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Codice digitale degli archivi veronesi.

Uno strumento di ricerca

Reti Medievali Rivista, 15, 1 (2014) <http://rivista.retimedievali.it>

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«Come è accaduto in altre città, anche a Verona l’edizione delle fonti sto-riche medievali non ha avuto quello sviluppo che, sulla base degli orientamenti assunti dalla ricerca locale negli ultimi decenni dell’Ottocento, ci si sarebbe po-tuti aspettare»1. Con questa considerazione Gian Maria Varanini introduceva,

circa quindici anni fa, l’edizione delle carte di Santo Stefano di Verona curata da Giovanni Battista Bonetto. Lo scarto tra il significativo spessore della do-cumentazione per il primo medioevo di questa città e quanto risulta accessi-bile agli storici tramite edizioni di sicura affidabilità e di estesa copertura è d’al-tronde ben noto2e, nonostante alcune recenti iniziative editoriali, ancora in gran

parte da colmare.

In questo panorama il progetto del Codice digitale degli archivi veronesi, che qui si presenta, intende mettere a disposizione degli studiosi la possibili-tà di accedere a uno strumento di consultazione sostitutiva dei documenti pro-dotti da enti e persone di questo territorio per il primo medioevo (secoli VIII-XII).

1. L’edizione di documenti per il primo medioevo a Verona

L’attuale inadeguatezza – in termini di copertura – delle edizioni a dispo-sizione degli studiosi a cui si accennava si è verificata nonostante una tradizione storica locale caratterizzata proprio dalla particolare attenzione riservata ai

do-Codice digitale degli archivi veronesi. Uno strumento di ricerca

di Andrea Brugnoli

I siti e le risorse on line sono state consultate o verificate al 21 marzo 2014.

1Varanini, Presentazione.

2Si veda per esempio quanto scriveva Fumagalli, Coloni e signori.

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cumenti. Senza risalire a quanto prodotto tra XVI e XVII secolo nell’ambito del-l’apologetica cattolica3, questa peculiarità si manifesta con particolare

vivaci-tà nel corso del XVIII secolo, sebbene le opere più significative prodotte in que-sto momento siano rimaste allo stadio di manoscritto. Il caso più ragguarde-vole è quello di Ludovico Perini4, con le sue schede dedicate a singole istituzioni

religiose e chiese, corredate di numerose trascrizioni di documenti5ampiamente

utilizzati nella seconda metà del secolo da Giovanni Battista Biancolini6. La

ri-cerca di stampo erudito trova spazio in particolare entro l’alveo del capitolo ca-nonicale con Giuseppe Bianchini7, quindi con Giuseppe Muselli8e Gian Giacomo

Dionisi9; il tutto sotto l’ombra – seppur non priva di occasioni di contrasto e

divisione10– degli studi di Scipione Maffei.

Tra Otto e Novecento la «definitiva transizione dall’eclettismo e dal dilet-tantismo alla filologia scientifica»11venne condotta a Verona da figure del

ca-libro dapprima di Carlo Cipolla12e poi di Luigi Simeoni13, mentre gli schemi

del-la tradizione precedente, a livello extraurbano, proseguirono – con una certa dignità, invero – con le opere di alcuni parroci che si fecero promotori di ope-razioni volte a definire identità locali14. È possibile riscontrare un trait d’union

tra le due tradizioni, peraltro, oltre che nella centralità data al documento, an-che nell’attenzione degli studiosi operanti tra Otto e Novecento per le vicende archivistiche precedenti e nelle frequenti incursioni all’interno delle opere del secolo dei lumi rimaste manoscritte15. «Arrivare così più sicuramente alle

con-3Sul tema si rimanda alla recente panoramica generale per l’Italia di Varanini, Storie di piccole

città.

4Sancassani, L’opera di archivista di Lodovico Perini; Corcioni, Lodovico Perini architetto ed

eru-dito.

5Biblioteca Civica di Verona, Carteggi, bb. 22-27.

6Biancolini, Notizie storiche delle chiese di Verona. Sulla sua opera si veda la voce di Armando

Petrucci in Dizionario biografico degli italiani.

7Si veda alla voce di Salvatore Rotta in Dizionario biografico degli italiani; per le trascrizioni di

documenti, in parte ora nell’archivio di Gian Giacomo Dionisi (Archivio di Stato di Verona, Dio-nisi-Piomarta), si rimanda alle note di G.B. Bonetto per Santo Stefano: Bonetto, Introduzione.

8Giuliari, La capitolare biblioteca di Verona, pp. 181-183; in particolare per Muselli, Memorie

isto-riche.

9Si veda la voce di Guido Fagioli Vercellone in Dizionario biografico degli italiani.

10Così Maffei su Biancolini: «un uomo di fontico, che non ha letteratura alcuna, che si fa dar or

da uno or da un altro pezzi». (Maffei, Epistolario, p. 1309, citato da Petrucci, Giambattista

Bian-colini).

11Varanini, Presentazione, p. IX. 12Carlo Cipolla e la storiografia italiana.

13Varanini, Simeoni, Luigi; Varanini, La formazione di Luigi Simeoni. Si veda anche il recente

giu-dizio di Chris Wickham sulla anti-retorica concretezza di Luigi Simeoni: Wickham, Comunità e

clien-tele, pp. 12-13.

14Si segnala, per esempio, il volume di Gabriele Borsatti dedicato a Malcesine, con ricca – e

so-stanzialmente corretta – appendice di documenti: Borsatti, Malcesine.

15Simeoni, Rapporti tra le opere di due eruditi veronesi; Simeoni, Gaetano Da Re; Sulla

tradi-zione archivistica locale si vedano poi i lavori di Giulio Sancassani, da inquadrare nelle operazio-ni preliminari al passaggio dagli Antichi archivi veronesi all’Archivio di Stato: Sancassaoperazio-ni,

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Ales-clusioni che le carte suggerivano»: questo il metodo sinteticamente esposto da Luigi Simeoni nello studio sui comuni rurali che può riassumere il denomina-tore comune nel rapporto tra storici e fonti del territorio veronese16.

