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GESTIONE DELL'ANTICOAGULAZIONE REGIONALE CON CITRATO IN CORSO DI EMOPERFUSIONE CON POLIMIXINA - B

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA E CHIRURGIA

TESI DI LAUREA

Gestione dell’anticoagulazione regionale con citrato in corso di emoperfusione con Polimixina - B

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

RELATORI:

Dott. Francesco Forfori

CANDIDATO:

Erika Taddei

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1

SOMMARIO

1.INTRODUZIONE ... 3 2. LA SEPSI ... 4 2.1DEFINIZIONI ... 4 2.2EPIDEMIOLOGIA ... 8 Incidenza ... 8 Mortalità ... 8 Prognosi ... 9 2.3EZIOLOGIA ... 9 2.4FISIOPATOLOGIA ... 14

2.4.1 Alterato utilizzo dell’ossigeno ... 17

2.4.2 Alterazione dell’endotelio ... 19

2.4.3 Il ruolo della risposta immunitaria innata ... 20

2.5CLINICA ... 21 2.5.1 Complicanze d’organo ... 22 2.6DIAGNOSI ... 34 2.6.1 La procalcitonina ... 35 2.6.2 Tecniche emergenti ... 36 2.8TRATTAMENTO ... 38 2.8.1 Rianimazione iniziale ... 38

2.8.2 Screening per la sepsi ... 39

2.8.3 Diagnosi ... 39

2.8.4 Terapia antibiotica... 39

2.8.5 Controllo della fonte di infezione ... 41

2.8.6 Fluidi ... 41

2.8.7 Vasopressori ... 41

2.8.8 Corticosteroidi ... 42

2.8.9 Sangue e derivati ... 42

2.8.10 Immunoglobuline ... 42

2.8.11 Trattamenti di emoperfusione extracorporea ... 43

2.8.12 Anticoagulanti ... 43

2.8.13 Ventilazione meccanica ... 43

2.8.14 Sedazione e Analgesia ... 44

2.8.15 Controllo della glicemia ... 44

2.8.16 Terapia renale sostitutiva ... 44

2.8.17 Terapia con bicarbonato ... 44

2.8.18 Profilassi tromboembolismo venoso ... 45

2.8.19 Profilassi delle ulcere da stress ... 45

3. TECNICHE EMODIALITICHE NELLA SEPSI ... 46

3.1EMOFILTRAZIONE VENO-VENOSA CONTINUA (CVVH) ... 48

3.1.1 CVVH con Post-diluizione ... 48

3.1.2 CVVH con Pre-diluizione ... 48

3.1.3 CVVH con pre-diluzione + post-diluizione ... 48

3.2EMODIALISI VENO-VENOSA CONTINUA (CVVHD) ... 49

3.3EMODIAFILTRAZIONE VENO-VENOSA CONTINUA (CVVHDF) ... 49

3.4HIGH VOLUME HEMOFILTRATION (HV-HF) ED HIGH VOLUME CVVH(HV-CVVH) ... 49

3.5TECNICHE EXTRACORPOREE - RAZIONALE ... 51

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2

3.6MEMBRANE PER IMMUNOMODULAZIONE EXTRACORPOREA NELLA SEPSI ... 52

3.6.1 Emoadsorbimento ... 53

4. ANTICOAGULAZIONE IN CORSO DI CRRT ... 65

4.1CITRATO ... 65

4.1.1 Definizione ... 65

4.1.2 Il ruolo del calcio nella cascata coagulativa ... 66

4.1.3 Meccanismo d’azione... 67

4.1.3 Rischi e limitazioni ... 69

4.1.4 Limiti ... 70

4.1.5 Controindicazioni ... 71

4..1.6 Monitoraggio del paziente durante l’anticoagulazione con citrato ... 72

4.1.6 Complicazioni ... 74

4.1.7 Citrato e infiammazione ... 76

4.2EPARINA... 76

4.2.1 Eparina e infiammazione ... 78

4.3CONFRONTO TRA EPARINA E CITRATO NELLE CRRT ... 80

5. STUDIO CLINICO ... 82

5.1ANTICOAGULAZIONE REGIONALE CON CITRATO IN CORSO DI EMOPERFUSIONE CON POLIMIXINA B– RAZIONALE ... 82

5.2MATERIALI E METODI ... 83

5.2.1 Fase di preparazione ... 83

5.2.2 Inizio trattamento ... 83

5.2.3 Fase di mantenimento e monitoraggio ... 85

5.3.4 Termine trattamento... 85 5.4CASI CLINICI ... 86 Paziente 1 ... 86 Paziente 2 ... 87 Paziente 3 ... 90 Paziente 4 ... 91 Paziente 5 ... 94 Paziente 6 ... 96 Paziente 7 ... 98 5.5RISULTATI ... 99 5.5DISCUSSIONE ... 103 6. CONCLUSIONI ... 106 7. BIBLIOGRAFIA ... 107 RINGRAZIAMENTI ... 116

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3

1.INTRODUZIONE

La sepsi e lo shock settico sono patologie di frequente riscontro nell’unità di terapia intensiva e comportano un’elevata mortalità. Nella patogenesi di questi due processi assume importanza rilevante l’endotossina, una componente della membrana dei batteri Gram-negativi. Alti livelli di attività endotossinica sono associati ad outcomes clinici peggiori.

La polimixina B è un antibiotico con alta affinità per l’endotossina, per questo è stata legata in modo covalente su fibre di polistirene in un dispositivo medico per l’emoperfusione. Questo dispositivo può effettivamente legare l’endotossina sia in vitro che in vivo e può potenzialmente interrompere la cascata della sepsi.

Il circuito necessita di anticoagulazione per ottenere una maggior durata del trattamento che fino ad oggi vede per la massima parte l’impiego di eparina. Questo studio di tesi prende in considerazione l’utilizzo del citrato come anticoagulante per migliorare la durata del circuito, ridurre i rischi per il paziente e migliorarne quindi la sopravvivenza.

Lo studio considera 7 pazienti dell’ U.O. di Anestesia e Rianimazione IV dell’Università di Pisa.

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2. LA SEPSI

2.1 Definizioni

La sepsi è una condizione caratterizzata da alterazioni fisiologiche, patologiche e biochimiche indotte da un’infezione. E’ una delle patologie di principale interesse di salute pubblica, il dispendio negli Stati Uniti in questo ambito ammonta a più di 20 miliardi di dollari solo nel 2011.1

Dare una definizione di sepsi è estremamente complesso ed è un compito in continua evoluzione.

La prima definizione di sepsi nasce con la ACCP/SCCM Consensus Conference

Committee del 1992, la quale sosteneva che la sepsi fosse il risultato della

cosiddetta Sindrome da Risposta Infiammatoria Sistemica (SIRS) all’infezione. In particolare si definisce SIRS la presenza di due o più dei seguenti segni:

- Temperatura >38° C o < 36°C

- Frequenza cardiaca > 90 battiti/minuto

- Frequenza respiratoria > 20 atti/minuto o PaCO2 < 32mmHg

- Conta dei globuli bianchi > 12000/mm3 o < 4000/mm3 o forme immature >10%

E’ importante specificare che la SIRS è una risposta aspecifica a vari eventi morbosi come l’ischemia, il politrauma, la pancreatite, lo shock, etc.

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5 La sepsi complicata con disfunzione d’organo venne definita sepsi severa; i segni di disfunzione d’organo sono i seguenti:

- Cardiovascolare: PAS ≤ 90 mmHg o PAM ≤ 70mmHg che risponde all’infusione di fluidi

- Renale: flusso urinario < 0,5 mL/Kg/h nonostante adeguata ricostituzione di volume circolante

- Respiratoria: PaO2 /FiO2 ≤ 250 o ≤ 200 se il polmone è il solo organo che presenta disfunzione

- Ematologica: conta piastrinica < 80000 µL o decremento del 50% della conta piastrinica dal valore più alto registrato negli ultimi 3 giorni

- Acidosi metabolica di origine ignota : valore di pH ≤ 7,3 o deficit di basi ≥ 5mEq/L e concentrazione plasmatica di acido lattico > 1,5 volte il limite superiore normale del laboratorio

- Adeguata ricostituzione del volume liquido circolante: pressione arteriosa di incuneamento polmonare ≥ 12mmHg o pressione venosa centrale ≥ 8 mmHg

La sepsi severa poteva progredire in shock settico definito come un’ipotensione indotta dalla sepsi che persiste nonostante un’adeguata rianimazione con i fluidi. Lo stato di shock settico che perdura per più di un’ora e non risponde alla somministrazione di fluidi o vasocostrittori è definito shock settico refrattario. Infine si parla di Sindrome da insufficienza multiorgano (MODS) nel caso di una disfunzione di più di un organo che richiede l’intervento farmacologico per mantenere l’omeostasi.2

Una Task Force nel 2001 ha riconosciuto che ci sono dei limiti a queste definizioni, espandendo la lista dei criteri diagnostici ma non offrendo alternative per la mancanza di evidenze a supporto, così la definizione di sepsi, shock settico e disfunzione d’organo è rimasta invariata per più di due decadi.3

Riconoscendo la necessità di riesaminare le definizioni correnti nasce Sepsis-3: la European Society of Intensive Care Medicine e la Society of the Critical Care Medicine hanno organizzato nel Gennaio del 2014 una nuova Task Force di 19 specialisti in terapia intensiva, chirurgia e pneumologia e tramite conferenze, scambi di posta elettronica dal Gennaio 2014 al Gennaio 2015, nei primi mesi del 2016 hanno dato le seguenti definizioni:

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6 La sepsi è una risposta disregolata dell’organismo all’infezione con conseguente disfunzione d’organo che mette in pericolo di vita il paziente.

