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Commercio e sostenibilità. L'approccio alla sostenibilità come elemento strategico per il futuro dei centri commerciali

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale (ordinamento

ex D.M. 270/2004)

in Marketing e Comunicazione

Tesi di Laurea

Commercio e sostenibilità.

L’approccio alla sostenibilità

come elemento strategico per

il futuro dei centri commerciali

Relatore

Ch. Prof. Francesco Casarin

Laureando

Michele Vegro

Matricola: 839626

Anno Accademico

2013 / 2014

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INDICE

INTRODUZIONE  ...  3  

RINGRAZIAMENTI  ...  7  

1.  STORIA  E  FORMATI  DEI  CENTRI  COMMERCIALI  ...  8  

1.A. STORIA ED EVOLUZIONE DEI CENTRI COMMERCIALI ... 8

1.B. FORMATI DI CENTRI COMMERCIALI ... 14

1.b.I. Mercato nord-americano ... 15

1.b.II. Mercato asiatico e australiano ... 23

1.b.III. Mercati europei ... 24

2.  ATTORI  E  STRATEGIE  DEI  CENTRI  COMMERCIALI  ...  34  

2.A. ATTORI COINVOLTI NELLA PROMOZIONE, SVILUPPO E GESTIONE DEI CENTRI COMMERCIALI ... 34

2.B. STRATEGIE E MODELLI DI BUSINESS DEI CENTRI COMMERCIALI ... 45

2.b.I. Strategie di promozione di un centro commerciale ... 45

2.b.II. Strategie di gestione di un centro commerciale ... 62

2.C. CICLO DI VITA DEI CENTRI COMMERCIALI ... 64

3.  L’APPROCCIO  ALLA  SOSTENIBILITÀ  ...  71  

3.A. LO SVILUPPO SOSTENIBILE DAL PUNTO DI VISTA DEL CONSUMATORE ... 76

3.B. LO SVILUPPO SOSTENIBILE DAL PUNTO DI VISTA DELLA COMUNITÀ E DELL’AUTORITÀ PUBBLICA ... 82

3.C. LO SVILUPPO SOSTENIBILE DAL PUNTO DI VISTA DELL’AZIENDA PROMOTRICE O GESTORE DI CENTRI COMMERCIALI ... 98

3.D. PRINCIPALI STAKEHOLDER DI UN CENTRO COMMERCIALE ... 108

· Comunità finanziaria ... 108

· Tenants ... 108

· Visitatori ... 109

· Comunità locale e autorità pubblica ... 109

· Personale ... 110

· Fornitori ... 111

· Ambiente ... 111

4.  ESPOSIZIONE  DELLA  RICERCA  ...  113  

4.A. METODOLOGIA ... 113

4.B. INDIVIDUAZIONE DELLE AZIENDE E CRITERI DI SELEZIONE ... 114

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4.c.I. Immobiliare Grande Distribuzione (IGD) ... 116

4.c.II. Klépierre ... 126

4.c.III. Corio ... 136

4.c.IV. Eurocommercial Properties ... 147

4.c.V. Gallerie Commerciali Italia (GCI) ... 150

4.c.VI. SES Spar European Shopping Center (Aspiag Service) ... 157

5.  LA  SOSTENIBILITÀ  PER  I  PROMOTORI  E  GESTORI  DEI  CENTRI  COMMERCIALI  ..  162  

5.A. DISCUSSIONE DELLA RICERCA ... 162

5.B. IMPLICAZIONI DI MANAGEMENT ... 172

5.C. LIMITI DELLA RICERCA ... 176

5.D. NUOVE VIE DI RICERCA ... 178

CONCLUSIONE  ...  180  

APPENDICE  ...  184  

BIBLIOGRAFIA  ...  191  

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INTRODUZIONE

La crisi finanziaria iniziata nel 2008 negli Stati Uniti ed estesasi negli anni successivi all’Europa, assumendo progressivamente i contorni di una forte crisi economica, ha posto negli operatori economici e politici alcuni spunti di riflessione circa la validità dell’attuale modello su cui è impostato il sistema economico e sociale della società capitalistica.

Tra i vari ambiti oggetto di discussione si rivela di particolare interesse quello legato al consumo, elemento che più di tutti può essere considerato l’emblema dell’attuale società post-moderna. Il consumo di oggetti è sempre stato presente nelle società umane in quanto legato al bisogno, concetto che in senso lato è insito nella natura umana, e ne esprime un modo attraverso il quale si ricerca la sua soddisfazione; costituisce inoltre una fase all’interno di ciò che la sociologia definisce ciclo della cultura materiale e che lo vede contrapporsi alla fase della produzione.

Ciò che caratterizza la società post-moderna quindi non è il consumo in sé, ma proprio il suo ruolo preponderante nel modello socio-economico, dal quale trae origine ciò che si definisce consumo di massa. Questo concetto, in realtà, è una diretta conseguenza della massificazione delle due fasi antecedenti nel ciclo della cultura materiale, ossia produzione e distribuzione. Con riferimento alla prima, cominciata alla fine dell’800 con le teorie di Taylor sulla specializzazione del lavoro e applicata poi attraverso lo sviluppo del modello produttivo fordista, è possibile trovare ampia letteratura con cui approfondire il tema e anche riguardo alla nascita e allo sviluppo della grande distribuzione e dei vari formati distributivi le fonti letterarie abbondano.

Dall’altro lato, tuttavia, a partire dalla fine degli anni ’70 ha iniziato a emergere negli Stati Uniti un filone di pensiero legato al cosiddetto consumo critico che intende opporsi alla visione di un consumatore come soggetto passivo del ciclo economico e, partendo con azioni di contrasto e di protezione legale dei diritti degli acquirenti, si propone di concentrarsi su un’analisi maggiormente complessiva delle scelte sociali e politiche che possono trovare espressione attraverso le merci acquistate. Il consumatore critico pertanto si rifiuta di subire passivamente le scelte strategiche delle imprese in merito ai prodotti in commercio e diviene cosciente del ruolo “politico” che il suo comportamento di acquisto è in grado di esercitare sulle stesse. Con il passare del tempo tali ideologie hanno iniziato a influenzare anche i consumatori europei e la loro

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diffusione si è accentuata negli anni grazie da un lato alla globalizzazione e dall’altro alla rapida evoluzione di internet ed in particolare del web 2.0, che ha aumentato i canali di espressione e comunicazione dei consumatori sia tra di loro sia aumentando i punti e le possibilità di contatto con le aziende.

Ad oggi, l’ambito preponderante di pensiero legato al consumo critico si può considerare quello che si rispecchia nei valori della sostenibilità ambientale e sociale, che anche il legislatore negli ultimi vent’anni ha iniziato a supportare, fornendo ai consumatori strumenti per la riconoscibilità dei prodotti e delle aziende in linea con i propri principi etici. Se per le aziende industriali, quindi, la considerazione all’interno delle scelte strategiche di questi filoni di pensiero è in corso già da diversi anni, per le aziende distributive il consumo critico tende a essere visto più come una minaccia che come una reale possibilità di sviluppo e differenziazione, conducendo talvolta ad un atteggiamento ostile verso i consumatori che manifestano la loro adesione a questi principi etici.

Per la verità nella Grande Distribuzione Organizzata l’accoglimento di questi principi è stato abbracciato già da alcuni anni, in particolare sotto la pressione di Coop che già nella sua forma societaria di cooperativa contempla il perseguimento di obiettivi differenti dalla massimizzazione del profitto economico per i soci. Ciò ha reso più semplice l’adozione di strategie e modelli organizzativi maggiormente propensi all’accoglimento dei temi della sostenibilità ambientale e sociale.

Nel mondo della distribuzione contemporanea non va però dimenticato il ruolo svolto dai centri commerciali pianificati in tutte le loro tipologie e formati che ormai dominano le aree periferiche delle città italiane ed europee, e sono sviluppati sempre più spesso al posto dei vecchi stabilimenti produttivi di grandi aziende del passato ormai chiuse o trasferite all’estero. In questi ultimi anni, la loro attività sta tornando di attualità, in particolare con riferimento alla concorrenza fatta nei confronti delle attività commerciali dei centri storici cittadini e ai problemi che le esternalità negative da essi provocate generano sul livello di qualità della vita nelle zone circostanti. Dall’altro lato, l’attenzione dei promotori, come detto, si sta sempre concentrando su progetti che puntano alla riqualificazione delle aree cittadine abbandonate o degradate per limitare il consumo di suolo e contribuire alla rivitalizzazione delle città. Diventa quindi importante indagare quanto i temi della sostenibilità ambientale, sociale ed economica e dello sviluppo sostenibile possano rappresentare degli elementi cardini in grado di

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caratterizzare il futuro dei centri commerciali, così come sembra essere per il resto della grande distribuzione.

