ANNATA IV
NUMERO 8
luglio
dicembre 2020
DIVISMO E RAPPRESENTAZIONE
DELLA SESSUALITÀ NEL CINEMA
ITALIANO (1948-1978)
a cura di
Laura Busetta e Federico Vitella
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DEL
CINEMA
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ALIA
INGRID MAMMA FELICE E SOPHIA NEI GUAI:
MATERNITÀ, DIVISMO E SCANDALI MEDIALI
SULLE PAGINE DI «OGGI» 1949-1959
Maria Elena D’Amelio
(Università degli Studi della Repubblica di San Marino)
Negli anni Cinquanta, due sono gli scandali divistici legati alla sfera dell’intimità e della famiglia che vengono maggiormente discussi sulle pagine dei rotocalchi popolari: la relazione adulterina tra Ingrid Bergman e Roberto Rossellini, poi sfo-ciata in un matrimonio per procura e nella nascita di tre figli, e quella tra Sophia Loren e Carlo Ponti, sui quali i rotocalchi popolari costruiscono uno storytelling melodrammatico tra accuse di bigamia, rifugi all’estero e maternità mancate. L’analisi di questi due casi di studio permette di ricostruire in chiave genealogica i discorsi legati alla sfera intima e affettiva attraverso quella che Janet Staiger chiama la «off-camera life», cioè l’attenzione alla vita personale delle attrici, che insieme ai ruoli, alle performance e all’immagine pubblica contribuisce a costru-ire l’immagine divistica e i suoi significati sociali1.
Attraverso l’analisi della narrativizzazione della vita privata delle dive del cinema italiano sui rotocalchi del dopoguerra e l’attenzione agli scandali legati alla sfera della sessualità e dell’intimità che le coinvolgono, il mio saggio prova a rispon-dere alle seguenti domande: perché alcuni scandali sono più accettati di altri? Fin dove si possono spingere le dive nel condurre vite al di là dell’ordinario in termini di libertà sessuale e di diritto di famiglia? In che modo la loro popolarità
1 Staiger, 2005: 118. Per un’analisi delle mediated identities attraverso il gossip si veda
McDonald, 2000.
This essay is an examination of two famous star scandals of the Fifties: the extramarital affair of Ingrid Bergman with Roberto Rossellini and that of Sophia Loren with Carlo Ponti. Focusing on the Italian popular magazine «Oggi»’s coverage of these stars’ scandals, my article aims to investigate popular discourses of sexuality and motherhood in relation to historical and social change in postwar Italy, in particular the interconnectedness of media scandals, star’s textual and extratextual images, and the symbolic construction of motherhood.
Keywords
Ingrid Bergman; Sophia Loren; star scandals; motherhood DOI
e il legame tra persona e personagge2 funge da catalizzatore per cambiamenti
nella moralità corrente? In pratica, di cosa si parla quando si parla di scandali divistici nel secondo dopoguerra?
Gli scandali mediatici avvengono, secondo la definizione di Lull e Hinerman, quando atti privati che marcano una rottura nella condotta morale idealizzata di una determinata comunità sociale vengono narrativizzati dai media e fatti circolare nella sfera pubblica3. È dunque il processo di narrazione e circolazione
mediale di un atto privato che crea la mediatizzazione dello scandalo e fornisce un “piano simbolico” in cui i confini della moralità corrente vengono negozia-ti, specialmente se la trasgressione fa riferimento all’ambito delle differenze identitarie, come genere, etnia, sessualità4. In particolare, fin dagli anni Venti lo
scandalo divistico re-situa la star come luogo simbolico della rappresentazione di moralità non convenzionali, facendo leva sulla fascinazione del pubblico per la “verità nascosta” delle identità private delle star al di là dell’immagine divi-stica costruita dalle case di produzione5.
L’analisi delle scandalose unioni delle coppie Bergman-Rossellini e Loren-Ponti, che come estensione temporale superano gli anni Cinquanta per addentrarsi fino quasi alla metà dei Sessanta, permette di avere uno sguardo «telescopico» sul cinema italiano6, i suoi rapporti con il cinema hollywoodiano, e i mutamenti
sociali a cavallo dei Cinquanta e Sessanta, attraverso una prospettiva di genere che – come affermano Cardone e Fanchi – in Italia è ancora frammentaria, marginale, non sistematica7. Infine, se gli anni Sessanta italiani vedono una
trasformazione inedita delle identità di genere e del modo stesso di intendere la sessualità8, quel che ci sembra stimolante indagare sono i passaggi, le
incli-nazioni, le «smarginature», per usare il termine concettualizzato da Elena Fer-rante, che portano a queste trasformazioni dell’intimità e quale ruolo assume il divismo, soprattutto femminile, nel negoziare il cambiamento.
I. Sessualità e divismo
Per indagare i discorsi sul sesso organizzati e diffusi dal divismo cinematogra-fico, l’analisi dei rotocalchi generalisti si rivela fondamentale. In primo luogo, per la matrice transmediale della ricezione del divismo cinematografico, spe-cialmente nell’Italia del dopoguerra. L’immaginario cinematografico, le sue narrazioni, le sue star entrano, infatti, nella vita degli italiani non solo attraver-so la fruizione della sala cinematografica ma, come afferma Mariagrazia Fan-chi, anche attraverso una pluralità di canali mediali diversi, come riviste, radio, televisione e musica9. L’analisi del divismo italiano degli anni Cinquanta non
2 Per l’uso concettuale e teorico del termine si rimanda a Tessitore, 2014; Setti, 2014.
Per l’utilizzo nell’analisi cinematografica si veda Cardone, 2016.