Da questa definizione si intuisce da subito che il termine di sepsi severa è stato rimosso in quanto obsoleto.

Una disfunzione d’organo può essere identificata come un cambiamento acuto nel SOFA score ≥ 2 punti conseguente all’infezione. SOFA sta per Sequential (Sepsis-Related) Organ Failure Assessment ed è uno degli score più utilizzati nelle terapie intensive per valutare lo status di un paziente.

Il SOFA basale si può assumere che sia zero in quei pazienti in cui una disfunzione d’organo preesistente sia sconosciuta.

Figura 2 SOFA score5

Un SOFA ≥ 2 aumenta complessivamente il rischio di mortalità del 10% in una popolazione ospedaliera con sospetta infezione. Anche i pazienti con una modesta disfunzione possono deteriorare ulteriormente, enfatizzando la gravità di questa condizione e la necessità di un appropriato intervento, nel caso questo non fosse già stato messo in atto.

Nei pazienti a rischio di sepsi possiamo valutare dei parametri che ci permettono di capire rapidamente se c’è necessità di un approfondimento diagnostico, questi sono i cosiddetti Quick Sofa Criteria (qSOFA) :

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7 o Alterato stato mentale

o Pressione arteriosa sistolica ≤ 100mmHg Il qSOFA è positivo se sono soddisfatti almeno due criteri.

Lo shock settico viene identificato in quei pazienti in cui la sepsi si associa ad un’ipotensione persistente che richiede vasopressori per mantenere la MAP (Mean Arterial Pressure) ≥ 65 mmHg e a livelli di lattati sierici > 2 mmol/L (18mg/dl), nonostante un adeguato reintegro di volumi. In queste condizioni la mortalità ospedaliera è superiore al 40%.

La task force non si è limitata a dare queste definizioni ma è stato sviluppato anche un algoritmo per la diagnosi precoce di questa sindrome, poiché più precoce è la diagnosi, più precoci saranno le terapie messe in atto e migliore risulterà l’outcome:

Figura 3 Quick-SOFA4

E’ importante sottolineare che il percorso sulla sepsi è in continua evoluzione, una nuova Consensus Conference è prevista per il 2030: Sepsis-44.

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8

2.2 Epidemiologia

Incidenza

Angus e associati nel 2001 hanno valutato 192980 casi di sepsi severa in una coorte di più di 6,5 milioni di pazienti ammessi in ospedali di 7 diversi stati degli USA. L’incidenza riscontrata era di circa 3 casi per mille abitanti (751000 casi per anno nella popolazione americana), oltrepassando l’incidenza dell’AIDS e dei principali tipi di tumore5.

L’incidenza della sepsi è in aumento poiché riflette l’invecchiamento della popolazione6,7 , ma non solo, il suo incremento è attribuito anche alla crescente prevalenza dell’infezione da HIV, al diffuso impiego di farmaci immunosoppressori e all’incremento della longevità dei pazienti affetti da malattie croniche. Un ruolo importante è rivestito anche dall’utilizzo di cateteri a permanenza, dispositivi tecnici e dalla ventilazione meccanica.

Possiamo aggiungere che la sua incidenza è maggiore in inverno, probabilmente per l’aumento delle infezioni delle vie respiratorie8.

Mortalità

Sempre secondo lo studio di Angus la sepsi provoca soltanto negli USA 215000 morti /anno. Le stime europee riportano dati simili: 150000 morti/anno9.

Alcune stime indicano che la sepsi è la principale causa di mortalità e di malattia critica in tutto il mondo. La sua mortalità varia dal 10% nei bambini fino a circa un 38% negli adulti al di sopra dei 85 anni. Per i pazienti con comorbidità associate la mortalità è ancora più alta5.

In conclusione la sepsi è molto comune, richiede una quantità considerevole di risorse ed è associata ad un alto tasso di mortalità; provoca un numero di morti equivalenti a quelle dell’infarto del miocardio.

Per quanto riguarda i dati italiani, un recente studio osservazionale, regionale, multicentrico ha preso in considerazione 3.902 pazienti ammessi nelle 24 terapie intensive della regione Piemonte tra aprile e settembre 2006. La prevalenza di sepsi durante la degenza era dell’11,4% (446 pazienti), corrispondente a un’incidenza di 25 casi/100.000 abitanti all’anno10.

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Prognosi

I pazienti con sepsi sono classicamente considerati come pazienti ad alto rischio di complicanze e di decesso; infatti, negli USA, la sepsi è la decima causa di morte.11

Applicando le definizioni della Consensus Conference 200312 le stime approssimative dei tassi di mortalità sono le seguenti:

- Sepsi: 10-20% - Sepsi grave: 20-50% - Shock settico: 40-80%11.

2.3 Eziologia

Il contributo dei vari microrganismi alla genesi della sepsi si è modificato nel tempo. Ce lo dimostra uno studio svoltosi dal 1979 agli anni 2000 nel quale sono stati presi in considerazione circa 10 milioni di casi di sepsi. In particolare, dal 1987 i Gram-positivi sono i microrganismi predominanti, senza tralasciare il ruolo fondamentale dei Gram-negativi.

Più recentemente, lo studio EPIC II (European Prevalence of Infection in Intensive Care) ha evidenziato la prevalenza dei Gram-negativi (62,2%) sui Gram-positivi (46,8%).13

Il microrganismo predominante è Staphylococcus aureus (20.5%), seguito da Pseudomonas spp. (19.9%), Enterobacteriaceae (principalmente E. coli, 16.0%), e infine troviamo i funghi (19%). Acinetobacter spp. è coinvolto nel 9% di tutte le infezioni, con un’importante variazione nella percentuale a seconda delle regioni geografiche (3.7% in Nord America vs. 19.2% in Asia. I risultati dello studio EPIC II sono riassunti nella tabella successiva.

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Figura 4 Principali microrganismi evidenziati nelle colture positive di pazienti con sepsi15

Un’importante metanalisi di 510 studi ha evidenziato che i batteri Gram-negativi sono associati con una maggiore mortalità rispetto ai Gram-positivi.14

Le infezioni più comuni sono dovute a stafilococchi coagulasi negativi, E. coli, ma questi sono associati con una mortalità relativamente bassa (20% and 19%, rispettivamente) se si confronta con Candida spp. (43%) e Acinetobacter spp.(40%). La polmonite dovuta a gram-positivi dovuta a S. aureus ha la mortalità più alta (41%), più elevata anche del più comune batterio Gram-positivo (Streptococcus pneumoniae, 13%), ma il bacillo gram-negativo Pseudomonas aeruginosa ha la più alta mortalità in assoluto (77%). In ogni caso in un terzo dei pazienti con sepsi le emocolture sono risultate negative.

Richiedono un maggior approfondimento i microrganismi implicati nelle infezioni complicate a livello addominale e per farlo è necessario classificare le diverse forme di peritonite:

- Primaria: infezione peritoneale senza alterazione della barriera anatomica; più comune in pazienti con cirrosi, neonati o compromissione severa del sistema immunitario;

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11 - Secondaria: infezione peritoneale con perforazione della parete intestinale e

fuoriuscita dei batteri in cavità peritoneale;

- Terziaria: infezione persistente o ricorrente in seguito ad adeguato trattamento di peritonite primaria o secondaria; più comune in pazienti con comorbidità severe o compromissione del sistema immunitario17.