Questa tesi si concentra proprio sui centri commerciali e si pone l’obiettivo di verificare se le aziende promotrici e gestori di centri commerciali adottano in modo strategico un approccio alla sostenibilità, di individuare le principali politiche e iniziative attuate sul tema e di determinare quanto tale approccio possa ritenersi elemento strategico per migliorare la competitività futura degli operatori.

Tale obiettivo viene raggiunto attraverso una ricerca qualitativa effettuata su sei imprese attive nel mercato italiano della promozione e gestione di centri commerciali, attraverso l’analisi e la comparazione dei rispettivi bilanci di sostenibilità e l’integrazione con tre interviste semi-strutturate rivolte a quegli operatori che offrono informazioni insufficienti nei siti web aziendali e nei documenti pubblici per poter trarre delle conclusioni corrette e attendibili.

La tesi è costituita da cinque capitoli che si focalizzano su aspetti differenti dell’argomento. Nei primi due si presenta una sintesi di quanto già trattato dalla letteratura sul tema dei centri commerciali per permettere di delineare al meglio la situazione attuale.

Nel dettaglio il primo capitolo presenta brevemente la storia della nascita e dell’evoluzione della formula distributiva fino ai giorni nostri e illustra e definisce i principali formati e tipologie di centri commerciali attualmente presenti in alcune macro aree geografiche, approfondendo la situazione italiana.

Il secondo capitolo individua le fasi che portano all’apertura di un nuovo centro commerciale, descrive gli attori pubblici e privati che intervengono in ciascuna di esse, illustra le principali strategie per la promozione e gestione di un centro commerciale e, nell’ultima parte, ne delinea il ciclo di vita.

Nel terzo capitolo viene presentato il tema della sostenibilità, attraverso un breve excursus storico che va a delineare le tappe fondamentali che ne hanno portato alla definizione. Si analizzano poi i riflessi che questa tematica ha assunto con riguardo al consumatore e le implicazioni nelle strategie adottate dalle aziende. S’individuano quindi le azioni messe a punto da alcune nazioni occidentali per attuare gli impegni presi in sede internazionale e rispondere alle richieste provenienti dall’opinione pubblica. Il capitolo prosegue individuando le implicazioni che l’adozione di un approccio alla sostenibilità ha nelle aziende promotrici e gestori di centri commerciali e

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si conclude con l’individuazione degli stakeholder ai cui interessi queste stesse aziende dovranno rispondere con adeguate politiche sul tema.

Il quarto capitolo è costituito dalla ricerca: viene quindi illustrata in modo dettagliato la metodologia utilizzata e si espone quanto è emerso nel corso della stessa, andando a presentare le aziende coinvolte e le iniziative attuate e quelle in prossima realizzazione da ciascuna per rispondere agli interessi degli stakeholder precedentemente individuati. Nel quinto capitolo si discutono i risultati ottenuti e si approfondiscono le implicazioni di management per i promotori e gestori di centri commerciali che emergono dalla stessa. Si evidenziano poi i limiti riscontrati nel realizzarla e, in conclusione, si propongono nuove vie di ricerca che si possono intraprendere partendo dai risultati ottenuti.

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RINGRAZIAMENTI

Per la realizzazione di questa tesi si ringraziano la Dottoressa Barbara Taccini di “Sincron Inova” per il supporto fornito con la fornitura di dati aggiornati sui centri commerciali e di materiale d’interesse per la tesi, Filippo Pedrazzoli, studente dell’Università IUAV per i riferimenti fornitomi per la realizzazione di alcuni paragrafi di ambito architettonico e i miei genitori per tutto il sostegno offertomi durante tutto il percorso di studi e il periodo di stesura di questo lavoro conclusivo.

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1. STORIA E FORMATI DEI CENTRI COMMERCIALI

1.a. Storia ed evoluzione dei centri commerciali

La letteratura che affronta temi inerenti ai centri commerciali pianificati si rivela abbastanza fornita, in particolare a livello internazionale; tuttavia risulta carente una visione d’insieme che presenti analiticamente l’intero modello di business attorno a cui si sviluppa questa componente fondamentale della distribuzione moderna. In questi primi due capitoli s’intende quindi presentare in modo completo tutti gli aspetti che interessano questo settore commerciale, illustrando in questo capitolo cosa sono i centri commerciali, la loro evoluzione storica e le classificazioni internazionali in termini di formati e concentrandosi nella parte finale sulla situazione del mercato italiano.

Per poter discutere questo argomento è necessario in prima battuta definire ciò che s’intende per centro commerciale o shopping center. A tal fine si è trovata larga condivisione nella letteratura internazionale nel convalidare la definizione fornita dall’International Council of Shopping Centers (ICSC) secondo cui: “A shopping centre is a group of retail and other commercial establishments that is planned, developed, owned and managed as a single property, typically with on-site parking provided” (ICSC, 2004, 1; citato in Pitt, Musa, 2009, 40; Abrudan, 2011, 10; e altri). Una definizione italiana che molto si avvicina a quella sopra citata può essere “un insieme non casuale, ma pianificato di imprese commerciali e di servizi sviluppato e gestito secondo criteri di unitarietà su un’area appositamente destinata” (Horvàth, 2000, 9). Ciò quindi che contraddistingue una qualsiasi area commerciale urbana da un centro commerciale è l’unitarietà della pianificazione e della gestione (Pitt, Musa, 2009, 40), quasi sempre accompagnata da unitarietà proprietaria che sussiste su tutti gli spazi commerciali e soprattutto sulle aree comuni. In questo modo gli utenti hanno la possibilità di soddisfare una molteplicità di bisogni (non solo economici, ma anche ad esempio sociali) nello stesso posto. Questa caratteristica è riscontrabile già nei primi formati di centri commerciali sorti in particolare negli Stati Uniti e in Gran Bretagna a partire dagli anni ’20: si trattava per lo più di prototipi realizzati per accompagnare i primi sviluppi delle città verso le periferie, così da fornire a queste nuove aree residenziali un insieme di servizi distributivi. La formula distributiva si è andata pian piano sviluppandosi e solo negli anni ’50 si ebbe la nascita dei primi formati di centri commerciali moderni così come sono intesi oggi (Horvàth, 2000, 8).

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Nello specifico il primo shopping center realizzato viene considerato dalla letteratura il “Country Club Plaza” di Kansas City del 1923 in cui si riscontravano “progetto architettonico unificato, selezione delle unità commerciali e di servizi, parcheggio privato e management unificato” (Cesdit, 1987; citato in Horvàth, 2000, 14), caratteristiche queste che corrispondono alla definizione sopra illustrata. Nel corso del decennio poi si svilupparono altri strip center, sempre collocati nelle aree periferiche delle città statunitensi, basati sul formato del Country Club: questo prevedeva una struttura architettonica molto semplice, con i negozi e i servizi disposti linearmente, dotati di un parcheggio di fronte alle vetrine e un’altra area aperta sul retrobottega dedicata allo scarico delle merci. Già allora, inoltre, questi primi centri erano dotati di un’ancora (individuata in un supermercato, formula di vendita anch’essa innovativa per l’epoca) che, come sarà illustrato meglio nel seguito, costituisce un elemento imprescindibile del tenant mix per gran parte dei formati di centri commerciali esistenti attualmente. Tra gli anni ’30 e ’50, poi, sempre negli Stati Uniti sorsero altri strip center con piante architettoniche più elaborate (tipicamente L-shaped o U-shaped) (Horvàth, 2000, 15), anche se la trasformazione della crisi finanziaria del 1929 in crisi economica ed il successivo scoppio della seconda guerra mondiale ne rallentarono la diffusione. Al termine del conflitto, prima negli Stati Uniti e in seguito anche in Europa, iniziarono a consolidarsi alcuni trend sociali abbastanza significativi legati al passaggio a una società di tipo moderno ed in particolare (Horvàth, 2000, 16; Beltramini, Taylor, 1993, 8):

