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Self-tracking e piattaforme on line: nuove pratiche di consumo e spazi di mercato.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT Corso di laurea in Marketing e Ricerche di Mercato

Tesi di Laurea

SELF-TRACKING E PIATTAFORME ONLINE: nuove pratiche di consumo e spazi di mercato.

Candidato Relatore

Matteo Montanaro Dott. Daniele Dalli

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A mio padre e mia madre.

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INDICE

1. INTRODUZIONE

2. FONDAMENTI TEORICI

2.1. Digital Extended Self, da materiale a immateriale 2.1.1. Dematerializzazione 2.1.2. Re-Embodiment 2.1.3. Condividere 2.1.4. La co-costruzione del sé 2.1.5. Memoria distribuita 3. I DEVICES E LE RISORSE 3.1. Il Modello 3.2. Wearable Devices

3.2.1. Un’approccio pratico al self-tracking 3.2.2. La storia e la formazione delle pratiche

3.2.3. Normalizzazione delle misurazioni della frequenza cardiaca 3.2.4. Le tre sfere del self-tracking

3.2.5. Considerazioni

4. ESEMPI DI RISORSE PER IL SELF-TRACKING 4.1. Strava un self-tracking per lo sport

4.2. Self-tracking nel mondo del lavoro 4.3. Time tracking

4.4. Health Tracking

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5. RICERCA EMPIRICA SULLE PRATICHE DI SELF-TRACKING 5.1. LE INTERVISTE 5.2. I CASI 5.3. CONSIDERAZIONI 6. CONCLUSIONI 7. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 8. APPENDICE

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1. INTRODUZIONE

Secondo International Data Corporation (IDC), il primo gruppo mondiale specializzato in ricerche e analisi di mercato, servizi di consulenza e organizzazione di eventi nell’ambito di Information e Communication Technology (ICT), l’universo dei wearable devices, letteralmente dispositivi da indossare, è in rapida espansione, come dimostrano i dati di vendita che vedono un incremento del 29% nel 2016 rispetto all’anno precedente.

Questo dato risulta essere molto significativo se confrontato con la saturazione di un altro mercato che fa parte dei devices, ovvero quello degli smartphone. Stando ai ricercatori di Strategy Analytics, aziende che fornisce dati e analisi, consulenza e ricerche di mercato strategiche alle aziende, ha appurato che le vendite globali nel primo trimestre del 2016 sono aumentate di solo l’1% rispetto all’anno precedente.

In relazione agli smartphone però, che raggruppano insieme diverse tecnologie e funzionalità, la maggior parte dei dispositivi da indossare ha funzioni limitate e spesso specifiche.

Proprio queste caratteristiche, tuttavia, sembrano creare le condizioni favorevoli per uno sviluppo ulteriore nel mercato dei wearable devices, che beneficerà senza dubbio dell’avvento di oggetti in grado di offrire esperienze complete, oltre che totalmente nuove, e dello sviluppo di applicazioni dedicate.

Il primo dato che colpisce analizzando le stime di crescita dei wearable devices previste nei prossimi quattro anni è il sorpasso nella diffusione degli smartwatch rispetto ai braccialetti intelligenti o wrist band, attualmente ancora in prima posizione.

Nell’ambito degli orologi smart, a trainare saranno principalmente quelli con funzioni basiche che permettono di tracciare attività motorie e monitoraggio del sonno integrando ciò che attualmente fanno i wrist band. Le vendite di smartwatch, in particolare, dovrebbero crescere dal 41% del 2016 al 52,1% del totale delle consegne stimato per il 2020.

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Per quanto riguarda, invece, occhiali e visori smart, da qui al 2020 si prevede che raggiungeranno circa il 10% del venduto, con un peso sul fatturato totale di circa il 40% dovuto al prezzo elevato. Infine, anche i vestiti intelligenti, ambito in cui alcune delle principali compagnie stanno già impegnando molte energie, subiranno un incremento di domanda che potrà portarli nel 2020 a rappresentare fino al 7,3% delle vendite totali nel settore dei wearable devices.

A fronte delle previsioni di crescita così positive e delle molteplici possibilità di sviluppo del mercato ho ravvisto la necessità di andare ad analizzare con una lente d’ingrandimento il comportamento del consumatore in riferimento proprio a questi devices ed alle risorse ad essi connesse che svolgono in particolare funzioni di self-tracking.

Inizierò in una prima parte a creare un background teorico che muove le prime assunzioni in campo sia sociologico che antropologico fino ad arrivare all’analisi del celebre concetto di extended self di Belk.

Passerò poi ad esaminare come è cambiato tale concetto in seguito all’avvento di internet andando a delineare un’evoluzione dello stesso più aggiornata rispetto a quello originale che viene chiamato digital extended self.

Qui ho scomposto l’analisi in cinque fasi, nella prima ho preso in considerazione la dematerializzazione dei beni e non solo, poi il processo di re-embodiment, ovvero l’immedesimazione tramite l’utilizzo di devices e risorse sempre connessi alle nostre rappresentazioni nel mondo digitale. Ho messo in luce l’atto della condivisione che fa scaturire pratiche di self-narrative e che può andare a discapito della nostra privacy soprattutto se le informazioni condivise provengono dai meccanismi di self-tracking i quali trattano dati molto più sensibili di quelli transazionali per esempio.

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Ulteriore aspetto analizzato è la co-costruzione del sé, ovvero gli individui modificano i propri comportamenti per essere in linea con quello che è ritenuto il ‘normale’ comportamento. Infine considererò il fenomeno della memoria distribuita ovvero un archivio di memorie autobiografiche collettivo che è alla base dei Big Data.

Terminato il quadro di riferimento teorico passerò poi ad analizzare i devices e le risorse cercando di fornire un modello esaustivo del network di interconnessioni che ci circonda nella vita di tutti i giorni.

Il focus della ricerca, come il titolo suggerisce, è il self-tracking e per approfondire l’argomento è necessario prendere in esame le tecnologie da indossare meglio note come wearable devices.

Sarà quindi esaminata la nascita delle pratiche relative al self-tracking ed ai devices connessi in ambito medico e sportivo e saranno poi evidenziate tre sfere principali del self-mesaurement in termini di sviluppi del mercato. La prima di queste sfere tratta la promozione dell’auto-conoscenza attraverso il monitoraggio, la seconda riguarda le misurazioni come pratiche teleo-affettive e l’ultima tratta le modalità di integrazione delle attività di self-measuring nelle pratiche degli utenti.

Per meglio chiarire quanto espresso finora procederò con la presentazione di alcuni esempi di risorse per il self-tracking arrivando a delineare la nascita di nuove super applicazioni, le app multicanale.

La parte conclusiva della mia ricerca consiste in una sezione empirica dove andrò ad analizzare il comportamento del consumatore riguardo alle pratiche di self-tracking in ambito sportivo, sia a livello amatoriale sia a livello professionistico.

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2. FONDAMENTI TEORICI

Prima di parlare delle pratiche riguardanti le nuove tecnologie e di ciò che ha comportato e che sta comportando l’evolvere della società dei consumi e dei mercati nel terzo millennio, conviene aggiornare ai fini della nostra ricerca un concetto base che farà parte del background per l’analisi che andremo a svolgere. 2.1 Digital Extended Self, da materiale a immateriale

‘Noi consideriamo le nostre proprietà come parti di noi stessi.’1

La teoria dell’extended self di Belk (1988) espressa da questa citazione dal testo originale, si basa sulla proprietà e sul possesso.

Questa concezione deve essere però rivisitata per delineare un background teorico che serva da chiave di lettura del comportamento del consumatore e delle pratiche che esso mette in atto dopo l’avvento di internet. Belk considerava parte integrante di questo concetto il corpo, i processi interni, le idee, le esperienze e quelle persone, luoghi e cose alle quali siamo attaccati e che caratterizzano la nostra esistenza.

L’extended self non serve solo a formare l’idea che noi vogliamo fornire agli altri di noi stessi, ma serve anche come segnale di una memoria individuale e collettiva. Questi beni di cui siamo proprietari vengono anche chiamati infatti memory marker poiché servono a fornire ricordi delle nostre passate esperienze, legami con altre persone e con i nostri molteplici sé.

