• Non ci sono risultati.

Valutazione dell'efficacia di un protocollo di psicoterapia integrata per il trattamento del dolore cronico in pazienti con lesioni spinali

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Valutazione dell'efficacia di un protocollo di psicoterapia integrata per il trattamento del dolore cronico in pazienti con lesioni spinali"

Copied!
74
0
0

Testo completo

(1)

1

Indice

Riassunto ... 4

Introduzione ... 5

1 Le Lesioni Spinali... 7

1.1 Anatomia del Midollo spinale ... 8

1.2 Livello della lesione ... 10

1.3 Problemi medici secondari ... 13

1.4 Aspetti epidemiologici ed eziologici ... 14

1.5 Adattamento e qualità di vita ... 16

1.6 Ansia e Depressione ... 19

2 Il dolore nelle lesioni spinali ... 21

2.1 Meccanismi fisiologici... 21

2.2 Variabili psicosociali legate al dolore cronico ... 23

2.3 Supporto e partecipazione sociale ... 26

2.4 Il Coping... 28

2.5 Il trattamento del dolore cronico ... 30

2.5.1 Approccio psicologico ... 31

2.5.2 Ipnosi ... 33

3 Lo studio ... 34

3.1 Obiettivo dello studio ... 34

3.2 Materiali e metodi ... 34

3.2.1 Il protocollo di psicoterapia ... 36

3.2.2 Strumenti di valutazione ... 39

3.3 Analisi dei dati ... 41

3.4 Risultati ... 42

3.4.1 Baseline ... 42

3.4.2 Correlazione a T1... 45

(2)

2 3.4.4 Correlazioni a T2... 51 3.4.5 Confronto T1-T2 ... 54 3.5 Discussione ... 58 Conclusioni ... 64 Bibliografia ... 66

Indice delle Figure Figura 1.1 Sezione sagittale del midollo spinale, organizzazione dei nervi spinali ... 2

Figura 1.2 Sezione trasversale del midollo spinale ... 2

Figura 1.3 Sindromi midollari. ... 22

Indice delle Tabelle Tabella 3.1 Struggle with pain. ... 362

Tabella 3.2 Abitudini associate al dolore 1. ... 37

Tabella 3.3 Abitudini associate al dolore 2. ... 37

Tabella 3.4 Abitudini associate al dolore 3. ... 37

Tabella 3.5 Values classification exercise. ... 38

Tabella 3.6 Values-based action exercise. ... 39

Tabella 3.7 Media e DS QUID baseline. ... 42

Tabella 3.8 Media e DS PWB baseline. ... 43

Tabella 3.9 Media e DS SF-36 baseline. ... 43

Tabella 3.10 Media e DS MSPSS baseline. ... 44

Tabella 3.11 Media e DS Brief COPE baseline ... 44

Tabella 3.12 Correlazioni PWB e MSPSS a tempo 1. ... 46

Tabella 3.13 Correlazioni Brief COPE e PWB a tempo 1 ... 46

Tabella 3.14 Correlazioni PWB e SF-36 a tempo 1 ... 46

Tabella 3.15 Correlazioni MSPSS e SF-36 a tempo 1 ... 46

Tabella 3.16 Correlazioni MSPSS e Brief COPE a tempo 1 ... 47

Tabella 3.17 Correlazioni SF-36 e Brief COPE a tempo 1. ... 47

Tabella 3.18 Media e DS QUID al tempo 2... 48

Tabella 3.19 Media e DS PWB al tempo 2. ... 49

Tabella 3.20 Media e DS SF-36 al tempo 2 ... 49

Tabella 3.21 Media e DS MSPSS al tempo 2 ... 50

Tabella 3.22 Media e DS Brief COPE al tempo 2. ... 50

Tabella 3.23 Correlazioni PWB e MSPSS a tempo 2. ... 51

Tabella 3.24 Correlazioni Brief COPE e PWB a tempo 2. ... 52

Tabella 3.25 Correlazioni PWB e SF-36 a tempo 2. ... 52

Tabella 3.26 Correlazioni MSPSS e Brief COPE a tempo 2. ... 53

Tabella 3.27 Correlazioni SF-36 e Brief COPE a tempo 2. ... 53

(3)

3

Indice dei Grafici

Tabella 3.1 Confronto tra i punteggi QUID ... 55

Tabella 3.2 Confronto tra i punteggi SF-36 ... 55

Tabella 3.3 Confronto tra i punteggi Brief COPE. ... 56

Tabella 3.4 Confronto tra i punteggi PWB. ... 57

(4)

4

Riassunto

L'obiettivo del presente studio è stato quello di valutare l’efficacia di un trattamento integrato del dolore cronico, tenendo conto delle misure del dolore medesimo e di variabili psicologiche significative, quali il benessere psicologico, la qualità di vita, le strategie di coping e il supporto sociale. Svoltosi presso la S. D. Centro Mielolesi dell’Azienda Ospedaliero -Universitaria Pisana, il presente lavoro ha valutato due gruppi di soggetti con lesioni spinali concomitanti a dolore cronico di tipo neuropatico. Sia in fase preliminare che al termine dello studio ci siamo avvalsi dell’utilizzo dei seguenti test: Questionario Italiano del Dolore, Psychological Well-Being Short Form, Brief Coping Orientation to Problems Experiences, Multidimensional Scale of Perceived Social Support; Short Form 36.

I risultati mostrano un incremento delle strategie attive di coping e della limitazione del ruolo emotivo, in considerazione delle acquisizioni presenti in letteratura (Büssing et al. 2011; Chevalier et Al., 2009; Ercolani & Pasquini, 2007; Galvin & Godfrey, 2001; Richards et al., 2010; Robinson & O'Brien, 2010), i dati confermano l’utilità della terapia integrata nel migliorare la qualità di vita e il benessere psicologico dei partecipanti.

(5)

5

Introduzione

Le lesioni spinali sono causa di una condizione fortemente invalidante, capace di sconvolgere la vita di chi la subisce. Non è infrequente che, anche a distanza di anni, compaia un dolore che diventa cronico. Di natura neuropatica, il dolore cronico è spesso associato a fattori psicosociali, quali le risposte di coping, le cognizioni del paziente, fattori sociali e ambientali (Accardi et al., 2013; Turk & Flor, 1999). Da questa breve premessa si intuisce la portata dell’evento all’interno della vita dei soggetti colpiti; a tale ragione sempre più attenzione viene rivolta al dolore associato alle lesioni midollari, alle variabili coinvolte nella genesi e nel mantenimento del dolore, al suo trattamento e alla prevenzione alla salute e della qualità di vita della persona.

Da qui l’interesse per l’argomento, nato quasi casualmente da una conversazione che aveva per tema appunto il dolore. La domanda in questione è la seguente: quando il dolore diventa cronico ed i farmaci sembrano inefficaci a trattarlo, quali sono i fattori che lo influenzano, e come è possibile intervenire attraverso le variabili psicologiche? La risposta è stata il presente lavoro.

Attraverso una collaborazione con il Centro Mielolesi dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria Pisana, è stato possibile seguire un progetto sperimentale che aveva come obiettivo il miglioramento della qualità di vita e del benessere psicologico in soggetti con lesione midollare, a cui si associava dolore cronico. Lo studio condotto in questa struttura si è costituito di un ciclo di psicoterapia integrata, la quale ha rappresentato solo una parte di un disegno più ampio, che prevedeva la partecipazione dei soggetti anche a sedute di ipnosi e di fisioterapia. Data la mole del materiale e la necessità di circoscrivere il campo d’indagine, è stato deciso di concentrare il lavoro di tesi entro i confini dell’intervento psicoterapeutico.

(6)

6

Il discorso che intendiamo portare avanti si articola in tre punti principali, di cui i primi due costituiscono una disamina della letteratura presente sull’argomento; mentre l’ultimo è il punto che abbraccia la parte sperimentale della tesi. In prima analisi verrà illustrato il quadro clinico delle lesioni spinali, le complicazioni secondarie ed i fattori che influenzano l’adattamento del paziente. Nel secondo capitolo si parlerà invece del dolore neuropatico, della sua associazione alle lesioni midollari e delle variabili in grado di modularlo; inoltre affronteremo le più recenti acquisizioni in materia di trattamento. Nel terzo capitolo daremo invece spazio allo studio che è stato condotto, elencando le procedure ed i materiali impiegati; analizzeremo inoltre i dati ottenuti e le correlazioni significative, infine eseguiremo un confronto tra il tempo baseline e il T2. Per terminare discuteremo quanto emerso nel corso del progetto, riassumendo i punti salienti nel paragrafo dedicato alle conclusioni.

