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Il sovraindebitamento del debitore non fallibile. Le soluzioni in rimedio alla crisi dopo il Decreto Crescita-bis: dalla procedura negoziale alle procedure concorsuali

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INDICE CAPITOLO I

Il sovraindebitamento del debitore non fallibile: dalla responsabilità perpetua alla ristrutturazione del debito

1.1. L’insolvenza del debitore non fallibile nell’ordinamento italiano: le origini della disciplina e il bisogno di concorsualità………4 1.2. L’evoluzione legislativa e l’interesse alla ristrutturazione dei

debiti………...………10 1.3. La legge n. 3 del 2012: gli aspetti critici della disciplina

originaria………15 1.4. Il decreto Crescita-bis: dalla procedura alle procedure di composizione della

crisi da sovraindebitamento………22 1.5. La natura concorsuale dei procedimenti di composizione della crisi da

sovraindebitamento e il rapporto con le altre procedure

concorsuali……….29

CAPITOLO II

Le nuove procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: l’accordo del debitore e il piano del consumatore

2.1. Il sovraindebitamento come presupposto oggettivo: la critica al “patrimonio prontamente liquidabile” e il confronto con

l’art. 5 l. fall………...……….43 2.2. Il presupposto soggettivo: il consumatore, l’imprenditore

agricolo e gli altri identificabili per esclusione………..………....49 2.3. L’accordo del debitore e il piano del consumatore: presupposti di ammissibilità, contenuto e deposito………...55 2.4. Il giudizio di ammissibilità………...63 2.5. La formazione del consenso dei creditori nell’accordo del debitore. La

procedura senza votazione per il sovraindebitamento del consumatore……....72 2.6. L’omologazione dell’accordo del debitore e del piano del consumatore: la

procedura al vaglio della più recente giurisprudenza di merito……….76 2.7. La fase esecutiva………...89 2.8. Le vicende inattuative dell’accordo e del piano del consumatore: le

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CAPITOLO III

La terza procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento: l’alternativa liquidatoria e l’eventuale esdebitazione

3.1. La procedura di liquidazione dei beni del debitore: le condizioni di

ammissibilità e la domanda di liquidazione……….100

3.2. La conversione della procedura di composizione della crisi nella soluzione liquidatoria………...108

3.3. Il decreto di apertura………...110

3.4. Il decreto di apertura ex art. 14-quinquies a confronto con la dichiarazione di fallimento: gli effetti nei confronti del debitore e dei creditori, l’azione revocatoria ordinaria e i rapporti preesistenti………115

3.5. La formazione dello stato passivo………125

3.6. Le attività del liquidatore: elementi di confronto con il curatore fallimentare………...130

3.7. Il patrimonio oggetto di liquidazione: estensione e tutela………136

3.8. La disciplina mancante: la ripartizione dell’attivo………...141

3.9. La disciplina dell’esdebitazione: requisiti strutturali e procedurali…...…...144

CAPITOLO IV Gli organismi di composizione della crisi 4.1. Le finalità, le caratteristiche principali e la natura giuridica degli OCC. La nomina……….………....156

4.2. Il registro degli OCC e il Decreto ministeriale n. 202 del 24 settembre 2014………..………...164

4.3. I compiti attribuiti agli Organismi di composizione della crisi e il potenziale conflitto di interessi……….173

4.4. L’accesso alle Banche dati pubbliche………...178

CAPITOLO V Le sanzioni penali 5.1. Le condotte illecite del debitore non fallibile prima della procedura di composizione della crisi ………...184

5.2. Le condotte illecite del debitore non fallibile durante la procedura di composizione della crisi………...………189

5.3. Le condotte illecite compiute dagli Organismi di composizione della crisi………...192

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CAPITOLO VI

Spunti per un’ulteriore analisi: l’imprenditore agricolo tra gli accordi ex art. 182-bis l. fall. e la l. n. 3/2012. Osservazioni conclusive in merito alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e relative criticità

6.1. L’imprenditore agricolo tra gli accordi ex art. 182-bis l. fall. e la l. n. 3/2012

6.1.1. L’imprenditore agricolo: dall’esclusione dalle procedure concorsuali all’accesso ai rimedi negoziali di cui agli artt. 182-bis e 182-ter l.

fall………196

6.1.2. L’opzione dell’imprenditore agricolo: accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall. o l. n. 3/2012?...206

6.2. Considerazioni conclusive e criticità persistenti nella legge n. 3 del 27 gennaio 2012……….219

BIBLIOGRAFIA………..229

GIURISPRUDENZA………237

SITOGRAFIA………...239

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CAPITOLO I

Il sovraindebitamento del debitore non fallibile: dalla responsabilità perpetua alla ristrutturazione del debito

Sommario: 1.1. L’insolvenza del debitore non fallibile nell’ordinamento italiano: le origini della disciplina e il bisogno di concorsualità - 1.2. L’evoluzione legislativa e l’interesse alla ristrutturazione dei debiti - 1.3. La legge n. 3 del 2012: gli aspetti critici della disciplina originaria - 1.4. Il decreto Crescita-bis: dalla procedura alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento - 1.5. La natura concorsuale dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e il rapporto con le altre procedure concorsuali

1.1. L’insolvenza del debitore non fallibile nell’ordinamento italiano: le origini della disciplina e il bisogno di concorsualità

Il debitore non fallibile è il destinatario della disciplina speciale in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento introdotta dalla legge n. 3 del 2012; la normativa si discosta da quella rappresentazione del rapporto tra insolvenza civile e insolvenza commerciale che si traduce nell’esclusione del debitore civile dal fallimento, oltre che dalla fruizione del beneficio dell’esdebitazione e dalla possibilità di accesso alle soluzioni concordate.

Il debitore non fallibile, secondo la disciplina originaria, è soggetto alla responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. che trasforma il patrimonio dell’obbligato in una garanzia generica del credito, mentre l’imprenditore commerciale fallibile ha la tutela e i benefici che derivano dalla soggezione al fallimento.

La legge n. 3 del 2012 e, nello specifico, le modifiche apportate dall’intervento del d.l. n. 179 del 2012, mitigano queste differenze

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attraverso la disciplina di tre distinte procedure concorsuali1: l’accordo di ristrutturazione dei debiti del debitore civile e il piano del consumatore disciplinati dall’art. 7; la procedura di liquidazione del patrimonio del debitore ex artt. 14-ter ss.

I procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento sono attivabili dal debitore non fallibile solo a fronte di una situazione di “sovraindebitamento conclamato”2 e consentono di ristrutturare il debito, di vincolare tutti i creditori, anche i dissenzienti3, e nel caso specifico della liquidazione dei beni del debitore di accedere, se sussistono tutte le condizioni richieste, al beneficio dell’esdebitazione che prima della legge n. 3 del 2012 era a esclusivo appannaggio del solo imprenditore commerciale fallito.

Prima di procedere all’analisi della disciplina originaria in materia di sovraindebitamento, è necessario comprendere che cosa si intenda per debitore non fallibile.

L’espressione fa riferimento a tutti quei soggetti esclusi dalla disciplina del fallimento in quanto non soddisfano i requisiti richiesti dall’art. 1 della legge fallimentare: gli imprenditori commerciali che non

1 Sulla dubbia natura concorsuale della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento introdotta con la legge n. 3 del 2012 e in merito all’evoluzione della qualificazione in termini di concorsualità a seguito delle modifiche apportate dal d.l. n. 179 del 2012 si rimanda al Paragrafo cinque del presente Capitolo. Nello specifico, per una definizione in termini di concorsualità delle nuove procedure di composizione della crisi v. D. VATTERMOLI, La procedura di liquidazione del patrimonio del debitore

alla luce del diritto <<oggettivamente>> concorsuale, in Dir. Fall., 2012, p.764 ss.