3 Lull; Hinerman, 1998: 3. 4 Lull; Hinerman, 1998: 3. 5 deCordova, 1990: 139. 6 Brunetta, 1979: 152.
7 Cardone e Fanchi, 2011: 293. Negli ultimi anni le ricerche in ambito accademico italiano
su genere, divismo, sessualità nel cinema e nei media si sono moltiplicate, grazie soprattutto all’impulso e alla spinta di FASCinA, il forum annuale delle studiose di cinema e audiovisivi.
8 Maina; Zecca, 2014: 5. 9 Fanchi, 2016: 233.
può dunque prescindere da una metodologia transmediale e transnazionale, dovuta sia al continuo passaggio della narrazione divistica su media diversi, sia alla matrice internazionale del divismo degli anni Cinquanta e allo stretto rapporto tra Hollywood e Cinecittà10.
In secondo luogo, il rotocalco «Oggi», pur essendo un paratesto di secondo grado11, cioè non specializzato in argomento cinematografico, dedica
ampis-simo spazio al cinema e ai suoi divi, in una prospettiva che esula dallo spazio critico e valutativo dei film per collocarsi in un discorso divistico più ampio, legato alla notiziabilità della vita privata degli attori. Richard Dyer definisce quest’area come publicity, cioè tutto quello che «non appare come costruzio-ne deliberata dell’immagicostruzio-ne», ad esempio il gossip12. Paul McDonald,
amplian-do l’analisi di Dyer sull’industria dello staramplian-dom, analizza l’importanza del gossip nel costruire le mediated identities delle star e la loro circolazione nella cultura popolare e nella vita quotidiana13.
Il rapporto tra cinema e stampa nel secondo dopoguerra è dunque caratte-rizzato dal reciproco sostegno e dalla trasmigrazione di linguaggi e modalità comunicative «dallo schermo alla carta»14. De Berti, a questo proposito,
defi-nisce lettori-spettatori il pubblico dei rotocalchi, riviste nelle quali il linguaggio visivo prevale sul testo scritto e le foto costruiscono un vero e proprio «raccon-to per immagini» che invita il let«raccon-tore a fruire della pagina come se fosse uno spettatore cinematografico15. La centralità dell’immagine e il fototesto come
principale modalità comunicativa e narrativa sono soprattutto evidenti nel di-scorso divistico che – per usare la definizione di Richard deCordova – privilegia lo star discourse, cioè la conoscenza delle star che va al di là delle interpreta-zioni cinematografiche per comprendere la loro immagine off-screen, in cerca di una desiderata e sempre elusiva “autenticità” del divo e della diva16.
Sulla base di una ormai ricca bibliografia sullo stardom, dunque, il mio inter-vento cercherà di porre l’attenzione sulla natura dinamica dei valori legati alla sessualità e alla maternità veicolati dai discorsi divistici in relazione ai muta-menti storici e sociali. In particolare, attraverso l’analisi dell’apparato icono-grafico, delle didascalie e degli articoli dedicati alla vita privata delle coppie Bergman-Rossellini e Loren-Ponti su «Oggi», si analizza il nesso tra scandalo mediale, immagine divistica e costruzione simbolica della maternità, conside-rando che «lo scandalo sessuale è la scena primaria di ogni discorso divistico»17.
10 Si vedano a questo proposito Nowell-Smith; Ricci, 1998; Elsaesser, 2005. 11 Gilardelli, 2013: 75.
12 Dyer, 1979: 60. 13 McDonald, 2000: 7.
14 Per un approfondimento sul rapporto tra cinema, divismo, e rotocalchi si rimanda a:
De Berti, 2000; Cardone, 2004; Vitella, 2015. Per un’analisi sul rapporto tra rotocalchi e spettatorialità femminile si veda Cardone, 2009.
15 De Berti, 2009: 13. 16 deCordova, 1990. 17 deCordova, 1990: 141.
II. Ingrid Bergman, scandalo transnazionale
La relazione tra Ingrid Bergman e Roberto Rossellini fu il primo scandalo me-diatico globale degli anni del dopoguerra e Ingrid Bergman fu la prima star di Hollywood a sfidare apertamente la complessa macchina della comunicazione hollywoodiana, il cui scopo era proteggere attori e attrici dagli scandali e da qualsiasi deviazione da una star persona attentamente costruita dalle case di produzione cinematografiche18.
Stephen Gundle afferma che la storia di Ingrid Bergman con Rossellini assunse proporzioni enormi negli Stati Uniti in particolare per il mismatch tra l’immagine pura che la Bergman aveva costruito attraverso i suoi ruoli hollywoodiani e la realtà del suo adulterio con un regista italiano. Sempre secondo Gundle, in Italia lo sdegno era stato invece più orientato verso la dimensione politico-culturale, vale a dire il “tradimento” del neorealismo da parte di Rossellini, dovuto alla scelta di usare una diva di Hollywood nei suoi film. Nel suo articolo The
Cinderel-la Princess, Adrienne McLean riprende Cinderel-la definizione di mismatch analizzando Cinderel-la
differente risposta del pubblico agli scandali di Ingrid Bergman e Rita Hayworth, ma giunge a una differente conclusione. McLean afferma che l’ostilità più ac-centuata nei confronti di Ingrid Bergman si fonda su una “gerarchia di peccati”, progressivamente più difficili da metabolizzare, percepita da parte dell’opinione pubblica. Dunque, se Rita Hayworth era “solo” colpevole di adulterio, Ingrid Bergman aveva generato un figlio illegittimo e questo superava il limite di accet-tazione dello scandalo19.
