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Gli specula principum e le virtù del princeps ideale a.c. di Alessia Marmocchi

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Academic year: 2021

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Gli specula principum e le virtù del princeps ideale

– Alessia Marmocchi 5^Ds

Con il termine speculum principis (al plurale specula principum), letteralmente “specchio del principe”, si fa riferimento a quel genere didattico-letterario attraverso cui si propone un vero e proprio manuale di virtù ad uso dei regnanti. Gli autori di tali trattati, nel descrivere e prescrivere un modello ideale dell’arte di governo, avevano come intenzione principale quella di dotare di un senso morale ma soprattutto religioso l’ordinamento politico e l’officium (“dovere” o “carica”) del princeps.

Gli specula principum possono avere un dedicatario concreto oppure essere indirizzati ai regnanti in generale; in entrambi i casi però, alla trattazione precede una dedica al destinatario dell’opera. In questa premessa, che si configura come un vero e proprio encomio, generalmente l’autore esprime un desiderio di riconoscimento e di apprezzamento da parte del regnante oppure evidenzia un legame, reale o solo vagheggiato, con quest’ultimo. Ciononostante gli specula principum si differenziano dai panegyrici di corte, i quali corrispondono a veri e propri elogi fini a se stessi, poiché la loro intenzione principale è di tipo didattico-parenetico.

Il genere degli specula principum, cosiddetto “genere speculare”, già diffuso e conosciuto nell’antico Egitto, in India, in Cina e nel mondo arabo, detiene i suoi modelli classici nella Ciropedia (o “Educazione di Ciro”) di Senofonte, nell’Orazione a Nicocle ed Evagora di Isocrate, nel De Officiis di Cicerone e nel De Clementia di Seneca, il quale rappresenta l'unico esempio conosciuto di speculum principis nella letteratura latina. Questo genere fu molto apprezzato anche nel Medioevo ed infine ripreso nel Quattrocento in Italia da Niccolò Machiavelli nell’opera intitolata Il Principe.

Le virtù del princeps ideale che emergono da questi trattati sono 7: clementia, temperantia, pietas, integritas, fortitudo, fides, iustitia, prudentia.

La clementia si identifica nella temperantia animi, ovvero in un complessivo atteggiamento di filantropica benevolenza. La si può anche definire lenitas superioris nei confronti dell’inferiore quando al primo sia consentito fissare il castigo del secondo. In tal caso dunque il dovere del princeps è quello di exercere imperium animo miti, senza sconfinare né nella misericordia gratuita né nel furor. Il vizio ad essa contrapposto è la crudelitas, anche detta atrocitas animi, la quale è propria del tiranno.

La temperantia modera l'attrattiva dei piaceri sensibili e rende capaci di equilibrio nell'uso della materia. Se l'uomo seguisse liberamente le proprie pulsioni, prodotto del peccato originale, finirebbe per diventare schiavo delle sue bramosie e delle sue passioni, giacché la parte animale dell'uomo è molto sensibile alla degenerazione e all'abuso.

La pietas si identifica nell’insieme di tre precise disposizioni dell’animo che corrispondono alla devozione religiosa, al sentimento d'amore patriottico e al rispetto verso la famiglia. Il pius per eccellenza è Enea. L’eroe greco infatti fu molto devoto agli dei (come si evince dalla cieca fiducia che ripose nei loro presagi), incarnò perfettamente i valori di rispetto dell'unità familiare (come si evince nel passo dell'Eneide che tratta la fuga da Troia durante la quale Enea si fa carico sia del figlio sia del padre) e fu sempre molto legato alla patria.

L’integritas corrisponde al sommo accordo che è possibile instaurare tra i propri ideali e valori e l'applicazione di questi stessi nella vita reale. Le persone integre sono dunque "incorruttibili" poiché posseggono valori profondamente radicati e imprescindibili ai quali sono ancorati permanentemente e dai quali non possono essere dissuasi.

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La fortitudo assicura, nelle difficoltà, la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. La fortezza è la capacità di resistere alle avversità, di non scoraggiarsi dinanzi ai contrattempi, di perseverare nel cammino di perfezione, di andare avanti ad ogni costo senza lasciarsi vincere dalla pigrizia, dalla viltà, dalla paura. Come insegna Tommaso d’Aquino, il vizio ad essa contrapposto è la pusillanimità, ovvero il difetto di chi non sfrutta al massimo le proprie possibilità e dunque non si esprime nella pienezza delle proprie potenzialità, lasciandosi cullare dalla pigrizia o accontentandosi di condurre un'esistenza vuota.

La fides, intesa come condizione di fiducia in qualcuno, come tutela o protezione, come lealtà ed infine come senso del dovere verso gli altri, deve essere alla base di ogni rapporto umano. In una relazione fondata su questa virtù entrambe le parti sono tenute a rispettare i termini del patto allo stesso modo. La iustitia consiste nella volontà costante e ferma di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. Per mezzo di essa dunque, il princeps deve intendere e conseguentemente operare ciò che è bene nei riguardi di Dio, di se stesso e del prossimo.

La prudentia dispone la ragione pratica a discernere, in ogni circostanza, il vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per attuarlo. L'uomo prudente non è l'indeciso, il cauto, il titubante, ma al contrario è colui che sa decidere con sano realismo, non si fa trascinare dai facili entusiasmi, non tentenna e non ha paura di osare.

Bibliografia e sitografia:

 De clementia, Seneca, edizione integrale Rusconi  https://it.wikipedia.org/wiki/Speculum_principis

 https://www.treccani.it/enciclopedia/specula-principum-in-eta-moderna_%28Enciclopedia-Costantiniana%29/

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