Sempre sulla natura concorsuale delle procedure di composizione della crisi v. F. DI MARZIO, Introduzione alle procedure concorsuali in rimedio al sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>>

procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, Milano, 2013, p. 11. Per

un’opinione diversa v. V. DE SENSI, La nuova disciplina della crisi da

sovraindebitamento: dubbi sulla sua natura concorsuale, in Riv. dir. comm., 2013, p.

654 ss.

2 E. PELLECCHIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento, in Nuove leggi civ., 2013, p. 1246.

3 Il piano del consumatore non richiede il raggiungimento di un consenso tra debitore e creditori rappresentanti una certa percentuale dell’ammontare del credito. Per l’omologazione del piano del consumatore è sufficiente la positiva deliberazione del tribunale sulla fattibilità dello stesso, mentre i creditori possono contestare solamente la convenienza del piano omologato.

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raggiungono le soglie di fallibilità4; i piccoli imprenditori ai sensi dell’art. 2083 c.c.; gli imprenditori agricoli; i consumatori; gli altri debitori civili; gli enti non commerciali; i soci di società di persone assoggettabili al fallimento della società in estensione ai sensi dell’art. 147 l. fall.

La ragione dell’esclusione dalla disciplina del fallimento del debitore civile è individuata dalla Corte Costituzionale nella natura dell’attività da essi esercitata, “giacché lo svolgere attività commerciale organizzata ad impresa costituisce una situazione obiettivamente diversa da quella di chi svolge un’attività di diverso tipo, e non è irrazionale l’aver limitato alla prima la disciplina, né sono arbitrari i motivi di tale limitazione”5.

L’individuazione a fronte di una situazione di crisi di diversi strumenti riconosciuti all’imprenditore commerciale rispetto al debitore civile, secondo la Corte, dipende dagli effetti pregiudizievoli che sono prodotti dall’insolvenza civile rispetto all’insolvenza commerciale, nel senso che tali effetti nel primo caso si rivolgono esclusivamente ai singoli rapporti obbligatori intrattenuti dal debitore, mentre il dissesto commerciale si ripercuote sul sistema dei traffici più in generale: il pregiudizio coinvolge il ceto dei creditori, il sistema creditizio e il fondamento della vita del commercio6.

4 Perché possa essere dichiarato il fallimento il debitore (imprenditore commerciale) deve aver superato i limiti patrimoniali e reddituali fissati dal secondo comma dell’art.1 l. fall. Non è soggetto al fallimento l’imprenditore commerciale che dimostri il possesso dei seguenti requisiti: a)aver avuto nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila; b)aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; c)avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiori ad euro cinquecentomila. Tali valori possono essere aggiornati con cadenza triennale con decreto del Ministero della giustizia sulla base delle variazioni degli indici Istat dei prezzi al consumo, per adeguarli alla svalutazione monetaria. È sufficiente aver superato anche uno solo di questi limiti per essere esposti al fallimento.

5 Corte Cost. 16 giugno 1970, n. 94, in cortecostituzionale.it

6 Corte Cost. 23 marzo 1970, n. 43 v. SPAGNUOLO, Le ragioni dell’esclusione dal fallimento del debitore civile, in La nuova legge fallimentare <<rivista e corretta>>,

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Il diverso trattamento previsto dalla legge per l’insolvenza civile e per l’insolvenza commerciale sfugge al giudizio di conformità ai principi costituzionali, rientrando nell’area delle scelte discrezionali del legislatore7.

“L’esclusione dal fallimento del piccolo imprenditore e dell'insolvente civile si basa su una valutazione di politica economica-sociale e di opportunità giuridica”8, tale esclusione sembrerebbe proporzionale rispetto al grado di allarme sociale generato dal fenomeno della crisi, per cui le procedure concorsuali si rivolgono alle sole imprese di non modeste dimensioni per le ripercussioni che un loro dissesto può produrre nell’economia generale, un’esigenza non ravvisabile negli altri casi9.

A fronte di questa esclusione dal fallimento, la disciplina originaria assoggetta il debitore non fallibile alla responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c.: l’obbligato risponde all’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i propri beni presenti e futuri.

Ne deriva “una responsabilità potenzialmente perpetua”10 per l’insolvente civile, dovendo rispondere anche con i beni e i crediti che verranno eventualmente ad esistenza.

In una posizione diversa si colloca invece l’imprenditore commerciale, il quale, in caso di insolvenza, ha la possibilità di liberarsi dalle obbligazioni non soddisfatte attraverso una proposta di concordato preventivo o, in caso di dichiarazione di fallimento, di concordato fallimentare, o attraverso l’istituto dell’esdebitazione di cui all’art. 142 l. fall.

7 Corte Cost. 27 luglio 1982, n. 145, in Foro.it, 1982, I, 3006. 8 Corte Cost. 16 giugno 1970, n. 94, in cortecostituzionale.it

9 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, in Dir. Fall., 2013, p. 565 .

10 A. GUIOTTO, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Fallimento, 2012, p. 21.

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Procedendo nell’analisi della figura dell’insolvente non fallibile, la regolamentazione originaria non offre al debitore civile una possibile rimessione dei debiti, e la ragione che circoscrive la fruizione dell’esdebitazione al solo imprenditore commerciale fallibile è ricollegata alla presenza di un’attività economica la cui ripresa è conveniente per il fallito stesso che, tornato in bonis, potrà continuare a “fare impresa”, e per il mercato che potrà sfruttare il “ricambio imprenditoriale”11.

Il motivo per cui il debitore civile, e nello specifico il consumatore, viene estromesso dalla possibilità di liberarsi dalle obbligazioni non soddisfatte è rintracciabile nel fatto che le persone fisiche hanno un impiego del denaro più libero e gli eventi che causano l’insolvenza possono avere diversa natura ed essere al di fuori della sfera di controllo del creditore o dello stesso debitore12.

È inevitabile riconoscere che la previsione di un’esdebitazione a favore di questa categoria di insolventi è invece una soluzione “apprezzabile, oltre che socialmente e umanamente, anche economicamente consentendo al soggetto che ne beneficia di risollevarsi ricominciando un’attività lavorativa e una vita dignitosa”13.

Dall’altra parte del rapporto obbligatorio si colloca il creditore che, in luogo della disciplina originaria, ha come unica tutela lo strumento dell’esecuzione individuale.

Attraverso l’esecuzione individuale l’ordinamento accorda rilevanza all’interesse del singolo creditore ad ottenere la soddisfazione della propria pretesa, il quale però si scontra con gli interessi che fanno capo a tutti gli altri creditori dell’insolvente.

La disciplina generale inoltre rafforza le prerogative individuali dei creditori dell’insolvente attraverso la regola dettata dall’art. 1186 c.c.

11 S. PACCHI, Il sovraindebitamento. Il regime italiano, in Riv. dir. comm., 2012, p. 673.

12 B. PENAS MOYANO-D. PORRINI, Il sovraindebitamento delle famiglie: il rimedio del debitore e l’esperienza spagnola, in http://www.side-isle.it/ocs/viewpaper.php?id=209&cf=2, p. 21.

