• Non ci sono risultati.

Design di un sistema di estrusione per la biofabbricazione di strutture a gradiente continuo.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Design di un sistema di estrusione per la biofabbricazione di strutture a gradiente continuo."

Copied!
145
0
0

Testo completo

(1)

i i “output” — 2017/10/7 — 19:36 — page 1 — #1 i i i i UNIVERSIT `A DI PISA

DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA DELL’INFORMAZIONE SCUOLA DI INGEGNERIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

INGEGNERIA BIOMEDICA

Design di un sistema di estrusione per la

biofabbricazione di strutture a gradiente continuo

Relatori

Candidato

Prof. Giovanni Vozzi

Consuelo Pizzimenti

Prof. Carmelo De Maria

13 Ottobre 2017

Anno Accademico 2016/17

(2)

Indice

Premessa 1

1 Introduzione 4

1.1 Ingegneria tessutale e medicina rigenerativa . . . 4

1.2 Matrici biomimetiche: tridimensionalit`a e microscala . . . 8

1.3 Bioprinting . . . 11

1.3.1 Tecnolgie di bioprinting . . . 15

1.3.2 Inkjet based bioprinting . . . 15

1.3.3 Laser-based bioprinting . . . 19

1.3.4 Extrusion-based bioprinting . . . 20

1.3.5 Multi-extrusion: approccio multimateriale . . . 23

1.3.6 Hybrid technologies . . . 27

1.4 Gli idrogel . . . 29

1.4.1 Idrogel foto polimerizzabili . . . 32

(3)

INDICE

1.6 Scopo della tesi . . . 39

2 Strumenti e software 41 2.1 Stampante 3D . . . 41 2.1.1 Configurazione meccanica . . . 42 2.1.2 Elettronica di controllo . . . 44 2.1.3 Il firmware . . . 46 2.2 Software di lavoro . . . 49 2.2.1 Solidworks . . . 49 2.2.2 Cura 3D . . . 50 2.2.3 Pronterface . . . 51

2.2.4 Modela Player e Virtual Modela . . . 52

2.2.5 Comsol Multiphysics . . . 52

3 Progettazione e realizzazione di un sistema a doppio estru-sore 54 3.1 Calibrazione della stampante . . . 54

3.2 Progettazione e realizzazione di una camicia in metallo . . . . 57

3.2.1 Progettazione CAD 3D . . . 58 3.2.2 Analisi termica . . . 58 3.2.3 Prototipazione . . . 62 3.2.4 PID tuning . . . 63 3.3 Sistema di estrusione . . . 67 ii

(4)

INDICE

3.3.1 Progettazione CAD 3D e realizzazione delle parti . . . 68

3.4 Progettazione CAD 3D e realizzazione del blocco riscaldante in metallo . . . 72

3.4.1 Assemblaggio del sistema . . . 78

3.5 Aggiornamento del firmware . . . 82

4 Materiali e Prove di validazione 85 4.1 Materiali . . . 85

4.1.1 La gelatina . . . 86

4.1.2 La gelatina metacrilata . . . 86

4.1.3 I nanotubi di carbonio . . . 88

4.1.4 Il carbon black . . . 90

4.1.5 Preparazione della soluzione a base di gelatina meta-crilata . . . 91

4.1.6 Preparazione della soluzione a base di gelatina . . . 92

4.2 Prove di stampa di idrogel . . . 93

4.2.1 Prove di stampa con il singolo estrusore . . . 93

4.2.2 Prove di stampa con il doppio estrusore . . . 95

4.2.3 Gradiente di concentrazione . . . 97

4.2.4 Gradiente di concentrazione elettrico . . . 101

5 Risultati e discussioni 103 5.1 Gradiente di concentrazione . . . 103

(5)

INDICE

5.2 Gradiente di concentrazione elettrico . . . 107 5.2.1 Modelli circuitali . . . 113

Conclusioni e sviluppi futuri 120

Appendice I

A Tavole da disegno I

(6)

Elenco delle figure

1.1 Principi base dell’ingegneria tessutale . . . 5

1.2 dalla macro alla nanoscala . . . 11

1.3 dal CAD al bioprinting. Esempio di costrutto in vitro ed in vivo 12 1.4 Bioprinting in situ . . . 14

1.5 Tecnologia inkjet di tipo termico e piezoelettrico . . . 17

1.6 Approccio di tipo LIFT . . . 19

1.7 Nozzle coassiale . . . 24

1.8 Esempio di sistema multi-extrusion . . . 26

1.9 Rappresentazione di un sistem ibrido . . . 29

1.10 Cross-linking di idrogel . . . 31

2.1 3DRAG presente nel Centro di Ricerca “E.Piaggio” . . . 43

2.2 Ramps 1.4 . . . 45

2.3 Schema circuitale completo . . . 46

(7)

ELENCO DELLE FIGURE

2.5 Pronterface: interfaccia grafica . . . 51

3.1 CAD 3D della camicia in alluminio . . . 59

3.2 Simulazione termica con Comsol Multiphysics . . . 62

3.3 Profilo termico lungo l’ago . . . 63

3.4 Camicia in alluminio . . . 64

3.5 Esempio di controllo PWM . . . 65

3.6 Modello CAD 3D . . . 70

3.7 Modello CAD 3D . . . 71

3.8 CAD 3D della parte posteriore dell’elemento riscaldante . . . . 73

3.9 CAD 3D del blocco riscaldante . . . 74

3.10 CAD 3D del Sistema completo . . . 75

3.11 Simulazione Comsol . . . 76

3.12 Blocco riscaldante in alluminio . . . 78

3.13 Componente per collegare il blocco in alluminio al profilato . . 80

3.14 Sistema a doppio estrusore . . . 81

3.15 Mixing extruder . . . 82

3.16 Set mix factor . . . 83

3.17 Save mix . . . 84

4.1 Vetrino multiscsso . . . 94

4.2 Parametri di stampa su Cura . . . 98

(8)

ELENCO DELLE FIGURE

4.3 Impedenzimentro Agilent E4980A collegato tramite elettrodi ad un campione . . . 102

5.1 Plot dell’andamento dell’intensit`a di colore RGB dei pixel com-ponenti la pista . . . 104 5.2 Chiocciola stampata . . . 104 5.3 Esempio di chiocciola stampata in 3D . . . 105 5.4 Chicciola ottenuta modificando i parametri di stampa . . . . 106 5.5 Fiori stampati con gel . . . 107 5.6 struttura a gradiente 3D . . . 107 5.7 Impedenza al variare della frequenza dei campioni allo stato

di gel . . . 108 5.8 Istogramma dell’impedenza al variare della frequenza dei

cam-pioni allo stato di gel . . . 109 5.9 Impedenza al variare della frequenza dei campioni allo stato

secco . . . 110 5.10 Istogramma dell’impedenza al variare della frequenza dei

cam-pioni allo stato secco . . . 110 5.11 Impedenza al variare della frequenza dei campioni allo stato

reidratato . . . 111 5.12 Istogramma dell’impedenza al variare della frequenza dei

(9)

ELENCO DELLE FIGURE

5.13 Istogramma dell’impedenza al variare della frequenza su

un’u-nica striscia . . . 112

5.14 CB 0.3% . . . 114

5.15 CB 0.5% . . . 114

5.16 CB 0.7% . . . 115

5.17 CB 1% . . . 115

5.18 Gradiente su un’unica striscia . . . 116

5.19 Modello circuitale equivalente . . . 117

5.20 Parametri circuitali ricavati dal modello . . . 118

5.21 Plot dei parametri circuitali in frequenza . . . 118

(10)

Premessa

Le tecniche convenzionali per la fabbricazione di scaffold utilizzate nel campo dell’ingegneria tessutale spesso creano geometrie incontrollate; il bio-printing crea, nello specifico, modelli cellulari in uno spazio limitato, utiliz-zando le tecnologie di stampa 3D, in cui la funzionalit`a e la vitalit`a cellulare sono conservate all’interno del costrutto stampato. Una sfida nel campo del bioprinting `e riuscire a sviluppare delle metodologie che permettano di rea-lizzare costrutti che emulino la ECM, in modo tale da favorire un ambiente idoneo alla proliferazione, migrazione e differenziamento delle cellule. Tra gli obiettivi prefissati vi `e quello di riuscire a generare un ambiente che simula la complessit`a cellulare e del tessuto in vivo incorporando gradienti di se-gnali fisici, chimici, biologici ed elettrici nei biomateriali progettati che sono di fondamentale importanza,per consentire la migrazione cellulare, l’adesio-ne e l’espressiol’adesio-ne fenotipica. Per la rigel’adesio-neraziol’adesio-ne di tessuti, come il cuore o sistema nervoso, gli idrogel a base di gelatina con l’aggiunta di materiale conduttivo, sono quelli che hanno mostrato dei vantaggi in termini di