In questo percorso un ruolo significativo è da attribuire agli istituti di con-servazione17: in primo luogo la Biblioteca e l’Archivio capitolare18e in un secondo

momento gli Antichi archivi veronesi, istituiti nel 1867 con lo scopo di riunire e mettere a disposizione degli studiosi i fondi degli enti religiosi soppressi19. In

quest’ultima sede nel 1874 confluirono su iniziativa del vescovo Luigi di Canossa ma su ispirazione dall’ultimo rappresentante locale dell’erudizione ecclesiastica, Giovanni Battista Carlo Giuliari20, anche gli archivi storici delle parrocchie

ur-bane post-napoleoniche e la parte più antica del fondo della Mensa vescovile. Tutto questo materiale venne a costituire il nucleo antico più significativo del locale Archivio di Stato, istituito nel 196421; mentre con altra operazione,

det-tata da esigenze di tutela, nel 1980 vennero concentrati presso l’Archivio sto-rico della curia e diocesi di Verona molti archivi parrocchiali del territorio22. Poco

altro della documentazione veronese aveva preso strade esterne alla città: di par-ticolare rilevanza gli archivi giunti a Venezia a seguito di alcune soppressioni di enti religiosi avvenute sotto il dominio della Repubblica: tra questi emergono quelli di San Giorgio in Braida23e di San Pietro in Castello24(1668), nonché

quel-li di San Nazaro e Celso (1769), San Zeno Maggiore (1770), Santa Maria della Ghiara (1773) e San Leonardo in Monte (1783)25, con documentazione risalente

al primo medioevo. I primi due vennero poi conglobati nel fondo della Nun-ziatura Veneta e in seguito trasmessi all’Archivio Segreto Vaticano dove tutt’ora si trovano; gli altri rimasero nel capoluogo lagunare da dove rientrarono a Ve-rona, all’Archivio di Stato, nel 1964.

Quanto alle edizioni organiche della documentazione compresa nei limiti cronologici del XII secolo, si deve giungere alla metà del Novecento con i due volumi del Codice diplomatico veronese di Vittorio Fainelli (1940 e 1963 e un terzo rimasto in gestazione)26, a cui si aggiungono le appendici

(espressamen-sandro Canobio archivista veronese; Sancassani, L’opera di archivista di Lodovico Perini;

San-cassani, Lavori di ordinamento di un archivista del ’700.

16Simeoni, Il comune rurale nel territorio veronese, p. 221. 17Sancassani, Gli archivi veronesi dal medioevo ai nostri giorni. 18Zivelonghi, Strumenti e spunti di ricerca.

19Bertoldi, Gli antichi archivi veronesi; Fainelli, Gli “antichi archivi veronesi”. 20Varanini, L’ultimo dei vecchi eruditi.

21Archivio di Stato di Verona.

22Segala, L’archivio storico della Curia vescovile di Verona. Si veda anche la scheda Curia

dio-cesana di Verona per il progetto Ecclesiae Venetae entro il SIUSA.

23Cenci, L’archivio della Cancelleria della Nunziatura Veneta; Biscaro, Attraverso le carte di S.

Giorgio in Braida; Biscaro, Attraverso le carte di S. Giorgio in Braida. Note storiche;

Tomasso-li Manenti, Introduzione.

24Bellotti, La chiesa di S. Pietro in Castello; Ciaralli, Introduzione. 25Sancassani, Gli archivi veronesi, pp. 40-43.

26Codice diplomatico veronese dalla caduta dell’impero romano; Codice diplomatico veronese

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te a questo legate) di Egidio Rossini (1967 e 1989-1990)27. Nonostante le

aper-te critiche a cui venne in seguito sottoposta per le modalità di edizione e i nu-merosi errori28, l’opera di Fainelli è rimasta – e rimane in gran parte – un

ri-ferimento obbligato per gli storici del medioevo veronese: a questa si deve in-fatti in ogni caso un’immediata disponibilità di accesso ai documenti datati en-tro il 96329.

Solo con la fine del secolo scorso il panorama si è aperto a nuove imprese, centrate soprattutto sul XII secolo, accolte per lo più nella collana “Fonti per la storia della terraferma veneta” diretta da Giorgio Cracco. Il primo volume che ospita documenti veronesi, per cura di Annamaria Rossi Saccomani, è dedicato alle Carte dei lebbrosi, il cui intento è quello di «restituire le testimonianze do-cumentarie [...] sulla storia dell’istituzione ospedaliera» di Santa Croce e Ca-rità (1989)30. Sebbene l’impianto metodologico possa avvicinarsi dunque a più

tradizionali “codici diplomatici”, questo progetto si risolve in concreto nella re-stituzione virtuale di un archivio poi disperso tra diversi enti. All’abbandono del modello ottocentesco del codice diplomatico cittadino si uniformano gli al-tri volumi della serie: Andrea Piazza edita le carte del priorato di San Colom-bano di Bardolino entro il fondo bobbiese all’Archivio di Stato di Torino (1994)31,

Franco Scartozzoni pubblica nel 1996 il liber feudorum di San Zeno (XIII se-colo)32e sullo scorcio del secolo Emanuela Lanza edita le Carte del Capitolo del-la Cattedrale di Verona per del-la prima metà del XII secolo (1998)33a cui

segui-rà a distanza di alcuni anni un volume per l’intervallo cronologico 1152-1183 (2006)34. Entro questo nuovo ciclo si colloca pure l’autonoma edizione delle

car-te dell’archivio di Santo Scar-tefano da parcar-te di Giovanni Battista Bonetto (2000)35,

rielaborazione della sua tesi di laurea del 1996 sotto la guida di Ezio Barbieri. Il nuovo secolo si apre con un episodio che vede un ritorno al modello del codice diplomatico territoriale, con l’edizione dei documenti di Santa Giulia di Brescia inerenti la Gardesana veronese, dovuta a Corrado Sala (2001)36. Tra il

2001 e il 2002 escono invece i due volumi delle Chartae Latinae Antiquiores

de-in particolare a Fade-inelli, Per l’edizione di un codice diplomatico veronese e alle precedenti osser-vazioni in Fainelli, La data nei documenti.

27Rossini, Documenti per un nuovo codice diplomatico veronese; Rossini, Alcuni documenti

ine-diti (1989); Rossini, Alcuni documenti ineine-diti (1990). A questi si possono aggiungere, sebbene

re-lativi all’archivio dell’abazia di San Silvestro di Nonantola, i documenti editi dallo stesso: Rossi-ni, I livelli di Ostiglia nel secolo IX.

28Fumagalli, Coloni e signori.

29Il terzo volume inedito, pur essendo limitato per il secolo XI ai fondi conservati agli Antichi

Ar-chivi Veronesi, è stato comunque alla base di alcuni studi, come La Rocca, «Dark ages» a

Vero-na.

30Le carte dei lebbrosi di Verona. 31Le carte di San Colombano di Bardolino. 32Il Liber feudorum di S. Zeno di Verona.

33Le carte del capitolo della cattedrale di Verona. I. 34Le carte del capitolo della cattedrale di Verona. II. 35Le carte della chiesa di Santo Stefano.

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dicati ai documenti originali in archivi veronesi compresi entro il IX secolo, cu-rati da Francesca Santoni37. Questo primo decennio è però anche segnato

dal-l’incubazione all’interno della locale università – con Massimiliano Bassetti, An-drea Castagnetti e Antonio Ciaralli – di alcuni progetti attorno al fondo della Nun-ziatura veneta all’Archivio segreto vaticano. Allo stato attuale è stato prodotto un data base dei notai di San Giorgio in Braida38ed è stato edito il fondo di San

Pietro in Castello da parte di Ciaralli (2007)39; nel frattempo si è aggiunta,

au-tonoma da questo percorso, l’edizione di Giannina Tomassoli Manenti per gli anni 1075-1150 delle pergamene di San Giorgio in Braida (2007)40.