• Sviluppo delle periferie urbane, legato al grande afflusso di forza lavoro non specializzata dalle campagne in cerca di occupazione nelle nuove fabbriche e in quelle in via di ricostruzione;

• Motorizzazione di massa (che negli USA iniziava ad emergere già prima della guerra grazie al Fordismo e alla meccanizzazione nell’industria automobilistica). Ciò portò a un allargamento del bacino di utenza dell’offerta commerciale, cui seguì parallelamente un ampliamento delle dimensioni medie dei punti vendita al dettaglio. In questi anni, infatti, si andarono sviluppando le prime forme vere di distribuzione moderna legate da un lato a un utilizzo spinto delle nuove forme organizzative e tecnologiche per la produzione di massa dei beni e dall’altro alla sempre maggior spinta alla massificazione dei bisogni. Così, anche nei centri commerciali di nuova progettazione, iniziarono ad emergere alcune peculiarità che ancor oggi caratterizzano il formato ed in particolare la mall (introdotta dal “North Gate Center” di Seattle nel

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1950), la disposizione dei tenant su più piani, l’impianto di condizionamento centralizzato, il cluster layout e l’attenzione ai requisiti estetici del centro, nonché la mall chiusa e la presenza di più ancore (Horvàth, 2000, 16).

L’attenzione quindi viene posta essenzialmente nel cercare di accrescere il più possibile il potere di attrazione di questi centri, così da incrementarne il flusso di utenza: per ottenere ciò si cerca sia una diversificazione dei tenant così da soddisfare cumulativamente svariati bisogni, sia di creare un’atmosfera tale che possa essere sufficientemente vicina a quella dei centri città. Da menzionare a questo punto la definizione che il Land Institute of Washington dava di shopping center già nel 1944: “Un insieme di imprese commerciali progettate, costruite e gestite come una sola unità, con localizzazione, dimensioni e offerta merceologica funzionali alle caratteristiche del relativo bacino di utenza; l’afflusso dell’utenza doveva essere favorito dalla disponibilità di ampi parcheggi, proporzionalmente alla tipologia e alle dimensioni degli esercizi presenti” (Horvàth, 2000, 17); essa incarna già molti elementi chiave presenti nella definizione dell’ISCS del 2004. Nel creare quest’atmosfera, un ruolo centrale è giocato proprio dalla mall che, indipendentemente dal formato (che la porta ad essere configurata in modi differenti), in questa veste serve da “armonizzatore ambientale” (Horvàth, 2000, 18) nel ricreare un’atmosfera piacevole e stimolante allo shopping, senza che il cliente si senta oppresso o forzato all’acquisto.

Ad ogni modo, lo sviluppo degli shopping center negli Stati Uniti fu molto massiccio tra gli anni ’50 e gli anni ’80; si ricordano quindi i centri che storicamente apportarono le principali innovazioni ai formati: oltre al già citato “North Gate Center” di Seattle, il “Northland Center” viene universalmente considerato il primo centro commerciale moderno a carattere regionale (Horvàth, 2000, 19) con una disposizione rettangolare dei negozi, lo “Shopper World Center” previde invece i negozi disposti su due piani così da limitare lo spazio richiesto per l’edificazione dello stabile, il “Southdale Center” fu, invece, il primo a disporre di una mall chiusa e climatizzata e soprattutto di due ancore che si rafforzavano a vicenda dall’avere un mix merceologico complessivamente più completo. I regional center raggiungeranno una consistente diffusione negli USA negli anni ’80, portando il formato a un livello di piena maturità e spingendo gli attori interessati allo sviluppo di nuovi centri commerciali all’ideazione di nuovi formati, quali i community center, i neighborhood center, gli speciality shopping center realizzati in ambiente cittadino (principalmente recuperando vecchie aree degradate

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delle città americane) e i festival center. Negli anni ’90 la frequentazione dei centri commerciali si è ormai consolidata nelle abitudini degli americani, tanto da incidere nel 1998 per il 51% delle vendite complessive al dettaglio e per l’8% dell’occupazione complessiva dei settori secondario e terziario (Horvàth, 2000, 31). La crescita a livello assoluto dei centri invece si avvia verso la stabilità e ad oggi i mercati statunitense e canadese si considerano pienamente maturi (Abrudan, Dabija, 2009, 540).

Per quanto riguarda l’Europa, è noto come l’evoluzione verso forme distributive moderne sia avvenuta in tempi più recenti rispetto agli Stati Uniti e ciò è accaduto pure nel campo dei centri commerciali, anche a seguito delle conseguenze della seconda guerra mondiale. Nel secondo dopoguerra, infatti, l’atteggiamento dei governi del vecchio continente si dimostrò più attento a creare un clima favorevole allo sviluppo industriale e alla ripresa delle attività commerciali tradizionali, mantenendo un rigido sistema di controllo per la pianificazione urbana che non aiutò l’iniziativa imprenditoriale che avesse voluto sviluppare centri commerciali. Inoltre, la motorizzazione di massa non iniziò prima degli anni ’50 in tutti gli Stati europei del blocco occidentale e ciò scoraggiò ulteriormente la realizzazione di nuovi edifici commerciali nelle periferie delle città. In questo decennio, tuttavia, iniziarono ad essere sviluppati i primi centri commerciali ispirati al modello statunitense, soprattutto nei paesi anglosassoni (affini culturalmente agli USA) e in Francia, dove si riscontrarono gli stessi trend sociali legati al passaggio alla società moderna avvenuti precedentemente negli Stati Uniti, favoriti dalla forte spinta all’industrializzazione connessa al Piano Marshall: sviluppo delle periferie urbane, miglioramento infrastrutturale e motorizzazione di massa.

In parallelo va rilevato come in questi Stati s’iniziarono a sperimentare anche nuovi formati distributivi come gli ipermercati in Francia e le grandi superfici specializzate nel Regno Unito. Ciò che incentivò la progettazione di centri commerciali strutturalmente differenti da quelli statunitensi, che erano impostati sulla riproduzione in periferia in modo artificiale e pianificato di tutte le funzioni tipiche dei centri commerciali naturali, ossia i centri cittadini (Horvàth, 2000, 25).

La vera e propria diffusione dei centri commerciali pianificati, tuttavia, si ebbe negli anni ’70 quando la produzione industriale di massa, ormai giunta a piena maturazione e divenuta asse portante nella produzione di ricchezza degli Stati europei, premeva per lo sviluppo di una società sempre più imperniata sul consumo e di conseguenza per una

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distribuzione più moderna. Così facendo essa sarebbe stata in grado da un lato di rispecchiare i profondi mutamenti valoriali e di stile di vita legati al passaggio dalla società contadina a quella industriale e dall’altro di ridurre le incertezze derivanti da un processo di acquisto frammentato e poco controllabile. In questo modo si sarebbe adottato anche nella distribuzione un approccio quanto più razionale e universalistico, in grado di valorizzare al meglio le merci in vendita e permettere al sistema produttivo stesso di sostenere quei ritmi che potessero massimizzare le economie riscontrabili con il sistema tayloristico.

In questi anni in Francia avvennero le prime aperture di grandi centri periferici di attrazione regionale, concorrenti quindi della distribuzione tradizionale dei centri storici; in seguito, grazie al miglioramento dei trasporti pubblici, saranno aperti anche centri nella fascia urbana cittadina, come “Le Part Dieu” a Lione (Horvàth, 2000, 23). Negli anni ’80 poi si sperimentarono altri formati di centri commerciali (soprattutto intercommunity center), tutti dotati di un’ancora stabilmente identificata nell’ipermercato.

