UNIVERSITÀ DI PISA
Corso di laurea in
SCIENZE BIOLOGICHE E MOLECOLARI
Laurea Magistrale in
BIOLOGIA APPLICATA ALLA BIOMEDICINA
Titolo della Tesi
“Ricerca dello Human Mammary Tumor Virus
(HMTV) in linea primaria derivante da paziente”
Candidato: Andreozzi Ilaria Relatore: Prof. Mauro Pistello
Tutor: Dott.ssa Giulia Freer
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UNIVERSITY OF PISA
Research Doctorate School in
BIOLOGICAL AND MOLECULAR SCIENCES
Course in
MOLECULAR AND EXPERIMENTAL ONCOLOGY
SSD: MED/06
XXVI CYCLE (2011-2013)
THESIS TITLE
ISOLATION AND CHARACTERIZATION OF HUMAN
MAMMARY TUMOR VIRUS (HMTV) IN HUMAN SPORADIC
BREAST CANCER
Candidate: Ivana Armogida
Supervisor: Prof. Generoso Bevilacqua
INDICE
RIASSUNTO……… pg. 4 INTRODUZIONE……….pg.6 1.1 Retrovirus e virus oncogeni………pg.6
1.1.1 Caratteristiche generali dei virus……….pg. 6
1.1.2 I Retrovirus………..pg.8
1.1.3 Processo di retrotrascrizione e formazione delle LTR e formazione del provirus………pg. 15
1.1.4 Meccanismi d’induzione tumorale dei retrovirus oncogeni (oncovirus) ………..pg. 16
1.1.5 Integrazione del DNA provirale………..pg.18
1.1.6 Attivazione di oncogeni cellulari indotta da inserzione di Retrovirus..pg. 20 1.1.7 Il Virus del tumore mammario murino (MMTV)……….pg. 21
1.1.8 Caratteristiche strutturali di MMTV………pg. 22 1.1.9 Genoma virale di MMTV………..pg. 23 1.1.10 Ciclo infettivo di MMTV………pg. 24
1.1.11 Ciclo replicativo di MMTV………pg. 28
1.1.12 Tumorigenesi indotta da MMTV……….pg. 30 1.1.13 Retrovirus endogeni umani(HERV)………pg. 32
1.1.14 Basi dell’eziologia virale del tumore al seno…… pg. 34
1.1.15 Eziologia virale del tumore mammario nell’uomo:il virus del tumore mammario umano (HMTV)………36 2. SCOPO……….pg. 38 3. MATERIALI E METODI………pg.40 3.1 Colture cellulari………….pg. 41
3.3 Semi-Nested PCR……….pg. 44 3.4 Anticorpi utilizzati per i saggi di Immunofluorescenza…..…pg. 45 3.5 Immunofluorescenza……….pg. 46
3.6 Anticorpi utilizzati per il saggio di Western Blot……….pg. 47 3.7 Western Blot………pg. 48
3.8 SYBR-GREEN PCR-enhamced reverse transcriptase (PERT) assay………pg. 50
4. RISULTATI...55
4.1 Risultati dell’analisi della linea primaria utilizzata per i saggi……….55
4.2 Clonaggio per diluizione limitante……….58
4.3 Semi-NESTED PCR……….60 4.4 Immunofluorescenza...64 4.5 PCR SG-PERT……….69 4.6 Western Blot...75 5. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI……….77 6. RINGRAZIAMENTI...80 7. BIBLIOGRAFIA...81
RIASSUNTO
Il coinvolgimento del virus del tumore mammario murino (MMTV), appartenente alla famiglia dei betaretrovirus, nello sviluppo del tumore alla ghiandola mammaria murina è stato dimostrato da Bittner nel 1936.
Nel 38% dei casi di pazienti americani affetti da tumore al seno è stata rilevata una sequenza di 660 paia basi simile all’ envelope di MMTV (env-like), non presente nei tessuti sani degli stessi e di soggetti senza tumore. L’isolamento ed il sequenziamento del virus ne hanno dimostrato il 95% di omologia con MMTV e solo il 56% di omologia con il retrovirus endogeno umano HERV-K10. Ciò ha indotto ad ipotizzare l’esistenza di un virus umano analogo a quello murino, il virus del tumore mammario umano (HMTV).
La possibilità di isolare e studiare HMTV ci permetterebbe di valutarne il coinvolgimento nella genesi di tumori mammari nell’uomo.
A tal fine, questo studio si è basato sull’analisi di una linea primaria di tumore mammario, prelevata da paziente, che risultava positiva al genoma di HMTV tramite PCR.
Scopo della nostra ricerca è quello di dimostrare ll’esistenza di tale virus come virione nella linea primaria in esame. Dato che la linea primaria in nostro possesso risultava perdere progressivamente la positività al genoma di HMTV, si è proceduto prima di tutto con un clonaggio per diluizione limitante, al fine di ottenere cloni positivi e negativi della linea
stessa. Successivamente, tali cloni e la linea primaria sono stati sottoposti ad analisi per Immunfluorescenza per la rilevazione di proteine virali, ossia Env.
Le proteine virali, inoltre, sono state ricercate sia nei cloni sia nella linea primaria tramite esperimenti di Western Blot, utilizzata per la ricerca dell’Envelope e di una proteina virale di 14 KDa, e tramite una tecnica di PCR real-time semi quantitativa (SG-PERT), tesa alla rivelazione dell’enzima retro-trascrittasi.
Inoltre, per dimostrare l’inserzione del DNA virale nel genoma della linea cellulare e dei suoi cloni, sono stati effettuate analisi di Semi-Nested PCR. Da tali analisi si è verificata la positività ad Env di un clone della linea P tramite Immunofluorescenza e PCR; la metodica di SG-Pert ha rivelato una risposta positiva del nostro clone alla presenza di enzima RT, tuttavia la quantità presente è probabilmente minima, in quanto è al limite della capacità di rilevazione del saggio stesso.
1. INTRODUZIONE
1.1 RETROVIRUS E VIRUS ONCOGENI
1.1.1 CARATTERISTICHE GENERALI DEI VIRUS
Il materiale genetico di tutte le cellule è costituito da DNA a doppio filamento. Nei virus, invece, il materiale genetico può essere costituito o da DNA o da RNA ed esso può essere sia a doppio che a singolo filamento. In aggiunta al tipo di acido nucleico che ne costituisce il genoma, i virus possono essere anche classificati in base all'ospite che infettano: distinguiamo quindi, virus animali, virus vegetali e virus batterici. Le particelle virali sono le più piccole forme di vita e differiscono notevolmente come forma e dimensioni, variando da 20 a 300 nm. I genomi virali sono più piccoli di quelli della maggior parte delle cellule e per la maggior parte sono compresi tra le 1000 e le 5000 pb di DNA. L'acido nucleico del virione è sempre localizzato all'interno della particella, circondato da un rivestimento proteico detto capside. Questo è composto da un certo numero di una o poche proteine, chiamate subunità strutturali o protomeri, organizzate in maniera precisa ed altamente ripetuta intorno all'acido nucleico. La maggior parte dei virus possiede vari tipi di queste subunità strutturali chimicamente distinte che, associandosi in modo specifico, formano dei complessi più grandi detti capsomeri. L'insieme di acido nucleico e proteine, impacchettati nel virione, è detto nucleocapside. Sebbene la struttura virale appena descritta rappresenti spesso il virione
completo (virus nudi), molti virus possiedono, come nel caso dei virus con involucro o virus rivestiti, una membrana (involucro pericapsidico o
envelope). Tale membrana è costituita da un doppio strato lipidico al quale
sono associate glico-proteine virus-specifiche, importanti per l'attacco del virione alla cellula futura ospite. L'envelope deriva da una membrana cellulare come risultato del processo di gemmazione della particella virale. Il capside e l’envelope proteggono il genoma da nucleasi presenti nell’ambiente e ne consentono l’attacco e la penetrazione nella cellula in cui avverrà la moltiplicazione.
I virus entrano nella cellula tramite due meccanismi: la fusione o l’endocitosi. La fusione comporta, appunto, la fusione diretta catalizzata dal virione tra la membrana virale e cellulare. Questa capacità è indotta da una glicoproteina virale di rivestimento: una volta legato al recettore, il virus grazie all'attività di fusione viene introdotto nella cellula. In caso di endocitosi, il virus viene avvolto in una vescicola costituita da una zona di membrana cellulare che su un lato presenta una fila di molecole di clatrina. Le proteine del capside dei virioni nudi o le glicoproteine dei virioni rivestiti interagiscono con i recettori presenti sulla membrana inducendo l'endocitosi del virione e la successiva entrata del nucleo-capside all'interno della cellula.