2. Il progetto del Codice digitale degli archivi veronesi

Non si pretende certo con questo sommario excursus di aver fornito una sin-tesi o delle linee interpretative che abbiano la solidità di una ricostruzione sto-riografica relativamente al rapporto tra la medievistica veronese e le sue fonti documentarie41. Sembrava però opportuno indicare su quali basi il lavoro del Co-dice digitale degli archivi veronesi (VIII-XII secolo) ‹http://cdavr.dtesis.univr.it›,

che qui si presenta, ha potuto comunque fondarsi e soprattutto per sottolinea-re come il patrimonio documentario per il primo medioevo di questa città non sia ancora a disposizione degli studiosi nella sua completezza in forme di con-sultazione sostitutiva: dall’edizione critica alla semplice riproduzione fotogra-fica. Le pur limitate edizioni di questi ultimi decenni sono state comunque già sufficienti, per esempio, a riportare le potenzialità di questo corpus veronese al-l’attenzione di quanti si interessano all’evoluzione della forma dei documenti e delle prassi redazionali e al ruolo dei notai. Si è trattato di interventi attorno a temi squisitamente diplomatistici, come le modalità di passaggio dalla charta all’instrumentum, che sono però scaturiti dai circoscritti carotaggi nella docu-mentazione complessiva rappresentati appunto da quanto finora edito e, pro-babilmente anche per questo, con conclusioni divergenti42. L’accesso a una più

37Chartae Latinae Antiquiores: 59, Italy XXXI. Verona I e 60, Italy XXXII, Verona II. 38Bassetti, Anagrafe di notai veronesi.

39Le carte antiche di San Pietro in Castello. 40Le carte di San Giorgio in Braida.

41L’edizione di fonti medievali veronesi trova forse più organico compimento negli statuti: da

quel-li ruraquel-li, editi in diverse sedi e momenti (in particolare da Cipolla, Simeoni e Rossini), a quelquel-li cit-tadini (da Bartolomeo Campagnola con il salto a Simeoni, Gino Sandri e più recentemente Silva-na AnSilva-na Bianchi e Rosalba Granuzzo) che escono dai limiti cronologici che qui sono presi in con-siderazione. Essi devono almeno essere nominati, per dare conto di una tradizione che limitan-dosi alle edizioni documentarie altrimenti sfuggirebbe nella sua complessità. A questi si possono anche aggiungere gli studi di epigrafia con gli schedari di Pietro Sgulmero e le pubblicazioni, tra gli altri, di Gian Girolamo Orti Manara, Cipolla fino a Luisa Billo. A quest’ultima si rimanda, in at-tesa della prossima edizione curata da Gian Maria Varanini nell’ambito del corpus edito dal CI-SAM: Billo, Le iscrizioni veronesi dell’alto medioevo.

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Bonet-ampia messe di documenti, tendenzialmente esaustivi rispetto a quanto conservato, permetterà sicuramente di verificare le ipotesi fin qui formulate. In particola-re, sarà possibile riconoscere e governare le variabili in campo, non ultima la de-finizione dell’apporto individuale di specifici notai, soprattutto quelli che appaiono indubbiamente egemoni dal punto di vista della produzione e sotto il profilo cul-turale, anche in relazione al loro rapporto con i singoli enti. In questo senso, ol-tre ad aspetti sol-trettamente diplomatistici qui accennati o a vicende della storia locale, si auspica che il materiale messo a disposizione possa contribuire a col-locare e valutare il caso veronese entro il più ampio orizzonte del notariato del-l’Italia centro-settentrionale e fornisca, tra le altre cose, utili elementi alla com-prensione del rapporto tra notai, Impero e Comune cittadino43.

Il progetto del Codice digitale degli archivi veronesi nasce formalmente nel 2013 da una collaborazione tra Reti Medievali, il dipartimento TESIS dell’U-niversità di Verona, il Centro di Documentazione per la Storia della Valpolicella e, tramite una convenzione, l’Archivio di Stato di Verona relativamente alla dif-fusione delle riproduzioni dei fondi qui conservati.

L’idea di questa edizione ha iniziato in realtà a prendere corpo nel 2007, nell’ambito del Dottorato in Scienze storiche e antropologiche dell’Università di Verona. Il progetto di ricerca proposto in quella sede da chi scrive, basan-dosi sull’analisi di alcuni specifici aspetti del linguaggio e degli schemi dei no-tai attivi nel territorio veronese entro il XII secolo, necessitava che si procedesse a un esame sistematico della documentazione prodotta per quest’ambito ter-ritoriale. Invece di puntare alla sola schedatura dei dati – anche per la neces-sità di effettuare riscontri incrociati su diversi aspetti dei documenti, sia intrinseci sia estrinseci, e in diverse fasi del lavoro – si è proposto ai diversi enti di con-servazione di realizzare una riproduzione fotografica della documentazione. Ini-zialmente sono stati dunque schedati i documenti in originale o in copia sem-plice o autentica – escludendo le copie di età moderna dovute in particolare ad attività erudita – conservati negli archivi veronesi e rispondenti ai limiti cro-nologici del progetto; in seconda battuta sono iniziate le operazioni di ripro-duzione digitale, a cui è seguito l’ordinamento dei files e la loro elaborazione. I risultati di quello studio, diffusi in una limitata edizione44, si accompagnavano

a due volumi di appendici relative specificamente alla documentazione utiliz-zata: erano qui messi a disposizione un’anagrafe dei notai, con schede analiti-che per quelli attivi entro la prima metà del XII secolo, e un repertorio crono-logico della documentazione dei secoli VIII-XII prodotta – nel lato senso archivistico – da enti o famiglie veronesi. Il Codice digitale, con l’accesso alla riproduzione dei documenti, costituisce un’ideale terza appendice di quel lavoro.

to, Introduzione; Tomassoli Manenti, Introduzione. Una panoramica di questo dibattito in Bru-gnoli, Una storia locale; si veda soprattutto Gardoni, Notai e comuni.

43Brugnoli, Una storia locale: pp. 73-78.

44Ibidem; in particolare si segnalano le appendici del II e III volume, con l’anagrafe dei notai, la

schedatura dei documenti per singolo notaio e una tabella finale di riscontro di tutta la documentazione in ordine cronologico.

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Pur originando da un progetto specifico, si è ritenuto che la diffusione del materiale così predisposto potesse aprire significative prospettive per lo stu-dio del primo mestu-dioevo veronese e più in generale della diplomatica e della sto-ria nel notasto-riato; inoltre che potesse al contempo contribuire alla tutela di una documentazione assai delicata, fornendo agli studiosi un utile strumento per una consultazione indiretta, nella maggior parte dei casi comunque rispondente alle loro esigenze.

