è volto a mantenere le condizioni di pace e stabilità garantendo la liberà della navigazione in accordo con le leggi internazionali dell’alto mare, ed afferma che Washington interverrà al fianco dei propri alleati e partner commerciali opponendosi “ad ogni tentativo di usare la violenza o la forza

per risolvere le dispute”. Riguardo le rivendicazioni sul controllo all’interno delle nine dash

lines il Segretario Pompeo si collega alla sentenza del 2016 dell’Aja, sostenendo che alla luce di questa la Cina non ha alcuna base legale, ed essendo la sentenza giuridicamente vincolante per entrambe le parti, gli Stati Uniti non possono che condannare come illegale tali pretese di Pechino. Il Segretario infine, esprime gli interessi e le cause che “motivano” l’impegno a stelle e strisce: “The world will not allow Beijing to treat the South China Sea as

its maritime empire”8.

Nei confronti delle rivendicazioni e della nuova dottrina navale di Pechino rivolta alla difesa marittima in profondità, cioè all’ampliamento della zona di azione della Marina dell’Esercito di Liberazione Popolare, appare chiara l’intenzione degli Stati Uniti: al fine di tutelare i propri interessi economici nell’area e di mantenere la supremazia sui mari Washington non esiterà a muoversi.

Gli USA stanno “attirando” verso di sé le potenze del Sud Est Asiatico al fine di “accerchiare” il Dragone; queste infatti seppur dipendono economicamente da Pechino temono per la loro indipendenza, pertanto non avendo nessuna intenzione di sottomettersi alla Cina, cercano una protezione altrove. Protezione che gli Stati Uniti sono ben propensi a fornire ai paesi più vicini al loro maggior nemico. Questo potrebbe portare all’isolamento

6 Nella nota il Segretario di Stato Mike Pompeo esprime il punto di vista del governo statunitense sostenendo

che “le rivendicazioni di Pechino riguardo le risorse offshore nella maggior parte del Mar Cinese Meridionale sono completamente illegali, come lo è la sua campagna di prevaricazione per controllarle”

7 “might makes right”: è un aforisma che può essere tradotto come “vale la legge del più forte” o altrimenti “il vincitore ha sempre ragione”, cioè ciò che è giusto e sbagliato è stabilito da chi detiene il potere; in altre parole

secondo il Segretario Mike Pompeo la Cina vuole imporre le proprie regole nel Mar Cinese Meridionale solo per il fatto di essere la maggiore potenza nell’area

8 La linea di Washington viene espressa in modo esplicito dal Segretario: “il mondo non permetterà a Pechino di trattare il Mar Cinese Meridionale come proprio impero marittimo”. Alla luce di questa posizione appaiono

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11 della Cina, alla quale potrebbe contrapporsi una coalizione tra i membri dell’ASEAN e le potenze del QUAD9.

L’intenzione di Washington è sfruttare a suo vantaggio tutti i contrasti cinesi con i paesi dell’area e i conseguenti malcontenti dei governi danneggiati da Pechino, per cercare di stabilire alleanze e presenza militare sul territorio.

In particolare il governo filippino e quello vietnamita stanno accusando sempre più spesso incidenti occorsi nelle acque del Mar Cinese Meridionale tra proprie imbarcazioni militari e i propri pescherecci con le unità della Guardia Costiera Cinese. Tra gli eventi più rilevanti sicuramente sono da ricordare l’affondamento di due imbarcazioni a seguito dello speronamento subito da unità della Guardia Costiera Cinese: un peschereccio vietnamita il 3 aprile 2020 uno filippino il 9 giugno 2020. A seguito di questi eventi il presidente filippino Duarte ha accusato duramente Pechino sostenendo che “invece di creare fiducia tra vicini,

la Repubblica Popolare aumenta le tensioni. Nel nome di rivendicazioni fittizie che non meritano considerazione”10. A seguito di questa dichiarazione poi il presidente Duarte ha richiesto a Washington di revocare l’ordine di evacuazione del contingente statunitense di 250 soldati dispiegato nelle Filippine. Richiesta che gli USA hanno accettato senza dubbi. Tra i paesi dell’area del Mar Cinese Meridionale che si stanno avvicinando sempre più agli Stati Uniti è da ricordare anche l’Indonesia. Quest’ultima appellandosi alla sentenza dell’Aja in favore delle Filippine del 2016 condanna le volontà egemoniche di Pechino: in particolare Giacarta sta subendo nei pressi delle Isole Natuna11 sconfinamenti da parte di imbarcazioni cinesi. Temendo l’estensione dei limiti delle ZEE da parte di Pechino, che non reclama il possesso di queste isole ma rivendica il proprio diritto di sfruttare tali acque, l’Indonesia oltre a minacciare ritorsioni, ha avviato processi di cooperazione con Giappone, Corea del Sud e USA12. Nel corso del 2019 gli investimenti diretti statunitensi in Indonesia sono arrivati a 12,4 miliardi di dollari, segnando +18,7% rispetto al 2018. Il 28 ottobre 2020, durante una conferenza stampa congiunta con il segretario di Stato Mike Pompeo, il ministro degli Esteri indonesiano Retno Marsudi ha ribadito che le dispute territoriali nella regione devono essere risolte in base alla Convenzione ONU sul diritto del mare, la quale prevede

9 Dialogo di Sicurezza Quadrilaterale: programma di collaborazione avviato nel 2017 tra Stati Uniti, India,

Giappone e Australia, e fortemente ripreso nel corso del 2019 con chiaro intento di contenere l’espansione cinese nel Pacifico

10 Discorso del Presidente Duarte riguardo l’affondamento dei pescherecci vietnamiti e filippini ad opera delle

unità cinesi, riportato nell’articolo “Philippines backs Vietnam after China sinks fishing boat” pubblicato da Al Jazeera il 9 aprile 2020.

11 Si tratta di un arcipelago di 272 isole indonesiane, situato nell’estremo sud del Mar Cinese Meridionale, tra

la penisola di Malacca ad ovest, e il Borneo ad est

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12 che le acque antistanti le Natuna rientrino nella zona economica esclusiva dell’Indonesia. Infine Marsudi ha incoraggiato le imprese statunitensi a investire proprio nell’arcipelago delle Isole Natuna.

