Universit`
a di Pisa
Facolt`
a di Scienze Matematiche,
Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Matematica
Anno Accademico 2004/2005
Tesi di Laurea
26 maggio 2005
Modelli a Volatilit`
a Stocastica:
Approssimazioni con Processi
Puntuali e Convergenze
Candidato Relatore
A mio padre e mia madre
Solo nel corso di questi anni di studi universitari, lontano da casa, ho potuto com-prendere profondamente l’affetto, la stima e la gratitudine che provo nei confronti dei miei genitori.
Durante i momenti di difficolt`a, nonostante abbia anche avuto la fortuna di conoscere qui a Pisa alcune persone carissime che intendo ringraziare privatamente, solo mio padre e mia madre mi sono stati sempre vicini, pronti ad incoraggiarmi, con grande continuit`a: dal primo all’ultimo istante.
Indice
Introduzione 5
1 Misure aleatorie e processi puntuali 9
1.1 Gli spazi base . . . 9
1.2 Atomi e componenti diffuse . . . 15
1.2.1 Decomposizione . . . 15
1.3 Convergenza . . . 16
1.4 Misure aleatorie infinitamente divisibili . . . 21
1.4.1 Misure aleatorie ad incrementi indipendenti . . . 23
2 Serie storiche ed eventi estremi 27 2.1 Leggi infinitamente divisibili: forme canoniche . . . 27
2.2 Distribuzioni stabili e dominio di attrazione . . . 31
2.2.1 Funzioni a variazioni lenta e regolare . . . 32
2.2.2 Comportamento asintotico . . . 32
2.3 Fluttuazioni del massimo ordine statistico . . . 34
2.4 Breve introduzione alle serie temporali . . . 37
2.4.1 Serie storiche e processi con code pesanti . . . 38
2.5 Nozioni di teoria dei valori estremi . . . 39
2.5.1 Interpretazione dell’indice estremo . . . 43
3 Somme parziali di variabili aleatorie debolmente dipendenti 44 3.1 Risultati noti e presentazione del problema . . . 44
3.2 Convergenza di processi puntuali . . . 46
3.3 Convergenza delle somme parziali . . . 56
3.4 Grandi deviazioni . . . 66
3.5 Esempi ed altri risultati . . . 70
4 Processi a volatilit`a stocastica e autocorrelazione di un campione 76 4.1 Code di prodotti di variabili aleatorie indipendenti . . . 78
4.3 Convergenza di processi puntuali . . . 79
4.4 Teoria dei limiti per le ACF . . . 84
A 89 A.1 Teoremi sulle classi monotone . . . 89
A.2 Tipi di convergenza . . . 90
A.2.1 Convergenza in distribuzione . . . 90
A.2.2 Convergenza in probabilit`a . . . 92
A.3 Trasformata di Laplace . . . 92
A.4 Misure su spazi localmente compatti . . . 92
A.5 Funzioni a variazione regolare . . . 94
Introduzione
Fra i temi pi`u attuali e, probabilmente, pi`u affascinanti della ricerca nell’ambito statistico vi sono, sicuramente, quello della matematica finanziaria con le sue sotto-branche e quello della teoria della modellizzazione degli eventi estremi, cio`e eventi con probabilit`a molto piccola, ma che potrebbero provocare enormi conseguenze.
Riguardo a quest’ultimo problema, particolarmente interessante `e l’articolo: “Mis-sion improbable. How to predict the unpredictable” [19], in cui si discute l’utilit`a e l’attendibilit`a di una tale teoria.
Ci`o che `e messo in chiaro fin dall’inizio `e l’impossibilit`a di eliminare completa-mente quell’elemento di dubbio che caratterizza l’indagine in aree della vita reale sulle quali si hanno poche certezze. Grazie per`o alla teoria dei valori estremi (brevemente EVT), che, utilizzando in modo appropriato i dati riguardanti fenomeni estremi gi`a accaduti in passato, cerca di trovarvi un filo conduttore, possiamo premunirci, con un ottimo grado di attendibilit`a, contro possibili eventi futuri straordinari, e quindi tutelarci. Forse non si pecca di megalomania se si dice che lo stesso tsunami che ha colpito le popolazioni del sud-est asiatico nello scorso dicembre 2004 poteva rientrare nelle previsioni della EVT. Non `e solo facile oratoria dire che un’attenzione mag-giore da parte dell’uomo avrebbe certamente attenuato la catastrofe che ci ha visto spettatori impotenti.
La materia `e molto ampia e risulterebbe arduo affrontarla nella sua interezza, vista la molteplicit`a degli strumenti utilizzati per esempio dai matematici attuariali e dagli esperti di finanza per lo studio dei pi`u svariati problemi che si presentano volta per volta. Tutto ci`o lascia presagire due importanti punti su cui il nostro lavoro si baser`a.
In primis, focalizzeremo la nostra indagine utilizzando alcuni dei tanti strumenti di analisi, il cui studio `e oggetto tuttora di ricerche ed ulteriori applicazioni.
Tanto per dare dei riferimenti, Thomas Mikosch scrive, nel ringraziare Richard A. Davis alla fine di un proprio articolo, di essergli debitore per averlo introdotto al ‘meraviglioso mondo delle tecniche dei processi puntuali’, permettendogli cos`ı di allargare i propri orizzonti sia scientifici che culturali.
Il secondo punto importante sta nel fatto che non ci limiteremo alla pura ricerca teorica, ma ci porremo anche problemi reali, che potremo risolvere sulla base della
teo-ria sviluppata; mentre con opportuni esempi chiariremo le definizioni pi`u importanti ed il motivo della loro introduzione.
Nel primo capitolo presentiamo la teoria delle misure aleatorie, che sono appli-cazioni misurabili ξ di uno spazio probabilizzato (Ω, A, P ) nell’insieme delle misure di Radon M su uno spazio polacco S, che si pensa dotato di una particolare σ−algebra M. In particolare consideriamo tra queste i processi puntuali, cio`e le misure aleatorie a valori nella sottoclasse N delle misure a valori interi positivi. Quest’ultima teoria, come tutte le branche della probabilit`a, ha origine da lavori applicativi quali la teoria delle code e i modelli per traffici telefonici.
Particolarmente utile risulta la trasformata di Laplace Lξdi ξ, attraverso cui siamo
in grado di esprimere ξ in una forma analitica pi`u facile da trattare. Infine studiamo la convergenza in distribuzione delle misure aleatorie ξ, applicando il tutto ai processi puntuali di Poisson (semplici e composti ).
Nel secondo capitolo approfondiamo lo studio del concetto di infinita divisibili-t`a, gi`a introdotto nel primo capitolo per le misure aleatorie. Esso sar`a definito nel caso delle leggi delle variabili aleatorie attraverso le relative funzioni caratteristiche associate. Il nostro scopo `e quello di caratterizzare le funzioni caratteristiche delle leggi φ infinitamente divisibili.
Introduciamo inoltre il concetto di misura canonica molto importante per il rag-giungimento del nostro obiettivo finale, cos`ı come la teoria delle funzioni a variazione lenta e regolare, caratterizzando il dominio di attrazione delle variabili aleatorie stabili.
La parte centrale di questo capitolo riguarda, oltre alle serie temporali, la teoria dei valori estremi, che viene confrontata con quella classica i cui risultati vengono dati per successioni di variabili aleatorie indipendenti ed equidistribuite. Il pi`u importante `e certamente il Teorema di Fisher e Tippett che mostra come gli unici possibili limiti in distribuzione di massimi campionari siano le funzioni di distribuzione di Frech´et, Weibull e Gumbel. Diamo la nozione di ordine statistico per un campione estratto da una successione di variabili aleatorie indipendenti ed equidistribuite (o anche dette isonome e indipendenti): un concetto che si rivela utile per lo studio della distribuzio-ne asintotica delle somme parziali di una particolare classe di successioni di variabili aleatorie.
Parliamo di processo strettamente stazionario citando le serie storiche di pi`u fre-quente impiego in finanza, in economia e nelle telecomunicazioni, quali i modelli AR-MA(p,q), ARCH(p), GARCH(p,q) e quelli a volatilit`a stocastica, la cui definizione viene data secondo il modello di Black-Scholes. Prima di terminare con la nozione di indice estremo per successioni strettamente stazionarie e con un esempio che ne mette in luce l’importanza, definiamo le condizioni miste deboli, un tipo specifico di dipendenza asintotica, per ovviare all’impossibilit`a della creazione di una teoria generale dei valori estremi per la classe di tutte le successioni stazionarie.
Nel terzo capitolo consideriamo, attraverso la teoria dei processi puntuali, la con-vergenza debole di somme parziali Sn = ξ1+ · · · + ξn opportunamente normalizzate,
dove {ξj}j∈N`e una successione strettamente stazionaria di variabili aleatorie che
sod-disfa una condizione mista debole e le cui code di probabilit`a sono a variazione rego-lare. Diamo, per prima, una caratterizzazione del limite di un processo puntuale Nn
che ha massa nei punti {ξj/an, j = 1, . . . , n}, dove an `e l’(1 − n−1)-quantile della
distribuzione di |ξ1| . Allora, per 0 < α < 1, dove −α `e l’esponente della variazione
regolare della coda di probabilita di |ξ1|, Sn `e asintoticamente stabile se Nn converge
debolmente, e per 1 ≤ α < 2, la stessa tesi `e vera sotto una condizione leggermente pi`u forte della semplice convergenza debole di Nn.
Nella parte finale del capitolo consideriamo risultati di grandi deviazioni per Sn.
In particolare, dimostriamo che per ogni successione di costanti {tn}n∈N che soddisfa
la condizione nP {ξ1 > tn} → 0, la successione
P {Sn> tn}
nP {ξ1 > tn}
converge ad un limite che `e in stretta relazione con la misura canonica ottenuta come limite in distribuzione di una successione di leggi infinitamente divisibili. Discute-remo anche alcune applicazioni dei principali risultati a particolari somme parziali, successioni m−dipendenti e processi lineari.