Si tratta, d’altronde, di un percorso di digitalizzazione che nell’ultimo de-cennio è stato attivato con alcuni progetti da parte degli Archivi di Stato45: per

questo si devono sicuramente indicare i progetti Divenire46dell’Archivio di

Sta-to di Venezia, il Mediceo avanti il PrincipaSta-to47e il Diplomatico48dell’Archivio

di Stato di Firenze. Ma la presente edizione in parte se ne differenzia, in ragione proprio della sua struttura originata da un’esigenza legata a una specifica ri-cerca storica per la quale risultava eccessivo rendere conto compiutamente e nel dettaglio dei contesti archivistici e dei relativi strumenti di accesso. Non-dimeno, proprio perché sia l’ambito archivistico – inteso anche nelle sue vicende storiche – sia il riferimento agli enti produttori e conservatori erano dati ne-cessari alla formulazione di ipotesi di ricerca in ordine a una comprensione ge-nerale della geografia delle fonti, la soluzione più efficace ed economica è sem-brata quella di conformare l’organizzazione di questa edizione all’attuale “geografia” archivistica, cercando di fornire comunque anche i dati essenziali per la ricostruzione delle vicende generali dei singoli archivi e degli enti pro-duttori49.

3. Il Codice digitale degli archivi veronesi: contenuti attuali e possibili

conte-nuti futuri

Il Codice digitale degli archivi veronesi intende dunque mettere a dispo-sizione on line le riproduzioni della documentazione compresa tra VIII e XII secolo, prodotta da enti o famiglie veronesi. In questa fase iniziale, esso per-mette di consultare le riproduzioni delle serie pergamenacee conservate all’Archivio di Stato di Verona. In attesa – e nella speranza – di potervi comprendere le ri-produzioni della documentazione di altri archivi, è stata comunque realizzata una scheda per ciascun fondo prodotto da enti e persone di ambito veronese 45Se ne veda una rassegna in Brugnoli, Gardini, Fotografia digitale, beni archivistici e utenti. 46Archivio di Stato di Venezia, Progetto Divenire.

47Archivio di Stato di Firenze, Archivi digitalizzati: Mediceo avanti il Principato. Sul progetto si

vedano gli atti del convegno I Medici in rete.

48Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico pergamene (secc. VIII-XIV).

49Per bibliografia essenziale si intende appunto quella strettamente utile a comprendere le vicende

di formazione dell’archivio in relazione alla storia istituzionale dell’ente produttore e ai secoli VIII-XII. Per questo sarà inutile segnalare lacune relative ad altri ambiti – né tantomeno recriminare per queste –, in particolare per quanto attiene alle vicende materiali delle chiese.

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e contenente documentazione compresa entro il XII secolo50. Gli archivi

ven-gono illustrati attraverso brevi note sulle vicende istituzionali degli enti pro-duttori per quanto attiene ai riflessi propriamente archivistici, con rimandi agli strumenti di ricerca esistenti e alla bibliografia essenziale.

A queste schede sono subordinate quelle relative alle serie archivistiche in cui si trovano le unità comprese negli estremi cronologici del progetto, per le quali sono indicati gli elementi identificativi e i link alle riproduzioni. Per la con-sultazione viene riproposto l’ordinamento attuale di ciascun fondo: fanno ec-cezione i documenti trascritti nei registri del Clero intrinseco, dove si sono estra-polati quelli anteriori al XIII secolo e per i quali viene proposto un ordinamento cronologico. In ogni caso, di questi registri è messa a disposizione una tabella finale da cui è possibile accedere a tutte le carte nell’attuale ordine di rilegatura. Nel prossimo futuro, come si diceva, si auspica di poter allargare l’opera-zione di diffusione on line alle riproduzioni di altri archivi: in particolare al-l’Archivio Capitolare di Verona (di cui si è comunque già acquisita digitalmente tutta la documentazione per i secoli VIII-XI e per parte del XII) e agli archivi di San Giorgio in Braida e San Pietro in Castello nel Fondo Veneto I all’Archi-vio segreto vaticano, le cui riproduzioni digitali sono già in possesso del di-partimento TESIS.

Oltre ai documenti in originale o in copia semplice o autentica, l’intenzio-ne sarebbe anche quella di estendere il lavoro a quanto esistente l’intenzio-nelle diverse trascrizioni edite e inedite di età moderna, legate soprattutto all’attività di ri-cerca erudita. Tra le prime di particolare significato sono il Codex

diplomati-cus veronensis del canonico Gian Giacomo Dionisi51, le schede di Ludovico

Pe-rini relative alla storia di singole istituzioni religiose conservate nella Biblio-teca Civica (suddivise per ente)52e le Memorie istoriche del Capitolo

canoni-cale di Iacopo Muselli (per l’Archivio capitolare)53. Ma a queste trascrizioni se

ne possono aggiungere molte altre, come quelle del canonico Giovanni Batti-sta Bianchini oltre che di Scipione Maffei, di Adamo Fumano e altre sparse in diversi manoscritti conservati in particolare alla Biblioteca Capitolare54. Per

quan-to riguarda le edizioni a stampa, queste possono comprendere appendici do-cumentarie di particolare rilievo (come in alcune monografie di Gian Giacomo 50Risultano prive di riproduzioni fotografiche le sezioni dedicate all’Archivio del Capitolo dei

ca-nonici della cattedrale, ai fondi di San Giorgio in Braida e San Pietro in Castello dell’Archivio se-greto vaticano, e allo scomparso archivio privato Serego, di cui è rimasta solamente la trascrizio-ne effettuata da Carlo Cipolla e recentemente edita: Varanini, Archivi ritrovati. Non si è fatta una scheda per la documentazione del priorato di San Colombano di Bardolino, costituente una serie entro l’archivio del monastero di San Colombano di Bobbio da cui dipendeva, sebbene si tratti di documenti redatti in loco e concernenti i beni gardesani (ora all’Archivio di Stato di Torino ed edi-ti nelle Carte di San Colombano di Bardolino).

51Dionisi, Codex diplomaticus veronensis.

52Biblioteca Civica di Verona, Carteggi, bb. 22-27. Si veda Simeoni, Rapporti tra le opere di due

eruditi veronesi.

53Muselli, Memorie istoriche.

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Dionisi)55, singoli documenti all’interno di opere monografiche56o edizioni vere

e proprie. Si capisce bene come tali trascrizioni, edite e inedite, siano impor-tanti per la segnalazione di documenti scomparsi o per le integrazioni nella let-tura di quelli ora in parte o del tutto illeggibili. L’inserimento di tali testimoni entro la struttura del Codice presenta altresì molte difficoltà, legate in particolare alle incertezze nell’attribuire parte dei documenti a uno specifico ente, che po-trebbero comunque essere risolte dedicandovi delle specifiche sezioni, even-tualmente collegate con le schede relative ai documenti originali.