Oltre ai dialoghi e le collaborazioni con i paesi del QUAD e dell’ASEAN gli Stati Uniti stanno cercando di avvicinarsi alla Corea del Nord in funzione anti – cinese, cercando il dialogo in primo luogo riguardo la denuclearizzazione. Da parte sua Kim Jong-un a partire dal 2018 sembra stia quantomeno valutando tale posizione a causa della politica di massima pressione dell’ex presidente Trump, basata su sanzioni economiche, minacce di intervento militare e di spodestare il regime. Contemporaneamente il dittatore nord coreano non si sta nemmeno precludendo l’opzione di collaborazione con la Cina, che il premier cinese Xi Jinping a partire dalla conclusione del primo summit di Singapore del 2018 tra USA e Nord Corea, sta fortemente ricercando in nome della secolare collaborazione tra i due popoli. A partire dal 2018 infatti le relazioni tra Cina e Nord Corea sono notevolmente migliorate grazie alle visite ufficiali dei leader di entrambi i paesi, dopo il netto deterioramento che si era verificato a partire dai test nucleari nordcoreani del 2016 a seguito dei quali Pechino insieme a tutta la comunità internazionale aveva condannato il comportamento della Corea del Nord e aveva appoggiato le sanzioni internazionali.

Le misure attuate da Washington in funzione anti – cinese comprendono: 1. la vendita a Taiwan di caccia e missili;

2. l’intensificazione dello sforzo della US Navy nell’area intorno Taipei per ribadire il proprio appoggio alla Repubblica di Cina;

3. il sostegno delle proteste di Hong Kong contro il dominio di Pechino13;

4. l’imposizione di dazi ai prodotti provenienti dalla Cina, al fine di “costringere” le industrie occidentali a trasferire le loro sedi altrove.

Dunque gli Stati Uniti cercano, con successo, di attirare dalla propria parte i paesi del Sud Est Asiatico, i quali temendo di perdere la propria sovranità e finire relegati a province del Dragone preferiscono avvicinarsi a una potenza, in questo caso gli USA, che è forte anche del fatto di non essere coinvolta direttamente sul territorio. Questo infatti è un grande

13 Il Congresso USA ha approvato il 15 ottobre 2019 due leggi a favore delle proteste di Hong Kong: la

principale la “Hong Kong human rights and democracy act” prevede che lo status commerciale privilegiato concesso a Hong Kong sia legato a una revisione annuale dell'effettivo grado di autonomia garantitole dal governo cinese e prevede inoltre sanzioni per i funzionari, locali o centrali, responsabili di violazioni dei diritti umani. La seconda legge blocca invece la vendita di armi per l'ordine pubblico alla polizia di Hong Kong, come lacrimogeni o proiettili di gomma.

Oltre questo gli USA hanno fatto pressioni sul governo di Londra affinché quest’ultimo concedesse il passaporto britannico a circa tre milioni di cittadini di Hong Kong, il che li ha resi intoccabili in caso di repressione cinese.

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13 vantaggio degli Stati Uniti, hanno dalla loro parte l’estraneità territoriale. E storicamente hanno sempre contato su questo vantaggio.

Washington può contare anche sulla netta superiorità marittima che garantisce il successo delle Operazioni per la Libertà della Navigazione (FONOPs)14 e consente il dominio degli stretti, condizione che limita l’espansione navale di Pechino e confina la Marina dell’Esercito di Liberazione Popolare all’interno dei Mari Cinesi.

Le misure messe in atto dal Dragone sono rivolte sia in senso economico che militare. Per quanto riguarda il piano economico il Dragone si sta impegnando in notevoli investimenti sia nei paesi del Sud Est Asiatico che in Africa e Europa tramite il progetto della Nuova Via della Seta. Dal punto di vista militare sono sempre più frequenti le intimidazioni ad opera delle proprie navi da guerra, della guardia costiera e dei pescherecci armati. Inoltre a partire dal 2015 ha avviato un programma di innovazione e ingrandimento che dovrebbe portare la Marina ad essere entro il 2050 la più grande del mondo: Pechino ha infatti capito che per togliere a Washington il ruolo di maggior potenza mondiale deve superare la US Navy. Infine il Dragone ha avviato un ambizioso programma di militarizzazione degli atolli nel Mar Cinese Meridionale, sia quelli naturali che quelli costruiti artificialmente: questi nel progetto cinese dovrebbero avere la funzione di permettere la proiezione della forza aeronavale oltre la cintura delle prime isole.

14 Secondo quanto definito dall’US Department of Defense le FONOPs sono “sfide operative contro

rivendicazioni marittime eccessive” tramite le quali “gli Stati Uniti dimostrano la propria opposizione a tali rivendicazioni ingiuste, in accordo con il principio di libertà della navigazione espresso dall'articolo 87 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. Il programma venne avviato nel 1979 e dal 2015 prevede l’impegno della US Navy anche nelle acque del Mar Cinese Meridionale.

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Figura 6. Programma di estensione della potenza marittima cinese oltre la cintura delle prime isole, cioè al di fuori del Mar Cinese Meridionale – fonte worldview.stratfor.com

Questa strategia in caso di guerra potrebbe però rivolgersi contro Pechino: durante la Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti applicando la così detta “leapfrogging strategy” hanno dapprima conquistato gli isolotti giapponesi per raggiungere poi il paese stesso. La stessa cosa potrebbe essere applicata dalla US Navy anche a questo contesto.

Dunque la Cina si trova in una posizione scomoda in quanto:

1. circondata da nazioni che, se non esplicitamente ostili, potrebbero facilmente diventare tali se vedessero minacciata la loro sovranità;

2. in contrasto con la maggior potenza militare del mondo che, peraltro, gode del vantaggio dell’extra – territorialità;

3. in svantaggio dal punto di vista marittimo in quanto confinati dentro il Mar Cinese Meridionale, e con una marina decisamente inferiore;

4. minacciati anche dal punto di vista terrestre se rivolgessero i propri sforzi esclusivamente sul dominio marittimo;

5. “deboli” internamente a causa dei numerosi contrasti interni e l’indipendenza di Taiwan e Hong Kong.

L’unica possibilità per Pechino di uscire da questa situazione di debolezza sarebbe minacciare direttamente il territorio degli Stati Uniti, o direttamente dal mare o indirettamente tramite il Sud America. Questo inevitabilmente costringerebbe gli USA a arretrare dalle proprie posizioni in Sud Est Asiatico per proteggere il territorio nazionale, lasciando più spazio di manovra alla Marina dell’Esercito di Liberazione Popolare e alle mosse strategiche di Pechino.