Con l’avvento di internet come nuovo mezzo di comunicazione di massa si è visto un aumento sempre più consistente di quelli che sono i beni immateriali o d’informazione con una conseguente smaterializzazione di molte delle proprietà

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individuali vedendo sempre più centrale il concetto di una proprietà occasionale, ovvero di acquisto della proprietà solo per il consumo che realmente si necessita fare, on demand.

Con questa tipologia di beni, nascono le economie di rete o esternalità di rete le quali descrivono una situazione in cui l’utilità che un consumatore trae dal consumo di un bene dipende (in modo positivo o negativo) dal numero di altri individui che consumano lo stesso bene (o che lo abbiano acquistato).

Si ha perciò un’esponenziale digitalizzazione di quello che era ritenuto l’originale extended self.

Una smaterializzazione si era già vista in riferimento ai beni di consumo con l’avvento della terziarizzazione nel secondo dopoguerra, dove il servizio facente parte del bene stesso divenne sempre più centrale nel suo valore.

Il servizio può essere inteso come ‘l’applicazione da parte di un’entità a beneficio di un’altra’2, ciò implica che il valore del servizio si genera in modo collaborativo attraverso legami e interazioni tra l’ente erogatore del servizio ed il cliente richiedente il servizio stesso.

Si è avuto così nel tempo un processo di incremento graduale della dimensione di servizio nelle relazioni cliente-fornitore creando un vero e proprio fenomeno che viene chiamato Servitization.

Questo termine fu coniato da Vandermerwe e Rada (1988) ed implementato in seguito da Vargo e Lusch (2004) e da Chesborugh e Spohrer (2006). Secondo questi ultimi il cliente è alla ricerca non del prodotto fisico ma bensì della soluzione, della prestazione e quindi di servizi.

Questa appena descritta è la nuova logica che per Vargo e Lusch prevale nel mercato ovvero la ‘new service dominant logic’ che sarebbe nient’altro che il risultato del processo appena descritto di servitizzazione.

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Procedendo a ritroso nel tempo si può facilmente notare come in passato non esisteva questo augmented product dove il servizio gioca un ruolo fondamentale ma il bene di consumo materiale era tutto ciò di cui si aveva bisogno perché il cliente era alla ricerca del bene inteso non come una performance bensì come un oggetto che comunicasse un qualcosa. Possiamo dunque dire che si ‘consumava’ un vero e proprio significato.

Un importante contributo che ci aiuta a capire meglio questa affermazione deriva dalla fenomenologia sociale, la cui teoria della conoscenza si fonda sull’assunto che il mondo è costruito socialmente, l’individuo o il cliente viene perciò collocato direttamente in un contesto sociale e la conoscenza è considerata un’impresa che viene costruita in comune. Si co-costruisce il significato, non il prodotto o il valore come avviene nel servizio.

Ad aiutarci nella comprensione di questo delicato argomento sono due dei più importanti antropologi nonché studiosi della storia dei consumi ovvero Mauss e Levi-Straus, i quali espressero l’idea secondo la quale ‘i beni creano e conservano rapporti sociali’. Il consumo viene perciò visto come la parte visibile della cultura poiché gli oggetti sociali assumono un ruolo nel processo di costruzione sociale della realtà.

Questo processo ha una sua logica ben precisa poiché la razionalità umana fa si che l’uomo sia costantemente impegnato nel tentativo di attribuire un senso alla realtà che lo circonda. Bisogna però tener presente che l’individuo non è mai isolato, per cui si tratta di un’impresa collettiva.

Il problema della razionalità si converte allora in un problema di definizione di significati collettivi.

All’interno di questo processo di definizione della realtà però, si pone il problema di reperire qualcosa che sia in grado di contenere le fluttuazioni dei significati. A ciò servono, secondo gli autori sopraelencati, i rituali che fissano almeno temporaneamente una particolare rappresentazione del mondo.

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Risulta utile ora comprendere il ruolo della cultura.

Nell’ottica dei due antropologi, la cultura è il complesso di rituali (e quindi di significati), in perpetua ridefinizione, che gli individui generano in quanto inseriti in contesti sociali. Il sistema culturale fornisce così gli strumenti concettuali per interpretare il mondo circostante.

I beni divengono pertanto indicatori di categorie razionali, servono a rendere visibili le categorie della cultura e così diventano la parte visibile e materiale del sistema culturale.

Il consumo non è che il campo in cui viene combattuta la battaglia per definire la cultura e darle una forma.

L’aspetto rituale del consumo risiede nella sua natura eminentemente sociale, che ne fa un’attività di produzione congiunta, con altri consumatori, di un universo di valori.

D’altra parte c’è chiaramente anche un aspetto dinamico ovvero la scelta dei beni crea continuamente forme di discriminazione che si contrappongono alle altre o le rinforzano. I beni, gli oggetti materiali dunque, sono la parte visibile della cultura, sono parte del processo con cui i significati sono generati, fissati e trasmessi. Il consumo viene così ad avere un ruolo preponderante nel processo sociale di creazione della realtà.

Si arriva dunque a definire il Consumo come sistema di comunicazione e la sua funzione essenziale è proprio la sua capacità di dare significato.

Quindi il consumo può essere visto come il processo mediante il quale si compie una continua ridefinizione del sistema simbolico di una società. Esso è alla base della genesi di una struttura reticolare che intreccia significati, valori e categorie culturali.

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Da quanto abbiamo detto, il consumo rappresenta quel processo per mezzo del quale la parte ‘non visibile’ della cultura si deposita nella materialità: trattiamo i beni come segni di identificazione, come la parte visibile di quell’iceberg che è il processo sociale globale. I beni sono usati per identificare, ossia servono a classificare delle categorie.

Dobbiamo sempre tener presente comunque che siamo di fronte ad un processo circolare.

Come abbiamo già detto, i beni esprimono e creano cultura e infatti ‘la corrente dei beni lascia un sedimento che va a formare la struttura culturale. I beni sono quindi elementi di un flusso di identificazione che vanno a costruire un sistema di classificazione.

La domanda dei beni si traduce allora nell’espressione del bisogno di informazioni da parte degli individui per ottenere elementi utili a razionalizzare la propria condotta e a mantenere rapporti sociali.

Gli oggetti materiali vengono a mediare le relazioni tra individui, delineando particolari strategie di consumo sulla base di contesti diversi da un punto di vista socio-culturale.

Tutto ciò ha una conseguenza fondamentale.

Se il rituale del consumo è il processo col quale una società ridefinisce continuamente sé stessa, è chiaro che la partecipazione a tale processo è ciò che garantisce il mantenimento e il consolidamento dei rapporti sociali.

L’informazione è continuamente elaborata e trasformata dagli altri esseri umani. Per poterla interpretare, l’individuo dovrebbe presenziare alla sua elaborazione e dare il suo contributo.

Se l’obiettivo fondamentale del consumatore è quello di ottenere informazioni sulla mutevole scena culturale, non potrà mancare – dice Mary Douglas – la preoccupazione di controllarla.

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È quindi necessario avvicinarsi il più possibile al centro di emissione delle informazioni, utilizzando strategie di esclusione e di scambio di servizi di identificazione, in modo da non essere esclusi dalla socialità condivisa.

In conclusione, quella che chiamiamo ricchezza non deve essere pensata in termini materiali, come quantità di beni posseduti, ma come la possibilità di trovare posto in quei processi di scambio che creano e consolidano i rapporti sociali, grazie alle proprietà comunicative che i beni assumono.

I beni divengono così anche strumenti per entrare a far parte di un gruppo sociale: il loro consumo, in occasioni sociali, crea simbolicamente appartenenza.

È questa la conclusione cui arrivano i due autori: i beni sono neutri, ma i loro usi sono sociali, possono essere usati come barriere o come ponti.