La peritonite primaria è generalmente causata da un unico microrganismo, più frequentemente da un cocco Gram-positivo o da Enterobatteriacee. Le peritoniti secondarie e terziarie sono invece sostenute da un mix di positivi e Gram-negativi aerobi e anaerobi così come funghi, soprattutto in pazienti immunodepressi. 15

Figura 5 Microrganismi coinvolti nella peritonite secondaria (SP) e terziaria(TP)16

Come si evince dalla tabella precedente, una discreta percentuale di infezioni è causata da Candida spp. Infatti l’aumento della complessità degli interventi chirurgici, così come i cambiamenti nelle caratteristiche demografiche dei pazienti ha comportato parallelamente un aumento dell’incidenza delle candidemie e in particolare delle forme invasive17. Per “Candida invasiva” si intende sia infezione da Candida spp. nei siti profondi (deep-seated Candida infection), sia la candidemia18.

La candidemia invasiva colpisce più di 250000 persone ogni anno ed è causa di più di 50000 morti. L’incidenza risulta essere 2-14/10000019. La mortalità è variabile dal 40 al 75%20. Mentre Candida albicans è stata per lungo periodo la specie più frequentemente coinvolta nella candidemia, , recentemente c’è stato uno shift verso le candide non albicans, soprattutto in pazienti ematologici, trapiantati e in pazienti di terapia intensiva21. In particolare Candida albicans è stata identificata soltanto nella metà dei pazienti, Candida glabrata risulta avere

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12 una diffusione importante in nord Europa, Stati Uniti e Canada, mentre Candida parapsilosis è più rappresentata in Sud America, Asia e nel sud dell’Europa22. Le specie di candida differiscono tra loro per patogenicità, in particolare Candida parapsilosis e Candida krusei hanno un potere patogeno minore rispetto a Candida albicans, Candida glabrata e Candida tropicalis23.

L’incidenza della candidemia è correlata all’età con un picco riguardante le età estreme. Il principale fattore di rischio è rappresentato dalla condizione di base del paziente, valutabile tramite lo score APACHE II, questo correla con la probabilità che si presentino ulteriori fattori di rischio come la somministrazione di antibiotici a largo spettro, la nutrizione parenterale totale, la presenza di dispositivi vascolari (cateteri venosi centrali, cateteri per emodialisi), chirurgia maggiore (in particolare la chirurgia addominale) 2418.

Figura 6 Fattori di rischio per Candida Invasiva, studio ITALIC

Un fattore interessante da considerare è che la maggior parte dei pazienti non sviluppa candida invasiva nonostante presenti i fattori di rischio sopracitati, questo ha fatto pensare che sia presente una suscettibilità genetica che rende alcuni pazienti più propensi di altri a sviluppare la forma invasiva. Uno studio rivela infatti una maggiore suscettibilità nei pazienti europei e nord americani che

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13 presentavano un polimorfismo a singolo nucleotide (SNPs) nella via del Tool-like Receptor-1 / INF -γ. Allo stesso modo, la progressione di malattia e la persistenza della candidemia nonostante la terapia sono stati associati a polimorfismi di citochine che comportano un aumento delle citochine anti-infiammatorie come Interleuchina-10 (IL-10) o un decremento delle pro-infiammatorie come Interleuchina-12 (IL-12)25.

Inoltre alla fine del XX secolo sono state evidenziate diverse specie di gram-positivi resistenti in particolare gli MRSA e i VRE (Vancomycin-Resistant Enterococci). Negli ultimi anni invece c’è stato un aumento della resistenza anche dei batteri gram-negativi. Le Enterobatteriacee E. coli e K. pneumoniae hanno sviluppato resistenza alle cefalosporine ad ampio spettro quali cefotaxime, ceftazidime e ceftriaxone.26 Questa resistenza è spesso dovuta alla rottura da parte delle β-lattamasi ad ampio spettro (ESBL), ma può essere anche mediata da plasmidi o per iperproduzione di AmpC. Negli ESBL producers si osserva frequentemente anche resistenza a fluorochinoloni, cotrimazolo e trimethoprim. Per questi motivi i carbapenemici imipenem, meropenem, ertapenem sono considerati la terapia di scelta per questi batteri, anche se una certa resistenza a questi antibiotici da parte di E. coli e K. pneumoniae è stata evidenziata in alcune aree geografiche.27

Per quel che riguarda P. aeruginosa Multidrug Resistance (MDR) è in grado di resistere alla terapia con penicilline (piperacillina), cefalosporine (ceftazidime), fluorochinoloni (ciprofloxacina) , carbapenemici (imipenem, meropenem, doripenem) e aminoglicosidi (gentamicina, tobramicina, amikacina)28 . La resistenza è dovuta a diversi meccanismi quali la produzione di β-lattamasi, mutazioni di topoisomerasi, diminuzione della permeabilità.

Acinetobacter spp. è frequentemente resistente ai fluorochinoloni, agli aminoglicosidi e a tutti i β-lattamici con eccezione dei carbapenemici che infatti sono considerati la terapia di scelta per questo tipo di microrganismo. Tuttavia, una resistenza ai carbapenemici sta aumentando in diverse parti del mondo, dovuta alla produzione di carbapenemasi. In ogni caso per il momento il

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14 microrganismo rimane sensibile alle polimixine (colistina, polimixina B) , sulbactam e tigeciclina. 29

I fattori di rischio per lo sviluppo di resistenza sono evidenziati nella tabella sottostante.16

Figura 7 Fattori di rischio per MDR16

2.4 Fisiopatologia

Per molto tempo la teoria prevalente sosteneva che la sepsi derivasse da una risposta infiammatoria incontrollata2,30,31 che portava allo sviluppo della cosiddetta “tempesta citochinica”. Thomas era a sostegno di questa nozione, tant’è che scrisse: “La nostra risposta alla presenza dei microrganismi crea la patologia. Il nostro arsenale per combattere i batteri è così potente… che siamo più in pericolo a causa di questo che degli invasori”32.

Per appurare queste affermazioni furono condotti numerosi trials su agenti che dovrebbero bloccare la cascata infiammatoria: corticosteroidi33, anticorpi anti-endotossina34, antagonisti del TNF35 e dell’IL-136, ma il fallimento di tutti questi presidi portò i ricercatori a chiedersi se effettivamente la sepsi fosse mediata da un’eccessiva risposta infiammatoria37,38. Numerosi studi successivamente dimostrarono che in realtà l’esagerata risposta infiammatoria non era così eccessiva come si pensava essere39: è stato osservato che bloccare l’azione del TNF-alfa peggiorava la sopravvivenza40, che un’immunoterapia contro TNF-alfa ed il recettore dell’IL-1 era fatale in un modello neutropenico con sepsi41. Altri studi più recenti mostrano invece che un sottogruppo di pazienti con sepsi hanno beneficiato dell’utilizzo della terapia contro TNF –alfa 37. Quindi tutto questo e un avanzamento nella comprensione della via di trasmissione del segnale come

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15 risposta all’invasione microbica, ha dimostrato che il concetto di bloccare la risposta citochinica non è così semplicistico42.

Un’altra prova di questo è data dal fatto che le cellule della risposta innata riconoscono i microrganismi e iniziano una risposta grazie a dei recettori TLR. Topi con delezione del gene codificante per TLR-4 sono resistenti all’endotossina e nonostante questo hanno mortalità aumentata in caso di sepsi. Inoltre, nonostante l’effetto deleterio dell’endotossina, bloccarla può essere dannoso. Una terapia con anticorpi monoclonali anti-endotossina non migliora l’outcome dei pazienti con sepsi. Tutto questo ci fa comprendere come questi meccanismi siano estremamente complicati.

D’altro canto i pazienti con sepsi sono pazienti immunodepressi, con alterazioni dell’ipersensibilità ritardata, che hanno impossibilità a combattere le infezioni e con predisposizione alle infezioni nosocomiali.

Una delle ragioni per cui si ha il fallimento della strategia anti-infiammatoria nei pazienti con sepsi potrebbe essere il cambiamento della sindrome con il tempo. Inizialmente la sepsi potrebbe essere caratterizzata da un aumento dei mediatori dell’infiammazione, ma successivamente , se la sepsi persiste, si ha una svolta verso uno stato di immunosoppressione.

