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L'interesse del debitore alla ristrutturazione

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L’interesse del debitore alla ristrutturazione dei debiti

Sommario: 1. Nuove declinazioni dell’interesse del debitore ad adempiere – 2. La ristrutturazione dei debiti nel quadro degli strumenti di rinegoziazione/manutenzione – 3. Libertà dei creditori e interesse del debitore nella terra di confine tra il singolo rapporto obbligatorio e l’accordo di ristrutturazione - 4. L’interesse del debitore alla ristrutturazione come limite all’esercizio del diritto del creditore - 5. L’interesse alla ristrutturazione del debito come interesse rilevante anche nel singolo rapporto obbligatorio

1. Nuove declinazioni dell’interesse del debitore ad adempiere

La preminenza attribuita dal diritto delle obbligazioni all’interesse del creditore – cardine intorno al quale ruota il rapporto obbligatorio, il cui scopo essenziale è quello di far conseguire al creditore l’oggetto del suo diritto – non ha impedito alla dottrina di cogliere i segni della rilevanza di interessi riferibili anche al debitore.

Tra questi interessi – dei quali si sottolinea l’irriducibilità ad un’unica figura1

particolare rilievo è stato assegnato all’interesse del debitore alla liberazione dal vincolo, principalmente desumibile dalla disciplina della mora del creditore2 e da taluno posto a

fondamento di un vero e proprio diritto del debitore ad adempiere, cui corrisponderebbe un dovere di cooperazione del creditore3: così configurando il rapporto obbligatorio come un

rapporto complesso, in cui alla situazione necessitata del debitore si aggiungono diritti e a quella essenzialmente facoltativa del creditore si sommano obblighi4. Una siffatta

ricostruzione, tuttavia, snaturerebbe – per l’aggiunta di un “colorito di necessità”5

l’essenziale libertà che caratterizza il credito in quanto diritto soggettivo. Più convincente appare la ricostruzione offerta da altra dottrina, che configura l’interesse del debitore alla liberazione come interesse tutelato rispetto a comportamenti del creditore, la cui libertà

1 BRECCIA, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato a cura Iudica e Zatti, Milano, 1991, p. 52.

2 U. NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio. I. Il comportamento del creditore, in Trattato di diritto

civile e commerciale diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1974, p. 128. Per la distinzione tra interesse alla liberazione (evidenziato dalla disciplina della mora del creditore) e interesse alla liberazione con l’adempimento (messo in evidenza dalla disciplina della remissione e dell’adempimento del terzo) v.

RESCIGNO, voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. Dir., XXIX, Milano, 1979, p. 197. V. anche DI MAJO, Delle

obbligazioni in generale, in Commentario del Codice Civile Scialoja–Branca, a cura di F. Galgano, Bologna–

Roma, 1988, p. 401, per ipotesi di “interesse del debitore all’esecuzione della prestazione” rinvenibile nel debito di prestazioni artistiche o professionali.

3 V. soprattutto FALZEA, L’offerta reale e la liberazione coattiva del debitore, Milano, 1947, p. 59 ss. (ora anche ristampa, Milano, 2012).

4 Sulla costruzione del rapporto obbligatorio come “organismo complesso” v. G. CIAN, La figura generale

dell’obbligazione nell’evoluzione giuridica contemporanea fra unitarietà e pluralità degli statuti, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 498.

5 BIGLIAZZI GERI, voce Interesse legittimo: diritto privato, in Digesto delle Discipline Privatistiche–Sez. Civ., vol. IX, Torino, 1993, nota 245 p. 556.

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incontra un limite nel quomodo dell’esercizio del diritto, connotando nel senso dell’abusività condotte – segnatamente l’ingiustificato rifiuto di una prestazione perfetta o la altrettanto ingiustificata mancata adozione di condotte strumentalmente necessarie all’esecuzione della prestazione da parte del debitore – poste in essere prescindendo dalla considerazione di un altrui interesse rilevante. Ove poi si voglia procedere alla qualificazione del menzionato interesse del debitore sub specie di situazione giuridica soggettiva, la soluzione più coerente – piuttosto che quella del diritto soggettivo alla liberazione dal vincolo obbligatorio – appare quella dell’interesse legittimo di diritto privato: situazione di vantaggio, perché volta al conseguimento, sul piano sostanziale, di un risultato favorevole; situazione inattiva, poiché il suo soddisfacimento non dipende dal comportamento del titolare ma da quello di un soggetto diverso, nella cui area di azione ricade l’interesse altrui, imponendo al soggetto agente di “tenere conto direttamente ed immediatamente anche dell’altrui interesse”, che funziona quindi come “limite destinato a rendere discrezionale un comportamento altrimenti tanto libero da risultare arbitrario”6.

Benché tenuto – in virtù di uno specifico obbligo – ad effettuare una prestazione, il debitore vanta infatti anche un interesse a liberarsi tempestivamente tramite l’adempimento. Il soddisfacimento di questo interesse implica la collaborazione del creditore, che può giustificatamene mancare – con conseguente sacrificio dell’interesse del debitore – solo in presenza di un motivo legittimo.

Non v’è dubbio, al riguardo, che solo l’offerta di una prestazione esatta – nel senso di perfettamente corrispondente, sotto ogni profilo, al contenuto previsto – conferisca consistenza all’interesse del debitore alla liberazione, perché rende palese – ove non ricorra un motivo legittimo – la pretestuosità ed arbitrarietà del rifiuto del creditore: in altre parole, la sua contrarietà a correttezza.

La recente introduzione – con la l. 3/2012 – di procedure per la composizione delle crisi da sovraindebitamento ha però apportato significative innovazioni7: il debitore

sovraindebitato può oggi tentare di raggiungere un accordo con una porzione qualificata

6 BIGLIAZZI GERI, op. cit., p. 544.

7 Si tratta di una normativa il cui ambito di applicazione è individuato dal legislatore in termini di residualità, “al fine di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo” (art. 6, comma 1). Ne risulta un’area di ragguardevole estensione ed eterogeneità, nella quale sono ricompresi gli imprenditori non assoggettabili alla legge fallimentare (piccoli imprenditori ex art. 2083 c.c., imprenditori commerciali sotto le soglie di cui all’art. 1 l. fall., imprenditori agricoli esercenti un’attività agricola ai sensi dell’art. 2135 c.c.), i debitori civili, i professionisti intellettuali, i consumatori, gli enti non commerciali. Viene in tal modo colmata una duplice lacuna: “una lacuna interna al tradizionale diritto della crisi d’impresa, ampliando il novero dei soggetti economici che possono esservi assoggettati”; e una lacuna “storica”, con riguardo ai soggetti non imprenditori: DI MARZIO, Introduzione alle procedure concorsuali in rimedio del sovraindebitamento, in DI MARZIO, MACARIO, TERRANOVA (a cura di), La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento, Milano, 2013, p. 10.

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dei creditori o, se consumatore, sottoporre direttamente al giudice un piano per una ristrutturazione complessiva della propria situazione debitoria8. Fuori dalla secca

alternativa adempimento/inadempimento, il debitore offre di adempiere “come, quando e quanto può”, sulla base di un piano predisposto con l’ausilio di organismi appositamente istituiti9 e corredato di un’attestazione di fattibilità.

La costellazione di interessi che possono trovare espressione nel rapporto obbligatorio si arricchisce: accanto all’interesse del creditore (presidiato dalla responsabilità per inadempimento, dalla garanzia patrimoniale generica e dalle procedure esecutive) e all’interesse alla liberazione del debitore che abbia offerto una prestazione esatta rifiutata senza motivo legittimo (tutelato tramite la mora del creditore), trova ora collocazione l’interesse del debitore sovraindebitato alla ristrutturazione della propria complessiva esposizione10. La rilevanza di questo interesse è stata ribadita dall'art. 13, 8 La nuova disciplina prevede non una sola procedura di composizione della crisi, ma tre, disposte in una sorta di schema a ipsilon, lungo un tracciato a volte comune a volte specifico. Sono infatti contemplate tre forme di composizione della crisi: l’accordo del debitore (art. 7, comma 1), il piano del consumatore (art. 7, comma 1 bis) e – in alternativa o, in talune specifiche ipotesi, in consecuzione ad entrambe le procedure - la liquidazione del patrimonio (art. 14 ter).