Con il background teorico appena delineato possiamo ora andare ad analizzare quali sono stati i cambiamenti per l’extended self definito da Belk dopo l’avvento di internet come strumento di interazione sociale per capire i processi che formano i comportamenti del consumatore di oggi e che stanno alla base delle pratiche.

2.1.1 Dematerializzazione

La relazione tra la persona online, ovvero la persona fisica e tangibile, e quella offline, ovvero la persona che prende coscienza e consapevolezza nel mondo virtuale, diventa una chiave per definire l’extended self in un’era digitale. Ovviamente come per la persona offline, quella online si arricchisce di beni di consumo facendoli propri e per questo motivo conviene sottolineare un’assunzione fondamentale.

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Questo termine fu coniato da Kopytoff ed espresso per la prima volta nel suo scritto principale, ‘La biografia degli oggetti’. Con esso si sottendono tutti i ‘processi di appropriazione che si riferiscono a come il consumatore personalizza e integra gli oggetti nella loro vita contribuendo a creare quella che è una biografia dell’oggetto’3.

Quindi noi con le nostre pratiche applichiamo un processo di de-mercificazione ai beni materiali ma anche digitali, ad esempio regalando un bene, facendone un back-up, archiviando, salvando, stampando e facendo screen-shots. Questi sono tutti rituali i quali singolarizzano le nostre proprietà digitali e divengono parte della nostra cultura.

Possiamo dire dunque che la cultura è la spinta opposta alla potenzialmente inarrestabile avanzata della mercificazione in quanto la mercificazione omogeneizza il valore mentre l’essenza della cultura è la differenziazione che si ha singolarizzando un bene.

Il possesso di un bene virtuale però fa perdere un elemento fondamentale, la tangibilità del bene, la capacità di toccarlo, ‘l’aura’ 4 propria dell’oggetto e per goderne a pieno è necessario goderne in maniera virtuale ad esempio condividendo un brano musicale con altre persone, oppure una foto, rendendoci ancora più partecipi di quella che è una community immaginaria.

In questo modo si ha un’emancipazione dal nostro corpo ed una proiezione di noi stessi all’interno di avatar e/o account che non sono altro che una nostra rappresentazione digitale 5.

3 Jgor Kopytoff, 1986 4 Benjamin, 1968 5 Yee, 2007

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2.1.2 Re-Embodiment

Questi avatar e/o account possono sì rappresentare noi stessi, ma spesso rappresentano anche i sé ideali, quelli possibili, quelli a cui si aspira o semplicemente tentativi di sé alternativi.

Ci sono per questo vari livelli di immedesimazione, da un livello in cui si ha la consapevolezza del gestire un semplice avatar e/o account, al livello in cui la linea di confine tra la persona e il sé virtuale diventa molto labile.

L’immedesimazione oggi è resa ancora maggiore grazie agli innovativi devices come gli smartphone che sono sempre con noi ma questi ultimi non sarebbero niente senza lo strumento per eccellenza che permette un’immedesimazione piena: i social network.

Oltre ai social network, dinamo del mondo virtuale, si è venuta a creare persino una nuova tipologia di realtà, la realtà aumentata, ovvero gli smartphone riescono ad arricchire quelle che sono le percezioni sensoriali umane mediante informazioni, in genere manipolate e convogliate elettronicamente, che non sarebbero percepibili con i cinque sensi.

Classici esempi di elementi che servono a mettersi in contatto con la realtà aumentata possono essere i QR code, ovvero un insieme di forme nere su sfondo bianco racchiuse in una cornice quadrata, i quali ‘contengono’ informazioni che sono leggibili dagli smartphone tramite un’apposita app e che ci permettono di visitare più a fondo una città oppure un museo. Ne è un esempio anche la chirurgia robotica a distanza.

Detto ciò l’avatar/account dunque, viene ad avere una vera e propria memoria autobiografica che include interazioni e amicizie con altri avatar/account, e persino esperienze.

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Dozzine di esperimenti psicologici hanno mostrato come le persone cambino dopo aver spassato del tempo ‘indossando’ il proprio avatar6.

I consumatori però hanno spesso molteplici account, ciò è un segnale di incoerenza che potrebbe stare a significare ad esempio che, o vogliono esprimersi in anonimato, oppure vogliono solo provare determinate forme di espressione che nella vita offline non proverebbero per una serie di motivazioni soggettive. Questa osservazione mette in luce l’esistenza di una molteplicità di sé che è presente in ognuno di noi. Un esempio pratico dei molteplici sé e di come possiamo modificarli a nostro piacimento ci è fornito con chiarezza dalla nostra pagina Facebook, dove ognuno di noi può controllare ciò che pubblica e che viene pubblicato sulla propria ‘bacheca’ al fine di rendere la presentazione di noi stessi coerente con i nostri intenti.

In funzione di ciò ad esempio si eliminano i commenti che riteniamo inopportuni o dannosi per i nostri intenti nelle foto o nei post.

Tutto questo ci fornisce una vera e propria esperienza illusoria dell’evoluzione di un sé coerente solo con ciò che noi vogliamo sia coerente senza che la persona offline sia rispecchiata all’interno di quella online, resta a noi scegliere.

2.1.3 Condividere

Si viene perciò a creare una sorta di self-narrative dove si delinea una propria identità ed una propria reputazione di pubblico dominio, ‘condivisa’, che è in linea però a come si vuole esser visti ed a come si vuole essere ricordati; tutto ciò però va a discapito di quella che è la privacy della persona.

Nasce in questo contesto una vera e propria paura di essere esclusi7 che però oscura il problema sopra elencato della privacy e porta ad un vero e proprio effetto di

6 Blascovich e Bailensen 2011, 4

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disinibizione 8 rendendoci in grado di esibire il ‘vero sé’ in maniera maggiormente esaustiva online piuttosto che offline e creando una confessione di pubblico dominio incentivata peraltro da un’audience invisibile.

L’atto dunque di condividere crea feeling e identità di gruppo generando un vero e proprio cyberspazio dove poter condividere tutto ciò che si desidera al di fuori dello spazio e del tempo, si verifica un re-worlding9.

Gli individui iniziano a creare dunque obiettivi virtuali, da condividere, come ad esempio correre un determinato numero di chilometri o bruciare una determinata quantità di calorie.

Ciò avviene prevalentemente perché è più facile per le persone condividere le informazioni relative alle proprie condizioni di fitness online costruendo comunità virtuali per cercare informazioni ed un supporto andando a creare persino sfide per raggiungere prestabiliti obiettivi10.

Questi programmi di promozione delle attività fisiche online hanno portato, tramite l’atto della condivisione, una progressiva modifica all’interno del comportamento del consumatore11.

2.1.4 La co-costruzione del sé

Come nei servizi il cliente costruisce il prodotto, così si va in contro ad una co-costruzione del proprio sé digitale, grazie a commenti, post, tag che rimangono visibili nel tempo, che formano una nostra autobiografia digitale e che serve per delineare i possibili sviluppi della stessa nel futuro a seconda dell’influenza determinante di approvazioni o meno.

8 Ridley 2012; Suler 2004 9

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Ajzens (1991) formulò la ‘theory of planned behavior’ secondo la quale gli individui hanno tutte le risorse necessarie, le competenze e le abilità per ottenere un comportamento voluto solo se ne hanno intenzione.

Un fattore centrale di questa teoria è l’intenzione dell’individuo di tenere un determinato comportamento.

Le intenzioni si presume che comprendano i fattori motivazionali che sono capaci di influenzare un comportamento.

Per le persone è si importante delineare l’impatto che un comportamento può implicare12 ma è altrettanto importante identificare le emozioni e le influenze sociali nell’ambiente che influenza il comportamento regolarmente tenuto dalle persone rispetto a questa tematica, per esempio il comportamento relativo all’attività fisica13.

Ricerche mostrano come il comportamento delle persone nell’ambiente sociale forma l’interpretazione individuale di un determinato argomento e le risposte comportamentali a determinate situazioni14.