Caratteristica fondamentale dei virus è il loro meccanismo di moltiplicazione: nei virioni non esiste un apparato per l’utilizzazione e la trasformazione di energia per la sintesi delle proteine. Per questo, il virione deve utilizzare gli apparati cellulari della cellula infettata per sintetizzare i costituenti virali, che poi si assemblano spontaneamente per
dare origine alla progenie virale. ( Caspar et al., 1975; Mattern et al., 1977; Palmer et al., 1988)
1.1.2 I RETROVIRUS
Nel 1980 fu scoperto il primo retrovirus patogeno per l’uomo, l’HTLV (Poiesz
et al.,1980), ma l’attenzione mondiale nei confronti di questi virus iniziò nel
1983 con la scoperta dell’HIV(Gallo e Montagnier, 1987).
Sono stati individuati numerosi retrovirus, che vengono riuniti nell’ampia famiglia delle Retroviridae. I retrovirus sono molto diffusi nel regno animale e infettano gran parte dei vertebrati. Essi mostrano tropismo per numerosi tessuti e sono associati a diverse malattie, tra cui disturbi neurologici ed immunodeficienza, con infezioni a lungo decorso, che possono indurre viremia cronica anche senza effetti patologici evidenti. Essi sono caratterizzati da un peculiare ciclo vitale che consente loro, una volta penetrati nella cellula da infettare, di retrotrascrivere il proprio RNA genomico in DNA e di integrarlo nel DNA cromosomico dell’ospite. La forma integrata del DNA virale, il provirus, funge da stampo per la formazione di nuovo RNA virale che darà origine alle proteine che si assemblano a dare, assieme al genoma, la progenie virale.
Al di là di tutte le differenze che si possono riscontrare all’interno di questa famiglia, i vari retrovirus presentano importanti omologie nella struttura del virione, del genoma e nelle strategie di replicazione. Per quanto riguarda il genoma, le dimensioni variano da 8 a circa 11 kb; esso è costituito da due molecole identiche di RNA a singolo filamento. Queste ultime presentano, in modo molto simile all’mRNA cellulare, all’estremità 5' il gruppo “cap” e
all’estremità 3' la sequenza di poliadenilazione. L’ordine dei geni che codificano per le proteine strutturali è 5’-gag-pol-env-3’.
Il gene gag (group specific antigen) ha la funzione di codificare per proteine strutturali, i quali sono i principali componenti del capside virale. Il gene pol (polimerasi) ha la funzione di codificare per enzimi quali la trascrittasi inversa, la proteasi e l’integrasi, utili per la replicazione del virus. Il gene env (envelope) codifica per le glicoproteine di membrana.
FIG.1: struttura del genoma retrovirale: R: regione R (18-250 pb) formata da sequenze ripetute ad entrambe le estremità del genoma; U5: (75-250 pb) sequenza non-codificante in 5’; PBS: Primer Binding Site (sito di legame del tRNA primer); Leader: sequenza non-tradotta (90-500 pb) a valle del punto di inizio di trascrizione presente in 5' di tutti i mRNA del virus. PPT: Polypurine tract (regione polipurinica) responsabile dell'inizio della trascrizione inversa del filamento +; U3: sequenza non-codificante in 3’.
Le caratteristiche del ciclo vitale dei retrovirus, sopratutto la retrotrascrizione dell’RNA in DNA e la sua successiva integrazione nel genoma della cellula ospite, sono le particolarità di questo genere di virus. Inoltre, questo tipico
Fig.2: struttura schematica di un retrovirus a doppio filamento di RNA
ciclo vitale conferisce ai retrovirus numerose attività biologiche. Difatti, la creazione di un provirus integrato a DNA conferisce al virus la capacità di: a) mantenere un’infezione persistenze, nonostante la risposta immunitaria dell’ospite; b) permette l’introduzione del retrovirus nella linea germinale, determinandone la trasmissione verticale.
Per quanto riguarda la struttura del virione retrovirale, esso presenta una forma sferica, dal diametro variabile dai 100 ai 120 nm e sono caratterizzati, dall’esterno verso l’interno da una sequenza di strutture tipiche:
- l’Envelope: un doppio strato di glicoproteine codificate dal gene env, tra cui ritroviamo: 1) proteina Transmembrana, necessaria per la fusione e
Envelope
virale
RNA
Trascrittasi Inversa
Capside virale
per l’aggancio del virus alla membrana della cellula target; 2) proteina di superficie, la cui funzione è quella di recettore;
-
Core: struttura triangolare o rettangolare composta da proteinecodificate dal gene gag; all’interno del Core virale si ritrovano: 1) due copie di RNA genomico virale; 2) enzimi quali retrotrascrittasi ed integrasi
Per quanto invece riguarda il processo d’infezione virale, possiamo distinguere due fasi principali di tale processo:
-
il binding o adsorbimento, il quale è stato ampiamente studiato per il virus dell’HIV: in questo caso osserviamo che la proteina di superficie gp120 si lega alla molecola CD4, una proteina di superficie espressa da alcuni linfociti T e dai macrofagi. Questo legame determina un cambio conformazionale della proteina di superficie virale gp120, che a sua volta consente alla proteina transmembrana l’interazione con un recettore per le chemochine, che funge da co-recettore virale. Il legame con il co-recettore permette l’avvicinamento della cellula ospite e del virione, in modo che la fusione tra le membrane possa avvenire.-
la fusione: la proteina transmembrana (Gp41) media la fusione tra le membrane del virione e della cellula target. Essa viene smascheratoa quando la proteina gp120 varia la sua conformazione in seguito al legame con il CD4.Una volta all’interno della cellula ospite, un ruolo fondamentale è ricoperto dalla RT, un enzima multifunzionale, presente solo nei retrovirus (Baltimore e Temin, 1997). Esso ha struttura di eterodimero, composto da due subunità (p66 e p51) con due attività principali:
1) è una polimerasi DNA ed RNA-dipendente: ossia è un enzima in grado di utilizzare come stampo una molecola di DNA, ma anche di RNA a singolo filamento per sintetizzare molecole di DNA complementare; 2) attività di RNasi H: questa proteina è anche in grado di degradare l’RNA negli ibridi di tipo RNA-DNA formatisi durante la reazione di polimerizzazione così da poter formare un doppio filamento di DNA partendo da questo singolo filamento di DNA.
Dopo la retrotrascrizione, avviene l’integrazione del cDNA virale all’interno del DNA cromosomico della cellula ospite. Si forma così il provirus: un elemento genico permanente all’interno del cromosoma della cellula infetta, il quale viene trasmesso come gli altri elementi genici del cromosoma cellulare alle cellule discendenti.
Successivamente alla trascrizione del DNA virale integratosi nel genoma cellulare, le particelle virali vengono ricomposte (fase di assemblaggio) all’interno della cellula ospite, seguito poi dal rilascio della particella virale mediante gemmazione.
Dal 1966 la classificazione dei virus è soprintesa dal Comitato Internazionale per la Tassonomia dei Virus (ICTV, http://www.ncbi.nlm.nih.gov/ICTVdb/Ictv/ index.htm). Attualmente viene utilizzato un sistema di classificazione “misto” in cui si tiene conto dei caratteri primari (tipologia dell’acido nucleico; simmetria dimensioni del capside; presenza o meno del pericapside), delle caratteristiche architettoniche del genoma (che definiscono la classe secondo Baltimore e di altre proprietà, come le dimensioni del capside e del genoma, la presenza o assenza di oncogéni, o di altre caratteristiche di tipo patologico (Balda et al.,2010; Coffin 1992).
• Il gruppo degli Alfaretrovirus comprende i virus aviario dell’eritroblastosi; • il gruppo dei Betaretrovirus comprende il virus del tumore mammario del topo (MMTV), isolato sia in forma esogena che endogena; sequenze correlate sono state trovate anche negli esseri umani;
• il gruppo dei Gammaretrovirus comprende numerosi virus esogeni ed endogeni, contenenti oncogéni. Il genoma umano è ricco di provirus endogeni strettamente correlati ai retrovirus di questo gruppo, ed è stata dimostrata in vitro l’attività replicativa di alcune delle forme isolate (Christensen et al., 2002);
• il gruppo dei Deltaretrovirus comprende diversi virus esogeni associati a disturbi neurologici e al linfoma dei linfociti T negli esseri umani adulti;
• il gruppo degli Epsilonretrovirus comprende il virus del sarcoma di walleve (lucioperca nordamericana, Stizostedion vitreum);
• i Lentivirus comprendono diversi virus esogeni implicati in disturbi immunologici e neurologici come il virus dell’immunodeficienza acquisita della scimmia (SAIDS) e dell’uomo (AIDS);
Fig.3: schema di processo infettivo e replicato dei retrovirus nelle cellule target.