(11)

con-Premessa

ducibilit`a. Questi, inoltre, favoriscono il controllo della crescita delle cellule e delle espressioni proteiche. Il bioprinting basato sull’estrusione (EBB) pu`o essere considerato come la pi`u promettente tra le tecnologie del bioprinting poich´e permette la fabbricazione di costrutti, stampando idrogel, di dimensio-ni clidimensio-nicamente rilevanti entro un periodo di tempo realistico. Tuttavia, l’uso di un singolo estrusore ne limita la sua applicabilit`a, non riuscendo a ricrea-re delle strutturicrea-re complesse. L’obiettivo di questo lavoro di tesi `e quello di riuscire a ricreare strutture con un gradiente di concentrazione continuo, stu-diato dal punto di vista cromatico ed elettrico, a partire dalla progettazione e dalla realizzazione di un sistema di estrusione, con due estrusori, controllato in temperatura. La progettazione del sistema ha previsto una semplicit`a di design e la geometria `e stata scelta nell’ottica di semplificare la sua realizza-zione ed il suo utilizzo. Il sistema `e stato dimensionato in modo opportuno, in modo da favorire il corretto posizionamento della siringa ed il suo riscal-damento fino all’ago. Grazie all’utilizzo di un software CAD3D, SolidWorks, `

e stato possibile progettare la struttura valutandone i vincoli, e grazie ad un tool di modellazione che sfrutta l’analisi degli elementi finiti (FEM), Comsol Multiphysics, `e stato possibile effettuare delle simulazioni termiche in modo da valutare la temperatura, necessari per le prove di stampa. Il sistema di estrusione ha permesso di ricreare delle strutture caratterizzate dalla pre-senza di un gradiente continuo, utilizzando gli idrogel a base di gelatina e materiali conduttivi, come i nanotubi di carbonio ed il carbon black. La tesi

(12)

Premessa

`

e strutturata nel seguente modo: nel Capitolo 1 `e mostrata una panoramica delle tecnologie di bioprinting esistenti e dei bioink che vengono utilizzati. Il Capitolo 2 sintetizza gli strumenti ed i software che sono stati utilizzati per progettare il sistema di estrusione; il Capitolo 3 descrive gli step che hanno portato alla sua realizzazione. Sono inoltre descritte, nel Capitolo 4, le prove di stampa effettuate ed i materiali utilizzati e nel Capitolo 5 sono mostrati i risultati ottenuti.Sono infine descritte le conclusioni e li sviluppi futuri.

(13)

Capitolo 1

Introduzione

1.1

Ingegneria tessutale e medicina

rigenera-tiva

L’ingegneria tessutale `e stata definita un campo multidisciplinare in cui si uniscono conoscenze di ingegneria a quelle delle varie scienze, per creare so-stituti biologici in grado di migliorare, riparare, o sostituire tessuti e/o organi danneggiati [1]. Inizialmente le tecniche chirurgiche venivano utilizzate per rimuovere i tessuti danneggiati; successivamente si `e passati allo sviluppo di nuove tecniche che hanno permesso di ripristinare le funzionalit`a dei tessuti e degli organi. Nonostante il miglioramento delle procedure, il trapianto di tessuti e di organi soffre di molte limitazioni che ne riducono l’applicabilit`a. Il numero dei donatori, nonostante sia in costante aumento, non basta a far

(14)

1.1 Ingegneria tessutale e medicina rigenerativa

fronte alle richieste. Inoltre, il paziente, sar`a costretto a sottoporsi a terapie immunosoppressive a vita, per evitare l’eventuale rigetto dell’organo. L’in-gegneria tessutale si riferisce ad una pratica che combina l’uso di scaffold, cellule e molecole biologicamente attive (Figura 1.1) L’ingegneria tessutale prevede due diversi approcci: uno sostituivo ed uno istioconduttivo (o istioin-duttivo). Il primo ha lo scopo di costruire tessuti o organi ex vivo, analoghi a quelli utilizzati nei trapianti; il secondo, invece, si propone l’obiettivo di ottimizzare la struttura e i materiali, di origine naturale o sintetica, e di indurre la proliferazione cellulare in vivo, con l’ausilio di fattori di crescita altamente specifici e citochine [2].

Figura 1.1: Principi base dell’ingegneria tessutale

(15)

medici-1.1 Ingegneria tessutale e medicina rigenerativa

na rigenerativa; essa include l’ingegneria dei tessuti ma comprende anche la ricerca sull’auto-guarigione, dove il corpo utilizza i propri sistemi e/o mate-riale di natura biologica, in modo da poter favorire la ricrescita del tessuto o dell’organo [3]. Lo sviluppo di questa nuova “fabbrica di tessuti” apre le porte a nuove possibilit`a di cura, ad un miglioramento della qualit`a di vita dei pazienti, e soprattutto alla prospettiva di superare il problema relativo alla carenza di organi da trapiantare, ovviando, allo stesso tempo, ai rischi di rigetto [3]. Molte strategie usate nell’ingegneria tessutale dipendono dal-l’impiego di uno scaffold la cui traduzione letterale `e “impalcatura”. Uno scaffold `e una struttura che guida lo sviluppo di un tessuto seguito da even-tuale degradazione e formazione di matrice extracellulare (ECM) da parte delle cellule seminate. Esso ha un ruolo fondamentale anche se transitorio; deve fornire un supporto fisico in modo da favorire l’adesione delle cellule, la loro migrazione, crescita e differenziamento, ma al termine del processo deve essere completamente assorbito lasciando un tessuto neoformato. Durante la progettazione di uno scaffold bisogna tener conto di vari requisiti: esso deve possedere appropriate propriet`a meccaniche, a seconda del tipo di tessuto da ingegnerizzare, un’opportuna porosit`a, con un alto tasso di interconnet-tivit`a tra i pori, e permeabilit`a, in modo da favorire il trasporto di sostanze nutrienti e di altri composti, e che stimoli le cellule [4]. Uno dei fattori pi`u importanti nella loro progettazione `e la scelta del biomateriale impiegato per produrli. Materiali differenti verranno utilizzati a seconda del tipo di

(16)

1.1 Ingegneria tessutale e medicina rigenerativa

to da ricreare e delle sue specifiche applicazioni. I materiali devono inoltre essere biocompatibili e biodegradabili, in modo da essere riassorbiti simulta-neamente alla crescita delle cellule, per essere sostituiti da nuovi tessuti in un tempo ragionevole, evitando cos`ı il rilascio di prodotti tossici per l’orga-nismo. Le cellule necessarie per la semina e la colonizzazione dello scaffold, idealmente potrebbero essere fornite dal paziente; si tratta di cellule diffe-renziate, la cui proliferazione pu`o essere indotta in vitro. Ci`o permetterebbe di evitare una reazione immunitaria di rigetto del nuovo tessuto ingegneriz-zato; il problema relativo a queste cellule `e che possono andare incontro a dedifferenziazione [5]. Recenti studi nel campo della medicina rigenerativa e dell’ingegneria tessutale sono sempre pi`u indirizzati verso le cellule stamina-li, cellule non specializzate che possono dar luogo, attraverso un processo di differenziamento cellulare, a diversi fenotipi. Prima che esse vengano trasla-te dai laboratori di ricerca alla pratica clinica `e necessario indagarne alcuni aspetti critici come: la sicurezza a lungo termine, l’efficacia, la tollerabilit`a ed il potenziale cancerogeno. L’ingegneria dei tessuti ha quindi una dupli-ce sfida: individuare un supporto adatto contenente delle dupli-cellule in grado di sapersi orientare, in modo da formare strutture stratificate, e cercare di individuare e riprodurre le condizioni che consentano alle cellule di crescere, moltiplicarsi e differenziarsi nei vari tipi di tessuti [6].

(17)

1.2 Matrici biomimetiche: tridimensionalit`a e microscala

1.2

Matrici biomimetiche: tridimensionalit`

a

e microscala

Gli scaffold sono progettati per fornire supporto meccanico alle cellule che possono quindi eseguire funzioni appropriate; la semplice aggiunta di cellule ad uno scaffold poroso `e spesso inadeguata per la riproduzione della funzione del tessuto. Un approccio per aumentare la funzionalit`a di questi costrutti tessutali si basa sui tentativi di imitare la microarchitettura dei tessuti e del microambiente intorno alle cellule all’interno del corpo. `E necessario quindi, analizzare l’anatomia dei tessuti biologici, in modo da riuscire a progettare uno scaffold, ossia una matrice biomimetica che riproduca in vitro la ECM dalla macro alla microscala. In vivo, i tessuti sono costituiti da piccole unit`a che si ripetono sulla scala delle centinaia di micron (ad esempio, il nefrone del rene) [4]. Queste unit`a sono definite mediante le interazioni cellula-cellula e cellula-ECM e tali architetture si ripetono nello spazio; ci`o determina le propriet`a meccaniche del tessuto ed il destino della cellula in termini di pro-liferazione, differenziamento e apoptosi. Si parte dunque da un’adeguata struttura in micro scala per riuscire ad ottenere un tessuto macroscopico e funzionale [7]. In vivo, le cellule si integrano e interagiscono con un microam-biente fatto di segnali biochimici, biomeccanici e bioelettrici derivanti dalle cellule circostanti, da ECM e da fattori solubili. Le interazioni tra cellule e cellule, che si verificano principalmente attraverso il contatto diretto o lo

(18)

1.2 Matrici biomimetiche: tridimensionalit`a e microscala

scambio di fattori solubili, svolgono un ruolo importante nella regolazione del destino e della funzione dei singoli tipi di cellule in molti sistemi dell’organo. Oltre al loro ruolo nell’omeostasi in vivo, le comunicazioni intercellulari sono anche significative per i processi rigenerativi e per la ricostruzione in vitro di tessuti. Nella coltura in vitro, gran parte delle interazioni delle cellule naturali presenti in vivo sono perse a causa dell’isolamento tessutale, della digestione e della purificazione di popolazioni cellulari specifiche. Recente-mente, le tecnologie emergenti all’interfaccia dell’ingegneria e della scienza dei materiali hanno portato ad una serie di nuovi metodi per controllare i diversi aspetti del microambiente cellulare. L’organizzazione gerarchica dei tessuti ha portato alla progettazione di matrici su scala micrometrica, dando sempre di pi`u importanza al concetto di tridimensionalit`a [8]. Inizialmente le colture erano fatte in 2 dimensioni in quanto le cellule proliferavano su una superficie piana; le colture bidimensionali fanno in modo che solo una porzio-ne di membrana cellulare entri in contatto con la ECM e con le altre cellule, e la restante superficie con il terreno di coltura [9]. Ci`o induce a meccanismi di meccano-trasduzione che alterano i processi intracellulari ed il fenotipo della cellula stessa, poich´e le cellule in vivo sono circondante da una rete tri-dimensionale ed `e difficile da replicare con sistemi di coltura bidimensionali. Si `e passati quindi, alla coltivazione delle cellule in microambienti 3D che do-vrebbero favorire una riproduzione in vitro della meccano-trasduzione, della morfogenesi dei tessuti, della proliferazione e vitalit`a cellulare [10].

