Repubblicanesimo
Bene comune (volontà generale), virtù civica e
libertà come non-dominio
Componenti storiche
È dapprima nella storiografia negli Stati Uniti che si realizza una rilettura di motivi repubblicani alle radici della cultura politica americana. John Pocock (Momento
machiavelliano) offre un’interpretazione d’insieme della cultura politica
anglo-americana della prima modernità come sviluppo dell’umanesimo civile repubblicano elaborato nell’Italia rinascimentale.
La scuola di Cambridge, e specialmente i lavori di Quentin Skinner hanno delineato il lungo arco delle idee e pratiche repubblicane dal tardo
Medioevo/Rinascimento all’età contemporanea: i Comuni e le città-stato italiane, la Rivoluzione americana, la Rivoluzione francese.
Due radici del repubblicanesimo
(1) Pocock, attraverso i secoli e i continenti, ricollocava al centro della storia del pensiero politico il linguaggio repubblicano del bene comune, della partecipazione politica, della virtù civica e della corruzione e lo faceva risalire alla radice
aristotelica dello zòon politikòn.
(2) La ricerca di Skinner sui fondamenti del pensiero politico moderno vedeva
invece il pensiero repubblicano condensarsi intorno a una concezione della libertà politica debitrice della romana libertas.
Res publica, secondo la definizione ciceroniana, è ‘cosa del popolo’, inteso
quest’ultimo non come mero aggregato di individui ma come associazione fondata sul diritto e sulla comunanza di interessi.
Costituzionalismo e critica dell’interpretazione liberale
Nel campo della dottrina costituzionale americana, tematiche repubblicane sono state invocate di fronte all’insoddisfazione per una lettura della costituzione come insieme di regole finalizzate alla limitazione del potere, alla regolazione di gruppi di interesse in competizione e alla protezione dei diritti individuali.
Autori come Cass Sunstein e Frank Michelman hanno invece insistito sul ruolo storico della costituzione come cornice per l’autogoverno collettivo, con al centro non tanto la mediazione tra interessi privati ma piuttosto l’impegno a deliberare sui beni comuni.
La corrente neo-atienese del repubblicanesimo
La corrente neo-ateniese si rifà alla vita activa di Hannah Arendt (vedi anche
Pocock) che vede nella partecipazione politica un bene intrinseco in quanto parte costitutiva dell’eudaimonia.
L’accento viene posto sulla formazione di un certo tipo di carattere (virtù civica) capace di esercitare le qualità idonee all’autogoverno democratico (M. Sandel). La desiderabilità della virtù civica viene fondata sul suo essere elemento della vita buona a giustificarne così l’attiva promozione da parte dell’azione dello stato.
L’obiettivo polemico resta sempre il liberalismo neutralista incapace di mettere capo a una concezione robusta di cittadinanza.
La corrente neo-romana del repubblicanesimo
La versione neo-romana, nella linea Skinner-Pettit, diffida il modello ateniese come troppo instabile per carenza di argini alla partecipazione e per prestare troppo poco attenzione agli elementi costituzionali che salvaguardano contro i pericoli delle fazioni, della demagogia, della tirannia.
Partecipazione e virtù civica restano di somma importanza, ma non come fini in sé, piuttosto come baluardo a protezione della libertà dei cittadini.
I repubblicani difendono una concezione negativa della libertà il cui nucleo centrale viene però visto non già nella non-interferenza, come nella tradizione liberale da Bentham a Berlin, ma nella sicurezza che nell’esercizio delle proprie occupazioni non si sarà alla mercé dell’arbitrio altrui.
Libertà come non-dominio
La libertà repubblicana come non-dominio: si è liberi quando non si è soggetti alla possibilità di interferenza arbitraria – dominio – da parte di altri.
Il non-dominio viene differenziato dalla non-interferenza in due modi distinti: (1) Si può essere soggetti a dominio senza essere soggetti a interferenza (es. schiavitù e padrone benevole). La diseguaglianza di potere si pone come
principale obiettivo critico della visione politica repubblicana.
(2) Ci sono interferenze non arbitrarie che non configurano una situazione di dominio e dunque risultano compatibili con la libertà repubblicana (la legge).
Rapporto tra libertà e legge
Se libertas è civitas, la condizione di cittadinanza impone di vedere nelle
leggi – quanto meno in quelle «ben congegnate», secondo l’espressione
di Pettit – un elemento costitutivo della libertà dei cittadini.
Alle autorità legittime viene riconosciuto il diritto e la possibilità di
interferire solo nel caso in cui perseguano gli interessi comuni dei cittadini
e solo nel caso in cui li perseguano conformemente alle opinioni diffuse
tra la cittadinanza.
Governo repubblicano
Il governo repubblicana avrà come scopo quello di massimizzare la libertà come non-dominio.