(7)

7

1

Le lesioni spinali

Il midollo spinale è la via di conduzione delle informazioni sensoriali ascendenti e di quelle motorie discendenti. Una sua lesione causa l’interruzione della trasmissione nervosa in una o entrambe le direzioni; ne conseguono, in misura variabile, paralisi e perdita della funzione sensoriale nelle aree sottostanti alla lesione. Si definisce quindi una “lesione spinale” qualsiasi tipo di danno al midollo spinale, al conus medullaris o alla cauda equina, causato da un insulto traumatico o non-traumatico (World Health Organization, 2013). Come è facilmente immaginabile, ciò impone un cambiamento improvviso permanente dello stile di vita della persona (Richards et al., 2010). Le complicanze secondarie spesso aggravano un quadro già compromesso, incidendo sulla qualità della vita delle persone colpite da questi eventi. La riduzione delle attività, il ritiro sociale, la carenza di stimoli ambientali e la dipendenza nelle cure sono spesso conseguenze delle lesioni, ma possono rappresentare pericolosi fattori concorrenti allo sviluppo di depressione maggior e disturbi d’ansia. Riconoscere il sottile confine tra l’umore flesso, come parte del normale processo di adattamento, e l’esordio di un disturbo depressivo fa spesso la differenza nella soddisfazione e nel benessere di queste persone (Bombardier, Richards, krause, Tulsky, & Tate, 2004; Bombardier, et al., 2012).

Per meglio comprendere le caratteristiche le conseguenze delle lesioni spinali è necessario aprire una parentesi sull’anatomia del sistema nervoso.

(8)

8

Figura 1.1 Sezione sagittale del midollo spinale,

organizzazione dei nervi spinali. Tratta da (Netter,

Neuromeri)

1.1 Anatomia del Midollo Spinale

Il midollo spinale (Fig. 1.1) è situato all’interno del canale composto dalla colonna vertebrale e si estende dalla base del tronco encefalico fino alla cauda

equina, (corrispondente al livello delle vertebre L1-L2). La forma è pressoché

cilindrica, leggermente appiattita in senso antero-posteriore; è lungo circa 44cm, con un diametro medio di 1cm (Ambrosi, 2006). Il midollo spinale non riempie completamente in lunghezza il canale vertebrale, ma come abbiamo appena accennato, si arresta all’altezza della seconda vertebra lombare, presso la quale si assottiglia assumendo una forma conica (conus medullaris). I nervi spinali fuoriescono dal midollo spinale in doppia serie dal canale vertebrale, si dispongono quindi in segmenti simmetrici rispetto alla colonna vertebrale (disposizione metamerica), per un totale di 31 paia di nervi spinali più due nervi coccigei rudimentali. Essi si originano dall’unione di due radici: una anteriore ed una posteriore.

(9)

9

In particolare le radici

anteriori sono costituite dagli assoni dei neuroni effettori (motoneuroni), che andranno ad innervare la muscolatura sia liscia che striata ed alcune ghiandole.

Le radici posteriori sono invece formate dagli assoni dei neuroni sensitivi (neuroni

somatosensitivi e viscero-sensitivi) responsabili della

trasmissione delle

informazioni sensoriali provenienti dalla periferia e dirette al cervello (Ambrosi, 2006). Se osserviamo una sezione trasversale del midollo spinale (Fig. 1.2) notiamo che la sostanza grigia è disposta al centro, costituita da colonne di neuroni, in modo da formare una figura a forma di “H” o di farfalla (Ambrosi, 2006). La sostanza grigia è circondata dalla sostanza bianca, ossia dai fasci di fibre nervose che trasportano gli impulsi. I motoneuroni sono raggruppati nella parte anteriore della sostanza grigia, ossia nelle corna anteriori dell’”H”. I loro assoni attraversano la sostanza bianca ed entrano a far parte delle radici anteriori dei nervi spinali e da lì vanno ad innervare la muscolatura liscia e striata. Le cellule localizzate nelle corna posteriori ricevono invece le afferenze sensoriali dai neuroni dei gangli spinali. Gli assoni di questi neuroni passano nella sostanza bianca dividendosi in due rami: uno ascendente ed uno discendente, che connettono longitudinalmente diverse parti dell’asse nervoso. I neuroni all’interno del midollo sono raggruppati in tratti o lamine, che rispecchiano sia l’omogeneità morfologica che funzionale di queste popolazioni. In tutto si individuano 10 lamine, indicate con in numeri romani; in particolare

Figura 1.2 Sezione trasversale del midollo spinale. Tratto da

(10)

10

ricordiamo che nelle lamine I, II, III e V sono localizzati neuroni che svolgono un ruolo critico nella trasmissione della sensibilità dolorosa (Ambrosi, 2006; Ercolani & Psquini, 2007).

1.2 Livello della lesione

Gli esiti di una lesione dipendono da due fattori principali: dal livello a cui è avvenuta e dalla sua estensione. Il livello della lesione è definito dal segmento più caudale del midollo, in cui le funzioni motorie e sensitive sono conservate bilateralmente (Richards et Al. 2000); questo significa che, ad esempio, con una lesione L2 il soggetto avrà normale funzionalità fino al livello nervoso L1, ma non da L2 in poi. La valutazione delle lesioni spinali avviene attraverso lo standard della American Spinal Injury Association (2006), si utilizza perciò una scheda valutativa su cui sono indicate le aree sensoriali (dermatomi) e muscolari (miotomi) colpiti dalla lesione; ciò al fine di uniformare la codifica delle sindromi legate alle lesioni spinali e di permettere una migliore comunicazione tra gli specialisti del settore.

Le aree maggiormente suscettibili ad una lesione sono il segmento cervicale inferiore (C5-C8) e la giunzione toraco – lombare (T11-L1) (Burt, 2004), anche in ragione di questo fatto si usa distinguere la clinica in due principali condizioni: nel primo caso si assiste ad un quadro denominato tetraplegia, in cui si ha la perdita di sensibilità e/o motricità in quasi tutto il corpo, inclusi gli arti superiori; nel secondo caso si parla di paraplegia, essa coinvolge i distretti corporei inferiori, in genere a partire dalla prima vertebra toracica (T1), lasciando piena funzionalità agli arti superiori (Richards et al. 2000).

Ci si riferisce alla completezza della lesione come parametro per distinguere quelle condizioni in cui sono presenti disgiuntamente la perdita di sensibilità o di funzionalità motoria, da quelle in cui vi è la perdita congiunta delle stesse.

(11)

11

Possiamo codificare questo parametro seguendo la scala di valutazione proposta da Frankel et al. (1969) e corretta dall’ASIA (2006), ponendo cinque livelli distinti per il grado di completezza/incompletezza della lesione:

A. Completa: nessuna sensibilità o movimento nel segmento sacrale (S4-S5)

B. Sensoriale Incompleta: presenza di sensibilità, ma non di motricità al di sotto del livello neurologico, incluso il segmento sacrale. Nessuna funzione motoria preserva per più di tre livelli al di sotto della lesione in entrambi i lati del corpo

C. Motoria Incompleta: Funzione muscolare preservata al di sotto del livello della lesione. Più della metà dei muscoli chiave è funzionante al di sotto del livello neurologico

D. Motoria Incompleta: . Funzione muscolare preservata al di sotto del livello neurologico. Almeno metà dei muscoli chiave è funzionante al di sotto della lesione

E. Normale: nessun tipo di deficit.

Nelle lesioni incomplete assistiamo ad una certa variabilità dei sintomi che concorre a delineare quadri sindromici tipici (Fig. 1.3) (Richards et al., 2010):

Sindrome ventrale (Anteriore) La causa di questo tipo di lesione è

solitamente causata da una forza flessi-rotativa che produce una dislocazione anteriore del midollo spinale; può anche essere dovuta ad una frattura da compressione. In associazione si riscontra spesso una compressione dell’arteria spinale anteriore, ne risulta nel complesso un quadro combinato da un danno diretto da trauma ed uno ischemico (Andrew, 2002). Si ha conseguente perdita della funzione motoria e della sensibilità al dolore ed al calore, rimangono invece inalterate la sensibilità propriocettiva e tattile. Oltre alla paralisi motoria, le manifestazioni cliniche sono l’incontinenza urinaria e l’assenza bilaterale di

(12)

12

percezione dolorifica e termica al di

sotto della lesione (Richards,

Kewman, Richardson, & Kennedy, 2010).

Sindrome di Brown-Sequard Si

tratta di una lesione registrata in un solo emilato del midollo spinale, con coinvolgimento del tratto anteriore e di quello posteriore. In genere è causata da lesioni trafittive ma anche da ingenti fratture laterali delle vertebre. Si associa pertanto a paralisi muscolare o debolezza e perdita di sensibilità nella porzione corporea corrispondente al lato della lesione. A causa della decussazione delle fibre ascendenti nel lato della lesione la sensibilità al dolore ed al calore sono relativamente normali, di riflesso osserveremo nel lato opposto alla lesione una funzione motoria preservata, ma allo stesso tempo una riduzione/assenza della sensazione dolorosa e termica nel lato contro laterale alla lesione (Andrew, 2002).