Le questioni morali dello scandalo Bergman-Rossellini sono state ampiamente di-battute anche in Italia, in particolare su testate come «Oggi» e «Così», in un perio-do di radicali cambiamenti nelle abitudini della moralità pubblica, di allentamento del controllo sulle star da parte delle majors e della progressiva sessualizzazione della rappresentazione cinematografica20. Analizzando la narrativizzazione della
vicenda sui rotocalchi italiani, il mio contributo si differenzia sia da Gundle sia da McLean, in quanto prova a leggere la relazione tra star scandal, star persona e au-dience attraverso la definizione di Dyer di star come reconciler of contradictions. Lo status divistico incarna un paradosso, quello del rapporto tra vita straordinaria e vita ordinaria, che secondo Dyer è legato al concetto di carisma weberiano e si basa su una costante instabilità interpretativa, poiché le star hanno la capacità di incarnare alcune delle contraddizioni ideologiche più evidenti di una partico-lare società21. In particolare, l’analisi degli scandali divistici di Bergman e Loren si
concentra sul rapporto tra alterità/maternità, sulla sessualità dentro e fuori dal matrimonio e sulla maternità come redenzione, confrontandosi con la pervasività nel discorso pubblico di un “mito unificante”, quello del mammismo.
Indagato principalmente dalla storica Marina d’Amelia e poi sviluppato nel vo-lume interdisciplinare La mamma: Interrogating a National Stereotype, il mam-mismo è la riduzione a stereotipo dei complessi rapporti tra le madri italiane e i loro figli, che – sviluppatosi nel Risorgimento – trova il suo apogeo negli anni Cinquanta. Il mammismo è dunque una vera e propria invenzione di una tradizione costruita sul discorso unificante della madre italiana come icona
18 Gundle, 2000: 64. 19 McLean, 1995: 39. 20 Ortoleva, 2009. 21 Dyer, 1979: 31.
sacrificale, funzionale alla ricostruzione di una identità collettiva dopo i traumi della Seconda guerra mondiale22. Pur riconoscendo che il mammismo –
ancor-ché predominante – è solo una delle molteplici rappresentazioni della materni-tà negli anni Cinquanta, e che il discorso nazionale sulla madre è tutt’altro che monolitico, è tuttavia importante esaminare le ramificazioni della concezione di una maternità essenzializzata nel ruolo sacrificale che sembra prevalente nell’immaginario del secondo dopoguerra23. Come monito e indicazione
meto-dologica, seguiremo il consiglio di Judith Butler che in Bodies That Matter invita a adottare la prospettiva di un «essenzialismo contingente», che riconosce la necessità di installare provvisoriamente una «categoria di identità», ma tenta allo stesso tempo di aprirla «come sito permanente di contestazione»24.
III. Ingrid Bergman e la scandalosa maternità
I primi tre film di Rossellini interpretati dalla Bergman – Stromboli (1950), Europa
51 (1952) e Viaggio in Italia (1954) – compongono quella che viene chiamata la
«trilogia della solitudine»25. I film si concentrano su una figura femminile
perce-pita dalla comunità come l’altra, la non assimilata, emarginata e respinta. Come afferma Elena Dagrada, nei film di Rossellini Ingrid Bergman incarna la differenza, costruita non solo sul piano tematico, ma anche e soprattutto su quello formale, attraverso «primi piani insistiti, stacchi netti audaci, soggettive estreme e soprat-tutto lunghe riprese continue»26.
L’alterità della figura di Ingrid Bergman, esaltata nei film di Rossellini, è evidente soprattutto in Stromboli e Europa 51. In Stromboli la differenza incarnata dal per-sonaggio di Karin è soprattutto espressa in termini figurativi e spaziali, attraverso il rapporto tra il corpo chiaro e nordico della Bergman e l’oscurità del tugurio dove abita, i vestiti scuri degli abitanti che la respingono, la stessa nera isola vul-canica che la ospita. In Europa 51 l’estraneità della protagonista nei confronti del paesaggio e della sua stessa famiglia si costruisce progressivamente in termini di classe e genere. La Bergman è Irene, donna altoborghese dall’esistenza agiata e frivola, che perde il figlio, suicidatosi perché si sentiva trascurato. Oppressa dal senso di colpa, Irene si allontana progressivamente dal mondo ricco e ovattato in cui il marito e la madre cercano di tenerla e, guidata dal comunista Andrea, si avvicina al sottoproletariato romano. L’alterità di Irene è costruita in contra-sto non solo con la famiglia altoborghese che rifiuta il suo umanitarismo come follia, ma anche con il proletariato che cerca di aiutare, come accade nel caso del suo incontro con Giulietta, madre di sei figli, sola e disoccupata, interpretata da Giulietta Masina. La differenza di classe e una profonda diversità nel vivere la maternità separano Irene da Giulietta, figure speculari e contrarie: nella se-quenza del loro incontro, Irene riporta a casa i figli di Giulietta, trovati a giocare soli in riva a un fiume. Invitata a entrare da una vitale ed esuberante Giulietta, Irene è impacciata, chiusa nel suo cappotto nero, i movimenti del corpo rigidi e
22 D’Amelia, 2005; Morris; Willson, 2018.
23 Si veda a questo proposito il successo dei melodrammi materni girati da Raffaello
Matarazzo e il ruolo di Yvonne Sanson come mater dolorosa in Cardone, 2007; D’Amelio, 2018.
24 Butler, 1993: 38. 25 Dagrada, 2008: 12. 26 Dagrada, 2008: 24-25.
lenti, sempre fuori posto. Giulietta invece è in costante movimento: accudisce, sfama, bacia, pulisce, abbraccia i suoi tanti figli, mostrando anche fisicamente l’affetto che la lega a loro e mostrando una naturalità nel vivere la maternità che Irene non possiede. Il materno di Giulietta è insieme tradizionale e radi-cale. Radicale perché Giulietta è madre sola ma per scelta, appagata dai tanti figli e perfettamente autonoma nell’allevarli anche senza padri intorno. In una sequenza di dialogo, infatti, Giulietta confessa a Irene di aver consciamente allontanato i vari padri dei suoi figli, senza rimpianto, con una non esplicitata ma evidente allusione alla separazione tra gratificazione sessuale e formazione di una famiglia nucleare e patriarcale. Nello stesso tempo, l’enfasi di Giulietta sull’accudimento dei figli e l’appagamento sentimentale trovato nella materni-tà sembrano richiamare lo stereotipo del mammismo costruito sui caratteri di primitivismo, ruralismo e istintività della madre italiana27.
