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Contro il passaggio dal determinismo strutturale a quello psicologico in psicologia politica: Tertium datur

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Academic year: 2021

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Dal determinismo strutturale a quello psicologico in psicologia politica? Tertium datur

Michele Roccato

Dipartimento di Psicologia, Università di Torino, Via Verdi 10, 10124 Torino, Italy. Tel: +390116702015, Fax: +390116702061, Email: michele.roccato@unito.it

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L’articolo di Nicoletta Cavazza e Piergiorgio Corbetta si colloca in modo creativo nel

dibattito sull’individualizzazione della politica inaugurato ormai da alcuni anni nelle scienze sociali e politiche. Secondo i sostenitori di questa posizione, dopo anni in cui i comportamenti politici sembravano dipendere principalmente dalle appartenenze strutturali degli elettori, saremmo passati – coerentemente con quel che accade anche negli altri versanti della vita relazionale e sociale – a una fase in cui i cittadini sarebbero in grado di pensare al loro rapporto con la politica e di decidere i loro comportamenti politici in modo sostanzialmente svincolato da tali appartenenze.

Questa trasformazione, come notano gli stessi autori, ha dato l’impulso a un interessante filone di studio per gli psicologi, incentrato sui predittori psicologici degli orientamenti politici e dei comportamenti elettorali. Il problema è che tale spazio di ricerca è stato esplorato muovendo da approcci molto individualisti, principalmente centrati su stabili variabili personali: ad esempio, la personalità dei cittadini (Caprara, Barbaranelli, & Zimbardo, 1999), i loro orientamenti

interpersonali (prosociali o competitivi) (Van Lange, Bekkers, Chirumbolo, & Leone, 2012), i loro principi di ragionamento morale (Graham, Haidt, & Nosek, 2009) e i loro valori personali di base (Piurko, Schwartz, & Davidov, 2011). È insomma sufficiente scorrere le annate delle principali riviste di psicologia sociale e di psicologia politica per imbattersi in una sorta di curioso «effetto rimbalzo», per cui dall’antico determinismo strutturale, secondo il quale gli orientamenti e i comportamenti politici delle persone dovrebbero essere invarianti entro i cleavage sociali, si è passati a uno speculare determinismo individuale, secondo cui essi dovrebbero essere indipendenti da ogni forma di appartenenza e di inserzione sociale.

Concordo con Cavazza e Corbetta nel ritenere soffocanti e di potere euristico limitato

entrambe queste prospettive. Infatti, pur se centrate su variabili diverse, tutte e due si focalizzano su un pezzo solo del campo, postulando relazioni stabili e invarianti fra variabili indipendenti e

dipendenti, senza proporsi di modellizzarne e testarne la stabilità fra luoghi (materiali, relazionali e simbolici) diversi (Holtschlag, Morales, Masuda, & Maydeu-Olivares, 2013). Inoltre, esse non possono dar conto del cambiamento degli orientamenti e dei comportamenti politici delle persone.

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Si tratta di un problema che nel nostro paese di recente è diventato assai evidente. Infatti, dopo anni di sostanziale immobilismo, in cui le elezioni sono state vinte mobilitando il proprio elettorato e demobilitando quello avversario, in Italia la spiegazione del cambiamento è diventata cruciale in occasione delle elezioni politiche del 2013, in cui si calcola che solo il 50% degli elettori abbia confermato il voto espresso nella consultazione precedente, quella del 2008 (De Sio & Schadee, 2013). È ovvio che fare esclusivamente appello a stabili variabili individuali di lungo periodo come quelle accennate più sopra rende assai difficile spiegare quanto è avvenuto in quelle elezioni.

Negli ultimi anni, tuttavia, sono stati sviluppati alcuni studi molto fruttuosi che hanno tentato di dare conto del fatto che le condotte individuali non dipendono solo da chi sono le persone, ma anche da dove (in senso materiale e simbolico) esse si trovino. Si tratta di approcci che, pur se con un focus diverse dal loro, hanno un’impostazione che risuona con quella proposta da Cavazza e Corbetta, ad esempio quando scrivono di essersi occupati di analizzare «il ruolo degli stili di vita, basati sulle scelte di consumo e di tempo libero, come espressione di raggruppamenti sociali

caratterizzati anche da un livello significativo di omogeneità politica e come possibili fonti attuali di identificazione».