L’accordo del debitore (che può essere proposto da tutti i soggetti “non fallibili”) ha per oggetto la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti sulla base di un piano che - approvato da una maggioranza qualificata di creditori – è vincolante anche per i dissenzienti.

Il piano del consumatore prevede, analogamente all’accordo del debitore, la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti, ma è riservato al solo debitore persona fisica che abbia assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta: prescinde da un accordo con i creditori, essendo soggetto solo all’omologazione da parte del giudice.

Infine, la liquidazione del patrimonio (che può essere proposta da tutti i debitori non fallibili), consiste -sulla falsariga della liquidazione fallimentare - nella liquidazione di tutti i beni del debitore, compresi quelli sopravvenuti nei quattro anni successivi, ad eccezione dei beni aventi carattere personale: viene eseguita da un liquidatore con il ricorso a procedure competitive e, come il piano del consumatore, prescinde da un accordo con i creditori, in quanto è soggetto soltanto all’omologazione da parte del giudice.

Per una descrizione generale v. ad esempio, BONFATTI-FALCONE, Le procedure di composizione negoziale delle crisi e del sovraindebitamento, Giuffrè, 2014; F. VERDE, Il sovraindebitamento, Bari, 2014. 9 La l. 3/2012 assegna un ruolo chiave agli organismi di composizione della crisi (art. 15): a tali organismi è attribuito – con ampia formula di chiusura di cui al comma 5 – il potere di assumere “ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione e all’esecuzione dello stesso”.

10 Per questa interpretazione – e ulteriori argomentazioni - sia consentito il rinvio a E. PELLECCHIA,

Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti,

Torino, 2012, p. 209ss. Aderiscono a questa prospettazione DI MARZIO, Ristrutturazione dei debiti, in Enc.

dir., Annali, VI, Milano, 2013, p. 812 e A. DI MAJO, Debito e patrimonio nell’obbligazione, in GRISI (a cura

di), Le obbligazioni e i contratti nel tempo della crisi economica. Italia e Spagna a confronto, Napoli, 2014, p. 38.

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comma, del d.l. 27 giugno 2015, n. 83 (misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile), il quale alla lett. a) dispone che "all'art. 480, secondo comma, c.p.c., è aggiunto, in fine il seguente periodo:<<Il precetto deve altresì contenere l'avvertimento che il debitore può, con l'ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore>>.

Anche la relazione di complementarità che così si stabilisce tra l’interesse del debitore alla ristrutturazione e i diritti dei creditori (il cui soddisfacimento – di volta in volta: integrale ma dilazionato, oppure rateizzato, oppure ridotto o modificato – andrà comunque assicurato) si presta ad essere letta come relazione tra interesse legittimo e diritto di credito.

Ciò è particolarmente evidente nella procedura denominata “accordo di ristrutturazione” (denominazione criticata da autorevole dottrina, che suggerisce come più corretta la qualificazione in termini di “procedura deliberativa concorsuale”)11, per accedere

alla quale il debitore deve ottenere il consenso di “creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti” (art. 11). La procedura presuppone quindi una fase di trattativa nella quale il debitore certamente non può far valere un “diritto a rinegoziare”: nondimeno, la qualificazione dell’interesse alla ristrutturazione come interesse legittimo – che funge quindi da limite rispetto al diritto soggettivo del creditore – riduce il margine di scelta di questi, imponendogli di tenere conto anche dell’interesse del debitore alla ristrutturazione, che potrà essere sacrificato solo in presenza di un “motivo legittimo”.

Sarà infatti il “motivo legittimo” il filtro che consentirà il giudizio sulla non abusività dell’esercizio del diritto del creditore, con “una valutazione destinata a non fermarsi all’esteriore regolarità formale del comportamento, ma a coinvolgerne la stessa congruità sostanziale”12. Né varrebbe obiettare che, diversamente da quanto accade rispetto alla

mora del creditore, manca un testuale riferimento al motivo legittimo come indice della rilevanza normativa dell’interesse legittimo del debitore alla ristrutturazione. È vero che il testuale riferimento a un “giusto motivo” rivela senz’altro la presenza di un interesse posto dalla norma in funzione di limite rispetto ad una situazione di potere, ma la possibilità di identificare situazioni di interesse legittimo non si riduce ai soli casi in cui sia la legge a subordinare esplicitamente la legittimità del comportamento del soggetto agente ad un motivo legittimo: alla stessa conclusione si può arrivare, “benché nel silenzio della legge,

11 DI MARZIO, op. cit., p. 816.

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quando, sulla base di un’analisi comparativa, si accerti che l’interesse di un soggetto funge da limite (esterno) al potere altrui sì da influire sul come di questo”13.

E’ quanto accade nella l. 3/2012: la base consensuale che la ristrutturazione deve necessariamente avere fa sì che il diritto di credito conservi intatta la sua natura di situazione di libertà, ma con l’esercizio di questa libertà il creditore incide anche sull’interesse del debitore (e degli altri creditori, stante l’opzione, del legislatore italiano, per il “modello concordatario”), potendo determinare il successo o l’insuccesso della ristrutturazione. In questa dimensione costitutivamente relazionale sta l’essenza dell’interesse legittimo, una relazionalità che prescinde dall’espresso riferimento ad un motivo legittimo e si manifesta piuttosto nel fatto che l’esercizio della libertà di un soggetto può determinare il sacrificio di un altrui interesse che l’ordinamento reputa meritevole di tutela (al punto da apprestare – nel caso di cui qui si discute – un’apposita procedura per la composizione della crisi da sovraindebitamento): conseguentemente la “naturale libertà della situazione si riduce (non si perde)”, dal momento che la legge stessa evidenzia “un altrui interesse del quale il soggetto agente non può non tenere conto in vista del legittimo esercizio del suo <<potere>>”14.

2. La ristrutturazione dei debiti nel quadro degli strumenti di rinegoziazione/manutenzione

Diversamente da quanto previsto nel diritto dei contratti – dove campeggia l’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, a cui fanno da sponda discipline specifiche per singoli tipi contrattuali – il diritto delle obbligazioni non contempla strumenti per la gestione di sopravvenienze che investano il rapporto obbligatorio: “il contratto di per sé non è impermeabile al sopravvenuto mutamento delle circostanze, anche economiche, che ne possano alterare la fisiologia (…), impermeabile è invece il rapporto obbligatorio che da quel contratto sia scaturito, rispetto al quale perde del tutto rilevanza l’eventuale alterazione intervenuta sulla cornice entro cui è collocato”15.

Si discute, è vero, se il rimedio dell’art. 1467 cod. civ. riguardi il contratto o piuttosto l’obbligazione, se protegga direttamente l’equilibrio contrattuale fra le prestazioni o

13 BIGLIAZZI GERI, op. ult. cit., p. 552 14 BIGLIAZZI GERI, op. ult. cit., p. 547

15 MODICA, Profili giuridici del sovraindebitamento, Napoli, 2012, p. 152. Sulla “depurazione” della categoria dell’obbligazione – riferita solo al rapporto – da ogni riferimento alla fattispecie costitutiva, v. G. CIAN, La

figura generale dell’obbligazione nell’evoluzione giuridica contemporanea fra unitarietà e pluralità degli statuti, cit., p. 497.

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piuttosto la posizione del debitore gravato16, se l’incidenza del rimedio sul contratto sia un

riflesso mediato della tutela accordata al debitore (sia pure qualificato dall’essere debitore da contratto)17. E non è mancato il tentativo di costruire – a partire dalla previsione dell’art.

