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Le intercettazioni fra esigenze repressive, tutela della riservatezza e immunità della politica

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

LE INTERCETTAZIONI FRA ESIGENZE REPRESSIVE,

TUTELA DELLA RISERVATEZZA E IMMUNITA’ DELLA

POLITICA

Il Candidato Il Relatore

Francesca Marchini Chiar.ma Prof.ssa Elena Malfatti

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INDICE

INTRODUZIONE ... 7

CAPITOLO PRIMO

INTERCETTAZIONI TELEFONICHE E PRINCIPI COSTITUZIONALI

1. Libertà e segretezza delle comunicazioni ed esigenze di repressione dei reati

1.1. Premessa ... 11 1.2. Sviluppo storico dell‟art. 15 della Costituzione: i lavori preparatori ... 12 1.3. Contenuto e oggetto della libertà di comunicazione ... 15 1.4 Le limitazioni alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni: riserva di

giurisdizione e di legge ... 18 1.5. Limitazioni alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni disposte nel codice

di procedura penale: la disciplina delle intercettazioni telefoniche e la sua compatibilità con il dettato costituzionale ... 22

2. La diversa disciplina prevista in materia di intercettazioni dei parlamentari dall‟art. 68, 3° comma, Cost.

2.1. Premessa ... 28 2.2. L‟art. 68 nei lavori preparatori dell‟Assemblea costituente: il fondamento

dell‟inviolabilità parlamentare ... 29 2.3. Problematiche suscitate dall‟art. 68 Cost.: analisi della prassi parlamentare in

materia di concessione o diniego delle richieste di autorizzazione a procedere ... 35 2.4 La riforma dell‟art. 68 Cost. attuata con la legge cost. n. 3/1993 e l‟introduzione di

una specifica autorizzazione ad acta per sottoporre i membri del Parlamento a intercettazioni di conversazioni o comunicazioni ... 38

3. Il difficile bilanciamento tra diritto alla riservatezza e diritto di informazione: il problema della divulgazione del contenuto delle intercettazioni

3.1. Premessa ... 41 3.2. La disciplina prevista dal codice di procedura penale del 1988 in materia di

pubblicazione del contenuto di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni: snodi problematici ... 43 3.3. Riservatezza, diritto di informazione e intercettazioni ... 48 3.4 I progetti di riforma della disciplina delle intercettazioni ... 59

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CAPITOLO SECONDO

INTERCETTAZIONI TELEFONICHE E IMMUNITÀ PARLAMENTARI

1. Le intercettazioni nei confronti dei membri del Parlamento nella legge n. 140/2003 (“Lodo Maccanico-Schifani”)

1.1. Premessa ... 68

1.2. Intercettazioni dirette e indirette (o casuali) ... 71

1.3. La disciplina dei tabulati telefonici ... 79

1.4 La richiesta di autorizzazione alla Camera competente ... 83

2. Giurisprudenza costituzionale e prassi parlamentare 2.1. Il caso Colombo (sent. n. 163/2005, Corte cost.): è inapplicabile al nuncius la disciplina delle intercettazioni riguardanti il parlamentare ... 89

2.2. L‟ordinanza n. 389/2007 della Corte costituzionale: il regime delle autorizzazioni non si applica a chi non era un parlamentare nel momento in cui venne casualmente intercettato ... 93

2.3. L‟importante sentenza della Corte costituzionale n. 390/2007: l‟annullamento dell‟obbligo di distruzione integrale del contenuto delle intercettazioni “casuali” .. 97

2.4 Le difficoltà di individuare il confine tra intercettazioni dirette, indirette e casuali alla luce della sent. n. 390/2007: l‟atteggiamento di revirement della Corte costituzionale ... 105

2.5. Condizioni legittimanti della richiesta di autorizzazione e criteri che il Parlamento deve utilizzare per stabilire se accogliere o meno la richiesta dell‟Autorità giudiziaria: dalla sent. n. 188/2010 alla recente pronuncia n. 74/2013 della Corte costituzionale ... 110

2.6 “Giurisprudenza parlamentare” in materia di intercettazioni (ex art. 68, 3° comma Cost.) dal 1993 ad oggi ... 122

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CAPITOLO TERZO

IL REGIME DELLE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE RISPETTO AD ALTRI ORGANI COSTITUZIONALI

1. Sottoposizione a intercettazioni telefoniche dei ministri e del Presidente del Consiglio dei ministri nei procedimenti per i reati indicati nell‟articolo 96 della Costituzione

1.1. Premessa ... 145 1.2. Le origini e il tramonto degli istituti della c.d. “giustizia politica” nell‟ambito

della responsabilità penale dei membri del Governo ... 147 1.3. La riforma costituzionale del 1989 e la previsione di una particolare

“autorizzazione a procedere” per i reati ministeriali: differenze rispetto a quella prevista per i parlamentari dall‟art. 68, 2° comma Cost. nella sua originaria formulazione ... 154 1.4 L‟autorizzazione “ad acta” necessaria per sottoporre i membri del Governo ad

intercettazioni telefoniche e il caso dei ministri-parlamentari ... 163

2. Intercettazioni e status del Presidente della Repubblica

2.1. Premessa ... 171 2.2. Giudizio sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica: il regime

delle intercettazioni come risultante dalla normativa di attuazione ... 175 2.3. Il caso dell‟intercettazione telefonica indiretta del Presidente Scalfaro ... 180 2.4. Il conflitto di attribuzioni tra il Presidente Napolitano e la Procura di Palermo

(sent. n. 1/2013, Corte cost.) ... 185

3. Immunità procedurale garantita ai giudici della Corte costituzionale

3.1. Premessa ... 197 3.2. Sulla natura del rinvio contenuto nell‟art. 3, comma 2 della legge costituzionale n.

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CAPITOLO QUARTO

INTERCETTAZIONI E IMMUNITA‟ PARLAMENTARI: L‟ISTITUTO NEL PANORAMA EUROPEO E INTERNAZIONALE

1. La disciplina prevista per i parlamentari europei

1.1. Premessa ... 204

1.2. Le immunità dei membri del Parlamento europeo tra fonti interne e fonti comunitarie: il regime delle intercettazioni ... 206

1.3. “Giurisprudenza” parlamentare europea in materia di intercettazioni a carico di eurodeputati: il caso Marchiani e il caso D‟Alema ... 214

2. Breve indagine comparata in materia di intercettazioni a carico dei membri del Parlamento 2.1. Premessa ... 222

2.2. La risposta del Regno Unito e degli USA al problema delle intercettazioni disposte nei confronti di membri del Parlamento ... 225

2.3. L‟esperienza francese “sull‟onda” di quella italiana: il regime delle intercettazioni dirette e casuali nei confronti dei parlamentari ... 232

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE ... 238

BIBLIOGRAFIA ... 247

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INTRODUZIONE

Il presente elaborato ha ad oggetto l‟analisi dei più significativi aspetti di rilevanza costituzionale connessi alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni: uno strumento investigativo che, negli ultimi anni, è stato al centro di accese polemiche e prospettive di riforma.

Non si deve dimenticare, infatti, che lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e l‟utilizzo di tecniche di captazione sempre più avanzate hanno determinato, al contempo, nuove opportunità di confronto interpersonale, ma anche più penetranti forme di restrizione della libertà e segretezza delle comunicazioni ponendo, sul piano dei limiti delle garanzie costituzionali, innumerevoli problematiche specie in ordine ai rapporti tra l‟art. 15 della Costituzione e l‟utilizzo di mezzi di ricerca della prova fortemente limitativi dei diritti e delle libertà del singolo.

In particolare, le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, pur rappresentando un efficace mezzo di ricerca della prova, comportano, allo stesso tempo, un‟evidente invasione nella sfera di riservatezza del cittadino: da qui la necessità di bilanciare, da un lato, le esigenze di prevenzione e repressione dei reati a fini di sicurezza e controllo sociale, dall‟altro, la tutela dei soggetti privati in relazione alla loro privacy.

La prima parte del lavoro è, per questo, dedicata all‟esame di quelle che sono le più significative problematiche in ordine alla compatibilità con il dettato costituzionale della disciplina contenuta nel codice di procedura penale del 1988 in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, e quindi le questioni relative al bilanciamento di interessi tra inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione ed esigenze di prevenzione e repressione dei reati, nonché tra privacy e pubblicità dei processi penali.