Sindrome midollare Si riscontra in lesioni cervicali ed è determinata da una

lesione nelle maggiori fasce mediali e centrali del midollo, causate da spondilosi o da traumi da compressione (Richards, Kewman, Richardson, & Kennedy, 2010). In questo caso osserviamo un deficit motorio sproporzionato, risulta infatti maggiore per gli arti superiori rispetto a quelli inferiori (presentano comunque spasticità). La sensibilità sacrale ed il controllo della vescica sono spesso parzialmente preservate (Andrew, 2002).

Figura 1.3 Sindromi midollari.

(13)

13

Sindrome del cono midollare e della cauda equina Nella prima di queste

sindromi la lesione colpisce il tratto terminale del midollo (conus medullaris) e le radici dei nervi lombari, causando perdita del controllo vescicale, dell’intestino e dei riflessi degli arti inferiori. Se il danno è localizzato nella giunzione tra cono midollare e rigonfiamento lombare, è possibile che si manifesti un deficit dei motoneuroni, e preservati in parte i riflessi sacrali (Andrew, 2002). Nella sindrome della cauda equina sono solamente le radici dei nervi lombo-sacrali ad essere lesionati, potremmo quindi osservare una perdita dei riflessi e della forza muscolare degli arti inferiori, della vescica e dell’intestino; si accompagna inoltre ad assenza di sensibilità al livello del perineo e della regione perineale (anestesia a sella) (Andrew, 2002).

1.3 Problemi medici secondari

La grave disabilità fisica è quasi sempre accompagnata da complicazioni

secondarie dalle quali deriva un quadro clinico complesso. L’elemento centrale

è rappresentato sicuramente dalla perdita di funzionalità fisica (Post & van Leeuwen, 2012), ma vi sono altre complicanze che derivano da questa e dalla perdita di sensibilità: sono spesso frequenti disfunzioni urinarie e intestinali, che si manifestano con incontinenza e ricorrenti infezioni. Nelle lesioni al di sopra del livello T5, vi è un aumento sproporzionato della pressione sanguigna e stimoli autonomici che possono dare origine a fenomeni di disreflessia (Burt, 2004). Gli stimoli in questione sono costituiti dalla distensione della muscolatura di intestino e vescica, da irritazioni, ma possono anche originarsi dalla stimolazione cutanea e dall’attività dei muscoli. La disreflessia autonomica può insorgere in genere dopo 10-12 settimane dopo l’evento lesivo, periodo in cui si assiste ad un certo recupero dell’attività nervosa autonoma. Questa sindrome è determinata dalla perdita del controllo encefalico sui centri del sistema nervoso simpatico situati al di sotto della lesione, che si traduce in un’aumentata scarica di adrenalina. I sintomi includono mal di testa, parestesie negli arti superiori e

(14)

14

nel collo, senso di costrizione del torace e dispnea; è possibile assistere anche ad aritmie cardiache (Burt, 2004).

Vi sono anche altre complicazioni mediche che affliggono i pazienti con lesione midollare, come ad esempio disturbi del sistema respiratorio, perdita di densità minerale ossea, e piaghe da decubito (Westgren & Levi, 1998). L’assenza di trasmissione sensoriale non impedisce la comparsa di dolore e spasticità (Murray, et al., 2007), che spesso costituiscono uno degli aspetti più invalidanti per questo tipo di pazienti. Inoltre, con l’avanzare dell’età vi è un aggravarsi di tutte queste condizioni, in concomitanza di una progressiva riduzione della funzionalità e del declino della salute generale (Burt, 2004).

L’aspettativa di vita è significativamente minore rispetto a quella della popolazione generale, ed i fattori che meglio predicono la durata di vita sono l’età di insorgenza della lesione, il livello neurologico e l’estensione del danno (Burt, 2004; Richards et Al., 2000; World Health Organization, 2013). In passato la prognosi per queste lesioni era decisamente più infausta, equiparate spesso a stati terminali; sebbene ancora oggi ciò sia vero in alcuni paesi meno sviluppati, a partire dagli anni 50’ abbiamo assistito ad un netto miglioramento delle aspettative di vita, in parte grazie al progresso della scienza medica ed alla diffusione di una cultura della disabilità (Post & van Leeuwen, 2012; World Health Organization, 2013).

1.4 Aspetti epidemiologici ed eziologici

Nel rapporto della World Health Organization del 2013 le lesioni spinali avrebbero una percentuale annua tra 40 e 80 nuovi casi ogni milione di abitanti; ciò significa che ogni anno tra le 250.000 e 500.000 persone divengono paraplegiche o tetraplegiche. Secondo i dati riportati sul sito della Federazione Associazioni Italiane Paratetraplegici (FAIP), sarebbero 75.000 in Italia le persone con lesione al midollo spinale. Ogni anno si verificherebbero più di

(15)

15

2000 nuovi casi, con un’incidenza media di 20 casi ogni milione di abitanti, tra questi l’80% riguarda soggetti in un’età compresa tra i 10 ed i 40 anni (Scivoletto et al., 2008). Le cause più frequenti sarebbero dovute ad eventi traumatici (67,5%) come incidenti stradali, cadute dall’alto, atti di violenza, incidenti durante attività sportive o ricreative (Sci) ed alle conseguenze negative di interventi chirurgici (Burt, 2004; Scivoletto et al., 2008; World Health Organization, 2013). Il restante 32,5% delle lesioni ha cause non traumatiche, quali neoplasie, patologie vascolari, patologie infiammatorie ed infettive (Jackson et al., 2004). Dati recenti sembrano però invertire questa tendenza, rivelando un lieve aumento delle lesioni non traumatiche (World Health Organization, 2013), ciò potrebbe dipendere in parte dal maggiore sviluppo socio-economico, specie in alcuni paesi svantaggiati, e dall’incremento di politiche preventive e di informazione.

Il gruppo di Scivoletto et Al. (2008) ha evidenziato una prevalenza del sesso maschile in entrambe le eziologie: il rapporto per le cause non traumatiche sarebbe infatti di 1:3 (F:M), mentre sale a 1:4 (F:M) per quelle traumatiche. I pazienti con lesione traumatica sono in media più giovani rispetto a quelli con lesione non traumatica (34 anni vs 58 anni) (Scivoletto, et al., 2008), questo risultato è in linea con i dati americani, che vedono una picco delle lesioni traumatiche tra i 16 ed i 30 anni (Richards et al, 2010). La prevalenza delle lesioni di tipo traumatico tra i giovani adulti di sesso maschile potrebbe essere spiegata in parte da comportamenti legati all’identità di genere, quali guida pericolosa, abuso di sostanze e pratica di sport estremi (World Health Organization, 2013). L’età ed il sesso sono dunque fattori che influenzano l’insorgenza traumatica di una lesione spinale. Nei primi anni di vita sono causate da interventi chirurgici ed incidenti stradali, mentre al di sopra dei 60 anni sono le cadute a rappresentare la principale origine del trauma. Per le lesioni non traumatiche la correlazione maggiore si ha con l’età avanzata, per l’aumento del rischio d’insorgenza di patologie neoplastiche degenerative (World Health Organization, 2013).

(16)

16

Purtroppo in Italia soffriamo l’assenza di dati epidemiologici aggiornati, non abbiamo infatti una stima, in termini di spesa pubblica, del carico assistenziale delle lesioni spinali. Possiamo però farcene un’idea riferendoci alla situazione americana, dove la spesa per le cure mediche e riabilitative supera di 10 volte quelle necessarie all’assistenza ai malati tumorali, di 6 volte quelle per l’infarto e di ben 3 volte quelle per l’ictus (Scivoletto, et al., 2008). Questa carenza di indicatori implica difficoltà organizzative nei programmi di prevenzione e sensibilizzazione, comporta inoltre l’impossibilità di pianificare dei servizi socio-sanitari adeguati alle reali esigenze di queste persone (FAIP, 2014).

Il recupero dopo una lesione dipende da numerosi fattori, alcuni già accennati, ma non tutti assumono un ruolo predominante, è pertanto quasi impossibile stabilire un decorso clinico unitario. Il recupero neurologico si lega all’evoluzione della lesione, alla maturazione della cicatrice gliale, al riassorbimento dell’edema midollare ed in generale a fenomeni di plasticità neuronale (Scivoletto, et al., 2008). Si rende perciò fondamentale un percorso riabilitativo caratterizzato da monitoraggio costante dei progressi compiuti dal paziente.