1468 cod. civ. relativa ai contratti in cui una sola parte ha assunto obbligazioni – un rimedio contro l’eccessiva onerosità sopravvenuta di natura non sinallagmatica e neppure propriamente contrattuale, bensì utilizzabile non da un contraente ma piuttosto da un debitore18. Ma insuperabile rimane il rilievo che l’eccessiva onerosità sopravvenuta “deve

colpire la prestazione nella sua oggettività, non nelle condizioni soggettive del debitore (pure rilevanti ai fini dell’esecuzione)”19 e che “il rimedio è dato non a un debitore in

difficoltà con la propria prestazione, ma a un contraente che vede alterata a proprio danno la ragione di scambio del contratto”20.

Neppure il fecondo dibattito scaturito dalla insoddisfazione per i rimedi codificati – inadeguati, per la loro natura prevalentemente “demolitiva”, a proteggere efficacemente l’interesse al mantenimento del contratto21 – e le ricerche volte alla individuazione di regole 16 BESSONE, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, p. 1969; ALPA–BESSONE–ROPPO, Rischio

contrattuale e autonomia privata, Napoli, 1982.

17 ROPPO, Il contratto, Trattato di diritto privato a cura di Iudica e Zatti, Milano, 2001, p. 1018; E. GABRIELLI, La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, in Trattato dei contratti a cura di P. Rescigno–E. Gabrielli, I contratti in generale, II, Torino, 2006, p. 1809 ss.. Sui confini tra risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, presupposizione e clausola rebus sic stantibus, v. GALLETTO, voce

Clausola rebus sic stantibus, in Digesto delle Discipline Privatistiche–Sez. Civ., II, Torino, 1988, p. 383 ss.

18 L’art. 1468 cod. civ. disciplina il caso in cui l’onerosità colpisce la prestazione dovuta in base ad un contratto nel quale una sola delle parti ha assunto obbligazioni: il rimedio consiste non nella risoluzione, bensì nel diritto di chiedere una riduzione della prestazione ovvero una modificazione delle modalità di esecuzione, sufficienti per ricondurla ad equità. Si discute se l’art. 1468 c.c. sia ad esempio applicabile nel caso di contratto con prestazioni corrispettive in cui sia divenuta eccessivamente onerosa la prestazione ancora da adempiere. Quello che residua dopo che un contratto sinallagmatico è stato eseguito da una parte, è una obbligazione isolata, accostabile secondo alcuni all’ipotesi dell’art. 1468 c.c., con conseguente possibilità di domandare la revisione: cfr. P. GALLO, voce Eccessiva onerosità sopravvenuta, in Digesto

delle Discipline Privatistiche–Sez. Civ., VII, Torino, 1991, p. 237.

19 ROPPO, Il contratto, cit., p. 1021; SACCO, I rimedi per la sopravvenuta eccessiva onerosità, in Trattato di

diritto privato diretto da P. Rescigno, vol. 10, tomo II, Obbligazioni e contratti, Torino, 1995, p. 633; DI MAJO, Eccessiva onerosità sopravvenuta e reductio ad aequitatem, in Corr. giur., 1992, p. 662 ss. La

giurisprudenza (dopo essere stata lungamente contraria) estende il concetto di onerosità rilevante anche all’onerosità indiretta, cioè l’onerosità determinata – a carico della parte che deve eseguire la prestazione non ancora esaurita – dallo svilimento della controprestazione attesa, sicché lo squilibrio non sta nel dovere una prestazione resa più difficile o costosa da circostanze sopravvenute imprevedibili, bensì di dovere la propria prestazione invariata in cambio di una controprestazione che ha imprevedibilmente perso parte del valore che aveva al tempo del contratto: deve trattarsi in ogni caso di svilimento oggettivo, cioè di perdita di valore di mercato della controprestazione. Cfr. Cass. 8 agosto 2003, n. 11947.

20 ROPPO, op. ult. cit., p. 1031.

21 V. però MACARIO, Rischio contrattuale e rapporti di durata nel nuovo diritto dei contratti: dalla

presupposizione all’obbligo di rinegoziare, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 63 ss., il quale individua nei dati

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per la costruzione di rimedi orientati alla “manutenzione” e all’adeguamento dei contratti22,

si può dire abbiano avuto una qualche significativa eco nel contiguo ma diverso territorio del rapporto obbligatorio.

Particolarmente interessante – per la discontinuità che provoca – è dunque la previsione da parte della l. 3/2012 di procedure per la ristrutturazione dei debiti, con le quali la logica della manutenzione si espande alle obbligazioni, come strumento per porre rimedio alle crisi da sovraindebitamento: l’impotenza economica del debitore passa dall’essere condizione irrilevante – nell’ottica della responsabilità per inadempimento che governa il singolo rapporto obbligatorio – a presupposto di accesso ad una procedura per la gestione di una situazione complessiva di difficoltà che investe tutti i rapporti di cui è parte il debitore.

La nuova disciplina guarda alla condizione debitoria non in maniera atomistica ma nella prospettiva della pluralità dei rapporti che fanno capo al debitore: il dato quantitativo produce un cambiamento qualitativo che si traduce nell’evoluzione di un paradigma.

La somma di più incapacità di adempiere trascende i singoli rapporti da cui origina e sposta il rimedio su un differente livello, dove la mera giustapposizione di singoli rapporti isolati e non comunicanti lascia il posto alla interdipendenza e dove gli strumenti di tutela rispetto al rischio di insolvenza, la responsabilità per inadempimento e l’esecuzione forzata – pensati nella logica del rapporto isolato – cedono il passo alla logica plurale della ristrutturazione dei debiti.

In questa nuova logica, muta, soprattutto, la valutazione dell’incidenza delle condizioni patrimoniali del debitore sul rapporto obbligatorio23.

Nella prospettiva del codice civile – di esclusiva tutela delle ragioni del credito – quando il mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore mette in pericolo il conseguimento della prestazione, la risposta del sistema si manifesta nella “concessione di strumenti che rafforzano la tutela o aprono la possibilità di forme di autotutela al creditore”24.

Nella prospettiva della l. 3/2012, il dissesto patrimoniale del debitore – nel quale confluiscono inadempimenti attuali e potenziali – schiude invece la via a rimedi

contratto, quale soluzione preferibile rispetto alla vanificazione del vincolo.

22 Un panorama completo e aggiornato è offerto da MACARIO, voce Revisione e rinegoziazione del

contratto, in Annali Enc. dir., II, t. 2, Giuffrè, 2008, p. 1026 ss.

23 A. DI MAJO, Debito e patrimonio nell’obbligazione, cit., p. 23 ss. 24 RESCIGNO, voce Obbligazioni (nozioni), cit., p. 174.

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“manutentivi” che erodono la rigidità dello schema binario “adempimento/inadempimento” su cui è costruita la disciplina delle obbligazioni25.

In questo territorio nuovo, l’interesse alla ristrutturazione scompagina gli schemi di pensiero con cui l’interprete ha familiarità, dando vita ad una sorta di circuito parallelo in cui più intensa è l’esigenza di comportamenti cooperativi nell’ottica della solidarietà e in cui i confini tra adempimento e inadempimento diventano meno netti: quelli che secondo le nitide e rassicuranti regole della tradizione sarebbero inadempimenti – il ritardo, l’inesattezza quantitativa o qualitativa – nel contesto della ristrutturazione figlia del “diritto della crisi” diventano possibili modalità di esecuzione della prestazione26.

La legge speciale restituisce così all’interprete un’immagine dai contorni fluidi: alla chiara fisionomia dell’adempimento esatto – cui il debitore è tenuto, nell’ottica della regolare attuazione del rapporto obbligatorio – si affianca l’immagine mutevole di un adempimento “come, quando e quanto possibile” secondo l’accordo di ristrutturazione o il piano del consumatore, che il debitore è legittimato a proporre.

