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Analisi agli elementi finiti dell'interazione fra moncone transfemorale e invasatura in una protesi subischiatica ibrida

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Academic year: 2021

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Scuola di Ingegneria Industriale e dell’Informazione

Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Biomedica

ANALISI AGLI ELEMENTI FINITI

DELL’INTERAZIONE FRA MONCONE

TRANSFEMORALE E INVASATURA IN UNA

PROTESI SUBISCHIATICA IBRIDA

Relatore: Prof. Carlo Albino FRIGO

Correlatore: Prof. Stefano MICCOLI

Tesi di laurea di:

Deborah BALLERINI Matr. 904115

Monica BRADANINI Matr. 905487

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III

RINGRAZIAMENTI

Giunte al termine del nostro percorso universitario, vorremmo ringraziare tutte le persone che ci sono state vicine e che hanno contribuito allo svolgimento di questo elaborato. Ringraziamo il nostro relatore, il professore Carlo Frigo, per averci dato l’opportunità di svolgere questo progetto e per i suggerimenti forniti durante tutto lo sviluppo del lavoro. Ringraziamo il nostro correlatore, il professore Stefano Miccoli, per la sua disponibilità e per i suoi consigli, fondamentali per lo svolgimento del progetto.

Ringraziamo l’Ing. Di Stanislao per averci dato la possibilità di visitare l’azienda ITOP S.p.A. Officine Ortopediche, per la sua disponibilità e cordialità. Inoltre, ringraziamo i tecnici ortopedici che ci hanno seguito e mostrato il loro lavoro durante la nostra permanenza, nonostante i loro impegni lavorativi.

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INDICE

ANALISI AGLI ELEMENTI FINITI DELL’INTERAZIONE FRA MONCONE

TRANSFEMORALE E INVASATURA IN UNA PROTESI SUBISCHIATICA IBRIDA ... I RINGRAZIAMENTI ... III INDICE ... V SOMMARIO ...IX ABSTRACT ... XV Capitolo 1 INTRODUZIONE ... 1 1.1 Overview ... 2 Capitolo 2 CONTESTO ... 3 2.1 Epidemiologia ... 4 2.2 Eziologia ... 6 2.2.1 Vascolopatie ... 6 2.2.2 Neoplasie ... 7 2.2.3 Malformazioni congenite ... 8 2.3 Amputazione ... 8 2.3.1 Amputazione transfemorale ... 10 2.3.2 Pre-protesizzazione ... 12 2.3.3 Post-protesizzazione ... 13

2.4 Protesi di arto inferiore ... 13

2.4.1 Protesi transfemorali ... 14

2.4.2 Componentistica ... 15

2.4.3 Invasatura subischiatica ibrida ... 27

Capitolo 3 STATO DELL’ARTE ... 33

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3.1.1 Geometria e mesh ... 35

3.1.2 Proprietà dei materiali ... 37

3.1.3 Proprietà di contatto ... 42

3.1.4 Applicazione dei carichi ... 45

3.1.5 Valutazione dei parametri ... 47

Capitolo 4 MATERIALI E METODI ... 49

4.1 Parti ... 50

4.2 Proprietà dei materiali ... 51

4.3 Mesh ... 56

4.4 Assemblaggio e vincoli ... 59

4.5 Proprietà di contatto ... 61

4.6 Step ... 64

Capitolo 5 CALZATA DELLA PROTESI... 65

5.1 Step ... 65

5.2 Carichi e condizioni al contorno ... 66

5.3 Risultati ... 68

5.3.1 Forza di reazione ... 69

5.3.2 Configurazione finale ... 72

5.3.3 Pressioni di contatto e sforzi di taglio ... 73

5.4 Discussione ... 77

5.5 Analisi di sensitività ... 79

5.5.1 Coefficiente d’attrito ... 79

5.5.2 Proprietà del telaio ... 82

5.5.3 Proprietà dell’involucro ... 84

Capitolo 6 FASE ORTOSTATICA ... 85

6.1 Step ... 85

6.2 Carichi e condizioni al contorno ... 86

6.3 Risultati ... 86

6.3.1 Forza di reazione ... 87

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VII

6.3.3 Pressioni di contatto e sforzi di taglio ... 90

6.4 Discussione ... 94

6.5 Analisi di sensitività ... 97

6.5.1 Coefficiente d’attrito ... 97

6.5.2 Proprietà del telaio ... 100

6.5.3 Punto di applicazione della forza ... 100

Capitolo 7 CONCLUSIONI ... 101

7.1 Sviluppi futuri ... 102

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IX

SOMMARIO

Il presente lavoro di Tesi si pone come obiettivo l’analisi degli sforzi generati da un’invasatura subischiatica ibrida per amputati transfemorali, recentemente sviluppata da ITOP S.p.A. Officine Ortopediche. Si tratta di una nuova tipologia di invasatura, realizzata per ovviare alle problematiche delle precedenti e alle limitazioni che esse determinano. Tale studio ha dunque come scopo verificare gli effetti che questa nuova invenzione ha sul moncone.

Rispetto alle protesi precedenti, la principale innovazione di questa invasatura risiede nell’avere una linea di taglio che si posiziona al di sotto del trocantere e dell’ischio dell’utilizzatore: di conseguenza, viene definita “subischiatica”. Tale novità permette al paziente di compiere ampi movimenti, senza alcuna limitazione a livello dell’articolazione dell’anca. Un altro aspetto innovativo consiste nella composizione dell’invasatura, la quale è formata da due parti: la prima è un involucro flessibile in silicone, la seconda è un telaio rigido in fibra di carbonio. Questo suo particolare design permette l’interazione con i tessuti molli generando forze su zone specifiche del moncone: tali forze incentivano l’azione e il tono muscolare.

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X

Figura 1. Parti costituenti un’invasatura subischiatica ibrida.

Lo studio sull’invasatura subischiatica ibrida precedentemente descritta è stato condotto mediante l’utilizzo del software Abaqus. È stata svolta un’analisi a elementi finiti per indagare le interazioni all’interfaccia tra il moncone e l’invaso stesso. Come punto di partenza sono stati esaminati studi condotti nello stesso ambiente virtuale su protesi precedenti, in quanto l’invaso in esame non è presente in letteratura.

È stato importato in Abaqus il modello geometrico fornito da ITOP S.p.A. Officine Ortopediche e derivante dalla scansione eseguita su un paziente e sulla sua protesi. Risulta costituito da femore, moncone sinistro transfemorale con liner calzato e invasatura. A ciascuna di queste parti è stato assegnato il materiale corrispondente. La struttura ossea è stata considerata come corpo rigido, condizione che non necessita di ulteriori specifiche riguardo al materiale. I tessuti molli sono stati descritti con un unico materiale iperelastico neo-hookiano, nonostante siano costituiti da tessuto cutaneo, adiposo e muscolare. Il liner è stato definito come silicone elastico. L’invasatura è costituita da due parti, alle quali sono stati assegnati differenti materiali: l’involucro flessibile è stato descritto come silicone iperelastico, ottenuto dalla miscela di due tipologie di silicone con differente durezza; il telaio è stato definito come un materiale composito, costituito da due tipologie di fibre di carbonio, unidirezionali e bidirezionali, stratificate in una matrice di resina. Il numero di strati delle fibre varia a seconda della zona del telaio considerata. Nella zona

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apicale sono presenti otto strati, come rappresentato in Figura 2, disposti con un ordine ben preciso: quattro strati di fibre unidirezionali sono disposti nella zona centrale del materiale, mentre due starti di fibre bidirezionali sono situati esternamente rispetto ai precedenti su entrambi i lati. Procedendo prossimalmente, il numero delle fibre unidirezionali centrali diminuisce progressivamente, mentre quello delle fibre bidirezionali si mantiene costante. Quindi, nella zona prossimale, il telaio risulta formato complessivamente da cinque strati.

Figura 2. Disposizione delle fibre di carbonio nel telaio: la figura di destra rappresenta la disposizione delle otto lamine presenti nella zona apicale del telaio, evidenziata nella figura di

sinistra.