1.1.3 PROCESSO DI RETROTRASCRIZIONE: FORMAZIONE DELLE LTR E FORMAZIONE DEL PROVIRUS
Il processo di retrotrascrizione avviene nel complesso nucleoproteico e richiede il coordinamento delle attività della retrotrascrittasi (RT) virale, eterodimero costituito dalle subunità p51 e p66, una avente attività polimerasica in direzione 5’ → 3’, e l’altra ad attività RNAsica, in grado di degradare l’RNA dell’ibrido DNA-RNA. Come detto in precedenza la fedeltà della RT è relativamente bassa poiché l’enzima è privo dell’attività esonucleasica di controllo, ha perciò un’elevata frequenza di variabilità nucleotidica fra i diversi tipi di virus, che determina l’insorgenza di varianti resistenti alle strategie terapeutiche.
La trascrizione inizia con la sintesi di un filamento di DNA complementare al filamento di RNA virale (Fig. 3). Il neofilamento viene prodotto in due fasi: inizialmente vengono sintetizzati un centinaio di nucleotidi a partire dalla molecola di tRNA legata al genoma in prossimità dell’estremità 5’; quando l’enzima raggiunge l’estremità entra in gioco l’attività ribonucleasica dell’RT, che rimuove le sequenze di RNA ibridizzate al DNA neoformato. Rimane così esposto un piccolo tratto di DNA a singolo filamento (sequenza R) complementare al segmento presente all’estremo 3’; è a questo punto che si verifica il primo salto della polimerasi, che si trasferisce al 3’ terminale grazie alla complementarietà delle due sequenze R e riprende la copiatura in DNA della sequenza di RNA virale. Terminata la sintesi, interviene l’attività ribonucleasica della RT, che elimina la maggior parte dell’RNA ibridizzato, lasciando solamente un innesco polipurinico tra il gene env e la sequenza U3. Da questo nuovo
innesco inizia l’estensione del secondo filamento di DNA, trascritto sullo stampo del DNA neoprodotto ed in questo caso l’enzima funziona da DNA polimerasi-DNA dipendente. Analogamente a quanto descritto in precedenza, una volta raggiunta l’estremità del filamento interviene l’attività RNAsica dell’enzima, che rimuove l’innesco polipurinico dal secondo filamento di DNA e il tRNA dal primo, esponendo la sequenza PBS. Sfruttando nuovamente la complementarietà di sequenza (tra i due siti PBS), la polimerasi effettua un secondo salto che la riporta all’estremo 3’.
Gli errori di sintesi prodotti dalla RT nella prima tappa di retrotrascrizione saranno introdotti nel genoma virale, mentre gli errori prodotti durante la sintesi del secondo filamento possono essere corretti dai sistemi di riparazione cellulari, essendo incorporati in una doppia elica di DNA, che rappresenta il substrato naturale dei sistemi di correzione. La trascrizione inversa avviene nelle sei ore successive alla penetrazione del virus nella cellula ospite e si svolge nel citoplasma. Al termine della trascrizione, il DNA virale contiene ad entrambe le estremità le sequenze LTR (Long Terminal Repeat) e prende il nome di provirus e, associato alle proteine p17 e integrasi, forma il complesso di pre-integrazione.
1.1.4 MECCANISMI DI INDUZIONE TUMORALE DEI RETROVIRUS ONCOGENI (ONCOVIRUS)
I retrovirus oncogeni ad RNA possono indurre mutazione neoplastica attraverso: 1) il meccanismo di mutagenesi inserzionale (virus trasformanti
lenti); 2) attraverso l’inserimento di un oncogene virale (v-onc) all’interno del genoma cellulare (virus trasformanti acuti).
I virus trasformanti acuti hanno uno spiccato potere oncogeno, determinando precoce comparsa di tumori in un'alta percentuale di animali infettati, ed una elevata efficienza di trasformazione di cellule in coltura. L’alta oncogenicità dei virus acuti è legata ai prodotti del gene v-onc. E’ stato verificato che le sequenze di alleli dei proto-oncogeni cellulari sono omologhe a quelle di particolari v‐onc, e differiscono da questi solo per il fatto che all’interno delle sequenze dei proto-oncogeni cellulari sono presenti sia introni che sequenze codificanti, caratteristica dei geni dei vertebrati. Un esempio di retrovirus acutamente trasformante è il virus dell’immunodeficienza felina (FIV) ( Besmer et al., 1986) e l’herpesvirus associato alla manifestazione del sarcoma di Kasposi ( Carlos Bais et al., 1997).
Al contrario, i virus lentamente trasformanti non inseriscono un oncogene virale nella cellula ospite, ma portano nel loro genoma un promotore che può venire integrato nel DNA cellulare accanto o all'interno di un proto-oncogene, comportando una mancata regolazione che può causare la trasformazione cellulare e conseguente alterazione della proliferazione cellulare. L'effetto oncogeno degli oncovirus lenti è legato, quindi, alla capacità dei rispettivi provirus di attivare uno o più c‐onc, in prossimità dei quali sia avvenuta la loro integrazione nel genoma cellulare. Alcuni eventi di integrazione possono verificarsi anche entro geni cellulari con conseguente perdita dell'espressione genica o della funzione della proteina codificata. Un esempio di virus che determina manifestazione tumorale mediante meccanismo di mutagenesi inserzionale è il virus del
tumore mammario murino (MMTV), identificato come fattore esogeno legato al tumore alla mammella nei topi da Bittner nel 1936.
1.1.5 INTEGRAZIONE DEL DNA PROVIRALE
L’integrazione del DNA retrovirale, prodotto dalla retro-trascrizione, è un evento cruciale del ciclo vitale del retrovirus. L’integrazione è un passaggio richiesto per l’efficiente replicazione retrovirale, e virus mutanti che non sono in grado di integrarsi all’interno del genoma della cellula ospite non sono in grado di dare origine ad una infezione (Bowerman et
al., 1989; Brown, 1990). Una volta però che il provirus si è integrato nel
genoma della cellula ospite, il DNA virale è incorporato in maniera permanente all’interno delle cellule infette e non esiste alcun meccanismo attraverso cui possa essere eliminato. In casi molto rari, eventi di ricombinazioni omologhe a livello delle due LTRs posso eliminare gran parte del provirus, ma anche in questo caso almeno una delle due LTR rimane (Varmus et al., 1981). Quando la cellula ospite si divide, il provirus è trasmesso alla cellula figlie, ciò determina la conversione delle cellule infette in produttori cronici di progenie virale.
Il prodotto dell’azione della RT, come precedentemente descritto, è un doppio filamento di DNA virale, fiancheggiato alle sue estremità da LTR. Lo step successivo all’azione della RT è il trasferimento del DNA virale al nucleo. Il meccanismo con cui il DNA virale penetra all’interno del nucleo della cellula ospite non è ancora ampiamente conosciuto, ma ci sono probabilmente almeno due vie con cui i retrovirus trasferiscono il loro genoma attraverso la membrana nucleare. Alcuni retrovirus, quelli più
semplici, mostrano la necessità di infettare cellule in attiva divisione, ossia in mitosi, per favorire il successo dell’integrazione del provirus (Lewis et
al., 1994), ed il blocco della divisione cellulare, in queste tipologie di virus,
è stato dimostrato che impedisce l’integrazione del genoma del virus stesso. Ciò è determinato dal fatto che il complesso di preintegrazione che contiene il DNA virale necessità della degradazione della membrana nucleare per avere accesso al DNA cellulare. L’infezione retrovirale in cellule che hanno subito il blocco del loro ciclo di divisione risulta nell’accumulo di DNA virale a doppio filamento nel citoplasma della cellula, senza ulteriori segni d’infezione. Il DNA virale persisterà nella cellula per qualche tempo, e se la cellula sarà successivamente stimolata a riprendere la sua divisione, il genoma virale potrà integrarsi in quello della cellula ospite. Tuttavia, il DNA perde molto velocemente la capacità di essere trascritto (Andreadis et al., 1997).
Al contrario, i lentivirus e gli spumavirus sono capaci d’infettare anche cellule non in attiva divisione, grazie alla presenza di un trasporto attivo del DNA virale attraverso la membrana nucleare ancora intatta (Lewis et
al., 1992).