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che individua proprio nell’insolvenza una delle cause della decadenza del debitore dal beneficio del termine a suo favore.

Il risultato che ne scaturisce è che tutti i creditori, sia quelli muniti di titolo scaduto, sia quelli muniti di titolo non scaduto, possono immediatamente esercitare l’azione esecutiva sul patrimonio dell’insolvente.

Dall’altra parte i pagamenti effettuati dal debitore spontaneamente relativi a debiti scaduti risultano irrevocabili alla stregua di quanto affermato nel terzo comma dell’art. 2901 c.c.

L’art. 1886 c.c. rappresenta, come già detto, uno strumento con cui si rafforzano le prerogative dei singoli creditori e con cui contestualmente si rende inoperante la distinzione fra titolari di crediti scaduti e titolari di crediti non scaduti e di conseguenza la preferenza riconosciuta ai primi.

L’art. 2741 c.c., affermando che i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione, stabilisce in realtà una par condicio creditorum diversa da quella che si instaura col fallimento: il conflitto non riguarda tutti i creditori, ma soltanto quelli che hanno preso parte alla singola esecuzione; la distribuzione del ricavato non riguarda il valore dell’intero attivo, ma il ricavato della vendita coattiva dell’elemento nei cui confronti è stata esercitata l’azione esecutiva.

A fronte di questa breve analisi, ciò che risulta è un bisogno di concorsualità che è manifesto nei creditori non professionali, i quali non facendo ricorso, a differenza di banche ed istituti finanziari, alle cc.dd. Centrali rischi, non hanno la possibilità di effettuare una valutazione preventiva dello stato di insolvenza del debitore non fallibile.

Tale bisogno di concorsualità, è avvertito dai creditori non professionali piuttosto che dalle banche e dagli istituti finanziari, poiché quest’ultimi potendo conoscere l’insolvenza del proprio debitore possono

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attivarsi con tempestive azioni esecutive per la soddisfazione delle proprie ragioni.

Per banche e istituti finanziari sembrerebbe auspicabile che l’apertura di una procedura concorsuale non avvenga, perché sarebbero obbligate a concorrere con altri creditori e a soggiacere alle tempistiche necessarie per la conclusione della procedura.

Al contrario, il creditore non professionale non avendo a disposizione strumenti per una valutazione preventiva dello stato di insolvenza del debitore, non è detto che attivi tempestivamente la procedura esecutiva, per cui la concorsualità nella procedura contro l’insolvente civile risulterebbe per questi creditori preferibile per la tutela dei loro diritti.

Nei paragrafi successivi del presente Capitolo l’analisi si concentrerà sull’individuazione dei passaggi legislativi che hanno condotto alla formulazione dell’attuale testo della l. n. 3 del 2012, tenendo in considerazione i due poli della disciplina che fanno capo rispettivamente all’interesse del debitore e del creditore: la ristrutturazione del debito e la prospettiva dell’esdebitazione da una parte, la parità di trattamento dall’altra.

1.2. L’evoluzione legislativa e l’interesse alla ristrutturazione dei debiti

La legge n. 3 del 2012 è il risultato di un iter legislativo particolarmente complesso che ha avuto origine con l’approvazione unanime da parte del Senato il 1 aprile 2009 del c.d. disegno di legge Centaro, dal nome del parlamentare proponente.

Dopo una giacenza di oltre due anni la proposta viene modificata dalla Camera il 26 ottobre del 2011 e definitivamente approvata dal Senato il 17 gennaio 2012, per divenire l. n. 3 del 2012 pubblicata nella

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Gazzetta ufficiale n. 24 del 30 gennaio 2012 ed entrata in vigore il trentesimo giorno successivo alla sua pubblicazione.

Il secondo capo della legge, prima di essere modificato dal d.l. n. 179 del 2012, recitava “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione della crisi da sovraindebitamento”.

Contestualmente, o più precisamente durante il periodo in cui la legge in analisi si trovava ancora in Senato per la seconda lettura, il Governo è intervenuto sulla materia con il d.l. 22 dicembre 2011, n. 212, recante “Disposizioni urgenti in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile”, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 24 del 22 dicembre 2011 ed entrato in vigore il giorno stesso14.

La relazione illustrativa del decreto legge affermava che esso “trova la sua giustificazione nel contesto dell’attuale eccezionale situazione di crisi economica che investe indifferentemente famiglie e imprese e richiede una risposta urgente, anche sul piano degli strumenti (processuali e non) per la gestione delle situazioni di conflitto nell’ambito dei rapporti civili ed economici”.

Il legislatore aveva già mostrato l’intenzione di aprire nuovi scenari attraverso provvedimenti di urgenza, ne è un esempio infatti il d.l. n. 98 del 2011 che consente all’imprenditore agricolo in crisi di avvalersi dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e della “transazione fiscale” di cui rispettivamente all’art. 182-bis e 182-quater l. fall.

Il d.l. 212 del 2011 nel capo I riproduceva, con modificazioni di dettaglio, il testo del disegno di legge Centaro; di conseguenza il decreto legge in questione ha rappresentato un’anticipazione dei contenuti della legge n. 3 del 2012 che è stata pubblicata dunque a decreto vigente e ancora in fase di conversione.

14 Per un’analisi esaustiva della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento introdotta dal d.l. n. 212 del 2011 v. A. GUIOTTO, La nuova

procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Fallimento, 2012, p. 21 ss.; M. FABIANI, La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (d.l. 212/2011), in www.ilcaso.it, doc. 278/2012.

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Il disegno di conversione del d.l. n. 212/2011 manifestava però l’intenzione di modificare il testo del decreto d’urgenza, introducendo nell’ordinamento un’autonoma disciplina del sovraindebitamento destinata al consumatore con la previsione di una procedura alternativa di liquidazione del patrimonio.

Il provvedimento di conversione avrebbe inoltre novellato la stessa legge n. 3 del 2012 con una serie di modifiche tra cui la previsione di un doppio procedimento che si sarebbe articolato nella formulazione di un piano e nella previsione di una procedura di liquidazione15.

Il risultato sarebbe stato il seguente: il d.l. n. 212/2011 avrebbe disciplinato una procedura i cui i destinatari erano i consumatori, e a tutti gli altri soggetti non assoggettabili alle procedure concorsuali, diversi dal consumatore, si applicava l’iter previsto dalla l. n. 3 del 2012.

Tuttavia la conversione del decreto legge ha previsto la soppressione di tutti gli articoli del decreto stesso che regolavano il sovraindebitamento, identificando così nella sola legge n. 3 del 2012 l’unica fonte della disciplina del sovraindebitamento.

Il legislatore attraverso la normativa speciale in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento offre una strategia di reazione a una situazione di indebitamento ormai già compromessa, ma non rappresenta l’unico rimedio individuabile per far fronte a questo fenomeno.

Il sovraindebitamento può essere distinto in attivo, passivo o differito: attivo quando è determinato da comportamenti del debitore; passivo quando è il risultato di fattori esterni indipendenti dalla volontà del debitore e fuori dalla sua sfera di controllo; differito quando si manifesta in un arco temporale che si protrae nel tempo e può riguardare due distinte tipologie di nuclei familiari: “quelli caratterizzati dalla permanenza…o dal ritorno di figli oltre il compimento del trentesimo anno di età…e quelli nei quali un buon tenore di vita è garantito dal

15 D. MANENTE, op. cit., p. 558 ss.

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contributo assicurato dalla pensione di un familiare anziano convivente”16.

