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Terrorismo e diritti fondamentali

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di giurisprudenza

Laurea magistrale

TERRORISMO E DIRITTI FONDAMENALI

Relatore

Prof. Andrea Pertici

Candidato

Nicola Pardini

(2)

INDICE

pag.

Introduzione

CAPITOLO 1

TERRORISMO INTERNAZIONALE: ALLA RICERCA DI UNA

DEFINIZIONE

1.1. Il terrorismo internazionale: origini e sviluppi

2.1. Definire il terrorismo internazionale è possibile e necessario?

3.1. Le convenzioni multilaterali e gli sforzi volti a definire la nozione di terrorismo internazionale. La Convenzione di Ginevra

3.2. Le convenzioni settoriali sul terrorismo

4.1. Il progetto di una Convenzione globale sul terrorismo

5.1. Una definizione globale di terrorismo a livello dell'Unione Europea

6.1. La definizione di terrorismo negli statuti e nella giurisprudenza dei tribunali penali internazionali

7.1. Terrorismo, crimine di guerra e crimine contro l'umanità: quale il confine? 7.2. Terrorismo come crimine di guerra

7.3. Terrorismo come crimine contro l'umanità

CAPITOLO 2

IL TERRORISMO ISLAMISTA

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1.2. Origini e struttura di Al-Qaeda 1.3. L'ISIS

2.1. Il suicidio come strumento di lotta 3.1. Un problema di laicità

CAPITOLO 3

IL TERRORE E LA "SICUREZZA"

1.1. Alle origini della sicurezza

1.2 Anni settanta e ottanta in USA: libertà economica e controllo sociale 1.3. Le forze storiche in gioco

1.4. Politiche neoliberiste e neoconservatrici 1.5. L'esigenza di sicurezza

1.6. Le politiche di sicurezza in Italia: una essenziale ricostruzione storica 1.7. Il falso allarme degli anni 70

1.8. La crisi degli anni novanta 1.9. Il ruolo essenziale della paura

2.1. L'opinabile esistenza di un diritto alla sicurezza 2.2. La tutela della libertà-sicurezza dei consociati

2.3. L'aspirazione alla massima sicurezza nello Stato di prevenzione

2.4. L'impossibilità per lo Stato democratico di assicurare una tutela assoluta 3.1. Il concetto di sicurezza nella Costituzione: la sicurezza come limite dei diritti di libertà

3.2. La libertà di circolazione e soggiorno 3.3. La libertà di riunione

3.4. Sicurezza e iniziativa economica privata

3.5. La sicurezza fra le materie in cui lo Stato esercita potestà legislativa 3.6. Sicurezza materiale o sicurezza ideale?

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3.7. L'interpretazione preferibile: la sicurezza come valore 3.8. La Corte europea: le decisioni sul caso Giuliani e Maiorano 4.1. Sicurezza e terrorismo

4.2. La Costituzione come punto di riferimento

4.3. L'estensione del bisogno sicurezza in un contesto di preminenza del principio di libertà

4.4. La sicurezza come valore dell'intera collettività

CAPITOLO 4

LO STATO DI NECESSITA' / EMERGENZ

A

1.1. L'incerta nozione di emergenza 1.2. Le situazioni emergenziali

1.3. Metodi e contenuti delle misure adottate nei confronti dell'emergenza e del terrorismo

1.4. La funzione "rassicurativa" dei governi durante le emergenze 1.5. La rigidità delle Costituzioni: il primo strumento di difesa 2.1. I sistemi costituzionali: la gestione delle emergenze

2.2. Il sistema britannico 2.3. Il sistema statunitense

2.3.2. L'incidenza sulla libertà di manifestazione del pensiero 2.4. Il sistema più diffuso: lo stato di eccezione

2.4.2. Le varianti contemporanee dello stato di eccezione: il sistema costituzionale francese

2.4.3. Lo stato di emergenza in Francia nel novembre 2015 2.4.4. L'ordinamento spagnolo

2.4.5. L'ordinamento tedesco 2.5. Il sistema irlandese e canadese

2.6. Il sistema che non ammette eccezioni alla Costituzione al di fuori dello Stato di guerra

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2.6.2. l'ordinamento costituzionale italiano

3.1. I limiti internazionali alle deroghe dei principi costituzionali nelle emergenze 3.2. La giurisprudenza della Corte europea

3.3. Garanzia giurisdizionale e controllo parlamentare

4.1. Principi e diritti inderogabili anche (e soprattutto) durante gli stati di necessità 4.1.2. L'uso della forza contro i terroristi

4.1.3. Il divieto della pena di morte e il connesso divieto di estradizione

4.1.4. Il diritto all'integrità. Il divieto di tortura e alle pene inumane e degradanti 4.1.5. Critiche circa un uso moderato della coercizione fisica

4.1.6. Il principio di non discriminazione, il giusto processo e i controlli giurisdizionali

CAPITOLO 5

LE NAZIONI UNITE NELLA LOTTA AL TERRORISMO

1.1. L'evoluzione del ruolo delle Nazioni Unite nella lotta al terrorismo 2.1. Gli organi delle Nazioni Unite coinvolti nella lotta al terrorismo 3.1. Il Consiglio di Sicurezza dopo l'11 settembre

3.2. La risoluzione n. 1267 del 1999 3.3. La risoluzione n. 1373 del 2001

4.1. Una essenziale attenzione ai diritti fondamentali

CAPITOLO 6

LA LOTTA AL TERRORISMO NELL'AMBITO DELL'UNIONE

EUROPEA

1.1. La risposta dell'Unione europea al terrorismo

1.2. Una “road map” nella lotta al terrorismo dopo l'11 settembre

1.3. Il passo in avanti in materia di cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale

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2.1. Europol: nuova struttura, nuovo mandato e un ruolo rafforzato nella lotta al terrorismo

2.2. la creazione di Eurojust e il progressivo rafforzamento del suo mandato 2.3. Il mandato d'arresto europeo

3.1. Le misure adottate dall'Unione dopo gli attentati di Madrid e Londra: la Dichiarazione del Consiglio europeo sulla lotta al terrorismo e gli obbiettivi della Strategia dell'Unione europea contro il terrorismo

3.1.2. Prevenzione 3.1.3. Protezione 3.1.4. Perseguimento 3.1.5. Risposta

4.1. Le misure restrittive di congelamento dei fondi 4.2. La mancanza di adeguate garanzie giurisdizionali 4.2.2. I casi Yusuf e Kadi

4.2.3. L'interpretazione della Corte di giustizia

4.2.4. I limiti strutturali dei tre pilastri. Il Trattato di Lisbona.

5.1. La lotta al terrorismo nell'Unione: le conseguenze sulla libera circolazione delle persone

5.1.2. L'incidenza della lotta al terrorismo in materia di immigrazione illegale 5.1.3. Gli effetti della lotta al terrorismo sui diritti dei lavoratori, immigrati e non 5.2. L'impatto sul regime d'asilo nell'Unione europea

5.3. La compressione del diritto alla privacy e alla protezione dei dati

5.4. La violazione del diritto alla libertà e alla riservatezza delle comunicazioni

CAPITOLO 7

LA LEGISLAZIONE ITALIANA IN MATERIA DI TERRORISMO

1.1. Una valutazione delle varie iniziative legislative contro il terrorismo

2.1. Le modifiche introdotte nel sistema penale dopo l'11 settembre. Il giro di vite nei riguardi dell'immigrazione clandestina

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2.2. L'evoluzione legislativa in materia di “espulsione” 2.2.2. L'aggravante e il reato di clandestinità

3.1. L'azione dell'Italia contro il finanziamento del terrorismo 3.1.2. L'impatto delle misure sulle garanzie costituzionali 3.2. Decreto legislativo 109/2007, rilievi critici

4.1. Il fenomeno delle extraordinary renditions

4.2. L'uso del segreto di Stato nella lotta al terrorismo 4.2.2. La posizione della Corte Europea dei diritti dell'uomo 5.1. Il decreto legge n. 7 del 18 febbraio 2015

5.2. Il suo contenuto. Le norme che introducono nuove previsioni sanzionatorie e l' estensione di quelle già esistenti

5.2.2. L'ampliamento delle misure di prevenzione e dei poteri di polizia 5.2.3. La procura nazionale antimafia e antiterrorismo