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CAPITOLO II: ANALISI PMESII

2.1 Struttura e obiettivi dell’analisi PMESII

Le Forze Armate statunitensi sono state le prime a introdurre la nozione dell’importanza di conoscere il sistema culturale delle popolazioni che vivono nel teatro dell’operazione. Ciò perché per aumentare le possibilità di buon esito della missione è necessario, oltre ad avere il consenso della popolazione, conoscere l’ambiente culturale nel quale essa viene condotta. Le informazioni che devono confluire a supporto del processo decisionale, per renderlo il più efficace possibile, sono quelle riguardanti la situazione sul territorio. Pertanto è necessario considerare le questioni etnografiche che concorrono a determinare la situazione nell’area di interesse. Tale processo di acquisizione delle informazioni etnografiche è denominato Cultural Preparation of the Environment (CPE). Si tratta di un processo ciclico, tempo – esteso, orientato all’acquisizione delle informazioni socio culturali dell’area. Si possono ritrovare quindi molte analogie con il processo “Joint Intelligence Preparation of the Operational Environment” (JIPOE). Quest’ultimo è il processo analitico utilizzato dalle agenizie di intelligence per produrre valutazioni, stime e altri prodotti di a supporto del processo decisionale del Joint Force Commander (JFC). È utilizzato per analizzare tutti gli aspetti rilevanti dell’ambiente operativo, compresi l'avversario e gli altri attori che intervengono in esso in tutti i domini fisici (aria, terra, marittimo e spazio).

Tra gli elementi da considerare rientrano le caratteristiche morfologiche del terreno, la struttura della popolazione, i sistemi sociali e politici, nonché le infrastrutture realizzate dall’uomo. Tutte queste informazioni sono necessarie per supportare il processo decisionale delle operazioni, fornendo un quadro il più completo possibile e monitorando lo svolgersi di queste per valutarne l’impatto e le conseguenze.

Il modello adottato per l’analisi dell’area di interesse in questo elaborato è ASCOPE – PMESII: questo permette di valutare contemporaneamente il fattore umano, politico, economico e strategico. Questo modello risulta dalla correlazione delle matrici ASCOPE e PMESII, tenendo dunque in considerazione i fattori di entrambe. Le categorie di informazioni considerate dal modello ASCOPE sono: Aree (A), Strutture (S), Capacità (C),

Organizzazioni (O), Persone (P) ed Eventi (E). Queste informazioni consentono di delineare

il contesto sociale e culturale dell’ambiente operativo, dunque gli aspetti relativi alla dimensione della popolazione. Le dimensioni del modello PMESII, che permettono di

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16 valutare gli aspetti politico – sociali della popolazione, sono: Politica (P), Militare (M)15,

Economia (E), Aspetto Sociale (S), Infrastrutture (I) Informazioni (I).

Da tale analisi emerge una rappresentazione complessa della struttura e delle dinamiche che influenzano il comportamento dei paesi esaminati e dell’area di interesse tutta. Così facendo quindi si potrà ottenere un quadro di situazione che, seppur mai completo per definizione a causa del rapido mutamento della situazione in teatro e delle relazioni che intercorrono tra gli attori, risulta utile in supporto del processo decisionale.

2.2 CINA

INTRODUZIONE

Storia

Nell’analizzare accuratamente il profilo della Cina è necessario considerare anzitutto il passato e le sue origini, in quanto queste si ripercuotono in maniera significativa sulle scelte politiche del paese. Le prime forme di civilizzazione risalgono all’età del

Bronzo, circa II millennio a.C., quando sorsero le prime civiltà rurali. In quel periodo si svilupparono molte dinastie regnanti che, a partire dal III secolo a.C. per i successivi due millenni, si scontrarono per ottenere il dominio su quello che divenne l’Impero Cinese. Furono secoli in cui si alternarono periodi di unità ed altri di disgregazione che portarono tra l’altro a quella che ad oggi viene definita diaspora. Nel corso dei secoli infatti molti cinesi migrarono in tutto il mondo: si stima che circa 60 milioni sia il numero di cinesi al di fuori dei confini nazionali1. Di questi la maggioranza si concentra nella regione adiacente la Cina: si stima che qui vi siano oltre 35 milioni di cinesi, cioè il 60% di quelli dislocati in tutto il mondo16. Ma Pechino non è affatto preoccupata, anzi, considera la diaspora uno strumento chiave per accrescere i propri interessi nella regione. La Cina infatti desidera che i cittadini all’estero contribuiscano alla realizzazione del «sogno cinese del risorgimento della

nazione»: l’ascesa del paese al rango di superpotenza.

15 L’aspetto militare non riguarda solo l’organizzazione delle Forze Armate ma anche gli aspetti legati alla

sicurezza

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17 L’ultima dinastia regnante fu quella dei Qing il cui regno si concluse nel 1911 con la creazione della Repubblica di Cina, a causa delle crescenti rivolte e delle sempre più opprimenti pressioni esterne.

Nonostante la grande arretratezza soprattutto in campo militare Pechino partecipò ad entrambe le Guerre Mondiali. Nella Prima Guerra Mondiale si schierò dalla parte delle Potenze Alleate, fornendo sostegno dal punto di vista economico alle industrie alleate garantendo la manodopera, piuttosto che dal punto di vista militare. Nella Seconda Guerra mondiale Pechino formalmente non prese posizione: fu coinvolta nella Seconda Guerra Sino – Giapponese tra il 1937 e il 1945, che condusse autonomamente fino al 1941 quando dopo l’attacco di Pearl Harbour gli USA e le altre Potenze Alleate decisero di intervenire al fianco del Dragone. Pertanto al termine del Secondo Conflitto Mondiale la Cina uscì, seppur flagellata dalla guerra, al fianco delle potenze vincitrici.

Negli anni 1927 – 1937 e 1945 – 1949 si susseguirono due guerre civili, interrotte dal Secondo Conflitto Sino – Giapponese, che videro contrapposti lo schieramento nazionalista filo – americano di Chiang Kai – Shek e lo schieramento comunista di Mao Zedong. Gli avvenimenti terminarono il 1° ottobre 1949 con la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese ad opera del neo – presidente Mao Zedong.

Mao Zedong creò un governo autocratico ad impronta socialista al paese, rifacendosi inizialmente al modello sovietico: riunificò il territorio separato dalle diversità etnico – culturali, procedette alla nazionalizzazione delle imprese, creò delle comuni e ridistribuì le terre dei latifondisti ai contadini. Questa politica fu messa in atto nella fase iniziale della nuova repubblica, poiché successivamente il governo virò verso un percorso alternativo noto come il “Grande balzo in avanti”. Questo fu un piano economico e sociale messo in atto dal 1958 al 1961, con l’intento di mobilitare la popolazione per riformare rapidamente il paese, trasformando il sistema economico rurale fino ad allora basato sull'agricoltura, in una moderna e industrializzata società comunista, caratterizzata tra le altre cose dalla collettivizzazione. Il piano non ebbe affatto successo: al contrario, si ritiene che sia stato la principale causa della gravissima carestia, della Rivoluzione Culturale, dei tumulti e della conseguente repressione in cui furono protagoniste le Guardie Rosse nel 1960, nella quale morirono un numero imprecisato di persone, da 14 a 43 milioni a seconda dell’interpretazione.

