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Antropologia alpina. Gli apporti scientifici della scuola torinese

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22 July 2021

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Antropologia alpina. Gli apporti scientifici della scuola torinese

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Brigati Glauco

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LE ROCCE DELLA SCOPERTA

Mornenti e problerni di storia della scienza

nelle Alpi occidentali

CLUB ALPINO ITALIANO COMITATO SCIENTIFiCO

LIGURE-PIEMONTESE

BRIG,\TI GL,\UCO G e n o v a 2 0 0 9

(3)

I N D I C E ,

pag.

Introduzione VIi

Programma del Convegno XV

Saluto del Presidente Generale del CAI )

Daxrrlr Car Banno

Meteorologi-alpinisti: sroria e prospertive degli osservatori

d'alta quota 5

LoRsNzo BacNor-r

Qu,rndo non c'erano i satelliti. La cartografia alpina del

capitano Cossato 23

V,.rlrNrrNR PoncEr-laNa

Antropologia alpina. Gli apporti scientifici della scuola rorinese )9 EsRrco CaNl,qNNr

L'immagine delle Alpi: evoluzione di un mito 19 ENRrco DoNecasr

La ricerca medica sulle Alpi. Studi sull'acclimatazione all'altitudine 57 FaeRrzro Borrnllr

Pastori di anime, cacciatori di erbe: i religiosi studiosi di boranica 65 MtcHElr Morra e Lurct Morrn

Il ruolo dei massi erratici nella nascita della geomorfologia 79

CrusrraNo

Gronon

La montagna alpina come ambiente per la formazione. Il contributo della geografia per l'educazione allo sviluppo sostenibiie 9) Atti dei Convegni di studio del Comitato Scientifìco

Iigure-pien-rontese-valdostano e del Cornitato Scientifico

ligure-pien-rontese del CAI 101

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-VRLrrNttNa PoRcnLLaNa Università di Torino

ANTROPOLOGIA

ALPINA. GLI APPORTI

SCIENTIFICI

DE,LLA

SCUOLA

TORINESE,

Le regoie di un ambiente difficile come quello alpino hanno richiesto all'uomo, nel corso dei secoli, risposte adartive specifiche per porer gestire le risorse disponibili. Trovandosi in luoghi scarsamente plodutrivi, le co-munità più isolate hanno dor.rrto aprirsi all'esterno per trovare risposta ai propri bisogni, e non soltanto a quelli primari. Questa aperrura si è con-cretizzafa negli scambi e nell'emigrazione stagionale o temporanea, come scrive Paolo Sibilla: <<In area alpina, forse in misura più evidente che altro-ve, si realizzarono, nel lungo periodo, condizioni per le quali delle micro-aree situate a ridosso di opposti versanti furono protagoniste di scambi e contatti culturali continui. Al di là delle costruzioni identitarie, ciò fa rite-nere come sia impossibile sostenere che le singole comunità abbiano avuto origini autonome e definite, poiché alla base di queste formazioni c'è il rne-ticciato, la mescolanza, I'indefinirezza>> (SIBILLR, 2004, p. 15). Niente di più lontano, dunque, dall'idea di isolamento, "puîezza" e immobilità che trop-po a lungo, come vedremo, ha caratterízzato le rappresentazioni dell'am-biente alpino.

Gli abitanti della rnontagna sono trndati perfezionando I'equilibrio con il proprio ambiente naturale fino ad oggi, soprar,wivendo, come scrive Gio-vanni Kezich <<come per incanto anche all'awento della modernità, al boom economico dei fondovalle, allo spopolamento e, non ultimo, alla contesta-zione>> (Ktztcn, 1999, p. 25) .

Quando I'antropologia culturale, a ínizio Norrecento, si accorse delle Alpi, già da tempo viaggiatori, scrittori e píttori avevano "scoperro" questo ambiente dai tratti affascinanti e misteriosi. Le loro osservazioni, in cui spesso il pregiudizio si for-rdeva con I'immaginazione, si rivelarono un urile materiale per le successive riflessioni dell'antropologia e dell'ernologia.