Nel quarto ed ultimo capitolo consideriamo i processi a volatilit`a stocastica con innovazioni a variazione regolare, utilizzati per modellizzare i rendimenti in finan-za. Ancora una volta, le tecniche dei processi puntuali sono usate per derivare il comportamento asintotico della funzione di autocorrelazione di questo processo con distribuzioni marginali a code pesanti. Al contrario degli altri modelli usati in fi-nanza, come i GARCH(p,q), le funzioni di autocorrelazione (ACF ) di un processo a volatilit`a stocastica hanno propriet`a asintotiche attrattive. Nel caso specifico di varianza infinita, la funzione di autocorrelazione converge a zero in probabilit`a con velocit`a tanto maggiore quanto pi`u pesanti sono le code della distribuzione marginale. Infine notiamo che, nel caso di varianza infinita, la funzione ACF ha un comporta-mento asintotico che `e analogo a quello che si incontra nel caso di variabili aleatorie indipendenti ed equidistribuite.
Notazioni
(Ω, A, P ) spazio probabilizzato S spazio topologico S σ−algebra boreliana su S σ(C ) σ−algebra generata da C ˆσ(C ) il pi`u piccolo anello contenenteC e chiuso per unioni numerabili
R+ insieme dei numeri reali non negativi: [0, +∞)
Z+ insieme dei numeri interi non negativi : N ∪ {0}
¯
Z insieme dei numeri interi a cui si aggiunge l’infinito: Z ∪ {+∞} ∪ {−∞}
F insieme delle funzioni f : S → R+ misurabili secondo la σ−algebra S
Fc insieme delle funzioni f : S → R+ continue a supporto compatto
Fb insieme delle funzioni f : S → R+ continue e limitate
Fs insieme delle funzioni f : R \ {0} → R+ a gradini e a supporto compatto
F insieme delle funzioni f : R \ {0} → R+ continue, limitate e a supporto compatto
M insieme delle misure di Radon su S
N insieme delle misure di Radon su S a valori interi positivi
M σ−algebra su M
N σ−algebra su N
M insieme delle misure di Radon su R \ {0}
IA funzione caratteristica dell’insieme A
f (x) ∼ g(x) limx→∞f (x)/g(x) = 1
δx(·) delta di Dirac concentrata nel punto x
→d convergenza in distribuzione tra misure aleatorie
d
→ convergenza in distribuzione tra variabili aleatorie
¯
F 1 − F
Capitolo 1
Misure aleatorie e processi
puntuali
Nel corso dell’intera trattazione si far`a uso di strumenti matematici, soprattutto pro-babilistici e statistici, che saranno raccolti e discussi in questo capitolo per dare un’im-postazione chiara e comprensibile, ma allo stesso tempo tecnica e particolareggiata, a quanto si vuole alla fine dimostrare nella tesi.
Certamente, visto che si parler`a di processi puntuali e della loro convergenza in distribuzione ad altri processi puntuali meno complicati e meglio caratterizzati grazie alle propriet`a che si scopriranno possedere, sar`a utile un’idea anche intuitiva, oltre alla definizione rigorosamente matematica, per comprendere cosa si sta facendo e quanto tutto questo pu`o essere applicato ai dati reali.
Sia (Ω, A, P) un fissato spazio probabilizzato e (E, E ) uno spazio misurabile in cui E `e la σ−algebra (detta anche trib`u) boreliana (quella generata dagli aperti), e sia {Xn}n∈N una successione di vettori aleatori a valori in (E, E ).
Per ogni elemento A della σ−algebra E definiamo la varibile aleatoria N (A) = card {i : Xi∈ A} ;
ad ogni ω fissato, N (A) conta il numero di variabili aleatorie che cadono in A. Definizione 1.1. Si dice elemento aleatorio in S ogni applicazione misurabile ξ di un fissato spazio probabilizzato (Ω, A, P ) in un qualsiasi spazio misurabile (S, S).
1.1
Gli spazi base
Sia S uno spazio topologico localmente compatto di Hausdorff che soddisfi il secondo assioma di numerabilit`a; sia S la σ−algebra boreliana su S, e si consideri l’anello B di tutti gli insiemi relativamente compatti in S .
Definizione 1.2. Dato un anello U ⊂ B si dice che U `e un DC-anello se per ogni B ∈B e per ogni > 0 esiste qualche ricoprimento finito di B mediante elementi di U di diametro minore di .
In modo analogo defininiamo un DC − semianello nel caso in cui I sia un semianello.
Dove per semianello intendiamo una classe I di insiemi che `e chiusa per inter-sezioni finite e tale che la differenza tra elementi diI possa essere scritta come unione disgiunta finita di insiemi in I .
Per ogni classe C ⊂ B, indicheremo con ˆσ(C ) il pi`u piccolo anello contenente C e chiuso per unioni numerabili.
Lemma 1.3. SiaI ⊂ B un DC-semianello. Allora ˆσ(I ) = B.
Dimostrazione. Per ogni compatto C ⊂ S siano {Gn}naperti limitati tali che Gn ↓ C
(forniti dal Lemma A.21), e per ogni intero positivo n scegliamo un ricoprimento finito {In,j} ⊂ I di C contenuto in Gn. Allora vale C = ∩n∪j In,j, e pertanto C ∈ ˆσ(I).
Fissato ora un compatto C ⊂ S, definiamo
D = {B ∈ S tali che B ∩ C ∈ ˆσ(I )},
e osserviamo cheD contiene S ed `e chiuso per diffenenza e limite monotono. Inoltre, quanto detto sopra dimostra cheD contiene la σ-algebra σ(C ) generata da C . Poich´e σ(C ) = S , abbiamo dimostrato che B ⊂ ˆσ(I ). Viceversa, B `e ovviamente chiuso per unioni numerabili limitate, e pertanto B ⊃ ˆσ(I ).
Osservazione. Si osservi che su R un DC-anello e un DC-semianello sono, rispettiva-mente, famiglie di unioni di intervalli e famiglie di intervalli, ecco perch´e in generale li indicheremo con U e I .
Definizione 1.4. Una misura µ sullo spazio misurabile (S,S ) si dice localmente finita o di Radon se
µ(B) < +∞ per ogni B ∈B.
Denotiamo la classe di tali misure con M(S) = M, e poniamo N(S) = {µ ∈ M : µ(B) ∈ Z+ per ogni B ∈B} .
Indichiamo con M(S) e N (S) le σ−algebre di M e N, rispettivamente, generate dalle applicazioni
fB : M 3 µ 7→ µ(B) ∈ R+ e ˜fB : N 3 µ 7→ µ(B) ∈ Z+
Si indicher`a inoltre con F (S) = F la classe di tutte le funzioni S -misurabili da S→ R+ := [0, +∞), con Fc(S) = Fc la sottoclasse di tutte le funzioni in F continue
a supporto compatto, con Fs(S) = Fs la sottoclasse di tutte le funzioni semplici a
supporto compatto e con Fb(S) la sottoclasse di tutte le funzioni continue e limitate.
Data una misura µ ∈ M ed una funzione f nella classe F , definiamo la misura f µ come
(f µ)B = Z
B
f (s)µ(ds), B ∈B.
Se f = IB allora la misura IBµ si dice restrizione di µ a B e si indica con Bµ.
Definizione 1.5. Sia f una funzione misurabile sullo spazio misurato (Ω, A, µ); l’integrale di f rispetto a µ si indica con
µf = Z
f dµ = Z
f (ω)µ(dω).
Lemma 1.6. Sia I ∈ B un semianello tale che ˆσ(I ) = B. Allora M e N sono
generate dalle applicazioni µ → µI, con I ∈I o, anche dalle µ → µf, con f nella classe Fc.
Dimostrazione. Sia M0 la σ−algebra in M generata dalle applicazioni µ → µI, con I appartenente al semianelloI , allora poich´e I `e contenuto in B anche M0`e contenuta in M. Rimane da provare l’inclusione inversa, cio`e che l’applicazione B 7→ µB `e M0−misurabile per ogni B ∈B. A tale scopo si definisca
D = {B ∈ B : µ → µB `e M0− misurabile}
e si noti che D `e chiuso per convergenza monotona dominata. Inoltre D contiene l’anello C di tutte le unioni finite di insiemi contenuti in I , quindi ogni unione pu`o essere scelta disgiunta dalle altre. Applicando il Teorema A.5, otteniamo che D ⊃ ˆσ(C ) = ˆσ(I ) = B, e quindi la misurabilit`a desiderata di µ → µB, con B ∈ B. Consideriamo la σ−algebra M00generata dalle applicazioni µ → µf, f ∈ Fc; allora
M00 ⊂ M. Per provare l’inclusione opposta, si consideri C ⊂ S un compatto, e si
prenda una successione {fn}n∈N ⊂ Fc tale che fn ↓ IC. Allora per ogni µ nell’insieme
M la successione µfn converge decrescendo a µC per il Teorema della convergenza
dominata. Ci`o prova la M00−misurabilit`a di µ → µC. Definendo, per ogni compatto C fissato, l’insieme
D = {B ∈ S : µ → µ(B ∩ C) `e M00− misurabile}
si completa la dimostrazione.
Dimostrazione. Per definizione di M e N , abbiamo che la σ−algebra N `e contenuta
in M ∩ N = {M ∩ N : M ∈ M}, cos`ı basta provare che N ∈ M. Sia U ⊂ B un
DC-anello numerabile, e si definisca
M = {µ ∈ M : µU ∈ Z+, U ∈U }.
Vogliamo dimostrare che N = M ; questo completer`a la dimostrazione visto che sap-piamo che M ∈ M. Poich´e N ⊂ M, rimane da provare che M ⊂ N. A tale scopo si definisca per un fissato µ ∈ M :
D = {B ∈ B : µB ∈ Z+}.
Poich´eD `e chiuso rispetto alla convergenza monotona dominata e contiene l’anello C generato daI , si vede dal Teorema A.5 e dal Lemma 1.3 che D ⊃ ˆσ(C ) = ˆσ(I ) = B. Cos`ı µ ∈ N d`a M ⊂ N.
Definizione 1.8. Si dice misura aleatoria su S ogni applicazione misurabile ξ da un fissato spazio probabilizzato (Ω, A, P ) nello spazio (M, M).
Definizione 1.9. Si dice processo puntuale su S una misura aleatoria a valori in (N, N ).