L’effettiva integrazione del DNA virale è mediata in vivo dall’azione della protenia virale integrasi, la quale è trasferita nella cellula ospite insieme con il virione. La reazione d’integrazione avviene attraverso due step successivi: il processamento dell’estremità 3’ ed il trasferimento del genoma virale. Durante il primo step, i due nucleotidi terminali situati all’estremità 3’ delle blunt-end del DNA virale sono rimossi dall’IN. Durante il secondo step, le estremità 3’-OH create precedentemente sono utilizzate per legare mediante legame fosfodiestere il DNA virale a quello
target (Fujiwara et al., 1988). L’estremità 5’ del DNA virale, invece, non è legata al DNA target mediante l’azione della IN. Questa reazione è invece una diretta transesterificazione, conseguentemente non è necessaria alcuna molecola di ATP o un’altra fonte di energia. A questo punto il genoma virale risulta integrato come provirus nella sequenza genomica della cellula target.
1.1.6 ATTIVAZIONE DI ONCOGENI CELLULARI INDOTTA DA INSERZIONE DI RETROVIRUS
Numerosi retrovirus che non contengono un oncogene all’interno del loro genoma virale sono comunque in grado di determinare manifestazione tumorale in numerosi animali. La tipologia di tumori legati a questi virus è simile a quella causata da virus transducenti, ossia virus che trasportano all’interno della cellula ospite un oncogene virale.
La differenza fondamentale tra le tipologie di tumori causate dai virus lentamente e acutamente trasformanti è il periodo di latenza nella formazione del tumore stesso.
I virus lentamente trasformanti, i quali non contengono nel proprio genoma un oncogene virale, determinano manifestazione tumorale solo dopo un periodo di latenza lungo, che può essere di settimane o mesi. Ciò è dovuta alla frequenza con cui l’inserzione del retrovirus avviene in prossimità in un potenziale oncogene.
I tumori causati dai virus lentamente trasformanti hanno tutti alcune caratteristiche in comune, importanti nella comprensione delle loro origini. Essi contengono tutti un provirus integrato. La sequenza provirale
integrata viene riscontrata nello stesso sito cromosomico in tutte le cellule da cui si è originato il tumore, dato che ogni tumore è monoclonale, ossia originato da una singola cellula trasformata. Inoltre, anche se l’infezione è iniziata da un virus non difettivo, che subisce numerosi cicli di replicazione, il provirus presente nei tessuti tumorali è solitamente difettivo, e contiene solo una parte del genoma virale. La parte che è sempre presente ed è conservata è almeno una delle LTR, mentre una porzione delle sequenze codificanti virali può anche non essere presente. Questa osservazione implica che le sequenze genomiche virali codificanti non sono necessarie per mantenere lo stato di trasformazione cancerogena delle cellule. Uno degli eventi necessari nella genesi dei tumori indotti dai virus lentamente trasformanti è il fatto che le sequenze virali debbano essere integrate in siti preferenziali all’interno del genoma cellulare. In numerosi tumori, questi siti sono localizzati nelle immediate vicinanze di un oncogene cellulare; ciò comporta la mancata regolazione della espressione di tale oncogene cellulare da parte del promotore virale inserito nelle sue vicinanze.
1.1.7 IL VIRUS DEL TUMORE MAMMARIO MURINO (MMTV)
Il Virus del Tumore Mammario Murino (MMTV) è stato per la prima volta studiato nel 1933 come una probabile causa di aumento dell’incidenza di tumore mammario in modelli murini. Nel 1936, Bittner dimostrò che un agente cancerogeno, chiamato da lui “milk factor”, poteva essere trasmesso dalla madre al figlio tramite l’allattamento. Successivamente, nel 1966, fu dimostrato che il milk factor di Bittner era un virus, il quale
rimaneva dormiente durante le prime fasi di crescita del topo, ma determinava lo sviluppo di tumore alla ghiandola mammaria durante la pubertà, quando si aveva aumentata produzione di ormoni sessuali.
1.1.8 CARATTERISTICHE STRUTTURALI DI MMTV
MMTV è un prototipo dei retrovirus di tipo B, ossia è caratterizzato da un core eccentrico e di forma sferica. Questo virus fu, all’inizio, definito come un retrovirus di tipo B in base alle sue caratteristiche morfologiche osservata attraverso microscopio elettronico: presenza di un core acentrico con particelle di circa 100 nm.
Per quanto riguarda il virione di MMTV, esso possiede un diametro di circa 100 nm e contiene due filamenti di RNA a singolo filamento, ed è incapsidato come una ribonucleoproteina elicoidale mediante proteine nucleocapsidiche; associate alla ribonucleoproteina vi sono anche enzimi quale la trascrittasi inversa e la integrasi.
Il capside virale è inoltre legato attraverso l’azione delle proteine della matrice all’envelope virale, il quale è originato dalla membrana plasmatica modificata dall’inserzione di proteine di superficie e di proteine transmembrana (Teramoto, 1977).
Numerose copie di DNA provirale integrato sono state rilevate in alcune delle linee di topo comunemente utilizzate in laboratorio (Coffin et al., 1992); ciò fa ipotizzare in questi casi una integrazione virale a livello della linea germinale murina e queste tipologie di virus murini endogeni vengono classificati mediante la sigla Mtv seguita da un numero arabo, come ad esempio Mtv8. Molti di questi Mtv endogeni murini sono difettivi
in uno o più geni e per questo non sono in grado di dare origine ad una effettiva infezione virale (Ryan et al., 2004).
Attualmente MMTV è stato classificato insieme ad altri betaretrovirus, tra cui il virus delle scimmie Mason-Prizer (MPMV), il virus delle pecore Jaagsiekte (JSRV) ed i retrovirus endogeni umani di tipo K (HERV-K).
1.1.9 GENOMA VIRALE DI MMTV
L’RNA virale è legato ad entrambe le sue estremità ad una breve sequenza ripetuta di 15 paia-basi (bp). Queste brevi regioni ripetute sono adiacenti a delle regione di, rispettivamente, 120 e 1200 paia-basi, presenti alle estremità 5’ (U5) ed al 3’ (U3).
La sequenza U5 è una regione non codificante che costituisce anche la prima porzione del genoma virale ad essere retrotrascritto, formando l’estremità 3’ del genoma del pro-virus.
La U3, invece, è una regione non codificante che andrà a costituire l’estremità 5’ del genoma del provirus dopo l’azione della trascrittasi inversa.
Un tRNA cellulare è inoltre legato (tRNA3Lys) è legato attraverso 18 bp di complementarietà all’RNA virale al livello del primer binding site (PBS) situato a valle della sequenza U5.
A livello delle LTR di MMTV sono presenti anche siti di risposta alla presenza di glucorticoidi e/o progesterone, la presenza dei quali, è stato visto precedentemente, determina un aumento dell’espressione virale nelle cellule infette. (Zhu, et al. 2004; Mink , et al. 1992).
All’interno della sequenza genomica di MMTV, vi sono anche geni che codificano sia per precursori della proteina Gag, che geni per altri due precursori polipeptidici: gag-pro e gag-pro-pol. Gag-pro codifica per le proteine gag, per una dUTPasi e per la proteasi virale. Invece la proteina gag-pro-pol codifica per l’enzima RT e per la integrasi.
Fig.4: schema struttura genoma provirale MMTV
Nel genoma virale è presente anche la regione env, che codifica per le proteine dell’envelope virale.
Come precedentemente accennato, all’interno del genoma del provirus integrato di MMTV sono presenti delle long terminal repeat (LTR) che ospitano una Open Reading Frame (ORF) codificante per un superantigene (Sag), essenziale per il ciclo vitale del virus (Luther e Acha-Orbea, 1997).
1.1.10 CICLO INFETTIVO DI MMTV
Il ciclo infettivo di MMTV inizia con l’ingestione da parte dei piccoli di latte infetto prodotto dalla madre infetta (Held et al. 1994; Ross et al., 1998).
Le particelle di MMTV ingerite dai neonati mediante il latte materno attraversano l’epitelio dell’intestino tenue attraverso le cellule M dello stesso. All’inizio, il virione infetta le cellule dendridiche e le cellule B situate nelle placche di Peyer del tratto gastrointestinale (Karapetian et al., 1994). Successivamente, il virus produce il proprio Superantigene (Sag) ed esso viene presentato attraverso il complesso maggiore di
istocompatibilità di classe II (MHCII) sulla superficie delle cellule B. Il Sag
di MMTV lega sia l’MHCII delle cellule B che alle catene Vβ del TCR sui linfociti T CD4+, determinandone la stimolazione, indipendentemente dalla specificità antigenica dei linfociti (Held et al., 1993).