Sarà, dunque, necessario, preliminarmente, ricostruire la portata della garanzia costituzionale delle comunicazioni riservate, al fine di stabilire quale sia il confine, in ordine alle restrizioni da essa ammissibili, tra legittime esigenze di repressione penale e utilizzo strumentale o arbitrario delle stesse; soltanto alla luce della stessa, infatti, sarà possibile cogliere i più significativi punti critici della disciplina codicistica in materia di intercettazioni, tra i quali quello relativo alla pubblicità degli atti d‟indagine è sicuramente il più importante e il più discusso.

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E‟ proprio attorno a questo aspetto, infatti, che ruotano i più recenti progetti di riforma, dal d.d.l Mastella, al d.d.l Alfano, sino ad arrivare a quelli presentati nel corso di questa legislatura e attualmente all‟esame delle Camere. Tutti mossi da un comune intento: quello di limitare la possibilità che gli atti d‟indagine, tra cui i verbali delle intercettazioni, possano fuoriuscire dal circuito procedimentale ed essere pubblicati indiscriminatamente dagli organi di stampa. Esigenza particolarmente sentita, se si considera che la prassi degli ultimi anni ha fatto registrare un incremento notevole dei casi in cui il contenuto delle conversazioni captate è stato divulgato a mezzo stampa, con conseguente violazione del segreto istruttorio e della riservatezza dei soggetti coinvolti, talora addirittura estranei alle vicende giudiziarie.

Solo dopo aver analizzato questi aspetti connessi alla disciplina delle intercettazioni prevista, in generale, nei confronti dei quivis de populo e contenuta nel codice di procedura penale del 1988, l‟attenzione sarà posta su un tema che, negli ultimi anni ha fatto molto parlare di sé: quello relativo all‟utilizzo di strumenti d‟indagine particolarmente invasivi, quali le intercettazioni, nei confronti di soggetti titolari di prerogative costituzionali. Da questo punto di vista verranno esaminate le discipline previste dalla Carta costituzionale (e dalle rispettive norme di attuazione) nei confronti dei più importanti “attori” istituzionali dell‟ordinamento italiano: dai parlamentari, ai membri del Governo, al Presidente della Repubblica, sino ad arrivare ai giudici della Corte costituzionale.

Il secondo capitolo del presente elaborato è, infatti, interamente dedicato all‟analisi del delicato rapporto tra uso delle intercettazioni e immunità parlamentari: tema che si presenta particolarmente interessante se si considera che, a seguito della riforma costituzionale dell‟art. 68 (attuata con la legge cost. n. 3 del 1993), l‟uso di tale strumento investigativo viene subordinato ad un‟espressa autorizzazione della Camera di appartenenza, in modo da preservare la funzione parlamentare da indebite interferenze o condizionamenti. Si tratta di una previsione che, sin dalla sua entrata in vigore, è stata oggetto di critiche provenienti sia dal mondo istituzionale che accademico, anche se l‟attenzione dei commentatori si è posta soprattutto sulla relativa normativa di attuazione (la legge n. 140 del 2003), la quale opera un‟ingiustificata (e a tratti incostituzionale) distinzione tra intercettazioni “dirette” e “indirette”.

Da questo punto di vista, sarà, dunque, significativo l‟esame della successiva prassi parlamentare instauratasi e delle pronunce della Corte costituzionale rese in materia, le

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quali condurranno ad un progressivo “smantellamento” della configurazione originaria della legge in questione.

Al fine di garantire una più adeguata ed esauriente disamina del tema in esame, saranno, altresì, analizzati i più significativi orientamenti della “giurisprudenza” parlamentare dal 1993 (anno della riforma costituzionale) ad oggi, in modo da individuare, da una parte, i criteri seguiti dalle Camere nelle decisioni sulla concessione o meno dell‟autorizzazione, e il loro perfezionamento a distanza di vent‟anni dall‟introduzione della prerogativa; dall‟altra, le principali differenze tra le strade percorse dalle due Camere, senza dubbio espressione dei c.d. Interna Corporis.

Il lavoro proseguirà, come anticipato, con la disamina della disciplina prevista in materia di intercettazioni nei confronti dei Ministri e del Presidente del Consiglio dei Ministri, nell‟ambito dei procedimenti per i reati indicati dall‟art. 96 della Costituzione, contenuta nell‟art. 10 della legge cost. 16 gennaio 1989, n.1; il quale prevede espressamente che gli stessi non possano essere sottoposti a tali strumenti investigativi se non previa autorizzazione della Camera competente.

Per comprendere appieno la portata della disposizione e, con essa, le principali differenze rispetto all‟autorizzazione richiesta nei confronti dei parlamentari, sarà necessario compiere un breve excursus storico, in modo da cogliere le ragioni che hanno condotto ad abbandonare il sistema della c.d. “giustizia politica” e a ricondurre l‟accertamento dei reati compiuti dai membri dell‟Esecutivo nell‟ambito della giurisdizione ordinaria; nonché le ragioni che hanno indotto a mantenere nei loro confronti una peculiare tutela che si estrinseca, per l‟appunto, nella necessità di un‟autorizzazione da parte del Parlamento sia ai fini del procedere, sia allo scopo di compiere taluni atti investigativi, tra i quali le intercettazioni.

Solo successivamente saranno analizzate le speciali prerogative riconosciute al Capo dello Stato, le loro origini storiche e la ratio posta a fondamento delle stesse, con particolare attenzione alla disciplina sul procedimento d‟accusa e ai limiti in essa contemplati in ordine alla possibilità di sottoporre ad intercettazione le sue utenze. Tuttavia, sia le prerogative riconosciute in materia nei confronti dei membri del Governo che nei confronti del Presidente della Repubblica rivestono, ad oggi, valore puramente teorico, dato che non hanno mai trovato concreta applicazione.

Rispetto a questi organi di rilevanza costituzionale, infatti, le più accese polemiche hanno riguardato casi di diffusione a mezzo stampa del contenuto di intercettazioni disposte nell‟ambito di procedimenti a carico di terzi nelle quali essi comparivano come

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casuali interlocutori. Ne sono un esempio eclatante l‟affaire Napolitano e il “caso Ligresti” che ha coinvolto, più di recente, il ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri, ai quali sarà dedicata particolare attenzione nel corso della trattazione. Per completezza d‟indagine, non si possono trascurare, inoltre, le speciali prerogative di ordine procedurale riconosciute ai membri della Consulta dalla legge costituzionale n. 1 del 1948, le quali saranno analizzate per verificare se anche nei loro confronti, pur in assenza di una specifica disposizione sul punto, sussistano o meno dei limiti all‟utilizzo di mezzi di ricerca della prova particolarmente invasivi, quali le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.

Si tratta, com‟è evidente, di discipline che differiscono tra loro in maniera profonda e ciò è dovuto principalmente alla diversa origine e ratio delle immunità riconosciute agli organi costituzionali di vertice. Per quel che strettamente riguarda l‟inviolabilità dei membri del Parlamento, alla quale è stata dedicata particolare attenzione nell‟ambito di questo elaborato (anche, e soprattutto, alla luce delle più recenti pronunce della Corte costituzionale), è parso opportuno allargare l‟analisi al panorama sovranazionale e comparato.

Da un lato, infatti, sarà presa in esame l‟immunità parlamentare europea, in ragione dell‟accresciuta importanza del Parlamento, non solo come produttore di normativa ma anche come motore politico dell‟Unione, guardando, non soltanto ai principali aspetti di iterazione tra normativa interna e comunitaria, ma, altresì, ad alcuni casi concretamente affrontati dalla competente Commissione. Dall‟altra, invece, si prenderà in esame l‟esperienza di alcuni tra i più importanti ordinamenti democratici contemporanei, al fine di analizzare le rispettive soluzioni adottate in materia di intercettazioni a carico dei membri del Parlamento e cogliere, dunque, le principali differenze rispetto a quanto previsto dalla nostra Carta costituzionale.