Il modello risulta sprovvisto delle ossa del bacino e dei tessuti del gluteo: per sopperire alla mancanza di queste parti, è stato introdotto il vincolo elastic foundation. Questo consiste nell’utilizzo di molle che sono state vincolate alla superficie superiore del moncone: esse permettono di simulare l’azione che le parti mancanti avrebbero sul modello.

Per analizzare l’interazione fra moncone e invasatura, è stato definito un contatto di tipo surface-to-surface. Questo contatto avviene in presenza di attrito, il quale si oppone allo slittamento relativo dei due corpi.

Le analisi svolte sul modello così definito simulano la fase di calzata della protesi e, successivamente, quella ortostatica. La fase di calzata consiste nel replicare la procedura con cui l’invasatura viene indossata sul moncone: è stata simulata imponendo uno spostamento verticale dell’invaso, fino a raggiungere la configurazione desiderata.

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Invece, la fase ortostatica consiste nel trasferimento di tutto il peso corporeo del paziente sulla protesi, mediante appoggio monopodalico: è stata simulata imponendo una forza verticale applicata all’apice dell’invaso.

Mediante l’utilizzo del software Abaqus, sono state analizzate le pressioni di contatto e gli sforzi di taglio all’interfaccia, così da verificare la corretta progettazione dell’invasatura. Essa deve essere tale da produrre una distribuzione di sforzi che non generi sensazioni dolorose al paziente, permettendo a quest’ultimo un confortevole utilizzo quotidiano. I parametri analizzati sono stati scelti in quanto clinicamente rilevanti: elevate pressioni di contatto sono indice di una eccessiva compressione dei tessuti mentre elevati sforzi di taglio di un’abrasione cutanea.

Dai risultati ottenuti, si sono riscontati valori di pressione di contatto e sforzi di taglio elevati, dovuti alla compressione dei tessuti molli. Già nella fase di calzata della protesi, le pressioni hanno mostrato valori oltre la soglia del dolore, fissata in letteratura a 100 kPa: analizzando la loro distribuzione, risultano concentrate principalmente in corrispondenza dell’aletta mediale del telaio e del bordo superiore dell’invasatura. A seguito della fase ortostatica, è stato riscontrato un aumento dei valori analizzati: le pressioni risultano concentrate in zona prossimale, in corrispondenza del bordo superiore dell’invaso. Quindi, le sollecitazioni maggiori sono dovute a due particolari zone dell’invasatura: l’aletta mediale, caratterizzata da un’accentuata curvatura progettata per comprimere i muscoli ischiocrurali, e il bordo superiore dell’invaso, caratterizzato da una circonferenza minore rispetto a quella del moncone, così progettata per garantire la stabilità della protesi.

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Figura 3. Distribuzioni e intensità delle pressioni di contatto nella vista mediale: nella figura di sinistra si osserva la compressione dovuta all’aletta mediale del telaio, nella figura di destra si

osserva, oltre al contributo dell’aletta, anche quello del bordo superiore dell’invaso.

Per valutare i risultati ottenuti dall’analisi, questi sono stati confrontati con le sensazioni espresse dal paziente.

Durante i primi minuti successivi alla calzata della protesi, il paziente percepisce un senso di iperpressione nelle stesse zone riscontrate nel presente studio: ciò conferma la correttezza delle analisi svolte in questa fase. Anche durante l’appoggio monopodalico, si riscontra una corrispondenza fra le zone maggiormente sollecitate e le sensazioni espresse dal paziente.

In fase ortostatica, si è notato inoltre un avanzamento del moncone, osservabile in Figura 3, che causa un’ulteriore compressione del terzo prossimale: questo movimento non viene riscontrato nella realtà ed è una soluzione adottata dall’analisi al fine di raggiungere la convergenza. Infatti, l’invaso è stato lasciato libero di adattarsi al moncone, al fine di assestarsi nella posizione di equilibrio.

Secondo i valori elevati di pressione e sforzo riscontati nell’analisi, il paziente non dovrebbe riuscire ad indossare la protesi a causa delle sensazioni dolorose. Nella realtà tuttavia, il paziente riesce ad utilizzarla quotidianamente. Questa discrepanza fra modello e realtà può essere attribuibile all’elevata complessità del modello stesso, caratterizzato da una geometria elaborata. Numerosi parametri possono influenzare i risultati delle analisi svolte: ad esempio caratteristiche dei materiali, valore di attrito e metodo di

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assemblaggio. Su alcuni di questi sono state effettuate delle analisi di sensitività per valutare la loro influenza sui risultati.

Il presente lavoro può quindi essere considerato un punto di partenza per analisi future, volte all’ottimizzazione delle distribuzioni degli sforzi.

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XV

ABSTRACT

This Thesis has the purpose of analyzing the stresses generated by the subischial hybrid socket projected for transfemoral amputees, recently developed by ITOP S.p.A. Officine Ortopediche. It is a new typology of socket realized to solve problems of the previous models and their limitations. Therefore, the present work aims to verify the consequences of this invention on the stump.

Compared to the previous prosthesis, the main innovation of this socket is to have the upper edge positioned below the trochanter and the ischium: it is therefore defined “subischial”. This innovation allows the patient to make large movements without any limitation at the level of hip joint. Another novelty is the composition of the socket, which is composed by two parts: the first one is a flexible casing made of silicone, the second one is a rigid support frame made of carbon fibers. This particular design allows the socket to interact with soft tissues, generating forces on specific areas of the stump: these forces stimulate the muscle action and tone.

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XVI

Figure 1. Parts of a subischial hybrid socket.

The work on the previously described socket is conducted through the software Abaqus. A finite element analysis is done to study the interactions at the interface between the stump and the socket. Studies in the same virtual environment on previous prosthesis are considered as the starting point for this analysis, because this socket is not present in literature.

The geometric model is imported into Abaqus. It is provided by ITOP S.p.A. Officine Ortopediche and comes from the scan of the patient and his prosthesis. It is made of femur, transfemoral left stump shod liner and socket. For each of these parts, the corresponding material is assigned. The femur is considered as a rigid body, condition that does not require further specification about the material. The soft tissues are described as a unique hyperelastic neo-hookean material, although they are composed by cutaneous, adipose and muscular tissues. The liner is defined as elastic silicone. The socket is composed by two parts with two different materials: the flexible casing is described as hyperelastic silicone, made of the blend of two typologies of silicone with different shore; the support frame is defined as a composite material, made of two typologies of carbon fibers, unidirectional and bidirectional fibers, layered in a resin matrix. The number of fiber layers changes according to the area of the support frame considered. In the apical area there are eight layers, as in the Figure 2, arranged in a

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specific order: four layers of unidirectional fibers are placed in the central area of the material, while two layers of bidirectional fibers are placed externally respect to the previous ones on both sides. Proceeding proximally, the number of the central unidirectional fibers progressively decreases, while the number of the bidirectional fibers remains constant. Therefore, the support frame is made by five layers in the proximal area.

Figure 2. Stratification of carbon fibers in the support frame: the right figure shows the order of the eight layers of the apical area, that is highlighted in the left figure.

This model is without the pelvic bones and gluteus: therefore, the elastic foundation constraint is introduced to compensate. It consists in springs that are bound to the upper surface of the stump: they simulate the action of the missing parts.

To analyze the interaction between the stump and the socket, a surface-to-surface contact has been defined. This contact acts in the presence of friction, that opposes the relative slippage between the bodies.

The analysis simulates the donning procedure and then the orthostatic one. The donning phase consists in the reproduction of the procedure by which the socket is donned on the stump: it is done by imposing a vertical displacement of the socket, until it reaches the wished configuration. Instead, the orthostatic phase consists in the enforcement of the full body weight on the prosthesis in a monopodalic stance: it is done by imposing a vertical force in the apical area of the socket.

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XVIII

The contact pressure and shear stress at the interface are analyzed through the software Abaqus, in order to verify the design of the socket. The design has to generate a stress distribution that does not cause pain to the patient, so that he can use the prosthesis every day. The analyzed parameters have been chosen because they are clinically relevant: high contact pressures cause excessive compression of tissues and high shear stresses cause skin abrasion.