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(]ucsti vieggi.rtoli. prrrallelanrente agli cspiolatori degli oceani e dei mondi e s o t i c i . i n d i v i d u z l ' a n o r ì e l " b u o n Ì r o n t a n a r o ' , l ' e q u i v a l e n t e e u r o p e o d e l "buon selvaggio'' che, sano e felice, incarnar,a la y-,urezza originaria con-tfilpposta ,rlla vita artificiale, srrodata e corrotta dell'uomo cittadino che si c r a a l l o n t a n a t o d a l l a n a t u r a ( V t , r z z o , 2 0 0 1 ).

Bisognzr attendere I:r seconda metà clel Nor,encento per tro\/ere i primi studi etnografici, scientifican'rentc fondati, cleclicati al mondo alpino che mettono in relazione i fattori traclizionali con le dinamiche del cambiarnen-to. I prirri tentativi antropologici di descrizione del mondo alpinc, presen-tano, però, le Alpi ancora come <<nlargínali rispetto al resto della società eu-ropea e ca.ratterizzate tla tlntti literruri "plimitivi". Le Alpi apparivano allo stesso teulpo vicine e renlote. e questa arnbigua collocazione spiega per:ché l'antropologia alpina si sia di colìseÉauenza trovata sin dai suoi inizi sospesd tra esotismo e domesticità" Jhl.l., p. 1(r8). Queste immagini discordanti del rnondo alpino, costruite da ossen'atori esterni, sono state nel tenrpo inre-ríorízzate clrrgli abitanti cliventando autorappresentazioni con conseguenze <li valia portata sia a livello iclentiario sia a lír,ello di sviluppo del territorio.

Il cosiddetto "l-.aradigpìa rg'isionista" chc libera le Alpi dall'etichetta di "nruseo ergologico". isolrrto e inrmobile dal punto c1i vista economico, sociaie e culturale. inizia a proclulre i suoi frutti in arrbito antropologico so-pratrutto ir parrire clagli anni ()tranta del Novecento. Nel 1989 Pier Paolo Yiazzo pubblica llplortd tttnttttunilies. Ilrtuirontrtent, pctpulattctn and socta/ slt'ttcÍ/trc in thc Alps sincc tltc sixtct'ntlt c('t7t//ry per la Cambridge Universitl' Press, tradotto l'anno successir,o in italiano con il titolo Comunttà olpínc. Atubicntc, pop()/0iiotl(', stt'uttura sc,cialc ttcllc A/pl dolX\/I seco/o ad oggi.Il voìunrc, cliventurto r-rn caposalclo clcgli studi di antropologia alpina e di de-mografìa storicur, è riconoscir-rto conlc un;ì sorta di nranifèsto del paradigma rer,isionista, che mette in discussione I'inrnragine delle società alpine come i s o l a t e . a r r e t r : , ì t e e a n a l i a b e r e ' .

Già tla gli anni Sessanta e Settanta alcuni str-rdiosi sociali avevano in-t r í ì p r e s o p i o n i e l i s in-t i c h e li c e l c h e i n a l e a a l p i n a . N e l 1 9 5 9 R o b e r in-t B u r n s Jr. pubblica il suo primo saggio su Saint-Véranl all'inizio degli anni Sessanta firic \\'olf è inpegnato nella Val di Non in una ricerca con.]ohn Cole che

I Si tin,e",l,r ell'r scc<,lcle cclizir,rc rlel r'<,lunrc (2()()l ). rivccìLrtir e antpliata cla Giuliana

c I)ic'r l)rok, \'i,rz't.<r. rrnchc Per le licc,i bibliogL.rfi,r chr ,li conto degli sturli rntropologici

rtpprrsi finc.,r cltrcl n.l(rrìrcnto. I riroli l cui si fa rilcrin'ent,, tn .lttcsro srrggiQ non possono che

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verrà pubblicata nel 197,{ (tradorra in italiano nel 199.1 a cura del Museo degii Usi e Costumi della Genre Trentina di San Michele all'Adige con il ti-tolo La frontìcra nascosta. Ecologia ed ctnicità frtr Trentíno a Sudtirolo).L'in-dagine, incentrata sui villaggi di Tret e St. Felix, è oggi considerata un clas-sico deil'antropologia alpina, anche per la lettura che gli autori fanno del concetto di comunità, aperto e modellato da forze esterne. Come scrive Giovanni Kezich: <Non è una presunta "cultura alpina" come dato unita-rio ad interessare in questa fase gli antropologi, ma è semmai proprio I'op-posto, o\^rero la capacirà di un medesimo arnbiente. in determinate circo-stanze storiche, di dare albergo a culture dir,erse - a lingue, tradizioni giu-r i d i c h e . t a l o r a r e l i c i o n i d i v e r s e - che ce ne resriruiscouo i r n m a g i n i a n t r o -pizzate anche ampiamente diversificate> (KezIcH, 1999, p.27).