Definizione 1.10. Si dice distribuzione di una misura aleatoria ξ la misura di probabilit`a P ξ−1 su (M, M) data da:
(P ξ−1)M = P (ξ−1M ) = P {ξ ∈ M } per ogni M ∈ M.
Definizione 1.11. Dati due misure aleatorie ξ e η si dice che ξ `e eguale in distribu-zione a η e si scrive ξ = η se P ξd −1 = P η−1.
Definizione 1.12. Data una misura aleatoria o un processo puntuale ξ su S, si dice trasformata di Laplace di ξ l’applicazione
Lξ(f ) := E[e−ξf] f ∈ F ,
dove ξf =R f dξ = R f (s)ξ(·, ds).
Osserviamo che la ξf `e misurabile per ogni f ∈ F ed `e, dunque, una variabile aleatoria a valori in [0, +∞], cos`ı ha senso fare la speranza di e−ξf.
Definizione 1.13. Data una misura aleatoria o un processo puntuale ξ su S si dice intensit`a di ξ, la funzione Eξ che ad ogni elemento B di B
Si noti che ξB = ξ(·, B) `e una variabile aleatoria a valori in [0, +∞] e dunque ha senso farne la speranza.
Inoltre per il Teorema della convergenza monotona Eξ `e una misura su (S,S ), sebbene non appartenga necessariamente a M.
Esempio. Per ogni s ∈ S, definiamo la misura di Dirac δs ∈ N tramite la relazione
δs(B) = IB(s) per ogni B ∈ B. L’applicazione s 7→ δs `e misurabile dallo spazio
(S,S ) nello spazio (N, N ), ed in particolare δτ `e un processo puntuale su S per
ogni elemento τ in (S,S ). Scrivendo ω = P τ−1, si vede che δτ ha intensit`a definita
da E[δτ] = P τ−1 = ω con trasformata di Laplace
E[e−δτf ] = E[e−f (τ )] = ωe−t, f ∈ F .
Supponiamo che n ∈ Z+ e siano τ1, . . . , τn elementi aleatori indipendenti in S con
comune distribuzione ω. Si dice che un processo puntuale ξ su S `e un processo cam-pione con misura di intensit`a nω, se ξ ha la stessa distribuzione di δτ1+ · · · + δτn. Per
l’uguaglianza precedente e per l’ipotesi di indipendenza, ξ ha trasformata di Laplace
E " exp − n X j=1 δτjf !# = n Y j=1 E[exp(−δτjf )] = (ωe −f )n, f ∈ F .
Possiamo considerare ν = n come una variabile aleatoria a valori non negativi e ottenere la sua distribuzione come un processo campione misto con intensit`a E[ν]ω con trasformata di Laplace data da
E[e−ξf] = E[ωe−f]ν = ψ(ωe−f), f ∈ F , (1.1)
con ψ che denota la funzione generatrice di ν.
Nel caso particolare in cui ν sia una variabile aleatoria con legge di Poisson di parametro a ≥ 0, ψ `e data da ψ(s) = e−a ∞ X n=0 ansn n! = e a(1−s), s ∈ [0, 1],
e (1.1) diventa, con λ = aω,
E[e−ξf] = e−a(1−ωe−f)= eλ(1−e−f), f ∈ F ,
dove abbiamo usato il fatto che ωS = 1. Un proceso puntuale con una tale distribu-zione si dice Processo di Poisson con misura di intensit`a λ.
Teorema 1.14. Siano ξ e η misure aleatorie su S, e sia I ⊂ B un semianello tale che ˆσ(I ) = B. Allora le seguenti quattro affermazioni sono equivalenti.
(i) ξ= η,d
(ii) ξf = ηfd per ogni f ∈ Fc,
(ii0) Lξ(f ) = Lη(f ), per ogni f ∈ Fc,
(iii) (ξI1, . . . , ξIk) d
= (ηI1, . . . , ηIk), per ogni k ∈ N, I1, . . . , Ik ∈ I.
Dimostrazione. `E ovvio che (i) implica (ii), (ii0) e (iii).
Viceversa, supponiamo valga l’affermazione (iii) e si definisca D = {M ∈ M : P {ξ ∈ M} = P {η ∈ M}}.
Allora D `e chiuso rispetto alla differenza e ai limiti monotomi, e contiene M. Inoltre si vede da (iii) che D contiene la classe C di tutti gli insiemi della forma
{µ ∈ M : µI1 ≤ t1, . . . , µIk≤ tk}
al variare di k in N, delle k−uple I1, . . . , Ik ∈I e t1, . . . , tk ∈ R+.
Poich´e C `e chiuso per intersezioni finite, concludiamo dal Teorema A.4 che l’in-sieme D ⊃ σ(C ). Ma σ(C ) = M per il Lemma 1.6, per cui P {ξ ∈ M} = P {η ∈ M} per ogni M ∈ M, cio`e ξ = η.d
Se (ii0) `e soddisfatta allora otteniamo l’uguaglianza:
Lξf1,...,ξfk(t1, . . . , tk) = Lξ X j tjfj ! = Lη X j tjfj ! = Lηf1,...,ηfk(t1, . . . , tk)
per ogni k ∈ N, f1, . . . , fk ∈ Fc e t1, . . . , tk∈ R+; perci`o, avendo la stessa trasformata
di Laplace, si conclude che (ξf1, . . . , ξfk)
d
= (ηf1, . . . , ηfk), k ∈ N, f1, . . . , fk ∈ Fc.
Procedendo come nella prima parte della dimostrazione, si ha la tesi (i). Infine, si ha che (ii) implica banalmente (ii0).
Definizione 1.15. Date una misura µ e una successione {µn}n∈N di misure su uno
spazio metrico (S, ρ) dotato della σ−algebra boreliana S , si dice che µn converge
debolmente a µ (e si scrive µn w
→ µ) se
µnf → µf per ogni f ∈ Cb(S),
1.2
Atomi e componenti diffuse
Sia Md la classe di tutte le misure diffuse o non atomiche (cio`e `e priva di punti in
cui la misura `e positiva) in M. Vediamo come possiamo rappresentare una misura di Radon come somma di misure che ricordano le delta di Dirac.
1.2.1
Decomposizione
Lemma 1.16. Ogni misura µ ∈ M pu`o essere scritta nella forma
µ = µd+ k
X
j=1
bjδtj (1.2)
per qualche µd ∈ Md, k ∈ ¯Z+, {bn}n∈N ⊂ R+, e {tn}n∈N⊂ S e questa decomposizione
`e unica a meno dell’ordine degli addendi. In questo caso µ ∈ N se e solo se µd= 0 e
{bn}n∈N⊂ N.
Dimostrazione. Poich´e la misura µ `e σ−finita, essa pu`o avere al pi`u una quantit`a numerabile di atomi di misura pi`u grande di un fissato a > 0, per cui il numero totale di atomi `e al pi`u numerabile. Scelti b1δt1, b2δt2, . . . , si verifica che µd = µ −
P
jbjδtj
`e una misura non atomica. Dall’ultima uguaglianza segue l’unicit`a.
Se invece µ appartiene alla classe N, visto che gli insiemi costutuiti da un solo punto di S appartengono chiaramente aB, segue che {bn}n∈N ⊂ N e quindi µd ∈ N.
Per vedere che questo implica µd = 0, si noti che ogni punto s in S ha un intorno
Gs∈B che soddisfa µdGs= µd{s} = 0. Ora, poich´e ogni insieme compatto pu`o essere
ricoperto da un numero finito di Gs, abbiamo la tesi µdB = 0 per ogni B ∈ B.
Data una misura µ ∈ M ed a in (0, ∞], definiamo le misure µ∗a ∈ N e µ0a∈ M : µ∗aB =X s∈B I[a,∞)(µ{s}), B ∈B, µ0aB = µB −X s∈B µ{s}I[a,∞)(µ{s}), B ∈B.
Si noti che µ∗a conta il numero di atomi di µ di massa maggiore o uguale di a, mentre µ0a si ottiene da µ sottraendovi tali atomi.
Data una misura µ ∈ N allora poniamo µ∗ := µ∗1.
Definizione 1.17. Se µ ∈ N allora si dice che µ `e semplice se µ∗2 = 0, cio`e se tutti gli atomi di µ hanno grandezza unitaria.
Definizione 1.18. Fissato B ∈ B si dice partizione di un vettore nullo di B un vettore {Bn,j} di insiemi di B tale che, per ogni naturale n fissato, {Bn,j} formi una
partizione di B e si abbia maxj%(Bn,j) n
→ 0, dove % indica il diametro in una metrica fissata.
Lemma 1.19. Sia {Bn,j}n⊂B una partizione di vettore nullo di un qualche fissato
insieme B ∈B. Allora lim n→∞ X j I[a,∞)(µBn,j) = µ∗aB, µ ∈ M, a > 0.
Dimostrazione. Poich´e maxj|Bn,j| → 0, definitivamente tutti i µ-atomi contenuti in
B di massa maggiore o uguale di a stanno in differenti elementi della partizione, perci`o per n ∈ N abbastanza grande abbiamo
X
j
I[a,∞)(µBn,j) ≥ µ∗aB. (1.3)
Ora supponiamo che l’insieme N0 ⊂ N consistente degli n per cui la (1.3) `e stretta sia infinito. Allora esiste una successione {jn}n∈N0 di indici tali che
µ0aBn,jn ≥ a, n ∈ N
0
. (1.4)
Scegliando arbitrariamente sn ∈ Bn,jn per n ∈ N
0, dalla compattezza di B segue che
possiamo trovare una sottosuccessione N00⊂ N0 tale che s
n (con n ∈ N00) converge ad
un certo s ∈ B, e poich´e |Bn,jn| → 0 dalla (1.4) segue che µ
0
aG ≥ a per ogni aperto
G ∈ B contenente s. Ma allora µ0a{s} ≥ a, contro la definizione di µ0
a. Quindi la
disuguaglianza (1.3) pu`o essere stretta soltanto per un numero finito di indici n ∈ N, e la dimostrazione `e conclusa.
1.3
Convergenza
Continuando il nostro percorso introduttivo alla teoria dei processi puntuali, descri-viamo i vari tipi di convergenza, motivando la scelta di due particolari topologie: debole e vaga.