Nel Regno Unito, ancor più che in Francia, lo sviluppo dei centri commerciali è andato di pari passo con lo sviluppo urbano, anche grazie all’intervento diretto delle amministrazioni pubbliche sia locali sia nazionali. Queste, infatti, spesso hanno promosso direttamente quest’attività con diversi interventi, quali ad esempio la concessione o la cessione di terreni di proprietà pubblica e di scarso interesse commerciale per tali iniziative (Beltramini, Taylor, 1993, 38). Come già in precedenza accennato, in Gran Bretagna la nascita dei centri commerciali è stata accompagnata dallo sviluppo delle grandi superfici specializzate, anche se l’esigenza di realizzare i centri nelle periferie è stata osteggiata sia dalle autorità pubbliche sia dal commercio tradizionale, entrambi preoccupati dagli effetti di potenziale desertificazione dei centri storici che una scelta di questo tipo poteva portare. All’opposto che in Francia quindi, ciò portò, nel periodo dal 1965 e per tutti gli anni ’70, alla realizzazione solo di piccoli centri commerciali cittadini (tipicamente chiusi); i grandi centri regionali periferici, invece, ebbero il periodo di massimo sviluppo solo nella seconda metà degli anni ’80. Questi ultimi erano caratterizzati da una particolare attenzione al design, dalla presenza di ancore come l’ipermercato e le grandi superfici specializzate, da un elevato livello di offerta commerciale e dalla presenza di servizi quali le aree ristorazione e quelle per il tempo libero, in grado di arricchire la shopping experience di un consumatore più

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evoluto (Horvàth, 2000, 25).

Per quanto riguarda invece l’Europa del Sud, i primi centri commerciali sono sorti in tempi più recenti e, spesso, con più rapidità: in Spagna per esempio si ebbe una grande diffusione soprattutto tra gli anni ’801 e nei primi anni ’90, grazie a una normativa urbanistica non troppo restrittiva e, in un primo momento, a iniziative messe in campo quasi esclusivamente da gruppi stranieri (Horvàth, 2000, 28). In questo Paese si diffusero principalmente tre formati di centro commerciale (Horvàth, 2000, 29):

• il regionale extra-urbano, con ipermercato o grande magazzino che funge da traino;

• il piccolo centro urbano focalizzato sulla specializzazione dell’offerta nel comparto non alimentare;

• il centro integrato in cui le tradizionali funzioni dedicate allo shopping passano in secondo piano ed il core dell’offerta si concentra sulla soddisfazione dei bisogni legati al tempo libero (attività sportive, ristorazione e attività d’intrattenimento soprattutto).

In merito alla situazione italiana, il comparto dei centri commerciali rispecchia lo stato di sviluppo in cui versa l’intera distribuzione moderna: la presenza di centri commerciali nelle diverse forme si è maggiormente diffusa nel nord del Paese e cala sensibilmente dal momento in cui si scende nel meridione. Tale circostanza è dovuta a diversi aspetti, tra i quali la disponibilità reddituale del bacino d’utenza, lo sviluppo infrastrutturale e la politica di pianificazione territoriale. Non va dimenticato, tuttavia, l’aspetto socio-culturale che vede una netta contrapposizione tra i consumatori del nord e del sud nel recepire gli stimoli al rivolgersi alla distribuzione moderna: i primi, infatti, tendono a rivolgersi più spontaneamente a quest’ultima, sostenuti anche da uno stile di vita più frenetico, dal maggior grado di urbanizzazione e da una superiore maturità nelle scelte di acquisto. Viceversa nel sud del Paese l’esistenza di una società rurale, il familismo amorale, il minor favore nell’accoglimento delle innovazioni tecnologiche e l’adozione di uno stile di vita tendenzialmente più tranquillo rendono più difficile la mutazione delle abitudini di acquisto del potenziale consumatore e riducono la propensione al rivolgersi alla distribuzione moderna. Ad ogni modo in Italia prevalgono i centri di dimensioni medie e il formato del centro commerciale despecializzato con traino principale nell’ipermercato (Horvàth, 2000, 30); negli ultimi anni tuttavia la

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situazione si è andata evolvendo e ormai quasi tutti i centri commerciali tradizionali dispongono anche di grandi superfici specializzate (tipicamente dell’elettronica e del bricolage).

In sintesi, in Europa alla fine degli anni ’90 “Gran Bretagna e Francia occupano una posizione preminente sia in termini di superficie complessivamente sviluppata, sia per numerosità di centri commerciali aperti e per il livello di concentrazione degli stessi” (Horvàth, 2000, 34), anche se con una crescita che si avviava verso l’assestamento; al contrario invece, si assisteva a un tasso di crescita ancora intenso in Germania e Spagna. All’alba del nuovo millennio le evoluzioni in atto consistevano in un avvicinamento dei nuovi centri commerciali verso il centro delle città, con conseguente riduzione delle dimensioni degli stessi e puntando al recupero di aree urbane abbandonate o inutilizzate. Si registrava inoltre l’espansione internazionale dei promotori francesi e spagnoli con nuove promozioni rivolte ai Paesi del sud e dell’est Europa. La situazione attuale è la seguente (Abrudan, Dabija, 2009, 540): i paesi scandinavi, la Gran Bretagna, la Francia, i Paesi Bassi e la Germania sono mercati maturi, la Spagna, il Portogallo e l’Italia sono mercati in sviluppo, mentre i paesi dell’est Europa, la Russia, la Turchia e la Grecia sono mercati emergenti.

1.b. Formati di centri commerciali

Nel corso degli anni si è assistito ad una forte crescita riguardo il numero e le caratteristiche dei formati di centri commerciali. Ciò è legato sia alla spinta alla differenziazione e all’innovazione che si ha laddove vi è una sempre maggior saturazione geografica del mercato (Pitt, Musa, 2009, 40), sia alle differenti caratteristiche politiche, sociali, culturali ed economiche che si hanno nei diversi Stati, per cui spesso un formato necessita di subire degli adattamenti per essere “esportato” fuori dalla nazione dove è stato ideato. Attualmente, non c'è concordia per quanto riguarda il numero di formati di centri commerciali esistenti e l'esatta descrizione delle caratteristiche di ciascuna categoria, soprattutto sotto il profilo internazionale. Saranno quindi presentate le principali classificazioni riscontrabili in letteratura e le differenze tra i vari approcci. Tra queste viene considerata la più autorevole a livello mondiale quella fornita dall’International Council of Shopping Centers, anche se comunque tutt’oggi sussistono tipologie di centri commerciali particolarmente innovativi che non possono essere categorizzati nei formati esistenti (Abrudan, 2011, 9). Per tutti i motivi

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indicati, si individuano le principali classificazioni in base a tre zone geografiche: Nord America, Europa e Asia/Australia.

1.b.I. Mercato nord-americano

Nel mercato nord-americano ICSC individua tre macro-categorie (Pitt, Musa, 2009, 40; Abrudan, 2011, 10): malls, open-air centers e hybrids center (Tabella 1.1) che offrono le linee guida per individuare le principali differenze tra i formati. Va precisato che i criteri più determinanti nella classificazione sono da ricercare nella tipologia di beni e servizi offerti e nelle dimensioni (ICSC, 2004; citato in Abrudan, 2011, 10).

Tabella 1.1: Classificazione ICSC, 20042

CATEGORIE

FORMATI

Mall Regional center Super-regional center Mill Open air Neighborhood center Community center Lifestyle center Power center

Speciality center (Theme center e Festival center) Outlet center

Hybrids center

Mega malls

Power lifestyle center Entertainment-retail center

• Mall: centri commerciali chiusi, con condizionamento d’aria, illuminazione artificiale e parcheggio, tipicamente collocati in aree sub-urbane nei pressi delle principali arterie stradali. In questa categoria rientrano i regional center, “grandi centri pianificati che servono una vasta area commerciale e che forniscono merci e servizi in generale” (ICSC, 1999, 1; citato in Abrudan, 2011, 10), dotati di due o più ancore (department stores o punti vendita di catene nazionali) e più di 150 piccoli retailer (Abrudan, 2011, 10). Le dimensioni variano da circa 37.000 a 800.000 m2, mentre la superficie lorda affittabile è mediamente di 41.800 m2 (Pitt, Musa, 2009, 43). L’assortimento, particolarmente vasto sia in ampiezza sia in profondità, si compone soprattutto di beni ad acquisto ponderato, anche se non è raro incontrare anche retailer che vendono beni speciali e beni ad acquisto più

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frequente. Si possono quindi trovare beni di abbigliamento, calzature, prodotti per la cura della persona, attrezzature sportive, mobili, high-fidelity ed elettronica, oltre ad una gamma completa di servizi bancari, postali, fitness, centri estetici. Anche l’intrattenimento svolge un ruolo importante in questo formato grazie alla presenza di food courts, teatri, cinema e sale congressi; nelle aree adiacenti spesso sorgono alberghi o strutture residenziali, ma anche “strip center per garantire un’offerta più immediata di generi di largo consumo” (Horvàth, 2000, 105). Il bacino d’utenza dei regional center è superiore alle 100.000 persone con un raggio di attrazione attorno ai 30 minuti di auto (dalle 10 alle 50 miglia). Questo formato di centro rappresenta negli Stati Uniti anche un punto di riferimento per la vita sociale delle comunità suburbane, grazie allo svolgimento al suo interno di spettacoli, cerimonie pubbliche e incontri culturali. (Horvàth, 2000, 106).