Nel 1974 John Friedl dà alle stanpe il suo studio su Kippel (Kippel; a ChangingVilLtge it the Alps). menrre nel1915l'università di Berkeley pub-blica la monografia di Daniela Weinberg sul villaggio svizzero di Bruson (Peasant Wt'sdott. Cultural adaptation in a Stuiss Village).

In Italia, gli anni Ottanta si aprono con la pubblicazione della mono-grafia di Paolo Sibilla sulla comunità u'alser di Rimella (Una coruunítà tunl-ser dclle AIpi. Strutture tradizionali e processí culturali,1980). Nello stesso anno Giuliana Sellan dà alle stampe un volume dedicato alla figura femmi-nile, tema ancora quasi del tutto inesplorat<>'.Donne nubili e donne sposote. Condizione e ruro/o della donna in una contun/tà di lingua tedcsca delTrenti-n o ( C l e u p ) .

Nel 1981 Robert Netting pubblica per la Cambridge Universit5'Press Balancing on Alp. Eco/ogical change and continuitl, in a Suiss maurttatn com-ruuniú (tradorto in italiano nel t996 con il ritolo In equilìbrto sopra ttn'al1>e. Continuità e illutaTuento nell'ecologia di una cotnuttítà alpina nel \/allese). Corle scrive Pier PaoloYiazzo, il volume <<lasciava intravedere un'inattesa tenclenza dei sisterni demografíci alpini a mantenersi in equilibrio a livelli di bassa pressione, senza dar luogo a forti eccedenze di natalità e calibrando f i n e r r r e n t e l a p o p o l a z i o n e a l l e r i s o r s e > > ( Y l t z z o , 2 0 0 1 , p. T9).Una vera e propria scoperta, dunque, che rivalutava le strategie demografiche alpine fino ad allora considerate "primitive". Anche dal punto di vista metodolo-gico, I'approccio di Netting, che univa ernogrrrfia a ricerche d'archivio e uti-Iizzat,a gli strumenti della demografia storica, dava inizio ad un nuovo mo-do di guardale alle Alpi da parte degii antropologi.

Intanto, e parrire dalla seconda rnetà clegli anni Settanta, il Laborato-rio Etnografico per l'Itaiia Nord-Occidentale, diretto a Torino da Gian

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-Luigi Bravo, aveva ar'-viato una minuziosa mappatura del panorama festivo e rituale piemontese collegando la riproposta delle feste in ambiente rura-le, compreso queilo aipino, alia complessa ricostruzione identitaria post-in-dustrialízzazione e al proceso di "tradizionalizzazíone della rnodernità" (GaLLtNo, 1981, p. B). Il primo resoconto delle ricerche sul canrpo viene pubblicato nel 1981 (Festa e lauoro nella nontagna torinese e a Torino), a cui segue, nel 1984, Festa contadina e società compless(l.

Nel 1984 appare anche i,l volume di Adriana Destro L'ultimo genera-zione. Confinimateriali e sírnbolicí di una comunità delle Alpi Marittime,in-centrato su Festiona, nella valle cuneese della Stura di Demonte, mentre nel 1987 1'Uníversiry of Toronto Press pubblica A negotiated zuorld. Thrt'e cen-turtes of chnnge in a France Alpine cornntunity di Harriet Rosenberg, allieva di Wolf, che ricostruisce la storia del villaggio delfinate di Abriès (tradotto i n i t a l i a n o n e l 2 0 0 0 ) .