5.3. Considerazioni sul decreto: una compressione delle garanzie 5.3.2. Il cyberterrorismo

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Introduzione

Il tema del terrorismo appare essere qualcosa di incontrollabile, difficile da gestire. Il suo potenziale sembra non avere confini. Ogni individuo, di fronte alle continue notizie che riguardano fatti di cronaca concernenti attacchi e stragi di massa, si sente impotente, privo di qualsiasi tipo di protezione. Il tutto tende a chiudere noi stessi in una sorta di guscio protettivo che ci esula dal mondo esterno e soprattutto ci mette in una posizione di evidente distacco dagli altri. Tendiamo sempre più a creare un cerchio invisibile, all'interno del quale vi sono i soggetti fidati, mentre, al di fuori, vi sono coloro che meritano diffidenza, in quanto portatori di evidenti rischi connessi al relativo fenomeno. La diffidenza genera negatività e di conseguenza, questo clima di riluttanza nei confronti “degli altri”, rinfocola quell'essere a cui dovremmo effettivamente guardare con ostilità e cioè la “regressione dei valori” che ci appartengono. Quei valori che derivano da secoli di lotte e conquiste, cui l'individuo, ma più precisamente, le collettività, hanno fatto propri. Ma è proprio sulla base dell'accantonamento di quei valori che si generano fenomeni sociali preoccupanti, pericolosi. Il terrorismo non è altro che l'essere diretta conseguenza di un malessere generato dalla diffidenza e dalla ostilità verso il diverso. Gli Stati tendono ad etichettare il fenomeno come un problema religioso, ma non è cosi. Il lavoro persuasivo dello Stato e dei governanti è evidente. Far passare il diverso come il nemico è molto semplice, in quanto genera dentro gli individui un senso di incoraggiamento effettivo alla relativa azione di contrasto, come se fosse un qualcosa a cui non possiamo rinunciare. La guerra sembra essere l'unica via plausibile per trovare una soluzione al problema del terrorismo, ma, come confermato dalle notizie di cronaca, appare evidente che la guerra non sia la soluzione a quel fenomeno sociale, di cui tanto sentiamo parlare,

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continuamente, attraverso la cassa di risonanza mediatica che tende ad amplificarlo il più possibile. Allora cosa si fa? giustifichiamo una compressione evidente delle nostre garanzie fondamentali, in nome della sicurezza e di quel senso della stessa che di fronte al terrore tende a scemare. Lo Stato fa leva su questo senso di inquietudine per comprimere i diritti di ogni individuo, in quanto, attraverso lo schiacciamento delle garanzie, avrà un controllo effettivo sui membri di quella collettività e questi non opporranno resistenza alcuna. Gli individui si sentiranno più sicuri, più protetti, quasi come se la compressione delle garanzie risulti essere qualcosa di inevitabile. Il mio lavoro si presta a compiere una valutazione effettiva in ordine a questa situazione sociale. Il terrorismo è un fenomeno sociale, molto complesso, di conseguenza, il relativo contrasto, deve partire da questo piano. Gli Stati tendono ad etichettarlo come una “questione religiosa”, questo perché giustifica l'uso della forza. Molto più difficile ravvedersi, assumendosi le responsabilità di politiche repressive che hanno teso all'emarginazione del diverso. Il lavoro politico compiuto negli ultimi anni non ha fatto altro che aggravare la situazione. L'immigrazione clandestina è stata contrasta con il diritto penale, anziché compiere un lavoro culturale di preparazione, volto all'integrazione e soprattutto all'affermazione di quei valori che si stanno perdendo. Forse ci sfugge, ma i valori sono la base di uno Stato sociale. La Costituzione è la fonte primaria degli stessi. I valori discendono dai diritti e dalle garanzie dalla stessa riconosciute, per cui, comprimendoli, non facciamo altro che rinnegare tutto ciò per cui abbiamo lottato e creduto. Il depauperamento sociale è inevitabile. Il tema si presta particolarmente complesso e tortuoso, in quanto, di per sé, già il concetto stesso di terrorismo rileva delle difficoltà di rinvenimento e questo ha una ripercussione inevitabile sull'approccio allo

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stesso. Come possiamo accostarci ad una materia, avendo la pretesa di dare una soluzione alle varie problematiche ad esse connesse, se non ne conosciamo il concetto?. Questa situazione crea imbarazzo, soprattutto sul piano internazionale. Quando le più alte rappresentanze statali occidentali si riuniscono, con la modesta pretesa di dare una soluzione a tutto ciò, l'imbarazzo sembra pervadere l'intero scenario internazionale. Anche se, probabilmente, ancora oggi, non siamo riusciti a dare una nozione unanime di “terrorismo”, siamo comunque riusciti ad individuare chi sono effettivamente i portatori di questo fenomeno cotanto complesso. L'etichetta al diverso, come detto, appare essere la soluzione più facile, tanto più semplice rispetto alle evidenti difficoltà che ruotano attorno alla relativa nozione. Il fondamentalismo islamico è questo presunto nemico da cui bisogna guardarci, nelle sue varie sfaccettature. Verrà compiuta una distinzione fra i vari gruppi che sembrano minacciare l'occidente, cercando di ravvisarne le cause sociologiche e culturali. In nome della tanto acclamata sicurezza, a cui seguiranno politiche di tipo repressivo/invasivo, verrà posta l'attenzione sui diritti inevitabilmente compromessi da questa politica antigarantistica. Ci accorgeremo come dalla stessa ricerca alla sicurezza per tutelare i diritti, discenderanno le effettive lesioni agli stessi. Comprimendo le garanzie, in nome di una fittizia sicurezza, la regressione sociale sarà inevitabile. Valuteremo le varie ipotesi di “stati eccezionali” previste dagli ordinamenti, con una particolare attenzione all'ordinamento italiano. Compieremo una valutazione in ordine alle misure di contrasto introdotte per combattere il relativo fenomeno, rimarcando come le esigenze di sicurezza dei singoli, comprimono le garanzie essenziali degli stessi. L'esigenza alla sicurezza non farà altro che incentivare l'emarginazione sociale, riponendo il diverso negli angoli più remoti dell'ordinamento, incrementando cosi rancore

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CAPITOLO 1

TERRORISMO INTERNAZIONALE: ALLA RICERCA DI UNA

DEFINIZIONE

1.1. Il terrorismo internazionale: origini e sviluppi

L'uccisione di ventisei civili all'aeroporto Lod di Israele, ad opera di un gruppo di militanti dell'Armata rossa giapponese (JRA) nel maggio 1972 e, nel settembre dello stesso anno, l'assassinio di undici atleti durante i Giochi Olimpici di Monaco da parte di un comando palestinese. Quando si affronta l'analisi di un fenomeno complesso come il terrorismo1, si rende essenziale una breve ma necessaria indagine storica. La storia infatti

pur non potendo offrire una ricetta infallibile per indirizzare l'azione di contrasto, ci può comunque suggerire strumenti di lettura utili all'interpretazione di questo fenomeno alquanto “camaleontico”2, da un lato indicando i mezzi e le strategie per affrontarlo e,

dall'altro, mostrando una serie di errori da evitare nel tentativo di debellarlo. Eppure, dopo gli attacchi dell'undici settembre, pochissimi fra scrittori e uomini politici pochissimi, nei loro scritti e nei loro discorsi, hanno menzionato gli attacchi terroristici perpetrati in passato o hanno tentato di condurre analisi comparate3. Pare quasi che il

1 La parola “terrorismo” deriva dal latino “terrere” che significa atterrire, spaventare, impaurire. 2 Cosi lo definisce A. Roberts, can we define terrorism?, in Oxford today: the university magazine,

retrieved november 6, 2002.

3 Per ulteriori approfondimenti sul concetto di negazione della storia in relazione al tema del terrorismo, si veda: F. Shulze, Breaking the cycle. Empirical and postrgaduate studies on terrorism, London, Frank Cass, 2004, pp.161-185

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terrorismo, balzato con prepotenza alla ribalta della cronaca dopo gli attentati delle torri gemelle, sia stato da tanti percepito come un fenomeno soprattutto contemporaneo4. In

realtà esso ha radici antiche, trovando antecedenti storici già nei tempi biblici5. Tale

forma di violenza politica è nata infatti insieme alle prime civiltà e comunità umane, giacché sono sempre esistiti individui o gruppi di individui interessati ad intimorire la società con l'uso della forza violenta, allo scopo di perseguire obbiettivi politici, ideologici o religiosi. Numerose sono le testimonianze di scrittori dell'antichità che hanno tramandato storie di tirannicidi6 o di omicidi politici, perpetrati al fine di destituire o di

destabilizzare il potere del Governo. Già all'inizio del I secolo a.c, il gruppo politico-religioso giudaico degli Zeloti7, partigiani accaniti dell'indipendenza del regno ebraico,

nonché sostenitori dell'ortodossia e dell'integralismo ebraici, praticava abitualmente omicidi per la libertà dalla occupazione straniera. Tuttavia, il fenomeno che per modalità

4 Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: C. Caleb, Terrorismo: perché è fallito e fallirà ancora, Milano, Mondadori, 2002.