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18 A seguito degli scontri interni al partito si affermò Deng Xiaoping, che riorganizzò l'economia cinese introducendo nella Costituzione della Repubblica Popolare il riconoscimento del diritto alla proprietà privata e l'apertura del mercato a investimenti esteri: il tutto ha portato l'economia cinese alla fine del XX secolo ai primi posti del globo, vantando il tasso di crescita economica più rapido del globo. Nel XXI secolo grazie ai notevoli investimenti e all’estensione ormai a livello globale del suo mercato Pechino è diventata la prima potenza economica al mondo per prodotto interno lordo e prima esportatore al mondo. Dal punto di vista militare la Cina si pone come la nuova superpotenza emergente, sfidando, anche se da lontano, il primato degli Stati Uniti. A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale vanta l'esercito di terra numericamente più grande al mondo, l’ELP (Esercito di Liberazione Popolare) e dal 1964 ha sviluppato armamenti nucleari. Il budget per la difesa dell’Impero del Dragone nel 2019 è stato 261 miliardi di dollari pari all’1,9% del PIL, secondo solo a quello degli Stati Uniti (732 miliardi di dollari pari al 3,1%, 2019)17. La rapida industrializzazione e le riforme di mercato hanno ridotto il suo tasso di povertà dal 53% nel 1981 all'8% nel 2001. Per quanto riguarda le condizioni di vita della popolazione queste sono notevolmente migliorate, ma altrettanto non si può dire della libertà e del controllo politico sui cittadini, i quali tutt’oggi sono sottoposti a una stretta sorveglianza. Tuttavia la Repubblica Popolare Cinese è ora di fronte a una serie di problemi, tra cui il rapido invecchiamento della popolazione in conseguenza della politica del figlio unico, le tensioni con Hong Kong, Taiwan e la minoranza uigura, le crescenti tensioni con gli USA per il controllo del Mar Cinese Meridionale ed uno squilibrio economico tra regioni costiere e interne.

Geografia

Dal punto di vista geografico la Cina si trova in Asia Orientale e con una estensione pari a 9.596.960 km2 di cui 9.326.410 km2 di terra e 270.550 km2 di mare, è il quinto paese al mondo per estensione, di poco inferiore agli USA.

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Figura 7. Territorio cinese e territorio statunitense a confronto – fonte cia.gov: the world factbook

Il territorio confina con 15 stati: Afghanistan, Bhutan, Burma, India, Kazakhstan, Corea del Nord, Kyrgyzstan, Laos, Mongolia, Nepal, Pakistan, Russia, Tajikistan, Vietnam.

Figura 8. Posizione geografica del Paese e città principali – fonte cia.gov: the world factbook

Lo Stato possiede 14.500 km di coste affacciate ad est sul Mar Giallo e sul Mar Cinese Orientale, a sud – est sul Mar Cinese Meridionale.

Data la vastità del territorio e le grandi diversità, è possibile suddividerlo idealmente in sei regioni: nord-ovest, Mongolia interna, nord-est, Cina settentrionale, Cina meridionale e estrema regione sud-occidentale. A queste corrispondono climi estremamente diversi: dal clima sub – artico nel nord al clima tropicale nella parte meridionale. Il territorio è generalmente montuoso e con grandi altipiani e deserti nella parte occidentale, mentre nella parte orientale è caratterizzato da pianure e colline.

Dal punto di vista idrografico il territorio è caratterizzato da un gran numero di fiumi, la maggioranza dei quali scorre da ovest verso est per gettarsi nel Mari Cinese Orientale e Meridionale, e quindi nella zona dell’Oceano Pacifico. I tre maggiori fiumi sono: lo Huang He ("Fiume Giallo"), il Chang Jiang ("Fiume Azzurro") e lo Xi Jiang ("Fiume dell'ovest"), che nella parte media e bassa del loro corso dividono tre grandi assi orografici della Cina orientale e hanno la loro origine sull'altopiano tibetano.

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20 Il Paese è caratterizzato da disastri naturali di grandi dimensioni: si riscontra un’elevata frequenza con cui si verificano tifoni (i media 5 all’anno), inondazioni di cui la maggiore nel 1931 in cui morirono tra 2 e 4 milioni di persone, tsunami e terremoti di cui il più recente nel 1976 in cui si registrarono tra 300.000 e 700.000 vittime, nonché vulcanismo.

Il territorio è infine ricco di risorse naturali come ferro, carbone, petrolio, gas naturale, mercurio, uranio e molti altri metalli ed elementi preziosi.

POLITICA

Istituzioni

Dal punto di vista istituzionale la Cina è una repubblica popolare, istituita a partire dal 1° ottobre 1949. Il partito che guida il paese è il Partito Comunista Cinese (CCP), cui si affiancano otto partiti minori formalmente indipendenti ma che comunque vengono gestiti dal CCP. Tutte le cariche politiche a partire dalla fondazione della PRC sono state ricoperte dai vertici del Partito Comunista. Nel corso dei secoli sono state promulgate diverse costituzioni, l’ultima delle quali la Costituzione della Repubblica Popolare Cinese adottata dal V Congresso Nazionale del Popolo il 4 dicembre 1982.

Il potere legislativo è detenuto dall'Assemblea Nazionale del Popolo formata da 3000 membri, i quali rimangono in carica per cinque anni. Il sistema è unicamerale. L'elezione dei rappresentanti avviene per via indiretta attraverso un sistema piramidale di assemblee e comitati: i cittadini riuniti in assemblee municipali eleggono i rappresentati dei comitati, che a loro volta si riuniscono in assemblee regionali per eleggere i rappresentanti provinciali i quali eleggono i membri dell'Assemblea Nazionale del Popolo. Questa a sua volta elegge un Comitato Permanente che esercita le funzioni negli intervalli tra le sessioni plenarie, che avvengono di norma una volta l'anno.

Il Presidente della Repubblica è la massima carica dello Stato, nonché il segretario generale del Partito Popolare Cinese (a partire dal 14 marzo 2013 è il Presidente XI Jinping) e viene nominato dall’Assemblea Nazionale del Popolo.

Il potere esecutivo è detenuto dal Consiglio di Stato nominato dall’Assemblea Nazionale del Popolo, al vertice del quale si trova il Primo Ministro (Premier LI Keqiang a partire dal 16 marzo 2013) e sotto di lui si trovano i Capi dei Ministeri. Premier e vice premier sono eletti indirettamente dal Consiglio di Stato: vengono nominati dal Presidente della Repubblica e

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21 approvati dal Consiglio di Stato. Le leggi sottoposte al vaglio dell'Assemblea Nazionale sono proposte direttamente dal Consiglio di Stato e rappresentano l’espressione della volontà del Politburo. Dal momento che l'Assemblea Nazionale del Popolo è composta per la quasi totalità dai membri del PCC, le votazioni dell'Assemblea Nazionale sono quasi sempre una formalità.