La fine degli anni Ottanta, con la pubblicazione di Comunità alpine di Yiazzo, segna, come detto, una sorta di spartiacque che dà nuovo vigore agìi studi sociaìi in area alpina. Come egli stesso scrive:

"Il libro che ne era venuto fuori, nel 1989, faceva il bilancio di una stagione di studi anrropo-logici e storici inconsuetamente intensa e fruttuosa che aveva imposto una profonda revisione dell'immagine canonica della società alpina. Questi stu-di avevano infìtti rivelato che le popolazioni montane riuscivano rnolto spesso a mantenere un sorprendente equilibrio con Ie risorse locrrli, che l'emigrazione non era dunque una fuga disordinata dalla miseria e dal so-vrapopolamento, e che le comunità alpine erano state assai meno chiuse e isolate (econornicamente e culturalmente) di quanto si fosse in precedenza s u p p o s r o > > ( Y l , + 2 2 o , 2 0 0 1 , p . 1 3 ) .

Nell'ultimo ventennio, a partire dalla Convenzione delle Alpi (I991), la regione alpina ha visto riconosciuta la sua centralità nel panorama eu-ropeo (anche se a metà degli anni Novanta Giovanni Kezich lamentava ancora uno sguardo che identificava le Alpi come "periferia impervia del-la società europea" e "soffitta d'Europa"). <<La vecchia Europa - scrive Annibale Salsa - attraverso le Alpi si trova di fronte all'occasione storica cli riappropriarsi di quel ruolo attivo di saldatura fra genti, lingue, cultu-re diverse che in passato gieì possedeva e che la modernità ed il pensiero ur-rico ad essa funzionale le har-rno sottratto. Per recuperare tale ruolo, la rivisitazione della storia delle Alpi ed il suo ripensamento critico all'in-terno del nuovo scenario europeo e rnondiale diventano indífferibili> ( S a L s a , 2 0 0 7 , p . l I 5 ) .

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-Tra i contributi scientifici apparsi in questi anni, mi limito a ricordare solo quelli che ho definito, nel titolo della mia relazione, apparrenenri alla "scuola torinese". Nel 1995 Paolo Sibilla pubblica per UTET í1 primo vo-lume dedicato alla comunità r'aldosrana di La Thuile (La Thuile. Vita e cul-tura in una cornunità ua/dostttna), ai quale segue nel 2004 il secondo volume La Thuile ín Valle d'Aosta. Una comunità alpina fra tradizione e modernità (Olschki). I due saggi sono frutto di un'accurata indagine che unisce docu-mentazione archivistica e fonti oralí sr,oltasi, con rempi e modalità diverse, a partire dal 1961. La storia di La Thuiie, ripercorsa dal XVII secolo ad oggi, si inserisce nella macro-storia deli'area alpina occidentale, risultando essere un caso emblematico per i muramenti economici e socioculturali ar'-venuti. La prospettiva diacronica e gli apporri nultidisciplinari (anrropolo-gici, storici, sociolo(anrropolo-gici, economici) hanno permesso di descrivere un ampio sistema di relazioni aperto verso I'esrerno e al canbiamento. L'economía è data come una variabile indipendente nella rrasformazíone, un aspetro im-prescindibile dello studio di comunità. Secondo I'analisi di Sibilla, rre mo-menti socioeconomici hanno cararterízzato la storia di La Thuile: un prinro periodo in cui prevale I'attività agro-pastorale, un secondo conrrassegnaro dall'attivirà mineraria, un terzo segnaro dall'iniziativa turistica legata al ter-ziarío avanzato. Le diverse fasi produttive portano a modificazioni degli equilibri sociali e del rapporto uomo/rerritorio. Inoltre La Thuile, una de-cina di frazíoni sull'antica via che porta al valico del Piccolo San Bernardo, per la sua posizione geografica, è un terrirorio di confine. La storia del valico è la storia delle rnigrazioni e dei transiri, delle relazioni più che delle separazioni tra genti di monragna, dei lavori stagionali, dei pellegrinaggi, delle guerre.