Ne accenno brevemente due. Da un lato, gli approcci multilivello che si focalizzano su come le variabili individuali stabili influenzano gli orientamenti e i comportamenti politici interagendo con le caratteristiche del contesto in cui vivono le persone. Solo per fare un esempio fra i molti possibili, la ricerca mostra che i valori individuali di base influenzano potentemente gli orientamenti politici nei paesi di matrice stabilmente democratica e caratterizzati da un sistema di welfare

pervasivo e funzionante, come ad esempio la Francia, la Germania e la Norvegia, mentre non lo fanno nei paesi ex-comunisti, come ad esempio la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Polonia (Piurko, Schwartz, & Davidov, 2011). Dall’altro, Brown-Iannuzzi, Lundberg, Kay ePayne (2015) hanno recentemente mostrato, che – in modo coerente con quanto evidenziato dalla teoria del confronto sociale di Festinger (1954) –gli

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fanno fra il loro status e quello delle altre persone per loro rilevanti,

evidenziando dunque che il mondo esterno «entra» nei processi individuali in esame perlomeno come inevitabile termine di confronto.

Cavazza e Corbetta, pur in un quadro sostanzialmente consonante con questo, in quanto basato sull’idea che l’interazione fra fattori individuali e fattori socio-strutturali sia la chiave di lettura più interessante delle condotte umane, si occupano di altro, ossia delle relazioni che una possibile nuova linea di stratificazione, basata sugli stili di vita e di consumo, intrattiene con gli orientamenti e i comportamenti politici. Si tratta di una proposta sfidante sia concettualmente, sia metodologicamente.

Credo che i principali punti di forza della loro proposta siano tre. Innanzitutto, l’idea di analizzare, come loro stessi scrivono, «un attore (non passivo) socialmente situato», in modo

decisamente innovativo rispetto ai già intriganti approcci di cui parlavo sopra: concentrandosi su un nuovo possibile elemento di stratificazione, assai moderno e consonante con il modo con cui le nostre società si organizzano. Ho molto apprezzato, in questo senso, la loro idea di postulare che il «modo in cui l’individuo si rappresenta i problemi sociali, politici ed economici, la loro gravità e l’urgenza delle soluzioni non può che essere l’esito di scambi comunicativi quotidiani all’interno di reti sociali che connettono individui che sentono di avere qualcosa in comune». Questo implica postulare un modello di elettore non solo decisamente più realistico di quello degli studi classici, ma anche coerente con le numerosissime ricerche psicosociali che mostrano la rilevanza delle

appartenenze gruppali nell’orientare le nostre preferenze, le nostre valutazioni e le nostre azioni. Inoltre, la notevole indipendenza semantica fra l’explanans (gli stili di vita e di consumo) e l’explanandum (gli orientamenti e i comportamenti di voto) scelti dagli autori fa pensare che – ammesso che si riesca a superare la questione problematica di cui parlerò nelle prossime righe – le spiegazioni che sarà possibile costruire basandosi sul modello proposto da Cavazza e Corbetta saranno effettivamente genuine. Infine, credo che l’uso di questo approccio possa essere proficuamente esteso anche al di là dello studio degli orientamenti politici generali e dei

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comportamenti elettorali. Un ambito mi pare particolarmente promettente: quello della

partecipazione radicata nelle comunità locali, tipicamente ai comitati dei cittadini e ai movimenti impegnati a impedire la costruzione di opere sgradite sul territorio in cui si sviluppano. In entrambi i casi, si tratta di forme di azione politica che si costruiscono almeno in parte su sensi di

appartenenza preesistenti, fondati sulla condivisione, appunto, di stili di vita comuni e di modelli comportamentali condivisi (Mannarini, Roccato, & Russo, in press). L’esportazione del modello di Cavazza e Corbetta a quest’ambito promette di essere molto produttiva e di aprire il campo ad ambiti di ricerca innovativi rispetto a quello affrontato dagli autori.