5 Per un'analisi storica del fenomeno cfr. H.E. Mattox, Chronology of world terrorism, 1901-2001, North Carolina and London, 2004, p.4.

6 Cfr. L. Bauccio, L'accertamento del fatto reato di terrorismo internazionale. Aspetti pratici e teorici, Milano, 2005, p. 1 ss. L'autore in particolare ricorda le figure di Armodio e Aristogitone, gli Ateniesi tirannicidi che nel 513 a.c o nel 514 a.c cercano di porre fine al potere personale della famiglia di Pisistrato, ideando un progetto omicida nei confronti di Ippia, riuscendo però a uccidere sol il fratello Ipparco. Vennero pertanto imprigionati, processati e condannati a morte come “nemici della Polis. L'assasinio del fratello indusse Ippia a mutare radicalmente il sistema di governo e a stabilire una dittatura severa che divenne molto impopolare e fu rovesciata nel 510 a.c, con l'aiuto di un esercito proveniente da Sparta. Alla morte di Ippia dunque il giudizio della collettività cambiò radicalmente: il suo governo venne ritenuto una vera e propria tirannide e Armodio e Aristogitone furono celebrati come “eroi della Polis”. L'autore sceglie di riportare la vicenda dei tirannicidi per la sua carica di

emblematicità. Essa infatti mostra come il terrorismo, pur essendo esecrabile in qualsiasi modo e tempo perpretato, sia un fenomeno largamente influenzabile dalla sua connaturata valenza politica e, dunque, il giudizio sullo stesso varia a seconda del contesto storico in cui matura e dall'ordine di valori politici, filosofici, etici e giuridici in quel momento vigenti. I due tirannicidi, il cui gesto inizialmente condannato dagli Ateniesi, mutato lo scenario politico, sono divenuti simbolo della liberazione del tiranno e la loro morte è stata celebrata come un sacrificio offerto al bene della Polis.

7 Il gruppo degli Zeloti fu fondato da Giuda il Galileo ed ebbe stretti rapporti con la comunità essenza di Qumran. Gli Zeloti svolsero un ruolo importante nella grande rivolta contro i Romani del 66-70 d.c e la maggior parte di essi perì durante la presa di Gerusalemme da parte di Tito Flavio Vespasiano. Nel primo secolo d.c lo zelotismo coinvolse gradualmente le masse urbane, soprattutto di campagna, portandole al fanatismo e conducendole alla violenza dei “predoni e dei “sicari” che porteranno alla catastrofe finale della guerra giudaica.

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comportamentali e regolarità metodologica più si avvicina al terrorismo moderno, si è sviluppato fra il XI e XII d.c on Oriente, tra l'Egitto e la Siria, sulle montagne ai confini di Damasco. In questo territorio viveva una setta radicale, dall'organizzazione e dai rituali misteriosi, temuta per la ferocia dei suoi membri e composta da un gruppo di musulmani, chiamati Hashishiyyn8. Essi praticavano l'assassinio sistematico sia di cristiani, sia di

musulmani sunniti, al fine di abbattere l'ordine islamico costituito9. La tecnica attraverso

la quale erano compiuti gli afferrati delitti consisteva nell'accoltellamento; essi agivano da soli o in bande armate, utilizzando coltelli tenuti nascosti sotto gli abiti, in modo da rendere l'attentatore irriconoscibile10. Questa setta colpisce in modo particolare in quanto

non era portatrice di un sistema organizzato “alternativo” rispetto a quello che intendeva annientare. Unico scopo era rappresentato dalla volontà di distruggere e destrutturare il sistema vigente, per imporre la violenza e l'obbedienza quale contenuto del potere. Sebbene gli Hashishiyyn fallirono nell'intento, la loro vicenda è emblematica in quanto mostra, da un lato l'invariabilità dell'atto terroristico, almeno per quanto concerne il metodo, dall'altro la radice nichilista e autodistruttiva tipica del terrorismo moderno. E' solo a partire dal XIV secolo che la parola “terrorismo”, attraverso la lingua francese, entra a far parte del patrimonio linguistico dei paesi dell'Europa occidentale11. Tale

termine tuttavia, ha guadagnato la tipica valenza politica, grazie all'uso che ne è stato

8 Il nome significa Fumatori di hashish e da esso deriva il moderno termine assassini. I membri della setta vivevano in città arroccate sulle montagne, cinte da mura inespugnabili. I giovani venivano sin da subito introdotti all'arte militare, veniva loro insegnato il latino ed altre lingue, ma soprattutto veniva loro inculcata l'obbedienza al capo e il disprezzo per la propria vita, completamente immolata

all'obbiettivo omicida. La morte durante l'azione era considerata un onore, tornare vivi, al contrario, un disonore.

9 Per ulteriori approfondimenti su gruppi di terroristi, sugli eventi e sulle figure più famose di terroristi nel periodo che va dalla insurrezione degli Zeloti contro i Romani in Giudea fino ai giorni nostri, si rimanda a: S. Anderson, S. Sloan, Historical dictionary of terrorism, New York and London, 2002. 10 Secondo L. Bauccio gli hashishiyyin potrebbero essere paragonati ai moderni kamikaze. Sul punto i

veda L'accertamento del fatto reato di terrorismo internazionale, cit., p. 17.

11 In argomento cfr. A.P. Schmid, The problems of defining terrorism, in M. Crenshaw, J. Pimlott, Enciclopedia of worl terrorism, 1997, p.12.

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fatto durante la Rivoluzione francese12, adottato per designare i metodi repressivi e

sanguinari impiegati dalla fazione al potere nel periodo tristemente noto come “il Terrore”13 che va dall'espulsione dei Girondini dalla Convenzione (2 giugno 1973) alla

caduta di Robespierre (27 luglio 1794). Robespierre ha governato la Francia attraverso la strategia della paura. E' stata ordinata la pubblica esecuzione di migliaia di persone, scelte nella maggior parte dei casi arbitrariamente ed uccise sotto la lama della ghigliottina, al solo scopo di educare la cittadinanza alla necessità della virtù14. Il regime del terrore ha

raggiunto l'apice nel 1793 e ha continuato per altri sedici mesi, al termine dei quali lo stesso Robespierre è stato giustiziato con la ghigliottina. Se la parola terrorismo è stata adottata inizialmente per designare un tipo di governo fondato sul terrore e il terrore organizzato dallo Stato, sul finire del XIX secolo, a seguito degli attentati compiuti dai cosiddetti nichilisti in Russia15 e dagli anarchici negli altri paesi europei16, la parola è

12 Si veda G. Guillame, Terrorism and international Law, in ICLQ, 2004, Vol. 53, p.537.

13 In argomento, A. Gioia, Terrorismo internazionale, crimini di guerra e crimini contro l'umanità, in RDI, 2004, Vol. LXXXVII, n. 1, p.5.

14 Per approfondimenti sul tema, si rinvia a: B. Hoffman, Inside terrorism, New York, Columbia university press, 1999. Sottolinea come la parola terrorismo divenne popolare durante la rivoluzione francese, quando il regime del terrore fu visto come un governo positivo che usava la paura per ricordare ai cittadini la necessità della virtù. La pratica di utilizzare la violenza per educare le persone su istanze ideologiche ha continuato anche successivamente, assumendo tuttavia una valenza negativa ed è divenuta una tattica utilizzata da color che, opponendosi ad un determinato sistema statale, tentano con la violenza di destituire il governo in carica.