Questa maternità naturale, rurale e sentimentale, rappresentata in Europa 51 dal personaggio di Giulietta Masina, contrapposta alla maternità negata e per-meata dalla colpa di Irene, si inserisce dunque in un contesto culturale in cui il mammismo fissa i “codici” dell’amore materno sulla retorica del sacrificio e dell’eccesso sentimentale. Contemporaneamente, l’iconografia della madre italiana sofferente e sacrificale popolarizzata da cinema e media diffonde un modello di mater dolorosa che coincide con l’ideale mariano della Chiesa cat-tolica di Pio XII e che viene identificato anche nelle comunità immigrate oltre-oceano con l’archetipo della tradizionale mamma italiana28.
L’esaltazione della maternità sacrificale e sacrale che denota l’invenzione del mammismo come caratteristica principale della madre italiana sembra perme-are la costruzione iconografica di Ingrid Bergman sulle pagine di «Oggi», in una serie di articoli e copertine che si concentrano sulla sua vita privata e in particolare sul rapporto con i figli avuti da Rossellini. Dal momento della sua unione con Rossellini, infatti, l’attrice viene rappresentata quasi esclusivamen-te in chiave maesclusivamen-terna, tramiesclusivamen-te un apparato fotografico che diventa centrale nel-la riconfigurazione delnel-la star persona di Ingrid Bergman da diva hollywoodiana immorale, portatrice di un’alterità radicale in termini di femminile e materno, a sposa e madre felice in Italia29.
Nell’articolo del 1950 che riporta la notizia della nascita di Robertino, primo figlio della coppia, Ingrid è già madre sacrificale, che «difende il suo bambi-no»30. Del 1951 è la copertina di «Oggi» dedicata al primo compleanno di
Robertino: Il figlio di Ingrid ha soffiato sulla sua prima candela31. Ingrid è
foto-grafata sorridente (fig. 1), lo sguardo in alto, vestita semplicemente e in ma-niera tradizionale, da buona madre borghese. Ha in braccio il figlio Robertino. La didascalia reitera la quotidianità e semplicità della diva, aggiungendo che, prima di andare al lavoro, l’attrice fa anche le pulizie da sola. La relazione con
27 D’Amelia, 2005: 21. 28 Morris; Willson, 2018: 14.
29 Per un’analisi del rapporto tra divismo e fotografia sui rotocalchi si veda Vitella, 2015. 30 [s.n], 1950a: 20. Questo e gran parte degli altri articoli pubblicati da rotocalchi citati nel
presente saggio sono stati messi a disposizione della comunità scientifica dal database di “Comizi d’amore. Il cinema e la questione sessuale in Italia (1948-1978)”, progetto di ricerca finanziato dal MIUR nell’ambito del Programma PRIN (bando PRIN 2015). Il progetto, di durata triennale (2017-2020), è stato coordinato dall’Università degli Studi di Milano. https://sites. unimi.it/comizidamore/accedi/
Rossellini e soprattutto la creazione di una nuova famiglia in Italia avrà però conseguenze anche legali oltreoceano: la Bergman subirà una denuncia al Se-nato americano per immoralità, volta a censurare i suoi film con Rossellini, e aprirà un lungo contenzioso legale con l’ex marito Aron Petter Lindström per la custodia della primogenita Pia32. I problemi d’oltreoceano però, vengono
minimizzati sulle pagine di «Oggi», che dedica un solo articolo alle controver-sie legali legate alla custodia di Pia33.
Nel 1952 «Oggi» dedica di nuovo una copertina alla Bergman, questa volta con le gemelle appena nate Isabella e Isotta34. La copertura mediatica della diva dal
1952 al 1954 è quasi esclusivamente incentrata sul suo nuovo ruolo di madre esemplare. Nell’articolo Vita serena di Ingrid Bergman e dei suoi figli l’attrice è ritratta sorridente con i figli intorno, dedita alle cure della casa a Santa Marinel-la, e solo in una fotografia a fondo pagina è ritratta in abito da sera durante una serata mondana35. Il suo status di diva hollywoodiana scompare sotto il nuovo
ruolo di «mamma felice», come titola «Oggi» nel 1954 riservandole un’altra copertina36. Nella foto l’attrice è in campagna, circondata dai figli Robertino,
Isabella e Isotta. All’interno il servizio fotografico riprende la Bergman con i figli, in atteggiamenti di gioco e relax all’interno della cornice rurale e bucolica di Santa Marinella. Nelle didascalie, pochi accenni al lavoro dell’attrice, che in quel periodo stava interpretando Giovanna D’Arco nell’omonimo dramma tea-trale diretto dal marito (fig. 2). «Oggi» dunque anticipa il “perdono” della star peccatrice e lo fa attraverso una strategia di contenimento della figura di Ingrid Bergman dentro una dimensione domestica, familiare, anti-divistica, secondo una tradizione, quella dell’anti-divismo, che per Carluccio e Minuz indica il radi-camento in Italia di una diffusa diffidenza per i processi di pianificazione indu-striale del cinema37 e che, in questo caso particolare, segue in parallelo la
deco-struzione dell’immagine hollywoodiana di Ingrid Bergman nei film di Rossellini. In Notes toward a Queer History of Naturalization, Somerville afferma che diventare cittadini tramite naturalizzazione è un processo performativo la cui teatralità espone la costruzione artificiale della cittadinanza38. Nella
costruzio-ne iconografica di Ingrid Bergman come madre felice circondata dalla natura di Santa Marinella, «Oggi» costruisce una performance del materno che espo-ne l’artificialità del legame tra ruralizzazioespo-ne, autenticità e nazionalizzazioespo-ne nel tessuto italiano39. Sottolineando la naturalità della maternità come
voca-zione primaria della donna, la rappresentavoca-zione bucolica dell’attrice circonda-ta dai figli annulla dunque la carica sovversiva della sua sessualità scandalosa e riconfigura la celebrità di Ingrid Bergman in un contesto culturale dominato da un ritorno al materno40. 32 Gundle, 2000: 68; McLean, 1995: 42. 33 [s.n.], 1952a: copertina. 34 [s.n.], 1952b: copertina. 35 [s.n.], 1952c: 8. 36 [s.n.], 1954a: copertina. 37 Carluccio; Minuz, 2015: 10-11. 38 Somerville, 2005: 663.