Il potere giudiziario prevede una Corte Suprema Popolare con oltre 340 giudici a capo dei quali si trova il Capo della Giustizia eletto dall’Assemblea Nazionale del Popolo. Alla Corte Suprema spetta in ultima istanza il giudizio sui processi e dal 2006 è l'unica avente titolo di pronunciare sentenze di condanna a morte. Al di sotto di questa si trovano corti subordinate: l’Alta Corte del Popolo, la Corte Intermedia del Popolo, la Corte Distrettuale del Popolo, nonché altre corti inferiori.

Dal punto di vista amministrativo il territorio è suddiviso in province, regioni autonome e municipalità. Le province riconosciute dal governo cinese sono, formalmente, 23. La questione infatti riguarda la provincia Taiwan, considerata da Pechino la ventitreesima provincia, e che invece si auto – proclama autorità legittima rappresentante della Cina, in opposizione alla Cina “continentale”.

Politica interna

Fino al 1911 anno in cui venne deposto l’ultimo imperatore la Cina era una monarchia imperiale governata dalla dinastia regnante. A seguito di ciò fino agli anni ’40 il governo venne mantenuto dal partito nazionalista Guomindang, che a ridosso della seconda guerra mondiale era divenuto di fatto l'unico partito al governo. Nel corso degli anni ’40 a seguito della “vittoria” al termine del secondo conflitto mondiale l’intero paese fu coinvolto in una sanguinosa guerra civile che vide contrapposte le forze nazionaliste al governo e il nascente Partito Comunista Cinese. Al termine del conflitto nel 1949 fu quest’ultimo ad assumere il controllo del paese proclamando la nascita della Repubblica Popolare Cinese. I rappresentanti delle forze nazionaliste si rifugiarono a Taipei sull’isola di Formosa (nota con il nome di Taiwan) dove costituirono un governo autonomo chiamato Repubblica di Cina e che tutt’oggi si dichiara indipendente e rappresentante di tutta la Cina, anche se formalmente a livello internazionale viene riconosciuto da pochi stati. A partire dal 1949 il Partico Comunista Cinese è l’unica forza politica a guidare il paese.

Inizialmente venne scelto un modello di Stato socialista, simile a quanto avveniva in URSS, con un'economia pianificata, votato alla realizzazione del socialismo reale. Dopo la morte di

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22 Mao Zedong a causa degli insuccessi politici e delle crescenti tensioni, nel 1976 il Partito Comunista Cinese sotto la guida del nuovo Segretario Generale Deng Xiaoping diede inizio a una serie di riforme economiche che segnarono il passaggio al cosiddetto “socialismo con

caratteristiche cinesi” o “socialismo di mercato”. La nuova linea politica riconobbe il diritto

alla proprietà privata e fece sì che l’economia cinese e i suoi mercati si aprissero verso investimenti esteri. Il tutto portò in brevissimo tempo il paese a diventare una delle principali potenze economiche al mondo.

Politica estera

Nel 1945 la Repubblica di Cina fu uno dei membri fondatori della Società delle Nazioni Unite e membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. A partire dal 1949 quando il potere venne preso dal Partito Comunista Cinese, la neonata Repubblica Popolare Cinese non venne riconosciuta dall’ONU e il seggio rimase alla Repubblica di Cina, ormai trasferitasi a Taiwan. Nel corso degli anni ’60 alcuni membri dell’ONU, in particolar modo Paesi in via di sviluppo guidati dall’Albania, si schierarono dalla parte della Repubblica Popolare Cinese e proposero una risoluzione annuale all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per trasferire il seggio dalla Repubblica della Cina alla Repubblica Popolare Cinese. Furono in particolar modo gli Stati Uniti che nel corso degli anni successivi fino all’inizio degli anni ’70 si opposero a questa risoluzione e raccolsero la maggioranza di voti per bloccare l’ingresso della PRC.

Nel corso degli anni ’60 però erano state ammesse al Consiglio di Sicurezza dell’ONU nuove nazioni indipendenti in via di sviluppo: ciò si tradusse nel fatto che l'Assemblea Generale non era più dominata dalle nazioni occidentali che riconoscevano la Repubblica di Cina ma da nazioni che avevano simpatie per Pechino. A questo si aggiunse il desiderio dell'amministrazione Nixon di migliorare le relazioni con la Repubblica Popolare nel tentativo di controbilanciare l'URSS. Come risultato il 25 ottobre 1971 venne approvata dall'Assemblea Generale la Risoluzione 2758, che riconosceva la Repubblica Popolare come unico governo legittimo della Cina, delegittimando l’autorità di Taiwan. La risoluzione dichiara infatti "che i rappresentanti del Governo della Repubblica Popolare Cinese sono

gli unici rappresentanti legali della Cina alle Nazioni Unite". Da quel momento quindi i

membri dell’ONU chiusero formalmente le loro relazioni diplomatiche con Taiwan, che comunque continua a contestare la legittimità del governo nei confronti della PRC.

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23 Dal momento dell’ingresso nelle Nazioni Unite però la Cina non si è mai dimostrata particolarmente attiva, al contrario si è quasi sempre limitata ad intervenire nelle questioni che riguardano esclusivamente i propri interessi e mai si è servita dell’ONU al fine di contrastare gli Stati Uniti.

A partire dai primi anni 2000 l’obiettivo del Partito Comunista Cinese appare chiaro: non solo elevarsi al rango di superpotenza internazionale, ma ottenere la realizzazione del «sogno

cinese del risorgimento della nazione». Per fare questo la politica estera messa in atto dal

governo di Pechino cerca di intervenire nell’ordine internazionale per ottenere quanto espresso dal Partito. Per questo a partire dal 2019 l’Esercito Popolare di Liberazione e la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione hanno rivestito un ruolo molto più attivo a livello internazionale, con un impegno maggiore sia in operazioni che in esercitazioni, condotte anche a livello internazionale.

Situazione strategica

Nel corso degli ultimi 30 anni la potenza di Pechino ha fatto un enorme balzo in avanti, elevandosi al rango di gigante a livello internazionale. Pertanto il Dragone oltre alle contese territoriali con i paesi vicini, ai quali sta tentando con sempre maggior vigore di strappare il controllo dell’area, è coinvolta anche in dispute a livello internazionale, in particolar modo nel braccio di ferro con gli Stati Uniti.