Possiamo dunque dire perciò che gli individui sono disposti a cambiare il proprio comportamento che ritengono non in linea con il normale comportamento traducendolo in un comportamento migliorato che ha bisogno di motivazioni e competenze per iniziare e mantenere un certo risultato voluto15; Queste motivazioni possono derivare dai membri delle comunità online i quali possono simultaneamente fornire conoscenza e strumenti per chi è interessato a acquisire determinati comportamenti.

Le persone sono più disposte a seguire i comportamenti delle altre persone con caratteristiche simili come l’età, il genere e le attitudini16.

12 Scammon et al., 2011 13 Bandura, 1977

14 Bearden e Etzel, 1982; Salazar et al., 2013 15 Moorman e Matulich, 1993

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Basandoci inoltre su come gli individui comunichino online si possono delineare due tipologie di comportamenti.

Un primo comportamento può essere definito attivo, ovvero riguarda tutti i soggetti che comunicano attivamente e partecipano alla co-costruzione del sé attraverso ad esempio i social network.

Un’altra tipologia di persone vengono definite passive, ovvero sono tutte quelle persone che non partecipano attivamente contribuendo con le proprie idee a delineare quello che è il ‘normo-tipo’ ideale ma che leggono e si fanno influenzare nelle proprie scelte prendendo come punto di riferimento ciò che viene ad estrinsecarsi dalla risorsa che essi seguono e leggono.

2.1.5 Memoria distribuita

Tutti questi scambi di informazioni vanno creando così un archivio di memorie autobiografiche collettivo17 che possiamo sempre consultare e che rimangono addirittura anche dopo la nostra morte, rendendo così il nostro digital self un qualcosa di eterno archiviato all’interno di server e cloud.

Questa memoria diventa una vera e propria memoria on demand, quindi infallibile perché disponibile ogni qualvolta se ne necessiti sempre che si disponga di una connessione.

Come mostrato in questo studio i social media e gli strumenti online utilizzati come canale di comunicazione stabiliscono vere e proprie basi e fondamenta per la società e per il comportamento del consumatore18 che vengono archiviate in una memoria collettiva e che ci possono far capire come le persone si muovono e cercano il supporto di risorse e device modificando il proprio comportamento.

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Questa grande base dati ha visto nascere il concetto di Big Data che è un termine che viene utilizzato per descrivere proprio questa esponenziale crescita dei dati esistenti e la loro sempre più crescente accessibilità. I Big Data possono essere definiti attraverso ‘le tre V’19:

La prima riguarda l’incremento del Volume dei dati transazionali, non strutturati provenienti dai social media e dati provenienti dai sensori e dalle macchine; La seconda riguarda il flusso dei dati ma soprattutto la sua Velocità di scorrimento senza precedenti che deve essere gestito in modo tempestivo, Tag RFID, sensori e contatori intelligenti guidano in tempo reale la necessità di gestione di questo flusso;

L’ultima è la Varietà in cui si presentano i dati ovvero dati numerici strutturati in database tradizionali, informazioni ricostruite attraverso applicazioni, documenti di testo non strutturati, email, video, audio, dati provenienti da quotazioni in borsa e da transazioni finanziarie.

Delineato il Background teorico per la nostra ricerca conviene ora andare a delineare quello che è invece l’aspetto pratico, ovvero metteremo da parte quella che è l’analisi incentrata sul consumatore e ci focalizzeremo sul network di beni e servizi, devices e risorse, che lo circondano e che formano la strumentazione necessaria per una più ampia possibilità di espressione.

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3. I DEVICES E LE RISORSE

Esistono molteplici devices che ci consentono di accedere a quello che è il nostro digital extended self, o meglio i nostri.

Questi devices sono beni materiali i quali, dotati di una connessione internet o combinati ad altri devices, ci permettono di accedere in qualsiasi istante alla realtà virtuale e ad un insieme di risorse.

Questi strumenti possiedono di solito diversi sensori, i più importanti e diffusi sono sicuramente:

• Il noto Global Positioning System (GPS) per localizzare la posizione nella quale ci si trova;

• Una fotocamera per documentare il contesto sociale e ambientale che ci circonda;

• Un accelerometro per misurare il livello di attività; • Uno sensore che monitori il battito cardiaco.

Ai fini della nostra ricerca risulta utile evidenziare come all’interno dei devices, dei quali fanno parte anche smarpthone e PC, ci sia una sotto-classificazione per quanto riguarda le tecnologie indossabili che li vuole divisi in tre categorie di appartenenza, ovvero:

• Complex Accessories: si tratta di tutti quei dispositivi che necessitano dell’appoggio o del sostegno di un altro device che faccia da tramite per assicurare la connettività (es. braccialetti fitness);

• Smart Accessories: in questo caso, i dispositivi di riferimento sono dotati di una certa autonomia poiché sono in grado di connettersi alla rete da soli e di svolgere alcune funzioni senza il supporto di altri device (es. smartwatch);

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• Smart Wearables: di questa categoria fanno parte tutti quei dispositivi che sono completamente autonomi nelle loro funzioni e che sono in grado di svolgere anche operazioni complesse (es. Google Glasses).

Queste tecnologie nel ruolo di trackers di attività sono un buon esempio che contribuisce all’Internet of Things, dal momento che sono parte di un network di oggetti fisici integrati con software, sensori e componenti elettronici che permettono agli oggetti di scambiare dati, archiviati in cloud o server, con operatori, produttori o addirittura altri devices, senza alcuna necessità dell’intervento umano.

Figura 1, IBM IoT

L'obiettivo dell'internet delle cose è far sì che il mondo elettronico tracci una mappa di quello reale, dando un'identità elettronica alle cose e ai luoghi dell'ambiente fisico.

Gli oggetti e i luoghi muniti di etichette di identificazione a radio frequenza (Rfid) o QR code, ad esempio, comunicano informazioni in rete o a dispositivi mobili come gli smartphones.

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L’Internet of Things tende ad evolversi in modo parallelo e reciproco al web semantico, ideato da Tim Berners-Lee, che si intende come la trasformazione del World Wide Web (WWW o Web) in un ambiente dove i documenti pubblicati come pagine html, file e così via, sono associati ad informazioni e dati (metadati) che ne specificano il contesto semantico in un formato adatto all’interrogazione e l’interpretazione (es. tramite motori di ricerca) e, più in generale, all’elaborazione automatica tramite algoritmi.

Procediamo però per gradi, se da un lato ci sono dunque i devices, dall’altro ci sono delle risorse che comunicano tramite una connessione, ovvero piattaforme online come database e siti web (esempi di piattaforme tecnologiche sono Google, Facebook e Microsoft), applicazioni, come quelle di self-tracking e monitoraggio (esempi sono anche Facebook Messanger, WhatsApp e Instagram), e network (o infrastrutture), virtuali come quelle create dall’Internet of Things o fisiche come ad esempio le reti in fibra ottica.

Aziende aggregano insiemi di risorse collegate ad insiemi di devices, venendosi così a creare dei cosiddetti Cloud Computing, ovvero paradigmi di erogazione di risorse informatiche, come quelle sopra descritte (archiviazione, elaborazione o trasmissione dati), caratterizzato dalla disponibilità on demand, quando necessario, pagando, oppure a titolo gratuito, attraverso internet a partire da un insieme di dispositivi preesistenti e configurabili.

Microsoft ha creato e possiede uno dei più imponenti servizi di cloud computing per le imprese, Azure Cloud Services.

Dall’insieme delle molteplici interazioni nelle quali le risorse ed i devices vengono coinvolti, scaturisce un concetto molto importante, quello dei Big Data.

Questi non sono altro che dataset talmente vasti in termini di volume, velocità e varietà, che richiedono degli strumenti ad hoc per l’elaborazione degli stessi.

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3.1 IL MODELLO

Vista la complessità delle argomentazioni appena trattate ci può risultare utile tracciare uno schema riassuntivo che faccia il punto della situazione di quanto sinora detto.

Tale schema può essere delineato graficamente come segue.

Figura 2, Il Modello

Ricapitolando brevemente quanto detto, consideriamo gli oggetti, intesi sia in senso edonistico che utilitaristico, facenti parte della realtà materiale.