39 Sul legame tra ruralizzazione, autenticità e divismo nazionale si veda anche Gundle, 2007. 40 Busetta evidenzia come anche «l’orgoglio nazionale» verso Rossellini, capace di conquistare
una star hollywoodiana, abbia contribuito al ridimensionamento dello scandalo. Busetta, 2018: 168.
Nella sua analisi su post-femminismo e cinema hollywoodiano, Imelda Whe-lehan afferma che la diva che diventa madre segna uno spartiacque, il mo-mento di passaggio in cui la star entra nell’età adulta e, anche se il suo corpo può ancora essere soggetto di desiderio sessuale, rimane ai confini di ciò che è accettabile, perché «maternità e sessualità, seppur inevitabilmente connesse, sono simbolicamente incompatibili»41.
Se dunque la carica sovversiva della sessualità femminile viene attenuata e in alcuni casi neutralizzata dalla maternità, quest’ultima diventa un potente strumento per disinnescare gli scandali sessuali legati a tradimenti e accuse di bigamia, come nel caso Loren-Ponti.
IV. Sophia Loren, tra divismo internazionale e accuse di bigamia I rotocalchi popolari italiani, da «Oggi» a «Così» a «Noi donne», dedicano ampi servizi alle vicissitudini sentimentali di Sophia Loren e Carlo Ponti. L’attrice e il produttore si incontrano nel 1951 e si sposano nel 1957 per procura in Messico, nonostante Ponti, secondo la legge italiana, sia ancora sposato con la prima mo-glie Giuliana Fiastri42. A seguito del matrimonio messicano, la rivista «Oggi»
ri-percorre le tappe della storia tra Loren e Ponti, iniziata quando lui era già uomo adulto e lei sedicenne43. L’apparato iconografico pone a confronto una foto di
Sophia sorridente accanto a Carlo Ponti e una foto di Ponti con la prima moglie e i loro due figli, sottolineando la curiosità pruriginosa dello scandalo sentimen-tale e anticipando le accuse di bigamia che saranno rivolte alla coppia. Il testo invece non pone al centro del discorso né Loren né Ponti, bensì la madre di Sophia (che nel testo viene sempre interpellata come «signora Romilda») e le sue angustie nel pensare alla difficile situazione sentimentale della figlia, che ama un uomo sposato.
Il discorso materno-centrico è volto a lenire lo scandalo del matrimonio mes-sicano della diva, che secondo la legge italiana non è valido, così come non è valido il divorzio di Ponti da Giuliana Fiastri. In chiusura, il giornalista auspica addirittura che Sophia, proprio perché ha dato scandalo essendosi accompa-gnata a un uomo sposato, sarà una brava madre: «non v’è dubbio che Sofia, nella difficile condizione che si è scelta, quello della compagna di un uomo che ha moglie, sarà una mamma tenera»44.
Molto più dura è, invece, la posizione di rotocalchi di orientamento cattolico come la rivista «Così». L’articolo di Sangiorgi Smentite che smentiscono attacca l’ipocrisia di Loren e Ponti e fa riferimenti neanche troppo velati all’impossibilità della coppia di vivere come coniugi in Italia45. Ancora più esplicita la risposta
del-la rivista cattolica «del-la famiglia italiana» aldel-la domanda di un lettore, che chiede «in relazione al caso di un’artista cinematografica, qual è, in diritto canonico, la posizione di chi, dopo aver contratto matrimonio religioso, divorzia civilmente e quindi contrae un matrimonio civile con un’altra persona»46. La risposta è netta:
41 «Motherhood and sexuality, while inevitably linked, are symbolically incompatible»:
Whelehan, 2013: 81 (traduzione mia nel testo).
42 Il divorzio in Italia viene legalizzato solo nel 1970 e confermato con il referendum del 1974. 43 Lusini, 1957: 26.
44 Lusini, 1957: 26. 45 Sangiorgi, 1957: 21. 46 [s.n.], 1957: 1.
il codice di diritto canonico non riconosce il divorzio né il successivo matrimo-nio civile e i contraenti sono considerati colpevoli di bigamia. Lo scandalo del “matrimonio messicano”, infatti, fu profondamente osteggiato dagli ambienti cattolici, che arrivarono a chiedere il boicottaggio delle pellicole della diva e ad accusare i coniugi di bigamia, tanto che la coppia visse per vari anni all’estero47.