(19)

Quan-1.2 Matrici biomimetiche: tridimensionalit`a e microscala

do si ingegnerizza un tessuto complesso appare evidente l’importanza della vascolarizzazione. Nei tessuti biologici, i vasi trasportano ossigeno ed elimi-nano i rifiuti metabolici e mantengono una corretta temperatura corporea. Affinch´e i tessuti vengano ampiamente perfusi, evitando di andare incontro a necrosi, `e necessario mantenere una distanza di diffusione fra le cellule ed il lume del capillare al di sotto di 100 µm [8]. Esistono vari approcci per ottenere un tessuto neovascolarizzato e ingegnerizzato, tra cui: l’inserimento di fattori angiogenetici nei costrutti cellulari, che consentono la creazione di germogli vascolari del microcircolo ospitante, formando alla fine una nuova rete [11]. Questo metodo prevede l’inclusione di cellule endoteliali all’interno di matrici, che devono sia rispettare la microstruttura delle reti in vivo che lo scaffold. Il gruppo di Du ha indagato la possibilit`a di sviluppare dei tessuti ingegnerizzati a partire da idrogel in microscala, contenenti cellule muscolari ed endoteliali, organizzati in una struttura 3D. Questa tecnica permette di sviluppare delle strutture 3D complesse a partire da una singola unit`a fun-zionale [12]. Si stanno sviluppando due approcci per la produzione di tessuti: “top-down” e“bottom-up”. In un approccio topdown, un’impalcatura (sinte-tica o naturale) o un organo decellularizzato viene seminato con delle cellule e poi maturato in un bioreattore, dispositivo in grado di fornire un ambiente adeguato agli organismi biologici. I metodi top-down hanno visto notevoli risultati, soprattutto nella generazione di tessuti avascolari come la pelle, la cartilagine i vasi sanguigni di grandi diametri o la vescica. Il paradigma

(20)

1.3 Bioprinting

l’approccio bottom-up si basa sull’assemblaggio di blocchi di costruzione che imitano le unit`a funzionali natali in costrutti di tessuti pi`u grandi [13]. Una rappresentazione multi-scala dei tessuti in vitro `e mostrata in figura.

Figura 1.2: dalla macro alla nanoscala

1.3

Bioprinting

Quando si pensa alla stampa 3D, solitamente ci si riferisce all’uso di stampanti capaci di creare, tramite l’uso di materiale inorganico, oggetti di svariato uso. La prima “stampante 3D” nasce con la stereolitografia nel 1986; e pu`o essere definita come un sistema basato sulla fotopolimerizzazione. Con l’utilizzo di un laser viene tracciata la sezione di un pezzo; il laser cede ener-gia e la resina liquida presente in una vasca, solidifica. Si ottiene cos`ı il primo strato solido a cui viene aggiunto un ulteriore strato di materiale liquido. Il

(21)

1.3 Bioprinting

procedimento si ripete layer by layer fino a che tutti gli strati vengono po-limerizzati. Circa 15 anni fa, negli Stati Uniti, `e stato depositato il primo brevetto sulla tecnologia del bioprinting grazie a Boland, che stamp`o delle cellule con una stampante di tipo inkjet per la prima volta. Il bioprinting insieme al bioassembly definiscono la biofabbricazione nel campo dell’inge-gneria tessutale e della medicina rigenerativa. Il bioprinting `e una tecnologia che permette di creare modelli 3D in vitro e produrre sostituti di tessuti e or-gani oltre che testare i farmaci (Figura 1.3). Le tecniche convenzionali 2D per

Figura 1.3: dal CAD al bioprinting. Esempio di costrutto in vitro ed in vivo

la fabbricazione di scaffold spesso creano geometrie incontrollate e imprecise; il bioprinting crea, nello specifico, modelli cellulari in uno spazio limitato, utilizzando le tecnologie di stampa 3D, in cui la funzionalit`a e la vitalit`a cellulare sono conservate all’interno del costrutto stampato [14]. Questa bio-tecnologia pu`o essere definita quindi, come un modellamento nello spazio di

(22)

1.3 Bioprinting

materiale vivente e non vivente tramite il loro assemblaggio, ottenuto con un approccio strato per strato, in cui ogni livello viene creato ed impilato con il precedente, fino al completamento della struttura 3D. La tecnologia del bio-printing offre un grande vantaggio nella disposizione gerarchica delle cellule in un microambiente 3D. Il bioink, ossia il biomateriale che mima la ECM, tra cui idrogel, aggregati di cellule, microcarrier e componenti della matrice decellularizzata, `e cruciale in tutte le fasi di stampa. Le propriet`a dei bioink, prima, durante e dopo la stampa sono fondamentali per la sua stampabilit`a in termini di alta risoluzione, forma e vitalit`a cellulare. Inoltre, il bioink `e cruciale perch´e dovrebbe fornire sia i fattori biochimici (come le chemochine, fattori di crescita, fattori di adesione e proteine di segnalazione) che i fattori fisici (ossia flusso interstiziale, propriet`a meccaniche e strutturali della ma-trice extracellulare), in modo tale da promuovere la sopravvivenza cellulare, la loro motilit`a e differenziamento [15]. Il bioprinting permette di saltare la procedura di semina delle cellule (perch´e vengono inglobate durante la co-struzione dello scaffold), che spesso si `e rivelata limitante per l’ingegneria tessutale classica, basata sull’uso di uno scaffold acellulare. Inoltre, fornisce la possibilit`a di distribuire le cellule nelle posizioni desiderate. L’approccio bottom-up [12] a differenza degli altri metodi utilizzati, assembla unit`a fun-zionali per creare costrutti di dimensione maggiore e consente l’inclusione di una microrete vascolare. I metodi che sfruttano l’approccio di tipo bot-tom up possono utilizzare vari tipi di idrogel caricati con cellule che vengono

(23)

1.3 Bioprinting

stampati Il bioprinting in vitro `e stato ben studiato, e tessuti sottili e poco vascolarizzati, come la pelle e la cartilagine sono stati coltivati. Tuttavia, l’innovativa tecnica del bioprinting in situ ed in vivo potrebbe consentire la crescita dei tessuti in difetti critici con una vascolarizzazione guidata dal pa-ziente L’idea di questa metodologia `e stata proposta da Weiss, e nonostante la sua complessit`a avrebbe la possibilit`a di eliminare la necessit`a di premo-dellare o rimopremo-dellare lo scaffold basato sulla geometria del difetto, evitare rischi dovuti alla contaminazione, e soprattutto eliminare la limitata attivit`a delle cellule in vitro. Il bioprinting in situ, inoltre, potrebbe assistere al po-sizionamento di tipi differenti di cellule e la ricostruzione di grandi parti del corpo [16]. (Figura 1.4). .

Figura 1.4: Bioprinting in situ

(24)

1.3 Bioprinting

1.3.1

Tecnolgie di bioprinting

Indipendentemente dal tipo di tecnologia scelta, si possono evidenziare delle comuni considerazioni: i vari strati stampati ed impilati devono so-stenere il peso degli strati superiori senza crollare, fornendo un supporto meccanico; il processo di stampa non deve influenzare il fenotipo cellulare (ad es. danneggiando le membrane cellulari); durante la stampa deve essere assicurata la sterilit`a, in tutte le sue fasi. Riuscire a costruire un ambiente di coltura che strettamente imita il tessuto nativo, composto da ECM, fattori bioattivi solubili e interazioni cellula-cellula omo ed etero tipiche, `e auspica-bile per replicare le funzioni dei tessuti in vitro. Come parte dell’ambiente cellulare, l’ECM `e stata il componente pi`u emulato negli studi di ingegneria tessutale. Nel tessuto nativo, essa `e principalmente una miscela di due classi di macromolecole, i glicosaminoglicani e le proteine fibrose (ad es., collage-ne, elastina, fibronectina e laminina), che si auto-assemblano in reti di nano fibrille che riempiono lo spazio extracellulare tra cellule [17].

1.3.2

Inkjet based bioprinting

Il bioprinting di tipo inkjet segue un modello digitale e si basa sulla deposizione di piccole gocce di bioink su di un substrato. E una tecnica` senza contatto. Nella comune stampa di tipo inkjet sono due le modalit`a con cui le gocce vengono create:

(25)

1.3 Bioprinting • CIJ (Continuos inkjet): un flusso di inchiostro continuo viene forzato attraverso un ugello sotto pressione, creando delle piccole gocce, per effetto dell’instabilit`a di Plateau Rayleigh; un campo elettrico consente di modulare il flusso;

• DOD (Drop on demand): delle piccole gocce sono emesse attraverso un ugello sotto pressione impulsiva, quando richiesto dal modello.

Per il processo di bioprinting `e preferibile l’utilizzo della tecnica DOD che sfrutta, solitamente, due meccanismi di formazione delle gocce (Figura 5);

• Meccanismo di tipo termico: la testina di stampa viene riscaldata da una corrente impulsiva, provocando l’evaporazione del bioink; si gene-rano delle bolle che aumentando in dimensione fanno espellere la goccia di bioink dall’ ugello. `E possibile espellere bioink con diversi volumi, da 10 a 150 pL;

• Meccanismo di tipo piezoelettrico: sfrutta la generazione di onde acu-stiche create da cristalli piezoelettrici, che forzano il bioink attraverso l’ugello [18]. (Figura 1.5).