A queste trascrizioni sarebbe auspicabile aggiungere anche alcuni strumenti di consultazione prodotti in occasione dei riordini archivistici, come il registro di riscontro di Alessandro Canobbio per le pergamene dell’Archivio capitola-re57(e sempre per questo gli schedari Turrini di corrispondenza tra collocazione

Canobbio e quella attuale) e le schede di regesto compilate da Gaetano Da Re per gli Antichi archivi veronesi, che coprono gran parte dei documenti anteriori al XII secolo presenti nell’Archivio di Stato di Verona58.

4. La struttura del Codice

Dai dati raccolti per una specifica ricerca trae dunque origine il Codice

di-gitale degli archivi veronesi; ma già nella sua struttura originaria esso è

sta-to pensasta-to per una possibile distribuzione in rete. La soluzione più pratica ed efficace di organizzazione per l’immediato è sembrata quella di rispettare fe-delmente la struttura dei singoli fondi archivistici, così come si presentano allo stato attuale. Si tratta di una “fotografia” che potrà in futuro essere implementata con la creazione di strumenti di interrogazione dinamica che permettano in-nanzitutto la restituzione dei complessi di documenti in relazione agli enti pro-duttori originari oltre che con il rimando – se non il collegamento – alle even-tuali edizioni esistenti. In questa direzione si potrà anche lavorare per un’in-tegrazione entro i progetti nazionali di digitalizzazione59, in particolare

nel-55In particolare: Dionisi, Apologetiche riflessioni; Dionisi, De due Uldarici; Dionisi, De duobus

episcopis; Dionisi, Dell’origine e dei progressi della zecca.

56Si pensi al numero di documenti riportati, per esempio, nelle Notizie storiche delle chiese

ve-ronesi.

57Canobbio, Registro dell’Archivio capitolare.

58Sono esclusi dai regesti Da Re, di fatto, solo i documenti pervenuti all’Archivio di Stato di

Ve-rona da Venezia nel 1964 e qualche altro fondo minore acquisito in tempi recenti (per esempio Car-tolari e Dionisi-Piomarta). Sull’opera di Gaetano Da Re si rimanda a Simeoni, Gaetano Da Re.

59Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Direzione generale per gli archivi,

Isti-tuto Centrale per gli Archivi, SAN Sistema archivistico nazionale; Ministero dei beni e delle atti-vità culturali e del turismo, SIUSA. Sistema informativo unificato per le Soprintendenze

archi-vistiche; Ministero dei beni e e attività culturali, Direzione Generale per gli Archivi, Istituto

Cen-trale per gli Archivi, SIAS. Sistema informativo degli Archivi di Stato. Si veda la recente panora-mica in Strumenti di ricerca per gli archivi e in particolare la sintesi di Ciddio, Taglioli, Di Tota,

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l’affinamento di quanto debba rispondere a precisi standard60, mentre allo

sta-to attuale la struttura è definita dai limiti connaturati all’originaria destinazione del lavoro, a cui è stato informato sia l’arbitrario intervallo cronologico sia il livello di descrizione degli archivi e degli enti produttori.

In calce a ciascuna unità archivistica sono riportati alcuni elementi iden-tificativi. Si precisa che tali dati hanno appunto questa mera finalità, riferibi-li – nell’ordine – a eventuariferibi-li edizioni affermate, a strumenti di consultazione degli stessi archivi, ad attergati e, in assenza di questi, agli elementi contenu-ti nel documento stesso; nel caso di discrepanze tra i dacontenu-ti queste sono segna-late nel campo delle note. Gli elementi identificativi sono: Data cronica;

No-taio; Copia (nel caso non si tratti dell’originale, con indicazione del notaio

co-pista e/o della data o secolo in cui è stata realizzata); Antica collocazione;

Prin-cipali edizioni o trascrizioni; Note. Grazie a tali dati sono possibili già ora

ef-ficaci ricerche attraverso la casella posta in alto a destra dell’intestazione. Per i dettagli si rimanda alla pagina della Guida alla consultazione e ricerca.

A eccezione di alcuni tra i già menzionati fondi che sono pervenuti all’Ar-chivio di Stato di Verona negli anni Sessanta del secolo scorso61(e con alcune

particolarità per l’Archivio del Capitolo dei canonici), le serie pergamenacee sono solitamente organizzate per ordine cronologico a cui corrisponde una nume-razione progressiva. È un modello realizzato per il Veronese tra XIX e XX se-colo nell’ambito degli Antichi archivi veronesi annessi alla Biblioteca Civica di Verona sotto la guida di Antonio Bertoldi – ma per mano di Gaetano Da Re – e poi di Vittorio Fainelli62. Talvolta entro lo stesso fondo può essere distinta

dal-la serie delle pergamene queldal-la riservata ai diplomi e in qualche caso vi sono anche alcune appendici (denominate Pergamene appendice; Pergamene

ap-pendice* e similari), talvolta di una certa consistenza. Non è però chiaro

qua-le sia la ragione di queste appendici: se siano state create in fase di riordino per la collocazione di pergamene identificate in un secondo momento o se riman-dino a originarie suddivisioni interne. È da tenere presente che gli inventari dei fondi provenienti dagli Antichi archivi veronesi sembrano essere stati in par-te realizzati, nel momento di passaggio all’Archivio di Stato, non su un riscontro diretto della documentazione ma attraverso alcuni strumenti prodotti in que-sta sede tra XIX e XX secolo. Si tratta però di strumenti che erano volti spes-so a identificare gli atti documentati a fini di ricerca storica e non le unità do-cumentarie (le singole pergamene, nel nostro caso). Questo comporta che, nel trasferimento di questi dati agli inventari, possano essere stati assegnati più nu-meri a una medesima pergamena (in quanto contenente più atti) o, al contra-rio, che a uno stesso numero possano corrispondere più pergamene perché con-tenenti copie di un medesimo atto.

60International Council on Archives, ISAD(G); International Council on Archives, ISAAR (CPF);

International Council on Archives, ISDIAH.

61Per una visione d’insieme dei fondi si rimanda a Archivio di Stato di Verona. 62Bertoldi, Gli antichi archivi veronesi; Fainelli, Gli «Antichi archivi veronesi».

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Anche il riordino dell’Archivio capitolare effettuato tra il 1922 e il 1939 da monsignor Giuseppe Turrini risponde a questo modello di ordinamento cro-nologico63. Qui le pergamene sono però anche distinte approssimativamente

in base alle dimensioni: dalla maggiore (I) alla minore (III) a cui segue quella dei Privilegi – in originale (P). Entro queste sottoserie, le pergamene sono col-locate in buste disposte su cartoni raggruppati per cartelle, cosicché esse sono identificate per formato, cartella, carta (recto e verso). Poiché sulla stessa car-ta possono essere disposte più pergamene, non risulcar-ta possibile un’identifica-zione univoca. Nel Codice si è preferito così aggiungere all’identificaun’identifica-zione usua-le un’ulteriore numerazione che segue l’ordine della collocazione delusua-le perga-mene nella singola carta (da destra a sinistra e dall’alto in basso).