Teorema 1.20. La classe di tutte le intersezioni finite di insiemi della forma {µ ∈ M : s < µf < t} ,
al variare delle funzioni f nella classe Fc e dei numeri reali s, t, costituisce la base di
una topologia su M, detta vaga.
Analogamente, se si considera f ∈ Fb, si ottiene la base di un’altra topologia su
Osservazione. Date una misura µ ed una successione {µn}n∈N di misure appartenenti
all’insieme M, allora µn converge a µ nella topologia vaga (e si scrive µn v
→ µ) se e solo se
µnf → µf per ogni f ∈ Fc.
Nelle ipotesi precedenti, µn converge a µ nella topologia debole, µn w
→ µ, se e solo se µnf → µf per ogni f ∈ Fb.
Lemma 1.21. M e N coincidono con le σ−algebre generate dalla topologia vaga in Me N rispettivamente.
Dimostrazione. Si denoti con τv la topologia vaga in M. Visto che per ogni funzione
f in Fc l’applicazione µ → µf `e τv−continua e quindi σ(τv)−misurabile, otteniamo
che M ⊂ σ(τv) per il Lemma 1.6. Viceversa, poich´e (S, τv) `e polacco, ogni elemento
di τv pu`o essere visto come unione o intersezione di elementi della sottobase del tipo
{µ : s < µf < t}, f ∈ Fc, s, t ∈ R, e per il Lemma 1.6 questi insiemi appartengono
ancora a M, quindi σ(τv) ⊂ M. Le stesse argomentazioni valgono per N.
La scelta di una certa topologia anzich´e un’altra `e giustificata dal seguente fon-damentale risultato. Per ogni misura aleatoria ξ su S definiamo:
Bξ= {B ∈B : ξ∂B = 0 q.c.}.
Lemma 1.22. Bξ `e un DC-anello per ogni misura aleatoria ξ su S.
Dimostrazione. Innanzitutto, dalla topologia generale segue cheBξ `e un anello. Per
provare la propriet`a DC, basta mostrare che Bξ contiene una base della topologia.
Mostreremo che esso contiene le palle aperte
S(t, r) = {s ∈ S : ρ(s, t) < r}
di raggio r > 0 arbitrariamente piccolo intorno ad ogni punto t ∈ S.
Infatti, S(t, r) ∈ B per r ≤ r0 per un certo r0 > 0, in quanto S `e localmente
compatto. Inoltre vale
∂S(t, r) ⊂ {s ∈ S : ρ(s, t) = r}, r > 0, quindi, fissato > 0 se la relazione
P {ξ∂S(t, r) > } > (1.5)
fosse vera per infiniti {ri}i ⊂ (0, r0], dal Lemma di Fatou seguirebbe la contraddizione
0 < < lim sup n−→∞ P {ξ∂S(t, rn) > } ≤ P lim sup n−→∞ {ξ∂S(t, rn) > } ≤ P {ξS(t, r0) = ∞} = 0.
Pertanto la (1.5) pu`o valere solo per una quantit`a finita di r ∈ (0, r0], e
dall’arbitra-riet`a di segue che ξ∂S(t, r) = 0 quasi certamente per ogni r ∈ (0, r0] tranne al pi`u
una quantit`a numerabile.
Prima di dare l’enunciato del teorema che caratterizza la convergenza in distribu-zione dei processi puntuali si stabiliscono alcune notazioni ricorrenti nel corso della trattazione. Indicheremo con πf e πB1,...,Bk le applicazioni:
πf : M 3 µ 7→ µf ∈ R+ con f ∈ F
πB1,...,Bk : M 3 µ 7→ (µB1, . . . , µBk) ∈ R
k
+ con B1, . . . , Bk e k ∈ N
In particolare πB : (M, M) → (R+, B(R+)) `e un’applicazione misurabile; quindi se λ
`e una misura su (M, M) allora ha senso parlare di misura immagine di λ mediante πB,
che `e definita su (R+, B(R)) e si indica con πB(λ). Dunque (λπB−1)g, con g funzione
misurabile nello spazio (R, B(R), πB(λ)), non `e altro che l’integrale a valori reali
rispetto alla misura πB(λ).
Lemma 1.23. Data una misura aleatoria ξ su S ed una successione {ξn}n∈Ndi misure
aleatorie su S tali che ξn d
→ ξ. Allora per ogni funzione limitata f ∈ F a supporto compatto, tale che l’insieme Df dei suoi punti di discontinuit`a sia ξ−trascurabile,
vale ξnf → ξf.
Inoltre, per ogni naturale k e per ogni k−upla B1, . . . , Bk∈Bξ, otteniamo che:
(ξnB1, . . . , ξnBk) →d(ξB1, . . . , ξBk).
Dimostrazione. Poich´e per il Lemma A.23 vale Dπf ⊂ {µ : µDf > 0} per f ∈ Fc,
mentre
DπB1,...,Bk = ∪kj=1DDπB
j ⊂ ∪
k
j=1{µ : µ∂Bj > 0}, k ∈ N, B1, . . . , Bk ∈B,
la tesi segue immediatamente dal Teorema A.12.
Lemma 1.24. Una successione {ξj}j∈N di misure aleatorie o di processi puntuali su
S`e relativamente compatta rispetto alla convergenza in distribuzione nella topologia vaga se e solo se
lim
t→∞lim supn→∞ P {ξnB > t} = 0, per ogni B ∈B. (1.6)
Dimostrazione. Grazie ai Teoremi A.15 e A.27, basta mostrare che la (1.6) `e equiva-lente al fatto che la successione {ξn}n`e tesa, e poich´e N `e chiuso in M (si veda
Teore-ma A.24), ci basta considerare il caso di una misura aleatoria. La dimostrazione uti-lizzer`a la propriet`a (si veda Teorema A.25) che un M ⊂ M `e relativamente compatto se e solo se
sup
µ∈M
Per prima cosa, supponiamo che la {ξn}nsia tesa. Ci`o significa che per ogni > 0
esiste un compatto M ⊂ M tale che P {ξn∈ M } < per n ∈ N, e quindi/
P ξnB > sup µ∈M µB ≤ P {ξn∈ M } < ,/ n ∈ N, B ∈B.
Poich´e per tale M vale la (1.7), otteniamo la (1.6).
Viceversa, supponiamo che valga la (1.6). Scegliamo un successione {Gn}n ⊂B
di aperti tali che Gn ↑ S (si veda Teorema A.20), e osserviamo che per ogni > 0
fissato esistono costanti {cn}n⊂ R+ tali che
P {ξnGk> ck} < 2−k−1, k, n ∈ N.
L’insieme
M = ∩∞k=1{µ ∈ M : µGk ≤ ck}
`e relativamente compatto, poich´e ogni B ∈B fissato `e contenuto in un qualche Gk,
e pertanto sup µ∈M µB ≤ sup µ∈M µGk≤ ck< ∞,
il che dimostra la (1.7). Allora la catena di disuguaglianze P {ξn∈ M } ≤ P {ξ/ n ∈ M } = P ∪/ ∞k=1{ξnGk > ck} ≤ ∞ X k=1 P {ξnGk > ck} ≤ ∞ X k=1 2−k−1=
mostra che la {ξn}n `e tesa.
Osservazione. Si noti che (1.6) `e equivalente alla condizione di tightness, e quindi per il Teorema A.15 essa `e equivalente anche alla compattezza relativa di {ξnB} per ogni
B ∈B.
Lemma 1.25. Data una misura aleatoria ξ su S ed una successione {ξn}n∈N di
misure aleatorie su S, siaU ⊂ B un DC-anello. Inoltre supponiamo che lim inf
n→∞ E[e
−tξnU] ≥ E[e−tξU], U ∈U (1.8)
per qualche fissato t > 0. Allora per ogni misura aleatoria η, limite in distribuzione di una sottosuccessione {ξnj}, otteniamo che vale l’inclusione Bη ⊃Bξ. Nel caso di
processo puntuale, l’asserzione rimane vera per t = ∞ cio`e nel caso in cui si abbia lim inf
Dimostrazione. Siano B ∈Bξe > 0. Per il lemma 1.22 esiste un chiuso C ∈ Bη tale
che C ⊃ ∂B e E[e−tξ(C\∂B)] ≥ 1 − . Possiamo anche trovare U ∈U tale che U ⊃ C e E[e−tξ(U \C)] ≥ 1 − . Poich´e la funzione 1 − e−x`e subadditiva su R+, otteniamo che
1 − E[e−tξU] ≤ (1 − E[e−tξ∂B]) + (1 − E[e−tξ(C\∂B)]) + (1 − E[e−tξ(U \C)]) ≤ 2.
Se ξnk →d η per una sottosuccessione {nk} ⊂ N, grazie alla (1.8) ed al Lemma 1.23
possiamo concludere che
E[e−tη∂B] ≥ E[e−tηC] = lim
k E[e −tξnkC] ≥ lim inf k E[e −tξnkC] ≥ lim inf k E[e −tξnkU] ≥ E[e−tξU ] ≥ 1 − 2;
dall’arbitrariet`a di segue che η∂B = 0 q.c., cio`e che B ∈Bη. Con un ragionamento
analogo si dimostra l’ultima affermazione.
Teorema 1.26. Data una misura aleatoria ξ su S ed una successione {ξn}n∈Ndi
misu-re aleatorie su S, siaI contenuto in Bξ un DC-semianello. Le seguenti affermazioni
sono allora equivalenti. (i) ξn→dξ,
(ii) ξnf → ξf, f ∈ Fc,
(ii0) Lξn(f ) → Lξ(f ), f ∈ Fc,
(iii) (ξnI1, . . . , ξnIk) →d (ξI, . . . , ξIk, ) k ∈ N, I1, . . . , Ik ∈I .
Dimostrazione. Abbiamo che (i) implica (ii) e (iii), mentre per il Teorema A.12 (i) implica (ii0), ma poich´e vale il Lemma 1.23, ci resta da provare che (ii0) e (iii) implicano (i).