Gli oggetti sono considerati puramente a livello materiale e tangibile e per questo non possono essere connessi all’interno di un network ma fanno parte dei nostri averi.

Di questa realtà fanno parte però anche i devices, i quali sono strumenti dotati di speciali componenti come i sensori ed i microchip, che li rendono dispositivi connessi ad un network ed in grado di interagire.

Come già detto in precedenza di questi devices ne fanno parte le tecnologie che saranno protagoniste della nostra analisi, ovvero i wearable devices che possono

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essere classificati a loro volta in Complex Accessories, Smart Accessories e Smart Wearables.

Questi oggetti sono in grado di far accedere le persone alla realtà virtuale connettendosi tramite internet ai propri account digitali.

All’interno del mondo virtuale vi sono risorse, alle quali si può accedere, che non sono altro che processi e dati, piattaforme online, applicazioni e network. Nell’intersezione tra devices e risorse, e dunque tra realtà materiale e realtà virtuale, si può venire a creare una realtà aumentata ovvero la sovrapposizione di elementi virtuali generati dal computer alla percezione visiva e non solo del mondo reale attraverso l’utilizzo di uno o più devices.

Le risorse però offrono, a chi ne usufruisce, un servizio, ed è proprio quest’ultimo che arricchisce il nostro modello, chiudendo così un percorso che parte dall’utente, possessore di oggetti e devices e che arriva all’azienda, o comunque al terzo, fruitore di risorse e servizi e raccoglitore e gestore dei Big Data che ne derivano. Andiamo ora ad analizzare più da vicino le wearable devices che possono essere indossate proprio come un orologio e dunque portate sempre con sé. Anche gli smartphone in un certo senso possono essere considerati degli oggetti indossabili, anzi sono diventate vere e proprie protesi dell’essere umano in questo nuovo millennio, ma per ora ci concentriamo sull’analizzare solo l’oggetto indossabile. 3.2 WEARABLE DEVICES

Per avere sempre con sé questo mondo virtuale o quantomeno per poter lasciarne traccia misurando quello che facciamo nel mondo reale e rendendolo digitalizzato, per indossare letteralmente i nostri digital extended selfs e rimanere connessi a ciò di cui necessitiamo in qualsiasi momento, on demand, della nostra giornata e lasciare una traccia costante, si sono sempre più sviluppati nel tempo le wearable devices oltre che alla crescita dei nostri inseparabili compagni, gli smartphone.

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Rispetto agli smartphone che raggruppano insieme diverse tecnologie e funzionalità, la maggior parte dei dispositivi indossabili, almeno fino a oggi, hanno funzioni limitate e spesso specifiche.

Proprio queste caratteristiche, tuttavia, sembrano creare le condizioni favorevoli per uno sviluppo ulteriore nel mercato dei wearable device, che beneficerà senza dubbio dell’avvento di oggetti in grado di offrire esperienze complete, oltre che totalmente nuove, e dello sviluppo di applicazioni dedicate.

Queste tecnologie indossabili si possono presentare sotto forma di vestiti e accessori che incorporano computer e avanzate tecnologie elettroniche come quelle sopraelencate.

Ad oggi, la più grande applicazione dei devices indossabili però, è nei campi della sanità e della medicina, da non sottovalutare è anche l’applicazione nel campo delle gaming devices.

Tim Cook, alla presentazione di giugno 2016 del nuovo sistema operativo dell’Apple watch, noto wearable device dell’azienda di Cupertino, ha descritto il prodotto in maniera straordinaria: ‘This is no longer just a wrist-mounted gadget for checking your email and social media notifications; it is now the ultimate device for a healthy life’.

Si riescono comunque a distinguere e classificare due tipi principali ed affermati di wearables all’interno dei campi della sanità e della medicina:

• Fitness Wearable Devices, i quali aiutano a tracciare e monitorare le condizioni di fitness giornaliere come i piani saliti o scesi, la distanza percorsa, le calorie bruciate, il sonno, la dieta e lo stress. Questa tipologia di oggetti è riferita a consumatori tendenzialmente giovani e in salute e le misurazioni possono essere eseguite anche tramite l’utilizzo di uno smartphone tramite un’applicazione; • Medical Wearable Devices, sono indossati da persone più anziane rispetto alle

precedenti e meno in salute. Questa tipologia di oggetti di solito è disegnata per certe problematiche di salute come il diabete ed il cancro, sono quindi strumenti ad hoc, acquistabili su consiglio o ordinazione medica.

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Molte aziende stanno facendo consistenti sforzi in ricerca per trovare nuove tipologie di devices indossabili a fini medici. Per esempio Apple stessa ha mostrato interesse nella ricerca di sensori medici che possano analizzare il livello di glucosio di una persona tramite le proprie lacrime.

Le informazioni raccolte tramite questa tipologia di strumentazione però, sono molto più sensibili di informazioni quali quelle demografiche e quelle generiche sulle transazioni, sono dunque prodotti con contenuti ad alto tasso di privacy. La letteratura esistente dell’Health Information Technology (HIT) comunque, evidenzia positivamente l’atteggiamento nei confronti di questi prodotti da parte degli utenti nonostante l’elevata privacy delle informazioni trattate, in particolar modo Hensel (2006) dimostrò che la facilità d’uso è più importante nel determinare l’adozione di questi devices, a scapito della privacy.

Per avere una visione più esaustiva e completa dell’argomento riguardante le tecnologie indossabili applicate nei campi della salute e della medicina, conviene analizzare prima con un approccio basato sulla pratica questi nuovi strumenti sotto il punto di vista della funzione di self-tracking e la formazione del mercato di riferimento che vogliamo prendere in analisi.

3.2.1 Un’approccio pratico al self-tracking

Utilizzando un approccio basato sulla pratica, espresso per la prima volta da Callon nel 1998 all’interno del volume ‘The Laws of the Market’, i mercati non vengono più trattati come entità a sé stanti, ma piuttosto come consistenti in un qualcosa che viene plasmato da una pluralità di fattori.

Reckwitz suggerisce che l’approccio pratico condivide un interesse nelle attività mondane, dunque di tutti i giorni20.

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Molte Teorie della Pratica condividono con le altre teorie sociali l’ambizione di spiegare modelli di interazione umana, ma sono in disaccordo nella loro tesi primaria che vede come protagonista il comportamento aggregato degli individui21.

Però, piuttosto che causato dai comportamenti aggregati degli individui o dal consenso normativo, gli ordini sociali emergono come conseguenza del modo corrente di come si fanno le cose22, comportamenti routinari23 e scambi di significati condivisi24.

Il punto cruciale è che le pratiche sono fatte da e attraverso le routine ripetute ed il loro ricorsivo ordinamento25.

Elaborando la teoria della pratica, Reckwitz dunque distingue tra pratiche ‘praxis’ come un modo per descrivere ‘la totalità delle azioni umane’ e, una pratica ‘praktik’ che sottintende ‘un tipo di comportamento routinario il quale consiste in diversi elementi interconnessi’26.

In parallelo alle varie teorie sulla pratica, un approccio orientato alla pratica ma in maniera più metodologica fu sviluppato con studi all’interno di campi quali la scienza e la tecnologia27.

Qui l’attenzione alla pratica è stata motivata prima di tutto come un modo per studiare il continuo (ri)ordinamento. Successivamente la pubblicazione di The Laws of Markets28, questo approccio è diventato il più influente approccio pratico ai mercati. Anche conosciuto come programma performtivity, l’approccio fu

21 Teorie suggerite da Bourdieu, 1990; De Certeau, 1984; Schatzki, 2008 22 De Certeau, 19849

23 Reckwitz, 2002 24 Wenger, 1998 25 Giddens, 1984

26 Reckwitz, 2002: 249-250

27 Latour, 1987; Lynch, 1983; Pickering, 1992 28 Callon, 1998a

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adattato e ulteriormente sviluppato nel marketing concentrandosi sulla continua costruzione dei mercati29.