Infatti, diverse evidenze ora stabiliscono che la morte per shock settico è probabilmente dovuta all’effetto di meccanismi distinti nel corso del tempo. Nel momento iniziale della malattia si ha un massiccio rilascio di mediatori pro-infiammatori atti ad innescare la risposta immunitaria contro gli agenti patogeni, ma che si rendono responsabili di disfunzione d'organo e ipoperfusione. Contemporaneamente, il corpo sviluppa meccanismi compensatori per prevenire l’imponente infiammazione. Questo meccanismo di feedback negativo, pur avendo un effetto protettivo durante le ore iniziali, paradossalmente può diventare deleterio se persiste nel tempo, portando ad immunodepressione. Poiché la nostra capacità di trattare pazienti durante le prime ore dello shock è migliorata (terapia di supporto iniziale precoce ed aggressiva), molti pazienti sopravvivono a questo passaggio critico iniziale, ma alla fine muoiono successivamente a causa di uno stato di immunosoppressione che comporta l’impossibilità dei pazienti di combattere l'infezione batterica primaria, nonché le infezioni nosocomiali

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16 secondarie e le riattivazioni di infezioni virali normalmente patogene solo in un ospite immunocompromesso42,43.

Figura 8 Evoluzione della risposta immunitaria nel tempo43

In conseguenza di questo, le terapie immunostimolatorie sono considerate un’innovazione per il trattamento della sepsi, ma il punto critico sta nell’individuare quei pazienti che effettivamente beneficerebbero di questa terapia. Infatti in assenza di specifici segni clinici che indichino lo stato della risposta immunitaria del paziente, è cruciale una stratificazione in base allo stato immunitario (un passo mancante in molti studi clinici) per determinare i migliori presidi terapeutici da utilizzare. Grazie a questa stratificazione sarebbe possibile agire nella maniera corretta (stimolando l’immunità innata e/o adattativa, bloccando l'apoptosi, correggendo altre funzioni alterate), nel momento corretto (anticipare o ritardare il trattamento) nel paziente corretto ( terapia individualizzata / su misura).

In questo contesto, la citometria a flusso (FCM) potrebbe essere utile in ogni fase della gestione del paziente di terapia intensiva: dalla diagnosi di infezione alla definizione di una terapia individualizzata, e infine, nonché aspetto più importante, per il controllo dell’efficacia delle terapie.

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2.4.1 Alterato utilizzo dell’ossigeno

La quantità di ossigeno disponibile per i tessuti è determinata da fattori centrali e periferici. I fattori centrali riguardano un corretto funzionamento cardiaco e polmonare, nonché un’adeguata concentrazione di emoglobina. I fattori periferici sono correlati con la distribuzione della gittata cardiaca ai vari organi e con la regolazione del microcircolo. 44

Figura 9 DO2 e fattori correlati45

I fattori periferici possono essere profondamente alterati in condizioni come la sepsi, dove il controllo locale del tono vasale può essere alterato, la formazione di microtrombi può escludere alcuni capillari e lo sviluppo di edema può contribuire all’alterazione della distribuzione del flusso sanguigno. Anche il cambiamento dell’affinità dell’ossigeno per l’emoglobina può cambiare.44

Vediamo cosa accade più nello specifico: il Consumo di Ossigeno (VO2) da parte dei tessuti è rappresentato dalla seguente formula:

VO2 = GC x (CaO2 – CvO2)

Dove GC rappresenta la gittata cardiaca, CaO2 la concentrazione arteriosa di ossigeno e CvO2 quella venosa. La Disponibilità di Ossigeno (DO2) è definita come la quantità dell’ossigeno totale rilasciata ai tessuti in millilitri/minuto; viene ricavata attraverso la seguente formula:

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18 A sua volta la CaO2 dipende dall’emoglobina (Hb), dalla saturazione arteriosa di ossigeno (SaO2) e dall’ossigeno disciolto nel sangue che dipende direttamente dalla pressione parziale dell’ossigeno (PaO2); il contributo di quest’ultimo è trascurabile poiché il coefficiente di solubilità dell’ossigeno è molto basso (0.0031 ml/mm Hg/dl).

Quando l’apporto di ossigeno ai tessuti diminuisce, rimanendo costante il metabolismo, i tessuti inizialmente rispondono aumentando l’estrazione di ossigeno. In questo modo VO2 resta costante finché l’estrazione non raggiunge un valore massimo. Se la DO2 diminuisce al di sotto di un livello critico (DO2crit) anche VO2 diminuisce, quindi VO2 diviene dipendente da DO2. Quando DO2 è inferiore a DO2crit il consumo di ossigeno è regolato dalla disponibilità e non dai fabbisogni metabolici, questa rappresenta una condizione di ipossia tissutale. Inoltre, in condizioni di metabolismo anaerobio il piruvato è convertito a lattato nel citoplasma e rilasciato in circolo. Normalmente il lattato è escreto per via renale e ricaptato a livello epatico dove viene di nuovo convertito in piruvato, ma in condizioni di deprivazione di ossigeno la produzione di lattato satura questi meccanismi e la concentrazione sierica di lattato aumenta45.

Figura 10 Relazione DO2 – VO2 - LATTATI45

E’ importante sottolineare che alcuni studi su animali hanno dimostrato elevati livelli di ossigeno a livello tissutale durante sepsi indotta sperimentalmente, così

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19 come nel muscolo scheletrico umano, questo suggerisce che sia presente anche un’incapacità di utilizzare l’ossigeno da parte dei mitocondri, la cosiddetta ipossia citopatica.

2.4.2 Alterazione dell’endotelio

L’endotelio è uno strato cellulare dinamico, coinvolto in molte funzioni fisiologiche, comprese l’emostasi e l’infiammazione.

In condizioni normali, l’endotelio contribuisce al mantenimento dell’omeostasi dal punto di vista coagulativo. In corso di infezione, l’endotelio viene danneggiato da citochine pro-infiammatorie che inducono l’apoptosi e facilitano l’attivazione della cascata coagulativa. E’ stato ipotizzato che l’endotelio sia il primo sito che si deteriora durante la sepsi: la coagulopatia scatenata dai mediatori pro-infiammatori sepsi correlati è caratterizzata da ipercoagulabilità, alterazione dei naturali fattori anticoagulanti e ipofibrinolisi. L’ipercoagulabilità esita nella formazione di microtrombi che comportano occlusione vascolare e danno da ischemia-riperfusione che ha come esito finale l’apoptosi. La formazione di microtrombi sembra essere di cruciale importanza per l’alterazione del microcircolo e lo sviluppo di insufficienza multiorgano. La formazione di trombi avviene per attivazione della via estrinseca della coagulazione. Il fattore tissutale (TF), non è espresso in condizioni normali , ma stimolato dall’endotossina, dalle piastrine attivate e dalle citochine, media la generazione di trombina e la conseguente formazione del coagulo di fibrina. In aggiunta, la disfunzione dei naturali sistemi anticoagulanti come l’antitrombina e la proteina C contribuiscono alla formazione dei trombi. Con l’avanzare della sepsi inoltre i globuli rossi perdono la loro normale capacità di deformarsi nel microcircolo.

La formazione dei trombi e l’incapacità dei globuli rossi di deformarsi comporta un’alterazione del flusso sanguigno a livello capillare che diviene intermittente o cessa del tutto con conseguente deficit nell’estrazione di ossigeno da parte dei tessuti. In un secondo tempo nella sepsi abbiamo un incontrollato consumo di piastrine e fattori della coagulazione che risulta in un’ipocoagulabilità.

L’endotelio è coinvolto anche in un’altra funzione: il rilascio di Ossido Nitrico (NO), una sostanza vasoattiva. In condizioni normali è sintetizzato dalla Ossido Nitrico Sintetasi (eNOS) e partecipa alla regolazione del flusso sanguigno.

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20 Durante la sepsi invece, mediatori dell’infiammazione come il Lipopolisaccaride, le Interleuchine e macrofagi, attivano la Ossido Nitrico sintetasi inducibile (iNOS). Questo esita in una massiva vasodilatazione che porta ad ipotensione. La produzione eccessiva di NO è associata con un outcome clinico peggiore. Inoltre la riduzione del tono vascolare e l’aumento della permeabilità comportano la ridistribuzione dei fluidi dal compartimento intravascolare a quello interstiziale con conseguente peggioramento dell’ipotensione. 46

2.4.3 Il ruolo della risposta immunitaria innata

L’interazione tra i microrganismi e l’ospite inizia con il riconoscimento di molecole non variabili espresse dai patogeni che sono cruciali per la loro virulenza e /o sopravvivenza, le cosiddette PAMP (Pathogen-Associated Molecular Patterns), queste vengono riconosciute da parte degli SRR (Standard Recogniction Receptors) espressi dalle cellule della risposta immunitaria innata47, in particolare da monociti, macrofagi, cellule dendritiche e neutrofili48.