Una loro evoluzione è identificabile nei super-regional center, analoghi ai precedenti, ma con dimensioni, varietà di assortimenti e formati di negozi più grandi (Abrudan, 2011, 10), in particolare incentrati su abbigliamento, mobili e arredamento (Pitt, Musa, 2009, 43): hanno, infatti, una GLA superiore ai 75.000 m2, e dispongono di tre o più traini di almeno 9.300 m2 ciascuno (Pitt, Musa, 2009, 43). Una variante del super-regional center è il mill che al posto delle tradizionali ancore despecializzate incentra la sua offerta sui value-oriented retailers: category killers, off-price retailers e catene di negozi specializzati, dedicando grande spazio anche all’intrattenimento e alla ristorazione. La gran parte di essi è stata sviluppata dal promotore “The Mills Corporation”, spesso agevolato dall’autorità pubblica per via della rilevanza sociale che questi progetti assumono grazie ai posti di lavoro creati (sia in fase costruttiva sia durante l’ordinario esercizio) e al gettito fiscale (Horvàth, 2000, 127).

• Open-air center: complesso di negozi gestiti come un’unica unità, con spazi e aree di passeggio comuni all'aperto (le vetrine possono essere collegate da tettoie aperte) e un parcheggio in loco; tipicamente la disposizione degli store è lineare, L-shaped, U-shaped o Z-shaped (Abrudan, 2011, 10; Pitt, Musa, 2009, 43).

A questo gruppo appartengono i neighborhood center (centri commerciali di prossimità) focalizzati nella soddisfazione dei bisogni quotidiani dei consumatori dei quartieri limitrofi, con il traino individuabile nel supermercato o nel drugstore che occupa in media dal 30% al 50% della superficie; va precisato che nel 45% di

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citato in Horvàth, 2000, 99). Sono costituiti da 15/20 negozi di piccole dimensioni che offrono prodotti ad alta frequenza di acquisto (pane, liquori, ferramenta, cartoleria, farmacia, tabacchi, ecc.) o servizi (barbieri, salone di bellezza, distributore di carburanti) o in alternativa si dedicano alla ristorazione; la dimensione media negli Stati Uniti è tra i 2.800 m2 e i 14.000 m2, con una GLA media di 4.650 m2 (Kyle, 2000; citato in Pitt, Musa, 2009, 11). La configurazione tipica è lineare con i parcheggi disposti di fronte ai negozi (ICSC, 2004; citato in Abrudan, 2011, 10). Soddisfacendo le necessità di consumo più immediate, lo sforzo d’acquisto e la comparazione dei prezzi da parte del consumatore si può considerare trascurabile e pertanto l’assortimento è in genere ristretto; il bacino d’utenza varia in genere dalle 3.000 alle 50.000 persone. Sono collocati in aree residenziali suburbane, in prossimità di arterie stradali, ma anche in aree urbane più centrali nei pressi di uffici o di quartieri densamente popolati.

Un altro formato è quello dei community center, ossia un centro che “si colloca in una posizione dimensionalmente intermedia rispetto ai centri di prossimità e a quelli regionali” (Horvàth, 2000, 103) con una GLA media di 14.000 m2 che varia dai 9.200 ai 37.000 m2 (Graham, Bible, 1992; citato in Pitt, Musa, 2009, 43). I negozi sono disposti linearmente, L-shaped o a U-shaped e offrono una più ampia varietà e assortimento di prodotti e servizi rispetto al formato precedente, con un’offerta focalizzata su convenience e shopping goods. Le ancore in questo caso possono essere supermercati tradizionali, discount, drugstore, junior department store o un category killer, ma si possono trovare come insegne principali anche punti vendita specializzati di insegne nazionali; a completamento del tenant mix vi sono gli esercizi minori, in genere quantificabili tra le 20 e le 70 unità. Il bacino d’utenza è costituito da una o più aree residenziali densamente popolate e la domanda potenziale è stimata dalle 20.000 alle 100.000 persone in un raggio di 10-20 minuti di automobile (Horvàth, 10-2000, 103); sono localizzati quindi prevalentemente in aree suburbane, nei pressi di grandi snodi viari e più di rado in zone centrali. Principalmente in questi centri viene attuata una strategia incentrata sulla differenziazione sia rispetto ad altre formule distributive sia rispetto ad altri formati di centro commerciale.

In questa categoria si menzionano poi i lifestyle center, ubicati solitamente in popolose zone residenziali; sono orientati a rispondere soprattutto ai valori e ai bisogni delle classi sociali più elevate, grazie ad un’offerta orientata all’espressione

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di un chiaro e definito stile di vita (Abrudan, 2011, 10). Si tratta di strutture dove si trovano negozi specializzati di catene nazionali di alta fascia; la GLA complessiva oscilla tra 14.000 e 46.500 m2, ma è molto variabile. L’aspetto ludico e di servizio è fondamentale, in quanto questo formato si caratterizza per il suo ruolo di destinazione multifunzionale dedicata al tempo libero. Si riscontrano pertanto in questi centri molti ristoranti, servizi d’intrattenimento, architettura e design originali in grado di ricreare una specifica atmosfera che permette di ottenere successo anche senza la presenza di ancore. Queste ultime, qualora ci siano, possono essere di tipo convenzionale o legate al mondo del fashion. In sintesi “un lifestyle center è quindi un luogo che coniuga l’offerta commerciale con la ristorazione, il direzionale con i servizi, e iniziative culturali e d’intrattenimento trasversali, uno spazio in cui attività diverse dell’esistenza degli individui possono svolgersi in maniera fluida e complementare, in cui si riproduce la varietà di esperienze che, in diversa concentrazione e modalità di fruizione, sono normalmente disponibili in ogni aggregato cittadino” (Randolin, 2009, 27). Il suo ruolo quindi trascende l’aspetto prettamente commerciale per focalizzare la sua attenzione sull’essere centro d’interesse sociale.

Al contrario i power center, diffusasi soprattutto negli anni ’90, fondano la loro caratteristica principale nella massiccia concentrazione in un unico luogo di tre o più category killer, department store, warehouse club e off-price store che offrono un’ampia varietà di beni a prezzi molto competitivi, affiancati da un numero limitato di piccoli negozi altamente specializzati (ICSC 2004, Bodkin, Lord, 1997; citato in Abrudan, 2011, 11). I traini occupano dal 75% al 90% dell’intera GLA del centro e sono attratti da canoni di locazione per unità di spazio estremamente competitivi. Va tuttavia premesso che il fenomeno del “cross shopping” tra insegne di settori diversi in questo formato risulta penalizzato sia per le ampie dimensioni del centro (spesso con un layout e una localizzazione penalizzante) sia per la poca attenzione alla selezione e disposizione dei tenant posta dai promotori (Bodkin, Lord, 1997; citato in Horvàth, 2000, 119). Sono localizzati nei pressi di importanti snodi viari e la GLA varia dai 23.000 agli 56.000 m2 con dimensione media in crescita. Questo formato si pone in diretta concorrenza con i regional mall, avendo un’eguale dimensione e target del bacino d’utenza su cui insiste; si differenzia da quest’ultimo grazie alla maggior ampiezza e profondità dell’assortimento, nonché

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formato prevede una disposizione dei tenant su un unico livello con una configurazione strip-shaped, anche se si possono trovare power center disposti su più livelli in quanto derivati da una ristrutturazione di vecchi department store (Horvàth, 2000, 118). Da rilevare infine come la presenza di insegne note e di successo quali sono le ancore dei power center consenta di fornire una solida garanzia alle banche per finanziare un progetto di realizzazione di un centro di questo formato, che quindi risulta di più semplice promozione rispetto ad un centro di formato differente.