I superantigeni differiscono dagli antigeni normali in quanto hanno una maggior capacità di stimolazione dei linfociti T e ciò deriva dalla loro abilità di legare non solo il complesso di catene alfa e beta al livello del recettori dei linfociti T (TCR), ma anche una particolare struttura di catena Vβ(Acha-Orbea et al., 1999)
Un’altra caratteristica dei superantigeni è quella di essere presentati accoppiati solamente con il Complesso Maggiore di Istocompatibilità di tipo II (MHCII) (Herman et al., 1991).
Per poter infettare le cellule mammarie, MMTV necessita di Sag funzionanti; difatti, esperimenti di laboratorio, hanno dimostrato che virus mutati con alterazioni del loro super-antigene non erano infettivi (Golovkina et al. 1998).
Oltre alla presenza di un Sag funzionante, MMTV necessita naturalmente della presenza di un sistema immunitario funzionante, ossia della presenza di linfociti B e T, per completare la propria infezione ( Tsubura et
La proteina Sag, quindi, causa la proliferazione delle cellule T CD4+, che, di ritorno, stimolano la proliferazione anche delle cellule B. Questa risposta comporta la formazione di una riserva di cellule permissive per l’infezione, da cui MMTV può diffondersi ad altre tipologie di linfociti (CD4+ e CD8+) durante le settimane successive.
L’infezione da parte del virus delle cellule linfocitaria e del tessuto linfocitario ha un ruolo fondamentale nella successiva infezione delle cellule epiteliali mammarie, anche se ancora non è conosciuto il meccanismo attraverso cui viene trasferito il virus al tessuto mammario, se attraverso contatto cellula-cellula o se le cellule linfoidi infette rappresentino solo un veicolo verso la ghiandola mammaria.
È noto che MMTV infetta molti tessuti di tipo epiteliale, incluse le ghiandole salivari, il fegato, i polmoni, la vescicola seminale e testicolare (Imai et al., 1983; Muhlbock et al., 1950; Smith, 1965; Tsubura et al., 1981), ma, a parte alcune eccezioni, solo le cellule dell’epitelio mammario sono trasformate in cellule tumorali a seguito dell’infezione e della replicazione di MMTV. Si è ipotizzato che questa peculiarità dipendesse principalmente dall’alta capacità rigenerativa dell’epitelio mammario: ad esempio, l’epitelio delle ghiandole mammarie è in grado di aumentare di circa 30 volte ad ogni gravidanza per poi ridursi nuovamente al termine dell’allattamento (Kordon e Smith, 1998; Nicoll e Tucker, 1965). Ciò può indurre un aumento della probabilità di alterazioni cellulari: è stato dimostrato che la frequenza di tumori mammari in topi infettati da MMTV era aumentata in caso di gravidanze multiple (De Ome et al., 1978, Squartini et al., 1983), cosa che fa ipotizzare una relazione tra l’aumento delle capacità proliferative del tessuto e la manifestazione tumorale.
Questo ci fa ipotizzare che l’epitelio mammario ed MMTV condividano un particolare tipo di interazione. Una delle spiegazioni possibili potrebbe essere la presenza e la persistenza di cellule staminali pluripotenti mammarie con capacità di auto-rinnovarsi e soggette all’infezione di MMTV (Kordon e Smith, 1998), che potrebbero persistere e dare origine ad iperplasia e tumori indotti da MMTV.
Fig. 5: schema del ciclo vitale di MMTV
Ingestione di latte infetto da parte dei piccoli
MMTV passa attraverso lo stomaco ed infetta i linfociti B e T a livello dell’intestino tenue Espansione di linfociti B e T mediata da Sag Trasmissione di MMTV alla ghiandola mammaria Manifestazione di tumore mammario
1.1.11 CICLO REPLICATIVO DI MMTV
Il ciclo replicativo di MMTV inizia quando la proteina di superficie del virus, la Gp52, si lega al recettore della transferrina (TFR1), espresso su numerose cellule murine. Successivamente all’entrata e al rilascio del nucleocapside nel citoplasma, la RT virale è attivata. Il primo prodotto dell’azione della RT è un etero-duplex RNA-DNA, dove l’RNA è digerito successivamente dalla RNasi H. Il DNA è duplicato, in modo tale che si possa formare il complesso di pre-integrazione, che è un genoma provirale di DNA a doppio filamento. (Peters and Glover, 1980).
. Una volta che il complesso di pre-integrazione è entrato nel nucleo, l’integrasi virale inserisce in maniera casuale il pro-virus nel genoma della cellula ospite (Varmus et al., 1980).
La trascrizione del genoma del provirus integrato è iniziata da un promotore situato nella regione 5’ LTR. La trascrizione produce vari mRNA, tra cui quelli che subiscono il processo di splicing sono quelli che verranno utilizzati per la traduzione delle proteine Env e Sag (Redmond et
al, 1997). Gli mRNA virali sono tradotti nelle proteine virali nel citoplasma
utilizzando le strutture della cellula ospite.
L’mRNA gag è tradotto in un precursore proteico Pr77, una proteina Gag. Il processo proteolitico che poi subisce Pr77 da parte delle protesi virali produce varie proteine strutturali: proteine della matrice, del capside (p27), del nucleocapside (p14) ed altre proteine più piccole, come p21 e p8 che hanno funzione sconosciuta (Massey et al., 1979; Dickson et al ., 1979; Hizi et al., 1989).
L’mRNA pro-gag è invece tradotto come precursore proteico Pr110, una poliproteina Gag-Pro. Tra Pr110, la sequenza NC del gene gag e la prima parte del gene pro è compreso il gene dUTPase (gene DU). DU previene l’incorporazione errata di uracile o mutazioni nei nuovi provirus. (Elder, et
al. 1992).
L’mRNA env è tradotto in un precursore proteico, pr73-env, questo precursore è modificato attraverso glicosilazione a livello del reticolo endoplasmatico e del Golgi, dove una proteasi cellulare andrà a tagliare la poliproteina Env per produrre Gp52, la quale è la proteina virale di superficie, e Gp36, la proteina transmembrana dell’envelope virale. Queste due proteine dell’envelope virale saranno poi trasferite mediante vescicole alla membrana plasmatica e saranno incorporate nell’envelope lipidico del virione maturo quando questo si staccherà per gemmazione dalla cellula ospite (Sen et al., 1980).
L’mRNA Sag è anch’esso tradotto prima in un precursore proteico detto Pr 48. Questa proteina è poi glicosilata e tagliata da proteasi nel Golgi per produrre la proteina Sag. (Knight et al. 1992).
MMTV quindi utilizza una strategia basata sull’utilizzo di poliproteine per l’assemblaggio. L’ordine delle proteine nelle poliproteine corrisponde alla loro relativa collocazione nel virione, a partire dall’esterno del virione stesso fino all’interno.
Le poliproteine di MMTV si assemblano in principio come particella immatura nel citoplasma della cellula ospite. La formazione della particella immatura avviene prima del suo trasporto alla membrana plasmatica (Sen
et al. 1980), successivamente la particella gemma dalla cellula a formare
il virione maturo.
La particella immatura associata alla membrana cellulare acquisisce le proteine lipidiche dell’envelope durante il processo di gemmazione. La gemmazione di MMTV sembra utilizzare le strutture di actina del citoscheletro della cellula ospite.
1.1.12 TUMORIGENESI INDOTTA DA MMTV
MMTV non codifica per alcun oncogene. La tumorogenesi è dipendente dall’inserzione del provirus vicino a sequenze di proto-oncogeni cellulari, mediante, quindi, mutagenesi inserzionale. L’inserzione di MMTV non è sequenza-specifica, ma casuale, quindi maggiore è la quantità di virus presente, maggiore sarà la probabilità che esso si vada ad integrare in prossimità di un proto-oncogene cellulare. Una volta che il provirus è stato integrato nel genoma della cellula ospite, l’espressione del suo DNA è regolato da specifiche sequenze nelle LTR che causano l’aumento della trascrizione virale in risposta alla presenza di gluco-corticoidi ed ormoni. Si è osservato che l’ormone che determina la maggior espressione di MMTV durante la gravidanza è il progesterone (Yamamoto,1985).