Anche nella disciplina del rapporto obbligatorio – “ove più a lungo si è tramandata l’esigenza di una pura dogmatica” – vacilla sempre più spesso “l’immagine di una ragione antica, immune come tale dalle contraddizioni sistematiche legate ai tempi”27. E sarà

interessante verificare se anche all’interno della singola relazione credito–debito, il debitore non ancora sovraindebitato ma già in difficoltà possa sollecitare il proprio creditore ad avviare una ristrutturazione, tanto più che la ristrutturazione del debito già all’interno della singola relazione potrebbe svolgere un’efficace azione preventiva del sovraindebitamento, consentendo di “giocare d’anticipo”, tenendo sotto controllo situazioni di difficoltà ed evitandone la degenerazione. In questa direzione – come si illustrerà - si sta muovendo il legislatore europeo, ad esempio con la direttiva 17/2014/UE sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali (c.d. direttiva mutui)28.

Questi spunti di riflessione saranno approfonditi e argomentati nelle pagine che seguono.

25 Su questo mutamento, si rinvia a E. PELLECCHIA, L’obbligo di verifica del merito creditizio del

consumatore: spunti di riflessione per un nuovo modo di guardare alla “contrattazione con l’insolvente”, in Nuove leggi civ. comm., 2014, p. 1088 ss.

26 V. al riguardo le considerazioni di PAGLIANTINI, Il debito da eccezione a regola, in Nuovi profili del diritto

dei contratti. Antologia di casi e questioni, Torino, 2014, p. 169: nella parabola di un debito che da eccezione

si fa regola si delinea “uno statuto debole dell’interesse creditorio in qualche maniera oscurato da un favor non, come superficialmente si potrebbe concludere, debitoris ma market oriented”. V. anche STIMILLI,

Debito e colpa, Roma, 2015, 152, la quale osserva che “un indebitamento planetario si rivela alla base degli

ingranaggi dell’economia mondiale”. 27 BRECCIA, Le obbligazioni, cit., p. 4. 28 V. infra par. 5.

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3 . Libertà dei creditori e interesse del debitore nella terra di confine tra il singolo rapporto obbligatorio e l’accordo di ristrutturazione

La libertà dei creditori di decidere se aderire oppure no alla proposta di accordo di ristrutturazione e l’interesse del debitore alla ristrutturazione medesima si incontrano sul crinale tra il presente del rapporto obbligatorio esistente e il futuro dell’accordo in formazione: questa zona di confine non è uno spazio vuoto che progressivamente si riempie con le adesioni dei creditori, ma uno spazio in origine potenzialmente pieno dal quale si può uscire motivatamente. La trattativa che il debitore sovraindebitato avvia con i propri creditori in vista della ristrutturazione affonda infatti le proprie radici in un rapporto obbligatorio già in essere e nel quale entrambe le parti sono tenute a comportarsi secondo correttezza. I creditori dei singoli rapporti, nel caso in cui il debitore sovraindebitato – facendo valere il proprio interesse alla ristrutturazione – manifesti l’intenzione di attivare una procedura per la composizione della crisi, si ritrovano metaforicamente “già seduti al tavolo della trattativa”: possono alzarsene per giustificato motivo.

La prima conseguenza dell’esistenza di un punto di cesura tra il già e il non ancora è dunque la illegittimità del rifiuto del singolo creditore di partecipare all’avvio di una trattativa29: in questa fase embrionale la condotta conforme a buona fede sarà la

disponibilità a trattare, tanto più importante nel passaggio dalla dimensione del singolo rapporto obbligatorio alla molteplicità dei rapporti coinvolti in un piano di ristrutturazione30.

Il passaggio dal singolare al plurale stabilisce fin dall’inizio la già ricordata interdipendenza (sia pure fattuale) tra le singole condotte: i creditori – fino a quel momento reciprocamente estranei – si studiano vicendevolmente prima di decidere se aderire oppure no alla proposta di accordo ed è evidente che il rifiuto di trattare di uno può influenzare anche altri, frustrando sul nascere l’avvio di una ristrutturazione.

Un altro versante su cui – nel peculiare contesto di una trattativa per un accordo di ristrutturazione dei debiti – la regola della buona fede potrà incentivare comportamenti cooperativi è il versante della tolleranza delle inesattezze. È bensì noto che l’esattezza della prestazione nel senso di piena corrispondenza a quanto dedotto in obbligazione è il parametro a cui è rapportata la valutazione del comportamento del debitore ai fini del

29 Si verifica, in altre parole, una situazione non dissimile da quella cerniera tra un regolamento contrattuale esistente e le sue necessarie modifiche in vista dell’adeguamento del contratto ad esigenze sopravvenute, analizzata da MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 401.

30 In questo senso, con riguardo alle imprese in crisi, BOGGIO, Gli accordi di salvataggio delle imprese in

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giudizio di adempimento/inadempimento. Questa affermazione di intuitiva evidenza ha il suo inequivocabile addentellato in precise disposizioni di legge. In linea di principio non si può unilateralmente imporre al creditore una prestazione quantitativamente inferiore (anche se la prestazione è divisibile) o qualitativamente diversa (neppure se di valore uguale o maggiore): tanto più che né nell’art. 1181 cod. civ. né nell’art. 1197 cod. civ. il legislatore ha enunciato alcun limite all’esercizio del rifiuto, che secondo lo strictum ius potrebbe essere opposto anche nel caso in cui l’inesattezza incida in misura minima sul soddisfacimento dell’interesse del creditore. Il chiaro tenore letterale del dettato normativo potrebbe però essere superato quando “il comportamento negativo del creditore si caratterizzi in concreto in modo tale da apparire contrario alle regole della correttezza e della buona fede, rendendo, quindi, non valido il rifiuto della prestazione” pur inesatta31.

Inoltre dalla disciplina delle obbligazioni provengono anche segnali che vanno in direzione opposta a quella dell’estremo rigore nella valutazione della inesattezza della prestazione32

e che parrebbero “l’espressione di un principio più generale, che valga a tradurre l’esattezza dell’adempimento in termini di approssimazione”33 così da imporre al creditore 31 U. NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio. I. Il comportamento del creditore, cit., 200; BRECCIA,

Le obbligazioni, cit., p. 402: “la possibilità di una valutazione dell’esercizio “abusivo” del rifiuto di ricevere la

prestazione non conforme al dovuto comporta un’interpretazione dell’art. 1181 che va oltre la lettera della disposizione isolata. Anche nella nostra esperienza giuridica, di fatto, la valutazione di correttezza o di buona fede oggettiva opera pur in mancanza di previsioni puntuali; e può consentire di riconsiderare le conclusioni cui si perverrebbe sulla base del tenore, per quanto chiaro e non lacunoso, di un singolo enunciato legale”. 32 Cfr. U. NATOLI, op. ult. cit., p. 212 ss., sulla irrilevanza della inesattezza qualitativa della prestazione in alcuni casi particolarmente significativi, sia per l’importanza delle materie cui si riferiscono sia per la scarsità di altri elementi testuali: ad es., l’esistenza di vizi non autorizza la risoluzione della vendita se i vizi non siano tali da rendere la cosa venduta inidonea all’uso cui deve essere destinata o non ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (artt. 1490 e 1492 cod. civ.); parimenti, la mancanza nella cosa venduta delle qualità promesse o essenziali per l’uso cui deve essere destinata esclude la possibilità della risoluzione, se non eccede i limiti di tolleranza consuetudinari (art. 1497 cod. civ.); e ancora, il conduttore non può domandare la risoluzione del contratto se al momento della consegna la cosa locata presenta vizi che tuttavia non ne diminuiscano in mod apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito (art. 1578 cod. civ.). Secondo l’A., in questi casi sembra affermarsi che il creditore “deve tollerare (…) sia pure entro certi limiti, l’inesattezza qualitativa della prestazione. Sino a quando questi limiti – che non possono che essere determinati di volta in volta tenendo conto delle circostanze del caso concreto – non siano stati superati e l’inesattezza non abbia raggiunto un certo grado di gravità, il creditore non potrà chiedere la risoluzione”. È vero che “non si può in alcun modo ritenere che (legittimità del) rifiuto dell’offerta e azione di risoluzione siano da considerare senz’altro ricollegati ai medesimi presupposti”, ma è sintomatico che “nei tre casi accennati, di fronte all’inesattezza qualitativa della prestazione, purché contenuta entro limiti modesti, al creditore non sia riconosciuto alcun mezzo di tutela: non solo, infatti, si esclude la risoluzione, ma anche la riduzione del prezzo. Che, semmai, potrebbe venire in considerazione, alternativamente con la possibilità della risoluzione, soltanto quando l’inesattezza raggiungesse il voluto grado di gravità (artt. 1492, 1578). In definitiva, non basterebbe una qualsiasi insufficienza qualitativa dell’offerta a “legittimare il rifiuto del creditore, richiedendosi a tale effetto un’insufficienza di un certo rilievo”.