Values of contact pressures and shear stresses are high, as shown in the results. They are caused by the compression of soft tissues. In the donning procedure the contact pressures already overcome the pain threshold fixed in literature at 100 kPa: analyzing the distribution, they are concentrated mainly at the medial flap of the support frame and at the upper edge of the socket. After the orthostatic phase, there is an increment of the analyzed values: they are concentrated at the proximal area of the stump where there is the upper edge of the socket. Therefore, the higher stresses are due to two specific areas of the socket: the medial flap, which has an accentuated curvature in order to compress the hamstring muscles; the upper edge of the socket, which has a smaller circumference than the stump’s one to guarantee the stability of the prosthesis.

DONNING PHASE ORTHOSTATIC PHASE

Figure 3. Distribution and intensity of contact pressures in the medial view: the compression due to the medial flap of the support frame is shown in the left figure, the compression due to the upper edge of the socket in addition to the contribution of the medial flap is shown in the

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These results are compared to the patient’s feeling to evaluate the analysis.

In the first minutes after the donning of the socket, the patient feels hyper-pressure in the same areas highlighted in this analysis: this proves the correctness of the results obtained in this phase. There is a match between the higher stressed areas and the patient’s feeling also in the orthostatic phase.

Moreover, in the orthostatic phase the advancement of the stump causes a further compression in the proximal third of the stump, as shown in the Figure 3: this movement is not obtained in the reality, but it is a solution adopted to reach convergence in the analysis. Indeed, the socket is free to adapt itself to the stump, in order to reach the balance position.

According to the high values of the contact pressure and shear stress obtained in this work, the patient should not manage to wear the prosthesis because of the painful sensations. However, in the reality the prosthesis is used daily by the patient. This mismatch between the model and the reality may be due to the complexity of the model, which is characterized by elaborated geometry. A lot of parameters can influence the results: for example, material properties, friction coefficient and assembly method. Sensitivity analysis are made about some of these parameters in order to evaluate their contribution. The present work could be considered a starting point for future analysis, in order to optimize the distribution of the stresses.

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CAPITOLO 1

INTRODUZIONE

Le protesi costituiscono la soluzione ottimale per ripristinare le funzioni perse in pazienti amputati, provati sia da un punto di vista fisico che psicologico.

Le protesi transfemorali, oggetto di questo elaborato, hanno come scopo principale ristabilire una deambulazione il più possibile fisiologica, restituendo al paziente la propria autonomia. Di fondamentale importanza è l’invasatura, elemento che interagisce direttamente con la parte residua dell’arto e che viene realizzato su misura per il soggetto; da quest’ultima dipende la funzionalità dell’intera protesi e il confort del paziente durante il suo utilizzo. Tutto ciò rende l’invaso il componente più critico dell’intera protesi: è necessario un accurato studio della sua geometria al fine di ottenere una corretta distribuzione dei carichi, i quali devono essere supportati da zone appositamente progettate in modo da non gravare sulle zone delicate del moncone.

Per ottimizzare la ripartizione degli sforzi all’interfaccia e garantire al paziente il massimo recupero delle abilità motorie, l’azienda ITOP S.p.A. Officine Ortopediche ha sviluppato un nuovo tipo di protesi transfemorale, detta “sub-ischiatica ibrida”, dotata di un’invasatura che si adatta alla conformazione del moncone residuo con ingombro e peso ridotti, incentivando l’azione e il tono muscolare.

Il presente elaborato si pone come obiettivo l’analisi delle pressioni di interfaccia fra moncone e invasatura della suddetta protesi nella fase di calzata e nella fase ortostatica; lo studio è stato quindi effettuato tramite un’analisi a elementi finiti che ha permesso di visualizzare e quantificare la distribuzione degli sforzi.

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La distribuzione degli sforzi analizzata rispecchia le sensazioni fisiche di elevata iperpressione dei tessuti che vengono percepite dai pazienti. Tuttavia, i valori risultano essere di molto superiori alla soglia del dolore fissata in letteratura a 100 kPa.

1.1 Overview

Il presente elaborato di Tesi si sviluppa nel seguente modo:

- Capitolo 2 – Contesto: viene introdotto il contesto in cui l’invasatura subischiatica ibrida si pone come innovazione, descrivendo in particolar modo la sua geometria e il suo metodo di realizzazione.

- Capitolo 3 – Stato dell’arte: viene illustrata una panoramica sui principali studi riguardanti analisi a elementi finiti condotte su protesi di arto inferiore.

- Capitolo 4 – Materiali e metodi: viene presentato il modello geometrico utilizzato, di cui vengono descritte le sue proprietà e caratteristiche.

- Capitolo 5 – Calzata della protesi: viene illustrata la fase di calzata della protesi e vengono analizzati e discussi i risultati ottenuti.

- Capitolo 6 – Fase ortostatica: viene illustrata la fase di applicazione del peso corporeo del paziente e vengono analizzati e discussi i risultati ottenuti.

- Capitolo 7 – Conclusioni: vengono tratte le conclusioni sul lavoro svolto e vengono presentati alcuni sviluppi futuri volti ad ottimizzare le analisi effettuate.

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CAPITOLO 2

CONTESTO

La prima protesi di arto inferiore fu ritrovata nel 1858 in un’antica tomba sannita nella città di Capua. Si trattava di un ginocchio artificiale in legno, rinforzato con bronzo, cuoio e ferro, risalente al 300 a.C. e dotato, sulla faccia posteriore, di una leva che ne limitasse l’estensione.

Figura 2-1. Reperto della prima protesi di arto inferiore rinvenuta a Capua.

Il periodo che intercorre fra l’inizio dell’Impero Romano e il Medio Evo è stato caratterizzato dall’estrema rarità di reperti protesici, a testimonianza della lentezza dell’evoluzione storica.

In epoca medievale le protesi venivano realizzate con lo scopo di nascondere le lesioni subite in battaglia dai soldati; erano prodotte in ferro e dunque molto pesanti, venivano perciò attaccate direttamente all’armatura.

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Il Rinascimento ha portato allo sviluppo delle arti, delle scienze e della medicina, permettendo una rinascita anche nella storia delle protesi. Esse assumono, oltre ad un ruolo estetico, anche un ruolo funzionale: inizia ad essere utilizzato come materiale per la costruzione delle protesi il legno, per le sue caratteristiche di leggerezza e lavorabilità. Un ulteriore miglioramento per quanto concerne la leggerezza si è raggiunto con l’introduzione di protesi realizzate in alluminio ad inizio Novecento.

Nel 1919 Otto Book immaginò le protesi come insieme di componenti prefabbricate assemblate fra loro a livello industriale. Ciò permise, grazie alla maggiore variabilità ottenibile, di soddisfare le esigenze personali dei pazienti. Questa nuova concezione di protesi, insieme all’evoluzione delle tecnologie avvenuta in seguito all’elevata richiesta postbellica, hanno portato oggi alla possibilità di realizzare protesi altamente funzionali e perfettamente modellate sull’anatomia del paziente.

Le protesi moderne assolvono a pieno la funzionalità dell’arto naturale amputato, permettendo al paziente di tornare ad una vita pressoché normale. Inoltre, risultano sempre più realistiche, soddisfando i requisiti estetici sempre più importanti nella società moderna. Il paziente ha così la possibilità di riacquistare la propria autonomia e l’opportunità di ricoprire nuovamente un ruolo attivo all’interno della società.

2.1 Epidemiologia

L’epidemiologia delle amputazioni di arto inferiore stima l’incidenza di tali problematiche a seconda delle malattie che la provocano o basandosi sulla frequenza con cui si presentano in una determinata popolazione, e per farlo è stato istituito il parametro LEAs (Lower Extremity Amputees). Va ricordato che i paesi occidentali, industrializzati e scolarizzati sono caratterizzati da un’eziologia molto differente da quella che riguarda l’incidenza delle amputazioni agli arti inferiori nei paesi in via di sviluppo o in guerra; è necessario quindi analizzarla nel dettaglio e non basarsi solo su analisi quantitative. Come riportato da Milanovic [1], nei paesi più industrializzati l’80% dei casi di amputazione riguarda pazienti con più di 50 anni: infatti grazie alla disponibilità di chirurgia, riabilitazione e fisioterapia di alto livello, si possono curare molte patologie, evitando

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soluzioni drastiche; nei paesi sottosviluppati invece sono frequenti i casi di amputazione su giovani e bambini, a causa di guerre ed emergenze sanitarie.