Nelle linee di tumore mammario murino analizzate, sono state riscontrate alterazioni dovute all’integrazione del provirus a monte di sei geni. Questi geni appartengono a famiglie di fattori di crescita dei fibroblasti (fgf) ed alla famiglia del gene wnt. Una caratteristica comune a questi due gruppi di geni è che entrambi partecipano ai processi di scambio d’informazioni tra cellulare; molti di essi, difatti, codificano per proteine secretorie: ad
esempio le proteine WNT regolano l’azione della beta-catenina; difatti l’interazione di WNT con il proprio recettore Frizzled inibisce la degradazione della βcatenina e la possibilità per quest’ultima di entrare nel nucleo ed interagire con numerosi fattori trascrizionali, come quelli della famiglia delle TCF/LEF, portando ad attivare i geni responsabili dell’attivazione del pathway Wnt. L'attivazione della βcatenina innesca meccanismi di crescita e resistenza all'apoptosi attivando il gene c-myc e la ciclina D1.
L’alterazione dell’espressione dei geni cellulari da parte del virus è dovuta alla presenza di sequenze enhancer all’estremità 5’ LTR di MMTV, che agiscono sui promotori genici adiacenti alla zona di integrazione, a circa 20 kb dalla LTR.
MMTV infetta, in vivo, i linfociti e le LTRs di MMTV contengono elementi regolatori che ne controllano l’espressione nelle cellule B e T. (Choi et al., 1987; Reuss et al., 2000).
MMTV ha differenti siti d’integrazione preferenziale all’interno del genoma delle sue cellule target. I siti d’integrazione maggiormente utilizzati da questo virus sono vicini a tre geni cellulari denominati int-1;int-2 ed int-3. Int-1, ora noto come wnt-1, appartiene ad una famiglia genica che ha numerose funzioni nello sviluppo embrionale sia in Drosophila che nei mammiferi (Kung et al., 1991). Wnt-1 codifica per una glicoproteina la quale viene secreta ma rimane strettamente associata con la cellula di origine. Probabilmente questa proteina è una componente dei meccanismi di trasmissione di segnali a corto raggio.
Int-2 codifica per una proteina che appartiene alla famiglia dei fattori di crescita dei fibroblasti (FGF) (Dickinson et al., 1987). Un’altro membro di
questa famiglia di proteine, hst, è occasionalmente attivato in tumori mammari. Hst è stata inoltre isolata in tumori umani (sarcoma di Kaposi e cancro allo stomaco) come un oncogene trasformante (Taira et al., 1987).
1.1.13 RETROVIRUS ENDOGENI UMANI (HERV)
La presenza di sequenze endogene retrovirali integrate nel genoma umano (HERV)ha sempre costituito un ostacolo alla ricerca e scoperta di nuovi retrovirus umano, in quanto essi comprendono l’8% del DNA umano, cui la loro rilevanza biologica è attualmente ancora sconosciuta. Si pensa derivino da antiche infezioni virali avvenute durante l’evoluzione, che abbia permesso l’inserzione di sequenze retrovirali nel genoma delle cellule della linea germinale umana e quindi trasmissibili geneticamente. Si pensa che l’integrazione di retrovirus nella linea germinale umana sia avvenuta tra i 2 ed i 70 milioni di anni fa. La maggior parte degli HERVs sono difettivi a causa di mutazioni o delezioni multiple, e nessuno di loro è capace di codificare particelle virali complete e non sono in grado di causare infezione ( Flockerzi et al., 2005).
Le famiglie di HERVs conosciute sono state raggruppate in diverse classi: gli HERV di classe I mostrano somiglianze con i Gamma-retrovirus, quelli di classe II con i Beta-retrovirus e gli HERV di classe III con gli spumavirus.
Si stima che le famiglie di HERV che risiedono effettivamente nel genoma umano siano dai 30 ai 50, e molti di essi sono classificati come HERV-K.
Per quanto riguarda la famiglia degli HERV-K, essi hanno la caratteristica di avere, nel loro genoma, una open reading frame (ORF) per i geni fondamentali dei retrovirus, quali gag, pol ed env. Questa famiglia di virus fu inizialmente identificata grazie alla sua alta omologia con il virus del tumore mammario murino (MMTV). In totale, sono state riconosciute 10 famiglie HERV-K in base ad omologie di sequenza, e sono stati nominati a partire da HERV-K1 ad HERV-K10. Attualmente la funzione biologica di questi retrovirus non è ancora conosciuta, ma numerosi esperimenti mostrano la possibilità di ricombinazione tra le sequenze di virus esogeni e HERV. È stata infatti identificata una variante di MMTV, altamente tumorogenica, restante dalla ricombinazione tra sequenze derivanti da MMTV endogeno ed una variante di MMTV esogeno (Golovkina et al. 1997).
Tra gli HERV-K presenti nel genoma umano, HERV-K10 è stato sequenziato e si è visto che ha un provirus completo di 9 Kb, il quale contiene ORF per tutti i geni retrovirali; esso tuttavia ha un cordone di stop all’interno del gene env ed una mutazione frameshift al livello del gene gag.
La scoperta di tali sequenze HERV ha reso la ricerca di un eventuale virus del tumore mammario umano più ostica, portando all’idea che eventuali rilevamenti di sequenze virali in tessuti tumorali fossero dovute a tali integrazioni endogene.
1.1.14 BASI DELL’EZIOLOGIA VIRALE DEL TUMORE AL SENO
Il ruolo eziologico del virus del tumore mammario murino nello sviluppo di tumori della ghiandola mammaria nei topi è stato dimostrato da tempo (Bittner et al., 1936). È interessante notare che molto di ciò che si sa sul tumore mammario nell’uomo è basato su osservazioni effettuate sui topi in cui il tumore era stato indotto mediante infezione di MMTV (Ross et al., 2008; Cardiff et al., 2007); in particolare, il concetto di progressione del cancro ed il riconoscimento di lesioni pre-invasive come passaggio morfologico dello sviluppo della patologia sono basate su modello murino (Medina et al., 2008). Inoltre, il ruolo degli estrogeni come promotori nello sviluppo della patologia si è basato su osservazioni condotte nei topi (Medina et al., 1970, Fernandez et al., 2010). Le numerose somiglianze tra la patologia murina ed umana rappresentato il motivo del dubbio della presenza di una possibile eziologia virale nello sviluppo del tumore mammario umano.
Sin dalle prime descrizioni dell’esistenza di MMTV e la verifica della sua associazione con l’iperplasia alla ghiandola mammaria murina, è stato periodicamente ipotizzato che un virus simile, o ad esso imparentato, potesse essere coinvolto nell’eziologia del tumore mammario nell’uomo. (Berns et al., 1995; Pogo et al., 1997; Keydar et al., 1999). Gli studi preliminari effettuati tendevano a supportare tale ipotesi, infatti erano stati in grado di dimostrare: 1) la presenza d particelle virali simili ad MMTV in biopsie di tumore mammario umano (Feller e Chopra, 1968); in cellule ed in campioni di latte umano (Moore et al., 1969; Al-Sumidaie et al., 1988); 2) l’espressione di proteine che presentavano cross-reattività con gli
antigeni di MMTV in biopsie derivanti da tumore umano (Keydar et al., 1984; Mesa-Tejada et al., 1978); 3) la verifica dell’esposizione verso agenti simili ad MMTV nel 100% di donne con manifestazione della patologia maligna e nelle loro figlie sane (Dion et al.,1987).
La prima descrizione della presenza di particelle virali con le caratteristiche morfologiche dei betaretrovirus nel latte umano si è avuta nel 1971 da parte di Feller e Chopra (Feller et al. 1971, 1989). Fu anche descritta la presenza di un beta-retrovirus simile ad MMTV nel 5% dei campioni di latte provenienti da donne americane senza familiarità per il tumore al seno, in contrasto al 60% di donne americane con familiarità di tumore al seno. Inoltre è stato ritrovato nel 39% di campioni provenienti da donne Parsi, le quali hanno un rischio tre volte maggiore di manifestare tumore al seno rispetto alle non Parsi nella popolazione di Bombay (Moore et al., 1971).
Successivamente, nel 1972, Scholm ed i suoi collaboratori trovarono attività RT ed RNA di particelle virali della stessa densità dei beta-retrovirus in campioni di latte umano. (Scholm et al, 1972). Inoltre una proteina umana correlata all’envelope di MMTV è stata identificata in un
pool di campioni di latte umano proveniente da 300 donne sane. (Dion et al., 1980).
Negli anni ’80 però quando un HERV con omologia di sequenza ad MMTV fu descritto, fu ipotizzato che le particelle precedentemente descritte fossero di origine endogena (Westley et al., 1984).