33 U. NATOLI, op. ult. cit., p. 214: ad ulteriore conforto di questa tesi viene richiamato l’art. 1178 cod. civ., relativo all’obbligazione generica, a tenore del quale “quando l’obbligazione ha per oggetto la prestazione di cose determinate solo nel genere, il debitore deve prestare cose di qualità non inferiore alla media”. Secondo l’A. “il riferimento ad un criterio di mera approssimazione è qui di indubbia evidenza; e si può dire che è reso inevitabile dalla stessa natura della prestazione”. Un’ulteriore eccezione alla possibilità del creditore di rifiutare una prestazione inesatta si ha in caso di impossibilità sopravvenuta parziale, per tale intendendo non solo quella che impedisca di prestare l’intero, “ma anche quella che impedisca una prestazione qualitativamente esatta”, provocando – come si legge nel secondo comma dell’art. 1258 cod.

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“la necessità di un certo margine di tolleranza di fronte alla difformità o ai vizi dell’oggetto della prestazione, sia pure specificatesi di volta in volta in modo diverso”34: di

conseguenza, il creditore può (legittimamente) rifiutare l’offerta di una prestazione inesatta, “sempreché tale inesattezza superi quel margine di tolleranza che può essere stabilito in concreto con riferimento al valore o alla funzionalità dell’oggetto”35.

Ebbene, alla luce delle considerazioni che precedono, nel particolare contesto di una trattativa complessa che sarebbe destinata al sicuro insuccesso se ogni creditore rimanesse irremovibile su posizioni di rigida pretesa della propria prestazione – rifiutando adempimenti parziali36 o offerte di prestazioni diverse – può eccezionalmente trovare

ingresso una regola di tendenziale tolleranza delle inesattezze37 da applicare tutte le volte

civ. – “un deterioramento della cosa dovuta”: con liberazione del debitore con l’esecuzione di una prestazione deteriorata.

34 U. NATOLI, op. ult. cit., p. 215 35 U. NATOLI, op. loc. ult. cit.

36 La “rilettura” secondo buona fede dell’art. 1181 cod. civ. è poi ribadita dal recente mutamento di orientamento giurisprudenziale relativamente alla possibilità di un esercizio frazionato del credito. L’art. 1181 cod. civ. è stato infatti lungamente interpretato come attributivo al creditore della esplicita facoltà di rifiutare un adempimento parziale, ma anche della implicita facoltà di chiedere un adempimento solo parziale: M. GIORGIANNI, Pagamento (diritto civile), in Nov. dig. it., XII, Torino 1965, p. 323. Sul punto si è formata una giurisprudenza consolidata (ad es. Cass., 19 ottobre 1998, n. 10326, in Giur. it., 1999, c. 1372). La prassi che si è conseguentemente stabilizzata di distinte domande per l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria è stata suggellata dalle Sezioni Unite con sentenza del 10 aprile 2000, n. 108 (in Giust. civ., 2000, I, p. 2265, con nota di MARENGO), ma dalle stesse Sezioni Unite censurata a distanza di qualche anno (sent. 15 novembre 2007, n. 23726) come contraria al “giusto processo” e “alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione all’inderogabile dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.” quando il frazionamento del credito è operato dal creditore “per sua esclusiva utilità” e “con unilaterale modificazione peggiorativa della posizione del debitore”. La sentenza si può leggere in Nuova giur. civ. comm., 2008, 1, p. 458, con nota di FINESSI, La frazionabilità (in giudizio) del credito: il nuovo intervento delle sezioni unite; in Foro it., 2008, I, p. 1514, con nota di PALMIERI e PARDOLESI, Frazionabilità del credito e buona fede inflessibile, e di CAPONI, Divieto di frazionamentogiudiziale del credito: applicazione del principio di proporzionalità nel

processo civile?; in Riv. dir. proc., 2008, p. 1437, con nota di GOZZI, Il frazionamento del credito in plurime iniziative giudiziali, tra principio dispositivo e abuso del processo.

37 In dottrina è stato sottolineato che ciascuna parte è tenuta a tollerare quelle modifiche del programma contrattuale che meglio realizzino l’interesse della controparte senza pregiudicare il proprio e più in generale ad esercitare i suoi poteri discrezionali “in modo da salvaguardare l’utilità della medesima controparte, compatibilmente con il proprio interesse o con l’interesse a tutela del quale il potere è stato conferito”: C.M. BIANCA, Eccezione di inadempimento e buona fede, in Realtà sociale ed effettività della norma, I, Milano, 2002, p. 905.

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in cui il creditore non sia in grado di far valere un giustificato motivo per rifiutare un’offerta di adempimento quantitativamente o qualitativamente difforme dal dovuto38.

4. L’interesse del debitore alla ristrutturazione come limite all’esercizio del diritto del creditore

L’interesse del debitore alla ristrutturazione – qui qualificato come interesse legittimo – funge da limite esterno rispetto al diritto soggettivo del creditore e ne riduce il margine di scelta. Secondo quanto già detto, questo interesse potrà essere sacrificato solo in presenza di un motivo legittimo, che consente il giudizio sulla non abusività dell’esercizio del diritto del creditore, con una valutazione non limitata all’esteriore regolarità formale del comportamento, ma estesa alla congruità sostanziale: questa valutazione implica una comparazione tra gli interessi contrapposti al fine di formulare un giudizio di prevalenza, il cui esito potrà sfociare di volta in volta in un legittimo sacrificio dell’interesse del debitore o invece in una qualificazione di arbitrarietà dell’esercizio del credito.

Il motivo legittimo andrà apprezzato anche avendo riguardo alla fattibilità del piano illustrata dall’apposita relazione tecnica redatta dall’organismo di composizione della crisi sulla base di dati contabili veritieri e debitamente riscontrati39. Con la relazione viene

formulato un giudizio prognostico sulla fattibilità del piano e sulla effettiva capacità del debitore di rispettare gli impegni di ristrutturazione. La relazione quindi – oltre ad assolvere

38 Del resto, una valutazione di correttezza del rifiuto è ormai pacificamente ammessa ad esempio rispetto al rifiuto di accettare mezzi di pagamento sostitutivi della moneta contante: si tratterebbe quindi di procedere su un solco già tracciato, per valutare la legittimità di rifiuti che incidano – compromettendola – sulla possibilità di successo della procedura di composizione della crisi. Per giurisprudenza consolidata, l’invio di assegni circolari o bancari da parte del debitore obbligato al pagamento di somme di denaro doveva essere considerato una proposta di datio pro solvendo, la cui efficacia liberatoria dipendeva dal preventivo assenso del creditore ovvero dalla sua accettazione (configurabile qualora il creditore trattenesse e riscuotesse l’assegno): v. per tutte Cass., 10 giugno 2005, n. 12324, in Banca, borsa e tit. cred., 2007, II, p. 33 ss. La continuità dell’orientamento è stata di tanto in tanto interrotta da decisioni di segno opposto (es. Cass., 10 febbraio 1998, n. 1351, in Foro it., 1998, I, c. 1914), secondo cui la consegna di assegni circolari estingue l’obbligazione pecuniaria quando il rifiuto del creditore appare contrario alle regole della correttezza, che gli impongono, a norma dell’art. 1175 cod. civ., di prestare la sua collaborazione all’adempimento dell’obbligazione. Il contrasto tra le sezioni semplici è stato composto dalla decisione a Sezioni Unite della Cassazione del 18 dicembre 2007, n. 26617: l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria viene definita “non come atto materiale di consegna della moneta contante”, bensì come “prestazione diretta all’estinzione del debito, nella quale le parti debbono collaborare osservando un comportamento da valutare per il creditore secondo la regola della correttezza e per il debitore secondo la regola della diligenza”. La sentenza è pubblicata in Corr. giur., 2008, p. 500, con nota di DI MAJO, I pagamenti senza denaro contante nella cashless society; in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 751 ss., con nota di MORCAVALLO, L’adempimento

dell’obbligazione pecuniaria mediante consegna di assegni circolari: inquadramento sistematico e valenza teorico–applicativa di un orientamento evolutivo. Sul tema v. anche PENNASILICO, L’estinzione dell’obbligazione pecuniaria mediante assegno circolare: a proposito di interpretazione “evolutiva” della legge, in Rass. dir. civ., 2010, p. 777 ss.