Negli Stati Uniti 1,6 milioni di persone presentano un arto amputato e si stima che il numero di amputazioni aumenterà con il passare degli anni a causa della diffusione sempre maggiore del diabete. Le principali cause di amputazione in questo paese sono riconducibili per il 54% a patologie vascolari, per il 44% a eventi traumatici e per il 2% a neoplasie [2].

Grafico 2-1. Principali cause di amputazione negli Stati Uniti.

Invece, per quanto riguarda la situazione italiana, ogni anno vengono praticate 10000 amputazioni, di cui circa 4500 sono anziani, come riportato dalla FIOTO (Federazione Italiana Tecnici Ortopedici) [3]. Si possono distinguere diverse tipologie di pazienti: l’80% sono persone al di sopra dei 65 anni, con diabete o malattie vascolari, il 10% sono fra i 35 e 65 anni e sono principalmente vittime di incidenti sul lavoro, mentre il 10% sono al di sotto dei 35 anni e sono vittime di incidenti automobilistici.

Grafico 2-2. Suddivisione dei soggetti amputati secondo età in Italia. 54%

44%

2%

Patologie vascolari Eventi traumatici Neoplasie

80% 10%

10%

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In generale, grazie all’aumento delle misure di sicurezza sul lavoro e sulla strada, le amputazioni dovute ad eventi traumatici sono drasticamente calate negli ultimi 15 anni, a differenza delle amputazioni patologiche che invece continuano ad aumentare.

2.2 Eziologia

Come risulta evidente dalla descrizione condotta nel precedente paragrafo, le cause che possono portare all’amputazione sono molteplici e sono correlate alle condizioni socio-politico-economiche del soggetto e del luogo che si stanno analizzando. In generale, il numero dei pazienti amputati è incrementato dall’incidenza di eventi traumatici, episodici e dovuti a varie cause, che si sommano ai casi dovuti a patologie, le quali verranno trattate brevemente in seguito [4].

2.2.1 Vascolopatie

Il termine comprende una serie di patologie che portano all’occlusione dei vasi sia del sistema circolatorio che linfatico, a causa della formazione di alterazioni di tipo trombico. Si manifestano principalmente in concomitanza con altre patologie cronico-degenerative sistemiche, quali diabete, insufficienza cardiovascolare e disturbi respiratori.

- Vascolopatia diabetica: il diabete è una malattia cronica caratterizzata da un eccesso di zuccheri (glucosio) nel sangue, nota come iperglicemia. Può essere causata da un’insufficiente produzione di insulina da parte delle cellule beta del pancreas o da una sua inadeguata azione. Tale situazione comporta una degenerazione dei vasi che nei casi più gravi provoca ulcere agli arti inferiori (come ad esempio il piede diabetico) spesso irreversibili. Nel caso in cui si manifestino gravi infezioni o necrosi molto estese è necessario intervenire con l’amputazione.

- Aterosclerosi: patologia caratterizzata da alterazioni della parete delle arterie che perde la propria elasticità per la formazione di placche, dette placche aterosclerotiche, causate dell’accumulo di calcio, colesterolo, cellule infiammatorie e materiale fibrotico. La protrusione della placca all’interno del

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vaso ne riduce il lume ostacolando il flusso ematico. Il processo è irreversibile e la totale occlusione del vaso in questione genera ischemia e infarto nel distretto corporeo a valle del vaso stesso. Per ripristinare il corretto flusso ematico si può intervenire con tecniche farmacologiche, come la somministrazione di farmaci anticoagulanti per far dissolvere il trombo, o con tecniche chirurgiche come l’angioplastica con stent, per mantenere dilatato il lume del vaso, o bypass per consentire al sangue di aggirare l’arteria trombotica.

- Malattia di Buerger: patologia infiammatoria cronica dei vasi sanguigni, nota anche come tromboangioite obliterante, che progressivamente può portare a trombosi o ostruzione di arterie e vene; colpisce principalmente i vasi sanguigni delle estremità corporee come mani e piedi.

- Aneurisma: dilatazione localizzata di un’arteria causata dall’indebolimento della parete o dall’aumento della pressione interna del vaso. La pericolosità di questa malattia risiede nel rischio di cedimento del tratto vascolare interessato dalla dilatazione, con conseguente emorragia dei tessuti circostanti, e nel rischio di trombosi dovuta alla fluidodinamica non fisiologica nell’aneurisma.

2.2.2 Neoplasie

Le neoplasie indicano un processo patologico caratterizzato dalla proliferazione abnormale delle cellule di un tessuto con conseguente formazione di una massa che deforma e distrugge le strutture anatomiche su cui cresce. Tale massa viene definita tumore e si comporta in modo autonomo e non soggetto ai meccanismi di controllo dell’organismo. Le cause della formazione di neoplasie non sono ancora oggi del tutto chiare, numerosi sono gli agenti che possono determinarne la comparsa. L’interazione fra questi agenti e le cellule provoca modifiche nel patrimonio genetico cellulare con alterazione della struttura del DNA.

Un processo neoplastico può coinvolgere qualunque tipo di cellula e tessuto dell’organismo e generalmente viene trattato con chemio e radio terapia per ridurne le dimensioni; nel caso in cui si sviluppi in tessuti ossei o molli degli arti che non rispondono positivamente alle terapie precedenti si incorre nel rischio di amputazione.

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2.2.3 Malformazioni congenite

Le anomalie congenite sono errori nella trascrizione e traduzione del DNA nella fase di sviluppo embrionale che portano mutazioni nel corredo cromosomico dell’embrione, il quale si svilupperà in un feto malformato. Spesso la causa è genetica, ma in alcuni casi deriva da problemi nello sviluppo o da reazioni inaspettate a farmaci. Se la malformazione riguarda uno degli arti, prende il nome di dismelia e si manifesta come mancanza o minori dimensioni dell’arto in questione. Le malformazioni più frequenti sono:

- Amelia: assenza totale di un arto;

- Focomelia: assenza del segmento prossimale di un arto; - Emimelia: assenza del segmento distale di un arto.

2.3 Amputazione

L’amputazione consiste nell’asportazione totale di un arto o di una sua porzione comprendente tutte le sue componenti, pelle, vasi, nervi, muscolo, osso. Viene vissuta come un evento drammatico, ma l’obiettivo di tale operazione è mantenere in vita il paziente e migliorare le sue condizioni generali di salute.

Per consentire quando possibile al paziente di riappropriarsi della propria autonomia, la tecnica chirurgica deve permettere la vestizione di una protesi sul moncone, che quindi deve presentare forma e funzioni tali da renderlo idoneo. Alcuni dei requisiti fondamentali sono [5]:

- Adeguata lunghezza residua del moncone per poter controllare il movimento della protesi;

- Spessore adeguato dei tessuti molli all’estremità del moncone osseo per consentire una migliore sopportazione dei carichi in posizione eretta;

- Adeguata regolarità della forma del moncone, per facilitare la realizzazione dell’invaso;

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Il livello di amputazione indica la zona del corpo in cui viene effettuata l’amputazione, che determina la scelta della protesi più adatta: nel caso di intervento programmato il chirurgo solitamente consulta un tecnico ortopedico per decidere il livello migliore. Considerando questo come metodo di classificazione, è possibile identificare 9 tipologie di amputazione di arto inferiore [6]:

- Disarticolazione della caviglia (amputazione di Syme): vengono asportate le ossa tarsali e rimosse le proiezioni malleolari;

- Amputazione transtibiale: vengono sezionati tibia e perone allo stesso livello (superiore, medio o inferiore);

- Disarticolazione di ginocchio: vengono asportati tibia e perone e il femore viene sezionato a livello della gola intercondiloidea. Il tendine rotuleo, conservato insieme a rotula e zampa d’oca, è suturato ai monconi dei legamenti crociati per ottenere un buon ancoraggio per l’inserzione del quadricipite;

- Amputazione transcondiloidea: è un’alternativa alla disarticolazione di ginocchio, scelta quando le parti molli rimanenti non sono sufficienti a coprire l’apice senza creare tensioni;

- Amputazione transfemorale: viene sezionato il femore a livello del terzo superiore, terzo medio o terzo inferiore;

- Rotazione di Van-Ness: viene sezionato il femore a livello del terzo medio e recuperato il piede, il quale viene connesso alla parte precedente al fine di sostituire l’articolazione mancante del ginocchio con quella della caviglia; - Amputazione sottotrocanterica: viene amputato il femore appena sotto il

trocantere, creando un moncone molto corto e quindi di difficile protesizzazione; - Disarticolazione d'anca: viene effettuata l’amputazione dell’intera gamba tramite

il distacco del femore dall’articolazione, lasciando intatte le altre strutture ossee del bacino;

- Emipelvectomia: viene amputata l’intera gamba e alcune componenti ossee del bacino, eventualmente fino al sacro.