15 Cfr. fra gli altri R.B. Jensen, Daggers, rifles and dinamite: anarchist terrorism in nineteenth century europe, in terrorism polit violence, 2004, Vol. 16, n. 1, pp. 116-153. In particolare l'autore evidenzia come inizialmente gli anarchici non ricorrevano al terrorismo. Fu solo sul finire del 1880 che il suo utilizzo crebbe notevolmente a causa di diversi fattori: le dure condizioni sociali e di regicidi ritenuti giusti e giustificabili, la repressione dei governi nei confronti di forme di protesta più pacifiche, la suggestione esercitata dalla Comune di Parigi e dall'uccisione dello Zar Alessandro II, l'invenzione della dinamite e l'incitamento degli anarchici alla propaganda di morte. Tutto ciò risveglio reazioni a catena di proteste sociali, repressioni e vendette. Mentre il numero di capi di stato o di governo e di monarchi degli Stati più importanti che furono assassinati non conobbe precedenti, gli anarchici, al di fuori della Spagna, uccisero poche persone. Nonostante ciò, il desiderio degli anarchici di mostrare i drammatici segni di un'imminente rivolta proletaria, la paura delle autorità pubbliche di una vasta cospirazione anarchica e la sete dei mass-media di sensazionali notizie si combinarono e crearono il miraggio dell'esistenza di un potente movimento terrorista diffuso in ogni parte del mondo, determinando una reazione spropositata da parte dei governi e della polizia che, a sua volta, fomentò il desiderio di vendetta da parte degli anarchici.

16 Si rinvia a L. Clutterbuck, The progenitors of terrorism: Russian revolutionaries or extreme irish republicans?, in terrorism, polit violence, 2004, Vol. 16, n.1, pp. 154-181. L'autrice evidenzia come la letteratura, generalmente, faccia risalire le origini del moderno terrorismo all'ultima decade del XIX

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passata ad individuare, più in generale, il terrore esercitato da individui o gruppo di individui privati contro lo Stato o, più ampiamente, con fini politici. Tale risulta essere il significato corrente del termine17. Dopo la seconda guerra mondiale il terrorismo ha

iniziato ad interessarsi ai nuovi sviluppi tecnologici. Negli anni sessanta e settanta si è affermato un nuovo tipo di terrorismo nazionalista: il separatismo. Da gruppi i genere etnicamente omogenei, sono sorti movimenti politici con l'obbiettivo di realizzare l'indipendenza della nazione di origine18. E' proprio all'interno di questi movimenti che si

sono sviluppate frange armate combattenti, attraverso l'utilizzo di tecniche proprie del terrorismo, soprattutto dinamitardo19. Sono diventati sempre più frequenti i dirottamenti

aerei20, di fronte ai quali la Comunità internazionale ha reagito attraverso la stipulazione

di diversi trattati che, uniti a maggiori e più severi controlli all'interno degli aeroporti, hanno ridotto notevolmente il potenziale numero di danni a persone e cose. Anche di fronte alla lunga serie di attacchi terroristici nei confronti di diplomatici e civili, nel corso

secolo e unanimamente sostiene che i primi ad utilizzare la violenza in maniera sistematica, per

raggiungere obbiettivi politici, furono i gruppi estremisti del movimento rivoluzionario sociale russo. La loro campagna di attacchi terroristici culminò con l'assassinio dello Zar Alessandro II. E' inoltre

opinione comune che nel loro modus operandi fossero già presenti i semi concettuali e metodologici che condussero, nel secolo successivo, alla violenza politica con le caratteristiche che oggi noi attribuiamo al terrorismo.

17 Si veda A. Gioia, Terrorismo internazionale, crimini di guerra e crimini contro l'umanità, cit. p.6. 18 Cfr. E. C. Del Re, Terrore e terrorismo internazionale. Breve excurcus storico e tentativo di definire

l'attualità, in RSPI, 2006, n.4, p. 613.

19 Per tutto il lento periodo di decolonizzazione che seguì la fine della seconda guerra mondiale si moltiplicarono attentati e rapimenti, definiti quasi sempre “atti terroristici”, contro le truppe

d'occupazione europee e contro le altre fazioni in lotta per il controllo del territorio (si pensi alle stragi militari e civili nell'Algeria francese o nella Malaysia britannica). Non va dimenticato come il

terrorismo fondato su motivi di decolonizzazione esista ancora oggi nella zona del Kashmir: il controllo sulle regioni del Kashmir e del Jammu è conteso tuttora da India e Pakistan. Gli anni '60 e '70 del novecento furono, però. Quelli in cui il terrorismo conobbe la sua maggior diffusione. Il termine venne utilizzato con due accezioni: quella interna, per definire i gruppi che, con motivazioni ideologiche o indipendentiste, miravano a destabilizzare l'ordine di uno Stato (l'IRA in Gran Bretagna, l'ETA in Spagna, le Brigate Rosse in Italia, il Baader Meinhoff in Germania); quella esterna per definire gruppi che, attraverso attentati e dirottamenti, intendevano colpire interessi o scelte di politica estera operati da vari Stati (un evento che segnò la definitiva affermazione dell'espressione terrorismo internazionale fu il sequestro, finito nel sangue, di alcuni atleti israeliani ad opera del gruppo palestinese di Settembre Nero durante i giochi olimpici a Monaco nel 1972).

20 Per approfondimenti si rinvia a: A. E. Evans,Aircraft Hijacking: its cause and cure, in AJIL, 1969, Vol. 63, pp. 697-698.

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degli anni settanta, le Nazioni Unite hanno reagito attraverso la conclusione di convenzioni internazionali. Nel 1979 è stata infatti firmata la Convenzione contro la presa di ostaggi la quale, tuttavia, non ha sortito l'effetto desiderato di ridurre il numero di sequestri. Già allora era evidente come le norme internazionali non fossero sufficienti a contrastare il terrorismo: è necessaria una fedele attuazione delle stesse negli ordinamenti nazionali, unita ad un'efficace strategia di prevenzione. Negli anni ottanta a causa di una serie di eventi storici di enorme portata, il terrorismo ha assunto un carattere globale. La dissoluzione dell'Unione Sovietica e lo smembramento degli Stati che vi appartenevano, hanno mostrato tutta la debolezza dei sistemi politici ed economici. Tuttavia, al di là del forte impatto di questi avvenimenti geo-politici, un'enorme spinta al dilagare del terrorismo è stata impressa dal facile accesso ai capitali21. Si è affermato cosi il

narco-traffico ed è stata coniata una nuova espressione per definire la violenza politica delle grandi holdins criminali, spesso sostenute da alcuni Stati: narco-terrorismo. Agli inizi degli anni novanta ha iniziato a profilarsi un tipo di terrorismo dai tratti costitutivi difformi rispetto alle tipologie manifestatesi negli anni sessanta e settanta. Questa nuova forma di terrorismo ancora oggi predominante è mossa da motivazioni di tipo religioso, combinare con ideologie politiche e obbiettivi geo-politici: si tratta del terrorismo islamista. Esso costituisce una grave minaccia per la società contemporanea, da un lato perché appare più difficile far desistere dall'azione i moderni terroristi rispetto a quelli degli anni settanta che comunque temevano le gravi conseguenze per le loro condotte, dall'altro perché il rapporto fra i mezzi usati dai terroristi e i loro fini è meno evidente rispetto al passato. Sebbene fin dal 1989 la frequenza di attacchi terroristici sia stata abbastanza costante, il crescente numero di attentati dall'undici settembre del 2001 in poi

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è divenuto allarmante. L'11 settembre ha mostrato il nuovo volto di un terrorismo internazionale che uscendo dai limiti della rivendicazione di tipo etnico e nazionale ed avvalendosi dei moderni sistemi informatici e della facile disponibilità di armi di distruzione di massa è riuscito a condurre attentati su larga scala e dal grande impatto mediatico. L'utilizzo di aerei dell'aviazione civile per colpire le Twin Towers è stata subito percepita come la prova lampante della inadeguatezza delle attuali norme di natura convenzionale volte a contrastare il terrorismo. E' evidente infatti la mancanza di un coordinamento internazionale fra le forze di polizia e i sistemi di intelligence; non è ancora stato raggiunto un accordo su una definizione onnicomprensiva di terrorismo; infine gli strumenti a disposizione del sistema di cooperazione penale internazionale appaiono scarsi e quelli esistenti risultano inadeguati. La rilevante portata di questi attacchi e l'elevatissimo numero di vittime hanno generato nella popolazione una sensazione di pericolo e di impotenza. In risposta ad una crescente domanda di sicurezza a livello mondiale, da un lato il Congresso di Sicurezza delle Nazioni Unite ha emanato una serie di risoluzioni per fronteggiare la minaccia e dall'altro l'Assemblea Generale ha ripreso il dibattito sul terrorismo con un ritrovato e più intenso vigore, mentre gli Stati e le organizzazioni non governative hanno riaffermato l'importanza del diritto internazionale e della cooperazione transnazionale.