1.5 Adattamento e qualità di vita

Le persone che hanno subito una lesione midollare devono confrontarsi con le problematiche insite nella menomazione fica e con le trasformazioni che esse portano nella vita quotidiana. Sebbene la lesione condizioni permanentemente la vita del soggetto, non ne impedisce la possibilità di sperimentare emozioni piacevoli. Allo stesso tempo, chi riesce a trovare aspetti positivi a dispetto della malattia cronica non diventa certo immune al distress e alle emozioni negative (Stanton et al., 2007). L’assenza di distress non è dunque elemento sufficiente per determinare un adattamento positivo del soggetto; sono piuttosto le relazioni interpersonali, le risorse cognitive, le emozioni, il funzionamento fisico ed i comportamenti a determinare in che modo il soggetto farà fronte alle

(17)

17

difficoltà. L’adattamento pertanto non è un processo monolitico, bensì multiforme e dinamico: esso non si circoscrive all’evento lesivo, ma si articola per tutto il corso della vita, integrando fattori biologici, ambientali e relazionali (Richards et al., 2010).

Un adattamento positivo è connotato da una buona qualità di vita in numerosi ambiti (Stanton et al., 2007): la soddisfazione che il soggetto percepisce è dunque funzione dell’adattamento, per tale motivo non possiamo prescindere dal valutare le aspirazioni ed i successi della persona se vogliamo avere un quadro completo di come essa stia affrontando la disabilità. Questo concetto viene definito come benessere o qualità di vita soggettiva, e rappresenta il livello di congruenza tra le aspirazioni ed i successi, così come è percepito dal soggetto (Dijkers, 1999). La risposta alla discrepanza tra i due fattori appena elencati potrà essere sia cognitiva (ad es. soddisfazione per traguardi concreti) che emotiva (Dijkers, 1999). Ci sembra opportuno qui ricordare la definizione di qualità fornita dalla World Health Organization, che così afferma: “per qualità di vita (QoL) si intende la percezione che gli individui hanno della loro posizione nella vita nel contesto della cultura e del sistema di valori nel quale vivono e in relazione ai loro obiettivi, aspettative, standard e preoccupazioni”(WHOQoL Group, 1995).

Confrontando i pazienti con lesione midollare alla popolazione generale, notiamo più alti livelli di distress e minore soddisfazione di vita (Westgren & Levi, 1998; World Health Organization, 2013). Per quanto riguarda la QoL, dobbiamo precisare che in molti casi la differenza maggiore è dovuta alla presenza di più bassi punteggi nelle sottoscale del funzionamento fisico e della limitazione del ruolo fisico (Westgren & Levi, 1998). Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il benessere percepito (subjective well-being) dai pazienti con lesione spinale è migliore di quello che ci si aspetterebbe in condizioni simili (Post & Van Leeuwen, 2012).

Westgren & Levi (1998) hanno riscontrato che il livello neurologico e la completezza o meno della lesione non si associano ai punteggi della QoL.

(18)

18

Questo dato suggerisce che vi siano altri i fattori che possono influenzare il benessere, ad esempio Lee & McCormick (2004) riportano numerosi studi in cui il benessere soggettivo e la soddisfazione di vita tendono a legarsi maggiormente con il funzionamento e le interazioni sociali, piuttosto che con il livello della lesione o il grado di indipendenza funzionale. Secondo Post e Van Leeuwen (2012) i fattori psicologici maggiormente correlati al benessere sarebbero il controllo percepito, la resilienza, il senso di coerenza, la preoccupazione per sé e la speranza.

Come abbiamo visto precedentemente, le persone colpite da lesione midollare incontrano spesso problematiche secondarie; le complicazioni mediche, quali spasticità, problemi urinari e intestinali, sono associate a un più basso punteggio nelle misurazioni relative alla qualità di vita (Westgren & Levi, 1998). Oltre a queste, lo vedremo meglio nel capitolo successivo, la qualità di vita viene significativamente influenzata dall’esordio del dolore cronico, il quale ne influenza numerosi aspetti; non a caso il dolore cronico rappresenta la maggiore complicazione nell’adattamento, aggravando il carico percepito dal soggetto (Putzke et al., 2000). Kennedy et al. (2006), citando un articolo di Putzke et al. (2002), fanno notare come i pazienti, in cui compare dolore tra 1 e 2 anni dopo la lesione, riportino una diminuzione nella soddisfazione di vita, nella salute fisica e nello stato di salute mentale; in aggiunta, quando si verifica un miglioramento della condizione dolorosa, sono contemporaneamente riferiti miglioramenti nelle stesse aree (Putzke et al., 2002).

(19)

19

1.6 Ansia e Depressione

Ansia e depressione sono entrambe risposte normali ad una lesione spinale e spesso vanno incontro a miglioramento, sia in funzione del tempo che dell’adozione di strategie di coping adeguate. Non sempre il miglioramento è spontaneo e in alcuni casi tali disturbi persistono, tanto da inficiare il benessere della persona ed esacerbarne il dolore (Siddal & Middleton, 2006); i dati raccolti in precedenti ricerche si sono dimostrati consistenti nel tempo: circa il 30% dei soggetti che sperimentano episodi di ansia e depressione, continuano a manifestare gli stessi sintomi anche a distanza di due anni dalla lesione (Galvin & Godfrey, 2001).

Rispetto alla popolazione generale, i soggetti con lesione midollare presentano un rischio più elevato di depressione maggiore, disturbi d’ansia, disturbo post-traumatico da stress, abuso di sostanze e suicidio (Peter et al., 2012; Post & van Leeuwen, 2012; Kennedy et al., 2006); quest’ultimo è maggiore da 2 a 6 volte rispetto alla popolazione generale (Beedie & Kennedy, 2002; Cherlifue & Gerhart, 1991). In uno studio di Bombardier et al. (2004) è emerso che il rischio di sviluppare un episodio depressivo maggiore non si lega tanto al tipo della lesione, alla severità del danno o al grado di disabilità, quanto piuttosto a fattori quali l’età e stato coniugale del paziente. Sempre Bombardier et al. (2004) fanno notare che non è stata da loro riscontrata alcuna relazione significativa tra i fattori demografici ( sesso, scolarità, etnia) e la frequenza di sintomi depressivi. La comparsa di un disturbo dell’umore può, in sostanza, aggravare le già fragili condizioni fisiche dei soggetti (Bombardier et al., 2004). A rendere ancora più difficile l’intervento vi è la difficoltà nel distinguere tra un transitorio tono depresso dell’umore ed un disturbo depressivo maggiore, in particolare nelle prime fasi successive alla lesione (Bombardier et al., 2004). Alcuni sintomi di natura fisica, tipici della depressione possono essere facilmente confusi con quelli naturalmente conseguenti alla lesione: ad esempio la perdita di appetito,

(20)

20

il calo ponderale, la scarsa energia e le modificazioni psicofisiche (Bombardier et al., 2004).

Dobbiamo tenere conto che il dolore, assumendo la connotazione di persistenza, può essere esso stesso causa dell’umore depresso e di preoccupazioni ansiose (Grant & Haverkamp, 1995; Siddal & Middleton, 2006). Vi sono difatti correlazioni significative tra il dolore, l’ansia e la depressione, in particolare la depressione sembra avere valore predittivo indipendente della salute (Vassend et al., 2011). Secondo Ataoglu et al. (2013) la presenza di dolore cronico compromette numerose aree di funzionamento del soggetto, associandosi in primis a più alti livelli di depressione. Gli stessi autori hanno inoltre confermato le correlazioni tra la depressione e la qualità di vita del soggetto, misurata attraverso il SF-36: confrontando i pazienti mielolesi con e senza dolore, è emerso che nei primi alti livelli di depressione influiscono negativamente sulle scale di salute generale, vitalità, funzionamento sociale e salute mentale (Ataoglu et al., 2013). In aggiunta, la depressione influisce negativamente sia sul processo di adattamento alla condizione di disabilità che sul supporto sociale ricevuto, rendendo più difficile e difficoltoso il percorso riabilitativo (Jiao et al., 2012).

(21)

21

2

Il dolore nelle lesioni spinali

Parlando di dolore non possiamo prescindere dalla definizione, riconosciuta ormai universale, fornita dalla International Association for the Study of Pain, ossia quella di ”un’esperienza sensitiva ed emotiva spiacevole, associata ad un

effettivo o potenziale danno tissutale o comunque descritto come tale” (Merskey

& Bogduk, 1994). Il dolore costituisce spesso una complicanza successiva all’esordio di una lesione spinale; difatti è stata notata una significativa prevalenza all’interno della popolazione di questi pazienti, la cui stima si aggira intorno al 65-81% (Siddal & Loeser, 2001; Siddal et al., 2003). La comparsa del dolore rappresenta un aggravamento della condizione del soggetto, esercitando di fatti un’influenza negativa sull’umore e sulla qualità di vita di queste persone (Kennedy et al., 2010; Murray, et al., 2007; Robinson & O'Brien, 2010; Siddal & Loeser, 2001); rappresenta inoltre un impedimento consistente allo svolgimento delle attività quotidiane, sino a inficiare persino il percorso riabilitativo (Siddal et al., 2003; Putzke et al., 2002; Felix et al., 2007). Il dolore cronico si associa ad una sostanziale menomazione psicologica, la quale non può quindi prescindere da un intervento di tipo multidisciplinare (Robinson & O'Brien, 2010; Ravenscroft et al., 2000).