Dapprima supponiamo che (ii0) sia soddisfatta. Allora
Lξn(f ) = Lξnf(tf ) → Lξ(tf ) = Lξf(t), f ∈ Fc, t ∈ R+
e quindi (ii) `e soddisfatta per il Teorema A.18. Dai Teoremi A.15 e A.21 e dal Lemma 1.24 la successione {ξj}j∈N `e allora relativamente compatta, per cui da ogni
sottosuccessione possiamo estrarre un’ulteriore sottosuccessione {ξnk} che converge
in distribuzione alla misura aleatoria η. Per il Lemma 1.23, si ottiene ξnkf →d ηf,
per ogni funzione f ∈ Fc e confrontandolo con (ii) si vede che ξf d
= ηf, f ∈ Fc. Ma,
per il Teorema 1.14, questo implica che ξ = η, per cui abbiamo ξd nk →d ξ. Quindi (i)
segue banalmente, visto che `e verificata per le sottosuccessioni.
Si supponga che (iii) sia soddisfatta. Sia U l’anello generato da I , allora (iii) implica ξnU
d
(1.8) `e soddisfatta per ogni numero reale positivo t, e dal Lemma 1.25 otteniamo l’inclusione Bη ⊃Bξ per ogni ξnk
d
= η. In particolareI ⊂ Bξ e quindi
(ξnkI1, . . . , ξn0Ik) →d (ξI, . . . , ξIk, ) k ∈ N, I1, . . . , Ik ∈I
per il Lemma 1.23.
1.4
Misure aleatorie infinitamente divisibili
Diamo adesso una nozione e successivamente un teorema molto importante su una particolare classe di misure aleatorie e, in particolare, di processi puntuali.
Definizione 1.27. Una misura aleatoria ξ si dice infinitamente divisibile se per o-gni n ∈ N esistono ξ1, ξ2, . . . , ξn misure aleatorie indipendenti ed equidistribuite o
isonome (d’ora in poi brevemente i.i.d.) tali che ξ= ξd 1+ ξ2+ · · · + ξn.
In questa sezione denoteremo con g la funzione 1 − e−x.
Definizione 1.28. Data una successione di vettori di misure aleatorie {ξn,j}n∈N,
dove j ∈ N indica la j-esima componente del vettore ξn, si dice che {ξn}n∈N forma un
vettore nullo se fissato n ∈ N gli (ξn,1, . . . , ξn,j) sono indipendenti e
lim
n→+∞supj P {ξn(B) > } = 0 per ogni > 0, B ∈ B. (1.9)
Nel caso in cuiξnj
n∈N sia una successione di vettori di processi puntuali, basta che
lim
n→+∞supj P {ξn,j(B) > 0} = 0.
Teorema 1.29. La relazione
− log E[e−ξf] = αf + λ(1 − e−πf), f ∈ F (1.10)
definisce una corrispondenza tra le distribuzioni di tutte le misure aleatorie ξ su S infinitamente divisibili e la classe di tutte le coppie (α, λ) con α ∈ M, e λ `e una misura su M \ {0} t.c. (λπB−1)g < +∞, B ∈B.
Se {ξnj}n∈N `e un vettore nullo di misure aleatorie su S allora per ogni
X j∈N ξnj →dξ, se e solo se X j 1 − E[e−ξn,jf] → αf + λ(1 − e−πf), f ∈ F c (1.11)
per qualche λ e α definite come in precedenza, ed in tal caso P ξ−1 `e data da (1.10). Per ogni DC-semianello I ⊂ Bα∩Bλ, (1.11) `e equivalente alle condizioni
(i) X j P (ξn,jJ1, . . . , ξn,jJk)−1 v → λπJ−1 1,...,Jk in M(R k +\ {0}), k ∈ N, J1, . . . , Jk∈I , (ii) lim →0lim supn→∞ X j E[ξn,jJ I{ξn,jJ <}] = αJ, J ∈I , (iii) lim r→∞lim supn→∞ X j P {ξn,jJ > r} = 0, J ∈I .
Nel caso si tratti semplicemente di un processo puntuale si ha α = 0, mentre λ `e una misura su N \ {0}, con (i) − (iii) equivalenti a
X
j
P (ξn,jJ1, . . . , ξn,jJk)−1 w→ λπ−1J1,...,Jk in M(Z
k
+\ {0}), k ∈ N, J1, . . . , Jk ∈I .
Questo risultato `e molto importante nello sviluppo dell’intera teoria, ma vi-sto che la dimostrazione completa risulterebbe molto lunga, ci limitiamo al caso unidimensionale e si rimanda a [15].
Dimostrazione. Se S consiste di esattamente un punto, allora una misura aleatoria ξ su S `e completamente determinata dalla variabile aleatoria ξS, e quindi possiamo considerare indifferentemente una delle due. Cos`ı facendo (1.9) pu`o essere riscritta
lim
n→∞supj P {ξnj > } = 0, > 0,
e dal Teorema A.18 si vede che questo `e equivalente a lim
n→∞supj (1 − ϕnj(t)) = 0, t ≥ 0, (1.12)
e ϕnj = Lξnj. Si supponga ora che
P
jξnj →dξ. Allora si ottiene per il Teorema A.18
che Q
jϕnj → ϕ = Lξ, cos`ı −
P
jlog ϕnj → ψ = − log ϕ. Per la (1.12), possiamo
sostituire log ϕnj col primo termine della sua serie di Taylor, ottenendo
ψn ≡ X j (1 − ϕnj) → ψ. (1.13) Ora, ψn(t + 1) − ψn(t) = X j (ϕnj(t) − ϕnj(t + 1)) = X j Z (e−tx− e−(t+1)x)P ξ−1n j(dx) = Z e−txX j gP ξn−1 j(dx),
quindi ψ `e continua, e segue da (1.13) e dal Teorema A.18 cheP jgP ξ −1 nj `e debolmente convergente, cio`e X j gP ξn−1 j w → αδ0+ gλ (1.14)
per qualche α ∈ R+ e qualche λ ∈ M(R+\ {0}) con λg < ∞. Questo prova (i)-(iii),
mentre (1.11) si deduce grazie all’ultima equazione, poich´e: ψn(t) = X j (1 − E[e−tξnj]) = X j Z (1 − e−tx)P ξn−1 j(dx) = Z (1 − e−tx)X j P ξn−1 j(dx) = Z 1 − e−tx 1 − e−x X j gP ξn−1 j(dx) → αt + Z 1 − e−tx 1 − e−xgλ(dx) = αt + Z (1 − e−tx)λ(dx) = ϕ(t).
Viceversa, si ha per il Teorema A.26 che (i) − (iii) implicano l’ultima convergenza debole, e quindi (1.13) `e verificata per qualche funzione continua ψ. Guardando al contrario le precedenti uguaglianze si ha che Q
jϕn,j → e
−ψ, per cui, trattandosi di
limite continuo, per il Teorema A.18 concludiamo che P
jξn,j →d ξ con Lξ = e−ψ,
cio`e vale la relazione (1.10).
Poich´e ogni misura limitata su (0, ∞) pu`o essere scritta nella forma P
jgP ξ −1 n,j, si
vede facilmente che ogni α e λ con le propriet`a stabilite verificano (1.10). Il fatto che ξ sia infinitamente divisibile segue dalla suddivisione della relazione (1.10) in n parti. Viceversa, per dimostrare che ogni variabile aleatoria ξ infinitamente divisibile ammette una tale rappresentazione, si noti che per ogni n ∈ N vale ξ = ξd n,1+· · ·+ξn,n,
da cui, visto che gli addendi sono i.i.d., si ha Lξn,1 = (Lξ)
1/n → 1, che dimostra
(1.12) e quindi che ξn,j forma un vettore nullo. Nel caso di variabili aleatorie a
valori interi positivi, le ξn,j sono per definizione a valori in Z+, da cui si ottiene
α = 0 e λ ∈ M(N) per (i) e (ii). In questo caso, (1.14) `e equivalente alla relazione P jP ξ −1 n,j w → λ in M(N).
Definizione 1.30. Sia Lξ la trasformata di Laplace di una misura aleatoria ξ, allora
(1.10) si dice rappresentazione canonica di Lξ, mentre α e λ sono dette misure
canoniche di ξ.
1.4.1
Misure aleatorie ad incrementi indipendenti
Definizione 1.31. Data una misura aleatoria ξ su S si dice che questa possiede un atomo fisso in s ∈ S se ξ {s}
d
Lemma 1.32. Sia ξ una misura aleatoria su S e sia I ⊂ B un DC-semianello. Allora ξ `e infinitamente divisibile se e solo se (ξI1, . . . , ξIk) `e infinitamente divisibile
per ogni k ∈ N e I1, . . . , Ik ∈ I . Nel caso di processi puntuali `e sufficiente che
ξI1+ · · · + ξIk sia infinitamente divisibile per ogni k ∈ Z+e I1, . . . , Ik∈I .
Dimostrazione. La necessit`a della condizione enunciata `e ovvia.
Viceversa, supponiamo che (ξI1, . . . , ξIk) sia infinitamente divisibile per ogni
natu-rale k ed ogni I1, . . . , Ik ∈I . Questa condizione si estende immediatamente all’anello
generato da I . Poich´e la classe delle distribuzioni su Rk
+ infinitamente divisibili `e
chiuso per convergenza debole (come si pu`o vedere facilmente dal Teorema A.18), possiamo applicare il Teorema A.5 ed il Lemma 1.3 per concludere che l’assunto fatto si estende anche a B. Pertanto per ogni n ∈ N esiste una famiglia di misure di pro-babilit`a PB1,...,Bk, con k ∈ N e B1, . . . , Bk ∈B, tale che le corrispondenti trasformate
di Laplace ϕB1,...,Bk soddisfano
(ϕB1,...,Bk)
n= L
ξB1,...,ξBk, k ∈ N, B1, . . . , Bk ∈B.
Utilizzando questa relazione `e semplice verificare che esiste una misura aleatoria ξn
avente le misure PB1,...,Bk come distribuzioni finite-dimensionali. Inoltre, grazie al
Teorema 1.14 possiamo concludere che (Lξn)
n= L
ξ, e dall’arbitrariet`a di n la ξ deve
essere infinitamente divisibile.