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Capitolo primo

Intercettazioni telefoniche e principi costituzionali

1. Libertà e segretezza delle comunicazioni ed esigenze di repressione dei reati

1.1. Premessa

Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e l‟utilizzo di tecniche di captazione sempre più avanzate1 hanno determinato, al contempo, nuove opportunità di confronto interpersonale, ma anche più penetranti forme di restrizione della libertà e segretezza delle comunicazioni ponendo, sul piano dei limiti delle garanzie costituzionali, innumerevoli problematiche specie in ordine ai rapporti tra l‟art. 15 della Costituzione e l‟utilizzo di mezzi di ricerca della prova fortemente limitativi dei diritti e delle libertà del singolo.

In particolare, le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, pur rappresentando un efficace mezzo di ricerca della prova, comportano, allo stesso tempo, un‟evidente invasione nella sfera di riservatezza del cittadino: da qui la necessità di bilanciare, da un lato, le esigenze di prevenzione e repressione dei reati a fini di sicurezza e controllo sociale, dall‟altro, la tutela dei soggetti privati in relazione alla loro privacy.

Nessun diritto è infatti assoluto ma, al contrario, può subire dei contemperamenti e delle limitazioni in relazione al soddisfacimento di altre esigenze aventi anch‟esse rilevanza costituzionale; a tal proposito l‟art. 15 della Costituzione, pur affermando al primo comma il principio della inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, al secondo comma stabilisce le condizioni alle quali tale diritto può essere limitato2, ed è proprio a queste prescrizioni che il legislatore penale deve uniformarsi nel delineare la disciplina in materia di intercettazioni telefoniche.

Poiché, nel presente elaborato, ci si soffermerà in particolare sugli aspetti di rilevanza costituzionale connessi alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni e

1 Se inizialmente era possibile soltanto inserirsi in comunicazioni via cavo, facendo sì che il segnale fosse percepito anche nel ricevitore dell‟autorità intercettante oltre che dell‟intercettato, oggi un‟ampia varietà di modi d‟inserimento in campi elettromagnetici destinati alle telecomunicazioni consente di intercettare conversazioni prescindendo dal filo, appoggiandosi anche solo su micro-chip e sulle sim card degli apparecchi cellulari.

2 L‟art. 15 della Costituzione così recita: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra

forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell‟autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.”

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comunicazioni, è necessario preliminarmente ricostruire la portata della garanzia costituzionale delle comunicazioni riservate al fine di stabilire quale sia il confine, in ordine alle restrizioni da essa ammissibili, tra legittime esigenze di repressione penale e utilizzo strumentale o arbitrario delle stesse.

1.2. Sviluppo storico dell‟art. 15 della Costituzione: i lavori preparatori

Una parte della dottrina3 ritiene che il nostro Costituente abbia dedicato poco tempo alla formulazione dell‟art. 15 e che la norma in questione sia da considerarsi, dunque, come “la più tecnicamente infelice di tutta la Costituzione”4

; per questo, prima di procedere alla sua analisi, risulta opportuno esaminare le successive formulazioni dell‟articolo, sia in sede di sottocommissione, sia in sede di Assemblea Nazionale Costituente5.

In particolare, dalla disamina dei lavori preparatori può facilmente evincersi come i nostri Costituenti abbiano concentrato la propria attenzione soprattutto sulla seconda parte della norma, concernente i poteri di limitazione alla libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni da parte delle autorità pubbliche; già allora si era, dunque, manifestato con estrema importanza il problema relativo ad un possibile bilanciamento tra i due interessi contrapposti: da una parte, quello di garantire la “piena

libertà di comunicare con altri” attraverso i “mezzi esistenti, sia postali che telegrafici e telefonici, all‟infuori di qualsiasi controllo o censura, e con garanzia di piena segretezza”6

, dall‟altra, quello di predisporre delle limitazioni a siffatta libertà per

rispondere all‟esigenza di prevenzione e repressione dei reati.

Tale problematica era particolarmente sentita, soprattutto se si considera la situazione storico-politica dalla quale il nostro Paese era appena uscito: lo Statuto albertino non menzionava il principio della libertà e della segretezza della corrispondenza e la mancanza di una precisa garanzia d‟ordine costituzionale rendeva la sua tutela piuttosto fragile verso gli organi di governo cui restava la possibilità di incidere illimitatamente

3 Cfr. V. ITALIA, Libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, Milano, 1963, p. 111 ss; A. PACE, Art. 15, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1977, 80. 4 Così V. ITALIA, op. cit., p. 111.

5 Per queste notizie, cfr. Atti dell‟Assemblea Costituente, vol. III, p. 2711 ss.; V. FALZONE, F. PALERMO, F. COSENTINO, La Costituzione della Repubblica italiana, Milano, 1976.

6 Relazione all‟Assemblea Costituente della Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato, I, Roma, 1946.

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nel contenuto del diritto di corrispondenza ogniqualvolta lo richiedessero ragioni di necessità o di urgenza o superiori interessi di regime7.

La prima formulazione dell‟articolo era: “La libertà e la segretezza di comunicazione e

di corrispondenza, in qualsiasi forma, sono garantite. Può derogarsi a questa disposizione solo per specifica decisione dell‟autorità giudiziaria. Durante il tempo di guerra, per disposizione di legge, possono essere stabilite limitazioni e istituite censure. La divulgazione di notizie conosciute per questi tramiti è vietata per legge”.

Successive discussioni, in sede di sottocommissione, lo mutarono nel seguente modo: “La libertà e la segretezza di comunicazione e di corrispondenza, in qualsiasi forma,

sono garantite. Può derogarsi a questa disposizione solo per motivata decisione8 dell‟autorità giudiziaria. La legge può stabilire limitazioni ed istituire censure per il tempo di guerra. La divulgazione di notizie per tal modo conosciute è vietata”9

.

Il Comitato di redazione, poi, assorbì questo articolo nell‟articolo unificato per le tre libertà oggi contemplate dagli artt. 13, 14 e 15, cosicché anche per la libertà e la segretezza della corrispondenza sarebbero stati ammessi, come per la libertà personale e il domicilio, provvedimenti provvisori dell‟autorità di pubblica sicurezza in casi di necessità ed urgenza. Le parole “La legge può stabilire limitazioni ed istituire censure

per il tempo di guerra” furono invece soppresse, dato che il Comitato aveva in

programma, in un articolo da inserire nel titolo sul parlamento, la sospensione di alcuni diritti del cittadino durante la guerra. Il Comitato stesso, però, rinunciò successivamente a questo articolo, ritenendo implicito che, in caso di guerra, determinate libertà potessero essere temporaneamente sospese.

Successivamente, a seguito di un emendamento proposto dall‟On. Perassi, venne di nuovo prescelta una disciplina differenziata per la libertà in esame, cosicché nel progetto dei 75, l‟art.15 (che aveva il n. 9) risultò così formulato: “La libertà e la

7 Nel corso dell‟adunanza plenaria tenutasi il 24 gennaio 1947 l‟On. Giua, nel criticare la scelta di attribuire anche alle autorità di polizia il potere di limitare preventivamente, salvo il necessario procedimento giurisdizionale di convalida, la libertà e la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, fece riferimento proprio agli abusi tipici del regime fascista, mostrando con ciò tutta la sua preoccupazione e la volontà di superare una siffatta prassi : “Ognuno sa quello che avviene in materia di corrispondenza e tutti

coloro che hanno subito processi in periodo fascista sanno che la corrispondenza era controllata ma che regolarmente i destinatari ricevevano le lettere che erano state loro spedite, beninteso dopo che la polizia ne aveva dedotte le notizie che le interessavano. Quindi in questo articolo si da prova di una grande ingenuità, perché quando si dà la possibilità alla polizia di aprire la corrispondenza privata, gli organi di pubblica sicurezza non hanno più alcun interesse a trasmetterla alla magistratura”.

8 Modifica attuata su proposta del Presidente della Sottocommissione On. Tupini, dopo vari interventi degli on. La Pira, Togliatti, Basso e Moro.

9 L‟On. Dossetti, che nella seduta precedente era assente giustificato, fece osservare che la struttura dell‟articolo era discutibile, che la parola “tramiti” non era chiara e che nel complesso, più che una volontà, si fosse voluto esprimere una “velleità”. La discussione non fu però riaperta e la formulazione dell‟articolo rimase quasi invariata.