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Figura 2-2. Tipologie di amputazione di arto inferiore.

2.3.1 Amputazione transfemorale

L’amputazione del femore viene eseguita con una resezione a livello della diafisi femorale con perdita di massa corporea del 12-15% e spostamento del COM (Center of Mass) verso l’arto controlaterale. Si distingue in base al livello di resezione in amputazione transfemorale al terzo prossimale, terzo medio, terzo distale, come previsto dallo schema di Slocum.

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Più il livello di amputazione è prossimale, maggiore sarà la difficoltà di indossare la protesi: il paziente subisce una perdita sempre maggiore di estensori e adduttori che portano il moncone ad assumere posizioni di flessione (ileo-psoas) ed abduzione (muscoli pelvi-trocanterici).

Il livello di amputazione ottimale è in corrispondenza del terzo medio e, per evitare casi di dismetria da seduti rispetto al ginocchio controlaterale, è opportuno imporre una distanza minima di resezione pari a 10-12 cm rispetto alla rima articolare.

Figura 2-4. Distanza minima di resezione in un'amputazione transfemorale.

Qualsiasi amputazione compresa fra la metà del terzo distale e la metà del terzo prossimale della coscia è idonea all’utilizzo di una protesi.

L’osteomioplastica è una tecnica chirurgica che permette di soddisfare al meglio i requisiti fondamentali per la realizzazione di un ottimo moncone. Essa prevede la chiusura del canale endomidollare con un frammento osseo modellato, suturandolo al periosteo; in seguito si realizza una sorta di “cuscinetto” formato da tessuto muscolare attorno al femore residuo. In questo modo il tratto apicale del femore non viene direttamente in contatto con la cute, così da permettere una sopportazione del peso corporeo con minor dolore.

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Figura 2-5. Osteomioplastica.

Il paziente amputato, sia nella fase post-chirurgica che nella fase riabilitativa, necessita di essere assistito da un team di specialisti che si occuperanno di riaddestrarlo al cammino con l’utilizzo di una protesi.

2.3.2 Pre-protesizzazione

Nella fase successiva all’operazione il paziente deve affrontare un lungo periodo di convalescenza nella quale si sottoporrà a trattamenti per promuovere il recupero funzionale del moncone. È fondamentale favorire il processo di cicatrizzazione e riassorbimento dell’edema per preparare al meglio il moncone alla protesizzazione. Dopo l’intervento esso viene modellato e fasciato per ripristinare la circolazione venosa e linfatica, mediante diverse tecniche [7]:

- Linfodrenaggio manuale: massaggi che facilitano il riassorbimento dei liquidi; - Bendaggio del moncone: fasciature morbide o rigide con pressione crescente

verso la zona distale che prolungano nel tempo l’effetto drenante del massaggio; - Trattamento della cicatrice: massaggio modellante che prepara la cicatrice a

sopportare carichi futuri;

- Trattamento per il dolore: tecniche manuali e fisiche che impediscano al moncone di andare incontro a disturbi neuro-sensitivi;

- Mobilizzazione: esercizi isometrici che consentono il recupero e il rinforzo del tono muscolare.

Il paziente, una volta terminato il percorso di preparazione del moncone, è pronto ad affrontare la fase di protesizzazione, descritta nel Paragrafo 2.4.

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2.3.3 Post-protesizzazione

In questa fase il paziente interagisce per la prima volta con la protesi, imparando a conoscerla e usarla in modo da riacquisire le abilità perdute sfruttando quelle residue. Inizialmente il paziente indossa la protesi per alcune ore, aumentando progressivamente il tempo di utilizzo. In questa fase devono essere monitorate le condizioni della pelle, che tende ad inspessirsi e adattarsi all’invasatura. Successivamente il paziente inizia a deambulare con essa, controllando il suo corretto utilizzo e non gravando eccessivamente sull’arto controlaterale. Al paziente viene insegnato ad alzarsi e sedersi, con diverse modalità a seconda del ginocchio protesico di cui è dotato.

Quando il paziente raggiunge il giusto livello di equilibrio può iniziare a camminare e, con il passare del tempo, gli verranno insegnati atti motori sempre più complessi, come cadere e rialzarsi, salire e scendere le scale, superare ostacoli [8]. Questi lo porteranno a riacquistare sicurezza nei movimenti quotidiani, anche perché non bisogna dimenticare che la protesi deve garantire la necessità e il diritto di ciascuna persona amputata a condurre una vita normale.

2.4 Protesi di arto inferiore

Una protesi è un dispositivo artificiale atto a sostituire una parte del corpo mancante o a integrarne una danneggiata, allo scopo di restituire immagine corporea e funzionalità. La sua produzione è frutto di procedure complesse, regolate da norme, che perdurano da anni e risultano difficilmente aggiornabili.

Le protesi di arto inferiore hanno come scopo principale la deambulazione e possono essere classificate in base alla funzione che assolvono:

- Protesi provvisoria o temporanea: viene utilizzata quando il soggetto non ha ancora raggiunto la piena stabilità del moncone, l’invaso non è completamente chiuso, ma dotato di strappo in velcro per potersi adattare alle variazioni dimensionali del moncone;

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- Protesi definitiva: viene utilizzata quando il moncone è stabile, l’invaso è definitivo e le altre componenti modulari vengono scelte per soddisfare al meglio le esigenze del singolo paziente;

- Protesi estetica: è destinata ai pazienti non deambulanti con lo scopo di soddisfare le esigenze estetiche ripristinando l’immagine dell’arto mancante.

Le protesi sono progettate seguendo caratteristiche comuni:

- Leggerezza: il peso della protesi ha un ruolo fondamentale per la portabilità della protesi stessa, per il dispendio energetico e l’affaticamento del soggetto durante il suo utilizzo; è consigliabile utilizzare una struttura modulare in leghe leggere o carbonio;

- Sicurezza: la protesi deve essere sicura per il paziente, ridurre il suo impegno mentale ed evitare la sua caduta; per questo è necessaria una scelta ponderata del ginocchio protesico adeguato;

- Controllo ottimale dell’invasatura: l’invaso è la componente più importante della protesi, rappresentando l’interfaccia con il moncone, e deve quindi adattarsi al paziente stesso; permette la trasmissione del peso corporeo alle parti sottostanti grazie al sostegno di zone appositamente progettate.

Le caratteristiche sopraelencate sono una linea guida generale per la realizzazione delle protesi, ma la scelta delle singole componenti dipende dalle peculiarità del paziente. Le varie parti che compongono una protesi modulare per amputato transfemorale sono molteplici e verranno analizzate nei paragrafi successivi.

2.4.1 Protesi transfemorali

Le protesi transfemorali compensano la perdita anatomica e funzionale derivante da un’amputazione a livello del femore e possono essere suddivise in:

- Esoscheletriche: costituite da tre parti (invaso, ginocchio protesico, piede) e generalmente realizzate in legno, resina o poliuretani espansi; mostrano buone

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caratteristiche di resistenza ma scarse capacità funzionali, per questo sono utilizzate solo per applicazioni specifiche come ad esempio le protesi da bagno. - Endoscheletriche: costituite da sei parti (invasatura, giunto di collegamento,

ginocchio, tubo modulare, piede, rivestimento estetico), sono le protesi maggiormente utilizzate grazie alla loro modularità che permette di intercambiare le componenti per soddisfare le esigenze del paziente; risultano più leggere di quelle tradizionali in quanto sono realizzate in leghe leggere come alluminio, titanio e fibre di carbonio.