Dispute territoriali

Tra le dispute territoriali di maggior rilievo sicuramente spicca quella riguardate il controllo del Mar Cinese Meridionale. Pechino rivendica la sovranità all’interno dell’area delle così dette “nove linee” (originariamente “undici linee”): tali “confini marittimi” dichiarati unilateralmente dalla Cina, e risalenti al 1947, demarcano una zona di mare che si estende dalle coste cinesi e per la maggior parte del Mar Cinese Meridionale (circa il 95% della superficie totale) fino alle coste del Vietnam, della Malesia, del Brunei e comprendono anche le acque prospicenti le Filippine. Per Pechino il controllo sui Mari Cinesi è condizione imprescindibile per poter difendere il paese in maniera davvero credibile e avverare il sogno del “risorgimento della nazione” enunciato dal presidente Xi Jinping. Ed il primo obiettivo del Dragone è proprio il controllo sul bacino che costituisce il nesso tra gli oceani Indiano e Pacifico.

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Figura 9. Rivendicazione cinese all’interno delle “9 linee” e altri stati coinvolti – fonte forbes.com

L’area dichiarata dalla Cina come propria zona di mare comprende tra l’altro numerosi arcipelaghi: le isole Spratly, le isole Scarborough e le isole del Parcelo.

Il confine però non è definito, tutt’altro: la Cina ha tracciato una linea sufficientemente chiara affinché gli altri stati marittimi prestino attenzione alle zone di mare, ma quanto basta vaga perché questi ultimi possano negoziare sul controllo di fatto delle zone in base alle proprie necessità.

Infatti la “Dichiarazione di Condotta delle Parti nel Mar Cinese Meridionale” del 2002 ha allentato le tensioni riguardo le Isole Spratly e nel 2017 sono iniziate delle trattative tra Cina e ASEAN con l’intento di stabilire delle norme di comportamento nell’area. Ma le parti non sono arrivate a un accordo vincolante: infatti Pechino ha continuato ad estendere la propria influenza aumentando il numero di basi militari sulle isole, creando atolli artificiali per proiettare la propria capacità bellica ed aumentando la presenza nell’area delle proprie navi da guerra e dei propri pescherecci armati. La crescita navale del Dragone nel bacino conteso non è certo l’unico motivo di apprensione per i vicini di Pechino. Nel marzo 2020 la Repubblica Popolare ha aperto due nuove stazioni di ricerca a Fiery Cross e Subi Reef, nelle Spratly e ad aprile ha istituito altrettanti distretti municipali nell’ambito di Sansha, la città-prefettura sull’isola Woody con giurisdizione sulle Paracelso e le Spratly, per rafforzare il proprio controllo civile e amministrativo sul Mar Cinese Meridionale.

A livello marittimo Pechino è in contrasto anche con il Giappone riguardo il dominio delle Isole Senkaku: sono un gruppo di otto isole disabitate ai confini del Mar Cinese Orientale che dal 1972 sono sotto il governo nipponico, cosa alla quale la Cina si era opposta in quanto ritiene che debbano essere sotto il proprio dominio. In tale area le potenze sono in contrasto anche per quanto riguarda i confini delle zone economiche esclusive: Pechino sostiene che tale zona sia una naturale estensione della propria piattaforma continentale, mentre Tokio

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25 sostiene che l’area rientri all’interno della propria zona economica esclusiva in quanto entro 200NM dalle proprie coste. I contrasti sono motivati da ragioni economiche: nell’area è stata confermata la presenza di giacimenti di petrolio e gas naturale di enormi dimensioni (nell’ordine di centinaia di milioni di barili di petrolio e miliardi di metri cubi di gas naturale). La concorrenza tra i due paesi sembra solo all'inizio non solo dal punto di vista territoriale, ma anche sotto una prospettiva militare, come ad esempio l'istituzione di Pechino di un'area A2/AD (zona dedicata alla difesa aerea), ed inoltre dal punto di vista strategico, come le alleanze tra Cina e Pakistan e tra Giappone e India. La concorrenza è alta anche per quanto riguarda l’uso del soft power: la Cina, infatti, sta cercando di influenzare l'opinione pubblica giapponese attraverso la guerra dell'informazione e la pressione psicologica. Tuttavia, sul fronte commerciale, le relazioni tra i due Stati sono innaturalmente calme: la situazione generale è spesso definita "cold politics, hot economy". La strategia "ama il tuo

vicino", in termini di commercio, vede il Giappone vendere beni per un valore di 101 miliardi

di dollari (principalmente macchinari e apparecchiature elettroniche) alla Cina.

Figura 10. L'area contesa tra Pechino e Tokio – fonte Ministero della Difesa Cinese

Tra le altre dispute territoriali, una delle più importanti sulla “terra ferma” riguarda lo scontro con l’India riguardante gli oltre 2000km di confine che separano i due stati. In particolare le tensioni hanno origine dalla “Line of actual control” (Lac) che venne tracciata nel 1962 al termine del conflitto sino – indiano. Al termine di tale scontro infatti la Cina ottenne i territori dell’Akasi Chin, attualmente suddiviso tra Xinjiang e Tibet. L’India dal canto suo non riconosce l’influenza di Pechino su tale area ma la rivendica come facente parte del proprio territorio del Kashmir Indiano. Lo scontro tra le due potenze riguarda anche l’Arunachal Pradesh alla base dell’Himalaya del quale la Cina rivendica la maggior parte del territorio, il quale però è riconosciuto dalla comunità internazionale come facente parte del territorio indiano.

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26 Dal punto di vista dei confini territoriali Pechino è coinvolta anche in negoziati con il Regno del Bhutan per risolvere i contenziosi originati da una discrepanza nelle cartografie nazionali e stabilire un confine comune tra la parte occidentale del Bhutan e il territorio del Chumbi appartenente a Pechino.

I contrasti sono notevoli anche con il Vietnam, non solo nel Mar Cinese Meridionale dove Pechino a partire dal giungo del 2019 ha interferito e bloccato le esplorazioni vietnamite dei giacimenti di idrocarburi, ma anche per quanto riguarda i confini. Se da un lato nel 2009 si è concluso il decennale processo di definizione dei confini terrestri, è altrettanto vero che Pechino sta portando avanti progetti per la costruzione di dighe per centrali idroelettriche lungo il corso del fiume Mekong che, riducendone la portata, danneggiano pesantemente il delta del fiume e impediscono in tale zona la coltivazione del riso. Ma i contrasti riguardano anche il piano politico: a causa delle crescenti dispute infatti il governo di Hanoi si sta sempre più avvicinando al governo statunitense in cerca di un alleato cui affiancarsi nella “lotta” al Dragone.

Alleanze e paesi allineati

La politica di Pechino non esclude collaborazioni e relazioni, soprattutto dal punto di vista economico ma anche diplomatiche, con stati che presentano differenze ideologiche. Ne sono un esempio lo Zimbabwe, la Corea del Nord, l’Iran e la Russia.