2.1. Definire il terrorismo internazionale è possibile e necessario?

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un tipo di terrorismo internazionale caratterizzato dalla presenza di elementi estranei rispetto ad una singola comunità statale, in quanto, consistente in azioni commesse nel territorio di uno Stato da stranieri a danno di Stati esteri o di stranieri residenti nel paese, oppure commesse all'estero da persone rifugiatesi in uno Stato estero, confidando nell'impunità22. Nel corso dell'ultimo cinquantennio sembrano cosi emersi una serie di

beni giuridici, il valore dei quali supera i confini del singolo ordinamento nazionale, portatrici di una richiesta sempre più maggiore di cooperazione fra Stati. L''obbiettivo è quello di creare un sistema internazionale di norme penali volte alla repressione di quei comportamenti, idonei a mettere a rischio quei beni oggetto di protezione23. A partire

dalla fine della prima guerra mondiale numerosi infatti sono stati gli sforzi volti alla elaborazione di una normativa internazionale, in grado di assicurare una cooperazione fra gli Stati nella repressione penale del terrorismo. Tuttavia, anche se dopo l'11 settembre tali tentativi si sono intensificati, non s' ancora riusciti ad adottare un trattato tendenzialmente mondiale che si occupi del fenomeno nella sua globalità. L'ostacolo maggiore è rappresentato dalla incapacità degli Stati di trovare un accordo su una definizione di terrorismo universalmente accettata. In effetti, il terrorismo è un fenomeno talmente complesso che, sebbene sia stato oggetto di studi e dibattiti, di esso non è stata ancora elaborata una definizione soddisfacente ed universale24. Tanti sono stati in dottrina

i tentativi, ma quasi tutti hanno incontrato insormontabili difficoltà, sia di ordine concettuale, sia di sintassi25. Come sorprendente dimostrazione della varietà di definizioni

attribuite alla parola terrorismo, un voluminoso studio del 1983 (aggiornato nel 1988), condotto da Alex P. Schimid e Albert J. Jongman, cita più di cento differenti significati.

22 Cfr. G.D. Pisapia, Terrorismo: delitto politico o delitto comune?, in GP, 1975, Fascicolo V-VI, PP. 1-24. 23 Cfr. G. Grasso, Comunità europee e diritto penale, Milano, 1989, p.6.

24 In argomento, si veda W. Laqueur, Il nuovo terrorismo, Corbaccio ed., Milano, 2002. 25 Cfr. H.E. Mattox, Cronologia del terrorismo mondiale, cit., p.3.

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Dalla enorme quantità di dati raccolti dai due studiosi, si possono individuare alcuni elementi comuni a tutte le definizioni. Schimid e Jongman hanno isolato tre caratteristiche che ricorrono nella maggior parte di esse, ovvero:

1) l'uso della violenza e della forza; 2) l'obbiettivo politico;

3) l'intento di generare terrore.

I due autori hanno inoltre identificato non meno di diciannove ulteriori elementi, in qualche modo meno rilevanti dei precedenti ma tuttavia piuttosto frequenti, tra i quali: gli effetti psicologici prodotti sulla popolazione, la differenziazione del target delle vittime, la natura dell'azione volta alla realizzazione di un disegno ben preciso. Tutti gli sforzi compiuti mostrano come sia difficile definire in modo soddisfacente il fenomeno. La varietà di forme26 che il terrorismo ha assunto e l'incessante trasformazione subita nel

corso della storia, fanno sorgere seri dubbi sulla possibilità di elaborarne una definizione completa e globale. Ad aggravare lo stato di confusione contribuiscono i mass-media che tendono ad utilizzare il terrorismo come semplice sinonimo di violenza politica. Dunque, l'incapacità di raggiungere un accordo sulla definizione dipende dal fatto che la qualificazione di una condotta come terroristica implica sempre valutazioni di tipo politico: la stessa azione può essere o meno considerata un atto di terrorismo in base agli obbiettivi politici prefissati e in base alla posizione politica di chi giudica. Ciò che in un

26 La lista completa sarebbe lunga, ma non potrebbe tralasciare: il terrorismo di tipo ideologico (le BR, l'Action directe in Francia, le Cellule comuniste in Belgio, il GRAPO in Spagna); il terrorismo

nazionalista-indipendentista (IRA in Irlanda, ETA nei Paesi Baschi, il LTTE in Sri Lanka) ; il terrorismo fondamentalista di matrice religiosa (Hamas, GIA in Algeria, Al-Qaeda, Kach in Israele); il terrorismo di estrema destra (OAS in Francia, gli American Patrios che rappresentano circa 500 gruppi disseminati in tutti gli States).

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ordinamento potrebbe risultare come terroristico, in altro potrebbe essere considerato come un atto di violenza rivoluzionaria o ancora come un'azione inserita in un contesto di guerra di liberazione o potrebbe addirittura assurgere ad atto fondativo di un nuovo patto costituzionale27. Da qua l'aforisma: “one man's terroist is another man's freedom fighter”

che mette in luce come il confine fra resistenza e terrorismo sia tuttora soggettivo e contestato. Ciò che finora ha impedito di adottare una definizione a livello mondiale è stata proprio l'intrinseca valenza politica del termine: elaborare una definizione onnicomprensiva significherebbe tracciare i confini, non solo con riferimento a fattispecie di reato dello stesso tipo punite all'interno dei sistemi penali nazionali (come omicidio e sequestro di persona) ma, soprattutto, rispetto a condotte ritenute legittime dal diritto internazionale o, comunque disciplinate da strumenti internazionali diversi dalle convenzioni sul terrorismo, in particolar modo dal diritto internazionale umanitario28.

Secondo alcuni la protezione dello Stato e dei principi democratici della società è cruciale, mentre per altri predomina il timore di ingiustificate repressioni nei confronti dei cosiddetti “combattenti per la libertà”. Di fronte ai vani sforzi di definizione, c'è da chiedersi se sia davvero necessaria una definizione globale o se non sarebbe meglio rinunciare, optando per una definizione dei singoli atti criminali. Come risposta a ciò vale l'impostazione dottrinale volta a definire al più presto una definizione unanime, in quanto essa consentirebbe di armonizzare l'operatività e l'interazione fra le giurisdizioni penali nazionali e porterebbe ad un accrescimento della cooperazione fra i sistemi di

intelligence. L'estrema mobilità dei terroristi infatti, consente loro di scegliere il luogo

dell'azione criminosa e di colpire l'obbiettivo, restando all'interno dei confini del proprio

27 Al riguardo si veda: S. Zeuli, Terrorismo internazionale, Ed. Giur. Simone, Napoli, 2002.

28 Si veda: S. Dambruoso, Introduzione. Cenni sullo stato attuale del dibattito sulla compatibilità dei due moment derivati da rcenti fatti terrorstici: diritto alla sicurezza e sicurezza dei dirtti, in L. Bauccio, op. cit., p. XVII

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Stato e, di conseguenza, non si può sconfiggere i terrorismo in tutti gli Stati, ma semplicemente contrastandolo in uno solo.

3.1. Le convenzioni multilaterali e gli sforzi volti a definire la nozione di

terrorismo internazionale. La Convenzione di Ginevra

A livello internazionale la parola terrorismo è stata utilizzata per la prima volta come un concetto giuridico nel 1931, in occasione della terza Conferenza per l'Unificazione del diritto penale tenutasi a Bruxelles e successivamente nel 1935, a Copenaghen,durante la sesta conferenza. Il primo vero tentativo di stipulare un trattato globale sul terrorismo ha trovato espressione nella Convenzione della Società delle Nazioni per la prevenzione e la repressione del terrorismo del 193729. Già il 20 novembre 1926, la Romania aveva chiesto

alle Società delle Nazioni l'elaborazione di una convenzione in materia, ma fu solo in seguito all'attentato nel quale persero la vita il Re Alessandro I di Jugoslavia e il Ministro degli esteri francese Barthou, avvenuto il 9 ottobre 1934 e al conseguente rifiuto dell'Italia di estradarne gli autori che il Consiglio delle Società decise di convocarne commissione di esperti30. Tale commissione propose l'adozione di due progetti, uno

relativo alla repressione del terrorismo, l'altro concernente l'istituzione di una Corte Penale Internazionale. Il primo dei due progetti riguarda unicamente il terrorismo transnazionale perpetrato da attori privati, tralasciando dei problemi connessi al

29 Il testo francese della Convenzione è riprodotto in: Ronzitti N. (a cura di), Europa e terrorismo internazionale, Franco Angeli, Milano, 1992, p. 147.