La molecola PAMP più studiata è il Lipopolisaccaride (LPS) che si ritrova sulla parete cellulare dei batteri Gram negativi. La via di trasduzione del segnale di LPS prevede una serie di interazioni con diverse proteine, tra cui Lipopolisaccaride-Binding Protein (LPB), CD14, MD-2 e TLR-4 (Toll-like Receptor-4)49,50. LBP lega direttamente LPS e facilita la sua interazione con CD-1451,52. CD-14 facilita il trasferimento di LPS al complesso recettoriale costituito da TLR-4 e MD-2 e modula il riconoscimento di LPS53. MD-2 è una proteina solubile che si lega in modo non covalente con TLR-4, ma che può legare direttamente LPS in assenza di TLR-454. Sono presenti anche proteine adattatrici contenenti il dominio TIR ( Toll-Interleukin-1 Receptor) : MyD88,TIRAP,TRIF,TRAM e SARM55. TLR-4 è l’unico TLR conosciuto che necessita di tutte queste proteine adattatrici.

TLR-4 sembra essere coinvolto anche nel riconoscimento di alcune proteine virali e dell’acido lipoteicoico presente sulla superficie dei Gram-positivi56.

Sono coinvolte anche altre molecole della famiglia dei TLR, tra cui TLR-3 (correlato al riconoscimento dell’RNA), TLR-5 (capace di riconoscere la flagellina) e TLR-9 (responsabile dell’identificazione delle sequenze CpG non metilate del DNA batterico)47.

Risulterà chiaro come polimorfismi in questi recettori avranno importanti implicazioni sulla progressione verso la sepsi severa e lo shock settico57.

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21 Immediatamente dopo l’interazione tra la molecola PAMP e il TLR si innescano differenti vie di trasduzione del segnale tra cui NOD (Nucleotide-binding Oligomerization Domain), vie MyD88-dipendenti e MyD88-indipendenti.

Entrambe queste vie terminano con il rilascio di NF-kB che determina la produzione e la secrezione di diverse citochine pro-infiammatorie come Interleuchine (IL-1, IL-2, IL-6, IL-8 e IL-12), TNF-alfa e TNF-b che sono considerate cruciali per lo sviluppo della sepsi. Allo stesso tempo vengono prodotte anche interleuchine anti-infiammatorie come IL-4,IL-5, IL-10, IL-11 e IL-13.

Figura 11 Il ruolo dell'endotossina nello shock settico58

La produzione di queste interleuchine sviluppa uno stato di anergia e rallenta la risposta dell’ospite all’agente eziologico. Questo tipo di immunodepressione trova diversi appellativi: immunoparalisi, finestra di immunodeficienza, Sindrome da Risposta Compensatoria Anti-infiammatoria (CARS).

Quando SIRS e CARS sono presenti nello stesso paziente si parla di MARS e si pensa che sia proprio questa la chiave per definire l’outcome del paziente.

2.5 Clinica

Le manifestazioni cliniche della sepsi possono essere molteplici poiché variano in base all’impegno d’organo.

Frequentemente si hanno: alterazione della temperatura corporea (febbre o ipotermia), tachipnea o iperventilazione, tachicardia, ipotensione, e alterazioni dello stato mentale59.

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22 Il quadro clinico è differente da paziente a paziente e nello stesso paziente si modifica nell’arco del tempo. A seconda dell’organo inizialmente maggiormente colpito la sepsi può esordire con un quadro di insufficienza respiratoria, insufficienza renale acuta, insufficienza cardiaca, alterazioni dello stato mentale.

Figura 12 Segni e sintomi di sepsi3

2.5.1 Complicanze d’organo

Complicanze Cardio-polmonari

Tachicardia e tachipnea sono segni comuni, ma aspecifici. La tachipnea è solitamente accompagnata da iperventilazione con conseguente alcalosi respiratoria60. Possiamo ritrovare un’alterazione del rapporto ventilazione-perfusione, alterazioni della permeabilità vascolare che possono progredire fino all’ARDS che si riscontra dal 5 al 40% dei pazienti con sepsi.

La vasodilatazione periferica e l’iniziale circolo iperdinamico comportano inizialmente una cute ben perfusa, quindi calda; questo stadio era infatti definito

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shock caldo. Con il deteriorarsi delle condizioni del paziente si ha vasocostrizione

e si ha il passaggio al cosiddetto shock freddo61.

I segni respiratori di sepsi includono iperventilazione, ARDS e disfunzione dei muscoli respiratori. Le manifestazioni cardiache variano dalla tachicardia con gittata cardiaca aumentata alla disfunzione miocardica.

Per comprendere meglio le manifestazioni cardio-polmonari della sepsi è utile esaminarle in sequenza temporale. Le fasi sono rappresentate dal pre-shock, dallo shock precoce e dallo shock tardivo.

Pre-shock

L’iperventilazione può essere un segno precoce ed importante di sepsi e può essere conseguenza di diversi meccanismi fisiopatologici: può essere provocata dall’effetto diretto dell’endotossina, dall’attivazione delle citochine pro-infiammatorie, da una scarica simpatica o ancora dall’aumento della gittata cardiaca. Un’alcalosi respiratoria marcata (CO2 < 30mmHg) è comune.

Con l’evolversi della sepsi si ha un’alterazione della permeabilità capillare con conseguente edema polmonare. La conseguente riduzione della compliance polmonare comporta la stimolazione dei recettori con conseguente aumento della frequenza respiratoria ancor prima che la PO2 si sia abbassata. Nella sepsi e nello shock l’abbassamento della PO2 è probabilmente dovuto ad un’alterazione del rapporto ventilazione/perfusione che comporta un aumento del gradiente di ossigeno alveolo-capillare. La severità dell’ipossiemia può essere mascherata inizialmente dall’iperventilazione. Un’ipossiemia refrattaria alla terapia con ossigeno è indicativa di uno shunt destro-sinistro ancor prima che l’edema polmonare possa essere apprezzato radiograficamente. Tale aumento degli shunt rappresenta un fattore prognostico negativo per lo sviluppo di una ARDS più severa.

Nello stato di pre-shock un marcato aumento della gittata cardiaca compensa la riduzione delle resistenze vascolari periferiche; questa fase di circolo iperdinamico da luogo ad una cute calda e ben perfusa.

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24 Early shock

Un drammatico decremento delle resistenze vascolari periferiche è indice di un iniziale shock settico. Questo declino precede la caduta della pressione arteriosa ed è provocato da fattori quali l’endotossina o altri mediatori prodotti dai microrganismi. Anche i leucotrieni e i fattori attivanti le piastrine sembrano essere implicati in questo processo. L’entità della caduta delle resistenze vascolari nello shock settico generalmente non influenza negativamente la prognosi, a dimostrazione di questo abbiamo uno studio che dimostra che i non survivors sono proprio coloro che tendono ad avere più alte resistenze periferiche, dimostrando così che una vasocostrizione nella sepsi è controproducente.

Late shock

Negli stati più avanzati della sepsi l’output cardiaco rimane normale o diminuisce, il meccanismo per cui succeda questo rimane sfuggente, ma certamente è implicata una disfunzione potenzialmente reversibile del miocardio. In particolare è presente un’alterata risposta di contrazione cardiaca al volume telediastolico ventricolare che non segue esattamente la legge di Starling e questa anomalia diventa più pronunciata man mano che la sepsi progredisce. Le alterazioni della compliance e della performance ventricolare così come i cambiamenti nella capacità venosa rendono imprecisa la misurazione della pressione capillare polmonare di incuneamento. Sebbene la PVC e la pressione capillare polmonare di incuneamento tendano a salire in corso di sepsi, rimane difficile separare l’effetto della terapia coni fluidi dalla progressiva disfunzione ventricolare; in ogni caso molti ricercatori raccomandano che questa venga mantenuta tra i 12 e i 14 mmHg.

L’accumulo di lattati inizia relativamente precocemente nello shock settico e occasionalmente precede l’ipotensione. Questo è dovuto in parte alla produzione tissutale e in parte all’inadeguata eliminazione epatica e renale.

Nella fase avanzata dello shock settico, la riduzione della gittata aggrava l’acidosi poiché si ha un’ipoperfusione generalizzata simile a quella che possiamo osservare nello shock cardiogeno. In questo stadio l’evoluzione del paziente è generalmente irreversibile, l’ipotensione refrattaria e l’acidosi portano alla morte.