Conoscere questa distinzione è importante per l’elaborazione di strategie preventive e successive17.

Il tema del sovraindebitamento è inoltre legato ad altri temi rilevanti quali ad esempio il consumo consapevole e il prestito responsabile, che costituiscono alcune forme di strategia ex ante al fenomeno in analisi. Il primo rappresenta un approccio consapevole al credito che, attraverso il rispetto dei criteri di correttezza e chiarezza, promuove una maggior conoscenza dei prodotti del credito al fine di adottare prudenza nell’assunzione di obbligazioni; il secondo è rivolto invece a banche e istituti finanziari affinché la concessione del credito avvenga a seguito di un’analisi accurata delle condizioni economiche del cliente18.

Tornando all’analisi della l. n. 3 del 2012, è importante evidenziare, in riferimento agli interessi che essa tutela, che è la legge stessa, già nella sua versione originaria, a far sorgere il c.d. “interesse del debitore alla ristrutturazione dei debiti”, interesse che si concretizza nella possibilità di raggiungere un accordo con una porzione qualificata di creditori in merito alla ristrutturazione della propria complessiva esposizione debitoria19.

Il rapporto obbligatorio da sempre esprime due ordini di interessi, il primo riferibile al creditore e si sostanzia nella tutela offerta dalla responsabilità patrimoniale e dall’esecuzione forzata, il secondo riferibile al debitore e si traduce nell’istituto della mora del creditore.

16 E. PELLECCHIA, op.cit., p. 1259.

17 Per un approfondimento delle strategie ex ante ed ex post v. E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza la sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e alla ristrutturazione dei debiti, Torino, 2012, p. 27 ss.

18 S. PACCHI, op. cit., p. 677 ss.

19 Sulla natura dell’interesse e in merito alla relazione di complementarietà con i diritti dei creditori v. E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del

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La normativa speciale in materia di sovraindebitamento arricchisce il rapporto obbligatorio, che ora esprime anche l’interesse del debitore alla ristrutturazione dei debiti.

La l. n. 3 del 2012 fa sorgere dunque un nuovo interesse che nasce dall’individuazione del sovraindebitamento come presupposto oggettivo di applicazione della disciplina.

Nell’affermare questo si fa riferimento a quella parte della dottrina che individua come una delle differenze rintracciabili fra i due concetti di insolvenza e di sovraindebitamento proprio gli interessi tutelati20.

Quando si parla di insolvenza la disciplina generale, come visto nel paragrafo precedente, accorda preminenza all’interesse del creditore alla soddisfazione delle proprie pretese; quando si parla di sovraindebitamento la questione appare più complessa.

In primo luogo le cause del sovraindebitamento sembrano essere molteplici (strutturali, culturali, macroeconomiche), e a titolo esemplificativo è possibile prenderne in considerazione alcune: la facilità di accesso al credito che risulta dallo sviluppo dell’industria del credito e dalla deregolamentazione del sistema; l’espansione dell’offerta di credito che si manifesta nella creazione di una vasta gamma di prodotti rivolti ai soggetti a basso reddito o a quelli già indebitati; i fattori di instabilità sociale ed economica che influenzano la domanda di credito aumentandola quali malattia, perdita del lavoro, divorzio ecc.; la crisi occupazionale che ha mostrato l’inadeguatezza del welfare dei Paesi europei nel far fronte ad un periodo di lunga disoccupazione21.

In luogo di quanto fin qui evidenziato, è inevitabile notare la centralità della figura del debitore quando si parla di sovraindebitamento; un inquadramento di questo fenomeno nei soli termini di insolvenza non sembrerebbe né sufficiente né opportuno, perché facendo riferimento al

20 E. PELLECCHIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento, in Nuove leggi civ., cit., p. 1256 ss.

21 Per un’esaustiva individuazione delle cause del sovraindebitamento v. E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla

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solo piano degli interessi, l’insolvenza è, a differenza del sovraindebitamento, indifferente alle cause del dissesto patrimoniale e indifferente alla valutazione di possibili ricadute dell’insolvente, aspetti che invece hanno motivato il legislatore nella redazione della l. n. 3 del 2012.

Se la disciplina dell’insolvenza si traduce nell’esclusiva salvaguardia del singolo creditore dal rischio di incapienza del patrimonio del debitore, il sovraindebitamento diversamente presuppone la considerazione dell’interesse del debitore dal quale non è possibile prescindere, dopotutto la legge n. 3 del 2012 affronta la questione in termini di “rimedio” al fenomeno del sovraindebitamento.

Si deve inoltre tenere presente che il capo I nella versione precedente si intitolava “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione della crisi da sovraindebitamento”. Legare il tema del sovraindebitamento a quello dell’usura manifesta l’obiettivo del legislatore di formulare uno strumento di politica economica di contenimento della popolazione insolvente, e più in generale di contenimento di un problema collettivo il cui superamento rappresenta una finalità sociale22.

1.3. La legge n. 3 del 2012: gli aspetti critici della disciplina originaria La legge n. 3 del 2012, nella sua formulazione originaria, disegnava una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento che offriva una regolamentazione dell’insolvenza del soggetto non fallibile, riconoscendo ai destinatari della disciplina la possibilità di concordare con i creditori un piano di ristrutturazione dei debiti attraverso l’intervento di appositi Organismi di composizione della crisi (OCC), e tale piano infine veniva sottoposto all’omologazione del Tribunale.

22 E. PELLECCHIA, op. ult. cit., p. 181.

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La proposta del piano di ristrutturazione veniva infatti redatta con l’ausilio degli Organismi di composizione della crisi costituiti da enti pubblici e iscritti in appositi registri.

La proposta munita dei requisisti richiesti dalla legge veniva sottoposta al vaglio dei creditori, i quali esprimevano il loro consenso proprio attraverso gli stessi OCC.

Una volta raggiunto il consenso della maggioranza dei creditori rappresentanti il 70% dei crediti complessivi, il giudice procedeva all’omologazione dell’accordo.

Il contenuto della normativa speciale in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento si presentava denso di criticità, che in parte, come vedremo successivamente, hanno determinato la necessità di un ulteriore intervento del legislatore, e di seguito saranno analizzate le più significative.

Uno dei principali aspetti problematici riguardava la decisione del legislatore di aver optato per un’unica procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, applicabile indistintamente a categorie di soggetti portatori di interessi obiettivamente diversi e a cui facevano e fanno capo situazioni debitorie differenti.

Identificando come destinatario della disciplina il debitore ‘non fallibile’ la legge faceva riferimento contestualmente al consumatore, e più in generale al debitore civile, e all’imprenditore escluso dalle procedure concorsuali.

Il legislatore dunque destinava la stessa procedura sia al debitore civile sia all’imprenditore commerciale non fallibile, e questo nonostante le situazioni di insolvenza rispettivamente riferibili all’imprenditore e al consumatore non siano fra loro sovrapponibili: l’insolvenza civile evoca un concetto di responsabilità patrimoniale statica, l’altra una responsabilità patrimoniale dinamica.

La dimensione dinamica della responsabilità è data dal fatto che “la capacità adempitiva dell’imprenditore è strettamente connessa-

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piuttosto che al patrimonio staticamente considerato- allo svolgimento dell’attività produttiva”23.