1.1.15 EZIOLOGIA VIRALE DEL TUMORE MAMMARIO NELL’UOMO: IL VIRUS DEL TUMORE MAMMARIO UMANO (HMTV)
La svolta nella ricerca di un virus del tumore mammario umano si è avuta solo nel 1995, quando Wang e collaboratori decisero di selezionare una sequenza di 660 paia basi (bp) del genoma pro-virale di MMTV con solo il 16% di omologia con HERV-K10, che è altamente somigliante ad MMTV, ma con il 90-98% di omologia di sequenza con il gene dell’envelope (env) di MMTV per i loro esperimenti. Utilizzando dei primer specifici per tale regione fu ritrovato un gene esogeno env simile a quello di MMTV nel 38% del genoma cellulare di una serie di tumori mammari infiltranti umani. Queste sequenze risultavano presenti solo nel 2% di campioni non tumorali di tessuto mammario degli stessi pazienti(Wang et al; 1995), ciò ha determinato l’origine esogena delle sequenze virali rilevate. Successivi studi (Melana et al., 2001) furono in grado di confermare tali dati. L’intera struttura provirale identificata negli studi successivi di Wang e Melana è stata poi descritta come Human Mammary Tumor Virus (HMTV) (Wang et
al. 2001).
Successivamente è stata verificata la presenza di sequenze omologhe ad MMTV in tessuti di tumore mammario ed altri autori hanno confermato che queste sequenze MMTV simili non erano altro che lo stesso HMTV. (Etkind et al.,2000; Ford et al., 2003; Liu et al. 2006; Zammarchi et al. 2006; Zapata-Benavides et al. 2007).
In altri studi sono state rilevate particelle retro-virali di HMTV in microscopia elettronica a partire da sopranatante di colture primarie provenienti da cellule metastatiche di tumore mammario umano (Melana
et al., 2007) e l’espressione di proteine appartenenti ad HMTV è stata
ritrovata in cellule contenenti sequenze integrate di DNA provirale di HMTV (Melana et al., 2010). Inoltre, è stata osservata una maggior presenza di sequenze appartenenti ad HMTV in tumori di tipo infiammatorio e gestazionale rispetto allo sporadico (Wang et al., 2003; Wang et al., 2010). Dato che il tumore al seno di tipo gestazionale è, per definizione, associato a grandi cambiamenti ormonali, la presenza di sequenze responsive a tali cambiamenti nelle LTR del virus spiegherebbe la maggior presenza di HMTV in queste tipologie di tumori (Wang et al. 2003), ipotesi basata sulla omologia di sequenza tra MMTV ed HMTV. Come precedentemente accennato, sono stati comunque pubblicati risultati discordanti nel corso degli anni e queste differenze possono essere il risultato di differenze nelle procedure di rilevamento, oppure essere dovute all’eterogeneità dei tessuti utilizzati dai vari gruppi di ricerca e, probabilmente, anche al fatto che sono usualmente presenti poche copie delle sequenze MMTV-like e molte tecniche non sono abbastanza sensibili.
Attualmente, l’idea che un virus possa essere coinvolto nelle manifestazioni di tumore mammario umano è molto diffusa. Oltretutto, è stata anche dimostrata la capacità di MMTV di infettare cellule umane. (Indik et al., 2005).
2 SCOPO DELLA TESI
Lo scopo di questo studio è stato quello di caratterizzare una linea cellulare (linea P) proveniente da tumore mammario duttale infiltrante. Tale linea, prelevata direttamente da paziente presso l’Ospedale Santa Chiara di Pisa, era stata già precedentemente posta ad analisi presso le strutture della Fondazione Pisana Scienze. Mediante queste prime analisi, Lessi e collaboratori avevano confermato la positività della linea P per un segmento genico del virus del tumore mammario umano (HMTV); tuttavia avevano anche riscontrato, nel tempo, una riduzione della positività della linea stessa. A questo punto, la linea P è pervenuta per ulteriori analisi al Centro Retrovirus dove, per prima cosa, è stato effettuato un clonaggio della linea stessa per ottenere cloni cellulari derivanti da un’unica cellula, in modo tale da poter avere, ipoteticamente, cloni totalmente positivi o totalmente negativi della linea originaria. Il passo successivo è stato il verificare che i cloni fossero positivi in PCR utilizzando una metodica si Semi-Nested PCR e valutare l’eventuale espressione di proteine virali da parte delle cellule della linea P e dei cloni della stessa. Le proteine virali prese in esame in questo studio sono state: le proteine dell’Envelope virale (Gp52); la proteina P14 e la trascrittasi inversa. Le analisi effettuate a tal scopo sono state quindi saggi di Immunofluorescenza, Semi NESTED PCR, PCR SG-PERT e Western Blot.
La necessità della verifica di tali caratteristiche, sopratutto a carico di almeno uno dei cloni della linea primaria, sta nel fatto che questo potrebbe essere un punto di partenza per l’isolamento virale di HMTV e
per lo studio dei meccanismi d’infezione ed induzione tumorigenica dello stesso virus.
Oltre a ciò, tale studio racchiude anche un’importanza clinica basata sul fatto che, nell’eventualità si riuscisse a caratterizzare il virus HMTV, si potrebbero mettere a punto protocolli di screening sierologici per la popolazione a fini preventivi.
3 MATERIALI E METODI
La linea primaria in nostro possesso (Linea P) è derivata da tessuto tumorale mammario duttile infiltrante. Tale linea era stata precedentemente analizzata presso il laboratorio della Fondazione Pisana Scienze per verificare l’eventuale positività di tale linea alla presenza del virus del tumore mammario (HMTV) ed hanno evidenziato la presenza del gene di una proteina Env-simile. Questo è stato visto tramite PCR, FISH, immunocitochimica e microscopia elettronica. (Lessi et al., in preparazione).
A questo punto, la linea primaria è stata affidata per la caratterizzazione di tale virus e per la verifica della positività allo stesso al nostro laboratorio del Centro Retrovirus. Uno degli scopi di questo studio è stato quello di verificare la positività della linea P alla presenza di proteine virali.
Il primo passo della caratterizzazione è stato quello di effettuare un clonaggio per diluizione limitante della linea P e successivamente sottoporre ad analisi sia i cloni che la linea originaria.
Le analisi effettuate sono state improntate alla rilevazione della presenza di proteine virali (Env, p14 e trascrittasi inversa) mediante Immunofluorescenza, Western Blot e PCR SG-PERT e per la verifica dell’integrazione virale nel genoma delle cellule della linea P mediante semi-nested PCR.
Mediante queste analisi è stato verificato che un clone è positivo per la presenza di DNA di HMTV e di proteine dello stesso.
La verifica della presenza di HMTV nella linea P ed il ritrovamento di un clone positivo della linea stessa è fondamentale come base per la
costruzione di successivi esperimenti atti a definire l’effettivo ruolo del virus nella patologia tumorale.
In conclusione, tutte le metodiche precedentemente descritte hanno dimostrato l’effettiva positività della linea P alla presenza del virus HMTV.
3.1 COLTURE CELLULARI
Linea P
Le cellule della linea P e dei cloni della stessa sono state mantenute in coltura utilizzando un terreno costituito da DMEM F12 a cui sono stati aggiunti: 0.5μg/ml desametasone; 5μg/ml insulina; 20 ng/ml EGFR; 0.004 M/ml estratto di ghiandola pituitaria bovina; B27 2%; 10% FBS; 200 U/ml penicillina; 200 μg/ml streptomicina; 5μg/ml fungizone.
Le cellule sono state coltivate all’interno di fiasche di tipo T75 e T125 e lasciate in coltura fino al raggiungimento del 70-80% di confluenza all’interno della fiasca. Al raggiungimento della confluenza, le cellule venivano staccate con tripsina e piastrate in fiasche nuove. Le cellule aderenti venivano lavate con soluzione salina tamponata (PBS). Veniva quindi aggiunta una soluzione di Trispsina ( 0,1 ml/cm2) e lasciata agire per cinque minuti a 37°C. La tripsina era quindi inattivata mediante l’utilizzo di un volume di terreno pari a cinque volte quello della tripsina utilizzata. Le cellule risospese in terreno erano quindi centrifugate per cinque minuti a 120 rpm per ottenere un pellet cellulare, il quale veniva successivamente risospeso in terreno completo. Le cellule venivano
quindi contate mediante l’utilizzo di una camera di Burker ed un decimo del loro quantitativo veniva piastrato nuovamente per manterle in coltura.
MCF-7
Come controlli dei nostri saggi, sono state utilizzate le cellule MCF-7, cellule epiteliali di tumore mammario umano commerciali.
Il terreno di coltura utilizzato per queste cellule è stato lo stesso della nostra linea primaria.
293-T
Come ulteriore controllo nei nostri esperimenti sono state utilizzate le cellule 293-T, ossia cellule epiteliali embrionali di rene umano a morfologia stellata.