2.1 Meccanismi fisiologici

Vi sono diversi meccanismi attraverso i quali può insorgere dolore cronico: alcuni di questi sono diretta conseguenza di processi trofici, attivati a seguito della lesione, mentre altri danno origine a fenomeni di sensibilizzazione, sia di tipo centrale che periferico (Finnerup, 2013). Attualmente conosciamo solo in

(22)

22

parte la meccanica alla loro base, in ragione anche dell’ampia varianza tra un paziente e l’altro; si rivela dunque opportuno esaminare i principali fattori che concorrono all’instaurarsi del dolore cronico.

In seguito ad un danno spinale assistiamo ad una riorganizzazione plastica della connettività tra neuroni, cui concorrono fenomeni di sprouting e di sinaptogenesi (Siddal & Loeser, 2001). Sebbene la neuroplasticità sia parte importante del processo di guarigione da una lesione spinale, può produrre conseguenze negative come dolore neuropatico, spasticità e disreflessia autonomica (Brown & Weaver, 2012; Finnerup, 2013). Ne sono un esempio i cambiamenti cellulari che intercorrono sin dai primissimi istanti della lesione, come ad esempio l’aumento abnorme di attività neurale conseguente all’eccessivo rilascio di glutammato, che possono essere causa di sensibilizzazione centrale al dolore.

Un'altra ipotesi legata all’insorgenza del dolore vede come protagonista la perdita delle innervazioni inibitorie degli interneuroni gabaergici e/o dei tratti discendenti di modulazione del dolore; disfunzione imputabile anche a modificazioni nell’espressione dei recettori delle vie appena descritte, oltre che all’attivazione della microglia (Finnerup, Baastrup, & Jensens, 2009).

Relativamente alla sensibilizzazione osserviamo che i neuroni, che vanno dalle corna dorsali alla fine di quelle rostrali del midollo lesionato, posso diventare ipereccitabili ed essere fonte di stimoli algici a livello spinale. Segnali sproporzionati da questi neuroni possono propagarsi fino ai neuroni del talamo e determinare sensazione di dolore nella regione sotto il livello della lesione; in alcuni pazienti, l’attività spontanea nei neuroni del tratto spino-talamico può agire essa stessa da innesco del dolore (Siddal & Loeser, 2001). Infine, cambiamenti strutturali e biochimici nel talamo e nella corteccia somato-sensoriale, conseguenti alla riorganizzazione delle afferenze sensoriali, possono amplificare o modificare gli input dolorifici e mediare delle sensazioni dolorose abnormi (Finnerup et al., 2009). La ricerca ha in passato suggerito come tutti questi meccanismi fisiopatologici, singolarmente o in maniera combinata,

(23)

23

possano sostenere specifiche caratteristiche del dolore, quali: la sensazione di bruciore, l’iperalgesia indotta dagli stimoli termici o l’iperalgesia indotta da stimolazioni meccaniche (Woolf & Salter, 2000; Scholz & Woolf, 2002). Per tale ragione la tipologia del dolore esperito varia notevolmente tra soggetti, persino all’interno dello stesso paziente, in cui può esservi compresenza di diversi tipi di dolore (Felix et al., 2007). Più frequentemente, i soggetti riferiscono un dolore “tagliente” e “lancinante” in corrispondenza del livello della lesione, caratterizzato dall’elevata intensità ed accompagnato da sensazioni di sgradevolezza, persistenza, e disturbante (Felix et al., 2007).

Sebbene possano essere chiari i meccanismi secondo cui agisce il dolore cronico, non si hanno informazioni sufficienti sulla sua comparsa; il perché questo accada in alcuni pazienti piuttosto che in altri non è chiaro (Richards et al., 2010). Poiché il dolore nelle lesioni spinale assume caratteristiche di persistenza, è necessario esaminare non soltanto i meccanismi fisiopatologici che ne stanno alla base, ma anche quegli aspetti che il paziente considera maggiormente invalidanti (Felix et al., 2007).

2.2 Variabili psicosociali legate al dolore cronico

Come abbiamo già accennato, l’esperienza dolorosa è altamente soggettiva; il dolore cronico rappresenta, difatti, una realtà multidimensionale (Robinson & O'Brien, 2010), dipendente da numerosi fattori: in primis dall’intensità dello stimolo, dalla sua natura fisica, ma anche dal livello di attivazione del soggetto (il suo arousal), dalla sua disposizione emotiva, dall’aspettativa ed infine dal grado di minaccia rappresentato dal segnale dolorifico (Ercolani & Pasquini, 2007; Robinson & O'Brien, 2010). A tale proposito Robinson & O’Brien (2010) riportano diversi studi, i quali hanno dimostrato come l’intensità del dolore e la spiacevolezza suscitata da questo costituiscano a tutti gli effetti due componenti distinte dell’esperienza dolorosa. Secondo Summers et al. (1991) sarebbero

(24)

24

proprio i fattori psicologici, piuttosto che quelli fisici, quelli maggiormente associati all’esperienza dolorosa; osservazione in parte condivisa anche fa Jensen et al. (2010), che riconoscono il potere predittivo dei fattori psicosociali sia del livello del dolore che del livello di funzionalità del soggetto.

A prescindere dall’intensità dello stimolo, altre variabili che influenzano la spiacevolezza e quindi la sofferenza del soggetto (Ercolani & Pasquini, 2007): ci stiamo riferendo alle emozioni e in particolare a quelle negative, che sebrano essere maggiormente coinvolte nella relazione tra dolore e disabilità in questo tipo di pazienti (Robinson & O'Brien, 2010). A supporto di tale ipotesi alcuni autori hanno riportato dati relativi a una più alta incidenza di disturbi della sfera emotiva, quali ansia e depressione, in pazienti con dolore cronico, rispetto a soggetti privi di dolore (Robinson & Riley, 1999). La paura del dolore e l’ansia si sono infatti dimostrate predittive dell’adattamento al dolore cronico (Vlaeyen & Linton, 2000).

Alcuni ricercatori hanno individuato nei soggetti ansiosi una tendenza a sovrastimare il dolore, dimostrando come, dopo esposizioni ripetute a stimoli algici, la sovrastima del dolore tenda a corrispondere al dolore effettivamente esperito (McCracken, Gross, Sorg, & Edmands, 1993). La sovrastima sembra essere legata a un bias cognitivo: secondo Pincus & Morley (2001) i pazienti con dolore cronico processano in maniera selettiva le informazioni legate all’intensità dello stimolo algico. Questo bias sosterrebbe alcuni schemi legati al comportamento di malattia e al distress psicologico (Pincus & Morley, 2001). Come vedremo di seguito, tale ipotesi è sostenuta anche dalle conferme al modello di fear-avoidance (Vlaeyen et al. 1995; Vlaeyen & Linton, 2000).

A partire da questa osservazione, sono state successivamente trovate correlazioni interessanti tra ansia, paura del dolore e alti livelli di dolore riferito (Keefe et Al., 2004); gli stessi autori hanno inoltre dimostrato come più alti livelli di ansia e paura del dolore si accompagnino con un’aumentata focalizzazione dell’attenzione sulle sensazioni di dolore, con più alti livelli di disabilità e

(25)

25

depressione e come correlino con una diminuzione delle capacità di adattamento psicologico.

La funzione evolutiva del dolore è quella di segnalare un pericolo all’integrità fisica e alla sopravvivenza dell’individuo; rappresenta dunque un segnale di allarme che, una volta attivato, focalizza l’attenzione del soggetto, interrompendo le normali attività. La percezione di una situazione come minacciosa o pericolosa innesca comportamenti di fuga ed evitamento, connotati da ansia e paura; nel dolore cronico questa funzione adattiva si perde, poiché la sorgente dello stimolo non può essere rimossa e non è possibile fuggire da essa. Il dolore diventa quindi un segnale continuo di allerta che interrompe costantemente l’attenzione del soggetto. Proprio questo meccanismo alterato, secondo Ercolani & Pasquini (2007), costituisce la premessa su cui si sviluppano i sintomi clinici di depressione, del ritiro dalla vita sociale, di evitamento del dolore e del movimento. Inoltre Van Damme et al. (2004) notano come i pazienti rimangano bloccati nel persistente fallimento di trovare sollievo al dolore; questa convinzione tuttavia aumenta la frustrazione e la disabilità, rendendo di fatto la paura del dolore più invalidante del dolore stesso (Van Damme et. al., 2004; Ercolani e Pasquini, 2007). Come vedremo in

seguito, questi dati supportano l’impianto teorico delle terapie

comportamentali di terza generazione, i cui obiettivi perseguono l’accettazione piuttosto che l’evitamento del dolore.