La copertura mediatica dello scandalo Loren-Ponti permette di analizzare non solo la rilevanza divistica della Loren e il dibattito sulla moralità delle dive, ma anche il ruolo del fandom e della publicity dei rotocalchi nel rielaborare gli scan-dali dei divi e delle dive preferite per negoziare discorsi su sessualità, diritto di famiglia e legislazione italiana, in un’epoca di profonde trasformazioni della sfe-ra intima e sociale. Di particolare interesse è la copertusfe-ra di «Noi donne», rivista di matrice progressista, che utilizza lo scandalo per spostare l’attenzione sull’ar-retratezza della legislazione italiana in materia di diritto di famiglia. In Il peccato
dei coniugi Ponti, «Noi donne» accenna alle accuse di bigamia che «una certa
signora Brambilla» ha mosso nei confronti della coppia. A differenza di «Così» e «la famiglia italiana», «Noi donne» si prende gioco delle accuse e dell’ipocrisia che le muove:
Bisogna far rispettare la legge e difendere la famiglia: quindi bisogna punire la Loren e Ponti che si sono sposati. Se avessero deciso di comportarsi come si fa normalmente fra la bella gente, nessuno, invece, avrebbe avuto nulla da
obiettare. Quel che conta è salvare le apparenze.48
«Noi donne» sottolinea dunque il paradosso di una coppia divistica che viene accusata di comportarsi troppo ordinariamente, volendosi sposare come comu-ni mortali, invece di continuare a vivere liberamente, così come fa la “bella gen-te”, riferendosi forse alle più trasgressive dive d’oltreoceano. Pochi mesi dopo, «Noi donne» pubblica un’altra notizia che sottolinea il confine sottile tra pub-blico, fandom e divismo italiano in termini di moralità e comportamenti sociali. In una breve nota intitolata Il bigamo e la Loren si riporta di un parrucchiere genovese che – accusato e condannato per bigamia – ricorre in tribunale affin-ché le sanzioni penali applicate a lui vengano applicate anche a Sophia Loren. In alternativa, assoluzione per entrambi49.
Lo scandalo Loren-Ponti esce quindi dai confini del divismo per allargarsi al pub-blico, che comincia a mettere in discussione il trattamento diverso riservato a star e persone comuni. Perché lei sì e io no?, si chiede il parrucchiere genovese. L’accusa di bigamia rivolta a Ponti e Loren tradisce inoltre gli stereotipi sessisti circolanti nella società dell’epoca: secondo l’articolo 556 del codice penale, sia chi è già sposato e contrae un altro matrimonio sia chi sposa qualcuno già uni-to in precedente matrimonio è perseguibile per legge. Ma la Loren, in quando donna e attrice, paga il prezzo di una moralità a doppio standard, che da Eva in poi attribuisce la colpa della corruzione morale alla figura femminile. È l’attrice, infatti, a essere accusata di essere una rovinafamiglie e di aver indotto in tenta-zione il già maritato Ponti50. La stessa Loren, in un’intervista rilasciata a «Oggi»
47 Gundle, 1995: 377. 48 [s.n.], 1959a: 6. 49 [s.n.], 1959b: 10. 50 Gundle, 1995: 377.
nel 1954 sulla fedeltà coniugale, non fa mistero delle sue posizioni conservatrici riguardanti la fedeltà della coppia sposata: alla domanda se sia più grave l’in-fedeltà femminile o maschile, Loren risponde che bisogna essere «indulgenti verso il coniuge, inflessibili verso l’adultera», dimostrando di aver interiorizzato il sistema a due misure legato alla sessualità femminile tipico del patriarcato51.
La storica Michela De Giorgio, nella sua Storia del matrimonio, afferma che «dai primi anni Cinquanta, la stigmatizzazione di ogni forma di devianza dal matrimonio monogamo che vede uniti Stato e Chiesa non impedisce che la rappresentazione dell’instabilità cominci a caratterizzarsi come attributo di professioni eccentriche», come quelle legate al mondo dello spettacolo52.
Le lettere di protesta per lo scandalo Loren-Ponti che arrivano ai giornali solle-vano dunque la questione dello status ordinario/straordinario delle star in ter-mini di moralità e sessualità: attori e soprattutto attrici, dunque, sono soggette alle stesse regole di moralità pubblica o possono avere uno statuto privilegiato, come l’aristocrazia del Settecento?
La critica all’immoralità delle professioni cinematografiche e soprattutto di quella attoriale emerge spesso sulla rivista di ispirazione cattolica «Così», che nel 1959 pubblica un’inchiesta di Carlo Testa intitolata Cinema e matrimonio, in cui il giornalista si domanda se
l’accordo, la felicità e la pace familiare siano conseguibili nella vita di ogni attrice, o se invece siano il patrimonio solo di poche fortunate, o se infine la loro rinuncia sia l’amaro prezzo chiesto per raggiungere la celebrità e il
successo.53
Pur affermando che la professione cinematografica è deleteria per la vita ma-trimoniale sia degli attori sia delle attrici, la chiosa dell’articolo afferma che «non sempre l’arte riesce a dare la felicità alla donna, la quale difficilmente trova l’appagamento delle sue esigenze spirituali e naturali fuori del matrimo-nio e della famiglia»54. Permane dunque un atteggiamento patriarcale e
gen-derizzato nell’affrontare la dinamica tra professione e privato delle attrici, se-condo la quale il vissuto fuori dalle regole morali correnti è considerato meno grave negli attori che nelle attrici, non solo per il diverso standard morale cui la sessualità femminile è tenuta, ma per un implicito discorso di “naturalizza-zione” dell’appagamento, ancora visto in funzione di riproduzione e cura della prole per la donna.
Qui si può forse modulare una prima risposta alle conseguenze della dicoto-mia ordinary/extraordinary. Le star vivono una vita straordinaria che non è conciliabile con quella comune basata sullo schema capitalista della separazio-ne genderizzata delle sfere: quella pubblica (uomo) e quella privata (donna). Infatti, neanche troppo velatamente si accusano solo le attrici di incrinare lo statuto del matrimonio. L’attrice, prima che star, è donna che lavora e che
51 [s.n], 1954b: 11. L’articolo di «Oggi» prende spunto dalla proposta di legge del senatore
Giuseppe Salari per parificare lo status giuridico dei coniugi in ambito di diritto civile e penale.