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ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome)

La sepsi rappresenta la condizione più comune che può dar luogo a questa catastrofica complicanza, ma non l’unica. L’ARDS o “shock polmonare” può comparire nel giro di minuti o ore in corso di sepsi. Il quadro è caratterizzato da neutrofili attivati, edema interstiziale, perdita di surfactante, e formazione di un essudato fibrinoso alveolare.62 Più tardivamente, si evidenzia un infiltrato di cellule mononucleate, proliferazione di pneumociti di tipo II e fibrosi interstiziale. Fino a non molto tempo fa, per la diagnosi di ARDS, si faceva riferimento alla definizione fornita nel 1994 dalla American-European Consensus Conference (AECC), che era fondata sulla presenza contemporanea di quattro caratteristiche:

1) Insorgenza acuta;

2) Ipossiemia: un rapporto PaO2/FiO2 < 300 mmHg definiva il cosiddetto danno polmonare acuto (Acute Lung Injury, ALI); se tale rapporto era <200 mmHg si parlava di ARDS;

3) Infiltrati bilaterali alla proiezione antero-posteriore della radiografia del torace;

4) Pressione di incuneamento capillare polmonare < 18 mmHg, quando misurata, o nessuna altra evidenza di ipertensione atriale sinistra.;

Dal 2012 la definizione è leggermente cambiata, ed è stata sostituita dalla definizione di Berlino. Con essa, è scomparsa la diagnosi di ALI, che ha lasciato il posto a una differenziazione per gravità della ARDS; inoltre sono stati precisati i criteri già presenti nella precedente definizione. In sintesi, oggi parliamo di ARDS se sono soddisfatti tutti questi criteri:

1) Timing: insorgenza entro una settimana da un danno clinico noto o dalla comparsa di nuovi sintomi respiratori o dal peggioramento di questi ultimi; 2) Aspetto radiologico: opacità bilaterali alla radiografia o alla TC del torace. Queste opacità non devono essere completamente attribuibili a versamenti pleurici, collabimento lobare o polmonare o noduli;

3) Causa dell’edema: l’insufficienza respiratoria non deve essere completamente spiegata da insufficienza cardiaca o sovraccarico di fluidi. In assenza di fattori di rischio deve esserci una valutazione oggettiva (ad esempio l’ecocardiografia);

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26 4) Ossigenazione: il rapporto PaO2/FiO2 deve essere valutato con pressione positiva di fine espirazione (PEEP) maggiore o uguale a 5 cmH2O. in presenza di un rapporto PaO2/FiO2 tra 200 e 300 mmHg si definisce una ARDS lieve, se è tra 100 e 200 mmHg si parla di ARDS moderata, e se è inferiore a 100 mmHg di ARDS grave.

Come si evince da quest’ultimo criterio diagnostico, la validità dei criteri di ipossiemia della definizione della AECC è stata messa in discussione: questo perché il rapporto PaO2/FiO2, anche nel singolo paziente, varia in relazione ai parametri ventilatori, alla PEEP e alla FiO2 . Ad esempio, dato che la PEEP migliora l’ossigenazione, i criteri dell’ARDS possono, allo stesso grado di malattia, essere o meno soddisfatti, a seconda dalla PEEP. Inoltre, recenti evidenze suggeriscono che pazienti con lo stesso rapporto PaO2/FiO2 hanno un maggiore mortalità se sia richiesta una quota maggiore di FiO2 e che la relazione tra il rapporto PaO2/FiO2 e la FiO2 non è lineare, ma dipende da multipli fattori inclusa la gittata cardiaca, la frazione di shunt intrapolmonare (ovvero la frazione della gittata cardiaca che rappresenta lo shunt intrapolmonare) e la differenza artero-venosa nel contenuto di ossigeno. Per far fronte a queste considerazioni derivanti da studi clinici, la definizione di Berlino richiede un livello minimo di 5 cmH2O di PEEP che può, nella forma più lieve di ARDS, derivare dalla ventilazione non invasiva (Continuous Positive Airway Pressure, CPAP).

La definizione di Berlino ha un migliore valore predittivo positivo per la mortalità rispetto alla classificazione fornita dalla AECC e chiarifica sia il modello concettuale dell’ARDS sia i criteri per la definizione di questa sindrome e della sua severità. Questo dovrebbe facilitare il riconoscimento dei casi e il trattamento tramite strategie basate sulla severità della patologia.

Accanto al danno indotto dalla risposta infiammatoria, non deve essere sottovalutato il danno iatrogeno indotto da ventilatore, che, insieme alla tossicità da ossigeno e ai grossi volumi di fluidi utilizzati per la rianimazione circolatoria, amplificano il grado di disfunzione polmonare e modificano senza dubbio la sua patologia. Ad ogni modo, il tasso di mortalità da ARDS si è ridotto, probabilmente a causa di una migliore gestione della ventilazione meccanica, dell’uso di liquidi, e dei progressi nelle terapie di supporto.63 L’epitelio sembra essere colpito più severamente rispetto all’endotelio, con molte aree di membrana basale alveolare esposte. La causa di questo danno resta poco chiara, ma

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27 sembrano essere coinvolte la necrosi e l’apoptosi cellulare64, con un importante ruolo dello stress indotto dal reclutamento e dereclutamento alveolare.65

Un’altra recente area d’interesse nella patogenesi del danno polmonare riguarda il ruolo dei ROS (Reactive Oxygen Species). A parte l’effetto diretto citotossico, i ROS hanno un importante effetto sulla risposta infiammatoria mediata dall’alterazione del bilancio ossidante/antiossidante, del segnale redox, e delle reazioni catalitiche ferro-mediate.66

Il quadro clinico è caratterizzato da ipossiemia refrattaria e da polmoni edematosi con compliance ridotta. L’ipossiemia è dovuta alla perfusione degli alveoli non ventilati e non è infrequente trovare shunt destri-sinistri, in una quota che può variare dal 30 al 50 %.

In modelli animali l’infusione della sola endotossina può produrre una perdita acuta dei capillari polmonari. I granulociti sembrano avere un ruolo critico nella comparsa dell’ARDS, ma la maggior parte del danno microvascolare sembra essere sostenuto dai ROS e dalle proteasi rilasciate dai granulociti sequestrati nei polmoni. Altri fattori patogenetici coinvolti includono l’attivazione del complemento con generazione del frammento C5a, il rilascio di prostaglandine e una coagulopatia da consumo con produzione dei prodotti di degradazione del fibrinogeno.

Perché l’ARDS accompagni alcuni episodi di sepsi e non altre patologie non è noto con certezza. L’età, il sesso e l’immunodepressione non sono fattori predisponenti allo sviluppo di ARDS, ma lo sono la presenza di shock e la trombocitopenia. L’infezione da Gram-negativi da ARDS più frequentemente rispetto all’infezione da Gram-positivi.

L’insufficienza dei muscoli respiratori può portare ad una progressiva ipercapnia, apnea e morte. Se un paziente con ARDS non viene intubato in presenza di ipossiemia, è comune vedere un progressivo affaticamento respiratorio e un’acidosi che richiedono la ventilazione meccanica. Hussain e colleghi hanno dimostrato proprio questo: in cani in cui è stata infusa endotossina la morte incorre per insufficienza dei muscoli respiratori.

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Complicanze renali

In condizioni cliniche come la sepsi, sarebbe lecito pensare che l’AKI sia attribuibile all’ischemia o alle modificazioni emodinamiche che si hanno durante il processo. In realtà delle evidenze crescenti hanno suggerito che in molti pazienti, l’AKI può insorgere anche in assenza di segni di ipoperfusione renale; infatti nell’AKI indotta da sepsi si ha un flusso renale normale o addirittura aumentato. Il danno renale non può essere quindi spiegato solamente sulla base dell’ipoperfusione, ma altri meccanismi vi entrano in gioco. Gomez e colleghi hanno stipulato la cosiddetta “unifying theory” : si concettualizza l’AKI indotta da sepsi come una manifestazione precoce della risposta adattativa delle cellule tubulari al cosiddetto segnale di danno, ossia quello mediato dalle molecole PAMP che interagendo con i TLR a livello delle cellule renali inducono il rilascio di mediatori dell’infiammazione. Successivamente l’interazione tra l’infiammazione e la disfunzione del microcircolo comporta un’amplificazione del segnale e in risposta a questo i mitocondri delle cellule tubulari renali innescano una soppressione metabolica e mettono in atto solo le funzioni che permettono la sopravvivenza della cellula, come il mantenimento del potenziale di membrana e l’arresto del ciclo cellulare, il tutto ovviamente a spese della funzione renale ( assorbimento tubulare e secrezione dei soluti).

Per questo motivo, funzionalmente abbiamo una drammatico declino della GFR e una disfunzione tubulare variabile.67

Complicanze Neurologiche

Alterazioni del sistema nervoso sono comuni, soprattutto tra i pazienti anziani68. Le manifestazioni più comuni sono: confusione, disorientamento, letargia, agitazione, obnubilamento fino ad arrivare al coma.