Un altro contributo di ricercatori torinesi appare nel 2001 quando Marco Aime, Stefano Allovio e Pier PaoloYiazzo pubblicano i risuitati di una ricerca condotta a Roaschia, in Valle Gesso. Il volume è intirolato Sa-persí rnuouere. I pastorî transumanti di Roaschia. Gli autori, impegnati in un lungo lavoro di ricerca multisituara, superano I'approccio dei classici studi di comunità per ricostruire gli sposrarìenri stagionali delle famiglie di pa-stori transumanti fino alle colline del Monferraro, ricomponendo la fitta re-te di contatti inre-tessuta all'interno e all'esterno del paese. Lo studio mette in evidenza con-re il termine "conunità" debba essere riletto nelle sue com-plesse articolazioni, superando l'approccio di Robert Redfield che negli an-ni Cinquanta del Novecenro I'aveva defian-nito colle un insieme compano, omogeneo, di piccole dimensioni e autosufficiente. Oggi I'attenzione degli

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antropologi dovrebbe essere rivolta, secondo le parole diYiazzo, a <<cor-reggere la tendenza a concepire la società alpina come una senplice som-matoria di comunità di villaggio, sia pure diverse tra loron (Yttzzo,200l, p. 3fi). Dalla ricerca di comunità, che in qualche modo riproponeva l'idea di un modello sociale chiuso e autoregolato, si è passati quindi all'analisi del netuork, deila rete di contatti, dei reticoli sociali intessuti, anche a lungo raggio, dagli abitanti della montagna. I1 cambiamento di approccio si evin-ce anche dai titoli dei voluni pubblicati negli ultimi anni che hanno sosti-tuito la parola comunirà con un'alrra parola chiave degli studi antropologi, altrettanto problematica e complessa, che è quella di identità. Ne sono un esenrpio il volume di Annibale Salsa 1/ tratnortto delle identità tradizionali. Spaesamento e disagio esistenzíale nelle Alpi (2007), quello di Valenrina Por-cellana In nome della /ingua. Antropologia di una ruinoranza, uscito nello stesso anno, dedicato alla costruzione identitaria della minoranza linguisti-ca francoprovenzale del Piemonte, o ancora il recente Altroue . La rnontagna dell'identità e dell'alterità di Erich Giordano e Lorenzo Delfino (2009).

In questi saggi i concetti di identità, autenticità, tradizione, cultura vengono decostruiti per analízzarne la portata contemporanea in area alpi-na; i terminí sono letti nella loro dimensione processuale e dunque nrure-vole. creirtiva e innovativa.

Musei, identità, rappresentazioni

Tra le ricerche sul campo realizzate negli ultimi anni dall'équipe an-tropologica torinese di Paolo Sibilla, parlicolarmente significative risultano due esperienze legate ai musei etnografici: l'allestimento di Casrr Thedy, un edificio u'alser adibito a nluseo nel comune di Gressoney-La-Trinité in Val-le d'Aosta; il censirnento e la schedatura di 110 musei nei comuni alpini di minoranza linguistica occitana, francoprovenzale e u'alser in Piemonte e Valle d'Aosta. Entrambe le esperienze hanno consentito di riflettere sulle strategie di autorappresentazione delle comunità locali.

Per I'allestimento di Casa Thedy, tra il 2005 eiL2007 si sono sussegui-ti incontri tra i ricercatori dell'Università di Torino, gli amministratori lo-cali e una ventina di gressonari volontirri, in un'intensa attività di progettrr-zione partecipata al fine di realizzare un rnuseo etnografico in un edificio al centro del paese. Fin dalle prime fasi di progettazione, il museo si è confi-gurato come il luogo dell'incontro e dell'elaborazione di saperí, pratiche e valori dei diversi attori coinvolti nella stessa esperienza: abitanti del luogo,

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visitatori, accademici, amministratori locali, territorio, oggetti. Nel museo, però, arn'iene anche un altro tipo di incontro: quello della comunità locale con se stessa. Il gruppo di gressonari coinvolti ha fortemente voluto che gli ambienti della casa-museo fossero riallestiti in modo da richiamare ie desti-nazioni "tradizionali" dei locali. Casa Thedv è diventata dunque sede di un'esposizione etnografica in-iposrata sulla ricostruzione degli ambienti do-mestici di una famiglia contadina. impegnata in atrività agropasrorali. An-che tra i gressonari che hanno visitato il museo senza aver parrecipato atti-vamente alla realizzazione si è registrata un'unanime approvazione per l"'autenticità" con la quale gii spazi sono srari riallestiti. Molti si sono resi disponibili al prestito di nuovi oggetti, complementari a quelli già esposti. Nessuno ha sollevato obiezioni sulla scelta di "quel" tipo di passaro rap-presentato nelle diverse stanze.