Nonostante le molecole e le strutture biologiche siano ritenute fragili, l’ap-proccio di tipo inkjet ha mostrato un successo, ad esempio, nella stampa di molecole di DNA su vetrini. Inoltre, `e stata dimostrata la stampabilit`a

(26)

1.3 Bioprinting

Figura 1.5: Tecnologia inkjet di tipo termico e piezoelettrico

di cellule endoteliali su di una matrice a base di collagene, seminata con cheratinociti e fibroblasti umani, neonatali. Tramite una stampante a getto d’inchiostro da ufficio opportunamente modificata si sono ottenuti dei buoni risultati caratterizzati da una buona sopravvivenza cellulare [19]. Tuttavia, vi sono delle limitazioni relative all’approccio di tipo inkjet; esse riguardano: la stampabilit`a degli inchiostri, le frequenze legate alle stampanti che sfrut-tano l’effetto piezoelettrico. La qualit`a di stampa `e fortemente limitata dalle forze viscose del bioink; una elevata viscosit`a richiede molta energia per poter espellere la goccia. La tensione superficiale `e un parametro molto importan-te che deimportan-termina in quale misura la importan-tecnologia provocher`a la formazione di gocce o di un getto. Studi recenti hanno dimostrato che i materiali biologici, incluse le cellule, se stampate sfruttando l’effetto termico non sono influen-zate dalla temperatura locale dell’elemento riscaldante, che sebbene si aggiri intorno ai 300°C, non intacca la vitalit`a cellulare a causa del breve periodo

(27)

1.3 Bioprinting

di esposizione (2µs). Purtroppo, entrambe le tipologie di stampanti possono indurre a danni temporanei delle membrane cellulari a causa delle sollecita-zioni di taglio e del passaggio attraverso un ugello di piccole dimensioni. La stampa a getto d’inchiostro piezoelettrico `e indicata per offrire un certo con-trollo sulle sollecitazioni sperimentate dalle cellule in sospensione, cambiando l’ampiezza e la forma dell’impulso di guida. Aumentando la tensione di pilo-taggio per l’espulsione delle gocce, la velocit`a e le forze generate durante la produzione di caduta e di impatto, vi `e una piccola diminuzione del tasso di sopravvivenza cellulare da circa il 98% al 94%. Questi valori si confrontano con i tassi medi di sopravvivenza della cellula pari a 97% riportati da Xu et al. per la stampa termica DOD delle cellule [20]. Danni alle membrane cellulari e lisi delle cellule sono stati verificati con frequenze di sonificazione pari a 15-25 kHz. La vitalit`a cellulare appare fortemente influenzata anche dalla collisione delle gocce sul substrato e dalle caratteristiche dello stesso (spessore, propriet`a elastiche) [15]. Sono stati sviluppati modelli computa-zionali per predire il profilo di velocit`a e il carico meccanico che agiscono su una goccia durante il processo di stampa. Il modello `e stato utilizzato per in-vestigare il ruolo della rigidit`a del substrato di deposizione durante l’impatto della goccia, e confrontato con indagini sperimentali sulla vitalit`a cellulare dopo la stampa su materiali diversi. Il modello computazionale e i risultati sperimentali confermano che le forze d’impatto sono fortemente dipendenti dal substrato di deposizione, e che i substrati non rigidi e viscosi possono

(28)

1.3 Bioprinting

ridurre le forze dovute all’impatto che agiscono sulla goccia, limitando danni alle cellule [21].

1.3.3

Laser-based bioprinting

Il laser-assisted bioprinting, o anche conosciuto come Light Initiated Fa-brication Technology (LIFT) si basa sull’emissione di un fascio laser impul-sivo, dalla durata del nanosecondo. Le stampanti assistite da laser sono costituite da tre componenti: (i) una sorgente laser pulsata, (ii) un bersaglio o un nastro da cui viene stampato un materiale biologico ed (iii) un substrato che raccoglie il materiale stampato. Lo strato contenente il bioink pu`o inoltre contenere uno strato assorbente, in oro o titanio, in base alla lunghezza ottica del laser e alle caratteristiche ottiche del bioink considerato. Con la tecni-ca LIFT, il laser viene fotecni-calizzato sul substrato contenente il biomateriale e l’impulso, facendo evaporare lo strato assorbente, genera bolle di pressione tali per cui la cellula viene espulsa sul substrato ricevente (Figura 1.6). La

(29)

1.3 Bioprinting

crescita e la successiva compressione della bolla dipendono da vari fattori, tra cui: l’intensit`a del fascio del laser, la viscosit`a del bioink, la tensione superficiale (Figura 1.6). Questa tecnica di bioprinting `e priva di ugello, e pertanto non `e coinvolta in problemi relativi all’intasamento; inoltre, `e evi-tato il problema relativo alle sollecitazioni di taglio che si creano quando il materiale attraversa un ugello. I bioinks adatti per la tecnica LIFT hanno una viscosit`a che va dall’1 a 300 mPa*s ed inoltre devono reticolarsi veloce-mente per poter realizzare costrutti 3D predefiniti e ad elevata risoluzione [15].

1.3.4

Extrusion-based bioprinting

Il metodo del bioprinting ad estrusione (EEB) si `e sviluppato negli an-ni ‘90, tramite la realizzazione di costrutti con geometrie complesse e con architettura porosa controllata. I sistemi di bioprinting ad estrusione si ba-sano sull’erogazione, di polimeri o di idrogel, attraverso un microugello. Il biomateriale `e generalmente caricato in siringhe in metallo o in plastica ed `e depositato tramite estrusione di tipo pneumatica, a pistone, o a vite, su una piattaforma. La risoluzione rientra nell’ordine dei 200 µm, che `e notevolmen-te inferiore rispetto ai sisnotevolmen-temi a laser o inkjet. La velocit`a di fabbricazione `

e significativamente maggiore e possono essere creati costrutti a forma ana-tomica. Bisogna tener contro di vari parametri di stampa che incidono sulla

(30)

1.3 Bioprinting

vitalit`a cellulare. Un aumento della pressione di erogazione aumenterebbe la sollecitazione di taglio alle pareti delle cellule facendone diminuire la vitalit`a. Inoltre, la riduzione del diametro del nozzle, un aumento di temperatura, ol-tre i 37 °C, e l’incremento del tempo di stampa farebbe diminuire la vitalit`a delle cellule [22]. I sistemi pneumatici sono in genere associati ad un ritardo nell’erogazione a causa del gas compresso, mentre la deposizione a pistone offre un controllo pi`u diretto sul flusso dell’idrogel. I sistemi a vite forniscono un controllo spaziale e sono vantaggiosi per l’erogazione di idrogel con visco-sit`a pi`u elevate. Cellule incorporate negli idrogel possono essere depositate mantenendo un’elevata vitalit`a, con i sistemi a pistone e pneumatici. Una preoccupazione per il sistema a vite `e che pu`o generare un maggiore danneg-giamento della struttura dell’idrogel, e ci`o pu`o essere dannoso per le cellule incapsulate. Tuttavia, questo problema pu`o essere risolto utilizzando viti “off-the-shelf” progettate per altre applicazioni. Di recente, anche pipette di laboratorio sono state utilizzate come estrusori [23]. Il bioprinting basato sull’estrusione pu`o essere considerato come la pi`u promettente tra le tecno-logie, poich´e permette la fabbricazione di costrutti organizzati di dimensioni clinicamente rilevanti entro un periodo di tempo realistico. L’EBB `e una tecnologia in rapida crescita che ha compiuto notevoli progressi nell’ultimo decennio. Ha grande versatilit`a di stampa di bioinks biologici vari, tra cui: cellule, componenti di ECM decellularizzata, tessuti, costrutti di tessuto per applicazioni che spaziano dalla ricerca di base a prodotti farmaceutici per le

(31)

1.3 Bioprinting

cliniche. `E grazie all’elevata forza di azionamento disponibile per l’estrusio-ne che `e stato possibile caricare idrogel con microsfere porose; le cellule in tal modo possono aderire e proliferare prima della stampa all’interno e sulla superficie delle microsfere. La tecnica denominata “FRESH”, Freeform Re-versible Embedding of Suspended Hydrogels, `e stata dimostrata dal gruppo di Wu che ha stampato dei micro canali con un bioink a base di idrogel su un supporto creato con un diverso bioink. Dopo la stampa, la struttura creata `e stata reticolata con raggi ultravioletti (UV), per riparare i danni causati dal nozzle. Nonostante i grandi vantaggi e flessibilit`a, questa tipologia di bio-printing ha diverse sfide e limitazioni [24]. La stampa ad estrusione richiede la miscelazione dell’idrogel e del cross-linker prima di essere caricati nella ca-mera di erogazione. Il cross-linking inizia quando i due componenti vengono combinati, prima della stampa. L’EEB ha un rischio maggiore di occlusione degli ugelli e pu`o introdurre una variazione geometrica dell’architettura del-lo scaffold. Una stampante che sfrutta la tecnica EEB `e stata utilizzata per stampare una ECM decellularizzata con proteine, glicosaminoglicani e fattori di crescita, per favorire la vitalit`a cellulare. La struttura `e stata stampata e reticolata, mediante l’azione combinata della vitamina B2 e dei raggi UVA, per favorire un rafforzamento della struttura e dell’ambiente per la crescita delle cellule progenitrici cardiache [25]. Alcuni studiosi, si sono serviti di un bioink a base di gelatina/alginato per stampare degli scaffold; le propriet`a del gel sono state valutate utilizzando il metodo di Cohen et al che si basava

(32)

1.3 Bioprinting

sulla misura delle variazioni della forza di estrusione durante la deposizione del bioink, in tempo reale.