2.4.2 Componentistica

Le protesi transfemorali endoscheletriche, grazie alla modularità delle loro componenti, permettono la regolazione della posizione reciproca delle parti stesse adattandosi alle esigenze del paziente: tali aggiustamenti hanno lo scopo di ottenere il corretto allineamento statico, in posizione eretta, e dinamico, durante il cammino. Questi dispositivi sono costituiti da elementi standard di produzione industriale, come ginocchio protesico, struttura tubolare, piede protesico, giunti di collegamento, e da elementi su misura come invaso e rivestimento estetico.

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Nel ‘Manuale dei Dispositivi Ortopedici’ [9] definito da ITOP S.p.A. Officine Ortopediche sono descritti dettagliatamente i componenti utilizzabili e qui di seguito verranno illustrati gli elementi principali di una protesi transfemorale.

PIEDE PROTESICO

Il piede protesico è l’elemento a diretto contatto con il terreno e rappresenta l’area attraverso cui la reazione al terreno si propaga alle altre componenti della protesi. Durante il cammino, grazie all’azione dei muscoli planta-flessori, il piede fisiologico è in grado di produrre la corretta spinta che permette l’esecuzione del passo: per simulare al meglio questo meccanismo, le protesi devono essere dotate di componenti che rispondono ai carichi.

I piedi protesici possono essere suddivisi in 3 categorie [10]:

- Piede rigido: il modello più semplice è il piede SACH (Solid Ankle-Cushion Heel) dotato di caviglia rigida; è costituito da una chiglia interna in legno ricoperta da materiali plastici e da un segmento elastico costituente il tallone che garantisce confort al soggetto ammortizzando i carichi durante il contatto con il terreno. A causa del limitato grado di movimento che lo caratterizza, questa tipologia di piede è ideale per persone poco attive. Un’evoluzione è rappresentata dal piede dinamico, il quale ha una struttura molto simile al precedente, ma con l’aggiunta di grandi segmenti elastici che conferiscono alla protesi una maggiore flessibilità.

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- Piede articolato: questa categoria di piede è adatta a soggetti attivi in quanto, grazie alla presenza di un’articolazione mobile, permette di imitare le funzioni svolte dall’articolazione tibiotarsica. Il piede dotato di articolazione monoassiale consente solamente i movimenti di dorsiflessione-plantiflessione, e conferisce al soggetto stabilità tramite l’esecuzione di un passo fisiologico. Invece, un piede con articolazione pluriassiale permette, in aggiunta ai precedenti, i movimenti di rotazione interna-esterna e inversione-eversione, e risulta essere una possibile scelta per i soggetti attivi.

Figura 2-8. Movimenti consentiti da un piede articolato.

- Piede ad accumulo-restituzione di energia: la caratteristica principale è la capacità del materiale, fibra di carbonio, di accumulare energia sottoforma di deformazione elastica nella fase iniziale di appoggio e di restituirla nella fase di spinta; questo comportamento garantisce un miglior controllo della protesi stessa. Tale tecnologia è stata inizialmente utilizzata per produrre esclusivamente piedi ad uso sportivo, ma oggi invece viene utilizzata per permettere a soggetti molto attivi di ottenere il massimo confort e ridurre le sollecitazioni a carico delle strutture ossee. L’applicazione principale di questa tecnologia riguarda ancora oggi i piedi sportivi, dove la restituzione di energia deve essere elevata affinché il soggetto possa esprimere al meglio le sue prestazioni fisiche.

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GINOCCHIO PROTESICO

Il ginocchio protesico è una componente fondamentale per garantire la corretta trasmissione dei carichi, così da permettere al paziente il supporto stabile del peso corporeo e una deambulazione che sia il più possibile simile a quella fisiologica, nonostante l’assenza dei quadricipiti. A seconda della tipologia di articolazione scelta si hanno diversi riscontri in termini di risultato riabilitativo, in particolare si possono individuare differenze per quanto riguarda il controllo della protesi, la sicurezza garantita in fase statica e le componenti con cui possono essere assemblate.

I ginocchi protesici possono essere suddivisi fra dispositivi di vecchia o di nuova generazione [9] [11]. Nei primi rientrano:

- Ginocchio monocentrico: è generalmente costituito da una semplice cerniera rotante. La stabilità del ginocchio si ottiene posizionando il centro di istantanea rotazione posteriormente rispetto alla linea di carico. Data la semplicità di questa tipologia di ginocchio, esso non permette una ottimale deambulazione del paziente: viene quindi utilizzato da pazienti con un livello di attività non elevato. In casi specifici, in cui è richiesto un maggior livello di sicurezza data la difficoltà dei pazienti nel controllare la protesi, un'articolazione del ginocchio bloccata in posizione estesa potrebbe essere più appropriata, sebbene l'andatura ne risentirebbe ulteriormente.

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- Ginocchio policentrico: è generalmente realizzato con il cosiddetto meccanismo di collegamento a quattro barre. Il centro di istantanea rotazione è libero di muoversi, in flessione si sposta davanti alla linea di carico, mentre in estensione si porta dietro ma restando sopra rispetto agli assi del ginocchio, garantendo la sicurezza statica. Le protesi policentriche imitano molto bene le funzioni del ginocchio, grazie alla loro capacità di flettersi con maggiore facilità rispetto ad un ginocchio monocentrico.

Figura 2-10. Ginocchio policentrico.

I dispositivi di nuova generazione si avvalgono di tecnologie, come ad esempio microprocessori e attuatori, per migliorare la deambulazione in termini di fluidità, velocità e momento estensorio. Ne sono un esempio i ginocchi elettronici che permettono al paziente di concentrarsi più sulla camminata che sul movimento, poiché automatizzano una serie di processi che i ginocchi meccanici non permettono. In questa categoria rientrano ginocchi che permettono di svolgere attività sportive, dalla corsa fino alle immersioni in acqua salata.

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LINER

Il liner è una cuffia che il paziente indossa come una calza sopra il moncone, al quale aderisce perfettamente. È stato sviluppato per evitare che il contatto diretto tra moncone e invasatura provochi abrasioni tissutali e sensazioni dolorose al paziente. Inoltre, il liner ha la funzione di creare una distribuzione degli sforzi omogenea sul moncone, riducendo le pressioni localizzate e gli sforzi di taglio dovuti all’attrito [12].

Per assolvere al meglio queste funzioni, diversi materiali sono utilizzati, tra cui:

- Gomma espansa: materiale tradizionale che non protegge in modo ottimale la pelle da lesioni e sforzi di taglio;

- Silicone “Dermosil”: materiale elastico che, fornendo una superficie interna setificata, garantisce un ottimo confort al paziente;

- Poliuretano: materiale altamente biocompatibile in grado di uniformare le pressioni e ridurre al minimo l’attrito tra il moncone e l’invasatura.

SISTEMI DI SOSPENSIONE

I sistemi di sospensione hanno lo scopo di mantenere la posizione assunta dal moncone all’interno dell’invasatura, in modo da permettere il sollevamento dell’arto senza che il controllo della protesi venga meno a causa di un eventuale sfilamento della stessa. Tali sistemi devono evitare che si verifichi il fenomeno di pistoning, ossia lo scorrimento relativo fra i due componenti: durante la fase di swing, esso si manifesta con il movimento verticale del moncone che tende a scorrere verso l’alto e ad uscire dalla protesi, mentre durante la fase di stance tende a scorrere verso il basso battendo sul fondo. Tale movimento imita il moto di un pistone all’interno di un cilindro. Questo fenomeno può portare sia alla formazione di edemi e abrasioni della pelle che alla perdita del controllo della protesi stessa.

Per ovviare a questa problematica, è possibile utilizzare diversi sistemi di sospensione: - Cintura di sospensione: è il metodo più datato e ad oggi viene utilizzato solo per

pazienti anziani o bambini. Prevede l’utilizzo di una cintura ancorata al bordo prossimale dell’invasatura e alle pelvi del paziente, che permette il mantenimento in posizione della protesi, senza contrastare però il fenomeno del pistoning.