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segretezza di corrispondenza e di ogni forma di comunicazione sono garantite. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell‟autorità giudiziaria nei casi stabiliti dalla legge”.

Le discussioni che portarono a questa formulazione furono particolarmente vivaci e toccarono anche l‟argomento delle intercettazioni telefoniche10

: venne innanzitutto sottolineato come l‟articolo dovesse riferirsi tanto alla corrispondenza, quanto alle comunicazioni in genere, specie alle comunicazioni telefoniche; la scelta di differenziare la disciplina dei tre aspetti “inviolabili” della persona umana, invece, risultò chiaramente ispirata a intenti garantistici, ossia ad evitare la possibilità che la libertà di corrispondenza e di comunicazione potesse soffrire limitazioni da parte di autorità pubbliche diverse da quella giudiziaria.

In particolare, per quel che concerne le intercettazioni telefoniche, gli interventi furono tutti incentrati sul rischio di un‟eventuale concessione del potere di captazione all‟autorità di polizia e sulla necessità del previo controllo dell‟autorità giudiziaria, possibilmente nel quadro delle esigenze delle indagini attinenti ad un reato.

In sede di Assemblea Costituente, mentre il primo comma si modificò in “La libertà e

la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”, l‟On. Condorelli propose di sopprimere la seconda parte dell‟articolo e, nel

caso che tale emendamento fosse stato respinto, di aggiungere l‟inciso: “ed in pendenza

di procedimento penale”, intendendo con queste parole escludere anche la semplice

inchiesta penale.

Nella motivazione al suo emendamento11 l‟On. Condorelli evidenziò la necessità di “affermare pienamente ed illimitatamente la libertà e la segretezza della

corrispondenza, senza aggiungere altre limitazioni a quelle necessariamente derivanti dalle limitazioni previste alla libertà personale e domiciliare”; in sostanza, “i redattori di questo articolo della Costituzione si sarebbero preoccupati soprattutto dell‟opportunità di non limitare eccessivamente l‟attività dell‟Autorità giudiziaria nella scoperta dei reati”, svilendo così il contenuto della libertà fondamentale. L‟obiettivo

era quindi quello di garantire un più efficace bilanciamento tra libertà e segretezza della corrispondenza, da una parte, e repressione dei reati, dall‟altra.

10 Si vedano in proposito gli interventi degli Onorevoli Giua, Conti, Einaudi, Fuschini e Uberti nel corso dell‟ Adunanza Plenaria del 24 gennaio 1947.

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L‟Assemblea approvò la seconda parte dell‟emendamento dell‟On. Condorelli, ma nel coordinamento finale, il Presidente della commissione, On. Ruini, propose innanzitutto di togliere le parole finali del testo “e in pendenza di procedimento penale”, ritenendole eccessivamente limitative, e propose anche di inserire nell‟articolo in esame un accenno analogo a quello contenuto nell‟articolo precedente: “secondo le garanzie prescritte per

la tutela della libertà personale”.

Altri membri del Comitato dei 18 osservarono che il Comitato stesso non poteva modificare eccessivamente i testi approvati dall‟Assemblea; pertanto si soppressero le parole dell‟emendamento Condorelli.

In Assemblea non furono sollevate obbiezioni e, delle parole dell‟On. Ruini, rimase l‟inciso “con le garanzie stabilite dalla legge” sostitutivo del precedente “nei casi

stabiliti dalla legge”.

Da questo veloce esame sui momenti più importanti dell‟iter di approvazione dell‟art. 15 emerge chiaramente l‟intenzione del Costituente: ossia la volontà di stabilire un bilanciamento tra diritto soggettivo del singolo e poteri delle autorità pubbliche, in modo che non si ripetessero gli abusi e le attività inquisitorie del regime precedente.

1.3. Contenuto e oggetto della libertà di comunicazione

Secondo una consolidata impostazione la libertà in esame rappresenta, al pari della libertà domiciliare garantita dall‟art. 14 Cost., “un ampliamento e una precisazione del

fondamentale principio di inviolabilità della persona umana sanzionato dall‟articolo 13 Cost. Se, in genere, tutte le libertà costituzionali si manifestano come conseguenze più o meno dirette della tutela riconosciuta alla libertà della persona, certamente sono le libertà di domicilio e di corrispondenza quelle che più da vicino integrano e precisano la sfera normativa dell‟art. 13 Cost.: l‟una garantendo alla persona un certo ambito spaziale, l‟altra garantendo una delle forme più dirette ed immediate di collegamento con il mondo esterno”12.

La particolare tutela accordata dalla Costituzione alla libertà in esame riflette la sua appartenenza ai principi supremi dell‟Ordinamento, come tali sottratti ad un eventuale procedimento di revisione costituzionale13.

12 P. BARILE, E. CHELI, Corrispondenza (Libertà di), voce dell‟Enc. dir., X, Milano, 1962, 743. 13 C. Cost. sent. n. 366/1991.

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In dottrina sono state prospettate differenti ricostruzioni circa l‟ambito della tutela costituzionale offerta dall‟art. 15 Cost.

Secondo una prima impostazione14 (che si richiama alla nozione di corrispondenza da tempo elaborata in sede penalistica), il concetto di comunicazione, nel cui ambito può ricomprendersi come species particolare anche il concetto di corrispondenza, deve essere inteso nel modo più ampio possibile: sarebbero irrilevanti, infatti, sia il contenuto trasmesso, sia la forma adoperata sia, infine, lo strumento di trasmissione.

In particolare, secondo questa parte della dottrina la nozione costituzionale di comunicazione sarebbe determinata da due elementi:

a) l‟intersubiettività o personalità, nel senso che la comunicazione deve essere diretta ad uno o più soggetti determinati;

b) l‟attualità, nel senso che la comunicazione cessa di essere tale quando, per il decorso del tempo, cessa il carattere privato e personale della stessa ed il suo oggetto acquista un mero valore retrospettivo, affettivo, collezionistico, storico, artistico, scientifico o probativo.

Sempre secondo questa ricostruzione, la differenza tra la libertà di comunicazione tutelata dall‟art. 15 e la libertà di manifestazione del pensiero garantita dall‟art. 21 consisterebbe nel carattere necessariamente intersoggettivo o personale della prima: quindi la comunicazione ricadrebbe nell‟ambito di applicazione dell‟art. 21 Cost. quando il numero dei destinatari della stessa, benché determinato, diventi “elevato”15.

Secondo una diversa impostazione16 l‟art. 15 avrebbe invece una portata più ristretta: in primo luogo la tutela offerta dalla norma in oggetto riguarderebbe le sole comunicazioni di pensiero generalmente riconoscibili come tali; in secondo luogo la disposizione in esame garantirebbe soltanto le espressioni di pensiero che non solo rispondano al requisito dell‟intersubiettività ma che siano altresì sottratte alla conoscibilità dei terzi con le normali cautele a disposizione del mittente.

Sarebbe la segretezza, dunque, a porsi come chiave di volta per garantire la sottrazione di alcune espressioni del pensiero alla conoscibilità di soggetti terzi rispetto a quelli cui esse sono consapevolmente indirizzate e, al contempo, come cardine in base al quale definire il diverso ambito di applicabilità dell‟art. 15 Cost. rispetto a quello dell‟art. 21 Cost. Mentre in quest‟ultimo la “manifestazione” del pensiero coincide con la sua più

14 Cfr. P.BARILE, E. CHELI, op. cit., p. 744 ss.

15 A. VALASTRO, Libertà di comunicazione e nuove tecnologie, Milano, 2001, 146.

16 Cfr. A. PACE, Art. 15, in G. Branca (a cura di), Commentario della costituzione, Bologna -Roma, 1977, p. 80 ss.

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ampia diffusione, nell‟art. 15 la “comunicazione” del pensiero ne implica una intensa dose di riservatezza; conseguentemente, il dato differenziale non si incentra tanto sull‟infungibilità o meno del destinatario, bensì sulla riservatezza garantita dal mezzo o, più precisamente, dalle modalità trasmissive del mezzo impiegato.