A una numerazione progressiva in ordine cronologico si riferisce pure l’or-dinamento dei fondi archivistici di San Giorgio in Braida e San Pietro in Castello nel Fondo Veneto I all’Archivio Segreto Vaticano, seppure sia presente un’u-nica numerazione che comprende entrambi; a questa ne è stata aggiunta una seconda specifica per ciascun fondo all’inizio del XX secolo da monsignor Pio Cenci nell’ambito di un generale riordino64. Anche se il termine di

riferimen-to più usuale è rimasriferimen-to il primo, per chiarezza si è prefeririferimen-to nel Codice fornire indicazioni utili a distinguere i due ambiti.

Differiscono da questo modello di ordinamento gli archivi di San Nazaro e Celso e di San Leonardo, giunti a Verona solo recentemente65. Entrambi

con-servano la struttura data in età moderna secondo un ordine topografico (con alcune serie speciali, relative all’organizzazione interna dell’istituzione religiosa) e subordinatamente cronologico. Al primo di questi archivi è stata successivamente applicata, peraltro senza che si sia messo mano all’organizzazione interna ori-ginaria, una numerazione progressiva generale alla quale si fa ora riferimen-to, dal momento che su questa sono basati gli strumenti di ricerca esistenti. Nel caso dell’archivio di San Leonardo le pergamene sono invece ancora identifi-cate per località di pertinenza e all’interno di questa attraverso una numera-zione progressiva che segue l’ordine cronologico (sebbene siano spesso citate in riferimento alla numerazione delle buste).

Il modello di ordinamento dell’archivio di San Leonardo in Monte è prece-dente a quello che risulta prevalentemente in uso a Verona ed elaborato da Ales-sandro Canobbio nella seconda metà del XVI secolo. Secondo quest’ultimo me-todo la documentazione è suddivisa per armadio, calto (cassetto), mazzo e nu-mero, mentre il loro reperimento è affidato a strumenti di consultazione, solita-mente organizzati per ambiti topografici, in ragione degli obiettivi di controllo pa-trimoniale che stavano alla base di tali ordinamenti. Si tratta di uno schema che 63Zivelonghi, Strumenti e spunti di ricerca; le vicende del riordino sono descritte in Turrini, Diari. 64Cenci, L’archivio della Cancelleria della Nunziatura Veneta.

65Quest’ultimo era stato ordinato verosimilmente prima della soppressione dell’ente da tale

pa-dre Bonifacio: Repertorius scripturarum monasterii Sancti Leonardi Verone, in Archivio di Sta-to di Verona, San Leonardo in Monte, Registri, b. 4, n. 30.

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non è comunque più presente in alcun fondo veronese, obliterato dai successivi riordini su base cronologica; ne rimane solo traccia negli attergati contraddistinti dalle indicazioni di C(alto), M(azzo) e R(otolo), N(umer)o o P(ergamena). 5. Documenti, archivi, metafonti: il Codice digitale degli Archivi veronesi

nel-la transizione delle pratiche dalnel-la tradizione alnel-la condivisione on line

Un accenno deve comunque essere dedicato alla collocazione del Codice

di-gitale degli archivi veronesi nel panorama della digitalizzazione delle fonti

sto-riche e soprattutto in relazione al dibattito che a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso ha accompagnato la transizione dai tradizionali mezzi di edi-zione e distribuedi-zione.

Nel pieno di questa sfida, Andrea Zorzi si interrogava se tramite la selezione delle fonti e l’attribuzione di nuovi valori informativi non si sarebbero creati dei nuovi oggetti – indicati con un termine ripreso da Jean-Philippe Genet come “metafonti” – e prefigurando di conseguenza complessi mutamenti delle pra-tiche e dei linguaggi della ricerca66. Nello stesso momento, Stefano Vitali segnalava

anche quanto la disponibilità di fonti in rete e soprattutto i criteri con cui sa-rebbero state selezionate avsa-rebbero inciso sulle stesse direzioni della ricerca67.

Si prefigurava, dunque, un passaggio che non sarebbe stato neutrale, sul qua-le gli stessi autori sono poi tornati a un decennio di distanza, con conferme e parziali correzioni di prospettiva, anche a fronte di ulteriori innovazioni, legate in particolare alle potenzialità di collaborazione in rete68.

A partire da queste osservazioni si possono dunque illustrare alcune que-stioni di metodo che si sono valutate nella realizzazione del Codice digitale

de-gli archivi veronesi, anche se le stesse non sono state necessariamente

risol-te: non ci si nasconde che l’approccio è stato eminentemente dettato da una di-mensione di ricerca storica, non certo di pratica e teoria dell’archivistica. Esse attengono in particolare a tre nuclei: la selezione delle fonti, il collegamento tra le singole fonti e la relazione o l’integrazione con analoghe iniziative.

Nei progetti di digitalizzazione dei documenti d’archivio, il peso delle pra-tiche di selezione è stato sicuramente rilevante. Da un lato si è guardato ini-66Zorzi, Documenti, archivi digitali, metafonti; si veda anche Il documento immateriale. Di

par-ticolare rilevanza, in questo frangente, l’adozione di modelli “source oriented” rispetto ai più tra-dizionali “model oriented”, le cui migliori applicazioni hanno permesso di traghettare nel digita-le sia il patrimonio di tecniche e metodi della diplomatica e della filologia sia di rimanere anco-rati al documento e al suo contesto: si vedano le considerazioni espresse nel corso di un decennio: Ansani, Diplomatica (e diplomatisti) nell’arena digitale; Ansani, Edizione digitale di fonti

di-plomatiche; Ansani, Ghignoli, Testi digitali. Il rimando è poi ovviamente al Codice diplomatico della Lombardia digitale.

67Vitali, Passato digitale, in particolare pp. 69-83. Si vedano anche le considerazioni di Delle

Don-ne, Le fonti digitali e le pratiche della ricerca.

68Zorzi, Conclusioni; Vitali, Vent'anni dopo; A. Zorzi, Due o tre cose che so su di lui. 69La riproduzione dei documenti d’archivio.

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zialmente soprattutto alle necessità di tutela e conservazione, indirizzando i pro-getti verso le serie di documenti più fragili o sogpro-getti a più frequente consul-tazione, in particolare mappe e disegni, in prosecuzione – attraverso una tran-sizione comunque non priva di dubbi e resistenze69– della più tradizionale

mi-crofilmatura70; dall’altro ha pure trovato accoglienza un’impostazione – non

esen-te da ragioni di impatto mediatico – legata a finalità divulgative, promoziona-li o intese a coltivare diverse forme di memoria legata a identità locapromoziona-li o regio-nali71. Nel complesso una situazione che appare distante dalle necessità della

ricerca storica, che necessiterebbe invece di una qualche sistematicità che si ri-trova in ogni caso in alcune illuminate realizzazioni72. Per un apparente

para-dosso, proprio le necessità di una specifica ricerca hanno dunque condotto il

Codice digitale degli archivi veronesi nella direzione di questa sistematicità

nel-l’ambito di un territorio omogeneo, seppure allo stato attuale dell’edizione non sia stato possibile rendere disponibile integralmente quanto predisposto.