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- Pin-shuttle lock: è composto da un perno che si aggancia ad un blocco presente sull’invasatura, così da mantenere in posizione quest’ultima.

- Vuoto a valvola passiva: il vuoto è ottenuto grazie alla presenza di una cuffia e di una valvola ad una via, posizionata all’estremità inferiore dell’invaso; quando il paziente calza la protesi, l’aria presente tra cuffia e invasatura viene espulsa, creando una perfetta adesione tra i due componenti. La valvola, restando chiusa, impedisce l’ingresso di aria, mantenendo il vuoto creatosi fra essi.

- Vuoto a valvola attiva: il vuoto è ottenuto grazie alla presenza di una cuffia e di una valvola ad una via collegata ad una pompa elettrica, che aspira l’aria residua creando una depressione interna fino a -20 mmHg.

INVASATURA

L’invasatura è l’elemento d’interfaccia con il moncone e richiede il massimo grado di personalizzazione per adattarsi al meglio al paziente. Ha due funzioni principali: il contenimento del moncone e la trasmissione del peso corporeo alle componenti protesiche sottostanti. Per trasmettere i carichi al moncone nel modo più confortevole, durante la deambulazione deve presentare aree di contatto appositamente progettate per sostenere il peso corporeo e aree che devono essere scaricate.

L’invaso deve presentare le seguenti caratteristiche: - Perfetta adesione al moncone;

- Mantenimento dell’invaso in posizione, eventualmente mediante l’utilizzo di sistemi di ancoraggio, quali cinghie;

- Limitazione del contatto apicale del moncone; - Corretta trasmissione di carichi e sollecitazioni; - Controllo sicuro della protesi.

La produzione dell’invaso deve garantire una corretta trasmissione dei carichi al fine di evitare zone di pressione troppo elevate che potrebbero compromettere la circolazione.

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La personalizzazione di questo elemento è dunque fondamentale e determina l’esistenza di diversi modelli di invasature, rappresentabili in quattro classi fondamentali:

Invasatura quadrilaterale

L’invasatura quadrilaterale fu ideata negli anni ’40 dalla Berkeley, University of California, e il suo nome fa riferimento alla forma che assume nella sezione trasversale a livello della tuberosità ischiatica [13].

Figura 2-11. Invasatura quadrilaterale.

Presenta quattro pareti di interfaccia col moncone e un appoggio ischiatico senza contenimento. La ‘seduta’ permette l’appoggio sia della tuberosità ischiatica che della muscolatura del gluteo, causando un problema di stabilità nel piano sagittale dovuto a un’eccessiva antiversione del bacino. Per compensare questo problema è stata utilizzata questa particolare forma quadrilaterale con la dimensione in direzione antero-posteriore minore rispetto a quella in direzione medio-laterale e con l’altezza della parete anteriore maggiore rispetto a quella posteriore. Questa soluzione genera una forza in direzione posteriore, opposta a quella del cammino, agente sul triangolo femorale, mantenendo l’ischio a contatto con la seduta. Sovradimensionando questa componente di forza si crea un’eccessiva pressione sul triangolo femorale, la quale potrebbe comportare occlusioni di vasi e compressione di nervi: nel tempo si è scoperto che aumentando la dimensione nella direzione antero-posteriore è possibile garantire un miglior comfort per il paziente senza influire sulla stabilità nel piano sagittale, garantita comunque da altre strutture corporee quali muscoli, tendini e pelle.

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Figura 2-12. Equilibrio in direzione antero-posteriore in un invaso quadrilaterale.

Un’altra problematica tipica di questa tipologia di invaso riguarda la non corretta stabilizzazione nel piano frontale: il femore non risulta contenuto in abduzione e questo provoca uno spostamento dell’asse meccanico verso l’arto amputato, con conseguente destabilizzazione del passo. Per recuperare la stabilità il moncone viene forzato in posizione addotta, diminuendo gradualmente la dimensione medio-laterale dell’invaso verso la parte distale, inclinandone la parete laterale e mantenendo verticale quella mediale.

Figura 2-13. Equilibrio in direzione medio-laterale in un invaso quadrilaterale.

Con questa tipologia di protesi il trasferimento del carico avviene prevalentemente tramite la tuberosità ischiatica, ma a causa della sua superficie d’appoggio ridotta i valori di pressione generati sono molto elevati. Per ridurli, è necessario distribuire il peso su tutta la superficie del moncone, sia laterale che terminale. Si deve prestare particolare attenzione alla parte terminale che può andare incontro a stasi venosa e linfatica (il cosiddetto “moncone blu”).

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Invasatura a contenimento ischiatico (CAT-CAM)

L’invasatura a contenimento ischiatico o CAT-CAM (Contoured Adducted Trochanteric-Controlled Allignement Method) nacque negli anni ’80 come evoluzione dell’invasatura quadrilaterale. Contiene all’interno dell’invasatura la tuberosità ischiatica e la perdita della seduta ischiatica viene compensata con tre nuove spinte di supporto:

- Componente di spinta S1: agisce sulla parte mediale dell’ischio, con direzione

perpendicolare alla superficie e verso laterale, e genera una pressione P1;

- Componente di spinta S2: agisce sulla zona sub-trocanterica, con direzione

perpendicolare alla superficie e verso mediale, e genera una pressione P2;

- Componente di pressione quasi idrostatica: agisce sui tessuti molli, in particolare sulla zona dei glutei, ed è dovuta alla distribuzione uniforme del carico.

Figura 2-14. Spinte di supporto generate da un invaso a contenimento ischiatico.

Grazie al design di questa invasatura, che permette il contenimento della tuberosità ischiatica, è possibile garantire un miglior controllo della protesi e una deambulazione più armonica. Mantenendo il moncone in posizione fisiologica addotta, le spinte generate dalla protesi sulle superfici ossee hanno una risultante Sr con direzione verticale e diretta

verso il centro dell’anca: in questa configurazione, essendo Sr priva di braccio di leva

rispetto al centro dell’anca, non si generano momenti che potrebbero perturbare la stabilità raggiunta nel piano frontale in fase ortostatica. La stabilità non necessita di una forza agente sul triangolo femorale, come nel caso precedente, ma viene garantita dalla contrazione della muscolatura stessa.

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Un altro vantaggio è dovuto alla maggiore dimensione antero-posteriore dell’invasatura, che permette di accogliere la muscolatura flesso-estensoria dell’anca senza comprimerla, evitando un’eccessiva compressione in zone vascolari e nervose delicate.

Invasatura M.A.S.

L’invasatura M.A.S. (Marlo Anatomical Socket) fu sviluppata nel 1999 da Marlo Ortiz, ingegnere protesista. La caratteristica innovativa di questa invasatura rispetto a quella CAT-CAM consiste in una linea di taglio posteriore più bassa, che permette di migliorare l’estetica e il confort nella zona dei glutei e evitare l’atrofia dei muscoli della zona in questione. L’alloggiamento del bacino risulta essere spostato in avanti, determinando un ottimo contatto fra moncone e invaso e realizzando un perfetto incastro geometrico. Questa geometria garantisce una maggiore stabilità latero-mediale grazie all’adesione costante fra la parete laterale prossimale dell’invasatura (“aletta”) e la cute del moncone: durante l’intero ciclo del passo l’aletta resta lateralmente in contatto con la cute, senza alcun distacco.

L’obiettivo era realizzare un invaso con una distribuzione delle forze tale per cui il paziente non percepisse pressioni localizzate sul complesso ischiatico, come nei casi precedenti. Questa situazione si ottiene rispettando il principio della “congruenza triplanare”:

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la somma vettoriale delle componenti delle forze di spinta in direzione antero-posteriore e medio-laterale deve dare una risultante agente ortogonalmente alla “paletta” di contenimento ischiatico. Quando i tre vettori risultano bilanciati dalle forze di reazione vincolare dell’invaso, il complesso ischiatico galleggerà all’interno della “paletta” durante la deambulazione, ottenendo un sostegno quasi idrostatico di tutta la superficie. Oltre all’aumento della stabilità e del controllo della protesi, questo invaso permette maggiore libertà di movimento a livello dell’anca, consentendo adduzione e abduzione, e incremento della lunghezza del passo, garantendo una deambulazione più simile a quella fisiologica.