I theme e i festival center, appartenenti entrambi alla categoria degli speciality shopping center (Horvàth, 2000, 101), sono caratterizzati da un tema che accomuna l’architettura e i negozi e che incide sull’atmosfera ricreata grazie ad un design sofisticato che enfatizza le ricche decorazioni e il paesaggio (Pitt, Musa, 2009, 43), rendendo quindi l’offerta complessiva del centro altamente differenziata. Proprio per questo motivo, il bacino di attrazione si estende all’area regionale. I beni e i servizi offerti non sono di prima necessità, ma, come per il lifestyle center, si tratta di shopping e speciality goods di alta qualità e prezzo, offerti da piccole unità di vendita specializzate (di solito nel settore non food); il tenant mix quindi può essere studiato per un solo settore merceologico oppure può comprendere merceologie diverse, ma riferite a un unico segmento di mercato. Un ruolo importante poi viene svolto dai servizi di intrattenimento che, a differenza dei lifestyle center, qui fungono proprio da ancore assieme alla ristorazione. Qualora presenti, i negozi di alimentari sono altamente specializzati per linea di prodotto o, in alternativa, offrono prodotti provenienti da altri Paesi (Horvàth, 2000, 101). La dimensione dei centri di questo formato si aggira tra i 7.500 e i 23.000 m2, con i negozi disposti su uno o più piani e dove viene data particolare cura proprio agli elementi di decoro e all’illuminazione, così da ottenere un look coerente con la localizzazione e con il segmento di mercato che si vuole raggiungere (Horvàth, 2000, 101). Questi centri mirano quindi a favorire le attività turistiche anche nella zona circostante rispetto all’area su cui sorgono, la quale può coincidere sia con i centri storici delle grandi città o delle cittadine con elevato patrimonio artistico sia con le aree residenziali suburbane, grazie al richiamo suscitato dall’ambiente naturale o dal patrimonio culturale racchiuso in certe costruzioni. A tal proposito il festival center è proprio quel formato di centro che viene sviluppato dai promotori attraverso il restauro di edifici storici secondo una strategia che risponde a due obiettivi tra loro interrelati:

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la valorizzazione di una struttura storica che viene recuperata e restituita alla città (senza la necessità di ingenti risorse pubbliche) e lo sfruttamento ai fini commerciali della stessa che permette di ripagare l’investimento iniziale dei privati, grazie proprio al fascino che tale struttura esercita. Il theme center invece si basa sulla costruzione ex novo complessi immobiliari alternando stili architettonici di diversi periodi o regioni che caratterizzano ciascun’area del centro: l’effetto che si ottiene è di dilatazione della realtà, analoga a quella che si può trovare nei parchi di divertimento. Questa “iper-realtà” è un elemento cardine del marketing contemporaneo in quanto fa leva sull’originalità dell’esperienza che il consumatore può maturare all’interno di ciascuno di questi centri.

Infine vi sono gli outlet center, sviluppatisi in particolare tra gli anni ’80 e ’90, dove al loro interno si trovano i factory outlet che vendono merci a prezzi scontati (ICSC, 1999, 3; citato in Abrudan, 2011, 11): si tratta in genere di eccedenze di magazzino di beni a fine produzione o che non hanno superato pienamente i controlli di qualità per finire nella rete vendita ordinaria (Guy, 1998; citato in Abrudan, 2011, 11). Un tempo erano annessi agli stabilimenti produttivi e la clientela era ristretta ai soli dipendenti dell’azienda produttrice. In seguito le aziende, resosi conto del limitato rischio di offuscamento della brand image che uno store che vende tale merce arreca, decisero di ampliare il bacino d’utenza e conseguentemente di allontanare i factory outlet dall’insediamento produttivo, ponendoli inizialmente in aree isolate fuori città. Il punto di arrivo di questa evoluzione è appunto l'outlet center, dove si sfrutta l’effetto sinergico di cross shopping che si genera dalla presenza di factory outlet di aziende di diversi settori (solitamente legate al mondo del fashion) e l’ambientazione scenografica particolarmente curata in grado di dare un significato e un’immagine distintiva al centro stesso. Alcune aziende, inoltre, usano i factory outlet per testare alcuni prodotti da inserire poi in gamma, mentre altre realizzano collezioni speciali appositamente per questo canale distributivo. Ad ogni modo questo formato non prevede ancore propriamente dette, ma assume grande rilievo la presenza nel tenant mix di alcuni brand chiave, in grado di fungere da “magnete”; le categorie di prodotti presenti negli outlet center sono: abbigliamento, calzature, articoli sportivi e articoli casalinghi. L’area di attrazione si estende dai 40 ai 120 km, mentre la dimensione complessiva varia dai 4.500 ai 37.000 m2. Il primo outlet center fu

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economica, disadorna e con poca cura per gli allestimenti espositivi, mantenendo coerenza con il layout degli “spacci aziendali” e con la fattura delle merci trattate. Negli anni successivi, l’offerta e le strutture sono migliorate, avvicinando sempre più l’immagine a quella dei mall (Horvàth, 2000, 120) e affiancando a una strategia incentrata sulla variabile prezzo anche un’attenzione ad altri elementi, come l’aspetto architettonico e l’atmosfera, che possano fungere da richiamo turistico. Da rilevare infine come l’apertura del factory outlet è di solito realizzata dall’azienda titolare dei marchi attraverso un investimento diretto, cosa che permette alla stessa di controllare direttamente questo canale, ma anche indirettamente di tenere sotto controllo i prezzi e i margini di profitto della distribuzione della cosiddetta “prima scelta”. Oltre a questi poi negli outlet center si trovano anche gli off-price retailers: distributori che vendono prodotti di marca e di qualità a prezzi scontati (Horvàth, 2000, 120).

• Hybrids centers: combinano elementi degli altri formati di centri commerciali. Alcuni esempi sono i mega-malls (combinazione di malls, power center e outlet), i power lifestyle center (combinazione tra i power center ed i lifestyle center) e gli entertainment-retail center (combinazione di spazi commerciali con cinema multisala, teatri, ristoranti a tema e altri servizi legati all’intrattenimento) (ICSC, 2004; citato in Abrudan, 2011, 11; Pitt, Musa, 2009, 41).

Al di fuori di questa classificazione poi, vanno menzionati dei nuovi formati che sono indirizzati verso specifiche nicchie di utenza o mirano a soddisfare particolari preferenze dei consumatori: si tratta dei convenience center, che hanno come peculiarità il traino da parte di un convenience store, e dei super off-price mall, dove il tenant mix è costituito da factory outlet, discount department store e category killers. Recentemente si stanno sviluppando negli Stati Uniti centri commerciali ad uso misto, definititi dall’ISCS come “un progetto immobiliare che prevede un’integrazione pianificata e in modo combinato di negozi, uffici, hotel, strutture per la ricreazione e per altre funzioni. È progettato per essere pedonalizzato e per avere al suo interno tutti gli elementi per lavorare, vivere e svagarsi. Viene massimizzato l’utilizzo dello spazio ed il confort e possiede un’[originale] espressione architettonica; è progettato per ridurre il traffico e l’estensione” (ICSC, 2006, 1; citato in Abrudan, 2011, 11), che integrano quindi attività commerciali con attività quotidiane di vita dell’utenza e sono rivolti ad accogliere in modo idoneo anche un flusso turistico non indirizzato esclusivamente allo shopping.

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Infine, sempre al di fuori delle macro categorie si collocano: vertical centers, downtown centers, off-price, home improvement e car-care centers (ICSC, 2004; citato in Abrudan, 2011, 11).

Sempre in merito al mercato americano vanno ricordate anche le classificazioni proposte dal National Council of Real Estate Investment Fiduciaries e del Nation Association of Real Estate Investment Trust, che sono allineate a quelle di ICSC (DeLisle, 2007, 34; citato in Abrudan, 2011, 11), presentando solo piccole variazioni di nomenclatura, come illustrato in Tabella 1.2.