Mentre questo approccio condivide con alcuni dei lavori classici nel marketing un interesse nel come si creano i mercati, non cerca di promuovere il ritorno alle originarie radici che si fondavano nei mercati30. Inoltre si cuce bene addosso con la più recente idea che ‘…i mercati non sono universali, entità auto-contenute, ma anzi ricevono elementi di distinte forme discorsive e pratiche materiali attraverso vari contesti sociali ed oltre il tempo 31.

I programmi di ricerca iniziati da Callon, costituiscono una rottura radicale con gli approcci al mercato più tradizionali all’interno della disciplina del marketing, sia nuova che vecchia.

Prima di tutto estende gli studi di Granovetter (1985) sull’incorporazione oltre i legami sociali che facilitano gli scambi del mercato, includendo anche il ruolo degli oggetti, gli apparati e le tecnologie che costituiscono un mercato.

Come secondo punto, l’approccio non parte da agenti/entità di mercato predefiniti per capire il processo all’interno di un sistema più ampio, ma considera la costituzione di agenti/entità e mercati come risultanti da un processo di co-configurazione 32.

Confrontati con gli altri approcci pratici, questi primi due punti ci fanno già capire come sia decentrato l’operato dell’uomo.

In terza analisi, questo approccio indaga l’idea tradizionale di un gap radicale tra teoria e azione, il mondo delle idee e il mondo delle praxis e discute invece di un link interattivo tra idee e azioni 33.

29 Araujo, 2007; Araujo e Spring, 2006; Azimont e Araujo, 2007; Kjelberg e Helgesson, 2006, 2007a, b; Rinallo e Golfetto, 2006

30 Brown, 2007 31

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Secondo questo modo di fare, questa strada intrapresa nell’approcciare i mercati sposta la nostra attenzione dall’epistemologia (come il mondo è compreso) all’ontologia (come il mondo è stato fatto). Questo e i precedenti punti evidenziano l’importanza delle praxis, ma suggeriscono che esse si riferiscono a prestazioni ben definite piuttosto che a pure azioni umane.

Questi tre distinti tratti implicano una definizione di ‘pratica di mercato’ che includa sia le praxis che le praktik, infatti suggerisce che la loro interrelazione sia centrale per la comprensione dei mercati come costruzioni in corso.

Questo approccio vede dunque lo studio dei mercati come entità performanti che cambiano sempre invece che come entità stabilizzate; come fulcri di attività che vengono formati e fatti diventare routine da molteplici agenti stimatori34.

Costruiremo, detto ciò, una visione della società come un sistema di elementi connessi tramite pratiche che sono in continuazione disgregate, mescolate e che formano unità sempre più nuove e grandi.

Questi processi sono tenuti in piedi da pratiche messe in atto individualmente e condizionati da stabili configurazioni di altre strutture pratiche, risultando così come una fabbrica temporale-spaziale della società35.

Dopo questa osservazione aggiungiamo ora all’esistente corpo di lavoro di studi sul mercato l’emergere del monitoraggio delle pulsazioni del cuore e, più in generale, del self-tracking.

Il concetto di self-tracking ha recentemente iniziato a emergere in trattazioni riguardanti i modi in cui le persone possono volontariamente monitorare e registrare specifici aspetti della loro vita, utilizzando delle tecnologie digitali 36. Le risorse ed i devices relativi a questa pratica stanno ormai proliferando in tutto il mondo.

34 Callon e Muniesa, 2005; Kjellberg e helgesson, 2006 35 Shove, Pantzar, e Watson 2012

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Non affronteremo qui un’analisi classica della domanda e dell’offerta ma analizzeremo un più ampio network di soggetti interdipendenti tra di loro. In questo senso, le persone non sono considerate come semplici consumatori o residenti appartenenti a qualche posto al di fuori del mercato ma invece sono considerati come partecipanti nel processo di creazione di nuove entità che possono divenire dei veri e propri mercati 37.

Con le nuove tecnologie mobili e digitali come i contapassi, l’accelerometro ed i trackers basati sul sistema GPS, vari tipi di pratiche hanno avuto un effetto sgocciolamento della conoscenza dagli utilizzatori esperti alle persone ordinarie e sempre meno esperte 38.

Le statistiche delle funzioni mentali e fisiche dunque non sono più un qualcosa per pochi esperti ma diventano sempre più parte della routine quotidiana di qualsiasi persona che lo voglia.

L’ultima manifestazione di questi sviluppi è il Quantified-Self, movimento nato in California nel 2008 39. Questo movimento promuove quelle che sono le statistiche personali che si concentrano nella misurazione e nell’ottimizzazione di vari tipi di funzioni mentali e fisiche.

Vi sono numerose statistiche personali come quelle riferite alla misurazione delle reazioni psicologiche, agli spostamenti individuali, noi focalizziamo la nostra attenzione però sui devices che monitorano il cuore, sulle loro pratiche e le relative competenze necessarie che vengono normalizzate e integrate nella vita di tutti i giorni.

I devices per il self-tracking e le pratiche associate sono diffusi in vari contesti, dagli sport a livello professionistico ai luoghi di lavoro sino alle abitazioni. Le statistiche di tutti i giorni vengono, una volta raccolte e elaborate, traslate in grafici e output visivi.

37

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I sociologi che studiano le scienze naturali hanno dimostrato che le ricerche sui topi in laboratorio e le relative scoperte, divengono conoscenza scientifica nel momento in cui le ricerche trovano una propria rappresentazione grafica riassuntiva40.

Le pubblicazioni che trovano riscontro visivamente sono sempre più riconosciute con un’importanza crescente soprattutto nelle ricerche di marketing 41.

La vita, le sue entità, le relazioni ed i processi divengono più leggibili e immaginabili quando questa vita è misurata, catturata e rappresentata in grafici riassuntivi, tabelle e figure.

Ciò significa che la visualizzazione dei risultati grafici sono un aspetto vitale della produzione della conoscenza; guardare rende la conoscenza credibile42 e risulta più facile agire e le evidenze visive sono per coinvolgere anche i consumatori. Le persone sono affamate di informazioni che garantiscono la crescita personale ma ciò è difficilmente dimostrabile, anche se per persone esperte e professionisti come i manager e gli atleti i benefici della misurazione delle attività di tutti i giorni è tipicamente più ovvia che per le altre persone.

3.2.2 La storia e la formazione delle pratiche

Contiamo sulla teoria della pratica per illuminare gli sviluppi nel monitoraggio del cuore e per discutere e sostenere che le statistiche quotidiane possano valere la pena di essere esplorate perché giocano una parte nel sostenere, definire e riprodurre vari tipi di pratiche.

Queste pratiche sono al cuore degli sviluppi del mercato perché muovono le persone in varie direzioni: pratiche, sociali ed emozionali.

40 Latour 1990

41 Kozinets 2002; Schroeder 2006

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Dal quadro teorico delineato da Shove, Pantzar e Watson (2012) si possono delineare tre momenti storici fondamentali per la crescita e la diffusione di queste pratiche:

1. monitoraggio della frequenza cardiaca (dal 1983); 2. misurazioni per il fitness (dal 1990);

3. rilevamento dello stress (dal 2010).

In chiave della teoria della pratica, vari tipi di link devono essere creati in modo da spiegare l’emergere delle pratiche delle misurazioni giornaliere e la loro stabilizzazione come pratiche di routine.

Alcune pratiche richiedono il supporto di oggetti materiali che guidino e co-costruiscano il fare d tutti i giorni; in seconda analisi, esse contano sula conoscenza sul come si fanno le cose, in tal modo richiedono verosimilmente nuove capacità e competenze; terzo, le pratiche emergenti richiedono un obiettivo: hanno bisogno di essere ininterrottamente unite con finalità, ambizioni simboliche e desideri sociali. Una volta che la connessione tra queste tre dimensioni verrà delineata, le pratiche potranno diventare consolidate attraverso la loro ripetizione.

Dalla prospettiva dei mercati come pratica, la costruzione di questi link è cruciale perché senza di loro nessuna condizione esisterebbe per la composizione tecnico-sociale che dovrebbe promuovere gli sviluppi del mercato.