Invasatura subischiatica

L’invasatura subischiatica è stata sviluppata recentemente per superare le limitazioni funzionali e di movimento delle precedenti tipologie, permettendo al paziente di realizzare movimenti articolari ampi e complessi. È caratterizzata da linee di taglio subischiatiche possibili grazie all’introduzione di nuovi sistemi di sospensione come pompe attive in grado di creare una pressione sub-atmosferica. La stabilità è garantita dalla compressione dei tessuti molli e dai sistemi di sospensione. Esistono tre tipologie di invasature sub-ischiatiche:

- Invasatura a una parete dotata di una camera di depressione apicale ottenuta grazie alla presenza di una membrana interposta tra cuffia e invasatura;

- Invasatura a una parete dotata di una camera di depressione tra invasatura e cuffia ottenuta grazie alla presenza del risvolto della cuffia sopra il bordo dell’invaso, che viene sigillata con una ginocchiera aderente all’invaso;

- Invasatura a doppia parete (flessibile interna e rigida esterna) ancorate tra loro, dotata di una camera di depressione ottenuta grazie alla presenza del risvolto della cuffia sopra il bordo dell’invaso, che viene sigillata con una ginocchiera aderente all’invaso.

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Grazie al suo design risulta più confortevole per i pazienti in quanto l’ischio non è contenuto all’interno dell’invaso, tuttavia, proprio per la sua geometria, necessita di sistemi di sospensione e causa un’elevata compressione dei tessuti del moncone per mantenere la protesi in posizione. Oltre ai precedenti limiti, presenta un ingombro e un peso non trascurabili che potrebbero affaticare il paziente causando un aumento della spesa energetica e riducendo il tempo di utilizzo della protesi stessa.

Per ovviare ai limiti sopra menzionati, la ITOP S.p.A. Officine Ortopediche ha sviluppato una nuova invasatura transfemorale chiamata “subischiatica ibrida”, su cui si focalizza il presente elaborato.

2.4.3 Invasatura subischiatica ibrida

Rispetto alle precedenti, l’invasatura subischiatica ibrida presenta numerosi vantaggi che risulteranno evidenti dalla successiva descrizione della sua forma e realizzazione. In particolare, permette di:

- Migliorare il confort e l’estetica; - Migliorare il controllo della protesi;

- Ridurre l’ingombro e di conseguenza il peso; - Incentivare l’azione e il tono muscolare;

- Eliminare le limitazioni all’articolazione dell’anca;

- Rimuovere l’obbligo di un sistema di sospensione a vuoto assistito; - Utilizzare un sistema di ancoraggio essenziale, leggero ed efficace.

Facendo riferimento alla richiesta di brevetto N. BI5370R [14] verrà di seguito illustrato il design dell’invasatura, la quale è costituita da due involucri flessibili di silicone all’interno dei quali è interposto un telaio in fibra di carbonio.

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Le linee di taglio dell’involucro si trovano al di sotto del perineo e del trocantere del paziente. L’involucro interno è in diretto contatto con il moncone del paziente e la sua configurazione genera delle spinte la cui risultante permette all’invaso di rimanere solidale al moncone durante l’utilizzo.

Figura 2-16. Invasatura subischiatica ibrida.

La superficie interna dell’involucro ha una geometria così definita:

- Una prima zona a contatto con gli ischio-crurali del paziente che esercita una spinta S1 come reazione al peso dell’utilizzatore; tale spinta è passiva e ha

componenti di forza in direzione cranio-caudale e medio-laterale;

- Una seconda zona a contatto con l’area sub-trocanterica del paziente che esercita una spinta S2 come reazione al peso dell’utilizzatore; tale spinta è passiva e ha

componenti di forza in direzione cranio-caudale e latero-mediale;

- Una terza zona a contatto con l’area apicale-mediale del moncone del paziente che esercita una spinta S3 di sostegno; tale spinta è attiva e ha componenti di forza

in direzione cranio-caudale e medio-laterale;

- Una quarta zona a contatto con l’area diafisaria femorale laterale del moncone del paziente che esercita una spinta S4 di sostegno; tale spinta è attiva e ha componenti

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Figura 2-17. Spinte esercitate dall’invasatura sul moncone

La risultante delle quattro spinte consiste in una forza di presa concentrica e in una spinta verso l’alto che genera un effetto di “galleggiamento idrostatico” del moncone.

L’involucro viene realizzato tramite l’utilizzo di polimeri siliconici con caratteristiche di flessibilità, deformabilità, isotropia e omogeneità; queste proprietà conferiscono all’invasatura la capacità di:

- Accettare le contrazioni muscolari durante la deambulazione e migliorare la propriocezione;

- Adattarsi all’anatomia del moncone in posizione seduta, evitando l’ingresso di aria a seguito di movimenti relativi;

- Assorbire gli urti a protezione delle strutture scheletriche.

Il telaio è composto da una parete mediale e una parete laterale che si accoppiano con il moncone rispettivamente in posizione mediale e laterale; sono disposte affacciate l’una rispetto all’altra definendo una conformazione a U, in cui delle finestrature permettono alla muscolatura del soggetto di deformarsi durante la deambulazione. Le due pareti possono essere collegate da una fascia di tessuto sintetico praticamente rigido per evitare un’eccessiva deformazione in direzione medio-laterale.

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Il telaio è realizzato in fibre di carbonio stratificate in una matrice di resina che conferisce rigidezza e stabilità nel piano medio-laterale.

Con questa tipologia di invasatura può essere utilizzato sia un sistema di ancoraggio di tipo ipobarico, sia con vuoto assistito. Per creare le condizioni di vuoto la base apicale dell’invaso è distanziata rispetto all’apice del moncone e per permettere l’espulsione dell’aria eventualmente presente in questa zona viene utilizzata una valvola unidirezionale.

PROCEDIMENTO DI REALIZZAZIONE

La realizzazione dell’invasatura, come esplicato nella richiesta di brevetto N. BI5370R [14], si basa sull’ottenimento di un calco negativo del moncone che, dopo essere stato sottoposto a condizioni di carico prestabilite, viene rivestito con materiale indurente gessato.

Inizialmente al paziente viene fatta calzare una cuffia in silicone sul moncone e vengono misurate le circonferenze ogni 5 cm partendo dall’apice e proseguendo prossimalmente; queste misure vengono riportate sulla cuffia e successivamente sia sul calco negativo che positivo, per permettere un controllo nella fase di modellazione. Il soggetto in posizione eretta pone il moncone all’interno di un “telaio di posizionamento”, mezzo di sostegno provvisto di un cavalletto da gesso e di un telaio di raccordo, e applica la forza peso inducendo la spinta S1 sugli ischio-crurali e la spinta S2 sulla zona sub-trocanterica.

Sul moncone vengono momentaneamente applicate due fasce elastiche che lo circondano nella zona apicale mediale e nella zona diafisaria femorale laterale, le quali generano forze di trazione sul moncone stesso inducendo la spinta S3 sulla zona apicale-mediale e

la spinta S4 sulla zona diafisaria-femorale. Queste procedure servono per regolare il telaio

di posizionamento e calibrare le spinte che devono garantire il massimo confort del paziente, il quale non deve avvertire pressioni localizzate che provochino sensazioni dolorose.

In seguito, il moncone viene ricoperto di materiale indurente, in particolare di bende gessate; si ripetono le azioni compiute in precedenza: vengono riapplicate le due fasce elastiche e l’intero peso corporeo del paziente. Il soggetto indossa due calze di maglina

Figura

Figura 2. Disposizione delle fibre di carbonio nel telaio: la figura di destra rappresenta la  disposizione delle otto lamine presenti nella zona apicale del telaio, evidenziata nella figura di
Figure 1. Parts of a subischial hybrid socket.
Figure 2. Stratification of carbon fibers in the support frame: the right figure shows the order of  the eight layers of the apical area, that is highlighted in the left figure
Figura 2-1. Reperto della prima protesi di arto inferiore rinvenuta a Capua.
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