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terrorismo di Stato. L'art. 1, par. 2, definisce gli atti di terrorismo come quei fatti criminosi diretti contro uno Stato allo scopo di provocare il terrore in persone determinate, in gruppi di persone o nel pubblico in genere. Essa, inoltre, obbliga gli Stati a qualificare come illeciti penali determinati atti criminosi elencati nel successivo art. 2, se commessi sul proprio territorio, ed impone allo Stato, sul territorio del quale si trovi l'accusato, di estradarlo oppure di processarlo e di punirlo, anche se il reato è stato compiuto all'estero, nel rispetto di determinate condizioni se si tratti di cittadino straniero. In quest'ultima ipotesi, in alternativa all'estradizione e al processo, lo Stato può anche decidere di deferire l'accusato alla costituenda Corte penale. La Convenzione dunque combina una definizione astratta e potenzialmente onnicomprensiva del terrorismo, con un'altra elencativa che ne limita l'applicazione solo ad alcuni dei casi previsti. Le fattispecie di cui all'art. 2, infatti, possono considerarsi atti terroristici se sussistono due condizioni: quei fatti criminali devono essere compiuti solo contro uno Stato, restando esclusi quelli contro soggetti privati ed essi devono essere realizzati con il fine di diffondere terrore. La Convenzione di Ginevra venne firmata da ventiquattro Stati. Va detto come né questa Convenzione né quella complementare volta ad istituire una Corte Penale Internazionale, sono mai entrate in vigore, probabilmente per via dell'avvento della seconda guerra mondiale. La definizione troppo vasta di terrorismo ha contribuito a determinare l'esiguo numero di firme e di ratifiche (solo dall'India).

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3.2. Le convenzioni settoriali sul terrorismo

Nel periodo post-coloniale il problema dei freedom fighters è stato cosi sentito, da impedire il crearsi di un accordo globale su una definizione universalmente accettata di terrorismo, volta a tenere conto di speciali circostanze come: la natura delle vittime. Il tipo di azione commessa, il metodo usato nell'azione. Per tali ragioni le cosiddette convenzioni globali sul terrorismo sono state negoziate e firmate in specifici settori e da agenzie specializzate (ICAO, IMO, IAEA, L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite). Il risultato di questa strategia è stata l'adozione di dodici convenzioni, otto delle quali di natura prevalentemente repressiva e quattro preventiva. L'ICAO (l'organizzazione per l'aviazione civile internazionale), per far fronte all'intensificarsi dei dirottamenti aerei compiuti negli anni '60, ha aperto la strada, promuovendo l'adozione di alcune importanti convenzioni, fra le quali si menzionano: la Convenzione di Tokyo del 14 settembre 1963, relativa alle infrazioni e a determinati altri atti compiuti a bordo di aeromobili31; la

Convenzione dell'Aja del 16 dicembre 1970 per la repressione e la cattura illecita di aeromobili32; la Convenzione di Montreal del 23 settembre 1971, per la repressione degli

atti illeciti diretti contro la sicurezza dell'aviazione civile33 e il Protocollo di Montreal del

24 febbraio 1988 per la repressione degli atti illeciti di violenza negli aeroporti adibiti all'aviazione civile internazionale34. Tali Convenzioni hanno imposto agli Stati l'obbligo

31 Tale convenzione entrata in vigore il 4 dicembre del 1969. L'Italia vi ha dato esecuzione con L. 11 giugno 1967 n. 468, in G.U. 1°luglio 1967, n. 163.

32 La Convenzione è entrata in vigore il 4 ottobre 1971 (per l'Italia il 21 marzo 1974). L'Italia vi ha dato esecuzione con L° 22 ottobre 1973 n. 906, in G.U. 11 gennaio 1974 n. 10.

33 La Convenzione è entrata in vigore il 26 gennaio 1973 (per l'Italia il 21 marzo 1974). L'Italia vi ha dato esecuzione con L. 22 ottobre 1973 n.906, in G.U. 11 gennaio 1974 n. 10, suppl.

34 Il Trattato è entrato in vigore il 6 agosto 1989 (per l'Italia il 12 aprile 1990). L'Italia vi ha dato esecuzione con L. 30 novembre 1989 n. 394, in G.U. 14 dicembre 1989 n. 291, suppl. Si tratta di uno

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di criminalizzare, nei rispettivi ordinamenti, le condotte ivi specificate. On seguito alle note vicende della nave crociera Achille Lauro35, dell'ottobre 1985, l'Organizzazione

marittima mondiale (IMO) ha promosso l'adozione, 10 marzo 1988, della Convenzione per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima36 e del

Protocollo per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza delle installazioni fisse sulla piattaforma continentale37, speculari alle convenzioni adottate per la salvaguardia

dell'aviazione civile. Anche nell'ambito delle Nazioni Unite, gli stati membri hanno privilegiato un approccio settoriale. Tra le convenzioni adottate in tal senso si ricordano: la Convenzione del 14 dicembre 1973 sulla prevenzione e la repressione dei reati commessi nei confronti di persone che godono di protezione internazionale, ivi compresi gli agenti diplomatici38, la Convenzione del 17 dicembre 1979 contro la presa di ostaggi39

e la Convenzione del 12 gennaio 1998 sulla repressione degli attentati terroristici mediante l'uso di esplosivo40. Infine il 14 settembre 2005 è stata aperta alla firma la

Convenzione per la repressione di atti di terrorismo nucleare. Tali Convenzioni hanno seguito un modello comune abbastanza uniforme che si basa sullo schema della

strumento aggiuntivo alla Convenzione di Montreal del 1971.

35 Il 7 ottobre 1985, un comando palestinese del fronte di liberazione della Palestina di Abu Abbas sequestrò la nave da crociera italiana Achille Lauro, mentre compiva una crociera nel Mediterraneo, al largo delle coste egiziane, poco dopo essere salpata dal porto di Alessandria d'Egitto. I quattro terroristi presero in ostaggio quattrocentocinquanta passeggeri e l'equipaggio, chiedendo in cambio la liberazione di cinquantadue palestinesi detenuti in Israele. L'8 ottobre a bordo della nave venne ucciso un cittadino americano diversamente abile, sollevando l'indignazione mondiale. La resa avvenne il 9 ottobre: il comandò lasciò la nave a bordo di una motovedetta egiziana.

36 La Convenzione è entrata in vigore anche per l'Italia il 1° marzo 1992. 37 Il Trattato è entrato in vigore anche per l'Italia il 1 marzo 1992

38 La Convenzione è entrata in vigore internazionale il 20 gennaio 1977 (per l'Italia il 29 settembre 1985). L'Italia vi ha dato esecuzione con L. 25 marzo 1985 n. 107, in G.U. 1°aprile 1985 n. 78.

39 La Convenzione è entrata in vigore internazionale il 3 giugno 1983 (per l'Italia il 9 aprile 1986). L'Italia vi ha dato esecuzione con L. 26 novembre 1985, in G.U. 12 dicembre 1985 n. 292.

40 Si veda la risoluzione dell'Assemblea Generale dell'ONU A/RES/52/164, del 9 gennaio 1988. La Convenzione è entrata in vigore internazionale il 23 maggio 2001 (per l'Italia il maggio 2003). L'Italia vi ha dato esecuzione con L. 14 febbraio 2003 n. 34, in G.U. 11 marzo 2003 n. 58 suppl. Le Nazioni Unite iniziarono i negoziati che condussero a tale Convenzione nel luglio 1996, in seguito agli attentati esplosivi alle ambasciate statunitensi in Kenya e in Tanzania e alle Khober Towers in Arabia Saudita.

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Convenzione di Ginevra del 1937, ormai divenuto tipico dei trattati internazionali in materia penale. Tale modello prevede un obbligo a carico degli Stati di qualificare come reati le fattispecie contenute nelle convenzioni e impone allo Stato sul cui territorio si trovi l'indagato di sottoporlo a processo, oppure di estradarlo allo Stato che ne faccia richiesta. Infine si obbligano gli Stati parte ad eliminare le aree di impunità per le condotte individuate e a prevedere una comune base giuridica per la regolamentazione dell'estradizione41. Differiscono da questa impostazione le convenzioni “preventive” che

invece di individuare fattispecie di terrorismo, mirano a privare i terroristi dei mezzi (come esplosivi, sostanze nucleari e finanziamenti) necessari per l'attuazione dei loro piani criminali, vincolando gli Stati ad adottare standard minimi di controllo in certi settori, in modo da prevenire eventuali attacchi. Tale è la ratio della Convenzione del 3 marzo 1980 sulla protezione fisica del materiale nucleare42, promossa dall'Agenzia

Internazionale per l'Energia Atomica (IAEA). Sempre nell'ambito della prevenzione si situa la Convenzione per la mappatura di materiale esplosivo del 199143, la prima delle

convenzioni ad usare il termine terrorismo. Essa impone agli Stati parte l'obliterazione, mediante l'utilizzo di agenti chimici, di tutto il materiale esplosivo presente, in modo che possa essere rilevato con appositi strumenti. La Convenzione sulla soppressione del finanziamento al terrorismo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999, ha l'obbiettivo di debellare il terrorismo eliminandone i finanziamenti. Si legge infatti nel preambolo che il numero e la gravità degli atti di terrorismo dipendono proprio dagli assets recepiti dai terroristi. Si distingue dalle altre convenzioni perché innanzitutto si tratta dell'unica ad avere come oggetto non più la repressione delle singole

41 Cfr. L. Bauccio. L'accertamento del fatto reato di terrorismo internazionale, cit., p. 440. 42 La Convenzione è entrata in vigore l'8 febbraio 1987 (per l'Italia 6 ottobre 1991). 43 La Convenzione è entrata in vigore il 10 aprile 2002 (per l'Italia il 26 aprile 2006).