1.3.5

Multi-extrusion: approccio multimateriale

Il bioprinting basato sull’estrusione `e fortemente adoperato grazie alla sua estrema flessibilit`a. Tuttavia, l’utilizzo di un singolo ugello ne limita la sua applicabilit`a, poich´e con un solo bioink durante ciascun processo di deposizio-ne risulta difficile ottedeposizio-nere strutture complesse. Diverse tecniche sono state proposte per superare questo limite, nel tentativo di migliorare le capacit`a delle stampanti di estrudere pi`u di un bioink. Le stampanti a pi`u estrusori in-dipendenti sono accomunate dalla presenza di un problema: l’allineamento di pi`u ugelli. `E per questo motivo che le alternative sono rappresentate dall’uso di sistemi coassiali, da pompe a siringa indipendenti collegate ad un’unica testina di stampa, o da sistemi microfluidici che mescolano i vari bioinks contenuti nei serbatoi collegati ad un solo ugello. Alcuni ricercatori hanno sviluppato un sistema di stampa specializzato nella stampa di biomateriali soft o biomateriali mescolati con cellule che solidificano dopo la deposizio-ne. `E stato sperimentato un sistema di stampa multi- nozzle designato per la fabbricazione di scaffold porosi in alginato che possono essere utilizzati nella fabbricazione di tessuti di ampie dimensioni; come cross-linker `e stato usato cloruro di calcio (CaCl2). Sono state incapsulate delle cellule

(33)

endo-1.3 Bioprinting

teliali all’interno dell’idrogel a base di alginato ed `e stata successivamente confermata una vitalit`a cellulare pari all’83% [26]. Il gruppo di Khademhos-seini ha sviluppato un sistema multi-nozzle capace di estrudere pi`u bioinks in modo continuo e con commutazione veloce tra i diversi serbatoi. Questo studio fornisce un “proof-of concept” grazie al montaggio di una singola te-stina di stampa con sette capillari di uguali dimensioni, ciascuno collegato ad un serbatoio di bioink. Ogni serbatoio pu`o essere digitalmente azionato per l’estrusione individuale o simultanea; grazie alla regolazione della pressione pneumatica `e possibile far disperdere i bioinks a diverse viscosit`a [27]. Un lavoro presentato di recente ha dimostrato la fattibilit`a d’uso di un siste-ma coassiale (Figura 7) stampando un idrogel che misiste-ma in siste-maniera elevata l’ECM, per la rigenerazione del tessuto cartilagineo (Figura 1.7). Il sistema

Figura 1.7: Nozzle coassiale

di erogazione coassiale personalizzato `e stato ottenuto con combinazione di due parti. La prima parte `e costituita da un chip microfluidico che accoglie un singolo micro canale (sezione trasversale = 500 µm, lunghezza = 15 mm) in cui `e stato inserito l’ago interno (25 G). La seconda parte dispone di un

(34)

1.3 Bioprinting

ago standard (19 G). Questo ago `e stato poi collegato al dispositivo micro-fluidico per formare il sistema coassiale, prestando la massima attenzione ad avere i due aghi perfettamente centrati. Gli esperimenti sono stati condotti utilizzando un idrogel a base di: alginato, gelatina metacrilata (GelMA) e acido ialuronico metacrilato (HAMA), caricato nel nozzle interno. Quello esterno, invece `e stato caricato con CaCl2. Quando i due flussi entrano in

contatto ha inizio la reticolazione dell’alginato, che pu`o essere deposto sotto forma di fibre. Grazie all’uso di raggi UV anche il GelMA e l’HAMA dopo la stampa sono stati sottoposti a cross-linking. Il costrutto stampato si `e dimostrato essere un buon candidato per l’ingegnerizzazione della cartilagi-ne, in quanto presentava un tasso elevato di collagene di tipo I e II; inoltre l’aggiunta dell’HAMA ha favorito la differenziazione delle cellule staminali mesenchimali [26]. Mentre varie stampanti possono sostituire siringhe per raggiungere questo obiettivo, altri ricercatori hanno sviluppato stampanti aventi braccia multiple con traiettorie di movimento indipendenti o che con-tengono pi`u testine di stampa controllate in modo indipendente (Figura 1.8) [28]. Recenti studi hanno permesso di realizzare una stampante che estrude materiali multipli (idrogel differenti e diversi tipi di cellule all’interno dello stesso idrogel) attraverso una testina di stampa, utilizzando una valvola se-lettrice e cinque pompe a siringa indipendenti e ad alta risoluzione. Sono state scelte delle pompe a siringa poich´e sono in grado di controllare il flow rate durate la stampa [29]. Yan et al ha progettato un sistema di deposizione

(35)

1.3 Bioprinting

multi-nozzle basato sulla stampa ad estrusione per la ricostruzione del tessu-to osseo. Un sistema a quattro ugelli `e stato progettato per eseguire processi di deposizione. Sono stati realizzati scaffold con il processo di deposizione a singolo ugello, a doppio ugello e a triplo ugello nel sistema a multi-estrusione. Gli scaffold realizzati tramite processo di deposizione a singolo ugello hanno dimostrato una buona biocompatibilit`a e buona propriet`a osteoconduttiva [30]. (Figura 1.8). Khalil et al. ha costruito un sistema a ugelli multipli e

Figura 1.8: Esempio di sistema multi-extrusion

hanno stampato fino a 40 strati di scaffold con un idrogel in alginato di sodio di diverse viscosit`a. Ognuno di questi ugelli ha una diversa tecnica di deposi-zione. Ad esempio, un impulso di corrente attiva gli ugelli del solenoide. Una

(36)

1.3 Bioprinting

tensione applicata attiva un ugello piezoelettrico realizzato con un capillare di vetro. Gli ugelli pneumatici della siringa funzionano con un impulso di pressione. Un ugello a spray funziona anch’esso con un impulso di pressio-ne. Questi ugelli sono anche in grado di stampare cellule, fattori di crescita e altri materiali biologici [26]. Al fine di promuovere la vascolarizzazione `e stato realizzato un sistema di erogazione di tipo pneumatico, utilizzato per incorporare VEGF in uno scaffold 3D in matrigel-alginato [31].

1.3.6

Hybrid technologies

Con le tecniche di stampa tradizionali sono molti i requisiti che gli idrogel devono soddisfare, tra cui la viscosit`a che necessita di rientrare in un deter-minato range e la velocit`a di gelazione. `E proprio per questo motivo che la scelta dei biomateriali nel bioprinting `e limitata. Nonostante la capacit`a di emulare le propriet`a del tessuto nativo, i costrutti 3D stampati con idrogel di origine naturale non dispongono ancora di adeguate propriet`a meccaniche e di una buona integrit`a strutturale da favorirne l’uso in vivo, limitandone cos`ı le applicazioni. Utilizzando dei sistemi di deposizione con pi`u ugelli `e possibile combinare polimeri sintetici, che hanno maggior resistenza mecca-nica, con l’ambiente favorevole alla crescita delle cellule, fornito dagli idrogel di origine naturale. Sono stati studiati dei sistemi che integrano la tecnologia dell’elettrospinning con la tecnica di stampa di tipo inkjet (Figura 1.9) [32].

(37)

1.3 Bioprinting

L’elettrospinning `e una tecnica che si compone di una siringa con un ago di metallo, avente un piccolo diametro, e di uno schermo di raccolta metallico, chiamato collettore. Tra l’ago ed il collettore `e presente un’elevata tensione elettrica che permette di ottenere un flusso continuo di soluzione al di fuori dell’ago. Il solvente evapora prima di raggiungere il collettore, permettendo la formazione di fibre, sotto forma di rete. Il risultato finale dipender`a dalla variazione di alcuni parametri chimici (solvente, concentrazione della soluzio-ne, viscosit`a), ambientali (temperatura, pressione) e di lavoro (distanza tra l’ago ed il collettore, campo elettrico). A differenza di molti altri processi, l’elettrospinning produce fibre dell’ordine del nanometro e ci`o consente di poter unire questo approccio ad altri [33]. Esperimenti passati condotti dal gruppo di Moroni hanno visto fondere fibre nanometriche, elettrofilate, con scaffold in PEOT/PBT stampati con l’approccio ad estrusione. La struttura ottenuta, realizzata e caratterizzata per l’ingegnerizzazione della cartilagine, ha mostrato un’elevata presenza di cellule, una maggior proliferazione e diffe-renziamento cellulare, oltre che un miglioramento delle propriet`a meccaniche [34]. In uno studio recente, fibre in policaprolattone (PCL) generate tramite elettrospinning, sono state realizzate ed alternate ad un idrogel, stampato con la tecnica inkjet, composto da collagene e fibrina con condrociti in so-spensione, al fine di creare un tessuto a cinque strati e con uno spessore pari a 1 mm. `E stato visto come la vitalit`a dei condrociti all’interno del costrutto ibrido stampato fosse ¿ 80% anche dopo una settimana dalla stampa. Gli

(38)

1.4 Gli idrogel

scaffold ibridi hanno inoltre dimostrato migliori propriet`a meccaniche rispet-to al solo idrogel di fibrina e collagene. Kang et al e Jung et al. hanno anche loro approfondito degli studi sugli scaffold in PCL realizzati simultaneamente con degli idrogel caricati con cellule [35] (Figura 1.9).