Il debitore civile invece deve porre rimedio alla sua “nociva propensione al consumo”, mentre l’insolvente che esercita attività commerciale deve elaborare una “strategia di superamento della crisi di impresa” 24.

La legge, nella sua versione previgente, non offriva esplicitamente alcuna disciplina dell’esdebitazione, piuttosto la stessa normativa speciale rappresentava semplicemente una seconda possibilità per il debitore non fallibile: gli veniva concessa la facoltà di ristrutturare i suoi debiti e di liberarsene nei termini e nei modi previsti dall’accordo coi creditori.

La liberazione dal vincolo si collocava dunque al di fuori della procedura e dipendeva solamente dall’adempimento delle obbligazioni previste nell’accordo.

Inoltre il piano con cui l’insolvente ‘non fallibile’ ristrutturava la propria esposizione debitoria non vincolava i creditori estranei, rispetto ai quali il debitore era tenuto a soddisfare integralmente i loro crediti.

L’ammissibilità del piano si strutturava sulla costruzione di un accordo che garantisse il regolare pagamento dei creditori estranei (cioè nei termini e nelle modalità previsti nelle singole fonti di obbligazioni) e l’integrale pagamento dei titolari di crediti privilegiati. Il piano poteva prevedere una moratoria fino ad un anno per il pagamento dei creditori che non avevano partecipato all’accordo soltanto quando ricorrevano determinate condizioni, salva l’ipotesi di crediti impignorabili rispetto ai quali la moratoria non aveva alcuna efficacia25.

23 F. DI MARZIO, Una procedura per gli accordi in rimedio del sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO e G. TERRANOVA (a cura di), La composizione della

crisi da sovraindebitamento, Milano, 2012, p. 15.

24 S. ALECCI, La nuova disciplina in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento: modifiche alla legge 27 gennaio 2012 n.3, in Giureta, 2012, p. 2. 25 In merito al pericolo di un uso della procedura in termini puramente dilatori v. G. TERRANOVA, La composizione della crisi da sovraindebitamento: uno sguardo

d’insieme, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 9.

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Un altro aspetto critico era rintracciabile nel ruolo assegnato al giudice, al quale spettava sindacare l’idoneità dell’accordo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.

Il giudice, secondo il dato testuale dell’art. 12 nella sua versione previgente, veniva incaricato di svolgere un “penetrante giudizio di merito sulla superabilità del sovraindebitamento”, in una logica completamente diversa da quella che connota e caratterizza la crisi di impresa, per la quale al giudice spetta un controllo giudiziale di regolarità formale dell’accordo di composizione del debito o della proposta di concordato26.

Altra dottrina, partendo dal presupposto che la procedura originaria del sovraindebitamento era stata costruita tenendo presente proprio i modelli negoziali del concordato e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis, smentiva un simile orientamento affermando che fosse necessario tenere in considerazione i principi elaborati dalla giurisprudenza più recente in relazione ai limiti del sindacato giudiziale in sede di omologazione degli accordi di ristrutturazione27.

La giurisprudenza ha evidenziato, in merito agli accordi di cui all’art. 182-bis, che l’oggetto dell’omologazione non è né il piano né l’accordo, ma la relazione e valutazione del professionista rispetto alle quali il giudice è chiamato a valutarne la completezza, coerenza e logicità. Muovendo da simili posizioni, si è affermato che anche in sede di omologazione dell’accordo di cui alla l. n. 3 del 2012 il giudice valuta sì l’idoneità del piano a garantire il regolare pagamento dei creditori estranei, ma, sulla base degli interventi indicati nella proposta, avendo riguardo alle valutazioni esposte nell’attestazione dell’organismo di composizione della crisi che dovranno essere coerenti, logiche e complete

26 In merito v. F. DI MARZIO, Una procedura per gli accordi in rimedio del sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 16.

27 A. CARON, Omologazione dell’accordo, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 58 ss.

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a tal punto da ritenere evidente che il consenso dei creditori si è formato sulla base di informazioni veritiere, corrette e coerenti.

La l. n. 3 del 2012 inoltre lasciava spazio alla discrezionalità del giudice nel regolamentare le fasi della procedura e nel fissare i termini processuali, nello scegliere sia le forme idonee a pubblicizzare la proposta di accordo sia le modalità di valutazione della proposta in funzione dell’omologa, anche con riferimento alle contestazioni effettuate dai creditori non aderenti.

Altro aspetto critico della disciplina era rintracciabile nel fatto che la composizione della crisi da sovraindebitamento non era appetibile per i creditori: nelle situazioni di sovraindebitamento dei soggetti non fallibili mancava infatti l’esigenza di proteggere i creditori aderenti dal rischio di revocatoria fallimentare e di responsabilità fallimentare, per cui era difficile individuare che cosa poteva spingere i creditori e il debitore, che comunque rimaneva vincolato verso i non aderenti, a ritenere conveniente la procedura di cui alla l. n. 3 del 2012 se non la trasparenza delle condotte, il controllo di un organo tecnico sulla fattibilità e sull’esecuzione del piano e della supervisione dell’autorità giudiziaria.

Dalla normativa speciale emergevano ulteriori elementi di criticità intorno alla figura degli Organismi di composizione della crisi (OCC), che l’attuale versione della legge n. 3 del 2012 in gran parte eredita.

Ne è un esempio la definizione delle funzioni attribuite all’organismo in termini di “ausilio” al debitore, che poco combaciava con l’effettiva attribuzione dei compiti ad opera della legge stessa.

La normativa previgente attribuiva agli Organismi di composizione della crisi funzioni prodromiche o preparatorie alla procedura, offrendo ad esempio ausilio al debitore nella stesura della proposta di accordo; funzioni quale organo “garante” di verifica della veridicità dei dati e di attestazione della fattibilità del piano; funzioni di organo della procedura incaricato a compiere gli atti previsti dalla legge; funzioni di controllo della corretta esecuzione dell’accordo vigilando

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sull’esatto adempimento e risolvendo le difficoltà insorte nell’esecuzione dell’accordo.

Il debitore non fallibile non aveva la possibilità di scegliere liberamente se richiedere, e a chi richiedere, assistenza professionale, ma doveva necessariamente rivolgersi a un Organismo di composizione della crisi con sede nel circondario del tribunale competente in base alla propria residenza o sede.

La legge non escludeva la possibilità di rivolgersi ad un libero professionista di fiducia, anche se la presenza dell’OCC era praticamente obbligatoria, infatti come la dottrina aveva avuto modo di evidenziare “ben difficilmente…sarà ipotizzabile la redazione autonoma di un piano che non trovi un pieno gradimento dell’Organismo, in ragione dell’insolita e controversa funzione, a quest’ultimo affidata, di attestatore della fattibilità di un piano che esso stesso ha contribuito a formare”28.

Gli OCC si occupavano della redazione dell’accordo e avevano la possibilità di porre in essere “ogni opportuna iniziativa”, considerata funzionale alla predisposizione e alla realizzazione dell’accordo, anche quando le parti non la ritenevano corretta. Un’attività questa che chiaramente esulava dalla mera consulenza professionale.

Le funzioni attribuite agli Organismi di composizione della crisi impedivano la “necessaria distinzione fra soggetto consulente e soggetto attestatore fidefacente”, perché è il medesimo organismo ad occuparsi dell’attestazione del piano e della veridicità dei dati contenuti nella proposta29.

All’OCC spettava dunque il compito di attestare la fattibilità del piano su cui si fondava la proposta d’accordo che egli stesso aveva predisposto.