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manifestazioni, ma la prevenzione del terrorismo nella sua interezza, prevenzione da attuarsi mediante la condanna di ogni forma di finanziamento e l'adozione di strumenti repressivi; in secondo luogo, essa contiene una definizione, seppur indiretta, di terrorismo. Ai sensi dell'art. 2 infatti, gli Stati membri sono obbligati a qualificare come reato “il rifornimento o la raccolta di assets (definiti come beni di ogni tipo) utilizzati per sovvenzionare: a) gli atti illeciti individuati dalle convenzioni antiterrorismo delle Nazioni Unite; b) gli atti che comportino danni gravi ai civili, nel caso in cui le finalità di tali atti siano quelle di intimidire o costringere un governo dal tenere o non tenere una certa condotta. Questa Convenzione, al pari della Convenzione di Ginevra del 1937, contiene l'elemento soggettivo del dolo specifico. Tuttavia, a differenza di quest'ultima, tra i soggetti passivi contempla anche i privati cittadini e non più solo le personalità degli Stati. Inoltre l'art. 5 obbliga gli Stati ad adottare opportune misure non solo nei confronti di persone fisiche, ma anche verso persone giuridiche che intervengono nel finanziamento di campagne terroristiche. L'art. 8 infine, pone a carico degli Stati l'obbligo di criminalizzare le fattispecie di finanziamento e di adottare adeguate misure per l'identificazione, il blocco e la confisca dei fondi utilizzati.

4.1. Il progetto di una Convenzione globale sul terrorismo

La reazione della Comunità internazionale agli attentati dell'undici settembre del 2001 è stata di due tipi: una armata, l'altra pacifica. La risposta più immediata è stata quella passata alla storia come “War on Terror”, o guerra al terrore. L'attentato alle torri

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gemelle, ma soprattutto il timore di subire nuovi attacchi, hanno rappresentato agli occhi dell'amministrazione Bush idonee giustificazioni per la reazione militare. La colazione contro il terrore ha costituito la più vasta alleanza nella storia delle relazioni internazionali, dimostrando la necessità di una cooperazione fra i propri sistemi di

intelligence, essenziale per il relativo contrasto44. Dall'altro lato la reazione di tipo

pacifico è sfociata nell'adozione di misure volte alla repressione degli atti terroristici, tra le quali si annoverano, in particolare, le convenzioni stipulate in materia per rafforzare la cooperazione tra gli Stati e le misure sanzionatorie adottate dal Consiglio di sicurezza dell'ONU. Gli attacchi infatti, hanno evidenziato l'urgenza del negoziato per l'adozione di una convenzione globale sul terrorismo45. A tale scopo già nel 1996, l'Assemblea generale

delle Nazioni Unite, con la risoluzione 51/210 del 17 dicembre, aveva istituito una commissione ad hoc incaricata di elaborare inizialmente due convenzioni in materia di terrorismo (quella relativa alla soppressione del terrorismo per mezzo di bombe del 1997 e quella sulla soppressione degli atti di terrorismo nucleare, adottata nel 2005) e, in seguito, di redigere il testo di una convenzione globale contro il terrorismo. Già il primo progetto di convenzione globale nel 199946, ha evidenziato le questioni più spinose, sulle

quali gli stati negoziatori non riescono a raggiungere un accordo, in particolare: l'art. 18 che contiene la saving clause, o clausola di esclusione la quale, operando come una scriminante esclude certi comportamenti dall'ambito di applicazione della convenzione e l'art. 2 relativo alla definizione di terrorismo. Per i disaccordi sulla definizione di terrorismo, la Risoluzione dell'Assemblea Generale A/59/37, contenente il rapporto della

44 Per ulteriori approfondimenti sulla legittimità dell'uso della forza in risposta agli attentati terroristici dell'11 settembre, si veda: P. Picone, La guerra contro l'Iraq e le degenerazioni dell'unilateralismo, in RDI, 2003, pp. 329-393.

45 In argomento A. Gioia, Terrorismo internazionale, crimini di guerra e crimini contro l'umanità, cit., p. 29.

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sessione della Ad hoc commitee tenutasi nel 2004, ha preso atto della persistente mancanza di accordo fra gli Stati. Da un lato infatti, alcune delegazioni hanno sostenuto che la definizione di terrorismo debba essere in grado di distinguere chiaramente fra terrorismo e diritto di autodeterminazione dei popoli e debba anche contenere l'ipotesi di State Terrorism. Le delegazioni occidentali, al contrario, si sono opposte all'inclusione di tali questioni, battendosi affinché la definizione di terrorismo si limiti a ribadire che tutti gli atti di terrorismo, in tutte le loro forme e manifestazioni, hanno rilevanza penale e non possono mai essere giustificati da chiunque e per qualsiasi motivo siano stati commessi. Principio tra l'altro, spesso affermato nel panorama del diritto internazionale soprattutto dopo l'11 settembre in poi. La questione maggiormente controversa riguarda l'art. 18, prevedendo una saving clause per determinate condotte poste in essere da alcuni soggetti, fornirebbe un criterio per demarcare, da un lato l'ambito di applicazione della convenzione, dall'altro quel diritto internazionale umanitario. Il motivo del mancato accordo risiede nel fatto che le delegazioni dei paesi islamici, in sede di negoziato, hanno preferito proporre un emendamento all'articolo in questione, piuttosto che accettare l'introduzione di una definizione di terrorismo non contemplante i combattenti contro l'occupazione straniera. Gli Stati non sono ancora in grado di concordare un testo comune, in particolare sul comma secondo dell'articolo 18, già che molto diversa è la terminologia usata nelle due proposte47 presentate e sottoposte alla loro attenzione: in

base alla prima, si dovrebbero escludere dal campo di applicazione della convenzione “le forze armate degli Stati coinvolti”, mentre per la seconda, più genericamente, “le parti”, ipotesi questa che apre il campo a tutta una serie di forza impossibili da identificare solo

47 Il primo testo dell'art. 18, sottoposto all'esame degli Stati è stato presentato dal Coordinatore e predisposto alla fine della sessione di ottobre 2001 dal Working Group della Sesta Commissione; il secondo è stato proposto dall'Organizzazione della Conferenza Islamica.

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con gli eserciti regolari di uno Stato. In più, mentre nella prima versione si limita l'operatività della clausola ai soli di conflitto armato, nella seconda proposta viene aggiunta la locuzione “anche in situazioni di occupazione straniera”48. Sebbene il

Segretario generale delle Nazioni Unite, in occasione dell'International Summit on

Democracy, terrorism and security, tenutosi a Madrid il 10 marzo 2005, abbia offerto una

strategia globale in materia ed auspicato una definizione di terrorismo il più possibile garante dei diritti umani, l'accordo su una delle proposte in campo appare ancora molto complesso.

5.1. Una definizione globale di terrorismo a livello dell'Unione Europea

L'Unione Europea è riuscita a fornire una definizione e una descrizione del reato di associazione con finalità di terrorismo. Vi sono in particolare due definizioni elaborate, una precedente all'undici settembre, elaborata dal Parlamento europeo e contenuta in uno strumento non vincolante, ed una successiva, inserita dal Consiglio dell'Unione europea in un atto vincolante. Nel corso degli ultimi anni il Parlamento europeo ha approvato diverse raccomandazioni e risoluzioni sul terrorismo. La prima che ne contiene una definizione è quella del 1997, sulla lotta contro il terrorismo nell'Unione europea49. Tale

48 Per ulteriori approfondimenti, si veda: U. Montuoro, Architettura normativa in materia di terrorismo internazionale, in RSPI,2005, n.3 p. 395 ss.