Per comprendere come l’ansia e la paura del dolore possano effettivamente influire sulla qualità di vita dei soggetti con lesione spinale, vale la pena analizzare il modello di fear-avoidance avanzato da Vlaeyen et al. (1995). Secondo questo modello, i soggetti che hanno sperimentato una lesione sviluppano credenze di paura-evitamento in relazione al timore della ricomparsa del dolore. Ciò sarebbe influenzato dalle precedenti esperienze di dolore e dalle convinzioni del soggetto in merito, dall’attuale livello di stress, dal comportamento legato al dolore e da tratti specifici di personalità (Vlaeyen et al., 1995). In sintesi, queste convinzioni di paura-evitamento sostengono nel

(26)

26

soggetto un comportamento di evitamento di quelle azioni e attività che potrebbero esacerbare il dolore; portano quindi al soggetto una disabilità aggiuntiva (Ercolani & Pasquini, 2007). La correlazione tra dolore e convinzioni è stata confermata da Jensen et al. (2011), che hanno condotto una revisione della letteratura in merito all’associazione tra fattori psicosociali e adattamento al dolore cronico. Vlaeyen & Linton (2000) confermano il modello, mostrando come le credenze di paura-evitamento modificherebbero il processamento sensoriale: alti livelli di credenze porterebbero il soggetto a sviluppare percezioni dolorose abnormi, aumentando di fatti la sensibilità al dolore stesso.

2.3 Supporto e partecipazione sociale

Il supporto sociale assume notevole importanza nella modulazione dell’esperienza dolorosa (Jensen et al., 2010): chi lo riceve può essere indotto ad adottare strategie di coping più efficaci, grazie ad una migliore comprensione dei problemi, e ad aumentare la propria motivazione all’azione (Stanton et al., 2007). In aggiunta, la presenza di numerosi affetti positivi ridurrebbe l’intensità della relazione tra dolore ed emozioni negative (Stanton et al., 2007).

Il supporto può incoraggiare comportamenti positivi nei confronti della salute oppure minimizzare i comportamenti a rischio; infine può diminuire la reattività psicologica allo stress (Stanton et al., 2007). Sebbene le relazioni intime costituiscano una fonte protettiva di supporto, tali rapporti possono essere caratterizzati da incomprensioni, disappunto e rivalità (Stanton et al., 2007). Più ricercatori hanno hanno sottolineato come il supporto sociale possa diventare a tutti gli effetti un’arma a doppio taglio, determinando nei casi di rapporti conflittuali più effetti negativi che benefici sull’individuo (Revenson et Al., 1991; Summers et Al., 1991; Newsomet Al., 2008; Coty & Wallston, 2010). Per citare un esempio rappresentativo, Zatura et al. (1997) e Zatura & Smith (2001) hanno

(27)

27

dimostrato come lo stress interpersonale tenda a precedere picchi di dolore e aumenti dell’attività della malattia in soggetti con patologie reumatiche.

McClelland & McCubbin (2008) hanno sottolieato che il livello di supporto sociale modifica di fatto la percezione e la stima del dolore, confermando, in tal modo, il ruolo giocato dal rinforzo sociale nel mantenimento delle sindromi da dolore cronico. L’influenza del supporto sociale è stata inoltre indagata da McCracken (2005), il quale ha studiato l’influenza delle risposte negative da parte dei caregiver primari (sollecitazioni e rimproveri), trovando una correlazione negativa con il dolore; tale correlazione risulta indipendentemente dall’età del soggetto, dalla sua scolarità, dall’intensità del dolore e dal supporto sociale generale.

Conseguentemente ad una lesione midollare, assistiamo ad una ridefinizione del ruolo sociale ricoperto dall’individuo e a una modifica delle sue interazioni con il resto della comunità; tale cambiamento è illustrato dalla partecipazione sociale e dal livello di funzionamento raggiunto (Kennedy et al., 2006). Quanto emerso in letteratura, ci informa che i soggetti con lesioni spinali, alle quali si associa dolore cronico, mostrano livelli più bassi di funzionamento sociale rispetto a quelli senza dolore (Ataoglu et al., 2013). L’influenza di questo aspetto sul benessere e sulla qualità di vita si riflette attraverso la minore partecipazione ad attività piacevoli; Lee & McCormick (2004) hanno difatti trovato che la scarsa frequenza di partecipazione ad attività ricreative influenza negativamente il benessere percepito dai soggetti. A seguito della lesione si verifica una drastica riduzione dell’attività lavorativa e ricreativa (Schonherr et al., 2005; Tasiemski et al., 2000); non solo, è stato anche osservato come vi sia anche una certa discontinuità nello svolgimento delle attività piacevoli (Dew et al., 1983; Kleiber, et al., 1995; Lee et al., 1996; Stambrook et al., 1991). La mancata capacità di portare avanti tali attività diventa un aspetto determinante dell’esperienza di malattia, dal momento che bassi livelli di partecipazione sociale risultano predittividi di una più scarsa qualità di vita (Fossati, 1990; Krause & Crewe, 1987). Considerando questi risultati di ricerca, la possibilità della persona di

(28)

28

intraprendere frequentemente attività piacevoli può essere più importante del tipo di attività svolta. Non a caso il coinvolgimento in attività sociali può essere utilizzato sia come una distrazione dal dolore sia come un metodo per incrementare il livello d’umore (Chevalier et Al., 2009). Il supporto sociale eserciterebbe quindi un effetto cuscinetto, non solo contro gli eventi stressanti, ma anche nella percezione stessa del dolore (Jackson et al., 1990; Lòpez-Martìnez et al., 2008); tale funzione protettiva si rapporterebbe alla qualità di vita del soggetto, attraverso il livello di soddisfazione: secondo Galvin e Godfrey (2001), persone con alti livelli di supporto sociale soddisfacente mostrano alti livelli di adattamento emozionale.

Sebbene il ritiro sociale possa essere motivato da dolore persistente e/o sostenuto dalla compresenza di disturbi dell’umore, è opportuno notare che in gran parte dei casi vi sia invece una certa motivazione da parte soggetti alla partecipazione sociale; questa volontà questa verrebbe tuttavia vanificata da difficoltà di tipo logistico: difatti la problematica gestione degli spostamenti, i costi di mobilità e la presenza di barriere architettoniche costituiscono il principale ostacolo alla partecipazione sociale e alle opportunità occupazionali (Galvin & Godfrey, 2001; Kennedy et al., 2006; Kennedy et al., 2010). Infine le difficoltà riscontrate nel muoversi liberamente all’interno della società sono state associate alla disoccupazione, all’aumento di problematiche secondarie, alla solitudine e alla bassa autostima (Kennedy et al., 2006).

2.4 Il Coping

Almeno altrettanto importanti, nell’influenzare la qualità di vita, sembrano rivelarsi le strategie di coping (Elfstrom et al., 2005); esse si sono dimostrate in grado di modificare i livelli di distress psicologico, i comportamenti legati al dolore e la funzionalità fisica dei pazienti (Boothbyet al., 1999; Keefe et al., 2004). Chevalier et al. (2009) hanno confermato la stabilità delle strategie di

(29)

29

coping nel corso del tempo, sottolineando la necessità di valutazioni puntuali nelle prime fasi successive alla lesione, e poi nel corso del processo riabilitativo, al fine di monitorare l’adattamento del soggetto.

L’efficacia delle diverse strategie è stata ampiamente indagata nel corso degli ultimi anni e quanto emerso rivela che per la maggior parte delle persone si rivelano funzionali all’adattamento quegli sforzi incentrati sul coinvolgimento attivo, sul problem solving e sull’accettazione (Galvin & Godfrey, 2001; Jiao et al., 2012; McCracken et Al., 1999; McCracken & Turk, 2002; McCracken & Eccleston, 2005). Allo stesso tempo, le strategie centrate sulle emozioni e sulla minimizzazione dei problemi sembrano associarsi a più bassi livelli di adattamento (Galvin & Godfrey, 2001); a queste si aggiungono anche le strategie basate sull’evitamento parliamo in questo caso di strategie incentrate sul riposo (Jensen et al., 2011). Non possiamo però limitarci a questa osservazione, dal momento che il coping si costituisce come processo dinamico, in cui le stesse strategie potrebbero risultare efficaci in un dato momento e non in un altro (Galvin & Godfrey, 2001; Stanton et al., 2007). Come altri autori hanno già sottolineato, le strategie di coping sono determinate in parte dalle convinzioni che il soggetto ha sul dolore (DeGood & Trait, 2001); abbiamo già parlato di come queste convinzioni possano modificare la percezione, tuttavia le correlazioni si estendono anche ad altri aspetti rilevanti, quali il grado di limitazione funzionale e la capacità di adattamento (Arntz & Claassens, 2004; Denison et al., 2004; Ercolani & Sarti, 2000; Galvin & Godfrey, 2001; Williams & Keefe, 1991; Vuuren et al., 2006). In considerazione di questo punto, possiamo sostenere che un intervento mirato sul potenziamento delle strategie di coping si riverbererebbe in maniera positiva sugli ambiti appena descritti.