Figura 1.9: Rappresentazione di un sistem ibrido

1.4

Gli idrogel

Gli idrogel sono reti tridimensionali idrofiliche e solubili in acqua che se polimerizzate generano composti non solubili. Grazie alla presenza interna di pori interconnessi, gli idrogel sono in grado di assorbire un’elevata quan-tit`a di acqua ed `e anche per questo motivo che emulano la ECM dei tessuti biologici. Un significativo interesse nei confronti degli idrogel ha avuto ini-zio negli anni ’90, in concomitanza alla crescita dell’ingegneria tessutale, con la scoperta delle loro caratteristiche, simili a quelle del tessuto nativo. Gli idrogel possono essere classificati in base alla loro origine e al metodo di

(39)

ge-1.4 Gli idrogel

lificazione. Quelli di origine naturale possono derivare da polimeri proteici o polisaccaridici. Un esempio di idrogel costituito da proteine e componenti della ECM `e il collagene, la proteina strutturale pi`u abbondante dell’orga-nismo; tra gli idrogel di origine polisaccaridica si distingue l’alginato [36]. Questi idrogel, oltre ad essere caratterizzati da elevata biocompatibilit`a e biodegradabilit`a sono altamente bioattivi, ossia hanno un’elevata affinit`a di legame verso alcune proteine, come la fibronectina, favorendo l’adesione cel-lulare. Il limite di questi biomateriali `e rappresentato dalle loro propriet`a meccaniche, che spesso risultano insufficienti. [19]. Gli idrogel possono esse-re inoltesse-re classificati in base al meccanismo di polimerizzazione (Figura 1.10). Nella polimerizzazione di tipo fisico si formano legami non covalenti; quan-do la temperatura aumenta `e possibile che i blocchi idrofobici si aggreghino portando alla gelificazione. Gli idrogel possono anche formarsi attraverso la creazione di interazioni ioniche tra un biopolimero ed una molecola carica. Esempi di polimerizzazione di tipo chimico comprendono la polimerizzazione radicalica e la polimerizzazione enzimatica. Nel primo caso i gruppi latera-li inattivi di monomeri a basso peso molecolare vengono attivati in radicalatera-li liberi e assemblati attraverso un processo di iniziazione della reazione (ad esempio mediante radiazione ultravioletta, UV) in presenza di un agente re-ticolante. Un esempio del secondo approccio si basa sulla formazione di un idrogel a base di PEG ottenuto attraverso una reazione enzimatica guidata dalla transglutaminasi tra macromolecole di PEG funzionalizzate con gruppi

(40)

1.4 Gli idrogel

terminali di lisina o gruppi glutamminici [37]. Nella biofabbricazione `e gene-ralmente utilizzata la reticolazione fisica; quella chimica `e usata nei processi post-stampa, come nel caso dell’idrogel in gelatina metacrilata (GelMA) che `e esposto a reticolazione foto indotta. A volte un approccio di polimerizzazione in due fasi viene utilizzato per creare un bioink viscoso. Il gruppo di Skardal ha utilizzato questo metodo per foto polimerizzare e creare un costrutto 3D a base di GelMA e acido ialuronico (HA) [37]. Il gruppo di Kadamossehini ha inoltre segnalato l’uso di un bioink poco viscoso a base di alginato e Gel-MA con un sistema di erogazione coassiale [15]. Particolare interesse viene fornito dagli idrogel responsivi; sono polimeri aventi una struttura che mani-festa cambiamenti reversibili nel comportamento chimico-fisico in risposta a rapide e piccole variazioni dell’ambiente circostante (pH, temperatura) (Fi-gura 1.10). Gli idrogel possono comportarsi come fluidi newtoniani nella loro

(41)

1.4 Gli idrogel

fase di prepolimero, e dopo gelazione le reti tridimensionali formate ne fanno assumere un comportamento viscoelastico. Hanno delle propriet`a meccani-che meccani-che dipendono dalla rigidezza originale delle catene polimerimeccani-che, dalla densit`a di polimerizzazione, e dalla tecnica di gelificazione. Caratteristiche importanti per il loro impiego sono la biodegradabilit`a, che deve avvenire in simultanea con la sintesi del tessuto neoformato e la biocompatibilit`a, che dipende sia dalle caratteristiche del polimero, naturale o sintetico, che dalle tecniche di gelificazione, che possono introdurre fattori citotossici [38]. Un parametro importante `e il comportamento di swelling degli idrogel, determi-nato dal grado di reticolazione e dalla densit`a di carica. Questa caratteristica influenza la forma finale e la dimensione del costrutto stampato.

1.4.1

Idrogel foto polimerizzabili

Gli idrogel polimerizzati con raggi ultravioletti (UV) o luce del visibile so-no deso-nominati idrogel fotopolimerizzabili. Le sorgenti lumiso-nose interagiscoso-no con i fotoiniziatori, ossia sostanze sensibili alla luce, formando radicali liberi nelle catene del prepolimero che danno inizio alla polimerizzazione. La foto-polimerizzazione `e un processo rapido e permette una distribuzione cellulare omogenea all’interno dell’idrogel, evitandone una possibile sedimentazione. Controllando alcuni parametri, come il tempo di esposizione alla sorgente lu-minosa, la concentrazione del polimero e la concentrazione del fotoiniziatore,

(42)

1.4 Gli idrogel

`

e possibile variare le propriet`a di un idrogel. Lo svantaggio di questa tecnica `

e legato alla vitalit`a delle cellule, in stretto contatto con i radicali liberi e sorgenti luminose, potenzialmente citotossiche; ci`o pu`o causare danni a livel-lo del DNA. Il fotoiniziatore viene selezionato, per le applicazioni cellulari, in base alle caratteristiche di solubilit`a in acqua e citotossicit`a [13]. Variando la concentrazione del fotoiniziatore, aumentandola ad esempio, otterremmo una rapida ed efficace reticolazione con una riduzione dei tempi di esposizione, a spese per`o di un incremento della citotossicit`a dovuta alla maggior presenza del fotoiniziatore. La scelta della sorgente luminosa risulta vincolata dal-l’intervallo di sensibilit`a del fotoiniziatore utilizzato; la fotopolimerizzazione richiede infatti l’uso di un fotoiniziatore che mostri alto potere di assorbi-mento ad una determinata lunghezza d’onda [39]. Tra gli idrogel, quelli a base di PEG, di origine sintetica, sono maggiormente utilizzati; la modifica dei gruppi terminali tramite reazione di metacrilazione porta alla formazio-ne del PEG dimetacrilato (PEGDA). Nonostante la formazioformazio-ne dell’idrogel fotopolimerizzabile, la mancanza di gruppi bioattivi all’interno del costrutto impedisce alle cellule di legarsi al supporto, e ci`o riduce la loro possibilit`a di migrare e proliferare. `E tra gli idrogel di origine naturale che ricade la scelta per la creazione di scaffold, e quelli a base di GelMA ne rappresentano un valido esempio. La gelatina si ottiene per denaturazione del collagene, ma conserva gruppi bioattivi che consentono l’adesione, la migrazione e la proli-ferazione cellulare. Recenti ricerche hanno dimostrato la validit`a degli idrogel

(43)

1.4 Gli idrogel

in GelMA in una vasta gamma di applicazioni tra cui l’ingegneria dell’osso, della cartilagine, cardiaco e tessuti vascolari [40]. La foto polimerizzazione permette un controllo spaziale preciso grazie alle tecniche di microstruttu-razione di fotopatterning e di mold patterning. Il fotopatterning permette di eseguire una fotopolimerizzazione spazialmente selettiva del prepolimero che viene esposto alla sorgente UV attraverso una foto maschera. Nelle zo-ne esposte alla luce, l’idrogel polimerizzer`a creando strutture tridimensionali che replicano quelle bidimensionali della foto maschera. Esistono molteplici studi a dimostrazione dell’efficacia di questa tecnica in termini di risoluzione spaziale del pattern ed allo stesso tempo dei mantenimento delle condizioni favorevoli alla crescita e alla migrazione cellulare [41]. Nel mold patterning la foto polimerizzazione degli idrogel e la strutturazione dei pattern tridimen-sionali avviene attraverso uno stampo elastomerico fabbricato con tecniche di soft litografia. Attraverso questa tecnica `e possibile creare microambienti multicellulari in vitro in maniera semplice e poco costosa. Il micropatterning `

e stato applicato anche per controllare l’allineamento cellulare 3D. In uno studio, il gruppo di Aubin ha usato una maschera per fotopatterning, per generare idrogel di GelMA ingegnerizzati; sono stati valutati l’effetto delle dimensioni caratteristiche e le proporzioni dei canali ingegnerizzati in base ai comportamenti di allineamento e allungamento delle cellule in un idrogel 3D. Idrogeli in GelMA sono stati utilizzati per creare micro costrutti rettangolari di 150 µm di altezza e 50 µm di larghezza [42]. Il gruppo di Gauvin ha

(44)

1.4 Gli idrogel

lizzato un sistema di stereolitografia personalizzato di proiezione, progettato per fabbricare idrogel in GelMA con microarchitetture modificabili. Han-no ottenuto con successo costrutti di GelMA con propriet`a meccaniche che vanno da 1 a 800 kPa [43]. Il gruppo di Qi ha combinato tecniche di micro-molding e fotopatterning per organizzare spazialmente le matrici di idrogel ibrido 3D in GelMA e PEG. Corpi embrionici (EBs) sono stati incapsula-ti all’interno dei costrutincapsula-ti ingegnerizzaincapsula-ti per studiare le loro interazioni con idrogel a diverse composizioni. Per effettuare questa operazione, EBs di topo sono stati seminati in micro pozzetti su un substrato di polidimetilsilossano (PDMS), seguito dai carichi sequenziali delle due soluzioni di prepolimero e reticolazione UV attraverso una fotomaschera [44]. L’eccellente biocompati-bilit`a, degradabilit`a e lavorabilit`a degli idrogel di GelMA giocano un ruolo importante come biomateriale stampabile, nelle tecnologie 3D di bioprinting. Il gruppo di Shin ha aggiunto nanotubi di carbonio (CNTs) in idrogel di Gel-MA per migliorare la loro rigidit`a senza diminuire la loro porosit`a o inibire la crescita cellulare 3D. Esperimenti della coltura cellulare 3D hanno mo-strato vitalit`a tra l’85-100% rispetto a quella osservata nei controlli (senza nanotubi di carbonio aggiunti) dopo 24 e 48 ore di semina. L’incorporazione di CNTs potrebbe inoltre ottimizzare la conduttivit`a elettrica nel caso degli idrogel risultanti, che `e una caratteristica importante nelle applicazioni di ingegneria del tessuto del miocardio o un neurone [45]. Gli idrogel a base di GelMA sono anche promettenti materiali per l’ingegneria della pelle: `e

(45)

1.5 I gradienti

stato dimostrato che scaffold a base di GelMA sono in grado di supportare la crescita, la differenziazione e la stratificazione dei cheratinociti in un tessuto funzionale multistrato [46].