Ora supponiamo che ξ sia un processo puntuale tale che ξI1+ · · · + ξIk sia
infini-tamente divisibile in Z+ per ogni k ∈ N ed ogni I1, . . . , Ik ∈I . Poich´e gli insiemi Ij
potrebbero ripetersi, per k ∈ N fissato e I1, . . . , Ik ∈I la somma t1ξI1+ · · · + tkξIk
`e infinitamente divisibile in Z+ per ogni t1, . . . , tk ∈ Z+. Passando ai razionali ed
utilizzando la propriet`a di chiusura citata prima, concludiamo che t1ξI1+ · · · + tkξIk
`e infinitamente divisibile in R+ per ogni t = (t1, . . . , tk) ∈ Rk+. Pertanto per t fissato
dalla versione 1-dimensionale del Teorema 1.10 segue che
− log E exp −uX
j tjξIj ! = αu + Z (1 − e−xu)λ(dx), u ∈ R+, (1.15)
per qualche α ∈ R+ e λ ∈ M(R+ \ {0}) tale che λg < ∞. Passando al limite
per u → ∞ nella (1.15) si vede che P {P tjξIj = 0} > 0 se e solo se α = 0 e
λR+\ {0} < ∞, e , siccome queste condizioni sono soddisfatte per t = (1, . . . , 1) per
il Teorema 1.10, si ottiene per t arbitrario che P {P tjξIj = 0} ≥ P {P ξIj = 0} > 0,
e quindi che α = 0 e λ(R+\ {0}) < ∞ in generale.
In tal caso, la P tjξIj `e una variabile di Poisson composta con distribuzione
composta λ/λ(R+\ {0}) (tranne che nel caso banale in cui λ = 0), quindi λ deve
essere supportata dall’insieme {tz : z ∈ Zk
indipendenti possiamo scrivere la (1.15) nella forma
− log E exp −uX
j tjξI + j ! =X z (1 − e−utz)λ(tz), u ∈ R+.
Grazie alla versione 1-dimensionale del Teorema 1.10, esiste un vettore aleatorio η a valori in Zk+ infinitamente divisibile tale che
− log Ee−vη =X
z
(1 − e−vz)λ(tz), v ∈ Rk+,
e sostituendo v = ut possiamo concludere che tη =d P
jtjξIj. Poich´e i tj sono
razionalmente indipendenti otteniamo η = (ξId 1, . . . , ξIk), il che prova che tale vettore
`e infinitamente divisibile. Poich´e inoltre tutti gli ξI sono infinitamente divisibili in Z+, otteniamo che ξ `e infinitamente divisibile come processo puntuale.
Teorema 1.33. Una misura aleatoria ξ su S ha incrementi indipendenti se e solo se pu`o essere scritta nella forma
ξ = η +
k
X
j=1
βjδtj (1.16)
per k ∈ ¯Z+ e t1, t2, . . . , ∈ S, η misura aleatoria infinitamente divisibile con
incre-menti indipendenti privi di atomi fissi, βj d
6= 0, j ∈ N, variabili aleatorie reali a valori non negativi che sono indipendenti sia da η che tra di loro. In questo caso, la decomposizione (1.16) `e unica q.c., a meno dell’ordine.
Dimostrazione. Come ogni misura aleatoria, ξ pu`o avere al pi`u una quantit`a nume-rabile di atomi fissi. Per vedere ci`o, `e sufficiente dimostrare che per ogni B ∈ B fissato e > 0 la relazione P {ξ{s} ≥ } ≥ pu`o essere soddisfatta per al pi`u un numero finito di s ∈ B. Se accadesse il contrario, questa relazione sarebbe vera per una successione di punti distinti {sn}n∈N ⊂ B, ed il Lemma di Fatou ci porterebbe
alla contraddizione 0 = P {ξB = ∞} ≥ P {lim sup n→∞ {ξ{sn} ≥ }} ≥ lim sup n→∞ P {ξ{sn} ≥ } ≥ .
Sottraendo gli atomi fissi da β1δt1, β2δt2, . . . da ξ, rimaniamo con una misura aleatoria
η con incrementi indipendenti, senza atomi fissi, per cui rimane da provare che η `e infinitamente divisibile.
Sia B ∈ B e sia {Bn,j} ⊂ B un vettore nullo di partizione B. Allora {ηBn,j} `e un
qualche sottosuccessione indicizzata con n, procedendo come nel Lemma 1.19, si con-cluderebbe che esiste qualche punto s ∈ ¯B tale che P {ηG ≥ } ≥ per ogni aperto G ∈B contenente s. Quindi Gn↓ {s} implica ηGn ↓ η{s} q.c., e segue dal Teorema
A.11 che P {η{s} ≥ } ≥ , che contraddice il fatto che η non ha atomi fissi.
Quindi ηB = P
jηBn,j, n ∈ N e si ha per il Teorema sulla forma canonica che
ηB `e infinitamente divisibile. Un simile ragionamento dimostra pi`u in generale che (ηB1, . . . , ηBk) `e infinitamente divisibile per qualsiasi k ∈ N e B1, . . . , Bk ∈ B e per
Capitolo 2
Serie storiche ed eventi estremi
2.1
Leggi infinitamente divisibili: forme canoniche
Analogamente a quanto abbiamo fatto nel primo capitolo, possiamo dare la nozione di infinitamente divisibile per funzioni caratteristiche di variabili aleatorie.
Definizione 2.1. Una funzione caratteristica ω si dice infinitamente divisibile se per ogni n ∈ N esiste una funzione caratteristica ωn tale che
(ωn)n = ω.
Definizione 2.2. Una misura M si dice canonica se attribuisce massa finita ad intervalli finiti e gli integrali
M+(x) = Z ∞ x y−2M {dy}, M−(−x) = Z −x −∞ y−2M {dy} (2.1)
convergono per qualche (e quindi per ogni) x > 0. Lemma 2.3. Se M `e una misura canonica e
ψ(t) =
Z ∞
−∞
eıtx− 1 − ıt sin x
x2 M (dx) (2.2)
allora eψ `e una funzione caratteristica infinitamente divisibile.
Dimostrazione. Consideriamo due importanti casi speciali.
(a) Supponiamo che M sia concentrata nell’origine e che attribuisca massa m > 0 ad essa. Allora ψ(t) = −mt2/2, perci`o eψ `e una funzione caratteristica normale di varianza m > 0.
pu`o essere riscritta in una forma pi`u semplice. Infatti, x−2M (dx) ora definisce una misura finita con massa totale µ = M+(η) + M−(−η). Perci`o x−2M (dx)/µ = F (dx)
definisce una misura di probabilit`a; indicando con ϕ la sua funzione caratteristica, abbiamo ψ(t) = µ[ϕ(t) − 1 − ıbt], dove b `e una costante reale. Cos`ı in questo caso eψ `e una funzione caratteristica del tipo Poisson composto, quindi `e infinitamente
divisibile.
(c) Nel caso generale, sia m ≥ 0 la massa attribuita da M all’origine, e si ponga ψn(t) = Z |x|>η eıtx− 1 − ıt sin x x2 M (dx). (2.3) Allora ψ(t) = −m 2t 2+ lim η→0ψη(t). (2.4)
Abbiamo visto che eψη(t) `e la funzione caratteristica di una distribuzione
infinita-mente divisibile Uη. Se m > 0 l’aggiunta del termine −mt2/2 a ψη(t) corrisponde alla
convoluzione di Uη con una distribuzione normale. Cos`ı (2.4) rappresenta eψ come
limite di una successione di funzioni caratteristiche infinitamente divisibili, e quindi eψ `e infinitamente divisibile come asserito.
Lemma 2.4. La rappresentazione (2.2) di ψ `e unica.
Dimostrazione. Nel caso in cui M fosse una misura finita, `e chiaro che la derivata seconda ψ00 esiste e −ψ00(t) coincide con la speranza di eıtx calcolata rispetto a M. Il
Teorema dell’unicit`a delle funzioni caratteristiche ci garantisce che M `e univocamente determinata da ψ00, e quindi da ψ.
Questo argomento pu`o essere adattato al caso di misure canoniche illimitate, ma `e necessario sostituire la derivata seconda con un’operazione che trasforma ψ in ψ? cos`ı definita: ψ?(t) = ψ(t) − 1 2h Z h −h ψ(t + s)ds, (2.5)
con h > 0. Tenendo conto di come `e definita ψ in (2.2) abbiamo ψ?(t) =
Z ∞
−∞
eıtxK(x)M (dx) (2.6)
ponendo per abbreviazione
K(x) = x−2 1 − sin xh xh . (2.7)
Questa `e una funzione strettamente positiva che assume nell’origine il valore h2/6 e per x → ±∞ si ha che K(x) ∼ x−2. La misura M? definita da M?(dx) = K(x)M (dx)
`e quindi finita, e (2.6) dice che ψ? `e la sua trasformata di Fourier. Per il Teore-ma dell’unicit`a delle funzioni caratteristiche la conoscenza di ψ? determina
univoca-mente M?. Allora M (dx) = K−1(x)M?(dx) `e univocamente determinata, e quindi la
conoscenza di ψ ci permette di calcolare la corrispondente misura canonica.
Il nostro scopo `e quello di provare che il Lemma 2.1 descrive la totalit`a di tutte le funzioni caratteristiche infinitamente indivisibili.
Sia {Mn}n∈N una successione di misure canoniche e
ψn(t) =
Z
R
eıtx− 1 − ıt sin x
x2 Mn(dx) + ıbnt (2.8)
con bn reale. Ci chiediamo di trovare quali sono le condizioni necessarie e sufficienti
per cui ψn → ψ, con ψ funzione continua.