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una importante funzione strumentale all’esercizio del potere di controllo del tribunale in sede di omologazione – fornisce al ceto creditorio informazioni ed elementi necessari per la valutazione sulla convenienza della soluzione proposta per la composizione della crisi da sovraindebitamento: al contempo, a fronte di una relazione che esprima in maniera circostanziata una prognosi favorevole circa l’attuabilità del piano, la sua realistica sostenibilità per il debitore (tenuto anche conto delle esigenze esistenziali e del menage familiare) e la sua idoneità al risanamento del dissesto, rifiuti immotivati di accoglimento delle proposte in esso contenute risalteranno con ancora più evidenza.

La casistica potrà essere la più varia.

Talvolta l’assenza di un motivo legittimo sarà particolarmente vistosa: si pensi al creditore che si oppone per mero ostruzionismo ad un piano di ristrutturazione, compromettendo con la propria pretestuosa opposizione la possibilità per il debitore di raggiungere la maggioranza necessaria.

In altri casi il motivo legittimo invocato dal creditore darà invece voce a sue specifiche esigenze, facendo emergere motivi soggettivi oggettivamente apprezzabili che andranno attentamente vagliati per verificarne la prevalenza rispetto all’interesse del debitore, sì che non giustificato – nelle circostanze specifiche – potrebbe all’opposto essere proprio il sacrificio dell’interesse del creditore: potrebbero assumere rilevanza la causa del credito, la qualità non professionale del creditore, l’uso a cui sarà destinato il denaro, la destinazione già impressa alla prestazione da ricevere e il rischio di essere considerato a propria volta inadempiente, il rischio della propria insolvenza, ecc.

Il motivo legittimo addotto dal creditore a giustificazione della propria condotta – interruzione della trattativa, rifiuto della proposta, rifiuto di una prestazione diversa o ridotta – rivelerebbe insomma ciò che lo “schema neutro” dell’obbligazione tenacemente copre: e cioè che i creditori e i debitori non sono tutti uguali, perché “dietro la veste di debitore come dietro la veste di creditore c’è una congerie vastissima ed eterogenea di posizioni”40.

La proposta qui formulata, di possibile considerazione differenziata delle posizioni dei creditori alla luce del motivo legittimo fatto valere rispetto all’interesse del debitore alla ristrutturazione, trova nella logica bilaterale della correttezza la giustificazione teorica e l’aggancio normativo41.

E’ però importante ribadire che la l. 3/2012 – pur nel quadro di una emergenza in cui la crisi “individuale” da sovraindebitamento è il riflesso di una più generale crisi

40 BRECCIA, Le obbligazioni, cit., p. 5.

41 BIGLIAZZI GERI, voce Buona fede nel diritto civile, in Digesto delle Discipline Privatistiche–Sez. Civ., II, Torino, 1988, p. 172: “la clausola generale di buona fede viene ad assumere il valore di indice di emergenza di interessi altrimenti destinati, in una utilizzazione formalistica del diritto, a non acquistare adeguato risalto”.

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economica – non assegna incondizionata preminenza alle istanze del debitore. L’interesse del debitore alla liberazione mediante la ristrutturazione deve coordinarsi con la protezione dei creditori. Attraverso il motivo legittimo si manifesta la variabile combinazione – e ponderazione – di questi fattori.

Allorché sia possibile ravvisare, nella condotta del creditore, gli estremi di un abuso nell’esercizio del suo diritto, occorrerà individuare il rimedio adatto, tenendo conto del fatto che il profilo rimediale risente della peculiarità della situazione: una situazione complessa, di transizione da una pluralità di rapporti indipendenti ad un accordo di ristrutturazione che li coinvolge tutti o in parte.

L’imposizione ai creditori recalcitranti di un vero e proprio obbligo di rinegoziazione è da escludere, anche alla luce del dibattito relativo ai contratti c.d. relazionali. Quel dibattito ha infatti evidenziato che pure a volere configurare un obbligo di rinegoziazione – ma i dubbi al riguardo sono numerosi – difficilmente risolvibile sarebbe la questione cruciale della coercibilità di un siffatto obbligo: il problema di fondo riguarda la possibilità che, ove la rinegoziazione non sfoci in un accordo, il giudice intervenga sul contratto e, ammesso in tesi l’intervento, con quali poteri42. Ad obiezioni non dissimili andrebbe

incontro – nell’ambito di indagine che stiamo sviluppando – la configurazione per i creditori di un “obbligo di ristrutturazione” in prospettiva del raggiungimento della maggioranza necessaria per addivenire ad un “accordo” di ristrutturazione (più intensa, va segnalato ancora una volta, è invece la protezione dell’interesse alla ristrutturazione allorchè il debitore sia un consumatore e si trovi nella condizione di poter presentare al giudice un piano che, previa verifica dei presupposti richiesti, può essere omologato dal giudice e imposto a tutti i creditori).

Minori ostacoli incontra invece il rimedio risarcitorio ai sensi dell’art. 1337 cod. civ.: esso sarebbe esperibile sia dal debitore, sia da altri creditori i quali – per effetto dell’ingiustificato rifiuto opposto da un creditore alla partecipazione ad una trattativa per la ristrutturazione dei debiti, o in caso di altrettanto ingiustificata interruzione di una trattativa giunta ad uno stadio tale da rafforzare l’affidamento nel suo buon esito – abbiano visto sfumare le possibilità di un soddisfacimento (sia pure parziale o posticipato) del proprio diritto di credito.

Nella relazione tra debitore e creditore – singolo frammento di trattativa per la graduale costruzione della più vasta operazione di ristrutturazione – la tutela del debitore

42 Cfr. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 223 ss. Perplessità sono espresse da GENTILI, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, in Contr. e impr., 2003, p. 667 ss. e da F. GAMBINO, Problemi del rinegoziare, Milano, 2004.

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rivela a ben guardare una “doppia anima”, che rispecchia la complessità della situazione: l’interesse alla liberazione dai debiti mediante ristrutturazione, qui qualificato come interesse legittimo di diritto privato; l’affidamento nel raggiungimento di un accordo di ristrutturazione. Il primo può, in linea di principio, ormai accedere alla tutela aquiliana43; il

secondo guarda alla responsabilità precontrattuale. Queste due situazioni – l’una già definita nella sua fisionomia al palesarsi della situazione di sovraindebitamento, l’altra in itinere – sono perfettamente compatibili qualora si acceda alla interpretazione dell’art. 1337 cod. civ. come fattispecie di responsabilità extracontrattuale: nella loro stretta connessione possono trovare armoniosa e unitaria collocazione nell’ampia ed accogliente tutela offerta dalla responsabilità aquiliana.