(30)

30

3.5 Il trattamento del dolore cronico

In generale una chiara e corretta identificazione della causa del dolore permette di indirizzare efficacemente gli forzi dei clinici; ma anche quando ciò è possibile non è detto che vi siano a disposizione farmaci efficaci, specialmente sul lungo termine. In ogni caso il trattamento elettivo è quello farmacologico, che prevede un protocollo differenziato in base all’intensità del dolore. I farmaci di prima scelta sono gli analgesici comuni (salicilati, antinfiammatori non steroidei, paracetamolo), efficaci nel caso di dolori lievi e moderati. Nel caso di dolori moderati-severi, la scelta ricade invece sugli oppioidi deboli di derivazione non morfinica; mentre per dolori di intensità elevata vengono impiegati oppioidi morfinici (Castelnuovo, et al., 2010). Altri farmaci trovano il loro impiego nel caso particolare del dolore neuropatico, si tratta di antiepilettici (gabapentin e pregabalin), antidepressivi triciclici e anestetici locali capaci di bloccare o normalizzare la trasmissione degli impulsi nervosi, e quindi del dolore (Attal et Al., 2009; Howland, 2007; Finnerup, 2013).

Alcuni pazienti presentano un dolore persistente, che non risponde all’impiego della maggior parte dei farmaci. Nei casi che lo permettono, da anni ormai, viene proposto l’impianto di elettrodi che stimolino direttamente il midollo spinale. Si tratta di un minuscolo generatore elettrico, posto sotto la pelle, i cui elettrodi vengono inseriti direttamente nei fasci nervosi del midollo spinale. Anche se non si è ancora raggiunta una piena comprensione dei meccanismi di azione alla base del processo, questo approccio ha dimostrato la sua efficacia a lungo termine nel trattamento sintomatico di numerose forme croniche di dolore (Barolat, 2000; Cameron, 2004).

(31)

31

3.3.1 Approccio psicologico

Negli ultimi anni molto interesse è sorto nei confronti delle terapie comportamentali di seconda (Cognitive-Behavioral Therapy) e terza generazione (Acceptance and Commitment Therapy; Mindfulness), poiché si è cominciato ad applicarne i principi di queste terapie anche al trattamento di pazienti con dolore cronico. Vi sono studi incoraggianti, che confermano l’efficacia della terapia cognitivo - comportamentale nel ridurre la sofferenza dei pazienti e nell’accrescere il loro funzionamento nella vita quotidiana (Lau et Al., 2002; McCracken & Turk, 2002).

Terapie che trattano direttamente variabili quali umore e cognizioni possono aiutare ad incrementare la qualità di vita di persone con lesioni midollari associate a dolore cronico (Nicholson Perry et al., 2009). Questo genere di interventi, basati sui principi cognitivo - comportamentali, sono ormai assunti come parte integrante del trattamento di soggetti con dolore cronico (Nicholson Perry et al., 2009)

La Cognitive-Behavioral Therapy (CBT) fa parte delle tecniche di seconda generazione e prevede un intervento volto a far comprendere al paziente la relazione esistente tra il dolore e le variabili cognitive, affettive e fisiologiche. Oltre a questo, il fulcro della CBT verte sul ristrutturare i processi di pensiero considerati disadattavi, fornendo al soggetto gli strumenti necessari per gestire i propri pensieri, le proprie emozioni ed i propri comportamenti (McGinn & Sanderson, 2001). Nella pratica la CBT si avvale dell’utilizzo di varie tecniche, quali l’immaginazione guidata, il rilassamento, la ristrutturazione cognitiva ed il problem solving (Galeazzi & Meazzini, 2004).

La Mindfulness fa invece parte delle terapie di terza generazione e deriva dalle pratiche di meditazione orientale, dalle quali trae l’approccio esperienziale. Attraverso l’osservazione non giudicante, si induce il soggetto a prendere consapevolezza del momento presente, dei propri pensieri e delle proprie azioni (Kabat-Zinn, 1990).

(32)

32

L’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) si basa sul concetto di contestualismo funzionale (Hayes, 2004), ossia di un’analisi del momento presente in cui l’azione ed il contesto sono parti integranti l’uno dell’altro. Volendo approfondire, diremo che un atto, sia esso pensiero o azione, assume significato in base alla funzione che esso ricopre nel particolare contesto del soggetto; per tale motivo spesso i pazienti perseverano in comportamenti apparentemente patologici: perché essi sostengono l’equilibrio funzionale del soggetto in quella particolare circostanza (Hayes & Pierson, 2005). L’ACT fonda le sue basi sulla Relational Frame Theory (RFT), una teoria comportamentale del linguaggio e del pensiero, attraverso la quale il linguaggio viene considerato il più grande vantaggio dell’uomo e allo stesso tempo come la primaria fonte di sofferenza (Hayes & Pierson, Acceptance and Commitment Therapy, 2005). E’ attraverso il linguaggio che riviviamo esperienze dolorose e rimaniamo bloccati in preoccupazioni malsane; il problema si presenta, dunque, quando i pensieri guidano rigidamente i comportamenti a prescindere dalle diverse esperienze (Hayes, 2004). La tendenza comune, di fronte ad un problema, è quella di capire come attaccarlo ed eliminarlo; questo schema d’azione è mediato dalla natura del linguaggio umano e ha significato adattivo nei confronti dell’ambiente esterno (Hayes, 2004; Hayes & Pierson, 2005). Tale strategia, tuttavia, fallisce quando la si tenta di applicare alle esperienze interne dolorose; gli sforzi compiuti per allontanare la sofferenza interiore, hanno solitamente l’effetto di amplificare il dolore, trasformando l’esperienza in qualcosa di traumatico (Hayes & Pierson, 2005). Ciò che accomuna le terapie di terza generazione è proprio l’accettazione degli eventi e dei pensieri e in tal proposito McCracken et al. (1999) hanno dimostrato che l’accettazione del dolore, piuttosto che l’evitamento o la ricerca spasmodica di controllo su di esso, si associa ad un migliore funzionamento fisico, emozionale, sociale e lavorativo.

(33)

33

3.3.2 Ipnosi

L’analgesia indotta attraverso ipnosi è stata utilizzata in molte condizioni cliniche diverse per il trattamento del dolore, sia acuto che cronico. Gli studi hanno compreso ricerche su popolazioni di pazienti con lesioni spinali, malattie cardiache e post chirurgici odontoiatrici (Accardi et al., 2013).

L’efficacia degli interventi basati sull’ipnosi è stata dimostrata in diversi studi (Melis et al., 1991; Jensen et al., 2008; Simon & Lewis, 2000), e la sua applicazione al dolore cronico può migliorare in maniera significativa la qualità di vita dei pazienti e ridurre l’impatto economico della disabilità connessa al dolore (Accardi et al., 2013). L’ipnosi che viene applicata a persone con dolore cronico si limita ad una suggestione di base per la riduzione del dolore (Accardi et al., 2013); tuttavia Patterson & Jensen (2003) avvertono che questa suggestione non riesce a contenere la complessità degli aspetti del dolore cronico. La suggestione ipnotica agirebbe attraverso i meccanismi psicologici che contribuiscono ad esacerbare e mantenere il dolore cronico (Patterson & Jensen, 2003).

(34)

34

3

Lo Studio

3.1 Obiettivo dello studio

Come abbiamo sottolineato nella parte introduttiva, il dolore spesso si accompagna alle lesioni spinali, comparendo anche a distanza di anni dall’esordio della lesione. Per le sue caratteristiche è un tipo di dolore che difficilmente può essere trattato, sia con i farmaci che con altri tipi di intervento, e che incide in maniera significativa sulla qualità di vita della persona.