L’approccio pratico teorico, che conta sulle distinzioni, sulla continuità e sulla discontinuità all’interno delle sfere degli oggetti materiali, delle immagini e delle competenze, spiega sia la formazione di nuove pratiche sia la fine delle stesse.

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La teorica separazione introdotta nella seguente figura riassume ciò che è stato delineato da vari studi basati sulla pratica.

Figura 3, Pantzar e Shove (2010)

Schatzki, uno dei leader dei filosofi sociali nel campo della teoria della pratica, definisce le pratiche come materialmente un insieme di attività umane intrinseche e organizzate attorno alla comprensione condivisa della pratica stessa.

Le pratiche sono espresse da differenti corpi e menti annesse ed esistono come un insieme di norme, convenzioni, modi di fare, know-how e requisiti materiali. Il lavoro di Shove, Pantzar e Watson (2012), in aggiunta, suggerisce che questi elementi e requisiti possono essere condensati in tre dimensioni: image, skill e material. Seguendo queste linee guida, suggeriamo che una volta che queste dimensioni si stabilizzano, le pratiche come il self-tracking ed il self-monitoring formino entità relativamente durature composte da immagini, competenze e materiali le quali sono più o meno connesse con altre pratiche giornaliere.

In contrasto però, nel caso di elementi mancanti come le competenze, o collegamenti mancanti tra gli oggetti materiali e le immagini, per esempio,

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potrebbe darsi che le statistiche di tutti i giorni si sviluppino con più difficoltà. Perciò questa pratica del monitoraggio della frequenza cardiaca diventa storicamente più stabile quando la sua partecipazione nella riproduzione dei suoi elementi, come l’immagini del fitness o dello stress, divengono più forti.

In questo senso aggiungiamo alla nostra analisi altri elementi o pratiche esistenti per supportare il mercato delle tecnologie self-tracking.

3.2.3 Normalizzazione delle misurazioni della frequenza cardiaca

Per anni il monitoraggio del cuore del paziente avveniva poggiando l’orecchio sul petto dello stesso.

Circa duecento anni fa però fu inventato lo stetoscopio che modificò la situazione. Il vero punto cruciale però arrivò all’inizio del ventesimo secolo quando lo psicologo tedesco Willem Einthoven sviluppò il primo elettrocardiogramma (ECG). Il primo monitor della frequenza cardiaca portatile e senza fili (Polar PE2000), che consisteva in un trasmettitore attaccato al petto di una persona, fu introdotto nel 1983; il ricevitore consisteva invece in una sorta di orologio monitor attaccato al polso.

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Finnish Polar Electro, con questa invenzione, per anni fu la monopolista del mercato. In luce della teoria delle pratiche come mercato, non fu chiaro sin da subito perché le persone dovessero comprare un device e l’azienda Polar Electro dovette costruirsi un canale di distribuzione, un brand e un marketing attorno a questo strumento ed anche una presenza con dei negozi propri.

Inizialmente fu venduto principalmente negli aeroporti come un qualcosa che servisse al self-improvement ed all’archiviazione di propri dati, perciò fu inquadrato come uno strumento in grado di registrare informazioni serie sulla salute e sulle condizioni cliniche delle persone.

La svolta avvenne quando il monitor venne utilizzato come equipaggiamento per gli sportivi.

In altre parole il monitoraggio della frequenza cardiaca uscì fuori dagli ospedali e dall’ambiente clinico e si buttò nelle vite di milioni di persone in tutto il mondo divenendo sempre più uno strumento per gestire gli allenamenti di tutti i giorni e per gestire il proprio peso corporeo.

La tecnologia oggi è molto più automatizzata, pratica e interattiva tanto che non si parla più di misurare ma di monitorare e di allenare. Il presunto ruolo interattivo dei device è chiaramente articolato nelle seguenti intestazioni del depliant 2005 della nota Polar Electro: ‘Tune up your engine’; ‘Turn information into speed’; ‘Listen to your body’; ‘Measures everything but guts’. Gli slogan di Polar Electro enfatizzano l’aspetto comunicativo dei dispositivi: ‘Everybody tells a story, you should listen to your body’.

Gli slogan come questi pongono gli utenti come osservatori di sé stessi, questa è un’immagine moderna di controllo ad un nuovo livello: il corpo naturale è trattato come un qualcosa di imperfetto, incompleto43.

(38)

Con il sostegno della tecnologia, il corpo è incrementalmente controllato dalla nostra ragione; può essere usato, trasformato e migliorato in modo da raggiungere felicità e eccellenza.

Una volta equipaggiato con questa attrezzatura il corpo diventa conoscibile, calcolabile ed amministrabile come un oggetto, vedendo così nascere dei cittadini d’élite.

Questo aspetto appena elencato è molto interessante e significativo ma conviene analizzare anche altre pratiche al fine di evidenziare le conseguenze del self-tracking e della creazione di questo mercato.

Diversi sistemi commerciali oggi contano sulla combinazione di sensori a contatto con il corpo, un display mobile e applicazioni mobili interattive basate sul web44. Un esempio tipico è il Finnish FRWD con il suo ‘registratore delle performance sportive’ digitale.

La parte più interattiva di questo mercato dei dispositivi di self-tracking è il pannello al quale si accede tramite lo schermo di un computer dopo l’esercizio fisico.

In questo pannello di controllo una persona può rivivere la sessione di allenamento appena conclusa. Questa sessione può essere condivisa con gli amici e possono essere confrontate le varie performance con un pubblico sempre più vasto.

Analizzando il caso con il modello proposto in precedenza, nel caso della ‘proto-pratica’ (Polar PE2000 nel 1983) possiamo solo parlare di una pre-formazione del terreno della pratica del self-tracking: gli elementi esistono ma i link tra oggetti, immagini e competenze non è ancora stabilizzato.

Solo poche persone possono immaginare a cosa questi devices possono essere utili e quali possano essere gli ipotetici sviluppi. Il cambiamento da una ‘proto-pratica’ ad una vera e propria pratica di self-tracking prende luogo quando i links tra i devices fisici, le immagini e le competenze sono formate e stabilizzate.

(39)

Nel caso del monitoraggio del battito cardiaco, i devices sviluppati, se da un lato non vennero fin da subito adottati dal mercato main stream come tecnologia innovativa perché mancavano le competenze e le potenzialità per comprendere il potere del self-tracking, questo non successe con gli sportivi, i quali colsero subito la serietà dello strumento per i propri allenamenti e per migliorare le proprie performance.

3.2.4 Le tre sfere del self-tracking

In termini degli sviluppi del mercato, le aree di espansione sono cruciali nella creazione di un mercato perché esse fanno da linee guida per le nuove pratiche.

(a) Promuovere l’auto-conoscenza sul fitness e lo stress attraverso il monitoraggio della frequenza cardiaca

La prima area enfatizza il ruolo del monitoraggio della frequenza cardiaca come una tecnologia per misurare le attività di fitness e promuovere l’auto-conoscenza e l’auto-consapevolezza.

In maniera significativa, le self-tracking devices misurano ed interpretano i dati raccolti in relazione al corpo che rimarrebbero altrimenti nascosti e ignoti 45. Così facendo, si offre anche un significato per il self-coaching e la self-optimization. Questa idea venne coniata nel 2004 da un test manager di Vierumaki, il più grande istituto sportivo finlandese, il quale suggerì la necessità di più allenatori per mantenere le persone in forma e trovò il sostituto non umano dei coach in queste apparecchiature.

Ma perché proprio il monitoraggio del battito cardiaco? Le prime linee guida per il fitness aerobico furono poste a metà del 1960 da Kenneth Cooper, il quale fissò gli standard per la riabilitazione cardiaca. La variabile chiave per la misurazione nel fitness è la capacità del corpo di offrire ossigeno al lavoro muscolare durante l’attività fisica.

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Alquanto paradossalmente, l’organo chiave che viene monitorato è il cuore (invece dei polmoni).

Ci sono tre ragioni che spiegano questa scelta: l’efficienza di costo, la sicurezza delle misurazioni e la facilità nel testare.