1.5

I gradienti

Uno degli approcci utilizzati per la riparazione o la rigenerazione dei tes-suti e/o degli organi include l’uso di una matrice bioattiva in situ. In tal modo il processo di riparazione pu`o essere indotto mediante reclutamento di cellule mature presenti in prossimit`a della matrice e differenziazione guidata di cellule staminali. In questo processo `e fondamentale la creazione in vivo di un microambiente, la cosiddetta nicchia, che pu`o fornire segnali spazio-temporali per guidare l’adesione, migrazione, proliferazione, differenziazione e apoptosi delle cellule. Le tecnologie utilizzate fino a qualche tempo fa, per ricrare i gradienti in vitro, appartenevano alla classe delle tecnologie di tipo top down; un esempio `e l’irraggiamento con UV. Con questo metodo possono essere generati i perossidi sulle superfici con un meccanismo di foto-ossidazione a base radicale. Li et al. [47] ha prodotto un gradiente con una densit`a crescente di gruppi carbossilici postando continuamente la foto ma-schera sotto una lampada UV.Tuttavia, le tecnologie top-down, in generale, sono limitate ai tipi di superfici funzionali e inadatte per elaborare superfici con biomacromolecole instabili, come le proteine della ECM e fattori di

(46)

1.5 I gradienti

scita, e quindi non possono essere in grado di soddisfare le complesse esigenze di modulazione delle risposte alle cellule. Quindi, di recente, i metodi bot-tom up sono stati pi`u ampiamente utilizzati per funzionalizzare le superfici dopo l’introduzione di siti attivi. `E necessario quindi studiare la migrazione cellulare in vivo in presenza di gradienti chimici, fisici e biologici, prima di poterli replicare in vitro. I gradienti fisici sono definiti come un cambiamento graduale delle propriet`a fisiche come la porosit`a, la rigidezza e la topologia. Gradienti chimici includono biomolecole integrate nella matrice extracellu-lare, come le proteine, gli ormoni, le chemochine e fattori di crescita. Le loro concentrazioni possono dare vita a pi`u segnali intracellulari attraverso il legame con i recettori presenti sulla superficie cellulare, con la conseguente regolazione delle funzioni cellulari [48]. La presenza di un microambiente altamente eterogeneo `e garantito dalla presenza dei gradienti; recenti ricer-che hanno visto ricer-che l’incorporazione di gradienti chimici e fisici negli scaffold migliorano le funzionalit`a del tessuto rigenerato Le tecniche di produzione additiva hanno conferito la capacit`a di ricapitolare con precisione l’architet-tura nativa presente all’interno del tessuto. I gradienti contribuiscono ad esempio, a processi critici quali: l’embriogenesi, la chemotaxia dei leucociti polimorfonucleari e la migrazione cellulare. Incorporando i gradienti naturali nella progettazione di biomateriali, si pu`o aumentare la risposta e la rigene-razione dei tessuti nativi. Tra i gradienti fisici, i gradienti di porosit`a sono indispensabili per la rigenerazione di alcuni tipi di tessuto, come ad esempio

(47)

1.5 I gradienti

l’osso. Biomateriali porosi permettono il trasporto di sostanze nutritive e rifiuti e forniscono la vascolarizzazione all’impianto; fondamentale `e la loro distribuzione che serve a massimizzare la funzione del tessuto complessivo, e l’osso infatti ha 4 diversi livelli di pori [49]. Sobral et al. recentemente ha studiato l’effetto dei gradienti di porosit`a, basati sulla diversa dimensio-ne dei pori, sull’efficienza di semina delle cellule [50]. In questo studio, gli scaffold sono stati fabbricati con tecniche di stampa 3D utilizzando il PCL con una grandezza di pori alternata di 100 e 750 µm. `E stato dimostrato che una struttura a pori graduata ha aumentato l’efficienza di semina ri-spetto ad un’architettura non avente differenti dimensioni dei pori. `E stato dimostrato che la rigidezza del substrato indirizza la differenziazione e la mi-grazione delle cellule staminali mesenchimali in diversi tipi di cellule come i mioblasti, gli osteoblasti ed i neuroni. Lo et al. ha dimostrato che le cellule migrano verso superfici pi`u rigide, un fenomeno da allora definito durotassi [51]. I gradienti meccanici non sono presenti solo ai confini tra diversi tipi di tessuto, ma sono presenti anche in un singolo tessuto. Scaffold in PLA e PCL a diverse concentrazioni sono stati creati per generare costrutti con un gradiente di rigidit`a. La maggior parte dei tessuti ha un certo livello di anisotropia che complica ulteriormente le esigenze fisiche degli scaffold. In passato, la produzione di materiali anisotropici `e stato un compito estrema-mente difficile con le tecniche classiche di fabbricazione; tuttavia, l’additive manufacturing consente di controllare con precisione il design dello scaffold,

(48)

1.6 Scopo della tesi

permettendo di realizzare in modo affidabile materiali anisotropi. I gradienti chimici possono essere generati attraverso una modifica dello scaffold o at-traverso una deposizione ingegnerizzata di molecole bioattive. Nei casi in cui la composizione chimica di un’impalcatura varia spazialmente, `e stata utiliz-zata l’analisi termogravimetrica (TGA) [52] o la spettroscopia ad infrarossi (FTIR) per confrontare con successo i componenti chimici. Uno studio di Kim et `e stata utilizzata l’FTIR per confermare la crescente concentrazione di legami di amido lungo le fibre di PCL estruse, corrispondenti al gradiente previsto di fattori di adesione immobilizzati in superficie [53].

1.6

Scopo della tesi

Lo scopo di questo lavoro di tesi `e biofabbricare strutture a gradiente continuo, di propriet`a chimiche ed elettriche, grazie alla progettazione e alla realizzazione di un sistema di estrusione multimateriale, controllato in tem-peratura. La validazione del sistema sar`a preceduta dalla calibrazione del-l’estrusore, che permetter`a di identificare i parametri necessari per ottenere una buona qualit`a di stampa, in termini di quantitativo reale di materiale depositato sul piano e di spessore del layer. Il sistema disporr`a di due estru-sori a dispensatore robotico, e verr`a utilizzato per la stampa di materiali geliformi; in questo lavoro, i materiali che verranno utilizzati sono gli idrogel a base di gelatina e materiali conduttivi, come i nanotubi di carbonio ed il

(49)

1.6 Scopo della tesi

carbon black. Le strutture biofabbricate verranno caratterizzate dal punto di vista chimico, nello specifico, cromatico ed elettrico. Il lavoro verr`a descritto nel modo seguente: il capitolo 2 sintetizzer`a gli strumenti ed i software che verranno utilizzati per progettare il sistema di estrusione; il capitolo 3 de-scriver`a le fasi necessarie che hanno portato alla sua realizzazione. Saranno descritte nel capitolo 4 le prove di validazione del sistema di stampa, con una descrizione dei gradienti incorporati nelle strutture biofabbricate. Saranno descritti, all’interno del capitolo 4, i materiali che verranno utilizzati. Nel capitolo 5 verranno mostrati i risultati ottenuti.

(50)

Capitolo 2

Strumenti e software

2.1

Stampante 3D

Il punto di partenza di questo lavoro di tesi si incentra sull’analisi di una delle stampanti 3D presenti nel laboratorio di Bioingegneria del Centro di Ricerca “E.Piaggio (Figura 2.1) La 3Drag appartiene ad una famiglia open source italiana, disegnata e progettata partendo da una base RepRap, ed offre quindi la possibilit`a di accedere a varie informazioni relative al dispo-sitivo. Il progetto `e di Futura Elettronica, azienda di Gallarate, ed Open Electronics `e invece il marchio con cui si vende anche sul mercato interna-zionale. La tecnica di stampa su cui si basa questa stampante `e la fused deposition modeling (FDM), che utilizza un sistema di posizionamento XY per muovere il piano di stampa, mentre l’estrusore si muove solo lungo l’asse

(51)

2.1 Stampante 3D

Z (verticale). L’estrusore presente `e stato progettato grazie al modello Open Source “Syringe Pump”, progettato inizialmente per un utilizzo in ambito medico. Uno dei vantaggi di questo estrusore riguarda la possibilit`a di depo-sitare una vasta gamma di materiali, di natura liquida o geliforme, tramite l’ugello della siringa. Questa versatilit`a permette di andare oltre le limita-zioni di stampanti a base di materiali termoplastici, come la FDM. Tra le specifiche tecniche si ha che la velocit`a di stampa tipica `e pari a 40 mm/sec la risoluzione meccanica nominale `e 0.015 mm su X e Y, e 0.39 µm per Z. `E possibile, con la tecnica FDM, arrivare ad ottenere una risoluzione di stampa fino a 100µm [54], [55].