Tabella 1.2: Classificazione NCREIF, 2013

L’Appraisal Institute propone una classificazione comparabile con quella ICSC, individuando quattro tipologie principali di centri equiparabili ai mall e otto tipologie di centri speciali (festival, fashion, off-price, discount, outlet, power, hypermarkets e warehouse club) (DeLisle, 2007, 11; citato in Abrudan, 2011, 12) in base a sei criteri: superficie lorda affittabile, ancore, tipi di merci, superficie totale, distanza e durata del viaggio verso il centro e area commerciale. Infine, il National Research Bureau compie una classificazione che sembra più specifica di quella di ICSC, ma da un'analisi più dettagliata emerge che alcune categorie si sovrappongono a quelli di ICSC, mentre la differenziazione tra le altre categorie può sembrare artificiale (Abrudan, 2011, 13); si

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1.b.II. Mercato asiatico e australiano

Un breve accenno viene dato ora al mercato asiatico, dove viene comunemente utilizzata la classificazione ICSC americana, e a quello australiano che presenta tre principali sistemi di classificazione. Il primo, redatto dallo Shopping Center Council of Australia, individua i seguenti formati (Urbis JHD, 2007, 6; citato in Abrudan, 2011, 13)

• Regional center: una grande struttura integrata per la vendita al dettaglio, che incorpora almeno un grande magazzino e una vasta gamma di altri servizi di vendita al dettaglio (Dimasi, 2001, 1; citato in Abrudan, 2011, 13);

• Discount department store: si tratta di centri di circa 20.000 m2, di solito costruiti attorno a uno o più grandi magazzini e uno o più supermercati;

• Supermarket based center (simili ai neighborhood center americani): di solito occupano meno di 10.000 m2 e comprendono uno o due supermercati e numerosi negozi specializzati, unità di servizio, ristoranti e caffetterie;

• Other center che includono strip center, homemaker / bulky goods centers e theme centers.

Il Property Council of Australia realizza una classificazione più particolareggiata che si basa sulle caratteristiche chiave di ogni formato e che identifica sei categorie base e quattro specialistiche; le prime sono:

• City centers: hanno una GLA di oltre 1.000 m2 e sono definiti come "spazio di vendita al dettaglio all’interno di una galleria o di un centro commerciale di proprietà di una società, ditta o persona e promosso come un'entità all'interno di un importante Central Business District" (Nguyen, 2007; citato in Abrudan, 2011, 14). • Super regional centers: oltre 85.000 m2, con due grandi magazzini full line, uno o

più grandi magazzini discount, due supermercati e circa 250 negozi specializzati. • Major regional centers: tra 50.000 e 85.000 m2, con uno o più grandi magazzini

full line, uno o più grandi magazzini discount, uno o più supermercati e circa 150 negozi specializzati.

• Regional centers: tra 30.000 e 50.000 m2, con un grande magazzino full line, un grande magazzino discount, un supermercato e circa 100 negozi.

• Sub regional centers: con una superficie tra 10.000 e 30.000 m2, sono caratterizzati da almeno un grande magazzino full line, un supermercato e circa 40 negozi.

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e circa 35 negozi specializzati.

Alla seconda categoria appartengono invece: bulky goods centers (analoghi ai power center americani), theme centers, outlet centers e markets centers.

Infine, l’ultimo sistema di classificazione viene fatto dalla rivista specialistica “Shopping Center News” ed è basata esclusivamente sulla GLA. Si hanno quindi:

• Big guns: centri con una GLA superiore a 45.000 m2 e costituiti da almeno un grande magazzino, uno o più grandi magazzini discount, un supermercato, piccoli negozi specializzati, ristoranti, cinema e servizi di intrattenimento e di svago. • Little Guns: centri con una GLA compresa tra 20.000 e 45.000 m2 che hanno come

ancora uno o più grandi magazzini discount e uno o più grandi supermercati.

• Mini Guns: centri con una GLA compresa tra 6.000 e 20.000 m2 che hanno in un supermercato o in un piccolo grande magazzino discount il loro traino; si tratta di neighborhood o community shopping centers che servono un bacino più ristretto rispetto agli altri due formati.

1.b.III. Mercati europei

In Europa, come già accennato, ci si trova di fronte ad una vasta eterogeneità di formati di centri commerciali, con differenze evidenti da stato a stato; non c’è quindi un sistema di classificazione unanimemente accettato. ICSC ha cercato di proporre un raggruppamento di massima utilizzabile per l’Europa, basandosi su una definizione generale leggermente più specifica di quella proposta in apertura di capitolo: un centro commerciale è “un’area di vendita al dettaglio che è pianificata, costruita e gestita come una singola entità, comprendente le strutture e le aree comuni, con una superficie minima lorda affittabile di 5.000 m2” (Lambert, 2006, 35; citato in Abrudan, 2011, 15). La struttura proposta individua 11 tipologie di centri raggruppate in due macro-categorie (come sintetizzato in Tabella 1.3): tradizionali e specializzati.

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Tabella 1.3: Standard internazionali per i formati di centri commerciali europei (Lambert, 2006; cit. in Abrudan, 2011, 15)

Format

Type of scheme

GLA (m

2

)

Traditional

Very large 80,000 and above

Large 40,000 - 79,999

Medium 20,000 – 39,999

Small Comparison based 5,000 – 19,999

Convenience based 5,000 – 19,999

Specialized

Retail park

Large 20,000 and above

Medium 10,000 – 19,999

Small 5,000 – 9,999

Factory outlet center 5,000 and above

Theme-oriented center Leisure - based 5,000 and above Non - leisure based 5,000 and above

I centri tradizionali sono descritti come multifunzionali, aperti o chiusi, e di varie dimensioni; in particolare i piccoli centri tradizionali (5.000-20.000 m2) possono implementare una strategia di tipo “comparison” o “convenience”. Nel primo caso si tratta di centri localizzati in aree urbane, privi di ancora, con negozi di abbigliamento, calzature, accessori, casalinghi, elettrodomestici, giocattoli, gioielli e altri negozi despecializzati. Nel secondo si tratta di centri ubicati in periferia con negozi che vendono anche beni di largo consumo, ancorati a un supermercato o a un ipermercato. Invece i centri specializzati si suddividono nei seguenti formati:

• Retail parks (parchi commerciali): molto simili ai power center americani, sono sorti con successo in Gran Bretagna all’inizio degli anni ’80 per poi diffondersi in Europa con continue innovazioni nel formato. La prima struttura di questo tipo è considerata il “Cambridge Close Retail Park”, aperto nel 1982 ad Aylesbury (Horvàth, 2000, 111). Questi centri hanno una GLA di almeno 5.000 m2 e sono costituiti da almeno tre category killer, ciascuno con non meno di 940 m2 di superficie. La localizzazione è comunemente suburbana (tipicamente nei pressi di grandi snodi viabilistici) e, necessitano di adeguato parcheggio; spesso sorgono in vecchie aree industriali dismesse, favorendo quindi un processo di riqualificazione funzionale ed evitando di consumare nuovo terreno vergine. Le continue innovazioni cui è stato soggetto il formato permettono di individuare tre fasi evolutive: la prima (anni ’70) in cui si avevano strutture di vendita per merci voluminose localizzate in zone isolate, la seconda (anni ’80) in cui si inizia a perseguire una logica aggregativa, anche se limitatamente a punti vendita trattanti merceologie simili, e la terza (fine anni ’90 e anni 2000) in cui sono stati sviluppati

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i parchi commerciali integrati con una maggior cura architettonica e un’offerta di prodotti ampliata (Horvàth, 2000, 112). Sempre più spesso, inoltre, accanto alle grandi superfici si trovano delle unità dedite alla fornitura di servizi legati alla ristorazione, al tempo libero e al wellness, avvicinando quindi questo formato ai centri tradizionali in termini di bisogni soddisfatti. L’intero processo è stato diretto da due forze: da un lato la progressiva saturazione dei centri che adottano il formato (intratype competition) e dall’altro una sempre maggior maturità del consumatore; entrambe hanno spinto i promotori e i gestori di questi centri alla ricerca di nuove soluzioni di differenziazione. Come per i power center americani, anche nei parchi commerciali europei le catene specializzate nel non food hanno la possibilità di accedere ad ampie superfici di vendita con affitti più contenuti rispetto a quelli previsti per altri formati di centri commerciali: ciò riflette, infatti, il minor investimento richiesto ai promotori per la realizzazione degli stessi. La favorevole accoglienza da parte del pubblico (Horvàth, 2000, 113) evidenzia la reddittività degli stessi negozi; come sarà approfondito meglio nel seguito poi, c’è da sottolineare un sempre maggior interesse in queste iniziative anche da parte di fondi pensione e investitori istituzionali. Nella riproposizione in altri Paesi europei, tuttavia, sono state apportate alcune modifiche al formato che ha dovuto essere riadattato rispetto alle diverse abitudini di acquisto, di consumo e culturali tipiche di una realtà variegata com’è quella del vecchio continente. Negli ultimi anni, infatti, il formato si è sempre più integrato con i centri tradizionali, assicurando una complementarietà d’offerta che aumenta il potere di attrazione.