Tuttavia, sia i polmoni che il cuore svolgono un ruolo molto importante per il fitness.

La funzione dei polmoni è parzialmente rispecchiata nel battito cardiaco dato che il grado di ossigenazione del sangue è dipendente nella capacità del cuore di pompare il sangue.

Un semplice test sviluppato per tracciare il fitness aerobico dai cambiamenti nelle pulsazioni cardiache, creò molte cruciali approssimazioni riguardo la normalizzazione, introducendo variabili che dipendono dalla separazione dovuta dall’età e dal sesso.

In prima battuta questo test traduce il corpo allo stato naturale in unità calcolabili consegnate come un risultato di misurazione del VO2max. In seguito, quando la

comunicazione dei risultati del test tornava indietro al soggetto testato, i dati vengono trasformati in informazioni.

Fare ‘grafici di fitness’ digitali è un importante sviluppo recente in relazione alle nuove pratiche, basti pensare che nel 1990 questi grafici venivano fatti a mano. Così, i dati visualizzati possono essere visti al cuore della formazione del circuito della riproduzione che promuove l’attività del fitness.

I self-tracking devices scompongono il corpo in immagini culturalmente leggibili sotto forma di grafici di fitness; la conoscenza acquisita è dunque promulgata dal corpo umano quando fa esercizio sulla base dei risultati del test. Il circuito della riproduzione è chiuso da feedback in un corpo o corpi attraverso il workout. Al contrario degli studi sul monitoraggio del battito cardiaco, gli studi riguardanti il concetto di stress nelle scienze biologiche e sociali solamente nel 1940.

Questo concetto divenne evidente durante il periodo di guerra che circostanze violente producono risposte neuroendocrine le quali possono avere rilevanti

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Per un lungo periodo però non ci fu una modalità per misurare e quantificare il livello di stress che le condizioni sociali o le condizioni possono creare.

Oggi, molti strumenti sono già stati sviluppati per misurare le situazioni di stress attraverso la respirazione o collegamenti elettrici. Un semplice stress test è basato sulla misurazione della variabilità della frequenza cardiaca.

Il test assume che in caso di stress la variabilità del battito cardiaco è bassa. In altre parole, indipendentemente da cosa facciano le persone, il cuore tiene il battito quasi sempre al solito ritmo (relativamente alto e irregolare).

Al contrario, le attività di una persona non stressata influenzano direttamente il battito cardiaco e la variabilità è notevole. In termini medici ciò viene spiegato riferendosi al relativo ruolo delle varie mescolanze del sistema nervoso.

Basato su queste assunzioni Firstbeat commercializzò un device, il BODYGUARD, per misurare e visualizzare i tempi di stress e di recupero nell’arco di una giornata.

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L’area di espansione appena descritta, costruita sul monitoraggio delle pulsazioni del cuore e promossa come un nuoto tipo di auto-consapevolezza dello stress e del recupero, è attualmente nella fase proto-pratica e molte compagnie stanno sviluppando oggetti per la misurazione.

(b) Misurazioni come una pratica teleo-affettiva

In accordo con Schatzki, la mera comprensione non è una condizione sufficiente per l’emergere di nuove azioni e pratiche. Identifica infatti un ‘mix di teologie e affettività (ovvero riconducibile alla sfera degli affetti)’ come un importante fattore nell’organizzazione e coordinamento della pratica.

Nel suo pensiero, la teologia si riferisce all’orientamento in direzione di determinati fini, mentre l’affettività da alle cose una profondità di valore ed emozionale.

Con riguardo ai circuiti della riproduzione che comportano il self-tracking, questo significa che per diventare coinvolgente e intensa abbastanza da diventare una pratica, la misurazione ha bisogno di contare e significare qualcosa per le persone. Un modo per argomentare ciò è quello di accennare che gli output visivi, grafici e illustrazioni, sono decisivi per rendere la pratica emozionalmente persuasiva e convincente.

Le convenzioni visive non sono solo banalità e luoghi comuni nelle varie discipline per denotare cambiamenti, sequenze, attività e relazioni, ma la visualizzazione delle funzionalità del corpo, come i grafici, diagrammi e tabelle sono anche basate sull’apprendimento e l’apprezzamento di queste convenzioni 46.

Basandoci su queste idee, il periodo corrente e in formazione delle statistiche di tutti i giorni, assomiglia alla fine del diciannovesimo secolo quando i grafici che

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registravano i cambiamenti di stato del corpo cambiarono radicalmente come il paziente e la malattia venissero compresi in medicina 47.

Perciò, in termini dell’espansione del campo che si fonda sull’idea della misurazione come una pratica teleo-affettiva, è significante che i segnali visivi e le convenzioni, grafici e tabelle, non sono solo considerati come informazioni, ma esse generano un nuovo tipo di legami affettivi tra le persone e le azioni e reazioni misurate48.

Ciò ci suggerisce che i simboli rappresentati e le conclusioni sono critici nel creare un coinvolgimento emozionale tra le persone ed i dati. In questa ottica, gli strumenti per la misurazione generano numeri che non solo registrano le mere statistiche del corpo, ma anche rielaborano il valore di ciò che è stato registrato49. I numeri acquistano qualità che promuovono nuovi tipi di relazioni volti alle pratiche di quantificazione 50.

In altre parole, il fatto che i devices di self-measuring offrono spazio per il coinvolgimento emozionale con la visualizzazione dei dati, significa che questi non solo catturano il flusso dei dati trasformando il nostro corpo in informazioni, ma rendono un feedback alle persone in formato visivo, il quale favorisce e promuove un attaccamento emozionale e lo intensifica51 , si ha una vera e propria singolarizzazione.

Conseguentemente la visualizzazione dei dati può essere interpretata come una visione più autentica nella vita quotidiana rispetto alle esperienze soggettive. Questa analisi fin qui esposta rende chiara l’idea che nonostante il mercato di queste nuove tecnologie sia relativamente recente, il modo in cui esso promuove il coinvolgimento visivo con i corpi e le menti è fortemente radicato nella nostra cultura52. 47 Bert e Harterink 2004 48 Preda 2002 49 Mol 2000 50 Anderson 2009; Oxlund 2012 51 Illouz 2009 52 Bloch 2008

(44)

(c) Incorporare il self-tracking nelle pratiche di tutti i giorni

Questo terza area di espansione che abbiamo identificato, nasce dall’idea che le nuove pratiche relative al self-tracking possono non essere originate da medici o esperti della tecnologia ma, piuttosto, sono gli utenti che promuovono queste nuove pratiche con l’integrazione dei tracking devices nelle pratiche quotidiane. Da ricerche empiriche risulta che le persone sono interessate nel self-tracking fintanto che promuove e supporta una maggior comprensione delle finalità che hanno nella loro vita, implica che molti degli attuali devices focalizzano a fondo nelle cose che fanno le persone nella loro vita quotidiana.

Da una prospettiva di mercato, ciò significa che le persone con limitata esperienza nel campo della tecnologia, possono essere più creativi nell’immaginare e articolare le applicazioni per i self-tracking devices piuttosto che i professionisti. Anche se l’uso di tutti i giorni delle tecnologie tracking può apparire irrilevante, o banale, sono questi usi che spiegano la loro espansione.

L’entusiasmo con il quale le persone pensano alle nuove applicazioni per i devices indica che la rilevazione porta numeri e dati nel mondo reale e ciò è visto come un qualcosa per cui vale la pena impegnarsi e, di conseguenza, gli utenti realizzano che i flussi dei dati sono utili nel farli diventare più convincenti e completi negli impegni della vita quotidiana.

Alla luce dei problemi pratico-teorici, le persone sono inclini a usare le tecnologie tracking in una maniera che insegna quali sono i loro obiettivi quotidiani e quali ostacoli non permettono loro di raggiungere gli obiettivi.

Siccome l’enfasi del tecno-fitness incentrato sul self-tracking potrebbe essere qualcosa di estraneo a loro, hanno bisogno di cercare modi per incorporare il monitoraggio nelle loro vite quotidiane in modo che li supporti nei loro molteplici e mutevoli obiettivi.

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