La patogenesi di queste alterazioni rimane controversa poiché possono essere conseguenti a ipossia, ipotensione o alterazioni elettrolitiche, ma possono manifestarsi anche in assenza di tutti questi elementi. Dati sperimentali suggeriscono un ruolo nell’alterazione del metabolismo degli aminoacidi che provoca uno status analogo a quello dell’encefalopatia porto-sistemica69 o un decremento del flusso cerebrale che comporta un’alterazione della barriera emato-encefalica 70.

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Manifestazioni ematologiche

Come già accennato nella fisiopatologia, l’attivazione della cascata coagulativa attraverso l’espressione del Fattore Tissutale, evento mediato da microorganismi, proteine e citochine pro-infiammatorie, e l’inibizione degli anticoagulanti endogeni (AT-III, proteina C, proteina S e TFPI) hanno un ruolo decisivo nello sviluppo della sepsi severa e dello shock settico. Questo scenario può includere la Coagulazione Intravascolare Disseminata (CID). Tutti questi fattori sono fattori prognostici negativi. La conseguente ostruzione del flusso sanguigno agli organi e ai tessuti contribuisce alla scarsa perfusione tissutale (dovuta anche alla concomitante ipotensione) e all’insufficienza d’organo. Inoltre, il consumo di fibrina e piastrine può comportare sanguinamento importante con complicazioni ulteriori. 71 A tutto questo si aggiunge la capacità di produrre grandi quantità di Ossido Nitrico (NO) grazie all’attivazione della NOS inducibile (iNOS). L’Ossido Nitrico ad elevate concentrazioni è il principale mediatore dell’ipotensione e dell’ipoperfusione72.

La sepsi generalmente produce una leucocitosi neutrofila associata al cosiddetto “left shift” . Per left shift si intende la tendenza dei granulociti neutrofili circolanti a manifestare l'aspetto immaturo tipico dei neutrofili a banda, nei quali la segmentazione e la lobulatura del nucleo non è ancora stata completamente raggiunta. Il loro aumento in circolo esprime un'aumentata granulocitopoiesi midollare73 . Abbiamo quindi una precoce alterazione della conta dei globuli bianchi e in particolare della formula dovuta proprio al un rilascio di granulociti immaturi provocato probabilmente da un fattore di rilascio che può essere stimolato dall’endotossina mediante l’attivazione del complemento, in particolare del frammento C3a74. I fattori causativi della neutropenia in corso di sepsi non sono ben definiti, probabilmente sono implicati elementi quali il sequestro splenico e l’alterata immunità. Una potente batteriemia può provocare un’importante neutropenia in particolare nei neonati, negli anziani, negli alcolisti e in coloro che hanno riserve midollari alterate. Una neutropenia importante può inficiare sull’outcome del paziente. Si riconoscono anche alterazioni morfologiche in corso di sepsi, in particolare ritroviamo granulazioni tossiche, corpi di Dohle e vacuolizzazione. Mentre le prime due alterazioni sono aspecifiche, la

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30 vacuolizzazione sembra essere una marker sensibile e specifico per una batteriemia75 . In corso di sepsi abbiamo anche alterazioni funzionali dei neutrofili, in particolare alterazioni nell’attività citotossica e fagocitica. I mediatori di queste alterazioni sembrano essere cachessina, TNF e INF-gamma. Un’altra alterazione che possiamo riscontrare è l’eosinopenia, dovuta ad una migrazione degli eosinofili al di fuori del letto vascolare, all’inibizione del loro rilascio da parte del midollo e all’eventuale diminuzione della loro produzione midollare.

Da anni è risaputo che i pazienti settici hanno bassi livelli di ferro sierico, recentemente questo è stato attribuito all’endotossina, ai pirogeni e ad altri stimoli che comportano un flusso di ferro all’interno del fegato e in altre parti del sistema reticolo-endoteliale. I livelli di ferro sierico possono decrescere anche del 50% in poche ore. La ridistribuzione del ferro durante l’infezione può essere dovuta ad un meccanismo di difesa dell’ospite.

Un’altra grave condizione di cui le gravi infezioni sono la causa è la Coagulazione Intravascolare Disseminata (CID), una sindrome caratterizzata dalla generazione di trombina e deposizione di fibrina intravasale, dal consumo di piastrine e fattori della coagulazione e fibrinolisi secondaria. Studi di laboratorio rivelano trombocitopenia, allungamento del Tempo di Protrombina e spesso diminuiti livelli di fibrinogeno, Fattore V e Fattore VIII. Le complicanze cliniche possono essere sia trombotiche che emorragiche, più raramente si può riscontrare trombosi microangiopatica con potenziamento dello shock. La batteriemia da batteri Gram-negativi da DIC più precocemente rispetto a quella da Gram-positivi. L’endotossina può attivare la coagulazione mediante l’attivazione del Fattore XII e quindi della via intrinseca, attraverso lesioni endoteliali che comportano l’adesione piastrinica o più frequentemente agendo sulla via estrinseca. Recenti studi hanno focalizzato l’attenzione su fattori attivanti la via estrinseca rilasciati da monociti e macrofagi. Anche la cachessina gioca un ruolo importante portando all’esposizione del Fattore Tissutale e quindi all’attivazione della via estrinseca e sopprimendo la via di azione della Proteina C.

La trombocitopenia isolata è più frequente della DIC, la sua incidenza nei pazienti settici varia dal 35 al 45%. Una conta piastrinica al di sotto di 150 x 109/L è un

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31 fenomeno frequente in tutti i momenti del decorso della sepsi; questa condizione è associata ad un aumento della durata della ospedalizzazione e ad una riduzione dei tassi di sopravvivenza. Questo perché le piastrine non sono solo un elemento cardine nella coagulazione, ma mediano anche il processo infiammatorio: interagiscono con i leucociti e con la secrezione di peptidi antimicrobici, quindi un decremento del numero di piastrine potrebbe protrarre la durata del processo infettivo. La patogenesi di questa condizione è correlata con il consumo di piastrine, con il sequestro a livello splenico e del microcircolo, con la distruzione periferica e con la diminuita produzione . Inoltre molti farmaci che vengono somministrati in terapia intensiva possono indurre trombocitopenia per soppressione del midollo osseo e/o per una distruzione immuno-mediata.46

Alterazioni Gastroenteriche

Una disfunzione epatica in presenza di infezione in altra sede è stata descritta per la prima volta in pazienti con una polmonite lobare da S. pneumoniae. Questa manifestazione della sepsi è stata riconosciuta anche in infezioni con sede primaria in altri siti, inclusi il tratto urinario e localizzazioni intra-addominali. La presentazione clinica è rappresentata da un ittero colestatico. I livelli di bilirubina sierica si aggirano attorno ai 10mg/dl; l’80% di questa è coniugata. La fosfatasi alcalina può essere elevata, specialmente in pazienti anziani.

La patogenesi dell’iperbilirubinemia è multifattoriale, ma vede coinvolti due meccanismi principali: la distruzione dei globuli rossi e la disfunzione epatocellulare. In caso di polmonite la biopsia epatica mostra danno epatocellulare con edema epatocitario e aree di necrosi focale. In altre infezioni batteriche la biopsia ha dimostrato colestasi extra-epatica, lieve iperplasia delle cellule del Kupffer, ma non ha evidenziato necrosi. Poiché l’invasione diretta dell’organo è rara in corso di batteriemia, la causa della disfunzione canalicolare o epatocellulare deve essere identificata nell’endotossina o nei meccanismi indotti dagli immuno-complessi76.

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Manifestazioni cutanee

Le manifestazioni cutanee in corso di sepsi possono essere suddivise in 3 categorie:

- coinvolgimento diretto della cute e dei tessuti molli da parte dell’infezione nella quale la morfologia delle lesioni è determinata sia dal microrganismo infettante che dalla risposta immunitaria dell’ospite

- lesioni che si presentano in conseguenza di sepsi, ipotensione e/o DIC, senza peraltro un’invasione dei tessuti cutanei

- lesioni viste nel corso di endocardite infettiva come risultato dell’ostruzione delle arteriole terminali a causa di microemboli o immuno-complessi.

Questa classificazione può facilitare la comprensione delle lesioni osservate, ma rimane qualcosa di artificiale poiché tutti i meccanismi precedentemente descritti possono concorrere alla formazione delle lesioni.

Cellulite, erisipela e fascite sono di frequente riscontro in una sepsi da Gram-negativi. Per una ragione sconosciuta, le estremità inferiori vengono coinvolte più frequentemente.

La sepsi e la CID possono essere responsabili di acrocianosi con necrosi dei tessuti periferici (punta delle dita, orecchie e naso), la cosiddetta gangrena periferica simmetrica. Sebbene anche questa sindrome sia più frequente nelle infezioni da Gram-negativi, possiamo ritrovarla anche in quelle da Gram-positivi e nei casi in cui non venga identificata alcuna infezione. La patogenesi di queste lesioni rimane oscura, ma sembra essere conseguenza della compromissione del flusso sanguigno dovuta all’ipotensione.