52 De Giorgio, 345. 53 Testa, 1959: 8. 54 Testa, 1959: 8.
quindi sovverte l’ordine patriarcale-capitalista, che fin dal suo sviluppo, come ben descrive Silvia Federici in Calibano e la strega, assegna alle donne la ripro-duzione della forza lavoro e la cura della casa55. D’altronde, la stessa dicotomia
ordinary/extraordinary può portare ad altre conseguenze, con la riproduzione
di ineguaglianze diverse ma sempre perniciose, come nota il critico e docente di sociologia Giovanni Cesareo su «Noi donne». Intitolato Le due morali, l’arti-colo di Cesareo riflette su come l’attenzione della stampa sia ormai più rivolta alle vite private delle attrici che alle loro carriere e riconosce che l’attenzione sui particolari spinosi e scandalistici delle attrici è ormai prassi comune anche dei «pudibondi e conformisti settimanali femminili». L’autore si chiede quindi se il tanto temuto e insieme auspicato mutamento dei costumi stia finalmente arrivando anche in Italia. In realtà, Cesareo sottolinea amaramente come ci sia appunto, da parte dei rotocalchi e dei settimanali femminili, un atteggiamento da doppia morale, che tratta la rottura dei tabù da parte di poche attrici privile-giate come casi isolati, che non vanno giudicati così severamente come invece si farebbe per “l’uomo della strada”. Cesareo chiede:
La popolarità, dunque, è ormai un tale piedistallo da mettere chi ne è bene-detto al di sopra di ogni critica? Oppure questa tolleranza per le irregolarità dei divi deriva da una esigenza obiettiva, dalla crescente insofferenza del
pubblico per le leggi arretrate, i pregiudizi e i tabù.56
L’autore mette in guardia contro una «eventuale istituzionalizzazione della morale del privilegio», in cui fama e celebrità diventano le uniche possibilità di libertà dalla morale comune. L’analisi di Cesareo si inserisce – seppur criti-candole – nell’alveo delle prime teorizzazioni del divismo compiute da Morin (1957) e Alberoni (1963), che attribuiscono al divismo uno status d’eccezione, dovuto appunto alla natura elitaria e carismatica della star: ciò giustifiche-rebbe il diverso trattamento di divi e dive in relazione alla morale corren-te, tenendo presente che comunque la donna attrice è sempre tenuta a uno standard morale più alto rispetto a quello maschile perché, nonostante il loro status d’eccezione, le star femminili non sono immuni dal sessismo. D’altra parte se, come affermano le teorie recenti sulla celebrity, la star è una merce, un prodotto del sistema industriale dell’intrattenimento, allora deve sottosta-re a una serie di sottosta-regole atte a limitasottosta-re il più possibile il danneggiamento di det-ta merce57. In questo, la reputazione e l’attinenza alla star persona proposte
svolgono un ruolo fondamentale.
La carriera di Sophia Loren era stata costruita fino al 1957, anno del suo ma-trimonio in Messico e del lancio della sua carriera hollywoodiana, su perso-nagge portatrici di una femminilità popolana e irruenta, ma anche positiva e
55 Federici, 2015. Federici riconosce la sfera della riproduzione come fonte di sfruttamento e
attribuisce l’origine della differenza di potere tra donne e uomini all’esclusione delle donne dal sistema capitalistico, fin dalla transizione da feudalesimo a capitalismo.
56 Cesareo, 1965: 27. 57 Turner, 2014.
consapevole del proprio potere seduttivo. Film come L’oro di Napoli (1954) e
Pane amore e… (1955, di Dino Risi), l’uno diretto e l’altro interpretato da
Vitto-rio De Sica, per molti vero artefice della creazione della star Loren, creano l’i-cona della Loren come unruly woman, la donna indisciplinata, profondamente inserita nel tessuto sociale di un’Italia rurale e geograficamente meridionale58.
Dopo il 1957 Ponti avvia il lancio internazionale della Loren a Hollywood, anche per tentare di arginare le reazioni negative dell’opinione pubblica italiana alla loro unione. Secondo l’analisi di Gundle, la notorietà internazionale di Sophia Loren ottiene però l’effetto opposto e incrementa l’accanimento dell’ambiente cattolico verso l’attrice, diventata simbolo di un mondo in transizione e di una Italia che abbracciava posizioni morali più progressiste59.
Nel caso Sophia Loren si intrecciano quindi diversi piani: la star come sistema polisemico e prodotto industriale, che insieme creano la star persona Sophia Loren e l’identificazione con un certo cinema (commedia popolare) e un de-terminato ruolo (la bellezza italiana da esportazione); lo scandalo e l’accu-sa di bigamia, che impediscono il pieno sfruttamento del prodotto Loren in patria; la riabilitazione della star, che passa, come nel caso della Bergman, attraverso i rotocalchi popolari e il discorso sulla maternità.
Analogamente allo scandalo Bergman, anche quello della Loren viene fatto rientrare e risolto grazie ad accorte strategie mediali che costruiscono la nuo-va star persona Sophia Loren sull’immagine della madre sofferente. Questo avviene sia sullo schermo, con il ruolo della madre che subisce violenza ed è suo malgrado testimone impotente dello stupro della figlia in La Ciociara (1960) di Vittorio De Sica, ruolo che le farà ottenere l’Oscar, sia sulle pagine dei rotocalchi popolari attraverso l’odissea delle difficili gravidanze e degli aborti spontanei che l’attrice subisce60 (fig. 3).