Non è un mistero che Pechino abbia investito negli ultimi anni ingenti risorse in Africa sia per le grandi potenzialità legate alle risorse naturali del continente africano sia per la realizzazione della Nuova Via della Seta e l’ampliamento dei mercati cinesi. In particolare Pechino è legata allo Zimbabwe dal punto di vista economico e politico con enormi investimenti in settori come il minerario, l’agricoltura, l’energia e i progetti ingegneristici. Negli ultimi anni la Cina è stata il maggior partner commerciale dello Zimbabwe, e ha acquistato il 28% delle esportazioni del Paese africano. A partire dagli anni ’70 il Dragone ha sostenuto la guerriglia pre – indipendenza che ha portato alla vittoria dell’ex presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe. Da allora i due paesi hanno sempre avuto relazioni stabili. Un chiaro esempio si è verificato nel 2002 quando USA e UE imposero allo Zimbabwe delle sanzioni a causa degli avvenimenti occorsi nel Paese durante le elezioni dello stesso anno; in quell’occasione Pechino si mosse a favore del Paese, con ingenti investimenti e bloccando le azioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che miravano a creare embargo e restrizioni sull’economia dello Zimbabwe. Fin dagli anni 80, inoltre, la Cina ha mantenuto attiva la

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27 cooperazione con l’esercito dello Zimbabwe: le forze armate del Paese africano godono dell’aiuto dell’Armata Popolare di Liberazione cinese per l’addestramento ed è stata la Cina a finanziare la costruzione del National Defense College. Dal punto di vista economico Pechino ha investito 46 milioni di dollari per costruire il nuovo palazzo del parlamento del paese africano. Nella visita ufficiale del 2 dicembre 2015 il presidente Xi Jinping ha promesso di sostenere l’economia dello Zimbabwe con 5 miliardi di dollari di investimenti e aiuti diretti. In risposta alle critiche mosse nei confronti di Pechino da parte di molti stati occidentali, che vedevano l’intervento cinese come sostegno a un regime dispotico, ossia quello del presidente Mugabe, la Cina ha utilizzato il suo soft power. Ciò si è tradotto nel 2011 in un prestito da 100 milioni di dollari per la costruzione di un ospedale e nel 2015 in un accordo da 1,2 miliardi di dollari per espandere la maggiore centrale termoelettrica del Paese.

Figura 11. Presidente Xi Jinping (a destra) durante la visita di Stato in Zimbabwe, accompagnato dall'allora Presidente Mugabe (a sinistra) – fonte bbc.com

Ma l’intervento di Pechino non si è arrestato: l’11 novembre 2017 il capo dell’esercito dello Zimbabwe, Generale Costantino Chiwenga, si è recato in visita ufficiale a Pechino. Pochi giorni dopo, il 15 novembre, l’esercito dello Zimbabwe con un colpo di stato ha rovesciato il governo del presidente Mugabe: i militari hanno preso il controllo della televisione nazionale e bloccato l’accesso agli uffici governativi presso la capitale Harere, circondando gli edifici con i carri armati, in quello che i media occidentali hanno definito un “assedio militare non violento” che ha costretto il presidente alle dimissioni. I militari hanno posto alla guida del Paese Emmerson Mnangagwa, l’ex Vicepresidente allontanato da Mugabe qualche mese prima. Il 30 luglio 2018 si sono svolte delle storiche elezioni che hanno riconfermato Mnangagwa, il quale però non è riuscito a imprimere al Paese la svolta democratica e la rinascita economica che molti si aspettavano. Lo Zimbabwe è così ripiombato in una situazione politica molto precaria e l’economia ne ha subito risentito, con un impatto immediato sulla popolazione.

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28 Dal punto di vista della collaborazione internazionale sono stati fatti grandi passi in avanti: tra il 27 e il 31 dicembre 2019 si è tenuta la prima esercitazione militare congiunta tra Russia, Iran e Cina che ha visto coinvolte le marine nazionali in simulazioni anti-pirateria e antiterrorismo nelle acque internazionali fra l’oceano indiano settentrionale e il Golfo dell’Oman.

Figura 12. Unità impiegate nell'esercitazione – fonte caspiannews.com

Pechino, Mosca e Teheran mirano a migliorare la sicurezza delle rotte del commercio marittimo internazionale, a contrastare gli atti di pirateria e il terrorismo, condividendo altresì informazioni relative alle tattiche impiegate da ciascuno. Non da ultimo, con tali esercitazioni, si vuole lanciare un messaggio al resto del mondo, evidenziando come i Paesi abbiano raggiunto un livello “significativo” nelle loro relazioni. Secondo il Generale Ghadir Nezami Pour, capo dell’Agenzia per gli Affari Internazionali e le Relazioni Diplomatiche dell’esercito iraniano, infatti “le esercitazioni hanno diversi obiettivi, tra cui lo scambio di

tattiche e conoscenze militari, e talvolta perseguono fini politici che dimostrano un certo grado di convergenza tra i partecipanti”18.

Tra il 21 e il 26 settembre 2020 si è tenuta nel Caucaso una nuova esercitazioni di grandi dimensioni che ha visto coinvolte in una coalizione anti – USA oltre a Cina, Russia e Iran, anche Bielorussia, Pakistan, Myanmar, Armenia. Il ministro della Difesa cinese ha sottolineato che queste esercitazioni "avranno un significato speciale per le relazioni tra

Cina e Russia mentre il mondo sta combattendo la pandemia".

Le manovre di Pechino, Mosca e Teheran rappresentano una risposta all’aumento della presenza militare di Washington nell’area del Mar Cinese Meridionale e dell’Oceano Indiano e che, pur non sancendo l’inizio di alcuna alleanza formale, rappresentano un segnale importante al governo statunitense. Pechino e Mosca infatti stanno portando avanti un progetto globale incentrato sulla difesa di interessi comuni in ogni continente e sul

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29 supporto reciproco in sede diplomatica. L’Iran è uno dei teatri geopolitici in cui il confronto con gli Stati Uniti è stato sfruttato dall’asse Mosca-Pechino come un’opportunità, sia per contrastare gli interessi del governo statunitense nella regione che per accelerare il passaggio a un’Asia centrata sulla potenza russa e cinese.

MILITARE

Essendo il paese con il maggior tasso di esportazioni al mondo e uno dei maggiori a livello di importazioni, e considerando la sua posizione strategica per i commerci rivolti verso tutto il globo, Pechino ha la necessità di imporsi sulla scena mondiale anche come potenza militare.

In virtù della sua posizione costituisce infatti il centro dei commerci, sia marittimi destinati al continente americano, al continente africano e a quello europeo, sia terrestri verso i paesi occidentali, verso il Medio Oriente e verso la Russia. Senza contare i commerci con i paesi confinanti.