49 Ai sensi del “considerando A” della Risoluzione del 1997, il terrorismo nell'Unione europea va considerato alla stregua di un'attività criminale che si prefigge di modificare, con la minaccia della violenza o il ricorso alla stessa, le strutture politiche, economiche e sociali degli stato di diritto, differenziandosi pertanto dalle azioni di resistenza in Stati terzi, le quali sono rivolte contro strutture statali che presentano loro stesse carattere terroristico”. Cfr. Risoluzione del 30 gennaio 1997 sulla lotta contro il terrorismo nell'Unione Europea, in G.U.C.E. C 55 DEL 24 febbraio 1997, p. 27 ss.

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definizione è ripresa e leggermente modificata nella Raccomandazione del Parlamento europeo sul ruolo dell'Unione europea nella lotta al terrorismo, del 5 settembre 2001. In quest'ultima, al “considerando M” è definito terroristico “qualsiasi atto commesso da individui o da gruppi che ricorrono o che minacciano di ricorrere alla violenza nei confronti di un Paese, delle sue istituzioni, della sua popolazione in generale o di individui specifici che, adducendo aspirazioni separatiste, ideologiche estremiste o fanatismo religioso ispirati da avidità, si prefiggono di sottomettere il potere pubblico, taluni individui o gruppi della società o la popolazione in generale a un clima di terrore”. In base a questa definizione, tre condizioni devono essere soddisfatte per poter qualificare un atto come terroristico: un elemento oggettivo, cioè l'uso della forza contro persone o gruppi indicati nella raccomandazione; una specifica motivazione per l'uso della violenza che può consistere in un'aspirazione indipendentista, un credo ideologico estremista, un fanatismo religioso o un desiderio di profitto e, infine, un elemento soggettivo costituito dall'intenzione di creare un clima di terrore all'interno di specifici gruppi e persone. Il Parlamento europeo esclude i combattenti per la libertà dalla definizione di terrorismo quando afferma che “azioni di resistenza compiute nei Paesi terzi contro strutture statali caratterizzate esse stesse da una dimensione terroristica” non possono essere considerati a loro volta terroristici. Dopo l'11 settembre il Consiglio dell'Unione ha adottato una nozione generale di terrorismo, dapprima introdotta nella Posizione comune 2001/931/PESC sull'applicazione di misure specifiche per combattere il terrorismo50 e

successivamente ripresa nella Decisione quadro 2002/475/GAI51 del 13 giugno 2002 sulla

lotta al terrorismo. La Posizione comune 931/2001/PESC, in particolare, offre una

50 In G.U.C.E. L 344 del 28 dicembre 2001, p. 93 ss. 51 In G.U.C.E. L 164 del 22 giugno 2002, p.3 ss.

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definizione non solo di atto terroristico, ma anche di persone, gruppi, entità coinvolti in atti terroristici. L'art. 3 definisce l'atto terroristico come uno degli atti intenzionali che, per la sua natura o contesto possa recare grave danno a un Paese o ad una Organizzazione internazionale, definito reato in base al diritto nazionale, quando è commesso al fine di: i) intimidire seriamente la popolazione; o ii) costringere indebitamente i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto; o iii) destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche, costituzionali, economiche o sociali fondamentali di un Paese o un organizzazione internazionale”. L'articolo prosegue elencando una serie di reati considerati terroristici52. Sempre ai sensi

dell'art. 3 per “persone, gruppi ed entità terroristiche” si intendono le persone che compiono o tentano di compiere atti terroristici o vi prendono parte o li agevolano, mentre per gruppo terroristico l'associazione strutturata di più di due persone, stabilita nel tempo che agisce in modo concertato allo scopo di commettere atti terroristici. Le medesime definizioni di atto terroristico e di organizzazione terroristica si ritrovano nella Decisione quadro del 13 giugno 2002 e la loro introduzione all'interno di un atto molto più vincolante di una convenzione internazionale, rappresenta una novità di rilievo per il diritto internazionale53. La definizione ha sollevato critiche da parte delle organizzazioni

non governative impegnate nella tutela dei diritti umani in quanto è troppo estesa e non dà rilievo al particolare tipo di pericolo insito in un'azione di terrorismo. Lascia troppo spazio ai margini di interpretazione, determinando potenziali abusi a danno dei diritti

52 In particolare l'elenco contiene i seguenti reati: a) attentati alla vita di una persona che possono causare decesso; b)attentati gravi all'integrità fisica di una persona; c) sequestro di persona e cattura di ostaggi; d) distruzione di strutture governative, piattaforme fisse situate sulla piattaforma continentale ovvero luoghi pubblici o di proprietà private che possono mettere a repentaglio vite umane o causare perdite economiche considerevoli; e) sequestro di aeromobili o navi o altri mezzi di trasporto collettivo di passeggeri o di trasporto merci.

53 Sul punto su veda S. Dambruoso, Contro il terrorismo internazionale più “spinta” sulla cooperazione, in GD-DCI, 2005, n. 5, p. 90.

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fondamentali, generando seri dubbi di compatibilità con l'art. 7 della CEDU, il quale espressamente prevede: “nessuno può essere condannato per un'azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”. Una soluzione al problema può ritrovarsi nel preambolo, laddove la Decisione quadro, dopo aver richiamato la tutela dei diritti fondamentali, stabilisce che nessuna previsione nella decisione può essere intesa come una misura volta a limitare od ostacolare diritti o libertà fondamentali. Anche all'art. 1 si prevede come “l'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi giuridici fondamentali quali sono sanciti dall'art. 6 del trattato sull'Unione europea, non può essere modificato per effetto della Decisione quadro”. Tali richiami possono essere adeguati alla tutela dei diritti fondamentali, anche se l'ambiguità accolta nella nozione di terrorismo dal Consiglio dell'UE rende necessario tener costantemente monitorata l'attuazione della Decisione quadro da parte dell'Unione e degli Stati membri, in quanto si prospetta il rischio concreto di possibili abusi nei riguardi dei diritti umani.

6.1. La definizione di terrorismo negli statuti e nella giurisprudenza dei

tribunali penali internazionali

Gli statuti dei tribunali penali internazionali di più recente istituzione prevedono la responsabilità penale per la violazione dei divieti posti dal diritto internazionale umanitario relativamente alla commissione di azioni terroristiche. Ad esempio, lo statuto

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del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda all'art. 4 (d) che incorpora l'art. 13 del II Protocollo della Convenzione di Ginevra, prevede la competenza giurisdizionale dello stesso tribunale per tutti gli “atti di terrorismo” compiuti sul territorio del Ruanda o opera di cittadini ruandesi negli Stati limitrofi, fra il 1° gennaio e il 31 dicembre 199454. Allo

stesso modo l'art. 3 (d) dello Statuto della Corte speciale per la Sierra Leone55 consente di

perseguire gli atti di terrorismo, elencati tra le violazioni dell'art. 3 delle quattro Convenzioni di Ginevra e dal Protocollo II. Al contrario il termine “terrorismo” non compare né nello statuto del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia, né nello Statuto di Roma del 1998 che ha istituito la Corte Penale Internazionale. Quest'ultima omissione appare particolarmente significativa dal momento che lo statuto della Corte Penale Internazionale rappresenta un autorevole espressione della posizione di un gran numero di Stati in materia di di diritto penale internazionale. La Conferenza di Roma ha infatti respinto un'aia definizione di terrorismo al di fuori del contesto dei conflitti armati, ma ha altresì escluso la proposta di considerare il terrorismo come crimine di guerra. Tuttavia, L'art. 10 dello Statuto di Roma dichiara che nessuna disposizione dello stesso “può essere interpretata nel senso di limitare o pregiudicare in qualsiasi modo, per effetti diversi da quello del presente Statuto, le norme del diritto internazionale esistenti o in formazione”. Come il Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia ha statuito nel caso Furundzija56, lo Statuto non è l'espressione perfetta del diritto consuetudinario ma, a seconda del problema in discussione, può essere utilizzato per ribadire, chiarire o cristallizzare le norme consuetudinarie, mentre in altri ambiti crea

54 Cfr. art. 4, Statuto del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda.

55 Si veda l'accordo fra ONU e Sierra Leone, in forza della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n. 1315 del 2000, con in allegato lo statuto.

56 Cfr. sentenza del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia, causa 95-17/1-T, Furundzija, 10 dicembre 1988, par. 227, disponibile all'indirizzo www.icty.org

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