Sul piano costituzionale questo istituisce un modello di democrazia che guarda più alla deliberazione e alla contestazione che al consenso:
(1) per essere aperto alla contestazione il processo decisionale dovrà avere carattere deliberativo, perché ciascuno abbia facoltà di prendere parola; (2) in caso di contestazione le voci dissenzienti devono avere canali di espressione adeguati (parlamenti, corti di giustizia);
(3) la comunità politica dovrà essere ricettiva alle eventuali contestazioni
(movimenti sociali o commissioni di studio), in modo da assicurare ai dissenzienti una credibile considerazione delle loro proteste.
Libertà di non-dominio tra libertà negativa e positiva
Da un lato, la libertà repubblicana va al di là della concezione meramente negativa della libertà come non interferenza poiché istituisce una connessione interna tra libertà e una forma di governo (la repubblica) mentre, dall’altro, tiene le distanze dall’ idea di libertà positiva dal momento che le componenti di partecipazione virtuosa, autorealizzazione etc. restano strumentali alla promozione della libertà. E poiché a quest’ultima non vengono prescritti fini particolari da realizzare (vita buona), viene sottratto lo spazio per le conseguenze oppressive paventate da Isaiah Berlin (“Due concetti di libertà”).
Obbiezioni alla libertà come non-dominio
(1) Da parte liberale si è insistito fin dall’inizio sul carattere non del tutto a-valutativo della libertà come non dominio, laddove introducendo l’idea di
interferenza non arbitraria si farebbe appello a una nozione di ‘interesse comune’ moralmente qualificata.
(2) La tesi repubblicana della irriducibilità di dominio a interferenza non è corretta, visto che una volta che nella libertà negativa di un individuo siano considerati non solo i vincoli sulle azioni ma anche quelli sulla congiunzione di azioni, il
controesempio repubblicano (schiavo e padrone benevole) non regge:
quella persona è meno libera, in senso negativo, perché non può scegliere di compiere l’azione x e non compiere l’azione y (ossequio al padrone).
Due caratteristiche del repubblicanesimo
(1) C’è un’enfasi sul potere e i suoi meccanismi che non è presente nel paradigma liberale standard.
(2) Gli autori repubblicani esibiscono un legame profondo tra storia e contesto da una parte e filosofia politica normativa, legame che in maniera così esplicita non è mai richiamato dagli autori liberali.
La difesa repubblicana della libertà nasce infatti dall’enfatizzazione di assunzioni anche inconsce che gli individui normalmente fanno proprie in contesti determinati che specificano la natura del potere nel tempo storico (dove e come si esercita il dominio).
Originalità del repubblicanesimo rispetto al liberalismo
Prima tesi: A prima vista, l’opposizione tra repubblicanesimo e liberalismo è sulla concezione di libertà.
Obbiezione: Il liberalismo di Rawls, Dworkin e Nagel non può essere ridotto alla libertà negativa, anche se pensatori liberali come Constant, Berlin e Hayek
effettivamente difendono la libertà negativa.
Seconda tesi: La concezione, tipica del repubblicanesimo, della libertà come
assenza di dominio non può essere scissa dall’idea di virtuosa partecipazione alla vita pubblica.
Questa tesi coglie una vera debolezza del liberalismo che ha una visione privatistica, strumentale e difensiva della politica.
La critica di fondo del repubblicanesimo
Fonte dell’autorità politica:
Per il liberale, l’autorità riposa sulla teoria normativa, e sulla capacità di quest’ultima di dare buone ragioni a favore di un’opzione politica.
Per il pensatore repubblicano, invece, l’autorità poggia sul percorso attraverso il quale noi otteniamo alcuni risultati politici.
Tesi: La strategia è di dimostrare che il repubblicanesimo procedurale non può far di meno dell’argomento sostanzioso del liberalismo per cui l’autorità riposa in
ultima analisi sulla teoria normativa, e sulla capacità di quest’ultima di dare buone ragioni a favore di un’opzione politica.
Il repubblicanesimo di Cass Sunstein
I quattro princìpi-base di Sunstein sono i seguenti: (1) deliberazione pubblica basata sulla “virtù civile”; (2) eguaglianza degli attori politici;
(3) universalismo della ragion pratica;
(4) cittadinanza imperniata attorno a un insieme di diritti-doveri di partecipazione. I tre primi punti sono compatibili con il liberalismo. La deliberazione, con lo scopo di superare le preferenze private in nome della virtù civica, è un dialogo qualificato e protetto da regole conversazionali che a loro volta traggono origine dal
paradigma liberale.
La concezione di virtù pubblica unitaria sta invece in contrasto con il pluralismo liberale.
Il repubblicanesimo di Frank Michelman
Il teorema di impossibilità: è impossibile congiungere nello stesso paradigma l’assioma di base del repubblicanesimo, e cioè l’enfasi sulla deliberazione e la partecipazione, con l‘idea stessa di giustezza.