La Corte Costituzionale ha accolto la prima impostazione nelle sentenze 1030/1988 e 81/1993, dove viene sottolineata l‟irrilevanza delle caratteristiche tecniche del mezzo ai fini dell‟applicazione della garanzia offerta dall‟art. 15 Cost. Le conclusioni della Corte appaiono del resto avvalorate dallo sviluppo tecnologico che nel frattempo ha caratterizzato i sistemi di comunicazione, grazie al quale uno stesso mezzo trasmissivo si presta ad essere utilizzato indifferentemente per comunicazioni riservate oppure destinate ad una pluralità indeterminata di soggetti17.

La diversa lettura circa la portata della garanzia costituzionale offerta dal‟art. 15 Cost. incide anche sulla ricostruzione del rapporto tra “libertà” e “segretezza” della corrispondenza.

La tesi più restrittiva, che configura la segretezza non come mera “tecnica” per garantire la libertà della comunicazione ma come caratteristica delle comunicazioni disciplinate dall‟art. 15, sostiene che la norma in esame tutela “una sola situazione

giuridica soggettiva: la libertà delle comunicazioni materialmente assoggettabili e concretamente assoggettate a vincolo di segretezza”18

; vi sarebbe, pertanto, una interdipendenza tra i due profili della libertà e segretezza, in base alla quale l‟una si pone quale ragion d‟essere dell‟altra, concorrendo entrambe a delineare l‟ambito di operatività della garanzia costituzionale.

Secondo una diversa impostazione, invece, “libertà” e “segretezza”, pur rappresentando due aspetti tra loro strettamente connessi, costituirebbero due distinte situazioni soggettive entrambe oggetto di tutela dalla norma in commento19; sul piano delle possibili violazioni le due situazioni presenterebbero, quindi, profili distinti: vi potrebbero essere infatti interferenze nella segretezza che non si traducono in interferenze nella libertà (ad esempio le intercettazioni telefoniche) o interferenze nella libertà che non incidono sulla segretezza (ad esempio il fermo postale).

Quanto ai soggetti titolari del diritto, è opinione consolidata che la situazione soggettiva sia costituzionalmente tutelata, in egual misura, sia nei confronti del mittente che del

17 F. DONATI, Art. 15, in R. Bifulco, A. Cellotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, I, 364.

18 Così A. PACE, Art. 15, cit., p. 85

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destinatario20: essa garantisce cioè non solo la possibilità del mittente di inviare liberamente informazioni, ma anche il diritto del destinatario di ricevere liberamente informazioni.

Dal carattere di inviolabilità e di universalità che la Costituzione attribuisce alla libertà in esame discende, inoltre, che godono della tutela disposta dall‟art. 15 tutti gli individui (cittadini, stranieri e apolidi)21, le persone giuridiche (pubbliche e private)22 e le formazioni sociali.

Dal punto di vista dei soggetti passivi, infine, la sfera della tutela giuridica deve ritenersi estesa, non solo nei confronti dei privati, ma soprattutto nei confronti dei poteri pubblici23.

1.4. Le limitazioni alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni: riserva di

giurisdizione e di legge

L‟inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione non è assoluta, ma è soggetta a limitazioni e compressioni che trovano la loro ragione di essere in esigenze pratiche di prevenzione sociale.

Sulla base di quanto previsto dal secondo comma dell‟art. 15 Cost. la limitazione a siffatta libertà può operarsi solamente con il simultaneo concorso di due condizioni:

a) per atto motivato dell‟autorità giudiziaria; b) con le garanzie stabilite dalla legge.

A differenza di quanto previsto per la libertà personale (art. 13 Cost.) e la libertà di domicilio (art. 14 Cost.) la norma in esame non disciplina la possibilità di un intervento straordinario dell‟autorità di polizia nei casi di necessità e urgenza predeterminati dal legislatore; sia l‟art. 13 che l‟art. 14 Cost. prevedono, infatti, la possibilità che, in casi eccezionali di necessità e urgenza, la limitazione del diritto possa essere disposta in via

20 V. ITALIA, op. cit., p. 96; A. PACE, Art. 15, cit., p. 86; F. DONATI, Art. 15, cit., p. 366.

21 Così V. ITALIA, op. cit., p. 96 ss, secondo il quale: “Se si facesse dipendere il diritto di libertà e di

segretezza della corrispondenza dal fatto di essere un cittadino di un determinato Stato, non si potrebbe più parlare di diritti di libertà, ma di prerogative dei cittadini. La dignità della persona umana, che dei diritti di libertà è cardine e giustificazione, non è inerente alla qualificazione di cittadino di un determinato Stato, bensì è inerente alla qualificazione di individuo. In conseguenza, poiché tutti gli individui hanno una dignità in quanto appartengono al genere umano, questo diritto è riconosciuto a tutti, cioè ai cittadini, agli stranieri e agli apolidi.

22 Cfr. però A. PACE, Art. 15, cit., p. 98, secondo cui la libertà di comunicazione dello Stato e degli enti pubblici troverebbe fondamento non nelle norme costituzionali in commento ma nelle disposizioni in materia di organizzazione della P.A, anche se il legislatore ben può equiparare soggetti pubblici e privati nel godimento della libertà in esame.

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provvisoria direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza senza il preventivo intervento dell‟autorità giudiziaria: in questi casi l‟autorità giudiziaria interviene solo successivamente all‟adozione del provvedimento di polizia in sede di convalida dello stesso.

Secondo alcuni la mancata previsione di eccezioni all‟atto motivato dell‟autorità giudiziaria non sarebbe stato frutto di una scelta consapevole dei costituenti, ma sarebbe collegata a fattori occasionali e contingenti (e cioè ad un improvviso mutamento di maggioranza) che si manifestarono nel corso dei lavori preparatori dell‟art. 15 Cost. 24; di qui il suggerimento di una revisione costituzionale volta a uniformare la disciplina relativa alle limitazioni della libertà in esame e quella prevista in materia di libertà personale e di domicilio25. Sennonché, come si è già avuto modo di sottolineare, dai lavori preparatori emerge chiaramente che al Costituente non era affatto sfuggito il problema; anzi, si era da più parti evidenziata la preoccupazione che, una volta concesso alla polizia un simile potere, questa se ne sarebbe servito oltre i limiti della norma26. Non sono mancate, poi, ricostruzioni che hanno cercato di colmare la “lacuna” ritenendo ammissibile, in forza dell‟inciso “con le garanzie stabilite dalla legge”, la possibilità che il legislatore preveda e disciplini provvedimenti della polizia purché sfocino in un atto motivato dell‟autorità giudiziaria27

.

In dottrina è però prevalsa la tesi che considera come assoluta la riserva di giurisdizione disposta dall‟art. 15 e si è esclusa la possibilità di desumere in via interpretativa l‟applicabilità in questo campo dei poteri preventivi di polizia previsti dagli artt. 13 e 14.

Le ragioni delle sperequate guarentigie sono state, dunque, cercate altrove: c‟è chi ha sostenuto che la diversa disciplina dei diritti in questione sia da ricondurre al fatto che il Costituente avrebbe in tal modo dimostrato una più ampia considerazione della sfera interna o riservata dell‟individuo, determinando così una differente graduazione dei diversi beni28; ma anche chi ha ritenuto che, per la particolare natura del bene protetto, nessuna specifica esigenza sia ipotizzabile nel campo della corrispondenza che presenti

24 Così P. BARILE, E. CHELI, Corrispondenza (libertà di), cit., p. 749; 25 V. ITALIA, Op. cit., p. 134 ss.

26 Cfr., supra, 1.2.

27 R. GUARINIELLO, Libertà di corrispondenza e garanzie giurisdizionali, in Giur. it., 1968, IV, p. 122 ss. 28 Di contrario avviso A. ZACCARINI, Libertà e segretezza della corrispondenza, in Riv. pen., 1955, I, p. 447 ss.

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le caratteristiche di urgenza e gravità tali da determinare la concessione di speciali potestà alla polizia29.