Nella rappresentazione della ioro storia all'interno del museo, i gres-sonari hanno taciuto della fortuna economica raggiunta da molte famiglie grazie all'intraprendenza di generazioni di mercanti e industriali. Essi han-no scelto di presentarsi ai visitatori alf interno di una casa contadina che racconta soltanto una parte della loro storia economica e sociale. La stessa selezione a favore del mondo agropasrorale all'interno dei musei etnografi-ci in area alpina è emersa anche dai risultari della campagna di mapparura dei musei esistenti nei comuni di minoranza linguistica dell'arco alpino oc-cidentale (Sreri-L,{, PonceLlaNA, 2009).

La maggior parte dei 1J0 musei censiti e schedati nelle valli piemon-tesi e valdostane ha scelto di raccontare oggerri, attività e modelli cultu-rali legati al rnondo ruraie, spesso oblirerando gli elementi di mobiiità, dinamisrno, complessità che pure hanno caraî.terizzato profondamente le società alpine.

In realtà, ai di là di questa apparenre omogeneirà dei nusei visitati, si intravedono diversi livelli di elaborazione dei contenurí. di conoscenza de-gli oggetti e di capacità di metterii in relazione con il contesro; diversi sono inoltre gli interessi e le motivazioni che orientano I'attività dei musei, con una diversa ricaduta sul territorio, con gradi diversi di coinvolgimento del-le comunità locali. Molti musei alpini risultano fortemente influenzati da quegli stessi stereotipi a cui vorrebbero conrrapporsi. Ciò che gli abitanri della montagna non tengono in corlro è che íl loro mondo non è, e non è mai stato, immune da influenze esrerne e che il conrarro culturale ha con-sentito alle periferíe di fruire di nuove rísorse - tecnologiche, culturali, sim-boliche - che rirnodellano e intesrano il materiale locale esistente. E soesso

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non si accorgono di essere vittime della costruzione mediatica che dipinge la montagna come un "altrove" ameno, dai ritmi naturali, in contrasto con la vita frenetica e stressante della città. In realtà, anche I'ambiente alpino è inserito in un processo globale di ricostruzione degli equilibri in cui gli ele-mentí tradizionali sono iblidati con elementi culturali globali. Questo pro-cesso, invece di essere vissuto con il senso della sfida e delio slancio verso il futuro, è percepito, da molti. solo negativamente, colne uno snaturamento di una "realtà tradizionale" creduta irnmobile. Questo è uno dei ntorivi per cui si cerca un ancoramento al passato attraverso I'uso della lingua locale, la rifunzionaTízzazione di leste, 1'apertura di musei etnografici, la ripropo-sta di attività artigianali trrrdizionali e così r'ia. Ciò che gli abitanti della montagna oggi rivendicano è I'autodeterminazione, il poter scegliere come g e s r i r e il p l o p l i o a m b i e n t e e v i v e l e s e n z a a b b a n d o n a r e le v a l l i . E i n d i s p e n -sabile, però, come scrive Monder Kilar-ri, che essi per primi superino <<le rappresentazioni deila montagna, tutte d'origine urbana, che hanno accom-pagnato e talvolta anticipato gli interventi d'ogni genere che sono stati mes-si in atto in questa regione. Non va dimenticata, infatti, i'attrazione che da diversi secoli la montagna esercita sul cittadino, il quale volta a volta vi proietta la nostalgia di un universo selvaggio e il desiderio di conquistare e addomesticare lo spazio naturale>> (Ktr-aNt, 1997 , pp. I57 -I5ù. È ....ttu-rio che i suoi abiranti, al di fuori di ogni stereotipo, inizino a costruire e ri-costruire il proprio mondo sociale, economico e culturale, uscendo dalle immagini precosrituite che la descrivono con eccessivo pessimismo (area sottosviluppata, marginale e arretrata) o con troppo ottimismo (luogo i n c o n t a m i n a t o e c u l l a d e l l a t r a d i z i o n e ) .

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