Una deliberazione significativa implica chiama una «premessa trans-maggioritaria» e la democrazia deliberativa deve garantirla.
Obbiezione: (1) Per essere un progetto diverso da un progetto teleologico o da una versione di democrazia populista il processo deliberativo dipende da vincoli deontologici standard tipici del liberalismo filosofico. (2) Questi vincoli non
vengono giustificati attraverso procedure democratiche speciali, ma piuttosto da un consenso ideale basato su princìpi.
Il repubblicanesimo di Philip Pettit
La concezione repubblicana della libertà implica un aspetto negativo e uno positivo. L’aspetto negativo è legato all’idea di assenza di dominio, mentre quello positivo
all’esigenza – invero preoccupante agli occhi del liberale – di “civilizzare” la società, in accordo con un ideale di virtù civica.
Obbiezione: L’ideale repubblicano di virtù civica è parte di una visione “etica”, e non “morale”, della vita pubblica, e cioè connessa alla condivisione di forme di vita
peculiari. Ma così non è adatta come presupposto normativo per una società aperta e post-convenzionale.
Anche l’appello a singole tradizioni storiche in determinati contesti come la tradizione liberal-democratica è troppo localista e non considera la forza normativa di queste.
Extra rempublicam nulla justitia?
ll paradigma repubblicano ha con il tempo finito per fare propria una visione, compatibile con la teoria generale, di giustizia globale.
Gli ostacoli: (1) il repubblicanesimo è una teoria strettamente legata all’ambito dello stato-nazione; (2) il repubblicanesimo non è e non ha una teoria della giustizia economico-sociale.
Soluzioni: (1) Le idee di anti-potere e non-domination dipendono dal contesto storico che oggi è caratterizzato dalla globalizzazione. (2) Dalla non-dominazione si passa alla giustizia sociale attraverso le basi materiali del rispetto di sé e là
dove non sono presenti beni materiali indispensabili per preservare la dignità della persona.
Giustizia globale nel repubblicanesimo (1)
Pettit: Nell’ottica della non-domination i repubblicani difendono gli stati tutelandoli sia verso gli altri stati, sia verso le grandi compagnie transnazionali, le
organizzazioni internazionali (come la Banca Mondiale) e i gruppi eversivi.
Laborde: (1) Evitare lo “alien control in relevant choices” collegandola all’azione prevaricatrice delle nazioni ricche e potenti che condannano alla miseria quelle povere e deboli. (2) Sen: c’è corrispondenza tra mancanza di carestie e presenza di democrazie. (3) C’è un rapporto fondazionale tra non-dominazione e
capacitazioni. Gli individui deprivati dei loro funzionamenti essenziali sono potenziali soggetti di dominio.
Proposta politica: Necessità di garantire livelli minimi di capacitazioni a tutti gli umani.
Giustizia globale nel repubblicanesimo (2)
Bohman: Sostiene una versione repubblicana del cosmopolitismo. Tale versione è in contrasto con una visione thin di liberalismo dei diritti umani e con una
interpretazione statalista del repubblicanesimo. Ne risulta una forma di non-dominazione legata alla cittadinanza democratica transnazionale.
Deudley: Abbandona il cosmopolitismo liberale per accostarsi al suo competitor tradizionale, il realismo politico, da cui eredita il pessimismo politologico. Ma vuole farlo nell’ambito repubblicano, cioè basandosi su una visione normativa
antagonistica al dominio e fortemente democratica.
I pregi consistono nel legare la questione sulla povertà e le deprivazioni alla questione sul potere e il dominio.
Conclusione (1)
Anche se il repubblicanesimo coglie la mancanza di partecipazione e virtù nel
liberalismo, (1) non considera a sufficienza le differenze dall’antichità e soprattutto l’essere la nostra era caratterizzata dal “fatto del pluralismo”;
(2) non valuta abbastanza il fatto che i grandi regimi totalitari del nostro tempo hanno favorito e ottenuto una partecipazione di massa.
La critica al liberalismo basata sul procedura come contrapposto alla sostanza è nel complesso implausibile. La pratica della deliberazione è strumentale rispetto al fine normativo principale.
Conclusione (2): giustificazione/legittimazione
Attraverso la discussione del repubblicanesimo viene alla luce la relazione tra due concetti, legittimazione e giustificazione.
La nozione di giustificazione è tipicamente morale (stato di natura). La nozione di legittimazione, invece, è essenzialmente socio-politica (maggioranza).
Le nozioni di legittimazione e giustificazione in parte si sovrappongano, ma comunque possono essere distinti concettualmente – e nel repubblicanesimo questa distinzione viene di meno.
La tesi è infatti che la partecipazione e la deliberazione democratica hanno a che fare più con la legittimazione che con la giustificazione.