2.1.1

Configurazione meccanica

La stampante presente ha una struttura portante composta orizzontal-mente da 4 profilati (di circa 50 cm ciascuno), uniti tra di loro in modo da replicare una forma quadrata, a cui si lega verticalmente un montante avente una forma ad U (Figura 2.1). `E necessario infatti che la stampante poggi in modo opportuno, per evitare che i movimenti dei carrelli influiscano sulla stabilit`a, e quindi sulla qualit`a della stampa. All’interno del riquadro orizzontale sono presenti delle barre d’acciaio rettificate, e sul montante ver-ticale, invece, sia rettificate che filettate; il loro scopo `e quello di far scorrere i carrelli lungo un’unica direzione (X, Y e Z). I carrelli X e Y servono per

(52)

2.1 Stampante 3D

far muovere il piatto di stampa, il carrello Z l’estrusore. Cinghie di trasmis-sione vengono posizionate nei relativi pignoni e pulegge dei carrelli. (Figura 2.1). I motori utilizzati sono degli stepper NEMA 17 bipolari:la rotazione

Figura 2.1: 3DRAG presente nel Centro di Ricerca “E.Piaggio”

di questi `e ottenuta mediante l’eccitazione in sequenza degli avvolgimenti in esso contenuti. Tra le specifiche tecniche, la tensione nominale `e pari a 3.1 V DC con un assorbimento a massimo carico di 2.5 A. La coppia erogata si attesta intorno ai 0.5 N*m, sufficiente per il lavoro che devono eseguire. La caratteristica principale di questi motori `e l’accuratezza dello step, che porta ad avere una rotazione controllata di 1.8°. Un’alta risoluzione di movimento `

e dettata dalla combinazione dei motori e dei cuscinetti a ricircolo di sfere presenti lungo gli assi x e y.Ogni asse ha il suo motore comandato diretta-mente dalla scheda di controllo della stampante. Il quarto motore presente serve per far muovere l’estrusore anch’esso costituito da parti metalliche e plastiche. Il piano di stampa della 3Drag `e in vetro, ha delle dimensioni pari a 200x200 mm ed `e riscaldabile [55],[56].

(53)

2.1 Stampante 3D

2.1.2

Elettronica di controllo

RepRap Arduino Mega Pololu Shield, comunemente conosciuta con l’a-cronimo RAMPS (Figura 2), `e una scheda elettronica designata per interfac-ciarsi con Arduino Mega. Quest’ultimo `e una scheda con microcontrollore ATMEGA 2560, che dispone di 54 ingressi/uscite digitali, pin, 16 ingressi analogici, 4 UART (porte seriali hardware), un oscillatore a 16 MHz, una connessione USB, un jack di alimentazione ed un tasto di reset. Una scheda di controllo per stampanti 3D di tipo FDM `e deputata principalmente al: controllo dei motori lungo gli assi di spostamento del piano di stampa, al controllo della temperatura dell’estrusore, alla gestione della velocit`a di spo-stamento dei carrelli, della ventola di raffreddamento e del piatto di stampa. La componentistica hardware base di una scheda di questo tipo `e costituita oltre che dal suo stadio di alimentazione, dai driver per il controllo dei motori stepper, da una sonda di controllo della temperatura raggiunta e da una se-zione per la conversione seriale/USB per lo scambio di dati con un computer. L’ATMEGA644 della ATMEL consente di leggere un G-Code di un modello 3D direttamente da una SD-card, senza che sia un PC a doverglielo inviare (Figura 2.2). Inoltre, per aumentare un controllo autonomo della stampante e non essere dipendenti dal PC, grazie al maggior numero delle porte di I/O e SPI presenti nel microcontrollore, `e stato possibile collegare alla scheda un display LCD. I motori sono pilotati da moduli driver in grado di far compiere

(54)

2.1 Stampante 3D

Figura 2.2: Ramps 1.4

dei passi con una certa precisione nei movimenti. Per questa stampante, so-no stati scelti dei driver Pololu basati sul chip integrato A4988 della Allegro, pensato per controllare motori bipolari. La risoluzione dei driver arriva sino a 1/16 di 1.8°. `E necessario tarare la corrente fornita dai motori e dotare i chip degli stepper motor driver di un dissipatore per evitarne il surriscalda-mento. I valori della temperatura dell’estrusore sono letti da un termistore, e tramite un controllo PID scritto nel firmware il microcontrollore riesce a stabilizzare la temperatura ai valori impostati. I microswitch di fine corsa possono essere considerati degli interruttori che consentono di riconoscere l’origine sugli assi. L’alimentazione viene fornita da un alimentatore da 15V con un’uscita a 4 A [[55] (Figura 2.3).

(55)

2.1 Stampante 3D

Figura 2.3: Schema circuitale completo

2.1.3

Il firmware

Marlin `e un firmware open source creato per stampanti 3D della famiglia RepRap. Gran parte della sua popolarit`a si deve al fatto che funziona sul po-co po-costoso micropo-controllore della ATMEL. La piattaforma di riferimento per Marlin `e Arduino Mega 2560 con Ramps 1.4. Il firmware si adatta a molte schede e configurazioni possibili. Marlin `e un programma C composto di mol-ti file, di cui due che contengono tutte le opzioni di configurazione in fase di compilazione del firmware Marlin: Configuration.h contiene le impostazioni principali per l’hardware, la lingua e la selezione del controller e le impostazio-ni per le funzionalit`a e i componenti pi`u comuni. Configuration adv.h serve per maggiori opzioni di personalizzazione, componenti aggiuntivi, funzioni sperimentali. Bisogna modificare o sostituire questi file prima di compilarli e caricarli sulla scheda. Una variet`a di configurazioni pre-costruite sono

(56)

2.1 Stampante 3D

se nella cartella example configurations . Il firmware `e dotato delle seguenti caratteristiche:

• Look ahead: mantiene delle velocit`a elevate, se `e possibile; • Protezione con interrupt della temperatura;

• Movimento con reale accelerazione lineare, basato sulle interrupt; • Step rate elevato;

• Supporto dei finecorsa; • Supporto della scheda SD;

• Cartella su scheda SD (richiede un software di host su un computer compatibile);

• Supporto di LCD (ottimale 20x4);

• EEPROM di memorizzazione dei parametri operativi come velocit`a massima, accelerazione massima e le variabili simili;

• Monitoraggio del piatto riscaldato

Marlin viene eseguito sulla scheda principale della stampante 3D, gesten-do tutte le attivit`a. Il firmware coordina i riscaldatori, gli stepper, i sensori, i display LCD, e tutto ci`o che `e coinvolto nel processo di stampa. Implementa il processo di additive manufacturing FDM in cui un filamento di materiale

(57)

2.1 Stampante 3D

termoplastico viene spinto attraverso un ugello caldo che scioglie ed estrude il materiale, che depositato strato su strato, definisce un oggetto fisico. Il linguaggio di controllo per Marlin `e un derivato del linguaggio G-Code che fornisce alla macchina dei semplici comandi come il settaggio della tempera-tura del riscaldatore, oppure muoversi sugli assi X e Y alla velocit`a F. Per poter stampare un modello 3D `e necessario che esso venga convertito, tra-mite un programma di slicer in G-Code. Appena Marlin riceve i comandi di movimento, ad esempio, li aggiunge ad una coda e ciascuno di essi deve essere eseguito nell’ordine ricevuto. La “stepper interrupt” elabora la coda convertendo movimenti lineari in impulsi elettronici perfettamente sincroniz-zati con i driver dei motori stepper ed ha una velocit`a pari a 10 kHz. I riscaldatori ed i sensori sono gestiti in una seconda interrupt che viene ese-guita ad una velocit`a pi`u lenta. Marlin pu`o essere controllato direttamente tramite un pulsante ed un encoder posti accanto al display LCD, o trami-te comandi di host come Prontrami-terface. Un’attrami-tenzione particolare pu`o essere dedicata al movimento dell’estrusore; in condizioni predefinite, la movimen-tazione dell’asse dell’estrusore `e trattata nello stesso modo degli assi lineari XYZ. Il motore dell’estrusore si muove in proporzione lineare rispetto tutti i motori, mantenendo esattamente lo stesso profilo di accelerazione. Ma un estrusore non `e un sistema lineare, quindi questo approccio conduce, ovvia-mente, all’estrusione di materiale supplementare che viene espulso alla fine di ogni movimento lineare. `E possibile calcolare il numero di passaggi

Riferimenti

Documenti correlati

Il fatto che µµµµ sia sempre diretto in direzione opposta al campo, indica che il campo magnetico prodotto dal moto delle particelle del plasma si oppone sempre al campo

• Abbiamo visto come noto il campo elettrico si può sempre definire un potenziale attraverso la relazione integrale.. • L'integrando è il differenziale del potenziale dφ =

I La funzione deve ricevere in ingresso la matrice A, il vettore b, il vettore iniziale x (0) , la tolleranza toll e il numero massimo di iterazioni nmax.. I Deve restituire

Golden section search Introduzione ai metodi di discesa Gradiente discendente Newton-Raphson. Scelta della direzione

CORSO DI SISTEMI DINAMICI COMPITO

CORSO DI SISTEMI DINAMICI COMPITO

CORSO DI SISTEMI DINAMICI COMPITO

La prima parte è dedicata ad una introduzione dei concetti di base della spettroscopia e delle modalità di formazione di uno spettro a righe di emissione, la seconda consiste di