Il secondo punto, legato al rischio della decontestualizzazione dei documenti nelle edizioni digitali, generata anche dal superamento della necessaria linea-rità delle pubblicazioni tradizionali, appariva una decina d’anni fa evidente, nono-stante le possibilità offerte dagli strumenti informatici di connettere informa-zioni disseminate73. Ma, forse, la strada migliore nelle politiche di

digitalizza-zione finalizzate alla ricerca potrebbe proprio risultare il ritorno a contenitori “tradizionali”, legati appunto alla dimensione specifica dell’archivio, e dunque in riferimento all’ente generatore dei documenti, la cui centralità può essere an-cor più messa in evidenza74. Per le singole unità, possono poi essere inserite a

livello descrittivo quelle informazioni da cui eventualmente poter estrarre se-lezioni di dati finalizzate a specifici progetti di ricerca, oltreché per usi didat-tici o divulgativi, tramite finding aids systems.

Di tutte queste potenzialità, però, rimane il dubbio sulla reale efficacia – misurabile in termini di effettivo utilizzo da parte degli storici – di sistemi “mo-del oriented”, tanto più che i dati sono in ogni caso definiti, selezionati e interpretati da terzi esterni alla ricerca; ancor più perché spesso manca un effettivo riferi-mento ai termini di copertura – soprattutto per quanto attiene ai criteri di in-clusione/esclusione, per lo più basati semplicemente su quanto disponibile – 70Se ne veda una rassegna in Brugnoli, Gardini, Fotografia digitale, beni archivistici, pp. 230-237. 71Vitali, Passato digitale, pp. 97-99; si vadano anche i contributi in Strumenti di ricerca per gli

archivi. Come esempio si può citare l’Archivio Storico Multimediale del Mediterraneo

(Ministe-ro per i Beni e le Attività Culturali, Archivio Storico Multimediale del Mediterraneo), tra i cui obiet-tivi sono indicati quelli di «allargare al pubblico del WEB […] il tradizionale bacino di utenza de-gli Archivi assai ristretto e specialistico» e «di svolgere un’efficace azione sia di tutela che di va-lorizzazione del patrimonio archivistico».

72In questo senso sono da citare, per stare al periodo medievale, il Diplomatico dell’Archivio di

Sta-to di Firenze (Archivio di StaSta-to di Firenze, Diplomatico pergamene (secc. VIII-XIV)) e le serie del-l’Archivio di Stato di Venezia (Archivio di Stato di Venezia, Progetto Divenire).

73Hude, Urkunden im Internet. 74Vitali, Passato digitale, pp. 76-77. 75Zorzi, Documenti, archivi digitali.

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di questi data base. Per questo nel Codice digitale degli archivi veronesi si è inteso dare priorità a soddisfare la condizione di rispetto dell’attuale contesto archivistico e attraverso questo degli enti produttori: del resto nessuna ricer-ca può esimersi da quest’analisi della geografia delle fonti. Limitate possibili-tà di ricerca tra i documenti sono comunque possibili per alcuni elementi es-senziali (una precisa data cronica, un notaio, alcune categorie documentali), gra-zie alle schede identificative delle singole unità.

Infine, quanto ai rapporti con altre iniziative, ancora Andrea Zorzi prefigu-rava come la costruzione di archivi digitali potesse essere operata non solo da-gli enti di conservazione (per finalità appunto di tutela o per sviluppare nuovi servizi), ma anche da singoli o gruppi di studiosi, con finalità legate immedia-tamente a progetti di ricerca75. Si tratta di una costruzione “bottom up”, nella

qua-le sicuramente il Codice digitaqua-le degli archivi veronesi può essere inquadrato, alla luce del resto di quanto previsto dal Codice dei beni culturali relativamen-te alla realizzazione di ricerche, studi ed altre attività conoscitive e di diffusio-ne e promoziodiffusio-ne del patrimonio culturale in collaboraziodiffusio-ne tra enti pubblici e privati76. Pur consapevoli dei limiti che il progetto del Codice possa avere nella

costruzione o nell’integrazione di più ampi programmi, nondimeno si auspica che altri progetti simili possano emergere, superando in questo senso anche le remore – ma invero rivolte alla forma del saggio, più che a eventuali strumen-ti di ricerca – che giustamente Giuseppe Sergi esprimeva a proposito della dif-fusione on line di materiali preparatori della ricerca: «Io non credo molto nei testi provvisori […], i “materiali grigi” […]. E se il materiale grigio è invece ste-sura provvisoria (sciatta nella forma perché l’autore si proponeva essenzialmente di fissare idee), a mio giudizio meno va in rete meglio è»77.

Detto questo, forse molto più semplicemente il Codice digitale degli

archi-vi veronesi nasce dalle numerose richieste che sono giunte, fin dalle prime fasi

di formazione dell’archivio fotografico, di poter avere a disposizione questo ma-teriale e dall’impossibilità, stante le norme sulle riproduzioni dei beni cultura-li78– nonché, molto onestamente, per alcune remore circa l’effettiva tutela del

diritto d’autore perlomeno sotto il profilo morale –, di farlo circolare tra gli stu-diosi. Il superamento di molteplici difficoltà non tanto sul piano tecnico quan-to procedurale – sono molti i “nonostante” che andrebbero indicati assieme ai ringraziamenti: se ne può comunque cogliere qualcuno attraverso le discrasie tra contenuti e sedi ospitanti – porta ora a mettere questo strumento a dispo-sizione degli studiosi e a sottoporlo alle loro osservazioni e critiche: si dichiara fin d’ora la piena disponibilità ad accogliere ciascuna di queste assieme alle pro-poste di concreta collaborazione a cui sicuramente si accompagneranno. 76D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 118 -119.

77Sergi, La saggistica e le forme del testo.

78Si rimanda sempre a Brugnoli, Gardini, Fotografia digitale, beni archivistici e agli appelli per

una modifica del codice dei beni culturali per quanto attiene alla riproduzione di beni culturali: Brugnoli, Gardini, Riproduzione di beni culturali.

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6. Le risorse del Codice

È opportuno a questo punto illustrare brevemente attraverso quali risor-se si sia giunti all’attuale risultato e come si auspichi di raggiungere quelli in sospeso.