Se ψn converge ad una funzione continua ψ, allora la trasformata definita da (2.5)
soddisfa ψ?
n→ ψ?, cio`e
Z
R
eıtxK(x)Mn(dx) → ψ?(t), (2.9)
con K funzione strettamente positiva definita da (2.7). Il membro sinistro dell’ultima formula non `e altro che la trasformata di Fourier di una misura finita con massa totale
µn=
Z
R
K(x)Mn(dx). (2.10)
Chiaramente µn→ ψ?(0). Si vede facilmente che µn → 0 implicherebbe che ψ(t) = ıbt
con b ∈ R e per ogni t reale, e quindi possiamo supporre che ψ?(0) = µ > 0. Allora
le misure M?
n definite da
Mn?(dx) = 1 µn
K(x)Mn(dx) (2.11)
sono misure di probabilit`a, e (2.9) ci dice che le loro funzioni caratteristiche tendono alla funzione continua ψ?(t)/ψ?(0). Segue che
Mn? → M?
con M? che rappresenta la misura di probabilit`a con funzione caratteristica ψ?(t)
ψ?(0). Ma
ψn pu`o essere riscritta nella forma
ψn(t) = µn Z R eıtx− 1 − ıt sin x x2 K −1(x)M? n(dx) + ıbnt. (2.12)
L’integrando `e una funzione continua limitata di x, e quindi M?
n → M? implica che
l’integrale converge. Segue che bn→ b ed il limite ψ `e della forma
ψ(t) = µ Z R eıtx− 1 − sin x x2 K −1 M?(dx) + ıbt.
Poich´e M? `e una misura di probabilit`a `e chiaro che la misura M definita da M (dx) = µK−1(x)M?(dx) `e canonica, e ψ(t) = Z R eıtx−1−ı sin x x2 M (dx) + ıbt. (2.13)
Quanto visto fino ad ora, possiamo esprimerlo enunciando il seguente risultato: Teorema 2.5. La classe delle funzioni caratteristiche infinitamente divisibili `e iden-tica alla classe delle funzioni della forma eψ con ψ definita da (2.13) in termini di una
misura canonica M e di un numero reale b.
Definizione 2.6. Si dice che I ⊂ R `e un intervallo di continuit`a per una legge µ se I `e aperto ed i suoi estremi non sono atomi per la legge µ.
In altre parole, tranne che per arbitrarie costanti centralizzanti, c’`e una corrispon-denza biunivoca tra le misura canoniche e le distribuzioni infinitamente divisibili.
Durante la dimostrazione abbiamo visto che le condizioni M?
n → M? e bn → b
sono necessarie per la relazione ψn → ψ. In realt`a, se si assume che limn→∞µn < ∞,
allora le stesse condizioni sono anche sufficienti. Per`o, il nostro scopo `e quello di esprimere queste condizioni in termini di misure canoniche.
La funzione K rimane limitata sugli intervalli che non contengono lo zero, per cui per ogni intervallo finito I le relazioni Mn?{I} → M?{I} e M
n{I} → M {I}
sono equivalenti. Per x → ∞ il comportamento di K `e lo stesso di x−2 e quindi M?
n{[x, ∞]} ∼ Mn+(x)/µndove Mn+ indica l’integrale della definizione (2.1) di misure
canoniche. Cos`ı se lim µn < ∞ assieme alla convergenza Mn? → M? `e equivalente alle
condizioni lim µn> 0,
Mn{I} → M {I}
per tutti gli intervalli di continuit`a di M, e
Mn+(x) → M+(x), Mn−(−x) → M−(−x)
per tutti i punti di continuit`a x > 0.
Definizione 2.7. Una successione {Mn}n∈Ndi misure canoniche si dice che converge
propriamente alla misura canonica M (e si scrive Mn→ M ) se
Mn{I} → M {I}
per tutti gli intervalli di continuit`a per M, e se
Mn+(x) → M+(x), Mn−(−x) → M−(−x)
Con questa nuova terminologia, `e ora possibile riformulare i risultati sulla conver-genza ψn→ ψ.
Teorema 2.8. Sia {Mn}n∈N una successione di misure canoniche e sia
ψn = Z −∞ ∞ eıtx− 1 − ıt sin x x2 Mn(dx) + ıbnx, con bn reale.
Allora ψn tende al limite continuo ψ se e solo se esiste una misura canonica M
tale che Mn→ M e bn→ b. In questo caso ψ(t) = Z −∞ ∞ eıtx− 1 − ıt sin x x2 M (dx) + ıbx.
2.2
Distribuzioni stabili e dominio di attrazione
L’introduzione della definizione che segue `e molto importante per la trattazione di un problema di teoria di probabilit`a che vuole indagare su quali possono essere le possibili leggi limite delle somme parziali Sn di successioni di variabili aleatorie i.i.d.
e che siano opportunamente normalizzate e centrate. Vogliamo sapere quali classi di distribuzioni sono chiuse per convoluzioni e motiplicazioni con numeri reali.
Definizione 2.9. Data una variabile aleatoria X e una successione di variabili aleato-rie {Xj}j∈Ndefinite su uno stesso spazio probabilizzato (Ω, A, P ) con comune funzione
di ripartizione F . Posto
Sn = X1+ X2+ · · · + Xn
si dice che F `e stabile se per ogni n ∈ N esistono costanti cn > 0, γn tali che:
Sn d
= cnX + γn.
Equivalentemente, F `e stabile se e solo se per arbitrarie costanti c1, c2 ∈ R+ esistono
b(c1, c2) > 0 e γ(c1, c2) tali che:
c1X1 + c2X2 d
= b(c1, c2)X + γ(c1, c2).
Teorema 2.10. Le costanti cn possono essere solo della forma cn= n
1
α ed α ∈ (0, 2].
Definizione 2.11. La costante α si dice esponente caratteristico della funzione di distribuzione F .
Definizione 2.12. Si dice che la legge µ della variabili aleatoria X e della succes-sione {Xj}j∈N appartiene al dominio di attrazione della distribuzione α-stabile Gα se
2.2.1
Funzioni a variazioni lenta e regolare
Definizione 2.13. Si dice che una funzione L: (0, ∞) → (0, ∞) misurabile secondo Lebesgue `e a variazione lenta in +∞ se
lim
x→+∞
L(tx)
L(x) = 1 per ogni t > 0.
Definizione 2.14. Si dice che una funzione L: (0, ∞) → (0, ∞) misurabile secondo Lebesgue `e a variazione regolare in +∞ con indice α ∈ R se
lim x→+∞ L(tx) L(x) = t α per ogni t > 0.
2.2.2
Comportamento asintotico
Introduciamo le seguenti notazioni per rendere la trattazione pi`u leggibile Lp(x) = Z x 0 ypL(y)dy, L∗p(x) = Z ∞ x ypL(y)dy.
Sar`a dimostrato che nel caso in cui la funzione L vari regolarmente, allora queste funzioni appena definite sono asintoticamente correlate a L al caso semplice per cui L(x) = xa.
Teorema 2.15. (i) Se L `e a variazione regolare con indice γ e L∗p esiste, allora
lim t→∞ tp+1L(t) L∗ p(t) = λ (2.14) dove λ = p + γ + 1.
Viceversa se (2.14) `e verificata con λ > 0, allora L e L∗p variano regolarmente con esponenti γ = −λ − p − 1 e −λ rispettivamente. Se ancora (2.14) `e soddisfatta, ma λ = 0 allora L∗p `e a variazione lenta.
(ii) Se L `e a variazione regolare con indice γ e se p ≥ −γ − 1 allora lim t→∞ tp+1L(t) Lp(t) = λ (2.15) con λ = p + γ + 1.
Ora procediamo ad applicare il Teorema 2.15 alle funzioni di momenti troncati di una distribuzione di probabilit`a F. Possiamo considerare la funzione F (x) − F (−x) invece di F. `E sufficiente perci`o considerare le distribuzioni F che sono concentrate su [0, ∞). Per queste distribuzioni definiamo i momenti troncati Uζ e Vη dati da
Uζ(x) = Z x 0 yζF (dy), Vη(x) = Z ∞ x yηF (dy).
Teorema 2.16. Supponiamo che Uζ(∞) = ∞.
(i) Se Uζ o Vη `e a variazione regolare allora esiste un limite
lim t→∞ tζ−ηV η(t) Uζ(t) = c, 0 ≤ c ≤ ∞. (2.16)
Questo limite `e scritto nella forma c = ζ − α
α − η, η ≤ α ≤ ζ (2.17)
con α = η se c = ∞.
(ii) Viceversa se (2.16) `e vera con 0 < c < ∞ allora α ≥ 0 ed esiste una funzione L che `e a variazione lenta tale che
Uζ(x) ∼ (α − η)xζ−αL(x), Vη(x) ∼ (ζ − α)xη−αL(x) (2.18)
cio`e il limite del rapporto tende a 1 per x → ∞. (iii) La tesi rimane vera anche per c = 0 o c = ∞. Dimostrazione. (i) Scriviamo Vη nella forma
Vη(x) =
Z ∞
x
yη−ζUζ(dy).
Integrando per parti tra x e t > x otteniamo
Vη(x) − Vη(t) = −xη−ζUζ(x) + tη−ζUζ(t) + (ζ − η)
Z t
x
yη−ζ−1Uζ(y)dy.
Gli ultimi due termini sulla destra sono positivi e perci`o l’integrale deve convergere per t → ∞. Ma allora tη−ζUζ(t) → 0 e quindi
Vη(x) = −xη−ζUζ(x) + (ζ − η) Z ∞ x yη−ζ−1Uζ(y)dy, cio`e xζ−η Uζ(x) = −1 + ζ − η xη−ζU ζ(x) Z ∞ x yη−ζ−1Uζ(y)dy. (2.19)
Si assuma che Uζ vari regolarmente. L’ indice `e necessariamente pi`u piccolo di ζ e lo
denotiamo con ζ − α. (Poich´e l’integrale in (2.19) converge abbiamo necessariamente che α ≥ η.) La relazione (2.14) con L = Uζ e p = η − ζ − 1 asserisce che il membro
sinistro di (2.19) tende a
se λ 6= 0 e a +∞ se λ = 0. Abbiamo cos`ı dimostrato che se Uζ `e a variazione regolare
con indice ζ − α, allora
lim t→∞ tζ−ηV η(t) Uζ(t) = c ≥ 0.
Assumiamo allora che Vη vari regolarmente. Il suo indice `e al pi`u η e lo denotiamo
con η − α. Considerando l’uguaglianza
Uζ(x) = −xζ−ηVη(x) + (ζ − η)
Z x
0
yζ−η−1Vη(y)dy
ed applicando la relazione (2.15) con Z = Vη e p = ζ − η − 1 si vede che
lim
t→∞
tζ−ηVη(t)
Uη(t)
= c con α ≥ 0.