• Factory outlet center: questo formato è stato riproposto in Europa dalle stesse società promotrici che lo hanno sviluppato con successo negli Stati Uniti come McArthur Glen: quest’azienda in particolare, nei primi anni ’90, ha sviluppato i primi FOC nel Regno Unito per poi aprire nuovi centri in diversi altri stati europei. Nello sviluppo del formato furono ricercate soluzioni architettoniche ed edili innovative, in grado di armonizzare al meglio i centri con l’ambiente circostante, minimizzandone l’impatto. Inoltre venne posta molta attenzione al clima, al leisure, all’ambientazione e alla scenografia del centro in modo che si potesse confare il più possibile con le abitudini socio-culturali del Paese in cui il formato veniva proposto, fornendo anche degli spunti di richiamo turistico. La riproposizione del formato nelle isole britanniche, tuttavia, non ebbe in un primo momento i riscontri

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sperati, soprattutto per l’avversione dimostrata dalle autorità pubbliche (Horvàth, 2000, 124).

• Theme center (parchi a tema): come i corrispondenti statunitensi, questi centri si focalizzano su una stretta e profonda selezione di merce; possono essere “leisure based” (solitamente ancorati a una multisala, includono ristoranti, bar, sale bowling, aree wellness e altri servizi legati all’intrattenimento e al tempo libero) oppure “non-leisure based” (ossia mirati ad un ristretto segmento di mercato come i passeggeri aeroportuali) (Abrudan, 2011, 15).

La letteratura poi presenta classificazioni più specifiche per ogni Stato, legata all’ampia varietà di centri che si sono sviluppati in Europa negli ultimi due decenni e alle differenze culturali e sociali esistenti nel continente. Saranno quindi presentati due sistemi di classificazione, così da fornire un chiaro quadro della situazione attuale: in particolare s’illustrerà il sistema di classificazione francese, vista l’importanza di questo Paese in termini di innovazione nella distribuzione, e quello italiano, su cui verterà il resto di questo lavoro.

In Francia, il French National Council of Shopping Centers propone una classificazione basata sulle dimensioni dei centri individuando i seguenti formati (Abrudan, 2011, 16):

Tabella 1.4 Formati centri commerciali francesi (CNCC, 2009)

FORMATO GLA (m2) UNITÀ COMMERCIALI

Super-regional center > 80.000 > 150 Regional center 40.000 – 80.000 > 80 Large shopping centers 20.000 – 40.000 > 40 Small centers 5.000 – 20.000 > 20

In aggiunta a questa suddivisione poi vanno inseriti anche i theme center, già menzionati nella classificazione ICSC; al contrario i parchi commerciali non vengono inclusi nella categoria dei centri commerciali, ma sono definiti come “un gruppo di negozi all’aperto progettato, costruito e gestito come una singola entità” (Abrudan, 2011, 16) e costituiti da almeno cinque distinte unità di vendita, con un’area edificata di almeno 3.000 m2 per i parchi piccoli e almeno 10.000 m2 per quelli grandi.

Gli autori francesi (Barczyk, Evrard, 1997, 19-20; citato in Abrudan, 2011, 16) propongono altre classificazioni meno vincolate alla dimensione dei centri e più improntate sulle caratteristiche complessive, individuando: regional shopping center, intercommunity center (che è l’unico caso europeo di esportazione del modello dei

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community center americano che ha riscosso un certo successo), proximity center, che si suddividono in d’interesse locale, neighborhood shopping center, centri commerciali in zone turistiche (di solito con aperture stagionali), e shopping galleries per cui si rimanda alla letteratura per approfondimenti.

Per quanto riguarda l’Italia, la fonte più autorevole di classificazione dei formati di centri commerciali esistenti, indicata anche da ICSC (2006), è il Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali. Quest’associazione di categoria definisce un centro commerciale come: “un complesso architettonicamente e funzionalmente omogeneo di attività commerciali, pianificato e realizzato da uno o più soggetti con criteri unitari, integrato con attività paracommerciali, di somministrazione alimenti e bevande e di servizi, dotato comunque di spazi o di servizi comuni e che si avvale permanentemente di una gestione unitaria funzionale alla generazione di sinergie determinanti un valore aggiunto rispetto alle singole unità che lo compongono” e indica i seguenti punti come requisiti di un complesso affinché possa essere definito centro commerciale3:

• minimo di GLA definito in funzione della tipologia del Centro; • criterio unitario di ideazione, sviluppo e concezione architettonica; • pluralità di insegne commerciali e/o servizi diversificati;

• esistenza di superfici despecializzate o specializzate che funzionino da unità trainanti, tali da assicurare forza di attrazione permanente;

• la struttura comprenda un parcheggio le cui caratteristiche siano rapportate alla tipologia, dimensione ed affluenza prevista;

• composizione ed organizzazione di un’offerta commerciale e di servizi diversificati, stabilita a priori in relazione all’intorno di riferimento da un unico soggetto a cui può essere demandata la commercializzazione, il controllo sul merchandising mix ed il suo adeguamento;

• gestione unitaria espletata da un soggetto ad hoc preposto, che garantisca tutte le prestazioni e i servizi collegati alla gestione immobiliare, alla gestione commerciale, alla direzione del centro e alla promozione continuativa dell’immagine comune; • esistenza di un “Consorzio” o “Associazione” degli operatori presenti nel

complesso e/o di un soggetto che svolga un ruolo di interlocutore unico con la P.A. ai fini autorizzativi.

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Il CNCC classifica poi i centri in base a tre criteri: dimensione, localizzazione e uso. In merito ai primi due si hanno le seguenti classificazioni:

Tabella 1.5a: Classificazione CNCC (2005) per dimensione

DIMENSIONE (m2) FORMATO

> 80.000 Centro commerciale regionale di area estesa 40.000 – 79.999 Grande centro commerciale

20.000 – 39.999 Centro commerciale di medie dimensioni 5.000 – 19.999 Centro commerciale di piccole dimensioni

< 5.000 Centro commerciale di vicinato o di quartiere

Tabella 1.5b: Classificazione CNCC (2005) per localizzazione

LOCALIZZAZIONE FORMATO

In quartieri centrali ad alta densità commerciale Urbano In zone semicentrali o al limite dell’area urbana, a densità

commerciale limitata

Periferico In aree rurali al di fuori delle città, ma nei pressi di importanti nodi

di comunicazione

Extraurbano

Per quanto riguarda l’uso, esso può essere singolo se l’edificio è utilizzato esclusivamente come centro commerciale o multiplo se il centro commerciale fa parte di un complesso che ha anche uffici, appartamenti, alberghi e altro.

Oltre a ciò, il CNCC identifica altri tre formati più innovativi di cui si è già discusso con riferimento ad altre nazioni:

• Parchi commerciali: centri aperti, progettati, sviluppati, costruiti e gestiti come una singola entità; sono principalmente composti da almeno tre superfici di vendita al dettaglio di dimensioni medio/grandi e possiedono una GLA di almeno 5.000 m2. Ogni negozio deve avere un accesso diretto dal parcheggio oppure da una grande area pedonale e necessita di un’adeguata zona di carico/scarico separata rispetto all’area di accesso del pubblico. Il parcheggio, adeguato per dimensioni, dev’essere in comune alle varie unità di vendita, o comunque dev’essere agevole il passaggio pedonale tra le varie unità di vendita. L’esercizio commerciale di medie/grandi dimensioni può usufruire di un’ampia superficie di facciata per l’ingresso al pubblico del punto vendita, rivolta verso il parcheggio e ben visibile. Inoltre, come già visto, possono essere presenti alcuni negozi di vicinato, ma in misura minoritaria rispetto alle medie/grandi strutture. La struttura architettonica può svilupparsi su uno o due piani purché il secondo piano abbia accesso diretto interno dagli stessi negozi al piano terra, oppure abbia accesso da un parcheggio o da passaggio pedonale aperto di

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