Si deve innanzitutto chiarire che sono da tenere presenti due ordini di fat-tori: uno relativo all’accesso alla documentazione e ai permessi di riproduzio-ne e diffusioriproduzio-ne, l’altro relativo alla realizzazioriproduzio-ne delle riproduzioni, alla strut-turazione del sito e all’organizzazione dei dati per renderli disponibili on line. Riguardo al primo aspetto, la possibilità di effettuare riproduzioni all’Ar-chivio di Stato di Verona è stata concessa grazie al riconoscimento al proget-to iniziale da parte della Direzione, nella persona della dotproget-toressa Anproget-tonietta Folchi, del carattere di scientificità e dei vantaggi che ne sarebbero derivati per la ricerca e per la stessa conservazione dei documenti; alla successiva conces-sione alla diffuconces-sione on line si è quindi giunti, come si è già detto, grazie a un’ap-posita convenzione tra l’Archivio di Stato di Verona, Reti Medievali e il Di-partimento TESIS, arrivata a buon fine grazie anche all’opera di mediazione del professor Gian Maria Varanini. Si deve però ricordare come la realizzazione del-le riproduzioni non avrebbe potuto aver luogo se per primo non avesse credu-to alla validità del progetcredu-to, sostenendolo anche in molti aspetti pratici, il fun-zionario dell’archivio Isidoro Trombin. Per l’Archivio capitolare le riproduzioni sono state autorizzate dall’allora bibliotecario, monsignor Giuseppe Zivelon-ghi; si auspica di poter qui completare la campagna fotografica per il XII se-colo e di poter poi mettere on line il tutto.

La realizzazione delle riproduzioni e la successiva elaborazione e organizza-zione dell’archivio fotografico sono state effettuate da chi scrive con mezzi propri. Il server su cui è stato strutturato il Codice è stato acquistato dal diparti-mento TESIS con i fondi di ricerca del professor Gian Maria Varanini e collo-cato presso la Biblioteca Meneghetti della stessa Università, grazie alla dispo-nibilità del direttore, il dottor Fabrizio Bertoli.

La predisposizione del server, l’installazione dei programmi e il loro ag-giornamento (nonché la fondamentale assistenza) sono stati curati da Rober-to Pasini. Il sistema operativo e tutti i programmi utilizzati sono open source: questo sia per una precisa scelta di principio sia perché questo ha permesso di contenere i costi del progetto, limitati al solo acquisto della macchina utilizzata come server.

La strutturazione del sito, l’organizzazione dei dati, la rielaborazione del-le immagini per renderdel-le compatibili con il programma di visualizzazione (II-PImage) sono state realizzate sempre da chi scrive a titolo gratuito nell’ambi-to della sua attività di ricerca svolta entro il Centro di Documentazione per la Storia della Valpolicella, a seguito di una specifica convenzione con il diparti-mento TESIS.

Per il dettaglio delle responsabilità nella realizzazione del CDAVr si rimanda alla pagina dei Crediti.

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Dati tecnici

Le riproduzioni sono state effettuate con una Nikon D100 con obiettivo Nikon 18-35D e uno stativo da riproduzione IFF con 4 portalampade. Per evitare il riscaldamento che caratterizza le tradizionali lampade utilizzate nelle riproduzione di documenti, si sono montate delle semplici lampade da 100W opaline, tarando il bianco sulla fotocamera. Per assicurare la planarità delle pergamene (in gran parte in rotolo, a eccezione di quel-le dell’Archivio capitolare, che sono tutte spianate), si è utilizzata una cornice con la-stra flessibile in plexiglass, avendo cura di tenere un’illuminazione radente per evitare riflessi delle lampade; questo può aver determinato una certa evidenziazione della su-perficie della pergamena, senza che ne sia però limitata la leggibilità. Una non perfet-ta calibrazione del colore in parte delle immagini è comunque possibile, non avendo po-tuto lavorare in condizioni stabili né ottimali quanto all’assenza di sorgenti luminose esterne.

Le successive elaborazioni per ricavarne i file in formato .tiff piramidale sono sta-te effettuasta-te con VIPS79, lanciando la seguente linea di comando: vips im_vips2tiff

<sour-ce_image> <output_image.tif>:none,tile:256x256,pyramid.

Su richiesta dell’Archivio di Stato di Verona, inserita anche nella convenzione, le immagini presentano la filigrana “Archivio di Stato di Verona”, realizzata, sempre su in-dicazione dell’Archivio, con Watermark Image80. Si è fatto in modo, in ogni caso, che

tale intervento non limitasse la leggibilità dei testi.

Il server in uso è un Intercomp Master-R2 con processore Intel C204 e doppio hard disk da 500 GB, su cui è stato installato il sistema operativo Linux Ubuntu Server 13.04.

Il programma per la gestione del sito è Joomla 3.2.

Per la visualizzazione delle immagini – anche per rispondere alle richieste dell’Archivio di Stato di Verona, non disponibile a consentire all’utente di scaricare le singole immagini – si è optato per IIPImage81, sistema client-server progettato per la visualizzazione

re-mota in streaming di immagini ad altissima risoluzione attraverso Internet. L’architettura del programma permette di visualizzare immagini pesanti anche attraverso una lenta connessione dial-up82. Il CDAVr per ora non sfrutta pienamente questa caratteristica,

dal momento che le immagini realizzate sono di medio peso (nel formato tiff pirami-dale circa una ventina di mp ciascuna), essendo originate da una fotocamera da 6.1 mp. Dati tali limiti della fotocomera (ma al momento della realizzazione della campagna era uno standard alto, comunque superiore ai 5 mp indicati come ottimali dall’Amministrazione archivistica)83si è avuta l’avvertenza in sede di ripresa di fare in modo che, rispetto alla

dimensione reale dell’oggetto fotografato, la risoluzione fosse comunque di 300 dpi (ap-prossimativamente dunque 20x30 cm a 300 dpi), fotografando pergamene di dimen-sioni maggiori anche per singole porzioni. La condizione ideale sarebbe stata a quel pun-to quella di unire tali porzioni tramite specifici software, ottenendo così dei file di

ade-80TSR Software, TSR Watermark Image. 81Pillay, IIPImage.

82Si veda la sintesi in Pitzalis, Pillay, Il sistema IIPImage.

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guata risoluzione, la cui grande dimensione sarebbe stata comunque supportabile da IIPImage. L’onerosità dell’operazione ha però suggerito – per ora – di caricare sul ser-ver le immagini originali: solitamente un’immagine complessiva della pergamena a cui seguono quelle per singole porzioni.

Crediti

Codice digitale degli archivi Veronesi (VIII-XII secolo), a cura di Andrea Brugno-li, Verona 2014-.

Testi (Presentazione; Sigle archivistiche e bibliografia; Guida alla consultazione e ricerca); schede descrittive dei singoli archivi; schede identificative e note ai documenti; selezione delle fonti, riproduzioni ed elaborazioni fotografiche; impostazione e orga-nizzazione editoriale del sito: Andrea Brugnoli.

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G.G. Dionisi, Codex diplomaticus veronensis, seu vetera quae in veronensis ecclesiae capitulo ut

ubique per vetera habentur anecdota eaque selectiora diplomata ac monimenta per centu-rias distributa…, in Archivio di Stato di Verona, Dionisi Piomarta, bb. 1542-1543.

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G.G. Dionisi, De duobus episcopis Aldone et Notingo veronensis ecclesiae assertis et vindicatis

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