Negli anni Sessanta lo scandalo Loren-Ponti risulta dunque ormai superato e l’attrice inizia un sodalizio professionale con Marcello Mastroianni che pro-durrà alcuni dei film e ruoli per i quali è maggiormente ricordata: lo spo-gliarello di Mara nell’episodio omonimo di Ieri, oggi, domani (1963), sem-pre diretta da De Sica, e la madre prostituta che ottiene il tanto desiderato matrimonio in Matrimonio all’italiana (1964). Negli anni Sessanta l’attrice è insieme santa e peccatrice, prostituta e madre, ex bigama e sposa fedele, in un cortocircuito tra schermo e vita privata che testimonia come gli elementi della modernizzazione e il cambio di mentalità pubblica legata a divorzio e aborto passano anche attraverso il corpo delle donne e la sua rappresenta-zione da parte delle dive.
58 Reich, 2004: 105. 59 Gundle, 1995: 376.
60 Si vedano ad esempio gli articoli su «Oggi» di Anita Pensotti: Lascerei il cinema pur di avere
un figlio (1963: 18) e Dopo dieci giorni drammatici Sofia cerca la quiete e ritorna a sperare
(1967: 20). Si veda inoltre la copertina di «Oggi» del 15 gennaio 1969 (a. XXV, n. 3): La Loren
V. Conclusioni
La rappresentazione e ricezione delle dive del cinema italiano degli anni Cin-quanta sulle pagine di «Oggi» e altri rotocalchi popolari evidenzia da un lato l’eccezionalità dei loro comportamenti fuori dagli schemi morali accettati nel nome della straordinarietà delle loro vite da dive, e dall’altro serve come carti-na di torcarti-nasole per elaborare i cambiamenti della mentalità nella società civile, che utilizza il divismo come modello di riferimento per la rappresentazione della sessualità femminile61.
Gli scandali sentimentali e sessuali di Ingrid Bergman e Sophia Loren raccon-tano una storia di peccato e redenzione attraverso la maternità che richiama la struttura del maternal melodrama, genere codificato a Hollywood negli anni Quaranta62 e che trova nuova linfa e successo popolare in Italia nei
melodram-mi degli anni Cinquanta diretti da Raffaello Matarazzo63. Il contesto
storico-so-ciale è quello di una nazione in cui vige il mito della Grande Madre, che secon-do lo psicologo junghiano Ernst Bernhard permea il tessuto identitario degli italiani, unito a quello della Madonna madre e vergine64. Sono gli anni in cui
la Chiesa cattolica ridefinisce l’ambito e l’immagine femminile contro le nuove forme di lavoro extradomestico e le ideologie di emancipazione delle donne. L’enfasi sulla dualità di Maria come madre e vergine quindi si muove tra i due poli dell’idealizzazione della figura materna, centro e custode dei valori tradi-zionali, e della diffidenza verso la realtà concreta e sessuata della donna, cui si contrappone l’esaltazione della verginità65.
Nell’illustrare le vicende personali delle dive, specialmente matrimoni, divorzi, maternità, «Oggi» compie un simile processo di educazione sentimentale o, come direbbe Foucault, di regolamentazione dei corpi e dei comportamenti sessuali accettabili66. Agendo da filtro e mediazione della duplice qualità della
star come straordinaria/ordinaria, la publicity delle dive sui rotocalchi popolari serve ad attuare un processo di controllo e indirizzo della sessualità “scanda-losa”, facendola rientrare nell’ambito della moralità corrente, con un intento pedagogico simile a quello descritto da Lucia Cardone nella sua analisi della novellizzazione dei film degli anni Cinquanta67.
Il divismo italiano degli anni Cinquanta e Sessanta emerge dunque come punto di riferimento per soddisfare il bisogno di trovare nuovi referenti simbolici, intor-no ai quali riaggregarsi e riaggregare il corpo sociale68. I rotocalchi continuano e
ridefiniscono questa funzione sociale, normalizzando gli elementi di rottura con la tradizione e contenendo la portata sovversiva dell’essere star, per sostenere e riconfermare la centralità del matrimonio e della famiglia. Le dive nostrane
61 Si vedano a questo proposito le analisi di Busetta, 2018; Missero: 2017. 62 Kaplan, 1992.
63 Cardone, 2012; D’Amelio, 2018. 64 Cfr. Bernhard, 1969.
65 Bravo; Pelaja; Pescarolo; Scaraffia 2011: 197. 66 Foucault, 1976.
67 Lucia Cardone afferma che «portati sulla carta, inseriti nell’alveo della letteratura rosa,
i film finiscono per mimarne gli intenti pedagogici, tentando di offrire visioni orientate e proponendo una prudentissima educazione sentimentale a fumetti». Cardone, 2016: 200.
68 Casetti; Fanchi, 2002: 156. Sulla fan culture italiana del dopoguerra si veda anche Vitella,
sono esaltate nei loro ruoli tradizionali di mogli e madri, mentre i comporta-menti sessuali devianti delle dive sono ricondotti alla straordinarietà della vita della star, soprattutto d’oltreoceano, tanto che l’affermazione Anche a
Holly-wood esistono donne e madri esemplari diventa appunto notizia d’eccezione69.
I tempi cambieranno, i venti degli anni Sessanta porteranno profonde mu-tazioni nei costumi, nelle relazioni tra i sessi, e nelle norme e consuetudini sociali. Il divismo italiano anticipa e negozia il cambiamento e i rotocalchi ne filtrano gli aspetti più sovversivi, come quello del progressivo scollamento tra l’espressione del desiderio sessuale, il vincolo del matrimonio e la maternità.
69 È il titolo della copertina di «Oggi» del 24 agosto 1950 (a. VI, n. 24).
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