Il terreno di coltura utilizzato per queste cellule era costituito da DMEM a cui sono stati aggiunti 20% FBS; 200 U/ml penicillina; 200 μg/ml streptomicina.
Per preservare la linea primaria ed i cloni ottenuti da essa per lungo periodo, si è proceduto al congelamento delle cellule. Le cellule da congelare venivano precedentemente tripsinizzate e contate, quindi 500.000 cellule venivano prelevate e poste in CryoVial per il congelamento. Le cellule venivano risolvesse in FBS, 10% dimetil-sulfossido (DMSO), un crioprotettore. Tali CryoVial erano poste a -80°C per un giorno, quindi spostate in azoto liquido.
3.2 CLONAGGIO DELLA LINEA P PER DILUIZIONE LIMITANTE
Il clonaggio per diluizione limitante serve per isolare, a partire da una popolazione eterogenea, singole cellule che danno origine, dividendosi, a cloni con caratteristiche specifiche e tutte uguali. Nel nostro caso, a partire dalla linea P, volevamo ottenere dei cloni singoli da analizzare fossero o positivi o negativi per quanto riguarda la presenza di HMTV.
I cloni ottenuti attraverso questa metodica sono stati successivamente scrinati attraverso una semi-nested PCR su DNA genomico.
Tutti i cloni utilizzati per questa tesi sono stati ottenuti mediante clonaggio per diluizione limitante, utilizzando tre diluizioni differenti: 0,1; 1 e 3 cellule per pozzetto.
Per ottenere tali diluizioni, le cellule tenute in coltura in fiasche sono state tripsinizzate e contate e quindi diluite in modo da avere 0,1; 1 e 3 cellule in 200 microL. La sospensione era poi suddivisa in piastre da 96 pozzetti ( 200 microL/pozzetto) e tenuta in coltura per circa una settimana. Ogni pozzetto era controllato ogni giorno per una settimana al fine di monitorare la comparsa di eventuali cloni cellulari. Per ognuna delle tre diluizioni desiderate sono state preparate tre differenti piastre da 96 pozzetti.
3.3 SEMI-NESTED PCR
La Semi-nested PCR è una tecnica che permette di ottenere l’amplificazione di una sequenza specifica target utilizzando due consecutive amplificazioni di PCR. Nella seconda amplificazione, uno dei due primer è utilizzato nuovamente, mentre l’altro è diverso e si ritrova all’interno della sequenza target precedentemente amplificata.
Utilizzando questa metodica siamo stati in grado di rilevare la presenza di una sequenza appartenente al genoma di HMTV in uno dei cloni ottenuti precedentemente mediante clonaggio per diluizione limitante.
Nel nostro caso, 2 microL di DNA genomico estratto dalle colture cellulari della Linea P e dei suoi cloni mediante kit di estrazione (miniKit Qi-Amp), sono stati aggiunti a 48 microL di miscela di reazione contenente: 1X PCR buffer, 50 mM MgCl2, 200 μM di ogni deossiribonucleotide 0.5 μM primer
reverse (MWG Biotech, Ebersberg, Germany), 0.5 μM primer forward(Applied Biosystems, Foster City, CA), e 2.5 U AmpliTaq Gold. Le condizioni di amplificazione sono state le seguenti: 95°C per 30 secondi; 40 cicli di amplificazione, in entrambi gli step, a: 95°C per 30 secondi; 60°C per 45 secondi; 72°C per 60 secondi ed infine 72°C per 7 minuti.
Per quanto riguarda le sequenze dei primer utilizzati sono stati: forward, 5 ′ - G A T G G T A T G A A G C A G G A T G G - 3 ′ ; e r e v e r s e , 5 ′ - CCTCTTTTCTCTATATCTATTAGCTGAGGTAATC-3′.
Nel secondo step di amplificazione, il primer forward è rimasto lo stesso, mentre il primer reverse è stato cambiato con il primer reverse nested :5′-AAGGGTAAGTAACACAGGCAGATGTA-3′.
I primer sono stati disegnati sulle basi delle sequenze specifiche riportate in GeneBank (numero di accesso AF243039).
3 . 4 A N T I C O R P I U T I L I Z Z A T I P E R I S A G G I D I IMMUNOFLUORESCENZA
Gli anticorpi primari utilizzati nel saggio di immunofluorescenza, erano: anticorpi monoclonali (mAb) anti CD8+ felino come controllo negativo; mix di mAb anti- P1, P2, P3 e P4 disegnati per rilevare una sequenza di amminoacidi di 660-bp del gene env (GenBank accession: AF239172). Le s e q u e n z e d i P 1 ( H - L K R P G F Q E H E M I - O H ) , P 2 ( H - LLGLPHLIDIEKRGSTFHIS-OH) e P (3H-CRLTNCLDSSAYDYA-OH) e P4 (H-DIGDEPWFDDSA-OH) sono state sintetizzate nel Laboratorio di Microchimica del New York Blood Center, NY. Gli anticorpi monoclonali murini, mAbP1,mAbp2, mAbP3 e mAbP4 sono stati preparati dalla Viro/ Dynamics, Hawthorne, NY e gentilmente forniti dalla Dott. Melana ( Melana et al.; 2010)
La miscela di anticorpi è stata utilizzata in diluizione 1:100.
L’Anticorpo Secondario utilizzato nel saggio di Immunofluorescenza è stato un anticorpo di capra anti IgG/IgM di topo FITC diluito 1: 1000 in PBS, 0.1% Evans blue (Argene, Biomerieux, Mercy l’Etoile, France)
3.5 IMMUNOFLUORESCENZA
La linea era risultata positiva tramite PCR per una sequenza env-like e per confermare questi dati è stata sottoposta a saggi di Immunofluorescenza mediante l’utilizzo di una miscela di anticorpi monoclonali primari (P1-P2-P3-P4), ognuno dei quali specifico per una differente porzione della proteina Gp52.
La preparazione della tecnica di Immunofluorescenza ha richiesto due giorni per ogni prova.
Il primo giorno veniva effettuata la preparazione delle shell-vial con le cellule che sarebbero state sottoposte al saggio. Le cellule sono state tripsinizzate e contate. Un volume contenente 50.000 cellule è stato posto nella shell-vial. Tali cellule sono state lasciate in coltura a 37°C, 5% CO2
con 1 ml di terreno completo per 24 ore.
Il secondo giorno del saggio, dalle shell-vial è stato asportato il terreno, effettuato un lavaggio con PBS e le cellule sono state fissate con formaldeide al 2% in PBS per dieci minuti a temperatura ambiente (TA). Terminato il tempo di fissaggio, le cellule sono state lavate tre volte con PBS e quindi permeabilizzate con una soluzione a base di Triton X-100 allo 0,3 % (in PBS 1x, BSA 0,2%, NoAzide 0,1%) per quindici minuti a TA. Poi, è stato effettuato un lavaggio con PBS ed aggiunti 100 microLitri di anticorpo primario diluito 1:100 ed incubato un’ora a TA; quindi le cellule sono state lavate tre volte con PBS e, in seguito, incubate 30 minuti a TA al buio con 100 microLitri di anticorpo secondario. Terminata
l’incubazione, l’anticorpo secondario è stato allontanato mediante tre lavaggi con PBS.
Il vetrino della shell-vial su cui giacevano le cellule sottoposte al saggio è stato quindi prelevato e montato su un vetrino copri-oggetto. Le cellule sono state infine osservate mediante microscopio a fluorescenza.
3.6 ANTICORPI UTILIZZATI PER IL SAGGIO DI WESTERN BLOT
L’anticorpo primario utilizzato per il saggio di Western Blot è stato un anticorpo anti-p14 1:200 (m66). Tale anticorpo quindi è utilizzato per la rilevazione del peptide leader del precursore della proteina Env di MMTV. Questo peptide, p14, è stato identificato e caratterizzato utilizzando un anticorpo monoclonali (m66) generato contro un epitopo cellulare delle cellule di tipo T-25-Adh ( Hochman et al., 1998). Le T-25-Adh sono cellule non tumorigeniche, aderenti ma derivanti da una variante di cellule altamente tumorigeniche di tipo T-25. ( Hochman, et al., 1984).
L’anticorpo monoclonale in questione (m66) è stato l’anticorpo primario utilizzato per il nostro saggio, diluito 1:200 in Skim Milk 1%.
Come anticorpo di controllo è stato utilizzato un anticorpo anti-actina diluito 1:200 in Skim Milk 1%
Come anticorpo secondario è stato utilizzato un anti Ig-G di topo perossidato ( Sigma Aldrich ) diluito 1:500 in soluzione di bloccaggio.