Un ulteriore elemento problematico di centrale importanza relativo a uno dei requisiti di ammissibilità della procedura stessa,

28 A. GUIOTTO, Gli organismi di composizione della crisi, in Fallimento, 2012, p. 1285 ss.

29 R. BATTAGLIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento del debitore non fallibile: alcuni profili problematici, in Dir. fall., 2012, p. 448 ss.

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riguardava la capacità del piano di assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo.

La normativa speciale nella sua versione previgente stabiliva che il piano dovesse essere definito già al momento del deposito della proposta di accordo che si fondava proprio sul piano stesso, ma in quella fase del procedimento non sarebbe stato possibile avere alcuna previsione né garanzia dei creditori che vi avrebbero aderito, e di conseguenza nessuna previsione o garanzia della percentuale componente i creditori estranei.

La proposta d’accordo, perché potesse essere sottoposta al vaglio dei creditori, doveva basarsi su un piano che assicurasse il regolare pagamento dei creditori non aderenti, ancor prima quindi di procedere alla raccolta delle adesioni (la procedura non prevedeva la riunione dei creditori in assemblea, come accade invece per il concordato, per cui la legge stabiliva che la raccolta delle adesioni sarebbe avvenuta ad opera degli Organismi di composizione della crisi).

L’attività imparziale dell’OCC non sembrava dunque poter essere assicurata a fronte delle numerose e consistenti competenze che gli venivano attribuite: l’Organismo doveva compiere una prima attestazione, effettuava poi un monitoraggio sul debitore e sulla tenuta del piano e, una volta ricevute le adesioni, stendeva una relazione sulle posizioni dei creditori oltre a effettuare una seconda attestazione sulla fattibilità del piano stesso.

Queste criticità, e tutte le altre che per esigenza di trattazione non possono essere accuratamente individuate e analizzate, hanno manifestato la necessità di un ennesimo intervento in materia che si è concretizzato nelle modifiche apportate con lo strumento della decretazione d’urgenza al testo della l. n. 3 del 2012.

Il d.l. n. 179 del 2012 chiude il complesso e tormentato iter della legge in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento del debitore non fallibile.

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Il paragrafo che segue individua ed esamina sommariamente le principali modifiche apportate al testo della l. n. 3 del 2012.

1.4. Il decreto Crescita-bis: dalla procedura alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento

Il d.l. n. 179 del 2012, denominato anche decreto Sviluppo-bis o Crescita-bis, convertito nella l. n. 221 del 2012, ha prodotto una destrutturazione dell’impianto offerto dalla l. n. 3 del 2012, e nello specifico del Capo II, che nella sua versione originaria, come già osservato, offriva al generico debitore non fallibile un unico procedimento volto al raggiungimento di un accordo che risultava vincolante per i soli creditori aderenti.

La stessa Relazione illustrativa del decreto Sviluppo-bis, in merito agli esiti pratici della legge n. 3 del 2012 nella sua versione previgente, riporta i dati che risultano da un monitoraggio messo appunto dal Ministero di Giustizia, in base al quale dall’entrata in vigore della legge nessun procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento era in corso nei Tribunali campione di Milano, Torino, Brindisi, Bari e Pavia, ed un solo procedimento era stato attivato presso il Tribunale di Roma e di Firenze30.

Questi dati consolidavano il sentimento di urgenza che aveva mosso il legislatore verso un ulteriore intervento in materia.

Il decreto legge introduce disposizioni che hanno come obiettivo aumentare l’efficacia e la capacità operativa dell’istituto e, contestualmente, apporta modifiche alla disciplina del procedimento di composizione della crisi.

Anticipo rispetto alla trattazione che l’intervento del legislatore ha trasformato in chiave concordataria la natura dell’istituto, il quale

30 I dati sono inoltre riportati nell’articolo di G. NEGRI, Un aiuto al default del consumatore, in Il sole 24 ore, 15 dicembre 2012.

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presenta caratteristiche simili al concordato preventivo così come disciplinato dalla legge fallimentare.

Già dalla titolazione del presente paragrafo è possibile capire il rilievo delle modifiche apportate al testo della legge: la versione vigente della l. n. 3 del 2012 offre procedure diverse a seconda che ad attivare il procedimento sia un consumatore o un’altra categoria di debitore non fallibile, e il risultato che scaturisce dalle modifiche introdotte col decreto Crescita-bis meglio risponde alle esigenze che, fin dai primi interventi del legislatore, soggiacevano alla questione del sovraindebitamento.

La nuova normativa prevede dunque uno sdoppiamento delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento: l’art. 7 della legge individua oltre alla disciplina generale dell’ “accordo di ristrutturazione dei debiti”, una procedura più specifica per arginare l’insolvenza consumeristica, il c.d. “piano del consumatore” che non prevede alcun consenso della maggioranza dei creditori alla proposta del debitore.

In merito alla definizione della procedura in termini di “accordo di ristrutturazione dei debiti”, parte della dottrina sostiene che la scelta di questi vocaboli dipenda da una “svista (ancorché non semplicemente redazionale ma concettuale)”, nel momento in cui, come si dirà meglio in seguito, tale accordo ha la forza di vincolare anche i creditori non aderenti31.

Parlare dell’ accordo come mero strumento per la gestione dell’esposizione debitoria dell’insolvente sembrerebbe rappresentare una novità in realtà “modesta”, poiché l’esperienza giuridica da tempo ammette che contratti del genere siano largamente praticati32.

La novità consistente si configura piuttosto nell’aver individuato una procedura all’interno della quale l’accordo viene a formarsi, nel

31 In riferimento alla definizione come “accordo di ristrutturazione”, piuttosto che alla preferibile definizione “procedura deliberativa concorsuale”, v. F. DI MARZIO,

Introduzione alle procedure concorsuali in rimedio al sovraindebitamento, in F. DI

MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La <<nuova>> procedura di

composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 11. 32 F. DI MARZIO, op. ult. cit., p. 10.

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senso che: il debitore con eccesso di debiti e i creditori si accordano, concludendo un contratto, per superare il sovraindebitamento proprio attraverso una procedura di raggiungimento dell’accordo.

Il termine stesso “raggiungimento”, per le modalità con cui viene utilizzato nell’ambito dell’art. 11 della legge, fa riferimento proprio ad una procedimentalizzazione della conclusione dell’accordo33.

Il decreto Sviluppo-bis però interviene sulla l. n. 3/2012 offrendo un’ulteriore procedura, alternativa all’accordo del debitore e al piano del consumatore: la procedura di liquidazione del patrimonio che consiste nella liquidazione eseguita da un liquidatore di tutti i beni del debitore, compresi quelli sopravvenuti nei quattro anni successivi, ad eccezione dei beni con carattere personale, e può connotarsi di un sub-procedimento che consente al debitore non fallibile persona fisica di accedere, se sussistono le condizioni richieste, al beneficio dell’esdebitazione nelle modalità previste dall’art. 14-terdecies l. n. 3/2012.

Anche dal punto di vista sistematico è possibile cogliere questa nuova ripartizione, nel senso che il d.l. n. 179/2012 è intervenuto suddividendo il Capo II, “Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio”34, in tre sezioni: la sezione prima, “Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento” (artt. 6 - 14-bis della legge), detta le disposizioni generali, la disciplina gli accordi di ristrutturazione dei debiti, il piano del consumatore, l’esecuzione e cessazione degli effetti dell’accordo e del piano; la seconda, “Liquidazione del patrimonio” (artt. ter - 14-terdecies), introduce la procedura alternativa liquidatoria; la terza, “Disposizioni comuni” (artt. 15 - 16), contiene la normativa prevista in materia di Organismi di composizione della crisi e in materia di sanzioni penali.