La questione rimediale nella relazione tra debitore e creditore potrebbe essere modulata anche sul versante del danno contrattuale. Ciò potrebbe accadere qualora il debitore – sovraindebitato ma non ancora inadempiente – abbia proposto un piano di ristrutturazione al quale un creditore non abbia aderito senza giustificato motivo: se per effetto di questo rifiuto singolo vengono meno le possibilità di addivenire ad un accordo di ristrutturazione, e con l’aggravamento delle condizioni economiche del debitore il pericolo di inadempimento si concretizza con l’inadempimento effettivo, il risarcimento del danno al creditore potrebbe essere diminuito. Soccorrerebbe, in questa direzione, l’art. 1227 cod. civ., al fine di tenere conto del concorso del creditore, qualora il debitore possa provare che l’inadempimento sia da attribuire ad una situazione di dissesto divenuta ingestibile e che sarebbe invece stato possibile gestire efficacemente con un accordo di ristrutturazione che il creditore – senza giustificato motivo – ha impedito.

5. L’interesse alla ristrutturazione del debito come interesse rilevante anche nel singolo rapporto obbligatorio

Se si considera – come qui si ritiene – che l’interesse del debitore sovraindebitato sia una declinazione possibile del più generale interesse del debitore alla liberazione dal vincolo, già all’interno del singolo rapporto obbligatorio il debitore non ancora

43 Non è privo di rilievo il fatto che autorevole dottrina, dopo la nota sentenza delle Sezioni Unite n. 500 del 1999, abbia sollecitato una riflessione sul fatto che “potrebbe essere giunto il momento di ripensare l’intera problematica delle situazioni soggettive, elaborando due categorie sistematiche contrapposte nelle quali confluiscano, da un verso tutte le situazioni giuridiche attive, e dal verso opposto tutte le situazioni giuridiche passive”): cfr. FALZEA, Gli interessi legittimi e le situazioni giuridiche soggettive, in Riv. dir. civ., 2000, I, p. 684. Per la configurazione di ipotesi di interesse legittimo di diritto privato dopo la sentenza 500/1999 delle Sezioni Unite v. OPPO, Novità e interrogativi in tema di tutela degli interessi legittimi, in Riv. dir. civ., 2000, I, p. 396 ss.

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sovraindebitato ma in crescente difficoltà potrebbe sollecitare il proprio creditore ad avviare una ristrutturazione.

Occorrerebbe naturalmente procedere con molta cautela per questa via, per non offrire giustificazioni all’incuria o comode scappatoie al debitore, incoraggiando tattiche meramente dilatorie o strategie di artificiosa rappresentazione di un dissesto inesistente finalizzate al conseguimento di vantaggi in danno dei creditori. L’idea è tuttavia quella di adattare il rapporto alle concrete capacità di adempimento del debitore diligente vittima di eventi – disoccupazione, malattia, divorzio – perturbativi della sua sfera economica44.

Il debitore ha interesse ad adempiere, perché ha interesse ad evitare l’esecuzione forzata e anche perché sa bene che una reputazione di affidabilità e solvibilità è condizione essenziale in una società fondata sul credito.

L’anticipazione della ristrutturazione del debito all’interno della singola relazione potrebbe svolgere un’efficace azione preventiva del sovraindebitamento – molto più della disponibilità di informazioni caro al (declinante) paradigma liberale dell’agente razionale di mercato45, ma scarsamente utile per far fronte al sovraindebitamento passivo46

consentendo di tenere sotto controllo le avvisaglie di possibili crisi ed evitandone la degenerazione.

Quanto più tempestivamente vengono attivate misure di flessibilizzazione del rapporto, tanto minori saranno gli adeguamenti necessari (potrebbe essere ad esempio sufficiente una dilazione o una nuova modulazione delle rate) e tanto maggiori le possibilità di soddisfacimento integrale dell’interesse del creditore. Adeguare il rapporto alle mutate circostanze – facilitando l’adempimento del debitore – è obiettivo per il quale talvolta il creditore “può essere disposto a ridurre – nell’importo o nelle modalità – le sue

44 Questa prospettiva è ampiamente sviluppata e argomentata in NOGLER-REIFNER (Eds.), Life Time

Contracts. Social Long-term Contracts in Labour, Tenancy and Consumer Credit Law, Eleven International

Publishing, The Netherlands, 2014.

45 La disponibilità di informazioni non è che uno degli elementi di un processo decisionale: le informazioni devono essere acquisite (superando la propensione a non leggere del consumatore) e comprese. A tali difficoltà sono esposti anche i c.d. investitori sofisticati: v. al riguardo le considerazioni di S. MAZZAMUTO, Il

contratto nel tempo della crisi, in Eur. e dir. priv., 2010, p. 641. L’informazione che difetta di chiarezza può

infatti determinare una confusione e quindi una riduzione delle conoscenze utilizzabili. Ma anche un eccesso di informazioni può determinare un’incapacità di selezionare le notizie importanti e produrre un risultato analogo a quello dell’assenza di informazioni. Gli studi sul “sovraccarico informativo” (information overload) rivelano una questione niente affatto “bagatellare”: PAGLIANTINI, Neoformalismo contrattuale, in Enc. dir.,

Annali, V, Milano, 2011, p. 791.

46 Il sovraindebitamento – oltre che fenomeno multifattoriale con riguardo alle cause - è anche fenomeno disomogeneo e frastagliato negli esiti, che assume fogge assai diverse: sovraindebitamento attivo (determinato da comportamenti del debitore), passivo (subìto dal soggetto e derivante dall’incidenza di fattori esterni, fuori dalla sua possibilità di controllo, che alterano significativamente la gestione ordinaria dei redditi), differito (perchè si manifesterà in un arco temporale che può essere di anni o di decenni). Cfr. ANDERLONI, Il sovraindebitamento in Italia e in Europa, in L’usura in Italia, a cura di Ruozi, Bologna, 1997, p. 76.

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pretese, in quanto entro certi limiti l’adempimento spontaneo di un minus è preferibile alla prospettiva di un’esecuzione forzata per un maius” 47.

Ancora una volta la volontà del creditore non potrebbe essere in alcun modo coartata, né gli si potrebbe domandare di salvaguardare anche la posizione degli altri creditori – le cui prospettive di soddisfacimento potrebbero essere compromesse per quella sorta di effetto domino che frequentemente si innesca per l’accumularsi di debiti non regolarmente soddisfatti – ma non è da escludere una valutazione della sua condotta alla stregua della correttezza. Nel caso poi che la difficoltà addotta dal debitore a fondamento di una (inascoltata) richiesta di dilazione si aggravi al punto da sfociare nell’inadempimento, il rifiuto del creditore potrebbe – alla luce delle specificità delle singole ipotesi, da considerare con cura – incidere sulla quantificazione del risarcimento del danno a lui spettante, secondo quanto già detto nel paragrafo precedente.

Al vaglio della correttezza e della diligenza andrebbe altresì sottoposta la condotta del debitore, anche per accertare colpevoli ritardi od omissioni nel comunicare il peggioramento della propria situazione economica e le prospettive di ulteriore deterioramento. Sussiste infatti un tipico caso di asimmetria informativa tra il debitore – che conosce la propria situazione e le ragionevoli prospettive di miglioramento o peggioramento – e il creditore. La mutata considerazione del sopravvenire di difficoltà nell’adempimento – irrilevante nella logica tradizionale del rapporto obbligatorio se non come presupposto di misure cautelari a protezione del creditore, rilevante nella diversa logica della l. 3/2012 – produce un mutamento anche sul piano delle informazioni che le parti si devono scambiare: il debitore è il soggetto meglio in grado di individuare la propria soglia di allarme, il limite al di là del quale le misure di contenimento non funzionano più e la difficoltà comincia a dilagare. Comunicare queste circostanze al proprio creditore è espressione di un agire diligente e cooperativo a cui il debitore è tenuto, anche per salvaguardare l’interesse del creditore: questi, se adeguatamente informato e messo in condizione di valutare costi e benefici, spesso avrà maggiori possibilità di essere soddisfatto, se concorderà con il debitore una strategia comune di superamento della difficoltà, di quante ne avrebbe in difetto di cooperazione.