In realtà, una delle ragioni maggiormente plausibili è forse da ricercarsi nel fatto che, mentre le limitazioni della libertà personale e, entro certi limiti, quelle della libertà domiciliare, colpiscono soltanto il soggetto inquisito, le limitazioni della libertà di corrispondenza e di comunicazione incidono sempre anche su un altro soggetto, sia esso l‟interlocutore telefonico, il mittente o il destinatario di una lettera. Non solo, altra ragione giustificatrice potrebbe poi consistere nella maggiore facilità con cui di fatto una qualsivoglia intercettazione può essere compiuta dalla polizia, a fronte delle perquisizioni personali o domiciliari nelle quali la stessa presenza fisica dell‟interessato (e comunque la consapevolezza, da parte dell‟inquisito, della limitazione che sta subendo) costituisce già di per sé un limite psicologico all‟arbitrio dei funzionari e degli agenti di polizia30.

Quale che sia la ragione a fondamento della scelta del Costituente, la necessità è comunque quella di rendere più difficile per i pubblici poteri la possibilità di restringere la libertà in esame, riservando le limitazioni all‟esclusiva competenza dell‟autorità giudiziaria31, la quale può procedere solo con atto motivato: devono cioè essere indicate le ragioni di fatto e di diritto che giustificano l‟atto di volontà emesso.

Questo non vuol dire che debba essere sempre e soltanto l‟autorità giudiziaria a procedere materialmente alla limitazione della libertà e segretezza: l‟attività concreta di limitazione può essere delegata anche ad altro soggetto, ma l‟atto dell‟autorità giudiziaria deve necessariamente aversi prima o contemporaneamente all‟attività di limitazione stessa.

La giurisprudenza costituzionale, in una prima fase, ha invece accolto una impostazione diversa rispetto a quella della dottrina: nella sentenza n. 100/1968, pur riconoscendo la necessità di un provvedimento giurisdizionale per la limitazione della libertà in esame (e dichiarando quindi illegittimo l‟art. 13 del codice postale del 1936 sul fermo postale), ha ritenuto possibili provvedimenti amministrativi aventi carattere “meramente

strumentale” e “diretti a sollecitare l‟intervento del giudice”.

29 Così A. ZACCARINI, op. cit., p. 448. 30 Così A. PACE, Art. 15, cit., p. 106.

31 La dottrina si è anche chiesta se la formula “autorità giudiziaria” si riferisca soltanto all‟autorità giudiziaria in sede penale oppure ad ogni autorità giudiziaria ordinaria, concludendo a favore di quest‟ultima interpretazione.

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Nella sentenza n. 34/1973, in materia di intercettazioni, la Corte ha tuttavia precisato che la limitazione della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione deve avvenire “sotto il diretto controllo del giudice”, il quale “deve

tendere al contemperamento dei due interessi costituzionali protetti onde impedire che il diritto alla riservatezza delle comunicazioni telefoniche venga ad essere sproporzionatamente sacrificato dalla necessità di garantire una efficace repressione degli illeciti penali”; sottolineando, altresì, che il provvedimento autorizzativo del

giudice deve essere corredato da “adeguata e specifica motivazione”32.

Come ulteriore garanzia della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione l‟art. 15 Cost. prevede poi una riserva assoluta di legge formale33 , per cui le fattispecie astratte delle limitazioni alla libertà in commento non potranno essere statuite da fonti di grado inferiore alla legge formale statuale.

In ordine alla portata dell‟espressione “con le garanzie stabilite dalla legge” la dottrina si è divisa tra chi vi coglie semplicemente un rinvio alle norme di legge, ovvero ai casi ed ai modi previsti dalla legge34; e chi, secondo una più penetrante linea interpretativa, vi ravvisa, invece, un riferimento all‟esigenza che il legislatore ordinario predisponga garanzie diverse, in aggiunta a quella che si esprime nella previsione dell‟ ”atto

motivato” dell‟autorità giudiziaria, e dirette ad incidere sull‟esercizio del potere di

limitazione conferito a quest‟ultima onde circoscrivere il pregiudizio che ne deriva alla situazione soggettiva dei singoli sotto il profilo della libertà e della segretezza delle comunicazioni35 .

Aderendo a questa seconda linea interpretativa, la Corte Costituzionale, nella già richiamata sentenza n. 34/1973 (in materia di intercettazioni telefoniche), ha avuto modo di precisare che spetta al legislatore la previa determinazione degli scopi della misura limitativa, della durata massima della stessa, dei casi e dei modi nei quali l‟intercettazione può essere adottata, l‟obbligo del segreto sulle comunicazioni irrilevanti ai fini del procedimento, la sindacabilità del provvedimento limitativo36. In conclusione, si può quindi affermare che le riserve di legge e di giurisdizione, integrandosi a vicenda, garantiscono che ogni intervento dei poteri pubblici in materia

32 Punto 2 Cons. in diritto.

33 P. BARILE, E. CHELI, Corrispondenza (Libertà di), cit., p. 749; F. DONATI, Art. 15, cit., p. 368. 34 Così P. BARILE, E. CHELI, op. cit., p. 749.

35 Così V. ITALIA, Libertà e segretezza, cit., p. 123; A. PACE, Art. 15, cit., p. 106; F. DONATI, Art. 15, cit., p. 368.

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di libertà e segretezza delle comunicazioni sia previsto “in astratto” dal legislatore e disposto “in concreto” dal giudice.

1.5. Limitazioni alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni disposte nel codice di

procedura penale: la disciplina delle intercettazioni telefoniche e la sua compatibilità con il dettato costituzionale

Il secondo comma dell‟ art. 15 Cost. trova attuazione concreta nelle norme del codice di procedura penale che disciplinano le modalità degli interventi degli organi giudiziari e di polizia giudiziaria nella sfera dei diritti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza; tra queste assumono rilievo particolare quelle che disciplinano i presupposti e le modalità con le quali è possibile procedere ad intercettazioni di conversazioni o comunicazioni37.

Le intercettazioni di comunicazioni si presentano, infatti, come uno strumento investigativo e di ricerca della prova estremamente invasivo e, pertanto, le limitazioni alla riservatezza delle comunicazioni, sia dei soggetti indagati sia dei terzi estranei che con essi interloquiscono, devono avvenire sempre in conformità con le prescrizioni di cui all‟art. 15 Cost., in modo da garantire un adeguato bilanciamento tra esigenze di garanzia della libertà ed esigenze di prevenzione e repressione degli illeciti.

Si tratta, dunque, di verificare se con la riforma del codice di procedura penale del 1988 il legislatore, nel delineare la disciplina in materia di intercettazioni telefoniche (artt. 266 e ss c.p.p.)38, abbia rispettato o meno il disposto di cui al secondo comma dell‟art. 15 Cost. e, a tal fine, non si può fare a meno di volgere lo sguardo anche alle previsioni contenute nelle compilazioni precedenti.

37 La nozione di “intercettazione telefonica” ad oggi non è ancora stata formalizzata: secondo un consolidato orientamento, sia dottrinale che giurisprudenziale, essa consiste nella captazione occulta (o clandestina) di una comunicazione non scritta da parte di un terzo, mediante l‟impiego di mezzi tecnici (o tecnologici) di percezione del suono. Costituiscono, dunque, elementi fondamentali della fattispecie, da un lato, la terzietà del soggetto captante rispetto al mittente e al ricevente, nonché la sua legittimazione (ex art. 15 Cost.) a porre in essere l‟operazione di captazione; dall‟altro, la clandestinità di quest‟ultima, ovvero la necessità che ne sia all‟oscuro almeno uno dei soggetti intercettati. Tale nozione originaria è stata ridefinita a seguito dell‟entrata in vigore della legge n. 547/1993, la quale ha ampliato la nozione di corrispondenza facendovi rientrare anche quella informatica e telematica e qualunque altra trasmissione a distanza di suoni, immagini o di altri dati. A tal stregua è stato introdotto l‟art. 266 bis c.p.p. che consente l‟intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici.

38 Per queste informazioni cfr. G. FUMU, Commento agli artt. 266-271, in Commento al nuovo Codice

di procedura penale, coord. da M. CHIAVARIO, vol. II, Torino, 1990, p. 774 ss.; G. CONSO - V.

GREVI, Commentario breve al codice di procedura penale, Padova, 2005, p. 779 ss.; G. CONSO, V. GREVI e M. BARGIS, Compendio di procedura penale, Padova, 2012, p. 375 ss.