Per questo motivo, è cresciuto l’interesse verso i trattamenti non farmacologici del dolore cronico. Nel nostro progetto di ricerca è stato messo a punto un protocollo di psicoterapia di tipo integrato, il quale rientra in un più vasto progetto interdisciplinare che ha incluso sedute di esercizi di fisioterapia e di induzione ipnotica. Obiettivo del presente studio è stata pertanto la valutazione dell’efficacia di un trattamento integrato del dolore cronico, tenendo conto di misure del dolore medesimo e di variabili psicologiche significative, quali il benessere psicologico, la qualità di vita, le strategie di coping e il supporto sociale.

3.2 Materiali e metodi

I pazienti hanno preso parte allo studio in modo volontario e sono stati reclutati presso la S. D. Centro Mielolesi dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. I criteri di inclusione nello studio hanno previsto la presenza di dolore intenso poco suscettibile al trattamento farmacologico (Punteggio alla scala VAS ≥ 5) e la disponibilità, sul piano logistico, a recarsi presso l’unità ospedaliera per tutto il periodo del trattamento e del follow-up. Questo punto non è di

(35)

35

secondaria importanza, poiché la frequenza assidua e la disponibilità di mezzi e accompagnatori rappresenta un limite alla partecipazione dei soggetti con problemi di questo tipo. Sono stati esclusi dallo studio pazienti con concomitante grave disturbo psichiatrico o altra patologia che potesse limitarne gli spostamenti.

Il campione dei soggetti eleggibili è costituito di 8 pazienti, di cui 5 maschi e 3 femmine. L’età dei partecipanti varia da un minimo di 44 ad un massimo di 71, M = 57,5 DS = 8,99 per i maschi e M = 57,33 DS = 12,58 per le femmine.

Quasi tutti i soggetti sono coniugati (75%), fatta eccezione per 2 di loro (25%). Tutti i partecipanti sono soggetti in fase cronica di trattamento con un tempo trascorso dal momento della lesione di almeno 1 anno; sono affetti da dolore cronico da almeno 6 mesi e per alcuni di essi il dolore si è presentato a distanza di qualche anno dalla lesione.

Le cause principali delle lesioni sono: incidenti durante l’esecuzione di attività sportive, incidenti sul luogo di lavoro, incidenti domestici o stradali, eventi vascolari e malattie infiammatorie del midollo spinale.

I soggetti sono stati suddivisi in due gruppi: il primo ha seguito subito il percorso di trattamento, mentre il secondo è stato messo in lista di attesa. Terminato il ciclo del primo gruppo, si è passati a trattare il secondo gruppo. Ad entrambi i gruppi è stata somministrata una batteria di test sia in fase preliminare (tempo 1, baseline) che successivamente al completamento del ciclo di incontri (tempo 2). Infine è stata prevista una fase di follow up a distanza di 4 mesi per entrambi i gruppi sperimentali.

Il trattamento a cui i soggetti si sono sottoposti prevedeva un ciclo di incontri a cadenza settimanale, per la durata di 90 minuti ciascuno, su un totale di 8 sedute. Durante queste sessioni veniva proposta ai partecipanti una psicoterapia di tipo integrato. Il protocollo ha combinato tecniche di intervento provenienti dai modelli di terapia sistemico–relazionale, cognitivo– comportamentale e cognitiva di terza generazione (Acceptance and Committment Therapy, Mindfullness), ponendosi come scopo precipuo il

(36)

36

miglioramento della qualità di vita dei pazienti e la capacità di gestire il dolore cronico. L’efficacia di queste tecniche è stata ampiamente discussa nel capitolo 2 dedicato al trattamento del dolore cronico.

3.2.1 Il protocollo di psicoterapia

I seduta: Presentazione dei partecipanti, dei conduttori del gruppo e del

trattamento nell’ambito del quadro generale del progetto. Raccolta di dati anagrafici e anamnestici. Prima valutazione della partecipazione sociale e lavorativa e delle aspettative rispetto all’intervento.

II seduta: Ricognizione delle soluzioni e dei trattamenti precedentemente

tentati per il sollievo dal dolore. Riflessione sull’impatto del dolore, e dei tentativi di contrastarlo, sulla qualità della vita. Esercizio “struggle with pain” (Tab. 3.1).

Tabella 3.1 Struggle with pain

Cosa ho cercato di fare per ridurre o controllare il mio dolore? Risultati a breve termine. Si sono ridotti i sintomi? Risultati a lungo termine. Mi sono avvicinato di più al modo in cui vorrei vivere la mia vita?

Cosa mi ha insegnato l’esperienza?

III-IV seduta: Valutazione delle relazioni familiari ed extra-familiari (Family

Life Space, Ecomappa)1. Riflessioni sui rapporti tra sintomi, qualità della vita e qualità delle relazioni interpersonali. Riflessione sugli stili comunicativi e sulla pragmatica della comunicazione.

1

Si tratta di strumenti grafici per la valutazione della qualità e quantità delle relazioni familiari e sociali (Gozzoli & Tamanza, 1998; Hartman, 1978).

(37)

37

V seduta: Esercizi di mindfullness e riflessione sulle implicazioni della

consapevolezza del momento presente.

Tabella 3.2 Abitudini associate al dolore 1

Le mie abitudini associate al dolore

1._____________________________________________________________________ __ 2._____________________________________________________________________ __ 3._____________________________________________________________________ __ 4._____________________________________________________________________ __ 5._____________________________________________________________________ __

Tabella 3.3 Abitudini associate al dolore 2

Abitudini Benefici Costi

Tabella 3.4 Abitudini associate al dolore 3

Abitudine_______________________________________________________________ ___ Quando si verifica _______________________________________________________________________ _______________________________________________________________________ _______________________________________________________________________ ___________________ Risposta alternativa

Benefici che otterrò dal cambiamento

_______________________________________________________________________ _______________________________________________________________________ _______________________________________________________________________ ___________________________

(38)

38

VI seduta: Analisi delle abitudini e del loro rapporto con l’esperienza del

dolore. Esercizio sugli obiettivi di cambiamento delle abitudini dannose (Tab. 3.2, 3.3, 3.4).

VII seduta: Analisi dei valori personali e della qualità di vita soggettivamente

percepita. Esercizi Values clarification exercise e Values-based action exercise (Tab. 5, Tab. 6).

VIII seduta: Riflessioni conclusive e chiusura dei lavori.

Tabella 3.5 Values clarification exercise

Ambito Valore Importanza Successo Ordine

Famiglia 1. 2. Relazioni intime 1. 2. Amici 1. 2. Lavoro e attività 1. 2. Salute 1. 2. Crescita personale 1. 2.

(39)

39

Tabella 3.6 Values-based action exercise

Ambito/valore Obiettivi Azioni Ostacoli

Famiglia 1. 2. Relazioni intime 1. 2. Amici 1. 2. Lavoro e attività 1. 2. Salute 1. 2. Crescita personale 1. 2.

3.2.2 Strumenti di valutazione

Gli aspetti fondamentali indagati sono stati dunque la dimensione “Dolore”, valutata mediante il Questionario Italiano del Dolore (QUID), e le dimensioni psicologiche del benessere psicologico, della qualità della vita, delle strategie di coping e del supporto sociale, mediante i questionari sottoelencati:

Psychological Well-Being Short Form (PWB) (Riff & Keyes, 1995; versione italiana Ruini et. Al., 2003):Si tratta di un questionario suddiviso in sei scale che rappresentano le seguenti dimensioni di benessere psicologico: auto-accettazione, autonomia, competenza ambientale, crescita personale, scopo nella vita, relazioni positive. Lo scoring avviene sommando il valore delle risposte per ciascuna categoria (circa la metà dei punteggi vanno ribaltati). Per ogni dimensione un punteggio elevato indica la padronanza di tale area nella

Riferimenti

Outline

Documenti correlati

Penso che queste attività possano portare un miglioramento della relazione tra i membri di una coppia o di un gruppo in quanto mettono i bambini in condizione

La presenza di protocolli dedicati alla gestione del dolore in PS e di protocolli per la gestione autonoma da parte degli infermieri dell’analgesia è indicato come facilitatore

In this Section, we discuss the Apriori algorithm to find association rules, and we propose the novel Importance Index to identify interactors of a target item in the rules, where

For all these reasons, in patients with ovarian endo- metriosis, methods to inhibit ovulation and/or to reduce retrograde menstruation should be strongly encouraged if indicated,

Infine, le evidenze disponibili sul tratta- mento del dolore cronico sono estremamente frammen- tate e, di conseguenza, manca una sintesi di riferimento in grado di fornire

Problem formulation: Given a data set with uncertain values and an al- lowed budget of posable questions, determine the set of questions (to be posed to a crowd) that minimizes

Il numero dei partecipanti è stato molto piccolo, ma se si potesse ampliare lo studio chiedendo la collaborazione ad altri ospedali della provincia e fuori, si potrebbe recuperare un

In this paper we have focused on the steady state effects of the regulation of wages on economic growth, welfare and fertility within a conventional neoclassical OLG model. Our