33 F. DI MARZIO, op. ult. loc. cit.

34 Prima dell’intervento del d.l. n. 179 del 2012 il Capo II era intitolato “Procedimento per la composizione della crisi da sovraindebitamento”.

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Prima di procedere ad una analisi delle tre procedure in cui si articola la composizione della crisi è necessario chiarire la portata innovatrice dell’individuazione di una pluralità di procedure attivabili da soggetti diversi. Per fare questo si deve individuare che i presupposti della disciplina del piano del consumatore sono sostanzialmente diversi da quelli previsti per l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 7, nonostante invece il contenuto sia il medesimo per entrambe le procedure. Il piano del consumatore non richiede, affinché sia omologato, il solo fatto che il debitore adduca uno stato di sovraindebitamento, ma l’omologazione del piano è subordinata ad una “valutazione di meritevolezza” posta in essere dal giudice, e quindi non al raggiungimento del consenso di una maggioranza qualificata dei creditori, differentemente da quanto previsto per l’accordo di ristrutturazione.

Il giudizio di meritevolezza della condotta del debitore si basa sulla ragionevolezza della prospettiva di adempimento delle obbligazioni avuta dal debitore e sull’assenza di colpa nella determinazione dello stato di sovraindebitamento.

Da queste considerazioni risulta che “l’elemento di specialità della riforma non risiede nella previsione di una disciplina destinata al consumatore, bensì nell’introduzione di una disciplina relativa ad un tipo di sovraindebitamento”, il c.d. sovraindebitamento passivo in cui cade il debitore vittima di eventi che si collocano al di fuori della sua sfera di controllo35.

Questo orientamento sembra confermato dal fatto che l’art. 14-ter nell’introdurre il procedimento di liquidazione dei beni applicabile a tutti i debitori non fallibili, e non solo ai consumatori, richiede, tra i documenti che devono essere depositati per attivare la procedura, una relazione dell’organismo di composizione della crisi che ha contenuti simili a quelli previsti per il piano del consumatore, richiedendo l’elencazione delle cause di indebitamento e la diligenza del debitore nell’assumere le

35 E. PELLECCHIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1268-1270.

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obbligazioni: l’obiettivo è dimostrare la non colpevolezza del debitore (in questo caso il fine è accedere all’eventuale fase di esdebitazione).

Sulla base di tale lettura, le modifiche della l. n. 3 del 2012 non hanno creato alcun regime speciale per il consumatore, il quale, così come ogni altro debitore non fallibile, può raggiungere un accordo di ristrutturazione dei debiti con i creditori o, solo se sussistono gli estremi della meritevolezza, procedere col piano del consumatore che lo esonera dal sottoporlo al consenso dei creditori, o può altrimenti chiedere la liquidazione del patrimonio.

La Riforma della legge n. 3 del 2012 ha prodotto tante altre consistenti modifiche, tra le più significative si colloca la previsione del novellato art. 7 che consente di poter soddisfare parzialmente anche i crediti muniti di privilegio, pegno e ipoteca, “allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo del valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi”.

Per i crediti tributari e previdenziali non è prevista alcuna possibilità di soddisfazione parziale.

Altra importante novità introdotta dalla Riforma è rappresentata dalla vincolatività della proposta omologata anche per i creditori non aderenti una volta superato il vaglio di convenienza, o di meritevolezza nel caso di piano del consumatore.

I creditori che non aderiscono alla proposta di accordo non sono più definibili in termini di creditori estranei e perciò aventi il diritto di essere soddisfatti integralmente.

La soglia del quorum dei consensi necessario all’omologazione dell’accordo di ristrutturazione è stato ridotto dal 70% al 60% dei crediti complessivi. I crediti privilegiati per i quali l’accordo prevede invece l’integrale pagamento non dovranno essere computati al fine del calcolo

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della maggioranza, risolvendo così il dubbio sollevato dalla dottrina in merito all’inclusione di questi crediti nel novero dei creditori estranei all’accordo o dei soggetti a cui la proposta non va neppure destinata36.

La procedura di liquidazione dei beni è strutturata sullo schema del fallimento articolandosi in una pluralità di fasi che richiamano il procedimento di liquidazione del patrimonio del fallito disciplinato dalla legge fallimentare: nomina del liquidatore da parte del Tribunale (art. 14-quinquies), inventario dei beni (art. 14-sexies), formazione del passivo (art. 14-septies), liquidazione (art. 14-novies ss.) ed eventuale esdebitazione (art. 14-terdecies).

La procedura disciplinata dagli artt. 14-ter ss. può essere attivata su domanda del debitore o può essere aperta anche d’ufficio in seguito alla conversione della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento nei casi tassativamente previsti ex art. 14-quater.

Il procedimento di esdebitazione è previsto esclusivamente all’esito della procedura liquidatoria ed è subordinato all’esistenza di determinate condizioni idonee a verificare la correttezza del comportamento del debitore.

La Riforma ha inoltre ampliato il numero dei soggetti che possono svolgere le funzioni di Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Gli OCC possono essere costituiti non solo da enti pubblici, ma anche da enti privati dotati di specifici requisiti (di indipendenza, professionalità e adeguatezza patrimoniale), la cui determinazione è rimessa ad uno specifico regolamento ministeriale.

Gli organismi di composizione della crisi sono iscritti in un apposito Registro tenuto presso il Ministero della giustizia evidentemente al fine di sottoporre a controllo pubblico le qualifiche dei soggetti richiedenti; le modalità di iscrizione sono stabilite con regolamento

36A. GUIOTTO, La continua evoluzione dei rimedi alle crisi da sovraindebitamento, in Fallimento, 2012, p. 1287.

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adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e delle finanze.

Il ricorso, in luogo degli Organismi di composizione, ad un professionista o ad una società fra professionisti in possesso dei requisiti richiesti per le funzioni di curatore fallimentare ex art. 28 l. fall., o ad un notaio era previsto come transitorio dalla previgente normativa, ma, a seguito del d.l. n. 179/2012, tale ricorso perde ogni caratteristica di transitorietà purché questi soggetti siano nominati dal debitore o dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato.

L’art. 15 della legge consente dunque all’OCC di potersi costituire sia come organo pluripersonale che monocratico37.

È stato considerato che l’attribuzione delle competenze di un OCC ad un singolo professionista o ad un ente privato, oltre a determinare l’affievolirsi della connotazione pubblicistica dell’Organismo, non è priva di rischi: il professionista potrebbe trovarsi in una posizione di “dubbia terzietà”, il timore è quello di acuire il “conflitto di interessi che caratterizza inevitabilmente l’operato dell’OCC” in ragione delle complesse funzioni che gli sono attribuite durante tutto l’arco del procedimento38.

La riforma non è stata in grado di sanare i dubbi e le perplessità che già nella versione previgente della legge n. 3 del 2012 ruotavano intorno alla figura degli Organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento.

37 In merito alla nomina di un OCC in composizione monocratica v. Tribunale di Vicenza 8 luglio 2013, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/9345.pdf. Per

un’analisi della sentenza v. D. MANENTE, Appunti sul presupposto soggettivo di

applicazione della disciplina della procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento (L. 27 gennaio 2012, n. 3, e succ. mod.), in Dialoghi del diritto, dell’avvocatura e della giurisdizione, 2014, p. 24.