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Il Codice Rocco, emanato nel 1930 durante il regime fascista, riproponeva invariata la legislazione presente nel codice del 1913, la quale, dato il riconoscimento di un forte potere e capacità d‟azione alla parte inquirente e data l‟assenza di principi garantisti, ben si sposava con le esigenze autoritarie del regime. In particolare, l‟art. 339, nella sua versione originaria, prevedeva che il giudice potesse “disporre l‟accesso agli uffici o

impianti telefonici di pubblico servizio per trasmettere, intercettare, o impedire comunicazioni o assumerne cognizione”; mentre l‟art. 226, da parte sua, conferiva tale

prerogativa anche agli ufficiali di polizia giudiziaria, prevedendo che gli stessi “per i

fini del loro servizio” potessero “accedere agli uffici od impianti telefonici di pubblico servizio per trasmettere comunicazioni o assumere informazioni”.

A seguito dell‟entrata in vigore della Costituzione, un primo passo nella direzione dell‟affermazione di maggiori garanzie nei confronti dell‟individuo, e quindi di adeguamento della normativa previgente al nuovo assetto costituzionale, si ebbe con la legge n. 517 del 1955: le modifiche introdotte con la stessa al testo originario degli artt. 226 e 339 c.p.p., quantunque non abbiano operato nel senso di una specifica “concretizzazione” del disposto dell‟art. 15, 2° comma, Cost., hanno tuttavia inciso sull‟antica normativa nelle parti che risultavano direttamente incompatibili con la previsione costituzionale39.

Da una parte, l‟art. 339 c.p.p. è stato modificato, prevedendo che solo con “decreto

motivato” l‟autorità giudiziaria potesse disporre o consentire agli organi di polizia

l‟accesso agli impianti telefonici pubblici per effettuare “ascolti” o “blocchi” di comunicazioni; dall‟altra, in analoga prospettiva, il testo previgente dell‟art. 226 c.p.p. è stato modificato allo scopo di escludere che l‟autorità di polizia potesse compiere simili operazioni di sua iniziativa, senza il previo intervento del magistrato.

Se le disposizioni in parola apparsero assolutamente conformi all‟art. 15, 2° comma, Cost. nella parte in cui prescrive l‟“atto motivato” dell‟autorità giudiziaria; più delicato appariva, invece, il discorso intorno alle “garanzie stabilite dalla legge”, che lo stesso secondo comma dell‟art. 15 Cost. configura quale “ulteriore garanzia” per l‟individuo a fronte delle “limitazioni alla libertà di corrispondenza che siano disposte

dall‟autorità giudiziaria”40 .

Le conclusioni alle quali era pervenuta la dottrina non risultarono prive di fondamento, se si considera che quasi vent‟anni dopo, gli ancora rilevanti vuoti di disciplina,

39 V. GREVI, Intercettazioni telefoniche e principi costituzionali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1971, p. 1064 ss. 40 Così V. GREVI, op. cit., p.1071.

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costrinsero la Corte Costituzionale ad un puntuale intervento con la storica sentenza n. 34/197341.

La pronuncia in questione rientra nella categoria delle sentenze interpretative di rigetto42: con essa la Corte, pur non arrivando ad una declaratoria di incostituzionalità della disciplina sottoposta al suo vaglio, fornì al legislatore (nella speranza di un suo rapido intervento in materia) una serie di indicazioni che dovevano essere rispettate affinché le operazioni di intercettazione potessero ritenersi costituzionalmente legittime; in particolare, da una parte, si preoccupò di individuare le linee dell‟iter logico che il magistrato doveva seguire nell‟autorizzare le attività di captazione, dall‟altra, si preoccupò di specificare le altre “garanzie” che a norma dell‟art. 15, comma 2 Cost. dovevano accompagnare ogni limitazione alla libertà ed alla segretezza delle comunicazioni telefoniche.

Cominciando dalla previsione dell‟ “atto motivato dell‟autorità giudiziaria” quale elemento necessario per la legittimità di qualunque intercettazione telefonica, la Corte Costituzionale ha innanzitutto previsto che la decisione del magistrato non potesse prescindere dalla valutazione in ordine alla indispensabilità dell‟intercettazione: dovevano sussistere, cioè, fondati motivi tali da ritenere che mediante la stessa potessero essere acquisiti risultati positivi per l‟indagine in corso.

Riguardo invece alle “ulteriori garanzie” da stabilirsi con legge, la Corte ha giustamente osservato che sarebbe stato necessario:

a) determinare gli scopi della misura limitativa; b) fissare la durata massima della stessa;

c) individuare i casi e i modi nei quali l‟intercettazione può essere effettuata;

d) procedere alla localizzazione degli impianti di captazione in modo tale da

rendere effettivo il controllo dell‟autorità giudiziaria;

e) sancire espressamente l‟obbligo del segreto sulle comunicazioni irrilevanti ai fini

del procedimento;

f) prevedere la sindacabilità del decreto motivato dell‟autorità giudiziaria.

Facendo seguito al “decalogo” della Consulta, il legislatore è intervenuto l‟anno seguente con la legge n. 98/1974, introducendo nel corpo del codice di procedura penale

41 Fu il Tribunale di Bolzano, nella seduta del 15 giugno 1971, a sollevare questione di legittimità costituzionale dell‟intera disciplina in materia di intercettazioni telefoniche in base all‟assunto della mancata attuazione delle garanzie cui si riferisce il secondo comma dell‟art. 15 Cost.

42 Per una corretta definizione v. E. MALFATTI, S. PANIZZA, R. ROMBOLI, Giustizia costituzionale, Torino, 2013, p. 132.

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una serie di norme di garanzia della libertà in esame, che hanno sostanzialmente rispettato il quadro definitorio prefigurato.

Questa evoluzione storica dell‟istituto rappresenterà la base per la redazione degli articoli in materia di “Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni” presenti nel nuovo codice di procedura penale promulgato nel 1988 ed entrato in vigore nel 1989. Alle intercettazioni telefoniche, le quali, troppo spesso nel corso della storia, erano state utilizzate come strumento di regime e la cui disciplina era stata più volte ritoccata, manipolata e adattata alla delicatezza delle diverse situazioni succedutesi sulla scena politica e sociale italiana, la Commissione ministeriale (presieduta da Giandomenico Pisapia) prestò particolare cura e attenzione; ciò è testimoniato, senza dubbio, dal largo spazio che vi ha dedicato la legge delega, dalla quale si ricavano una serie di direttive piuttosto dettagliate, sia in ordine al profilo della legittimazione a disporre le operazioni, sia in ordine alla specifica determinazione degli altri principi di garanzia cui si sarebbe dovuto attenere il legislatore delegato43.

Ne deriva una disciplina particolarmente aderente al dettato costituzionale e come tale giudicata assai positivamente dalla prevalente dottrina.

Innanzitutto, vengono individuate tassativamente le tipologie di illeciti rispetto alle quali possono ritenersi ammissibili le intercettazioni di conversazioni, in modo da garantire un rapporto di proporzionalità tra la gravità del reato per il quale si sta procedendo e l‟utilizzo di uno strumento di captazione così invasivo rispetto al diritto di riservatezza del singolo (art. 266 c.p.p.).

La necessità di un simile bilanciamento fra le esigenze dell‟investigazione e quelle di tutela di un diritto della persona non deriva tanto (o non deriva solo) dal fatto che la segretezza delle comunicazioni è considerata inviolabile dalla Costituzione; in effetti, mezzi di ricerca della prova quali le ispezioni e le perquisizioni, che pure comprimono anch‟essi sfere di libertà costituzionalmente rilevanti, risultano consentiti per qualsiasi notizia di reato. Piuttosto, ciò che rende le intercettazioni bisognose di questa particolare garanzia è il fatto che esse finiscono sempre per coinvolgere le comunicazioni di soggetti ulteriori rispetto alla persona sottoposta alle indagini: la predeterminazione dei reati per i quali è consentito disporle obbedisce quindi ad un‟esigenza di tutela dei diritti dei terzi44.