Alterazioni metaboliche

L’ipoglicemia è un parametro riscontrato nei casi di sepsi, ma relativamente non frequente. Le manifestazioni cliniche possono essere: confusione mentale, iporesponsività, stato soporoso. I livelli di glicemia possono raggiungere anche i 10-20mg/dl.

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33 La patogenesi dell’ipoglicemia non è ancora ben conosciuta: certamente abbiamo una deplezione delle riserve epatiche di glicogeno e un’inibizione della gluconeogenesi, ma talvolta i cambiamenti sono così repentini che devono far sospettare altre cause meno evidenti. Una di queste può essere il passaggio alla produzione di ATP mediante il meccanismo anaerobio che può comportare un’aumentata richiesta di glucosio oppure possiamo avere inibizione della gluconeogenesi da parte dei lipopolisaccaridi. Il percorso comune per molti di questi meccanismi proposti sembra essere un’alterazione della normale funzione metabolica del fegato. Per questo motivo non sorprende né che la maggior parte dei pazienti settici con ipoglicemia abbiano malattie epatiche, né che una parte sostanziale dei pazienti cirrotici con sepsi abbiano ipoglicemia, dal momento che il fegato è anche la sede della disintossicazione dei lipopolisaccaridi .

In corso di sepsi possiamo riscontrare anche iperglicemia che può essere uno dei primi segni di infezione in un paziente diabetico. Il rilascio di diversi ormoni (come glucocorticoidi ed epinefrina) durante lo stress indotto dalla sepsi può portare ad elevati livelli di glucosio nel sangue. La resistenza periferica all'insulina e / o l'utilizzazione alterata del glucosio sono stati suggeriti come possibili meccanismi patogenetici.

Valutazione della funzionalità d’organo

Per valutare il grado di interessamento d’organo e avere una stratificazione del rischio si utilizzano degli score che si basano sulla variazione dei parametri fisiologici in fase acuta, ad ogni parametro viene assegnato un punteggio in base alla severità del quadro e successivamente i dati vengono integrati.

Un esempio di questo tipo di score è l’Acute Physiology and Chronic Health Evaluation (APACHE) sistem che ha guidato lo sviluppo di altri score.

Il più utilizzato rimane però il Sequential Organ Failure Assessment Score (SOFA) che eseguito giornalmente rappresenta un importante sistema per il monitoraggio dei pazienti critici con sepsi. Un SOFA score elevato è predittivo di una prognosi peggiore, così come un peggioramento dello stesso nelle prime 48h è predittivo per una mortalità del 50% o più alta. 77

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2.6 Diagnosi

La diagnosi di sepsi è suggerita da reperti aspecifici, clinici e di laboratorio (Figura 16) e successivamente confermata dall’isolamento dell’agente causativo che rappresenta il gold standard.

Figura 13 Criteri diagnostici, clinici e laboratoristici3

Un vasto numero di elementi biologici sono stati studiati come biomarkers e/o mediatori di sepsi: proteina C reattiva (PCR), procalcitonina (PCT), IL-6 , IL-8 e IL-10 sono considerati utili per la diagnosi di sepsi, nonché per la valutazione della sua gravità, ma presentano ancora dei limiti. Molti studi hanno confrontato la PCT con la PCR , citochine e lattati e tutti gli studi (ad eccezione di uno78) hanno dimostrato che la PCT è il marker più sensibile e specifico rispetto agli altri per la diagnosi di sepsi e per il monitoraggio del suo decorso. 79,80

L’impeto dietro queste ricerche è fondato poiché il tasso di mortalità nei pazienti con shock settico aumenta del 7% ogni ora nelle prime 6 ore di ritardo nella somministrazione degli antibiotici. La Survive Sepsis Campaign raccomanda che siano fatte emocolture e indagini strumentali come screening per determinare la fonte di infezione, ma i risultati delle emocolture possono richiedere anche diversi

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35 giorni e gli studi di imaging non hanno un reale ruolo nel determinare la fonte di infezione.81 Questo ha portato alla necessità di trovare dei markers per distinguere la sepsi dalla SIRS. IL-6, IL-8, IL-10 e PCR non sono specifici, la PCT al contrario è mediamente elevata nella SIRS e diventa significativamente elevata nella sepsi e drammaticamente elevata nella sepsi da Gram-negativi. 82,83

2.6.1 La procalcitonina

La procalcitonina (PCT), è il peptide precursore della calcitonina ed è costituita da 116 aminoacidi. E’ normalmente sintetizzata dalle cellule C della tiroide e in seguito a clivaggio da luogo alla calcitonina, ormone fondamentale nell’omeostasi del calcio79. Poiché la trasformazione in calcitonina si verifica prima della secrezione, la procalcitonina non è dosabile nei soggetti normali (<0,1 ng/mL), tuttavia l’infiammazione sistemica può innescare l'espressione extra-tiroidea del gene della procalcitonina. In questo contesto il suddetto ormone viene rilasciato nel torrente ematico. Vari tipi di cellule in tutto il corpo sono in grado di secernere procalcitonina in risposta a segnali pro-infiammatori quali l’endotossina, l’Interleuchina-1 (IL-1) e Interleuchina-6 (IL-6), o Tumor Necrosis Factor-alfa (TNFα). L'Interferone-gamma (IFN-γ), rilasciato in corso di infezioni virali, inibisce fortemente questa via . La procalcitonina compare nel sangue diverse ore dopo l’insulto infiammatorio, raggiunge il suo massimo dopo circa 12 ore e persiste successivamente per diversi giorni84. È importante sottolineare che la cinetica della procalcitonina non viene influenzata dall’insufficienza renale o dalla terapia renale sostitutiva80. Elevati livelli di procalcitonina sono presenti in diverse condizioni quali, traumi, ustioni estese, chirurgia maggiore, pancreatite acuta, etc. Inoltre la procalcitonina è altamente sensibile per infezioni batteriche: si manifesta con livelli significativamente più alti nei pazienti infetti che oltretutto correlano con la severità dell’infezione.

Contrariamente alle citochine, che possono aumentare e diminuire in seguito a diversi stimoli, il rilascio della procalcitonina è più controllato e per questo la ritroviamo nella circolazione sistemica soltanto in seguito alla risposta ad uno stress importante o nella sepsi .85

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36 I livelli iniziali di procalcitonina sono più elevati in un paziente con sepsi rispetto ad un paziente con batteriemia o infezione respiratoria e inoltre non si eleva affatto in pazienti con una infezione localizzata.

Il livello medio di procalcitonina nei pazienti con sepsi ha un range da 1,58 a 29,3 ng/ml, mentre nei pazienti con SIRS i valori sono più bassi: da 0,38 a 0,74 ng/ml.82,86

La procalcitonina sembra anche correlare con la mortalità: studi recenti hanno dimostrato che in pazienti con polmonite in cui i livelli di procalcitonina superavano i 2,5 ng/ml e in pazienti con sepsi post-trauma con livelli di procalcitonina superiori a 5 ng/ml vi era un significativo aumento della mortalità.87 Inoltre, una persistente elevazione dei livelli di procalcitonina, o comunque il non decremento in seguito alla terapia antibiotica, correla con una mortalità più elevata.88

Come già detto, un aumento della procalcitonina correla sia con la risposta sistemica all’infezione batterica sia con la sua severità. In ogni caso la sua accuratezza nel distinguere pazienti con o senza infezione in UTI rimane bassa, sia per la bassa specificità che per il lasso di tempo che trascorre dall’instaurarsi dell’infezione all’aumento della sua concentrazione nel sangue.

Per questi motivi non può essere utilizzato come marker per iniziare una terapia antibiotica, ma d’altro canto si deve considerare che la sua cinetica varia durante la terapia: in particolare decresce progressivamente, quindi può essere utilizzata per monitorare l’evoluzione dell’infezione e per gestire la durata del trattamento: gli antibiotici possono essere sospesi quando la PCT è bassa e rimane tale nel tempo poiché questo indica che un’infezione batterica è improbabile. Più precisamente quando la PCT scende al di sotto di 0,5 ng/ml o al di sotto dell’80% rispetto al suo valore massimo, la terapia antibiotica può essere sospesa con sicurezza.

2.6.2 Tecniche emergenti

Più recentemente, molti ricercatori hanno studiato un vasto range di molecole come le High Mobility Group Protein (HMGB-1) e il Triggering Receptor Expressed on Myeloid cells (TREM-1).

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