38 A. GUIOTTO, La continua evoluzione dei rimedi alle crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1289; R. D’AQUINO DI CARAMANICO-A. PARINI, Gli organismi di

composizione della crisi, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura

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Permangono le problematiche riguardanti la costituzione, la regolamentazione interna, l’indipendenza, le funzioni e la remunerazione degli OCC.

1.5. La natura concorsuale dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e il rapporto con le altre procedure concorsuali

Rispetto alla definizione in termini di concorsualità dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento, così come risultano a seguito della Riforma, è possibile individuare posizioni diverse in dottrina: alcuni affermano la natura concorsuale delle tre procedure, altri la negano o affermano di ricondurla solo ad alcuni dei procedimenti della l. n. 3 del 2012.

Quanto anticipato non ha rilevanza per il regime precedente, che si caratterizzava invece per la previsione di un'unica procedura volta al raggiungimento di un accordo coi creditori attivabile da qualsiasi categoria di debitore non fallibile.

La disciplina originaria della l. n. 3/2012 era stata influenzata dalle soluzioni negoziali della crisi d’impresa a tal punto da essere stata definita “un’anomala commistione tra la struttura dell’accordo e quella propria del concordato”39.

Gli elementi di contiguità con la figura del concordato preventivo non erano sufficienti per annoverare in questa categoria l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui alla l. n. 3 /2012, che infatti non presentava le caratteristiche salienti delle soluzioni concordatarie: mancava una votazione sull’accordo; non veniva svolta l’adunanza dei creditori; non era contemplata alcuna nomina di un commissario giudiziale che effettuasse verifiche e fornisse ai creditori le proprie valutazioni in merito.

39 R. BATTAGLIA, op. cit., p. 433.

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L’accordo consentiva di suddividere i creditori in classi, però tale articolazione aveva un significato diverso rispetto a quello assunto nell’ambito delle soluzioni concordate.

La suddivisione dei creditori in classi, diversamente dal concordato, aveva soltanto lo scopo di riunire soggetti a cui era destinato lo stesso trattamento e, non vigendo il divieto di alterare la graduazione dei crediti, era possibile costituire classi di crediti fra loro non omogenei.

Perché l’accordo fosse valido era sufficiente raggiungere il consenso di una maggioranza di creditori rappresentanti il 70% dei crediti, senza richiedere l’ulteriore requisito del raggiungimento dei consensi della maggioranza del maggior numero delle classi, come accade invece per il concordato ex art. 177 l. fall.

L’accordo di ristrutturazione disciplinato dalla versione originaria della legge altro non era che un contratto di diritto privato tra il debitore e uno o più creditori.

Più numerosi infatti erano gli elementi di vicinanza con gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall.

Parte della dottrina riconosce la natura ibrida dell’accordo di ristrutturazione dei debiti disciplinato dalla legge fallimentare, per il fatto di articolarsi prima in una fase stragiudiziale in cui il debitore rinegozia la propria esposizione debitoria, poi in una fase giudiziale in cui il giudice procede all’omologazione dell’accordo40.

Tra gli elementi di somiglianza individuabili tra l’accordo ex art 182-bis e quello disciplinato dalla l. n. 3 del 2012 risaltava l’incapacità dell’accordo, qualunque esso fosse, di vincolare anche i creditori estranei che non vi avevano aderito.

Questa caratteristica rappresentava al contempo una delle differenze più marcate tra l’accordo di composizione e la disciplina del concordato, in base alla quale il piano del concordato, una volta che ha

40 Come ricorda E. PELLECCHIA, La composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 1275.

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ottenuto la maggioranza dei consensi dei creditori, risulta cogente anche per i non aderenti.

La dissonanza più evidente tra la procedura ex l. n. 3/2012 e quella ex art. 182-bis riguardava l’acquisizione del consenso dei creditori: nella disciplina ex art. 182-bis l. fall. il procedimento di omologazione si apre con il deposito dell’accordo che è già stato raggiunto con una parte dei creditori, mentre il regime previgente della normativa speciale in materia di sovraindebitamento prevedeva che l’apertura del procedimento fosse condizionata al deposito di una proposta redatta dal solo debitore con l’ausilio dell’OCC, sulla quale però i creditori dovevano ancora esprimere il proprio consenso.

La dottrina ha sottolineato come il nesso di causalità fra piano e accordo, che caratterizza il procedimento di cui all’art. 182-bis, non era invece rinvenibile nella previgente procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento: la l. n. 3 del 2012, prevedendo che l’accordo di ristrutturazione dei debiti si organizzasse su un piano che assicurava il regolare pagamento dei creditori estranei, legava il termine di accordo a quello di piano, nonostante il concetto stesso di piano da sempre evochi una natura non giuridica ma aziendale41.

Lo stesso orientamento ha sostenuto che con pianificazione si fa riferimento alla “formulazione di una determinata strategia d’impresa”, per tale motivo una simile scelta lessicale poteva essere comprensibile relativamente al caso in cui ad attivare la procedura fosse un imprenditore commerciale sotto soglia in luogo della dimensione dinamica della sua responsabilità patrimoniale.

In riferimento a tutti gli altri debitori non fallibili invece sembrava più difficile giustificare il termine “piano”, non potendo attribuire rilevanza al profilo relativo alla capacità futura di generare risorse finanziarie.

41 In merito al rapporto accordo-piano sulla crisi di impresa e accordo-piano sul sovraindebitamento civile v. F. DI MARZIO, Una procedura per gli accordi in rimedio

al sovraindebitamento, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), Composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 15-16.

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In sintesi, la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento definiva sì uno strumento di regolazione collettiva della crisi, ma non ancora concorsuale: mancava infatti lo spossessamento del debitore, non vigeva il divieto di alterare la graduazione dei crediti e non era necessario rispettare il principio della par condicio creditorum.

Come già osservato, la normativa speciale in materia di sovraindebitamento è stata oggetto di consistenti modifiche apportate dal legislatore attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza con lo scopo di superare gran parte delle criticità che facevano capo alla disciplina originaria della legge.

Una delle innovazione più significative della Riforma è rappresentata dall’individuazione di ben tre procedure di composizione della crisi: l’accordo del debitore, il piano del consumatore e la liquidazione del patrimonio.

È il legislatore stesso a definire queste procedure come concorsuali nel momento in cui prevede espressamente nell’art. 6 della legge che i destinatari della disciplina in oggetto non sono assoggettabili alle “procedure concorsuali diverse da quelle regolate” dalla l. n. 3/2012.

Allineandosi al dato testuale, parte della dottrina sostiene la “piena natura concorsuale” delle tre procedure di composizione della crisi42.

Con specifico riferimento alla liquidazione del patrimonio del debitore non fallibile la valutazione della concorsualità si concentra su una pluralità di elementi tra i quali: il coinvolgimento dell’intero patrimonio pignorabile del debitore (che dal momento dell’apertura del procedimento viene amministrato dal liquidatore per la liquidazione e ripartizione ai creditori); la capacità della procedura di esplicare effetti anche sui creditori anteriori alla sua apertura (che non potranno porre in essere azioni esecutive o cautelari individuali)43.

42 D. MANENTE, Gli strumenti di regolazione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. <<Decreto Crescita-bis>>, cit., p. 592-593.

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