Interessanti indicazioni in tal senso vengono dalla recente direttiva 17/2014/UE sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali (c.d. direttiva mutui). In particolare, merita attenzione il modo in cui è disciplinata dall’art. 28 la morosità del debitore: il finanziatore viene incoraggiato “ad esercitare un ragionevole grado di

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tolleranza prima di dare avvio a procedure di escussione della garanzia”. Questo “ragionevole grado di tolleranza” potrebbe tradursi nella dilazione delle scadenze dei pagamenti48, oppure nella riduzione o eliminazione degli interessi moratori.

Degno di nota è poi l’incoraggiamento ai creditori “ad affrontare in maniera proattiva il rischio di credito emergente in una fase precoce”, nonché il riferimento ai “ragionevoli sforzi per risolvere la situazione con altri strumenti, prima di dare avvio a procedure di pignoramento” (considerando n. 27).

Per quanto riguarda la “proattività” nell’affrontare il rischio di credito, è utile richiamare l’attenzione sul fatto che l’espressione “proattivo” indica, “nel linguaggio aziendale, chi opera con il supporto di metodologie e strumenti utili a percepire anticipatamente i problemi, le tendenze o i cambiamenti futuri, al fine di pianificare le azioni opportune in tempo”49. Un comportamento proattivo implica dunque una

osservazione costante della situazione del debitore, in un’ottica opposta a quella che sorregge strumenti come, ad esempio, la decadenza del debitore dal beneficio del termine di cui all’art. 1186 cod. civ.. La norma del codice protegge il creditore (soprattutto quello a lungo termine, che sopporta il rischio più elevato), sollecitandolo a monitorare continuamente e con attenzione le condizioni del debitore così da poter tempestivamente richiedere l’immediata esecuzione della prestazione in caso di deterioramento delle condizioni patrimoniali: in una logica squisitamente individualistica, l’ordinamento “premia” il creditore più accorto – colui che per primo scopre l’insolvenza – e ciò fa anche alterando la scansione temporale delle scadenze (stante la anticipazione dell’esigibilità) e senza prevedere alcuna cautela in favore degli altri creditori, bensì lasciandoli esposti al rischio di una infruttuosa esecuzione una volta che sia stato soddisfatto il creditore che ha invocato la decadenza dal termine50. Il riferimento alla proattività, nella direttiva, svela invece –

allorché si passi dal linguaggio aziendale al linguaggio giuridico - una logica

48 Ordinamenti molto vicini alla nostra tradizione giuridica – come l’ordinamento francese – conoscono da tempo strumenti di flessibilizzazione del rapporto: l’art. 1244–1 del codice civile francese, ad esempio, consente al giudice – tenuto conto della situazione di incolpevole difficoltà in cui versa il debitore e previa considerazione dei bisogni del creditore – di rinviare o rateizzare nei limiti di un biennio il pagamento delle somme dovute, con eventuale riduzione degli interessi e imputazione dei pagamenti prima al capitale e poi agli interessi e con automatica sospensione delle procedure esecutive. L’art. 1244–1 del codice civile francese è regola generale del rapporto obbligatorio, che ha ispirato numerose ipotesi di speciali “termini di grazia”: in materia di prestiti immobiliari, locazioni, credito al consumo. V. ad esempio l’art. L313–12 code de

la consommation, il quale prevede che il giudice – in caso di licenziamento del debitore che abbia stipulato

contratti di credito – possa sospendere il rimborso del prestito e la decorrenza degli interessi, nonché rimodulare la scadenza delle rate. Per un’interessante indagine storico-comparatistica, v. MANFREDINI,

Rimetti a noi i nostri debiti. Forme della remissione del debito dall’antichità all’esperienza europea contemporanea, Bologna, 2013, specialmente la parte III (253 ss.), La grazia e la disgrazia dei termini.

49 Voce Proattivo in Vocabolario on line Treccani, www.treccani.it 50 MODICA, Profili giuridici del sovraindebitamento, cit., p. 83 ss.

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completamente differente: la logica della cooperazione e della solidarietà e, dunque, della correttezza come regola di comportamento che governa il rapporto obbligatorio51.

La stessa Commissione Europea ha delineato linee guida che possano avere una funzione ispiratrice per gli Stati membri52: in particolare, si afferma che “foreclosures

should constitute a measure of last resort for a lender. (…) There are several steps and initiatives that can be attempted before repossesion. Where it is clear that a given borrower is entering into difficulties, a dialogue should take place with the lender, either bilaterally or through a mediator. The purpose of the dialogue is to explore alternative repayment measures”53.

Una volta rilevato – il più precocemente possibile – il rischio di inadempimento54,

devono essere compiuti “ragionevoli sforzi per risolvere con altri strumenti” la situazione55: 51 Spunti interessanti vengono anche dalla Francia, dal Progetto di riforma del titolo III del Libro III del Code

Civil, il cui art. 104 codifica la regola della rinegoziazione per il sopravvenire di circostanze impreviste

(imprévision), fondata sul dovere di buona fede e sanzionata con (l’operare del)la responsabilità civile del contraente sleale. Il contraente che si trova in condizione di debolezza al momento dell’esecuzione del contratto, perché le sue legittime aspettative sono alterate dal sopravvenire di un mutamento imprevedibile delle circostanze, è dunque protetto dal dovere di buona fede che impone alla sua controparte di prendere in considerazione le sue difficoltà e di rinegoziare lealmente il contratto, in vista di una sua revisione: cfr. MAZEAUD, Diritto dei contratti: la riforma all’orizzonte!, in Riv. dir. civ., 2014, p. 813.

52 Cfr. EUROPEAN COMMISSION, Commission Staff Working Paper. National measures and practices to

avoid foreclosure procedures for residential mortgage loans, Brussels, 31.3.2011, SEC (2011), 357.

53 Cfr. EUROPEAN COMMISSION, op. cit., p. 11.

54 Sulla rilevazione precoce del rischio di inadempimento era molto esplicito il considerando 27 della Proposta di Direttiva (2011/0062): “i creditori dovrebbero poter consultare la banca dati per l’intera durata del prestito, alla scopo di individuare e valutare il potenziale di inadempimento. Qualora tale potenziale fosse evidente o oggettivamente dimostrato, il creditore dovrebbe contattare il consumatore per discutere le varie alternative disponibili per evitare la possibilità di inadempimento, come ad esempio la ristrutturazione delle scadenze del debito. In ogni caso il creditore non dovrebbe ipotizzare il ritiro del credito senza aver prima studiato con il consumatore tutte le possibili alternative per evitare l’inadempimento”.

55 Spunti interessanti sono forniti dalla European Banking Authority con due pareri del 2013, aventi rispettivamente ad oggetto Good Practices for Responsible Martgage Lending e Good Practices for the

Treatment of Borrowers in Mortgage Payment Difficulties, consultabili sul sito della EBA:

http://www.eba.europa.eu/-/eba-publishes-good-practices-for-responsible-mortgage-lending-and-treatment-of-borrowers-in-payment-difficulties. Da segnalare, nel secondo parere, l’attenzione dedicata anche ai terzi garanti, in considerazione di riflessi che le difficoltà dei mutuatari potrebbero avere sulla loro posizione. Tra le Good Practices consigliate, in via meramente esemplificativa, si suggerisce “that creditors establish

policies for the effective handling of borrowers in payment difficulties”, oppure “to detect early indications of borrowers going into payment difficulties”, oppure ancora “to ensure that creditors take immediate action when a borrower goes into payment difficulties”. In definitiva “it is good practice to ensure that creditors consider whether, given the individual circumstances of the borrower and taking into account his/her ability to repay and the best interests of the borrower, it may be appropriate to do one or more of the following: a) extend the term of the mortgage; b) change the type of the mortgage; c) defer payment of all or part of the instalment repayment for a period; d) consolidate credits; e) change the interest rate; f) capitalise the shortfall”. Vedi anche il documento della Commissione Europea su National measures and practices to avoid foreclosure procedures for residential mortgage loans, consultabile all’indirizzo

http://ec.europa.eu/internal_market/finservices-retail/docs/credit/mortgage/sec_2011_357_en.pdf, nel quale colpisce, tra le lessons to be drawn, il monito “humanity should always prevail at all levels (…). In these

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