43 Art. 2, n. 37 e 41, l. 16 febbraio 1987 n. 81.

44 Cfr. G. CONSO - V. GREVI, Commentario breve al codice di procedura penale, Padova, 2005, p. 779 ss.

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Non solo, la disciplina in esame contiene tutte le garanzie indicate dalla Consulta affinché il magistrato possa legittimamente autorizzare limitazioni del diritto costituzionale in oggetto (art. 267 c.p.p.), prevedendo il suo intervento, sempre adeguatamente motivato, non solo nel momento dell‟autorizzazione e della proroga dell‟intercettazione, ma anche in quello di determinazione dell‟utilizzazione dei risultati; ed anche nei casi di urgenza, in cui il pubblico ministero provvede di propria iniziativa a disporre l‟intercettazione, il decreto motivato di quest‟ultimo è comunque soggetto a convalida da parte del giudice. E‟ poi formalmente previsto che il giudice per le indagini preliminari, su richiesta del p.m., possa autorizzare le operazioni, con decreto motivato, solo quando sussistano gravi indizi di reato e l‟intercettazione risulti assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini: in questo modo si realizza un adeguato bilanciamento tra esigenze processuali e diritti del singolo.

Sempre in ossequio alle indicazioni provenienti dalla Corte Costituzionale, il legislatore del 1988 ha dettato una specifica regolamentazione circa le modalità di esecuzione delle operazioni (art. 268 c.p.p.) e di conservazione della documentazione, determinando i casi nei quali, a garanzia del diritto alla riservatezza, la stessa deve essere distrutta (art. 269 c.p.p.).

Nel rispetto della tutela costituzionale della riservatezza delle comunicazioni è inoltre fissato, ex art. 270 c.p.p., il principio generale del divieto di utilizzabilità dei risultati di intercettazioni legittimamente disposte in un procedimento diverso da quello in cui le stesse sono state autorizzate (c. d. intercettazioni “a strascico) e che ammette, come unica eccezione, la indispensabilità dei risultati delle intercettazioni ai fini dell‟accertamento di delitti particolarmente gravi (quelli per cui è previsto l‟arresto obbligatorio in flagranza)45.

Infine, viene prevista una puntuale sanzione processuale (l‟inutilizzabilità sul piano probatorio del contenuto delle intercettazioni) in caso di operazioni compiute in violazione della disciplina di legge.

Se, da una parte, con queste previsioni il legislatore ha dimostrato la chiara intenzione di voler dar seguito alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, adeguando la disciplina in materia di intercettazioni telefoniche al

45 Sulla asserita incostituzionalità di questa eccezione rispetto all‟art. 15 Cost. ha avuto modo di pronunciarsi la Corte Cost. con la sent. n. 63/1994 nella quale ha ritenuto ammissibile l‟utilizzazione delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi, sia pure limitatamente all‟accertamento di reati che destano particolare allarme sociale, sulla base di un “non irragionevole bilanciamento operato discrezionalmente dal legislatore

fra il diritto inviolabile dei singoli individui alla libertà e segretezza delle loro comunicazioni e l‟interesse pubblico primario alla repressione dei reati e al perseguimento in giudizio di coloro che delinquono”.

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dettato costituzionale e garantendo, altresì, un più adeguato bilanciamento tra garanzie del singolo ed esigenze di prevenzione e repressione degli illeciti; dall‟altra, la disciplina che ne è scaturita non è comunque andata esente da critiche e nel corso degli anni sono emerse delle lacune che si è cercato di colmare per via interpretativa o attraverso un diretto intervento legislativo.

Una delle prime obiezioni che venne mossa nei confronti della disciplina in esame riguardava il fatto che il legislatore del 1988 non si era preoccupato di regolamentare né l‟ipotesi di intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche46

, né la possibilità di acquisire tabulati telefonici attestanti il flusso del traffico telefonico relativo ad una certa utenza47; si trattava, tuttavia, di lacune in parte giustificabili dal fatto che nel 1988 lo standard tecnologico non era tale da far presagire simili sviluppi. Più gravi, dal punto di vista costituzionale, sono senz‟altro le mancanze del legislatore in ordine alla tutela della privacy dei terzi non coinvolti nella vicenda processuale che interloquiscono con l‟intercettato, nonché rispetto alla tutela della privacy dell‟indagato per quel che concerne i fatti estranei alle indagini: basti pensare che, sulla base di quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 268, 114, 1° e 7° comma e 329 c.p.p., il deposito dei verbali e delle registrazioni delle operazioni nella segreteria del pubblico ministero, determinerebbe il venir meno del segreto sugli atti in questione e, conseguentemente, anche del divieto di pubblicazione del loro contenuto; quando invece i contenuti delle conversazioni intercettate dovrebbero essere coperte dal segreto almeno fino alla procedura di stralcio con la quale vengono individuate quelle che, per la loro rilevanza, devono essere acquisite al procedimento48. E‟ proprio l‟inadeguatezza dell‟attuale meccanismo previsto dal codice di procedura penale per l‟acquisizione agli atti del processo delle sole conversazioni rilevanti per lo stesso, a mettere a disposizione

46 Di fronte a questa lacuna intervenne il legislatore con la l. n. 547/1993 introducendo nel c.p.p. l‟art. 266

bis, il quale consente, ora, anche l‟intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi.

47 Sul punto è stata chiamata ad esprimersi la stessa Corte Costituzionale che nella sent. n. 81/1993 ha escluso la necessità di estendere all‟acquisizione dei suddetti tabulati le garanzie dettate i tema di intercettazioni telefoniche, movendo dall‟ovvia premessa per cui, mentre in quest‟ultimo caso viene pregiudicata la segretezza del contenuto delle conversazioni intercettate, al contrario, nel primo caso, ci si limita ad acquisire la documentazione del fatto storico consistente nelle conversazioni intercorse tra determinati soggetti in determinate circostanze. In materia è poi intervenuto il d. lgs. 30 giugno 1993, n. 196 che all‟art. 132 (come modificato dal d.l. 24 dicembre 2003, n. 354, convertito con l. 26 febbraio 2004, n. 45) stabilisce che i dati relativi al traffico telefonico debbano essere conservati dal fornitore del servizio per 24 mesi dalla data della comunicazione “per finalità di accertamento e repressione dei reati”; entro tali termini i dati in questione possono essere acquisiti con decreto motivato del giudice su istanza del pubblico ministero o del difensore dell‟imputato, della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa e delle altre parti private. 48 A questa e ad altre problematiche ha cercato di dare soluzione il d.l. 259/2006 convertito con l. 281/2006, nonché il disegno di legge n. 1611 approvato dal Senato in data 10 giugno 2010 ed attualmente giacente alla Camera (sul punto v. infra, par. 3.4.).

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dell‟opinione pubblica, in modo indiscriminato, un ampio materiale di documentazione di conversazioni telefoniche che, per tutelare non solo i soggetti coinvolti nel procedimento penale ma, in primis, i terzi estranei ai fatti, dovrebbero essere oggetto di una ben più adeguata selezione e valutazione.

A ciò è strettamente collegato, infine, un altro punto nevralgico della disciplina vigente: sarebbe opportuno, infatti, che il legislatore riveda incisivamente anche le norme sul segreto investigativo e istruttorio, individuando il responsabile della custodia degli atti contenenti i risultati delle operazioni di intercettazione ed irrogando severe sanzioni in caso di violazioni o abusi.

2. La diversa disciplina prevista in materia di intercettazioni dei parlamentari dall‟art.

68, 3° comma, Cost.

2.1. Premessa

I nodi problematici emersi in relazione alla disciplina delle intercettazioni telefoniche contenuta nel codice di procedura penale, e quindi il problema del bilanciamento di interessi tra privacy ed esigenze di prevenzione e repressione dei reati, si ripropongono in modo accentuato a proposito dei membri del Parlamento.

Sin dall‟entrata in vigore della Costituzione49

, infatti, sono state riconosciute agli stessi una serie di prerogative in ambito penale (art. 68 Cost.), prevedendo la necessaria autorizzazione della Camera di appartenenza per consentire lo svolgimento dell‟ordinaria attività giurisdizionale nei loro confronti; in particolare, nella sua versione originaria, l‟art. 68 Cost. prevedeva sia la necessità di un‟autorizzazione per procedere penalmente nei confronti del membro dell‟Assemblea legislativa, sia la necessità di una specifica autorizzazione per lo svolgimento di determinati atti investigativi limitativi delle sue libertà fondamentali (nella specie le perquisizioni personali e domiciliari), nonché per l‟arresto (e le altre forme di limitazione della libertà personale) e il mantenimento in detenzione.

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