Per questi motivi la Cina ha bisogno di un esercito, di una marina e di una aviazione potenti e capaci di garantire la protezione degli interessi nazionali in tutto il mondo. Per fare questo innanzi tutto Pechino deve preoccuparsi di mantenere sotto controllo i choke points attraverso i quali transitano miliardi di dollari di merci ogni anno: uno su tutti è lo Stretto di Malacca. Ma non solo: deve tenere sotto controllo tutta l’area del Mar Cinese Meridionale. Quest’area infatti da un lato costituisce l’unica via d’accesso che Pechino possiede agli oceani, e dall’altra custodisce ingenti risorse, sia dal punto di vista ittico che da quello degli idrocarburi.

Ma il Dragone essendosi elevato al rango di superpotenza mondiale deve anche guardarsi e difendersi da paesi che sentono il loro primato e la loro posizione minacciata: uno su tutti, gli Stati Uniti. A Washington si aggiungono anche il Giappone, i membri dell’ASEAN e l’Australia.

Pertanto la politica militare di Pechino si può riassumere in quattro punti:

1. proteggere il territorio nazionale dal punto di vista terrestre, marittimo, spaziale e cibernetico;

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30 2. impedire agli Stati Uniti e gli altri rivali di ostacolare gli essenziali flussi commerciali da e per la Cina che transitano per lo Stretto di Malacca e per il Mar Cinese Meridionale;

3. ridurre la dipendenza dei traffici commerciali marittimi dal transito per lo Stretto di Malacca;

4. opporsi e contenere il desiderio di indipendenza di Taiwan.

Pechino ha deciso di utilizzare come primo mezzo d’azione il soft power: essenzialmente la strategia si basa sull’ingente numero di cinesi nei paesi esteri, cioè sul fenomeno della

diaspora, e fa uso di attività culturali, mediatiche e turistiche per diffondere gli ideali cinesi.

Grazie alle sue capacità industriali e finanziarie la strategia fa leva su commercio, prestiti e investimenti infrastrutturali (inclusi quelli nella rete 5G) per ottenere il consenso di governi e imprenditori stranieri. Il tutto al fine di placare i persistenti malumori dei paesi rivieraschi riguardo l’operato del Dragone nel Mar Cinese Meridionale.

È proprio nel Mar Cinese Meridionale che Pechino persegue senza sosta lo sviluppo di isole artificiali, la costruzione di sempre più grandi basi militari, l’esplorazione dei fondali e i pattugliamenti navali con l’obiettivo di ottenere il controllo del Sud Est Asiatico; tale condizione è connessa alla sicurezza dei confini marittimi del paese, che a sua volta è una delle condizioni indispensabili, anche se di per se non sufficiente, per ambire al ruolo di superpotenza.

Dal punto di vista politico, in accordo con la visione del Partito Popolare Comunista di raggiungere il sogno cinese del risorgimento della nazione, l’obiettivo è diventare una potenza miliare di rango mondiale entro il 2049, allineando così la trasformazione dell’esercito alla modernizzazione del Paese. L’obiettivo del Dragone, basato sul concetto di "difesa attiva”, dunque è chiaro: entro la metà del secolo uguagliare o superare la potenza militare statunitense e di qualsiasi altro paese che potrebbe costituire una minaccia per la sovranità, la sicurezza e gli interessi di Pechino. Lo sviluppo economico del Paese è volto a sostenere la modernizzazione militare, non solo fornendo budget più elevati dai quali attingere, ma anche attraverso iniziative guidate dal partito come la Belt Road Initiative e

Made in China 202519, e garantendo i benefici che derivano della crescente base industriale

e tecnologica nazionale. La strategia adottata è quella denominata “military – civil fusion” (MCF): tale politica sta ad indicare il tentativo di “fondere” il settore economico e le strategie

19 Si tratta del piano lanciato nel 2015 dal presidente Xi Jinping che mira al totale rinnovamento delle

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31 per lo sviluppo del paese con le politiche militari e di sicurezza, realizzando un sistema strategico integrato e capacità a supporto dell’obiettivo della nazione.

Il 24 luglio 2019 il l’Ufficio del Consiglio di Informazione di Stato di Pechino ha pubblicato un “libro bianco” sulla difesa (il primo dopo quello del 2015, anno in cui ebbero inizio le importanti riforme in ambito militare) denominato “China’s National Defense in the New

Era”. In questo documento il governo, dopo un’analisi sulla situazione strategica, afferma

con vigore le sue posizioni in ambito internazionale e di sicurezza nazionale.

In primo luogo Pechino afferma la propria propensione verso il raggiungimento della stabilità dal punto di vista strategico e ribadisce la volontà di sviluppare il paese. Secondo il governo però la stabilità internazionale è minata dalla competizione tra i vari attori. In primo luogo dagli Stati Uniti. Pechino sostiene infatti che a causa della politica aggressiva di Washington le tensioni sia a livello globale che a livello regionale siano esplose. Soprattutto, secondo quanto riportato nel documento, a causa della volontà degli Stati Uniti di mantenere la supremazia militare e l’egemonia a livello globale.

In conseguenza delle crescenti tensioni e della sempre maggiore instabilità, secondo il Dragone, i maggiori attori internazionali stanno concentrando i propri sforzi sull’incremento delle spese militari, sul nuovo impulso alla ricerca sulle armi nucleari, nel confronto con le altre superpotenze in una vera e propria corsa per il dominio dello Spazio, nello sviluppo della difesa (e delle capacità offensive) del dominio cibernetico e missilistico.

Le conclusioni che Pechino ha tratto riguardano non solo gli USA ma anche le potenze delle NATO. In particolare il governo cinese accusa la NATO di aver proseguito l’espansione della propria sfera di influenza, di aver intensificato il dispiegamento militare nell'Europa centrale e orientale e di aver condotto frequenti esercitazioni militari. Secondo le fonti del governo cinese riportate nel libro bianco della difesa la Russia sta rafforzando le sue capacità nucleari e non nucleari per il contenimento strategico e si sta sforzando di salvaguardare il suo spazio e i suoi interessi strategici di sicurezza. L'Unione Europea infine sta accelerando la sua integrazione in sicurezza e difesa nel tentativo di guadagnare più indipendenza nella propria sicurezza.

Nella corsa allo sviluppo bellico i principali paesi di tutto il mondo stanno riadattando le loro strategie militari e di sicurezza nonché le strutture organizzative militari. Gli Stati Uniti al fine di mantenere la superiorità militare assoluta si impegnano nell'innovazione tecnologica e istituzionale. La Russia sta portando avanti la propria riforma militare. Nel frattempo, il

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