(ii) Viceversa, si consideri per prima c > 0. Da (2.19) si vede che lim t→∞ xη−ζU ζ(x) R∞ x y η−ζ−1U ζ(y)dy = ζ − η c + 1 = α − η.
Dal Teorema 2.15 (i) segue direttamente che Uζ `e a variazione regolare con indice
ζ − α > 0, per cui otteniamo che Vη `e a variazione regolare con indice η − α. Segue
che Uζ e Vη possono essere riscritti nella forma (2.18) con α ≥ 0. Se c = 0 lo stesso
argomento mostra che Uζ `e a variazione regolare, ma non possiamo concludere che
Vη `e a variazione regolare. Infine se limt→∞ tζ−ηV η(t) Uζ(t) = ∞ concludiamo che lim x→∞ xζ−ηVη(x) Rx 0 yζ−η−1Vη(y)dy = ζ − η e dal Teorema 2.15 (ii) otteniamo che Vη `e a variazione lenta.
2.3
Fluttuazioni del massimo ordine statistico
In questa sezione studiamo la teoria classica dei valori estremi, per poi considerare le tecniche di studio per l’approssimazione degli eventi rari. Il teorema dell’approssi-mazione di Poisson sar`a la chiave della trattazione, compresa la convergenza debole dei processi puntuali.
Consideriamo una successione {Xn}n∈N di variabili aleatorie i.i.d. non degeneri
con comune funzione di distribuzione F, la variabile aleatoria Mn := max(X1, . . . , Xn) = X1∨ . . . ∨ Xn n ≥ 2
si dice massimo campionario. Questa nozione `e un caso particolare della seguente definizione.
Definizione 2.17. Data una successione {Xj}j∈N di variabili aleatorie i.i.d. non
degeneri con comune funzione di distribuzione F, ed estratto un campione finito X1, . . . , Xn si definisce campione ordinato la sequenza data da
Xn,n≤ · · · ≤ X1,n
con Xn,n:= min(X1, . . . , Xn) e X1,n:= Mn= max(X1, . . . , Xn).
La variabile aleatoria Xk,n si dice k-esimo pi`u grande ordine statistico, in
partico-lare Xn,n e X1,n si diconi estremi campionari.
I valori assunti dagli estremi sono “vicino” all’estremo superiore del supporto della distribuzione nel pi`u grande punto finale, quindi intuitivamente il comportamento asintotico di Mn deve essere in relazione a quello della funzione di ripartizione F per
x grande. Denotiamo con
xF := sup{x ∈ R : F (x) < 1}
l’estremo destro di F. Otteniamo immediatamente che, per ogni x < xF, vale
P {Mn≤ x} = Fn(x) → 0, n → 0,
e nel caso xF < ∞, abbiamo, per ogni x ≥ xF, che
P {Mn≤ x} = Fn(x) = 1.
Allora Mn P
→ xF per n → ∞, con xF ≤ ∞. Poich´e la successione {Mn}n∈N `e non
decresente in n, e converge q.c., e quindi concludiamo che Mn → xF, q.c.
Questo fatto per`o non ci fornisce molte informazioni, al contrario del seguente teorema dovuto a Fisher e Tippett:
Teorema 2.18. Data una successione {Xj}j∈N di variabili aleatorie i.i.d.,
supponia-mo che esistano successioni di costanti {cn} in R+ e {dn} in R ed una funzione di
distribuzione non degenere H tali che
c−1n (Mn− dn) d
→ H, allora H `e tra le seguenti funzioni di distribuzione:
Fr´echet : Φα(x) = 0, x ≤ 0 exp{−x−α}, x > 0 α > 0. Weibull : Ψα(x) = exp{−(−x)α}, x ≤ 0 1, x > 0 α > 0. Gumbel : Λ(x) = exp{−e−x}, x ∈ R.
Teorema 2.19. Sia assegnato un numero reale τ nella semiretta [0, +∞] e una successione {un}n∈N di numeri reali. Sono equivalenti i seguenti fatti:
i) lim n→∞n ¯F (un) = τ, (2.20) ii) lim n→∞P {Mn≤ un} = e −τ . (2.21)
Dimostrazione. Supponiamo innanzitutto che τ sia finito e che valga la (2.20). Allora si hanno le uguaglianze P {Mn≤ un} = (F (un))n= (1 − ¯F (un))n= 1 − τ n + o 1 n n , che implicano, passando al limite in n, l’uguaglianza (2.21).
Viceversa, supponiamo che valga la (2.21). Questo implica che la successione ¯F (un)
tende a 0, perch´e se cos`ı non fosse, esisterebbe una sottosuccessione {unk}, tale che
{ ¯F (unk)}n∈N sia limitata in un intervallo non contenente lo zero e quindi, poich´e
vale l’uguaglianza P {Mnk ≤ unk} = (1 − ¯F (unk))
nk, la successione P {M
nk ≤ unk}
tenderebbe a zero, contraddicendo l’ipotesi. Passando al logaritmo nella (2.21) abbiamo
−n ln(1 − ¯F (un)) → τ.
Poich´e per x piccolo si ha − ln(1 − x) ≈ x e, per quanto appena dimostrato, per n sufficientemente grande, ¯F (un) `e piccolo, abbiamo
n ¯F (un) ≈ −n ln(1 − ¯F (un)) = τ + o(1)
ottenendo cos`ı la (2.20).
Sia adesso τ = ∞ e supponiamo che valga la (2.20), ma non la (2.21). Allora esistono un numero reale non infinito, τ0, e una sottosuccessione {unk} tali che
lim
k→∞P {Mnk ≤ unk} = e −τ0
. Ma per τ0 la (2.21) implica la (2.20), cos`ı che
nkF (u¯ nk) → τ
0
< ∞, contraddicendo l’ipotesi.
2.4
Breve introduzione alle serie temporali
Definizione 2.20. Diciamo che un processo X = [Xt]t∈R di variabili aleatorie reali `e
(strettamente) stazionario se le sue distribuzioni finite-dimensionale sono invarianti nel tempo, cio`e
(Xt1, Xt2, . . . , Xtm)
d
= (Xt1+h, Xt2+h, . . . , Xtm+h)
per ogni scelta di indici t1 < t2 < . . . < tm ed ogni intero h.
Definizione 2.21. Un processo X = [Xt]t∈R di variabili aleatorie reali si dice del
secondo ordine se per ogni numero reale t esiste finita la quantit`a Var[Xt], cio`e le
variabili aleatorie Xt sono di quadrato integrabile.
Definizione 2.22. Un processo del secondo ordine X = [Xt]t∈R di variabili aleatorie
reali si dice debolmente stazionario se, posto X := X0,
E[Xt] = E[X] per ogni t ∈ R
e
Cov(Xs, Xs+t) = Cov(X0, Xt) := γ(t) per ogni s, t ∈ R,
cio`e γ `e solo funzione di t.
L’analisi delle serie temporali classiche riguarda, principalmente, l’analisi statisti-ca di processi stazionari e, in particolare, di processi lineari del tipo
Xt =
X
j∈Z
ψjZt−j, t ∈ Z (2.22)
dove {Zt}t∈Z`e una successione di variabili aleatorie reali i.i.d. che hanno media zero e
varianza σ2
Z finita. Le variabili aleatorie Ztsono dette innovazioni o variabili rumore.
Per ogni intero t fissato, la serie in (2.22) converge q.c. se i coefficienti ψj soddisfano
la condizione
Var[Xt] = σ2Z
X
j∈Z
|ψj|2 < ∞.
Definizione 2.23. Una successione di variabili aleatorie {Wn}n∈Ndel secondo ordine
si dice rumore bianco se le variabili aleatorie sono non correlate tra di loro, cio`e Cov(Wi, Wj) = 0 per ogni i 6= j, hanno media nulla e varianza unitaria.
Definizione 2.24. Si dice che un processo stazionario X = [Xh]h∈Z verifica
un’e-quazione a media mobile di parametro q, o pi`u brevemente `e M A(q), se esiste un rumore bianco {Wh}h∈Z e dei coefficienti b0, . . . , bq tali che
Xh = q
X
j=0
Definizione 2.25. Si dice che un processo stazionario X = [Xh]h∈Z verifica
un’e-quazione autoregressiva di parametro p, o pi`u brevemente `e AR(p) se esiste un rumore bianco {Wh}h∈Z e dei coefficienti a0, . . . , ap con a0 6= 0 tali che
p
X
j=0
ajXh−j = Wh.
Ora si pu`o introdurre la nozione del processo lineare pi`u popolare in letteratura. Definizione 2.26. Un processo stazionario X = [Xh]h∈Z si dice ARMA(p,q) se
esi-stono a0, . . . , ap, b0, . . . , bq con a0 6= 0 ed un rumore bianco {Wh}h∈Z tali che p X j=0 ajXh−j = q X i=0 biWh−i.
2.4.1
Serie storiche e processi con code pesanti
Definizione 2.27. Un processo stocastico B = [Bt]t∈[0,1] che soddisfi le seguenti
condizioni:
(a) B0 = 0 q.c.,
(b) ha incrementi indipendenti, cio`e per ogni partizione 0 ≤ t0 < t1 < . . . < tm ≤ 1
dell’intervallo le variabili aleatorie Bt1−Bt0, . . . , Btm−Btm−1 sono indipendenti,
(c) per ogni numero reale t nell’intervallo [0, 1] la variabile aleatoria Bt ha una
distribuzione Gaussiana con media zero e varianza t, (d) le traiettorie sono funzioni continue con probabilit`a 1, si dice moto browniano o processo di Wiener su [0, 1].
Definizione 2.28. Un processo stocastico X := [Xn]n∈N si dice eteroschedastico
condizionale autoregressivo di ordine p, brevemente ARCH(p), se esistono un rumore bianco {Wn}n∈N e dei parametri β > 0 e aj ≥ 0 con j = 1, . . . , p tali che
Xn= δnWn
con {Wn}n∈N indipendente da Xn−1, . . . , Xn−p e δn2 = β +
Pp
j=1Xn−j2 .
La variabile aleatoria δn, in questi tipi di modelli a rumore moltiplicativo, viene
detta volatilit`a e rappresenta la varianza condizionale di Xn. L’ultimo modello che