D’altro canto, vedo anche dei limiti e delle questioni irrisolte su cui sarà utile lavorare per perfezionare la loro proposta. Da un lato, come sottolineano gli stessi Cavazza e Corbetta, è davvero difficile postulare un nesso causale asimmetrico fra stili di vita e di consumo da un lato e

orientamenti e comportamenti politici dall’altro. Le argomentazioni proposte dagli autori sono convincenti, ma certo basta pensare a fenomeni (di nicchia ma socialmente rilevanti e interessanti dal punto di vista scientifico) come il consumerismo per dubitare della unidirezionalità della relazione. Non vedo facile la costruzione di procedure sperimentali per testare i link fra gli stili di vita e le variabili politiche. Credo però che, perlomeno, ricorrere a modelli di analisi non ricorsivi, in cui si postula che le due classi di variabili si influenzino a vicenda, renderebbe più merito alla complessità dei fenomeni in gioco. D’altro canto, ho l’impressione che andrebbe testato

empiricamente in modo più forte l’assunto fondamentale del lavoro: l’idea cioè che «esistano confini fra le reti sociali che non sono contingenti e casuali, ma sono piuttosto quelli che

definiscono il sentimento di identità sociale sulla base del quale vediamo l’ambiente sociale distinto in “noi” versus “loro”». Sarà proprio vero? Il fatto che, come mostrano le analisi di Cavazza e Corbetta, i gruppi che condividono al proprio interno il medesimo stile di vita siano omogenei implica che esistano davvero, in maniera più o meno saliente, nella testa delle persone, e che siano effettivamente fonte di senso di appartenenza e dunque di identità sociale? La ricerca mostra che questo avviene per quel che concerne i gruppi definiti dalle idee politiche (Deaux, Reid, Mizrahu, &

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Ethier, 1995). Ma non abbiamo ancora informazioni esaustive circa quello che accade quando le categorie sociali sono organizzate in base allo stile di vita. Credo che uno sforzo di analisi per chiarificare la faccenda aiuterebbe a rafforzare ulteriormente una proposta già di suo intrigante, stimolante e di frontiera.

Bibliografia

Brown-Iannuzzi, J. L., Lundberg, K. B., Kay, A. C., & Payne, K. (2015). Subjective status shapes political preferences. Psychological Science, 26, 15-26. doi:0.1177/0956797614553947 Caprara, G. V., Barbaranelli, C., & Zimbardo, P. G. (1999). Personality profiles and political

parties. Political Psychology, 20(1), 175-197.

Deaux, K., Reid, A., Mizrahu, K., & Ethier, K. (1995). Parameters of social identities. Journal of Personality and Social Psychology, 68, 280-291. doi: 10.1037/0022-3514.68.2.280

De Sio, L., & Schadee, H. (2013). I flussi di voto e lo spazio politico. In Itanes (Ed.), Voto amaro: Disincanto e crisi economica nelle elezioni del 2013 (pp. 45-55). Bologna: Il Mulino.

Festinger, L. (1954). A theory of social comparison processes. Human Relations, 7(1), 114-140. Graham, J., Haidt, J., & Nosek, B. A. (2009). Liberals and conservatives rely on different sets of

moral foundations. Journal of Personality and Social Psychology, 96(5), 1029-1046. Holtschlag, C., Morales, C. E., Masuda, A. D., & Maydeu-Olivares, A. (2013). Complementary

person-culture values fit and hierarchical career status. Journal of Vocational Behavior, 82(2), 144-153.

Mannarini, T., Roccato, M., & Russo, S. (in press). The false consensus effect: A trigger of radicalization in locally unwanted land uses conflicts?. Journal of Environmental Psychology. doi: 10.1016/j.jenvp.2015.03.001

Piurko, Y., Schwartz, S. H., & Davidov, E. (2011). Basic personal values and the meaning of left-right political orientations in 20 countries. Political Psychology, 32(4), 537-561.

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Van Lange, P. A. M., Bekkers, R., Chirumbolo, A., & Leone, L. (2012). Are conservative less likely to be prosocial than liberals? From games to ideology, political preference and voting. European Journal of Personality, 26(5), 461-473.

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